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La scelta della scala temporale cui far riferimento per lo studio dei fenomeni di instabilità ed il concetto stesso di instabilità hanno da sempre rappresentato un argomento di interesse ed allo stesso tempo di controversie nel campo della Geomorfologia Fluviale. In contrapposizione alla concezione di evoluzione del rilievo secondo la teoria del ciclo di erosione di DAVIS, a partire dagli anni ’30 si affermarono la cosiddetta “teoria del regime” ed il concetto di fiume regolarizzato (graded river) (MACKIN, 1948), che introdussero i concetti di stabilità e di equilibrio dinamico. In seguito SCHUMM & LICHTY (1965) chiarirono che i concetti di ciclo di erosione e di equilibrio dinamico non sono mutuamente esclusivi, ma che l’apparente contrasto deriva evidentemente da differenti scale temporali di riferimento: (a) in una scala temporale dell’ordine del milione di anni (cyclic time), può rimanere valida l’idea di un fiume che riduce progressivamente la sua quota e pendenza del fondo a seguito di un ciclo di erosione; (b) in un intervallo di tempo più ristretto (graded time), ls pendenza può oscillare intorno ad un valore medio costante in una condizione di equilibrio dinamico; c) considerando un intervallo temporale ancora inferiore (dell’ordine dei giorni), il fiume può trovarsi in una situazione completamente stazionaria (steady time).

La scala temporale che preferibilmente viene utilizzata nel campo della moderna Geomorfologia Fluviale è la media scala temporale, cioè quella dell’ordine dei 100 anni (confrontabile con la scala della vita umana), seppure lo studio dell’evoluzione nel lungo termine del reticolo idrografico (catture, subsidenza ed altri fenomeni di neotettonica) può fornire utili informazioni per una migliore comprensione delle possibili cause. Tuttavia, per definire le tendenze attuali, vale a dire per stabilire se un alveo è stabile o in equilibrio dinamico, è più appropriato restringere ulteriormente la scala temporale agli ultimi 10-15 anni circa (SHIELDS et al., 2003). Un alveo si può definire in equilibrio dinamico se, in riferimento a tale intervallo temporale, mantiene mediamente invariata la sua forma e le sue dimensioni caratteristiche (larghezza e profondità della sezione, pendenza, dimensione dei sedimenti). Al contrario un alveo si può definire instabile quando, in riferimento alla stessa scala temporale, varia significativamente le sue dimensioni o la sua forma.

Si può quindi immaginare che il fiume si assesti intorno ad una forma in “equilibrio dinamico” che risulta dall’interazione tra variabili guida e condizioni al contorno. L’alterazione di una delle variabili in gioco può determinare una perturbazione delle condizioni di equilibrio: il fiume in tal caso risponde a tale perturbazione movendosi verso una nuova condizione di equilibrio. Durante l’intervallo di tempo richiesto affinché il fiume non si riassesti intorno a questa nuova condizione, esso attraverserà una fase di instabilità, sarà cioè soggetto a variazioni significative della sua forma. Le risposte dell’alveo (o aggiustamenti morfologici) possono avvenire nell’arco di brevi intervalli di tempo e limitate estensioni spaziali, o durante intervalli di tempo più lunghi (da decine a migliaia di anni) e coinvolgere un intero sistema fluviale, in funzione della intensità, estensione e tipo di disturbo.

Coerentemente con lo schema precedente, l’instabilità di un tratto di un fiume può anche essere considerata come il risultato di una alterazione dell’equilibrio dinamico tra potenza della corrente ( = QS) disponibile per trasportare sedimenti e quantità e dimensioni dei sedimenti che provengono da monte e alimentano il tratto dell’alveo fluviale. Tale concetto è ben espresso dalla relazione di LANE (1955) (Figura 2.17):

Q S  QS D50

dove Q rappresenta la portata liquida, S la pendenza del fondo, Qs la portata solida e D50 il diametro mediano dei sedimenti del fondo.

Figura 2.17 – Modello concettuale delle risposte di un alveo fluviale ad alterazioni

dell’equilibrio dinamico (da LANE, 1955).

Numerosi sono i fattori che possono intervenire e modificare questo equilibrio. Tra di essi, si può innanzitutto fare una distinzione tra fattori naturali (quali variazioni climatiche ed idrologiche, movimenti tettonici, fenomeni vulcanici, variazioni del livello del mare, ecc.) e fattori antropici. Questi ultimi si possono a loro volta distinguere in due gruppi: a) interventi a scala di bacino (rimboschimenti, disboscamenti, sistemazioni idraulico-forestali, urbanizzazione); b) interventi diretti in alveo (tagli di meandro, canalizzazioni, dighe, escavazione di inerti). Per quanto riguarda gli interventi a scala di bacino, essi agiscono principalmente sulle variabili guida, andando cioè potenzialmente a perturbare il regime delle portate liquide o, più frequentemente, di quelle solide. Gli interventi diretti in alveo possono modificare direttamente la forma (ad esempio un taglio di meandri), creando così una forma instabile, o perturbare il regime delle portate liquide e solide (ad es. nel caso di una diga) per il tratto immediatamente a valle dell’intervento stesso.

Un’importante differenza tra fattori naturali ed antropici è la scala temporale su cui essi manifestano i loro effetti. I fattori naturali agiscono generalmente in maniera lenta, causando il più delle volte variazioni pressoché impercettibili alla scala della vita umana. Esistono naturalmente delle eccezioni: un evento catastrofico naturale (ad esempio un’eruzione vulcanica) può causare improvvisi e drastici riaggiustamenti nel sistema fluviale. Viceversa, i fattori antropici agiscono generalmente in una più breve scala temporale, causando modifiche dirette o inducendo variazioni ben percettibili alla scala della vita umana.

Un alveo fluviale reso instabile da uno o più tipi di disturbi, naturali o antropici, può rispondere e modificarsi attraverso i seguenti tipi di variazioni morfologiche: a) variazioni altimetriche; b) variazioni di larghezza; c) variazioni della configurazione morfologica.

Per quanto riguarda le variazioni altimetriche del fondo, si può inquadrare il problema attraverso la cosiddetta bilancia di Lane. Alterazioni dell’equilibrio generate da un incremento dell’energia della corrente (o potenza), una riduzione della portata solida o delle dimensioni dei sedimenti, possono causare un abbassamento generalizzato della quota del fondo, definito incisione (incision o degradation). Viceversa, nel caso di una riduzione di energia della corrente o di un incremento della

quantità o dimensioni dei sedimenti trasportati, si verifica normalmente un innalzamento generalizzato della quota del fondo, indicato con il termine di sedimentazione (aggradation). Tali processi possono interessare tratti molto lunghi, fino ad un intero sistema fluviale, e possono alternarsi sistematicamente in tratti diversi del bacino. L’incisione tende infatti a migrare verso monte attravero il meccanismo di erosione regressiva (nickpoint migration), mentre a valle si possono avere fasi successive di sedimentazione indotte dal materiale prodotto dall’incisione ed eventualmente dall’allargamento indotto dall’instabilità delle sponde nei tratti a monte (SCHUMM et alii, 1984; SIMON, 1989). Questi fenomeni differiscono dai processi di erosione o di sedimentazione localizzata (local scour o fill), i quali sono invece legati a variazioni locali e sono limitati a brevi tratti (ad esempio a monte e a valle di una briglia).

Esiste un’ampia letteratura internazionale relativa alle risposte di un sistema fluviale a disturbi ed interventi antropici. Tagli di meandro, restringimenti e canalizzazioni hanno l’effetto prevalente di incrementare l’energia (o la capacità di trasporto) del fiume come conseguenza dell’incremento di pendenza e/o della riduzione di larghezza. Ciò induce un’incisione, la quale può essere seguita da una fase di sedimentazione nei tratti a valle del sistema, favorita dall’alimentazione di sedimenti mobilizzati nei tratti a monte dall’incisione stessa (DANIELS, 1960; KELLERHALS, 1982; WINKLEY, 1982; GREGORY, 1984; SCHUMM et alii, 1984; BROOKES, 1988; SIMON, 1989). Ampia è anche la letteratura relativa agli effetti di una diga. L'esistenza di un invaso si riflette attraverso due fattori che influiscono in senso opposto sul bilancio sedimentario dell'alveo fluviale a valle della diga: l’annullamento del trasporto solido e la laminazione delle onde di piena, con la conseguente riduzione delle portate di picco. E' ampiamente documentato in letteratura (ad es: GREGORY& PARK, 1974; PETTS, 1984; WILLIAMS & WOLMAN, 1984) come il primo fattore prevalga sul secondo causando quindi una fase di incisione a valle della diga.

Molti studi hanno inoltre descritto gli effetti geomorfologici dell’escavazione diretta da un alveo fluviale (ad es.: COLLINS & DUNNE, 1989; KONDOLF, 1994; SEAR

& ARCHER, 1998; RINALDI et al., 2005). La prima risposta è quella di una migrazione verso monte dell’incisione, causata dall’alterazione del profilo del fondo indotta dallo scavo; tuttavia l’escavazione può produrre incisione anche a valle, per effetto della deposizione di sedimenti all’interno dello scavo stesso e per conseguente deficit di sedimenti rispetto alla capacità di trasporto (KONDOLF, 1994).

Gli interventi a scala di bacino, se protratti per lunghi periodi di tempo e su vaste aree, possono avere rilevanti effetti sul bilancio sedimentario del corso d’acqua. I disboscamenti hanno l’effetto di accelerare l’erosione del suolo sui versanti, determinando un incremento della quantità di materiale che va ad alimentare il trasporto solido nella rete idrografica e favorendo condizioni di sedimentazione negli alvei fluviali (COSTA, 1975; KNOX, 1977). Al contrario i rimboschimenti e le sistemazioni idraulico-forestali possono determinare una consistente riduzione dell’apporto solido nella rete idrografica e favorire incisione negli alvei.

Oltre alle variazioni altimetriche, un corso d’acqua può essere soggetto a due possibili variazioni di larghezza dell’alveo: a) allargamento (widening); b) restringimento (narrowing). Tali variazioni sono, rispetto a quelle altimetriche, meno studiate e anche meno agevolmente inquadrabili secondo gli schemi interpretativi esposti finora. Ad esempio, la relazione di Lane non si presta ad interpretare le possibili variazioni di larghezza. A tal fine, sono più adatte le seguenti relazioni ricavate da SCHUMM (1977), che esprimono la proporzionalità (diretta o inversa) delle

variabili guida (portate liquide e solide) con una serie di variabili relative alla forma dell’alveo: Q+ ~ w +, d +,+ , S -Q- ~ w-, d-, -, S + Qs + ~ w +, d -,+ , S +, P -Qs - ~ w -, d +, -, S -, P +

dove Q è la portata liquida, w la larghezza, d la profondità media,  la lunghezza d’onda dei meandri, S la pendenza del fondo, Qs la portata solida e P l’indice di sinuosità (i segni + e meno indicano rispettivamente un aumento e una riduzione della variabile).

In base a tali proporzionalità, un allargamento (w+) può verificarsi, a parità di altri fattori, per un aumento delle portate liquide e/o solide, e viceversa un restringimento (w-).

Un fiume, a causa di qualche disturbo, può talora cambiare la sua configurazione morfologica planimetrica (o pattern), passando ad esempio da una configurazione a canale singolo (sinuoso o meandriforme) ad una morfologia a canali multipli o viceversa. In questi casi la larghezza dell’alveo è la variabile che si modifica più drasticamente, mentre le variazioni di pendenza che accompagnano tale trasformazione possono essere molto ridotte, ma sufficienti per attraversare qualche valore di soglia che controlla appunto il passaggio da una morfologia ad un’altra.

Vari studi condotti a partire dagli inizi degli anni ’80, relativi a sistemi fluviali impostati prevalentemente in depositi loessici negli Stati Uniti sudorientali e caratterizzati da sponde coesive, hanno messo in evidenza una successione di diversi tipi di variazioni morfologiche (incisione, allargamento, sedimentazione), che si susseguono sistematicamente nello spazio e nel tempo. Gli schemi evolutivi ricavati, i quali riportano una precisa sequenza temporale dei processi dominanti di aggiustamento, sono indicati con il termine di modelli geomorfologici concettuali di evoluzione (CEMs: Channel Evolution Models) (SCHUMM et alii, 1984; WATSON et alii, 1986; SIMON & HUPP, 1986; SIMON, 1989). Il modello a sei stadi di evoluzione (SIMON & HUPP, 1986; SIMON, 1989) (Figura 2.18) è stato sviluppato per descrivere l’evoluzione di fiumi del West Tennessee (USA) soggetti ad estesi interventi di canalizzazione e tagli di meandro durante il secolo scorso. Tale modello è basato sulla migrazione verso monte dell’abbassamento del fondo (nickpoint migration) e sulla conseguente sostituzione spazio-temporale dei processi di aggiustamento (space for time substitution). Nel modello viene considerato come stadio iniziale (stadio I) l’alveo fluviale nelle sue condizioni indisturbate. Lo stadio II è idealmente rappresentativo della fase di disturbo (in questo caso la canalizzazione), in seguito alla quale si instaura una fase di incisione (stadio III), seguita da una fase di instabilità delle sponde ed un conseguente allargamento dell'alveo attraverso movimenti di massa (stadio IV). Mentre l’incisione migra verso monte, a tale processo subentra una fase di sedimentazione secondaria nei tratti di valle (stadio V), determinata dall’alimentazione di sedimenti provenienti dall’incisione stessa e dall’arretramento delle sponde, fino alla completa ristabilizzazione del livello del fondo ed alla tendenza verso il raggiungimento di un nuovo equilibrio dinamico (stadio VI).

Figura 2.18 –Modello concettuale di evoluzione di alvei fluviali (CEM: Channel Evolution

Model) (modificato da SIMON, 1989 e da RINALDI & SURIAN, 2005).

L’importanza di un modello geomorfologico concettuale di evoluzione va oltre la semplice descrizione dell’evoluzione dei sistemi fluviali per i quali è stato condotto lo studio, in quanto un CEM può avere diversi risvolti applicativi (scelta di tipi di interventi e strategie di stabilizzazione o di riqualificazione fluviale). Un problema comune a tutte le classificazioni delle morfologie fluviali (paragrafo 2.3) è quello che esse non sono adatte a tenere conto degli aggiustamenti dinamici e dell’evoluzione del sistema fluviale (THORNE, 1997). Un diverso approccio di classificazione che va incontro a questa esigenza è basato sull’uso di un modello concettuale di evoluzione, validato per una determinata regione, attraverso il quale si classificano i corsi d’acqua in base agli aggiustamenti morfologici piuttosto che in base alle forme (pur tenendo conto della loro morfologia complessiva iniziale e finale).