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Scena V Casa di Salvador.

3.1.3 Verde Speranza

(2° testo)

All'interno di un bocciodromo, su una panchina destinata ai giocatori, siede un uomo. Indossa una coppola grigia, un maglione senape e dei pantaloni a coste grigi. Ai piedi dei mocassini neri un po' grandi. A guardarlo bene si capisce che è giovane, ma sembra anziano. Di fronte a lui passeggia, accompagnato dal suo bastone, un signore attempato che non smette di osservarlo. Lo fissa in maniera spudorata e cammina avanti e indietro. Mario: (facendo un gesto con la testa) Che vuoi?

Paolo: Eh?

Mario: (sollevando il tono della voce) Perchè mi fissi? Che...che vuoi? Paolo: Io?

Mario: Sì tu, passeggi e mi fissi. Era il tuo posto questo? Paolo: Il mio posto? No

Mario: E...e allora che vuoi? Paolo: No è che...ma sei di qui? Mario: No

Paolo: Io a te ti ho già visto Mario: Qui?

Paolo: No no, non qui. In generale. Mi ricordo la tua faccia, ma non riesco a capire...Io a te ti ho già visto!

Mario: Non sono mai stato qui

Paolo: Va be', sarai stato da altre parti in tutti questi anni. Dico che ti ho visto, io non mi dimentico le facce. Ho una memoria fotografica. Ti vedo e ti memorizzo per sempre, c'è poco da fare. Non si sfugge. Ed io, a te, ti ho già visto. Magari 50 anni fa, ma ti conosco. Fisicamente dico. Di vista.

Mario: Io non...mi ricordo. Non credo di...averti mai visto. Paolo: Io sì. Sì, sì sì...Aspetta eh...(continua a fissarlo)

Mario: Sì, va be', mi avrai visto, ma smettila di fissarmi. Non sopporto le persone che lo fanno!

Paolo: Era per capire

Mario: Non c'è nulla da capire. Penso che tu ti stia confondendo, ma anch... Paolo: Impossibile. No, non mi confondo. Fotografo e ricordo

Mario: Sì, va be'. Mi avrai anche visto. E allora?

Paolo: No, allora niente. Volevo capire dove e perchè. Ero curioso. (Silenzio)

Paolo: Comunque io mi chiamo Paolo Mario: Pa...Paolo...

Paolo: Anche tu ti chiami Paolo? (Silenzio)

Mario: No...Mario (Silenzio)

Paolo: Quindi...quindi dicevi che non sei di qui... Mario: Sono arrivato stamattina.

Paolo: Non so da dove vieni tu, ma qui non c'è molto. È piccolo... Mario: È piccolo, ma non mi dispiace. Tu vivi qui?

Paolo: Da tutta la vita. Mario: Quanti anni hai? Paolo: Novantacinque

Mario: Novantacinque anni? Ne dimostri molti meno Paolo: Ne dimostrerò meno, ma me li sento tutti... Mario: Hai sempre vissuto qui?

Paolo: Sì

Mario: Non ti sei mai spostato? Un viaggio, un lavoro fuori... Novantacinque anni nello stesso posto?

Paolo: Mi sono spostato per la guerra, ma a parte quella no Mario: È arrivata anche qui?

Paolo: La guerra trova tutti Mario: Eh...

Paolo: Io ho combattuto. Appena ho compiuto 18 anni mi è arrivata una lettera a casa in cui c'era scritto che dovevo andare in Jugoslavia per servire la Patria. Non sapevo neppure cos'era la Jugoslavia. Mi sembrava una città, non so perchè. Non l'avevo mai

sentita nominare, ma dovevo andarci. La lettera l'avevano mandata anche a mio fratello. Lui, però, doveva andare in Francia. E la Francia, almeno, l'avevamo sentita nominare. Sapevamo che non era lontana.

Mario: Hai un fratello? Paolo: Era il mio gemello. (Silenzio)

Paolo: Sono passati tanti anni, lo so, ma certe cose non hanno tempo. Sembra ieri. Poi vai avanti, la vita corre e non puoi restare a guardare. A parte la guerra ho avuto una vita piena. Ho trovato una bella moglie, ho avuto figli e nipoti. Ho lavorato per tutta la vita. Insomma poteva andare molto peggio. Molti impazziscono, altri tornano senza braccia e senza gambe, moltissimi sordi, ciechi. Io no. Io soltanto zoppo, ma ho sempre camminato sulle mie gambe.

Mario: Cosa ti è successo alla gamba?

Paolo: Un proiettile durante un'esercitazione. È impensabile, ma capitava. Non c'erano tutte le precauzioni di oggi. È partito un colpo ad un soldato e nella traiettoria del proiettile c'ero io. Si è conficcato nel ginocchio. Un dolore lancinante. Sangue. Un lago di sangue. Per fortuna sono svenuto. Quando me lo hanno estratto devono aver combinato qualche guaio: dal quel momento in poi non ho mai smesso di zoppicare. Il ginocchio mi cede ad ogni passo, devo tenerlo rigido.

Mario: E sei riuscito a trovare un lavoro anche con il ginocchio così? Paolo: Sì. Per forza...

Mario: E che lavoro facevi? Un lavoro d'ufficio...

Paolo: Ma quale ufficio. Io non ho neppure la licenza elementare. Ho fatto qualsiasi tipo di lavoro, sia prima, sia dopo la guerra. Roba manuale, pratica. Il ginocchio era malandato, ma c'era e quindi si poteva usare. La guerra ti insegna tanto, quando torni, se non torni dentro una bara, ti fai passare tutte le manie che avevi prima e ti rimbocchi le maniche perchè peggio di ciò che hai passato non puoi passare. È una scuola di vita. Utile, utilissima. Ma non la rifarei.

Mario: Neppure io

Paolo: Neppure tu? Perché tu hai combattuto? Mario: Sì

Mario: Nella Terza

Paolo: Nella Terza che cosa?

Mario: Ho combattuto nelle Terza Guerra Mondiale Paolo: Come la Terza Guerra Mondiale? Non esiste Mario: Esiste esiste, te lo garantisco io

Paolo: Ma che vuol dire?

Mario: Tu non lo sai perchè non lo sa nessuno. Ai tuoi tempi c'erano i giornali, le radio. Ora c'è internet e su internet gira di tutto e nulla sciocca più nessuno. Le notizie ci sono, ma nessuno ci crede. Vengono chiamate bufale. Notizie talmente assurde da risultare incredibili. Ma nel frattempo la guerra c'è e qualcuno la combatte. Io ero tra quelli. Sono partito come volontario

Paolo: Ma come: c'è la guerra e non lo sa nessuno? È impossibile, quando c'è la guerra lo sanno pure i sassi. Perchè nessuno ha detto niente? I giornali, la radio, la televisione. Io la guardo e non ho sentito nulla. L'ho vista anche stamattina, ma non hanno detto della guerra!

Mario: Ne parlano su internet Paolo: Non lo guardo

Mario: Ci sono anche dei video, ma nessuno ci crede perchè pensano che siano scene girate come film con i cellulari

Paolo: Ma io non ho capito: il nostro paese è in guerra? Mario: Sì

Paolo: Madonna mia...

Mario: Io ho combattuto, ma poi sono rientrato Paolo: Ma allora chiameranno anche i miei nipoti...

Mario: Non lo so, probabile. Anche se sono molto selettivi

Paolo: No no no, non ci credo. Di nuovo. Non è possibile. E nessuno dice niente? Bisogna chiamare il giornale locale e dare l'annuncio ufficiale.

Mario: Lo sanno

Paolo: Qui non lo sa nessuno! Bisogna prestare servizio alla Patria. Dovete combattere per i vostri figli, come noi abbiamo fatto nel '40. Dovete essere uomini!

Mario: Ma quali uomini...

Mario: Io ci ho provato. Ho visto con i miei occhi scene da film di fantascienza, cose che non avrei mai immaginato neppure se mi fossi sforzato. E pensare che ci sono andato per scelta in guerra. Potevo continuare a fare quello che stavo facendo

Paolo: E che facevi prima?

Mario: Io...io...Facevo il cameriere in un ristorante. Lavoravo per pagarmi gli studi. Ero iscritto all'università...

Paolo: Io non ci credo. Non è possibile che sia ricapitato. Sarà diverso, ci sarà una spiegazione. Sennò avrebbero avvisato, Dio mio! E il giornale di qui non scrive niente...mah!

Mario: Ero iscritto in Psicologia... Studiavo psicologia sui libri. Quando sono partito ho capito che fino a quel momento di psicologia, io, non ci avevo capito nulla. La psicologia non la studi sui libri, la psicologia la devi sentire, vivere, sennò è come cercare di guardare tenendo gli occhi chiusi.

In guerra ho capito di non aver capito. È una scoperta importante. Ti accorgi di quante possibilità hai sprecato nel tentativo di darti delle arie o di non fare brutte figure. Ti accorgi anche di quanti rapporti hai chiuso con troppa leggerezza, dei litigi per sciocchezze. Sei consapevole di aver perso fette di vita. Persone importanti, amici, ragazze. Tutto, prima della guerra, ti sembra da azzannare. Ogni ingiustizia, anche la più piccola, io -perlomeno- dovevo vendicarla. Sentivo il bisogno di farmi rispettare, a costo di perdere quanto di più caro avessi, a costo di soffrirne. Dovevo, per non passare per stupido. Ho perso anni della mia vita ad agire nella maniera sbagliata pur di fare avere agli altri un'idea positiva di me. Così sono stato orgoglioso, severo, oppure eccessivamente buono e disponibile. Tutto per gli altri, affinchè non so chi avesse una splendida idea di me. Poi è arrivata la guerra. Ed io ci sono andato, nonostante non fossi obbligato. L'ho fatto per avere emozioni forti, per capire cosa fosse questa benedetta guerra. Sono andato e mi sono perso. Durante quel periodo no, lì ci sapevo anche fare. Riuscivo a farmi apprezzare, davo l'idea di avere sangue freddo e di gestire le emozioni di fronte al pericolo. Ma poi non ho retto.

Paolo: Ma sei sicuro che sia la Terza Guerra Mondiale? Mario: Chiamala come vuoi

Paolo: Ma perché siamo in guerra? Cosa abbiamo fatto? Contro chi combattiamo? Mario: È importante? Le guerre si combattono punto e basta. L'importante è avere un

nemico. Noi ce l'abbiamo. Paolo: Ma chi sono questi qui?

Mario: Gente che abbiamo sottomesso e conquistato ed ora i figli dei sottomessi ci vogliono morti. Non sanno con chi prendersela e quindi se la prendono con tutti quelli che non c'entrano nulla, a turno. È una lotta tra figli.

Paolo: Ma di dove sono? Da dove vengono?

Mario: Da tutto il mondo. Molti dei nostri nemici sono in mezzo a noi Paolo: Io non capisco

Mario: Non c'è nulla da capire. È la guerra. O si muore o si ammazza. Paolo: E tu non sei morto. Almeno questo...

Mario: No, ma forse ho ammazzato Paolo: Non sai se hai ammazzato? Mario: No

Paolo: Che arma avevi in dotazione? Mario: Che arma?

Paolo: Ma tu ci sei stato in guerra o no? Mario: Ce...certo, però non ricordo...

Paolo: Ma come puoi dimenticarlo! Non vi hanno addestrati?! (Silenzio)

Paolo: In Jugoslavia, appena arrivato, mi avevano affiancato ad un soldato più esperto e fisicamente più forte di me. Lo seguivo, sembravo la sua ombra. Ero con lui quando, una domenica di febbraio, era uscito il sole. Faceva ancora freddo, ma il cielo era limpido e sembrava di non stare più in guerra. Ero quasi felice. Spunta in strada un ragazzino e attraversa la strada di corsa. Così, nel silenzio generale. La città aveva soldati disseminati ovunque e, anche in quella via, c'era un contingente dei nostri. All'improvviso qualcuno spara una raffica di proiettili sul ragazzino. Mirano al collo e alla testa, fino a staccargliela con precisione geometrica. E quel ragazzino continua a correre. Senza testa. Vivo in un corpo morto. Ho rimesso. Mi sono vergognato di essere della stessa fazione dei soldati e ho provato schifo per loro. Gli avevano sparato con un mitra MP38, calibro 9 mm. Impossibile dimenticare l'arma. Anche se non vuoi memorizzi. Il suono, l'odore.

Paolo: Non l'ho mai dimenticato. E sono passati più di settant'anni Mario: Quella puzza di bruciato...

Paolo: No, è puzza di sangue umano. È puzza schifosa di morte, di gente che si piscia addosso e che si caga sotto dalla paura. È puzza di decomposizione quando i cadaveri non vengono tolti di mezzo, quando qualcuno li nasconde nel tentativo di seppellirli chissà dove e chissà quando.

Mario: Sì sì...

Paolo: Non è puzza di bruciato. Come fai a dirlo? È proprio diversa! Mario: Tento di dimenticare...

Paolo: Ed io, secondo te, non ho tentato? Pensi che voglia ricordare? Nella tua testa io mi diverto a ricordare tutto? Io non vivo dal 1941. Io sono in Jugoslavia, poi in Grecia e in giro da qualche parte lì vicino, in luoghi senza nome, senza cartelli. Posti impolverati che sembravano addormentati. Solo silenzio. E uno non se lo immagina che in guerra c'è silenzio. La gente non lo capisce. Tutti stanno zitti fino a quando non esplode qualcosa e muoiono tutti. E quella città vuota si riempie. Tutti scappano, corrono non so dove. Sembrano formiche che scappano dal formicaio. Io sono rimasto lì. Ho smesso di vivere. Poi ho iniziato soltanto a respirare, senza pensare. Non ne ho mai parlato. Mai, per tutta la vita. Neppure con mia moglie e i miei figli. Neppure con i nipoti.

Mario: E perché ne parli proprio con me?

Paolo: Perché la guerra la può capire solo chi c'è stato. Gli altri ti dicono "poverino", chi c'è stato non ti rincuora. Non c'è nulla da rincuorare quando uno perde se stesso. No?

Mario: No. Non c'è nulla da rincuorare. Anch'io sono stato male, anche io non ho saputo con chi parlarne...

Paolo: Parlane con me. Con me puoi. Ne abbiamo bisogno, anche se siamo uomini. A noi non è concesso piangere, ma parlare sì. Parlare è raccontare, non lagnarsi. I frignoni li impiccherei tutti!

(Silenzio)

Paolo: Tu, ad esempio, come sei stato trattato dagli altri soldati? Mario: In...in che senso?

Paolo: Nel senso: ti hanno accolto bene? Sei riuscito ad integrarti? Mario: Non molto

Paolo: In che senso?

Mario: So...sono...sono piuttosto timido. Ho bisogno dei miei tempi, co...cosa che molti non capivano

Paolo: E quindi?

Mario: E quindi non interagivo. Restavo solo per non essere preso in giro. È stato come vivere in una bolla d'ansia e terrore per tutto il tempo in cui sono stato lì

Paolo: Lì...ma lì dove? Mario: In Siria

Paolo: Ah... Non so se mi hanno mandato anche lì. Ci mandavano ovunque. Com'è la Siria? Magari me la ricordo

Mario: Grande e... e...fa caldo. Di quello che dice la gente non si capisce nulla, ma proprio nulla. Ho provato qualche volta a concentrarmi, a capire una sola parola, ma niente. È lontana, molto lontana. Ci sei stato?

Paolo: Mmm...non credo (Silenzio)

Mario: E a te come ti trattavano? Paolo: Chi?

Mario: I tuoi amici

Paolo: Io lì non avevo amici

Mario: Gli altri soldati. Intendevo quelli. Come ti trattavano? (Silenzio)

Paolo: Non bene. Mario: Ma tu eri...

Paolo: (interrompendolo) Possiamo cambiare discorso? Mario: Sei stato tu ad iniziarlo!

Paolo: Lo so, ma mi ha stancato. Raccontami qualcosa, parla tu... Mario: Che...che vuoi sapere?

Paolo: Voglio sapere della Terza Guerra

Mario: Ma ti ho già...già detto tutto. Che c'è da dire ancora? Paolo: Quello che ti pare. Non voglio più sentirmi solo. Mario: Neppure io.

Mario: Mi sono arruolato come volontario... Paolo: Quando?

Mario: Eh...quattro anni fa

Paolo: Come quattro anni fa? Ma quanti anni hai? Mario: Non dico mai la mia età, mi fa tristezza

Paolo: Ma tu sei giovane o anziano? Io non capisco più. Sei qui, in un bocciodromo, in mezzo a noi vecchi...

Mario: Ma se siamo soli!

Paolo: Siamo soli per il momento, ma arriveranno. Come sempre. E allora sarai tra noi vecchi, tu, che sei vestito come noi e mi parli di guerra, ma poi dici di esserti arruolato qualche anno fa. Com'è possibile?

Mario: Non ho detto di aver combattuto la Seconda, ma la Terza! Paolo: Ebbe', ma che c'entra? Un vecchio non fa la guerra. Non può. Mario: Alla Terza ognuno si può arruolare come volontario a qualsiasi età Paolo: E che ci va a fare in guerra col bastone?

Mario: Ci sono varie mansioni Paolo: Tu che facevi?

Mario: Io? Io ho avuto diversi incarichi. Credevo che volessi sapere la mia storia, invece mi fai l'interrogatorio. I...i...io, così, non...non riesco. Forse è meglio lasciare stare

Paolo: No, no, no. Scusami, perdonami. Se a te non va ci blocchiamo, ma vorrei che tu ti sfogassi con me, come io ho iniziato a fare con te. Ne ho bisogno, ti prego. Sento che sto per esplodere. E avere parlato con te, oggi, mi ha fatto male e poi bene. Tutti i miei vecchi amici sono stati mandati in giro per il mondo e non sono più tornati. Sono morti chissà dove. Con chi posso parlarne?

Mario: Con gli altri vecchi

Paolo: Non parlo con un branco di morti viventi che aspettano la pensione o la morte. Non capirebbero. Tu sì. O almeno credo.

Mario: Io capisco, ma tu non puoi interrompere ogni volta. È difficile anche per me Paolo: D'accordo

(Silenzio)

Perché la vita era noiosa e banale, perchè dove abitavo io non succedeva mai nulla e -da sempre- se non ti trovavi qualcosa da fare o ti facevi o ti ammazzavi. Insomma, morivi in ogni caso. O prima o dopo. La guerra non era diversa, anzi, c'era il rischio di saltare in aria per sbaglio o di venire scambiato per qualcuno e morire lo stesso. Lo so. E lo sapevo anche prima, ma non ho mai amato il nulla. Allora come adesso mi spegne l'anima, non so come spiegarlo. Io, quando sono partito, non facevo niente e rischiavo di morire. Così decisi di andare. A molti sembrò un'idea balorda, ma a me no. Quelli che mi giudicavano erano quelli che si piangevano addosso da una vita senza provare a reagire. Gente che ha aspettato. Sempre. Ha aspettato che molti amici morissero, ha aspettato di smettere di farsi, ha aspettato di avere una certa età per sposarsi ed ha aspettato un lavoro comodo dall'amico del padre. Lì per lì tutti quelli mi diedero del pazzo. E mi fece piacere, ne andai fiero. Pensai di avere fatto la scelta giusta.

Paolo: Una domanda... Mario: Eh

Paolo: Ma non hai detto che prima di arruolarti studiavi all'università?

Mario: S...s...studiavo, sì. Insomma, da...da...davo esami ogni tanto. Ma mi aveva stancato. Studiavo sempre meno. Contento? Altre domande?

Paolo: No, è che non capivo. Hai detto "Non facevo nulla", mentre prima...va be'...scusami. Continua continua

Mario: E continua! Dove...dove ero arrivato? Mi blocchi per delle stupidaggini! Cosa dicevo?

Paolo: Che ti davano del pazzo e ne andavi fiero

Mario: Ah, sì...mi davano del pazzo. Mi davano del pazzo e... niente: me ne sono fregato. Sono partito dopo aver contattato un generale. Un pezzo grosso, uno di quelli che contano. Mi ha raccomandato, giusto per avere la certezza che partissi. All'inizio sono rimasto qui vicino. Ho trascorso un paio di settimane in addestramento

Paolo: Solo un paio di settimane?

Mario: Sì. Beh, insomma, non ricordo esattamente... Paolo: No. Impossibile

Mario: Senti, ti ho detto che la mia guerra funziona in maniera diversa dalla tua. A noi richiedevano solo qualche settimana

cosa impari? Al massimo ad allacciarti gli scarponi...

Mario: Noi...noi...venivamo addestrati a pilotare droni per sganciare bombe piccole quanto un chicco di caffè. Ci insegnavano ad uccidere pr...premendo un bottone o a disintegrare l'immagine pubblica di un potente attraverso i social. Hai mai sentito parlare di Moon Black? O di Fishing Net? Conosci il Deep web?

Paolo: No. Mai sentito nulla di tutto ciò...

Mario: Noi decidevamo chi dovesse suicidarsi. Ed è...è diverso dallo sparare a bruciapelo. Tu premevi il grilletto e quello moriva. Giusto? Un secondo, nulla di più. Io...io gli rovinavo la vita per mesi, facevo in modo che fosse lui stesso a farsi fuori. Nel peggiore dei modi, spesso. Vuoi degli esempi o ancora non mi credi?

Paolo: Io...ti credo. Voglio solo capire. Voglio...soltanto sapere

Mario: No, tu metti in discussione ogni mia parola. Allora ti spiego, così magari mi

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