• Non ci sono risultati.

3. 3. 1. GENESI E STRUTTURA DELL'OPERA.

Volere è potere deve essere considerata l'opera che segnò una vera e propria svolta nella vita di

Lessona, in particolare per quanto riguarda l'acquisizione di ulteriore prestigio personale.

Prima di dedicarsi in modo diretto ai contenuti proposti in questo scritto, può essere utile soffermarsi innanzitutto sulla sua genesi: perché l'editore Barbera ne promosse la pubblicazione? E perché proprio Lessona ne venne incaricato per la stesura?

Possiamo dire con sicurezza che Lessona conobbe personalmente Barbera nel 1867, anno un cui l'editore si trovava a Torino per discutere con il prefetto ed alcuni notabili della città, tra cui Lessona, riguardo alla riappacificazione da promuovere tra i torinesi e il loro Re. Ad essere significativo per noi però non è tanto il motivo della vista di Barbera, ma più che altro le tempistiche con cui questa avvenne: la data dell'incontro infatti precede di poco la diffusione di una circolare firmata dal ministro degli esteri Federico Menabrea, dove veniva comunicato ai consoli un

particolare progetto del governo. In poche parole, nella circolare vi era espressa la volontà di dare vita in Italia a un'opera che ricalcasse Self-help di Smiles; inoltre vennero invitati tutti i consoli ad impegnarsi in una ricerca di notizie su biografie utili proprio per riuscire nella stesura di un simile libro.

Volere è potere sarà il risultato di questa direttiva del governo. Non solo i contenuti risulteranno

pertinenti alla richiesta avanzata, ma le numerose biografie che il libro contiene sono dovute proprio all'impegno nel ricercare notizie da parte dei consoli, come appunto la direttiva chiedeva. Lessona quindi riuscì nel compito di dar vita a uno scritto costruito sulla vita di alcuni personaggi italiani degni di nota anche grazie a questa documentazione di cui poté usufruire.

Nel 1868 Volere è potere conobbe la sua prima pubblicazione, inaugurando di fatto la raccolta chiamata Raccolta di opere popolari. Non c'è bisogno di dire che la collana venne promossa in seguito al grande successo ottenuto da Self-help, ma c'è anche da tener conto del contesto ideologico e politico in cui l'iniziativa si inseriva.

Come abbiamo visto nel paragrafo dedicato alla diffusione del modello smilesiano in Italia, la vasta produzione di simili testi rispondeva a quell'orientamento ideologico ed educativo volto a un miglioramento economico dell'Italia, rinnovamento che doveva passare prima di tutto da una riforma che andasse a toccare i criteri culturali, educativi ed etici.

Perché però il compito di scrivere Volere è potere venne affidato proprio a Michele Lessona? La risposta ci viene parzialmente data direttamente dall'editore Barbera: la figura di Lessona rappresentava già di per sè il perfetto esempio del selfmade-man, e venne perciò ritenuta adatta a raccontare le gesta di chi, come lui, aveva raggiunto il successo secondo queste modalità. Allo stesso tempo però è pur vero che anche molti altri letterati condividevano queste caratteristiche con Lessona, ed è per questa ragione che forse solo questo criterio non può bastare.

Probabilmente ciò che ebbe maggiore influenza nella scelta di Lessona fu la sua incredibile similitudine per certi versi con Samuel Smiles: Lessona infatti poteva essere ritenuto tranquillamente un abilissimo pubblicista e oratore, ma sopratutto un ormai popolare e affermato divulgatore. Inoltre la sua esplicita adesione al darwinismo non poteva non assimilarsi alla perfezione coi valori trasmessi dalla filosofia smilesiana, nel quale appunto era facile ritrovare una concreta applicazione della selezione naturale.

In conclusione, non si può dire con certezza se Barbera avesse considerato questo insieme di fatti, ma di certo non poté scegliere una persona più valida di Lessona.

la struttura.

Il libro risulta essere suddiviso in quattordici capitoli, in cui Lessona racconta, a partire dal secondo capitolo, le biografie di circa ottanta italiani posti come esempio di volontà e perseveranza nel lavoro.

Lessona divide ogni capitolo per regione, partendo dalla Sicilia per poi risalire fino al Piemonte e Torino, con cui sceglie di chiudere l'opera. Per ogni regione e località raccontata, oltre alle gesta degli uomini di cui ha scelto di raccontare la vita, Lessona non risparmia una dettagliata descrizione delle bellezze del posto, così come i costumi degli abitanti, basta ricordare la bellissima descrizione nel secondo capitolo della Conca d'Oro, la zona pianeggiante dove si adagia la città di Palermo. Anche questa scelta probabilmente ha una motivazione ben precisa, se è vero che l'abbinamento di certe personalità a certe regioni aveva lo scopo di voler suscitare dei sentimenti di emulazione, è vero anche che la descrizione dei vari luoghi aveva l'intenzione di far apprezzare maggiormente l'Italia, contribuendo in questo modo al superamento di barriere da sempre presenti nella penisola. Come abbiamo avuto già modo di intravedere nel paragrafo appena precedente riguardo lo scritto

Naturalisti italiani, anche in Volere è potere le biografie stese da Lessona seguono tutte il medesimo

modello: l'inizio è quasi sempre dedicato alla narrazione di un'infanzia difficile, caratterizzata spesso da problemi di natura economica, passando poi al racconto delle sventure e delle difficoltà che la persona in questione ha incontrato nel corso del suo cammino; per concludere l'esaltazione del trionfo della volontà sugli ostacoli incontrati, volontà premiata con il successo e l'agiatezza economica.

3. 3. 2. ANALISI DEI CONTENUTI: L'INTRODUZIONE E IL CAPITOLO PRIMO.

Le prime parole di Lessona nell'opera fanno riferimento al libro Self-Help118 di Samuel Smiles,

riflettendo sull'importanza dell'effetto avuto da quel libro in Inghilterra e alla calorosa accoglienza che aveva ricevuto anche in Italia.

Lessona ci racconta che di lì a poco il noto editore e tipografo Gaspero Barbèra119 gli inviò una

lettera in cui vi era scritto che l'Associazione per l'Educazione del Popolo prometteva un grande premio a chi avesse scritto un libro fondandosi proprio sul modello dell'opera di Smiles.

Come vedremo Barbèra sarà di grande aiuto a Lessona, in quanto quest'ultimo, preoccupato del giudizio dei giudici del concorso, chiese all'amico editore di pubblicargli lo scritto senza la

necessità di partecipare a quello che lui definì come una "prova tremenda", sperando di ottenere almeno il favore del pubblico.

Lessona poi riporta la lettera a cui prima abbiamo accennato scritta dal Ministro degli esteri, il conte Federico Menbarea120, ai consoli italiani, che credo sia opportuno citare per esteso in quanto

ben sintetizza il senso dell'opera globale:

Firenze, 17 dicembre 1867. «Illustrissimo signore,

«Il signor Samuele Smiles ha pubblicato un libro, divenuto assai popolare in Inghilterra, in cui è narrata la vita di quegli uomini i quali, nati nella povertà e cresciuti fra stenti ed ostacoli di ogni sorta, seppero vincerli colla energia del volere e sollevarsi a cospicue posizioni sociali con vantaggio proprio e degli altri.

«Si vorrebbe fare un libro consimile in Italia, traendo esclusivamente esempi dalla vita di cittadini italiani. « Avendo potuto questo Ministero giustamente apprezzare tutta l'utilità che potrebbe derivare da questa pubblicazione, perché una volta diffuso un tal libro tra le masse, non potrebbe non suscitarne la emulazione e spingerle a seguire gli esempi che vi sarebbero proposti, io prego la S.V. illustrissima di volersi occupare a raccogliere alcuni cenni biografici intorno agli Italiani che onestamente arricchirono in codeste contrade, accennando segnatamente agli ostacoli della loro prima vita, ed ai mezzi da essi adoperati per superarli, nonché ai vantaggi che ne ritrassero per sè stessi, pel paese dove cercarono asilo e per quello dove ebbero i natali.

«Sarebbe infine desiderabile che Ella porgesse pure dei ragguagli generali intorno all'emigrazione italiana in codesti luoghi, indicando, per quanto possibile, il numero degli emigrati, le professioni da essi esercitate, e la influenza della loro opera nell'incivilimento.

«Non nascondo la difficoltà di un tale incarico; ma io confido che V. S. illustrissima vorrà di buon grado fornire il suo contributo ad una pubblicazione, che col tempo potrà potentemente influire alla maggior grandezza del nostro paese.

«Gradisca i sensi della mia distinta considerazione.

MENABREA »121

Dopo questa lettera poi Lessona redigerà una lista di ringraziamenti a chi lo ha aiutato a raccogliere materiale utile per la stesura del suo libro, per poi passare concretamente all'opera.

120 Luigi Federico Menabrea (Chambèry, 4 Settembre 1809 - Saint Cassin, 25 Maggio 1896), ingegnere, politico e diplomatico italiano, è stato uno dei più grandi scienziati italiani del XX secolo.

Menabrea ricoprì il ruolo di Ministro degli Esteri dal 1867 al 1869.

121 C. Lessona, Volere è potere, a cura di Giacinto Margiotta, Edizione E-book liber liber (http://www.liberliber.it/) p.11, Introduzione.

Nel capitolo I Lessona non prende in esame le biografie di determinati personaggi esemplari di certe zone geografiche d'Italia (come farà poi dal capitolo successivo), ma inizia con uno sguardo d'insieme sulla geografia fisica dell'Italia e di quali siano le cause che provocano l'ignoranza delle persone.

Come abbiamo appena detto, lo spunto di Lessona parte da una considerazione di tipo fisico- geografica, ritenendo che, come si è sempre ritenuto fin dal passato, l'uomo risulta essere condizionato dall'ambiente in cui vive, affermazione che nella modernità cerca di essere sostenuta da prove scientifiche:

"Da molti si è detto, fin dall'antichità, che l'uomo è quale la terra lo produce. I moderni hanno insistito in particolar modo intorno a cosiffatta sentenza, e si sono anche ingegnati di darne la ragione scientifica."122

Secondo questo criterio, i popoli europei, viste le migliore condizioni ambientali dovrebbero aver effettivamente raggiunto un grado di civiltà di molto superiore agli uomini residenti in zone geografiche svantaggiose come per esempio i popoli abitanti l'Africa, che vengono definiti come "gente che sottomette la ragione all'istinto, e perciò improgressiva, la medesima sempre".

Dopodiché Lessona restringe il campo all'Italia, descritta come una situazione ideale per lo sviluppo dell'attività umana. Ma se è vero quanto detto poc'anzi, allora gli italiani dovrebbero essere al culmine della civiltà, ma le cose stanno davvero così?

Qualcuno risponderebbe probabilmente di sì, esaltando la gloria dell'antica Roma, ma Lessona ammette che concretamente ormai pochissimi italiani si sentono appagati da queste glorie passate. Gli italiani, che ormai sembravano depressi e miseri, erano invece portatori della più alta di tutte le virtù, la virtù del Volere.

Quindi, secondo Lessona, gli italiani moderni, non si crogiolano nella soddisfazione di glorie ormai antiche, ma desiderano migliorarsi, e tutto ciò proprio grazie coltivando la massima virtù: il Volere.

"Gli Italiani diedero a vedere che avevano la prima, la più necessaria di tutte le virtù, quella senza cui tutte le altre non valgono a nulla, quella che più d'ogni altra vuol essere istillata nell'animo dei giovani, coltivata dagli adulti e dai vecchi, compagna e sostegno di tutte le età, la virtù del Volere.

Il motto non falla — Volere è potere."123 122 Ibidem, p. 15, cap I.

Lessona passa poi a parlare di una "Carta geografica dell'ignoranza" ritenendo che "l'Italia non è tutto al nera" ma "tutt'altro che color rosa".

Lessona ritiene che esista ancora chi teme l'istruzione delle masse, in quanto si pensa che una volta che queste abbiano acquisito la capacità di leggere e scrivere, allora inizieranno a rivoltarsi verso chi è più benestante come se fosse un oppressore o un tiranno, dando così vita ad omicidi, saccheggi e stragi.

In realtà le cose non stanno affatto così: il contadino o l'operaio istruito potrà essere sì presuntuoso ed arrogante, ma mai violento. Ciò succede perché l'uomo possiede l'intelletto e tanto più lo coltiva, tanto più si allontana dalla condizione animale.

Dopo questa riflessione sull'importanza dell'istruzione in generale, Lessona si sofferma sul ruolo della donna, tornando al paragone coi popoli stranieri.

Gli africani non sono in grado di adoperare la loro grande forza fisica, ma sfruttano la donna per i lavori di fatica; il musulmano invece ama la donna "più della sua pipa, e un po' meno del suo cavallo", talvolta vendendola, altre comprandola ed altre ancora uccidendola .

C'è da dire però che Lessona ammette che anche in Italia la donna non ottiene particolare considerazione: viene elogiata per la dimestichezza nelle faccende domestiche e nella sartoria (per quanto ormai viene ammesso che le macchine siano ormai superiori in tale ambito), ma è meglio che non si dedichi alla lettura di romanzi ne tanto meno a interessi politici e studi scientifici.

Il luogo in cui forse la donna gode di maggiori libertà, quasi paritarie a quelle dell'uomo è nel Nord America; tuttavia essendo ritenuto un luogo troppo remoto per essere preso ad esempio, Lessona preferisce rivolgersi ad una realtà a noi più vicina: la Svizzera.

In Svizzera non solo le donne ricevono un'istruzione tale da poter aspirare a diventare insegnanti, ma risultano essere diffuse generalmente in ogni settore. Ad esempio, nella città di Ginevra molte officine, dove si fabbricano orologi destinati ad un commercio globale, sono mandate avanti esclusivamente da sole donne.

Ma non è solo questo, le donne infatti occupano anche posizioni di contabilità in negozi e alberghi, così come ruoli amministrativi per esempio in ambio ferroviario.

In alcuni casi, se la donna rimane vedova, è lei che provvede all'educazione della famiglia oltre che al lavoro; e se entrambi i genitori lavorano, l'allevamento della famiglia avviene in modo migliore, portando ad un benessere generale. Lessona quindi individua nell'ignoranza il male che porta alla rovina dell'umanità in ogni parte del mondo.

un'altra altrettanto pericolosa, quella che l'autore definisce come "mezza ignoranza", cioè un'ignoranza che si ammanta di qualche sorta di sapere.

Questo tipo di ignoranza secondo Lessona ha un origine precisa, almeno in Italia: in Italia infatti lo studio di conoscenze profonde non è ancora percepito sufficientemente.

A cosa serve, ci si chiede, che un avvocato impari la fisica, o che un ingegnere impari il greco? A cosa servono la geometria, il disegno e la musica a chi non vuol diventare pittore, suonatore o cantante?

Molti a questa domanda rispondono che queste conoscenze fanno parte dell'educazione di molte grandi nazioni, e l'apprenderle porterebbe il vantaggio di non metterci in ridicolo di fronte a queste. Questo però sarebbe il vantaggio minore. Il vero vantaggio nella conoscenza di queste discipline è nel fatto di essere considerato come un esercizio della mente.

Essendoci nella mente umana svariate facoltà, è naturale che siano necessarie diverse discipline per permettere che vengano tutte sviluppate a dovere, così come allo stesso tempo il concentrarsi su una sola disciplina non porta altro che ad una limitatezza della mente.

Lessona poi, ricollega ciò ad un altro problema che affligge il popolo italiano: la stampa.

La stampa è ormai dedita esclusivamente alla discussione politica. Non è però questo il vero e proprio problema, visto il clima e la situazione in quel dato periodo storico, il problema è piuttosto riguardo alla domanda se il giornalismo abbia degnamene adempito al proprio dovere.

Senza considerare lo schieramento politico, è possibile notare l'ignoranza che caratterizza i giornalisti, o meglio, come dice l'autore, la "mezza ignoranza" dei giornalisti.

Un giornalista degno di tale nome dovrebbe possedere una vasta quantità di conoscenza che vanno dalla storia alla geografia, dalla statistica alla legislazione e molte altre ancora.

Ma come può, si chiede Lessona, una persona che non possiede tali conoscenze, insegnarle ad altri? E se pecca di queste, cosa gli rimane? La sola polemica. Il vero giornalista invece è colui che riesce a migliorare il popolo e così facendo riesce a migliorare anche se stesso.

In Italia i lettori più assidui sono i poveri, che infatti consumano una grande quantità di fogli settimanali. Questi fogli potrebbero fare del gran bene se fossero ispirati ad esempio alla Penny

Cyclopedy cioè l' Enciclopedia a due soldi, la quale aiuta all'istruzione dei ceti più bassi grazie alla

formulazione in un linguaggio piuttosto elementare delle svariate conoscenze, aiutandone così pure la diffusione.

Le cose purtroppo non vanno così. I letterati sdegnano tale opera, comportandosi da speculatori e limitandosi a tradurre delle opere francesi, ormai dimenticate pure in patria; opere che

fortunatamente non riscuotono quasi per niente successo tra il popolo, il quale pur essendo povero, ha buon gusto nel decidere cosa leggere.

Il buon letterato italiano dovrebbe scegliere meglio quali argomenti affrontare nelle sue opere, che Lessona individua nel "mondo della natura, e quello del cuore umano".

I letterati italiani dovrebbero prendere esempio dagli autori inglesi e tedeschi, maestri della descrizione del vero, e capaci di commuovere grazie alla loro capacità di esprimere la naturalezza delle cose, al contrario dei francesi che cercano di esprimere sempre le cose in modo esageratamente vivace e dinamico.

Dopo avere concluso questa discussione riguardo giornalismo e letteratura Lessona decide di avviare un discorso sul lavoro.

Per affrontare la questione l'autore però parte da una considerazione che riguardo il rapporto tra straniero ed italiano: non si deve criticare gli stranieri ma osservare le loro abitudini e discriminare quali siano giuste e quali invece sbagliate, e sulla base di ciò scegliere quali fare proprie e quali invece evitare.

L'italiano deve confrontarsi con lo straniero, ammettendo dove sia inferiore e, a partire da ciò, intraprendere un cammino per migliorarsi e diventare suo pari.

Secondo Lessona, di tutte le virtù, l'italiano dovrebbe apprenderne una in particolare: la virtù del lavoro.

"Una virtù ha da imparare l'Italiano: l'abito del lavoro."124

Purtroppo l'accusa mossa dai popoli stranieri riguardo la nostra scarsa motivazione in ambito lavorativo non è del tutto infondata, anzi, questo è davvero uno dei nostri maggiori difetti: di solito tendiamo a schernire i popoli nordici a causa della loro indole a sopportare grandi carichi di lavoro, ritenendoli incapaci di poterne fare a meno a causa della loro mancanza di genio, che invece è in noi presente in grande quantità, permettendoci così di ottenere migliori risultati con meno fatica.

Secondo Lessona però le cose non stanno affatto così.

Buffon riteneva che il genio è pazienza, così come lo ritenevano molti altri, ma anche questa posizione viene criticata.

"Falso, falsissimo. Buffon definisce il genio pazienza, ed altri hanno ripetuto la stessa sentenza con

altre parole; e questo, a mio credere, è troppo." 125

Il genio è superiore alla pazienza, dice Lessona, ma questo da solo non basta ed è perciò che deve appoggiarsi proprio alla pazienza.

"Il genio è qualcosa di diverso dalla pazienza, le sta sopra a grande distanza: ma il genio solo non produce nulla [...] Così accade al genio, se non è sostenuto dalla pazienza, quella nobile pazienza che fa perseverare l'uomo nel lavoro, nel lavoro costante, tenace, penoso, onde si rompono i lacci, si superano le difficoltà, e libero allora il genio spazia, operando, padrone dei docili strumenti."126

Questa avversione verso il lavoro porta a disprezzare pure chi lavora, causando un'ammirazione per il non fare nulla, che viene visto come la massima felicità che è possibile raggiungere.

La persona più invidiabile che si possa trovare sulla terra è generalmente considerata il possidente, in quanto non deve faticare per ricevere il guadagno che gli permette di sopravvivere.

La seconda figura che riesce ad essere la più invidiabile appena dopo il possidente è l'artista, questo perché l'artista si permette di poter vivere grazie al guadagno ottenuto con il suo talento.

Tutto il resto però, come lavori di fatica oppure le arti servili sono a riserva delle persone che appartengono ai ceti più umili e che vengono addirittura derise da chi più in alto di loro se questi tentano di migliorare la propria condizione.

Dunque chi possiede della capacità artistiche deve in qualche modo metterle a frutto, ma è pur vero

Documenti correlati