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Il recupero termico per la produzione di energia elettrica può avere un impatto importante in molti settori energivori, contribuendo in modo significativo alla riduzione dei consumi ed all’aumento di efficienza dell’intero processo produttivo.

I processi industriali spesso comprendono flussi di calore a temperatura relativamente bassa chevengono rilasciati in atmosfera, costituendo un vero e proprio scarto.

Questo costituisce un potenziale enorme per la generazione di potenza da sorgenti a bassa temperatura.

Il recupero termico dai processi industriali permette di ottenere un miglior rendimento del sistema riducendo l’inquinamento termico. L’obiettivo è quello di massimizzare l’efficienza globale o in altre parole la potenza in uscita riducendo il più possibile la temperatura della sorgente calda compatibilmente con i vincoli del processo.

La presenza di un’evaporazione a due fasi causa un cattivo accoppiamento delle curve di scambio del calore e il pinch-point all’evaporazione vincola la pressione di evaporazione e non permette alla temperatura di uscita della sorgente di avvicinarsi a quella di condensazione.

Un possibile modo per abbassare questa temperatura, quando si opera con i classici ORC, è quello di scegliere dei fluidi aventi una temperatura critica più bassa di quella della sorgente di calore per abbassare il pinch-point.

Il principale inconveniente è la necessità di aree di scambio più grandi che porta il rapporto area/potenza prodotta a valori inaccettabili.

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Figura 13: Diagramma Temperatura-Calore indicante le irreversibilità dovute alla costanza della temperatura di evaporazione

Nella figura è possibile vedere le irreversibilità causate dalla presenza del pinch-point al punto di evaporazione [22]

Se da un lato molti autori provano a dare un contributo positivo al problema della scelta dei fluidi più adatti che garantisca un buon compromesso tra potenza prodotta e area di scambio richiesta, dall’altro lato qualche autore propone diverse configurazioni di ciclo come il Ciclo Organico Supercritico, il Ciclo Flash trilaterale e il Ciclo Organico Flash, gli ORC con miscele zeotropiche e il ciclo Kalina per ottenere un miglio accoppiamento tra le curve di scambio.

Matthias Bendig et.al [23] hanno condotto uno studio per valutare in quali casi è conveniente o meno recuperare calore di scarto. Per fare ciò sono state utilizzate analisi exergetiche e tecniche di integrazione del processo per misurare la potenzialità del recupero del calore. È risultato che il calore di scarto è una risorsa paragonabile ad una fonte naturale.

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Durante l’analisi hanno notato che il calore residuo non è semplicemente la quantità di calore che un processo rilascia nell’ambiente ma esiste una differenza tra calore residuo evitabile e calore residuo inevitabile. Il calore residuo evitabile non deve essere usato per applicazioni secondarie al fine di non bloccare gli studi sull’efficienza energetica.

Figura 14:Rappresentazione generale di processo industriale con flussi entranti ed uscenti di materia ed energia

Gbemi Oluleye et.al [24] hanno definito una metodologia per identificare il potenziale del recupero del calore da vari processi, introducendo il concetto di efficienza energetica di un sito come la frazione degli ingressi che viene convertita in energia utile.

Sono stati sviluppati modelli matematici semplificati per il recupero del calore mediante ORC, refrigeratori ad assorbimento e pompe di calore ad assorbimento. Il metodo è stato usato su un processo esistente che si occupa di raffineria petrolifera.

Hanno notato che l’efficienza energetica del processo aumentava del 10% a seguito del recupero di calore.

46 Se venissero sfruttate tutte le fonti di energia recuperabili l’efficienza energetica del processo potrebbe aumentare del 33%.

McKenna et al. [25] hanno condotto un sondaggio sull’ipotetico recupero termico in ambito industriale, nel Regno Unito, analizzando il 60% dell’indotto e il 90% di quello “energy intensive”.

Il consumo annuo di questi settori è di circa 180 TWh, il calore teoricamente recuperabile è di circa 18-40 TWh mentre il risparmio energetico dal punto di vista della fattibilità si aggira tra 10-20 TWh annui.

L’industria di produzione dell’ammoniaca, per esempio, è molto energivora e già provvista di un alto grado di integrazione energetica tra i processi. I gas caldi in uscita dal reformer sono a circa 350° e offrono ancora un potenziale di recupero termico, 10% limite teorico e quindi 5% quello sfruttabile.

Nell’ambito petrolchimico, l’etilene è una materia prima principale per il cracking degli idrocarburi. Il cracking avviene alle alte temperature e successivamente l’etilene viene raffreddato rapidamente per bloccare la reazione, di conseguenza questo processo rappresenta una risorsa da recuperare energeticamente.

La produzione della calce richiede temperature massime variabili tra i 900° e oltre i 1500°, come analogamente si verifica nell’industria del cemento.

Nell’industria del ferro e dell’acciaio si hanno vari flussi sfruttabili come per esempio i gas di scarico dei forni da coke che si trovano a circa 200°, i gas dell’altoforno a circa 150°, mentre nella fornace ad ossigeno i gas di scarico raggiungono temperature anche di 1500°, offrendo un’elevata possibilità di recupero termico.

Palestra N e Vescovo A [26] hanno individuato per il caso italiano tre settori come i più promettenti per il recupero termico mediante ORC e cioè quello del cemento, della siderurgia e quello del vetro.

47 La produzione del cemento rende disponibili gas di scarico a temperature tra i 250° e i 400° e aria di raffreddamento del clinker con temperature inferiori a 300°.

In impianti poco performanti la prima scelta come ciclo di bottoming rimane il ciclo Rankine a vapore, mentre per i sistemi più efficienti la scelta dell’ORC è migliore, visto i minori livelli termici al di sotto di 300°.

Ipotizzando una penetrazione del 30%, sul territorio italiano, sarebbe possibile la realizzazione di trenta ORC che consentirebbero una produzione di 350 GWh/anno di energia elettrica e 70000 tep/anno ed evitando 35000 t/anno di emissioni di anidride carbonica.

L’industria del vetro offre gas ottenuti dalla fusione del vetro a temperature di 400°-600°, che forniscono circa il 20% dell’energia immessa per alimentare il processo.

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