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Waibl considerava il vuoto a livello progettuale? Cercava di colmarlo o era per lui una parte attiva della composizione?

UN SEGNO NEL VUOTO

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Avendo lavorato al fianco di Heinz per molti anni ho avuto modo di analizzare a fondo il suo stile. In alcuni lavori in particolare si può notare in modo piuttosto evidente che progettasse per sottrazione: più vuota era la pagina, più per lui era bella. Tutto quello che nella composizione risultava superfluo - un’immagine, un concetto - pian piano veniva escluso perché “se non si comprende così, allora faccio prima a scrivere cosa voglio dire”. Alcuni esempi di come lui si rapportasse al vuoto a livello progettuale si possono vedere, per esempio, nel manifesto del progetto commissionato da Italia Nostra, un’associazione che si interessa di tutela dell’ambiente, dello spreco di risorse e di riciclaggio

dei rifiuti. Il tema del manifesto era

“sprecare no”; lui riempì tutta la pagina per rappresentare la volontà

di non sprecare qualcosa, neppure la carta, di non lasciare spazi vuoti, neppure nella pagina. Significativo è anche un altro manifesto realizzato per un evento promosso dall’Ente del turismo e intitolato “Milano Città

d’Arte”. Heinz ha fotografato il cielo stendendosi a terra nel mezzo della Pinacoteca di Brera, il cui chiostro fa da quinta compositiva nell’immagine.

In questo manifesto sono presenti un pieno e un vuoto, che convivono allo stesso tempo, nello stesso spazio.

Questo vuoto, però, non è privo di senso: è un vuoto voluto che si realizza e si riempie di significato.

Storie di vita

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Organizzazione del lavoro nello Studio Signo.

Io e Heinz siamo stati una coppia nella vita e nel lavoro. Nella stesura di un progetto è molto importante avere una buona domanda da parte del cliente.

Nel nostro studio ci dividevamo il lavoro in modo preciso: il primo incontro con un cliente spettava sempre a me, ero io a stabilire il primo contatto e ad ascoltarne le richieste. Prima di fare il progetto, io stendevo una relazione su ciò che il cliente aveva richiesto e su quello che aveva espresso. Una volta acquisita la commissione, lui iniziava a segnare su un foglio le sue idee e si metteva in modo che non vedessi quello che stava disegnando... era molto geloso del suo lavoro, non voleva essere influenzato da fattori esterni. Nel bel mezzo del suo lavoro capitava si alzasse e iniziasse a camminare nello studio, talvolta si bloccava, guardava dritto in una certa direzione e dopo aver ripreso il passo

tornava seduto con la testa piegata sul tavolo. Quando ci incontravamo con il committente, mentre questo parlava lui faceva dei bozzetti per fissare le sue idee sulla carta. Tutti rimanevano a bocca aperta: alcuni non si sentivano ascoltati, quasi imbarazzati e confusi, altri pensavano che il lavoro fosse una cosa semplice, da fare velocemente, e che quindi sarebbe costata poco. Così io facevo da ponte tra i due, cercando di mediare tra il segno e la parola. Sentivo che in quel momento il mio compito fosse colmare il vuoto che altrimenti si sarebbe creato, la differenza tra ciò di cui Heinz necessitava per realizzare un lavoro all’altezza e la sicurezza che permetteva al cliente di fidarsi di noi.

Per Heinz il disegno era tutto: non solo una dote, un talento incredibile attraverso cui traduceva nero su bianco i suoi pensieri, ma un vero e proprio mezzo di comunicazione e una valvola di sfogo. Una volta mi disse sottovoce che disegnare lo faceva respirare.

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La storia dietro alla progettazione del marchio Flos.

Una volta, siccome Max Huber era oberato di lavoro, disse a mio marito:

“Heinz, oggi vieni all’ufficio del direttore Castiglioni perché riceverà

una persona che ha bisogno di un marchio”. Neanche Max conosceva questa persona e quando è arrivato Castiglioni gli disse: “Senti di che cosa ha bisogno e poi andiamo avanti insieme”. Quando il cliente se ne andò il logo Flos aveva visto per la prima volta la luce. Purtroppo non ne ricordo con esattezza il carattere, ma era di una perfezione assoluta. Il marchio fu progettato senza pensare a cosa Flos sarebbe stata, cosa sarebbe diventata nel mondo della luce; l’ha realizzato in modo così aderente allo spirito che aveva richiesto il cliente di allora che non poté fare a meno di elogiarlo paragonandolo all’epoca a Michelangelo

Antonioni: il regista che ha introdotto il tema dell’incomunicabilità. Rifacendosi alla spazialità del logo Flos, Heinz mi spiegò che questa non va intesa nel senso del vuoto come assenza, ma in quanto bilanciamento dello spazio compositivo. Ricordo una affermazione che, con la sua solita indole, riassume il suo pensiero in poche parole:

“Fare il minimo che dà il massimo.

Fare il bello. Lasciare lo spazio”.

Il rapporto con il computer.

Vuoto tecnologico.

Heinz appartiene ad una generazione ormai passata: il suo rapporto con la tecnologia non è come quello a cui oggi siete abituati. Per il suo lavoro al computer, comunque, non si parla mai di progettazione: la progettazione avviene sempre a mano. Data la sua

grande conoscenza dei caratteri e del TUA, LAURA

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colore poteva permettersi di lavorare al computer solo nella fase finale di un progetto, per adattare il lavoro al supporto. Ma non è mai stato per lui uno strumento fondamentale: anche se non dovrei dirlo, confesso che all’inizio non sapeva neanche accenderlo. Tuttavia, aveva una tale competenza nel suo settore che questo divario tecnologico non l’ha mai costretto a colmare il vuoto di conoscenza che gli impediva di usare la tecnologia con disinvoltura. E ciò in fondo non ha mai rappresentato un vero problema per lui.

Il labirinto della vita.

Definirei Heinz un pensatore solitario.

Alla fine degli anni 50, nel contesto socio-culturale in cui si viveva nel dopoguerra i rapporti tra le persone non erano come oggi e le possibilità

che vi erano al tempo non sono

neanche paragonabili a quelle odierne.

Così, chi si finiva per frequentare erano principalmente i propri colleghi, quindi, nel caso di Heinz, altri grafici, architetti o designer come lui. La sua timidezza tendeva proprio a bloccarlo emotivamente e trovava nel segno, nel disegno, il suo sfogo. Racconto un aneddoto legato al rapporto con il nipotino: riorganizzando lo studio di Heinz è stato ritrovato un disegno in cui era raffigurato un labirinto stilizzato con dentro un “omino grande”, sempre stilizzato, ed uno più piccolo che rappresentava il nipote. Queste due collegate da un filo. Il messaggio che con questo disegno Heinz voleva far capire al nipote era così semplice da essere comprensibile anche a un bambino: “Ti accompagnerò nel labirinto della vita”. È la dimostrazione che la dolcezza di un uomo si trasmette anche in silenzio, non solo attraverso rumorose dimostrazioni.

Di Heinz ricordo innanzitutto la

disponibilità a insegnare e ad accordare fiducia. Un primo esempio che mi colpì fu quando, pochi mesi dopo il mio arrivo, accettò la mia proposta per il biglietto che annunciava il trasloco dello studio. Andai a comperare un modellino di camion con rimorchio, sul quale dipinsi il testo e da cui feci fuoriuscire un pennello, una matita e un tiralinee. Dopo essere stato dal fotografo per realizzare l’immagine ero un po’ in difficoltà perchè non sapevo dove posizionarla sul biglietto. Heinz mi suggerì “Perchè non la metti lì?”, e l’appoggiò in basso, lasciando la maggior parte della superficie vuota, in contrasto con la massa del camion, trasformando così una bella idea in un’immagine perfetta. Questo era ed è Heinz: poche parole, ma quelle giuste al momento opportuno.