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Il radicale miglioramento del livello medio di scolarizzazione, la netta riduzione dell’analfabetismo e l’aumento della percentuale di diplomati e laureati (istat.it) negli

38 ultimi 50 anni ha consentito a ciascun individuo di cominciare ad informarsi da solo, anche e soprattutto su un tema così sensibile come quello della salute. La rivoluzione di internet ha trasformato le nostre esistenze e ha preso il sopravvento nel campo dell’informazione: se consideriamo le famiglie con almeno un figlio minorenne, l’80 % utilizza quotidianamente il web e circa la metà ha dichiarato di utilizzare internet per ricercare informazioni sanitarie (cittadini e nuove tecnologie, istat 2012).

Forse ancor più importante è il fatto che il 70 % utilizza le informazioni ottenute per prendere decisioni su qualche aspetto della propria salute (Pew Internet & American Life Project, 2008).

La straordinaria ricchezza del world wide web rischia tuttavia di diventare (e in parte lo è già) un’arma a doppio taglio, perché nonostante la libertà pressoché infinita di informazione e l’immediata fruibilità della stessa, l’altra faccia della medaglia è che non ci sono dati che attestino quanti utenti siano effettivamente a conoscenza dell’offerta della Rete e, soprattutto, quanti utilizzino gli strumenti a disposizione al fine di gestire in modo più consapevole la loro salute o eventuale malattia.

Purtroppo per adesso abbondano informazioni scorrette o approssimative e messaggi negativi relativi alle vaccinazioni (Kata, 2010) e spesso i pazienti che rifiutano le vaccinazioni hanno visitato siti gestiti da antivaccinatori.

Da un indagine effettuata nel 2006 è emerso che il 16% degli utenti utilizzava il web per avere notizie relative alle vaccinazioni (Pew Internet & American Life Project. Online health search): d’altronde la ricerca on line è più semplice e veloce rispetto a quella effettuata in modo tradizionale con la lettura di libri o consultando il proprio medico. Più della metà degli utilizzatori di internet ritiene che le informazioni avute siano attendibili, quando invece l’autorevolezza dei contenuti è un fatto sempre più difficile da stabilire soprattutto a seguito del passaggio dal cosiddetto web 1.0 al 2.0. Con il web 2.0 gli utenti hanno la possibilità di interagire con i contenuti consultati e quindi di modificarli e produrne di nuovi grazie all’implementazione di tecnologie che consentono di manipolare l’informazione digitale nell’ambiente stesso dove è nata (sistema wiki). La differenza tra autore e lettore diventa sempre più sfocata: non è più necessario conoscere il linguaggio HTML ed altri elementi di programmazione per creare un sito web, è sufficiente utilizzare un qualsiasi provider di blog come Blogger o

39 Wordpress per realizzare in poco tempo la propria pagina web, i cui contenuti vengono immediatamente indicizzati dai motori di ricerca e messi a disposizione di tutti.

Fig. 5 – Evoluzione del world wide web

Tutto ciò è concettualmente molto bello e accattivante ma chi garantisce della validità dei contenuti? La quantità di informazioni reperibili è ormai immensa ed è difficile per chiunque discernere tra informazioni corrette e non. Sono state formulate delle regole per la valutazione qualitativa dei contenuti delle pagine web, per es. Cantoni e Di Blas distinguono 5 fattori a tal proposito, l’accuratezza, l’autorevolezza, l’obiettività, l’aggiornamento e l’ambito:

“Accuratezza. Quando ci s’intende presentare sulla rete è essenziale che si verifichi la qualità della propria comunicazione elettronica, applicandovi i criteri di qualità e di controllo che si adottano abitualmente per le altre comunicazioni. […] L’autorevolezza di un testo si compone principalmente di due dimensioni: adeguatezza all’oggetto, che configura la competenza di chi parla o scrive, e adeguatezza all’interlocutore, che configura un interesse benevolo del mittente rispetto al destinatario. […] In particolare, dovrà essere chiaro a chi accede a una risorsa online, chi è il mittente, quali competenze ha, in nome di chi parla. […] L’obiettività è la necessità per il visitatore di un sito di poter capire quale sia l’intento generale di chi lo pubblica, se vi siano e quali siano gli interessi in gioco, economici e non […]. Per l’aggiornamento, il

40 documento elettronico online dipende in modo particolare dal suo autore: la sua presenza, quindi, lascia intendere che vi sia un’attuale volontà di pubblicazione, che esso sia, cioè, ancora valido, e possa dunque essere considerato […] come pubblicato nell’atto stesso in cui il visitatore ne fruisce. Da ultimo l’ambito. Quando si accede a un sito Internet talora si ha una certa difficoltà a determinare di che cosa esso tratti, e a chi si rivolga. È importante invece, in fase di progettazione e realizzazione della comunicazione elettronica, che sia ben chiaro quale è l’obiettivo comunicativo – che cosa s’intende comunicare, a chi e come – e che tale intenzione guidi ogni scelta progettuale, diventando il criterio di selezione di quanto è bene inserire o omettere, e di ogni altra strategia comunicativa. (Rubinelli, 2010, pag. 298-299).”

Alcune importanti istituzioni scientifiche, come per es. La European Lung Foundation, forniscono delle linee-guida per cercare e trovare le informazioni più affidabili. Ma la rete, è uno strumento difficile se non impossibile da controllare. Inoltre bisogna tenere presente che la ricerca dell’informazione stessa spesso non avviene in modo lineare e che, essendo il contesto della salute particolarmente sensibile, l’interpretazione e la ricerca stessa possono essere influenzate e alterata da ragioni emotive. Secondo il modello di Wilson chi ricerca un’informazione sul web ha caratteristiche personali specifiche e agisce per uno specifico motivo. La ricerca di notizie può svolgersi secondo diverse modalità:

attenzione passiva: si ha quando l’acquisizione di informazione avviene indipendentemente da una volontà di ricerca (per esempio, guardando la televisione durante una pausa pranzo in un bar, Giovanni viene a sapere della scoperta di un importante vaccino contro l’influenza di cui ha appena avuto una ricaduta).

ricerca passiva: si ha quando si “incappa” in un’informazione rilevante mentre si ricercava in un altro contesto (per esempio, Stefano scopre dell’esistenza di un sito che potrebbe aiutarlo a gestire il suo gomito del tennista attraverso un opuscolo che gli ha dato il suo medico).

ricerca attiva: avviene, per lo più, attivando un motore di ricerca. Per es. Chiara, ritenendo di soffrire di depressione, inserisce la parola ‘depressione’ su Google iniziando una ricerca.

41 ricerca continua: si ha quando una persona utilizza l’informazione sinora ottenuta come framework per valutare le informazioni che riceve successivamente. Questo accade quando dopo una lunga serie di ricerche su un argomento (per es. gli adiuvanti adoperati nei vaccini) ci facciamo un’idea personale (e non necessariamente corretta) su di esso e cominciamo a svolgere le ricerche successive contestualizzandole in base alla nostra interpretazione.

Uno degli aspetti più critici e influenzato dall’emotività è che in alcuni casi un soggetto può non rendersi conto della propria carenza informativa e soprattutto può non volere ulteriori informazioni (Henwood, 2003) per evitare che vadano a cozzare con l’idea che ormai ha abbracciato e che non è più disposto a rinunciare (tipico per es. di chi si è lasciato affascinare dalle tesi degli antivaccinisti). Questo atteggiamento si spiega considerando che il soggetto rifiuta selettivamente (e più o meno inconsapevolmente) quelle informazioni che lo condurrebbero a modificazioni cognitive e comportamentali troppo faticose da sostenere (Lazarus e Folkman, 1984).

D’altra parte una ricerca troppo attiva può, comunque, portare a un “immagazzinamento” di informazioni contraddittorie o irrilevanti. Per gestire l’informazione in modo corretto, sono necessarie, infatti, possedere competenze critiche e analitiche di livello medio-alto. Internet offre enciclopedie d’informazione su ogni singola patologia. Ma l’attivismo nella ricerca può scatenare un sovraccarico informativo (information overloading) che genera un senso di confusione e d’impotenza di fronte a un sapere scientifico che non si è in grado di controllare (Reeves, 2000).

Mentre nella scorsa decade è stata rilevata (Davies, 2002) una disarmante presenza sul web di siti e informazioni contro le vaccinazioni, anche ai primi posti nei risultati di ricerca, negli ultimi anni la situazione è sicuramente migliorata: se effettuiamo una ricerca su Google digitando “vaccino”, tra i primi 10 siti trovati 9 sono a favore dei vaccini, lo stesso se si utilizza la parola chiave “vaccinazione” e tutto ciò a conferma che se inizialmente le società scientifiche e le istituzioni hanno sottovalutato l’importanza del Web, oggi si sta assistendo ad un cambiamento di prospettive.

Bisogna però considerare che su Youtube la situazione non è altrettanto migliorata visto che ricercando ‘vaccino’ tra i primi 15 risultati più della metà sono video di

42 antivaccinisti o comunque antiscientifici. Inoltre, forse ancor più importante è il fatto che la ‘partita’ si sta progressivamente spostando sui social network e sui blog, che sono sicuramente meno controllabili dalle società scientifiche. In queste sedi prevalgono le informazioni scambiate tra privati i quali parlano spesso delle proprie esperienze che hanno un impatto molto rilevante sulle decisioni altrui, a volte più dell’opinione dell’operatore sanitario che è visto a volte di parte e lontano dall’utente.

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