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Il diavolo non è il principe della materia, il diavolo è l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità che non viene mai presa dal dubbio. (Gugliemo di Baskerville)127

Diavolo, Demonio, Lucifero, Satana, Belzebù, ma anche il Nemico, l’Avversario, il Maligno e tanti altri ancora sono i nomi che indicano i numerosi volti di un unico personaggio comune a tutte le tradizioni religiose, popolari e letterarie. Nell’antica Grecia il termine démone sta ad indicare una divinità inferiore dotata però di poteri superiori a quelli dell’uomo, una sorta di tramite tra questi e le divinità superiori. Si deve al popolo ebraico il concetto che trova personificazione nella figura del Diavolo nel significato cristiano del termine e trasforma i démoni in demòni.

Nella prima pagina del Vecchio Testamento il Diavolo è il Serpente che tenta Eva (Genesi, I). Nel Libro di Giobbe è l’istigatore fraudolento che ha nome Satana, in Samuele (XVI, 14-15) è lo spirito cattivo che tormenta Saul, è il drago rosso dell’Apocalisse (12, 3-4), è il demonio Asmodeo, del quale il Libro di Tobia racconta l’opera nefasta. Nei libri canonici gli esempi sono molteplici e vari, ma possiamo definirli sobri mentre un’ampia letteratura nascerà dai libri apocrifi. Tra questi, per esempio, il Libro di Enoch (II-I sec. a.C.), che costruirà un vasto e fortunato mito, partendo dal passo Non pare

127 Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980; Settimo giorno, Notte I, dialogo tra

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possano considerarsi demòni quei “figli di Dio” che si univano con le donne.(Genesi,VI,2), e il Libro dei Giubilei.

San Paolo128 sarà il primo a definire la storia dell’uomo come conflitto tra Dio e Satana e la redenzione operata da Cristo come riscatto degli uomini dalla signoria del Diavolo. San Giovanni definirà la natura dell’opera del Diavolo precisando che la storia umana, per tutto ciò che è male, è opera del Demonio.129 Una vera e propria teologia circa il Diavolo si suole fare iniziare dal teologo Origene130 il quale respinge i dati degli apocrifi e inaugura una dottrina che intorno al VI secolo può considerarsi definita nelle sue linee essenziali. Secondo tale dottrina, che dominerà a lungo, i demòni sono spiriti senza corpo che, creati da Dio come esseri buoni ma giunti alla dannazione attraverso un orgoglioso tentativo di prevaricare Dio sotto il comando di Lucifero, da sempre combattono Dio nel cuore degli uomini:

12 Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli?

13 Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono,

dimorerò sul monte dell'assemblea, nelle parti più remote del settentrione. 14 Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all'Altissimo.

128 La sacra Bibbia, CEI 1974; 2 Cor 4, 3- 4; 14-15: Se il nostro vangelo è ancora velato, è velato per quelli che

sono sulla via della perdizione, / per gli increduli, ai quali il dio di questo mondo(Satana) ha accecato le menti affinchè non risplenda loro la luce del vangelo della gloria di Cristo, che è l’immagine di Dio. / Non c’è da meravigliarsene, perché anche Satana si traveste da angelo di luce. / Non è dunque cosa eccezionale se anche i suoi servitori si travestono da servitori di giustizia.

129 Ibidem, 1 Gv 3,8; 5, 19: Colui che persiste nel commettere il peccato proviene dal diavolo, perché il diavolo

pecca fin da principio./ Noi sappiamo che siamo da Dio, e che tutto il mondo giace sotto il potere del maligno.

130 Di Origene […] Nella versione latina di Rufino, oltre a numerose omelie, ci resta l'opera maggiore (benché

della giovinezza: 212-215 circa), il De principiis (Περὶ ἀρχῶν)[…] O. rappresenta il primo concreto sforzo di organizzare un saldo pensiero filosofico e teologico a partire dalla Scrittura e dalla tradizione ecclesiastica.[…] Il capolavoro speculativo di O., il De principiis (in quattro libri: Dio e gli esseri celesti; il mondo materiale e l'uomo; il libero arbitrio; la Sacra Scrittura), vuole essere un approfondimento dei dati rivelati e trasmessi dalla tradizione ecclesiastica;[…] Dio ha creato direttamente le sostanze spirituali, inizialmente incorporee e dotate di libero arbitrio, poi decadute e rivestitesi di corpo più o meno luminoso od opaco in ragione della minore o maggiore gravità del peccato: di qui la gerarchia degli esseri - di carattere schiettamente platonico – dagli angeli, all'uomo, agli animali, alle piante, ai demoni. In http://www.treccani.it/enciclopedia/origene/

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15 E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso!131

Peculiarità del Maligno è, da sempre, la capacità di assumere aspetti molteplici, di trasformarsi, di mascherarsi, di usare ogni strumento dell’inganno pur di perseguire il proprio fine ultimo che è quello di portare a sé le anime altrimenti destinate al Paradiso.

Dal IX secolo inizia ad essere rappresentato come animale o mostro richiamando, in un certo qual modo, serpenti, gatti, lupi, caproni, pipistrelli, ma è solo dopo l’XI secolo che Satana diventa un essere spregevole, mostruoso, un ibrido tra uomo e bestia fornito di corna, di coda di zoccoli e di ali, un essere vorace che abbranca e ingoia.

Scrive Arturo Graf:

Le corna diventarono spesso corna di bue, le orecchie, orecchie d’asino; la coda si munì in cima di una bocca di serpente; ceffi mostruosi, simili a mascheroni di fontana, copersero le giunture, boccheggiarono sul petto, sul ventre, sulle natiche; il membro virile s’inserpentì, si contorse in istrane fogge, così da ricordare certe bizzarre creazioni dell’arte antica; le gambe si mutarono in gambe di capro, reminiscenza del satiro pagano, o l’una di esse soltanto in gamba di cavallo; i piedi furono talvolta artigli d’uccel di rapina, o zampe d’oca.132

Celeberrima è la descrizione che Dante fa di Lucifero nell’Inferno: la creatura ch’ebbe il bel sembiante è diventato un mostro a tre teste tanto orribile da far dire al poeta:

S’el fu sì bel com’ elli è ora brutto, e contra ‘l suo fattore alzò le ciglia,

ben dee da lui procedere ogne lutto. (Inf., XXXIV, 34-36)

Il Diavolo è dunque la causa di ogni male, non ha vita autonoma, esiste solo come negazione del bene e, nel rispetto della tradizione che vuole il male associato al brutto, ha un aspetto ripugnante. Sono molti,

131 La Bibbia, op. cit.; Isaia 14, 12-15. 132 Arturo Graf, Il Diavolo, op. cit., p.50.

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nelle varie epoche, ad affermare di averlo visto, tanti anche tra santi e teologi:

Sant’Antonio, che sotto tanti altri aspetti ebbe a vederlo, lo vide appunto una volta in figura di smisurato gigante, che toccava col capo le nubi, e tutto nero; ma un’altra volta in figura di un fanciullo, nero del pari, ed ignudo. […] con cento mani e cento piedi, lo vide nel secolo XIV santa Brigida. […] il capo simile a un mantice munito di lunga canna, le braccia come serpenti, le gambe come un torchio, i piedi come uncini.[…] una fiera diabolica, la quale può essere anche una bestia composita, fatta di pezzi tolti di qua e di là, un mostro che fa violenza alla natura, un vivo simbolo di prevaricazione e di disordine. […]c’era pure chi, come san Martino, sapeva scovarlo sotto le forme più inusitate e più ingannevoli.133

Attribuire al Diavolo una fisicità abnorme, mostruosa, grottesca significa marchiarlo come diverso e, in quanto tale, temibile. L’obiettivo è quello di spaventare con la minaccia della dannazione eterna: il Diavolo, con le sue terribili fattezze è una sorta di promemoria per il cristiano.

Come minaccia comune, Nemico per antonomasia, egli assolve anche l’importante funzione di cementare la coesione interna della cristianità. Umberto Eco ci invita a riflettere:

Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo.134

Attraverso numerosi e significativi esempi che giungono fino ai giorni nostri e con arguta ma amara ironia, Eco ci conduce alla considerazione che il bisogno di un nemico in quanto altro è connaturato anche al più mite degli uomini, ma che solo santi, poeti e traditori sono capaci di forme di comprensione dell’altro che, pur distruggendone il cliché, ne conservino l’alterità e infine che:

133 Ibidem, pp.47 – 70.

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per tenere i popoli a freno, di nemici bisogna sempre inventarne, e dipingerli in modo che suscitino paura e ripugnanza.135

Nella tradizione popolare medievale il Diavolo, che può assumere i più svariati nomi e aspetti, è capo supremo di una gerarchia. Egli stabilisce i piani generali e i sottoposti eseguono individualmente, ciascuno secondo le proprie capacità.

Il Diavolo mostra d’essere anche mostruosamente intelligente nel comprendere che esiste un enorme divario tra ciò che Dio promette in un’altra vita e quello che l’uomo desidera nella vita terrena e fatalmente astuto nell’approfittare della situazione: nasce la credenza nel patto col Diavolo. Se l’uomo desidera il piacere, della carne come dell’intelletto, o il potere che viene dalla ricchezza, il Diavolo si dichiara in grado di accontentarlo e in cambio chiede solo l’anima del malcapitato di turno, qualcosa che, in fondo, non costa nulla. L’intento è quello di sottrarre a Dio il maggior numero di anime guadagnandole all’Inferno. Egli sceglie come aiutanti stregoni e streghe alle quali non esita ad unirsi generando talvolta dei figli. La situazione non ha più nulla di pittoresco: il patto viene steso con precisione notarile e siglato con il sangue della vittima.

Molto nota è la leggenda di Teofilo136, economo della chiesa di Adana, che, nominato vescovo, per umiltà lascia ad un altro il suo posto. Quando il nuovo vescovo gli toglie l’ufficio dell’economato, Teofilo stipula un patto col Diavolo per riottenere la carica di vescovo. Ottenutala, temendo per la propria anima, chiederà aiuto alla Vergine che lo salverà. Sul finire del XIII secolo, il poeta francese Rutebeuf scrive il dramma Il miracolo di Teofilo che viene considerato

135 Ibidem, prima di copertina.

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precursore del Faust di Goethe. Come racconta Graf, molti personaggi noti, come, per esempio, Cecco D’Ascoli e perfino papi (Silvestro II, Giovanni XII, Benedetto IX, Gregorio VII, Alessandro VI), vengono accusati di aver venduto l’anima al Diavolo, ma, dall’esame di numerose rappresentazioni letterarie e iconografiche, risulta evidente che è ancora nel potere dell’uomo operare una scelta, decidere da che parte stare:

[…] la morte ti sta sempre incontro per levarti di questa vita quasi dicendoti: tu hai a morire ad ogni modo et non puoi campare dalle mie mani: guarda, dove vuoi tu andar? O quasù in paradiso, o quagiù in inferno?137

Queste parole di Girolamo Savonarola vengono accompagnate, nel 1497, da un’incisione che le segue fedelmente: la morte, un braccio rivolto in alto e l’altro in basso, indica ad un giovane morente le conseguenze della sua scelta.

Con l’affermarsi della cultura umanistica anche la rappresentazione iconografica del maligno, alla cui base nell’arte romanica e gotica c’è proprio l’idea di diversità, di rovesciamento e stravolgimento dei connotati umani e divini, cambia.

Nel suo Il ritratto del Diavolo lo storico dell’arte Daniel Arasse, sulla scorta delle ricerche da lui condotte sulla pittura fra il Trecento e il Cinquecento, ci racconta la radicale trasformazione dell’iconografia diabolica. Secondo lo studio di Arasse, la figura tradizionale di un Diavolo-mostro:

Ha il compito di dar forma al “ritratto” dell’abiezione dell’Altro, l’Altro da Dio e l’Altro dall’uomo, il Nemico, e permette al tempo stesso di ricordarsi che è possibile sconfiggerlo […]138

137 Girolamo Savonarola, Predica dell’arte del ben morire, cit. in Daniel Arasse, Le portrait du Diable, ARKHÊ,

Paris 2009; Il ritratto del Diavolo, trad. it. di A. Trocchi, Nottetempo, Roma 2012, p.33.

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Tra Quattrocento e Cinquecento si ha una svolta, laica e religiosa insieme, a partire dalla quale si assegna una nuova funzione all’immagine e quindi anche alla rappresentazione del Diavolo. Le immagini non chiedono più semplicemente di essere riconosciute, ma invitano lo spettatore ad entrare in un rapporto di identificazione, positiva o negativa, con i personaggi rappresentati attraverso la verosimiglianza. Si aggiunga che, soprattutto dopo il Concilio di Trento, la Chiesa critica severamente e proibisce la raffigurazione di immagini d’ispirazione pagana e pertanto respinge ogni rappresentazione del Diavolo non conforme alla nuova sensibilità. Si può infatti notare come dal grottesco terrificante si passa a rappresentazioni cupe ma solenni e grandiose. In particolare negli affreschi di Luca Signorelli nella Cappella di San Brizio a Orvieto (1499-1502):

si rivela in modo più chiaro il passaggio dalla “figura-ritratto” del Diavolo tradizionale alla figura umana come “ritratto diabolico” […] È nel volto in modo particolare che si mostra la maschera del Diavolo, attraverso ciò che potremmo definire la “bruttezza diabolica”, indice fisico di una mostruosità morale.139

Nel Giudizio Universale, Michelangelo dà al Diavolo il volto del cardinale Biagio da Cesena, ne fa una caricatura di un personaggio reale: il Diavolo è ormai immanente nella vita dell’uomo, è una dimensione dell’umano stesso.140

Ecco che nell’immaginare il Diavolo si stabiliscono criteri di identificazione dell’umano e si definiscono pratiche di inclusione e di esclusione dell’alterità. Il Diavolo trasloca, passa dall’ambito della morale religiosa a quello della morale sociale e si manifesta in ogni anomalia fisica o psichica o anche in semplici differenze nei tratti

139 Daniel Arasse, op. cit., p.46. 140 Ibidem, p.47.

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somatici. Nel Novecento la minaccia diabolica sarà, per esempio, sul volto nero dei boscimani fotografati da Lidio Cipriani, su quello sgraziato dell’uomo delinquente di Cesare Lombroso, come su quello di ebrei e zingari. All’inizio di questo millennio, a qualcuno è sembrato di ravvisare il volto del Diavolo nella colonna di fumo generata dal crollo delle Twin Towers, ancora una volta proiezione

della nostra paura e della nostra cultura sull’altro o sull’altrove. Nella letteratura italiana la rappresentazione del Diavolo è, fino a

Tasso, essenzialmente comica e grottesca.

Nell’Inferno di Dante troviamo le figure diaboliche soprattutto come custodi violenti e stizzosi della città di Dite e come guardiani dei barattieri, una schiera di diavoli dai nomi pittoreschi (Barbariccia, Cagnazzo, Libicocco, Alichino, Farfarello, Scarmiglione, Malacoda, Calcabrina, Graffiacane, Ciriatto…) e non privi di una selvaggia comicità rissosa.

I diavoli danteschi sono creature irriverenti, attaccabrighe e volgari, pernacchie e flatulenze sono le loro modalità di comunicazione:

[...] avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca per cenno;

ed elli avea del cul fatto trombetta (Inf., XXI, vv. 137-139).

Essi sono ancora vicini all’origine folclorica della maschera demoniaca, nata dall’incrocio del diavolo biblico-evangelico (il tentatore) con gli spiriti del sottoterra pagano, folletti maligni e dispettosi, sorta di giullari della demonologia popolare. Alichino, per esempio, è probabilmente il francese Hallequin da cui deriva anche la maschera comica di Arlecchino.

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Anche Satana-Lucifero, traditore del suo Creatore, è, nell’ultimo canto dell’Inferno, una creatura più che altro grottesca e di ripugnante bruttezza, un mostro disumano che, assorto nella sua immensa pena, non si accorge nemmeno dei due straordinari visitatori:

Lo 'mperador del doloroso regno

da mezzo 'l petto uscìa fuor de la ghiaccia; […]

S'el fu sì bel com'elli è ora brutto, […]

Oh quanto parve a me gran maraviglia quand'io vidi tre facce a la sua testa! L'una dinanzi, e quella era vermiglia; […]

e la destra parea tra bianca e gialla; la sinistra a vedere era tal, quali vegnon di là onde 'l Nilo s'avvalla. Sotto ciascuna uscivan due grand'ali, quanto si convenia a tanto uccello: vele di mar non vid'io mai cotali. Non avean penne, ma di vispistrello era lor modo; e quelle svolazzava, sì che tre venti si movean da ello: quindi Cocito tutto s'aggelava. Con sei occhi piangea, e per tre menti gocciava 'l pianto e sanguinosa bava. Da ogne bocca dirompea co' denti un peccatore, a guisa di maciulla, […] (Inf., XXXIV, 28-56)

Ancora grottesco è il Diavolo141 di Teofilo Folengo, comico lo Scarapino142 del Boiardo, semplice e servizievole il Belfagor143 di Machiavelli e, anche se l’Astarotte144 del Pulci è figura più complessa rispetto alle precedenti, è il Plutone di Tasso che si erge gigante su tutti.

141 Teofilo Folengo, Baldus vol. 1-2 (1517) a cura di M. Chiesa. Testo latino a fronte, UTET, Torino 2006. 142 Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato (1483), Garzanti, Milano 6^ edizione; libro II, XXII-46. 143 Niccolò Machiavelli, Belfagor arcidiavolo (1518-1527) da Tutte le opere, Sansoni, Firenze 1971. 144 Luigi Pulci, Morgante (1478), op. cit.

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XX

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L

S

ATANA DI

T

ASSO

Tasso non ignora la potente iconografia dantesca di Satana e del demoniaco quando introduce nella Gerusalemme liberata145 il concilio infernale, ma lo stile che adotta non è quello comico della Commedia, è il sublime, come si addice alla narrazione eroica.

Siamo nel canto IV, inizia una fase che fino al canto XIII vedrà le armi cristiane in grande difficoltà. Tutta colpa di Satana che, anche se intimamente presago che non potrà impedire la liberazione di Gerusalemme, comunque ha deciso di provarci e di rendere lunga e faticosa la conquista. Satana convoca le forze infernali:

[…] il gran nemico de l'umane genti […] ambo le labra per furor si morse, e qual tauro ferito il suo dolore versò mugghiando e sospirando fuore. […] che sia, comanda, il popol suo raccolto (concilio orrendo!) entro la regia soglia; […]

Chiama gli abitator de l'ombre eterne il rauco suon de la tartarea tromba. […] (GL, IV, 1-3)

e Tasso ci regala una rappresentazione di Satana e del suo regno di mostri che non ha pari in tutta la tradizione letteraria europea:

Tosto gli dèi d'Abisso in varie torme concorron d'ogn'intorno a l'alte porte. Oh come strane, oh come orribil forme! quant'è ne gli occhi lor terrore e morte! Stampano alcuni il suol di ferine orme, e 'n fronte umana han chiome d'angui attorte, e lor s'aggira dietro immensa coda

che quasi sferza si ripiega e snoda.

Qui mille immonde Arpie vedresti e mille

98 Centauri e Sfingi e pallide Gorgoni, molte e molte latrar voraci Scille, e fischiar Idre e sibilar Pitoni, e vomitar Chimere atre faville, e Polifemi orrendi e Gerioni;

e in novi mostri, e non piú intesi o visti, diversi aspetti in un confusi e misti.

[…]

Siede Pluton nel mezzo, e con la destra sostien lo scettro ruvido e pesante; né tanto scoglio in mar, né rupe alpestra, né pur Calpe s'inalza o 'l magno Atlante, ch'anzi lui non paresse un picciol colle,

sí la gran fronte e le gran corna estolle. (GL, IV, 4-6 )

Tasso non pronuncia mai il nome Satana, usa delle perifrasi, « il gran nemico de l'umane genti» perde ogni connotato folclorico e perde, non a caso, il suo appellativo cristiano per essere designato come Plutone, il solenne re degli Inferi, fratello di Zeus e Poseidone; divinità tenebrosa e terribile, mantiene la dignità e la maestà dei grandi dei dell’Olimpo:

Orrida maestà nel fero aspetto

terrore accresce, e più superbo il rende: rosseggian gli occhi, e di veneno infetto come infausta cometa il guardo splende, gl’involve il mento e su l’irsuto petto ispida e folta la gran barba scende, e in guisa di voragine profonda

s’apre la bocca d’atro sangue immonda. (GL, IV, 7)

Sono pienamente rispettati i criteri dell’ideologia che vuole Satana mostro orrendo, ma per la prima volta il principio antagonista del Dio cristiano non è più semplicemente l’altro, il nemico, l’avversario perchè Tasso ne fa un personaggio a tutto tondo che emana un fascino particolare e nel quale alle caratteristiche ripugnanti del mostro si mescolano quelle dell’angelo che era in origine.

Pur chiuso nell’abisso dell’Inferno, Satana non dimentica da dove proviene e spende parole di nostalgia e di rimpianto per la luce che gli

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è stata negata, parole che toccano il lettore: Satana diventa il grande eroe malinconico di cui si innamoreranno i romantici, incarna un principio del male che non è pura negazione, è anche contraddizione, è

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