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L'incontro con l'altro: diversita' tra mito, fiaba e realta'

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FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

L’

INCONTRO CON L

CANDIDATO Giacomo DE NUCCIO

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA

in

Lingua e Letteratura Italiana

TESI

DI

LAUREA

INCONTRO CON L

ALTRO

:

LA DIVERSITÀ TRA MITO

RELATORE

UCCIO Chiar.mo Prof. Sergio

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Stefano

Anno Accademico 2016/2017

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

TRA MITO

,

FIABA E REALTÀ

Chiar.mo Prof. Sergio ZATTI ONTRORELATORE

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A mio padre manovale, come ama definirsi, a mia madre, sentinella e vestale del mio tempo, entrambi capaci di ascoltare e leggere il mio silenzio.

(4)

R

INGRAZIAMENTI

Il mio ringraziamento più sentito e sincero va al prof. Sergio Zatti, importante presenza nel mio percorso universitario, per avermi accompagnato con la sua sapiente guida anche nella stesura di questa tesi e, elemento non trascurabile, per aver compreso e accettato i motivi delle mie imperscrutabili, seppure necessarie, fughe.

Un ringraziamento particolare va al prof. Stefano Brugnolo, mio controrelatore e ai docenti tutti che, andando ben oltre le apparenze, hanno reso possibile e sereno il mio percorso universitario.

Desidero inoltre ringraziare il personale USID per l’attenta collaborazione e i miei colleghi sulla cui solidarietà ho potuto contare in ogni occasione.

Ultimo, ma non per questo meno essenziale, il mio grazie agli amici, alla mia famiglia e soprattutto ai miei genitori, che non si sono mai arresi e da sempre mi sostengono e mi incoraggiano a inseguire i miei sogni.

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I

NDICE

Introduzione

Cap. I. Noi e gli Altri p. 9 Cap. II. Lettura e Letteratura p. 12

Cap. III. Il Diverso e l’Altro p. 17 Cap. IV. Tersite o la Diversità p. 18

Cap. V. Tersite oltre Omero p. 34 Cap. VI. Tersite riabilitato p. 41 Cap. VII. L’ombra di Tersite nei romanzi di Victor Hugo p. 47

Cap. VIII. Il Mostro p. 56

Cap. IX. Polifemo p. 57

Cap. X. Polifemo oltre Omero p. 62 Cap. XI. Il Ciclope di Euripide p. 63 Cap. XII. Polifemo innamorato p. 67 Cap. XIII. Il Polifemo di Teocrito p. 68 Cap. XIV. Polifemo nei Dialoghi marini di Luciano p. 70 Cap. XV. Polifemo nella Letteratura latina p. 72 Cap. XVI. Il Ciclope pascoliano p. 77 Cap. XVII. Dalla parte del Ciclope p. 80 Cap. XVIII. Medioevo età dei Mostri p. 83

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Cap. XIX. Il Diavolo p. 88 Cap. XX. Il Satana di Tasso p. 97 Cap. XXI. Satana da Tasso in poi p. 101

Cap. XXII. Il Selvaggio p.111

Cap. XXIII. Calibano p.122

Cap. XXIV. Robinson & Robinson p.127

Cap. XXV. Adamastor p.139

Cap. XXVI. Dalla parte del Cannibale p.143 Cap. XXVII. Tra Fiaba e Realtà p.151

Cap. XXVIII. La Fiaba p.153

Cap. XXIX. Un τόπος p.157

Cap. XXX. Nelle Fiabe di Oscar Wilde p.162 Cap. XXXI. Una Fiaba moderna: Lo Stralisco di Roberto

Piumini p.171

Cap. XXXII. La Metamorfosi di Kafka p.174 Cap. XXXIII. Letteratura e Disabilità p.178 Cap. XXXIV. La Diversità del Poeta p.188 Cap. XXXV. Charles Baudelaire p.191

Conclusione p.198

Bibliografia p.200

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I

NTRODUZIONE

Trattare un argomento che centinaia di studiosi hanno già affrontato e che appartiene alla Letteratura di tutti i tempi può risultare faticoso e condurci alla banalità e all’ovvio. Per questo motivo ho esitato a lungo prima di decidere di correre il rischio e affidare alle pagine della mia tesi il tema dell’incontro con l’altro, anche se, per comprensibili motivi, ho comunque dovuto restringere il campo. Ho scelto come oggetto della mia indagine l’incontro con l’altro in quanto diverso, ma non relegato in un unico periodo storico d’interesse o nella medesima latitudine perché la diversità non ha tempo e non ha luogo.

Mi rivolgerò, per cominciare, alla poesia di Omero, la più alta e la più antica, perchè Omero è tuttora faro nella letteratura e la poesia faro nella mia vita diversa, scegliendo Tersite e Polifemo, personaggi che ritengo mi rappresentino.

Non ho l’aspetto repellente di Tersite perché la gobba e le storture sono nascoste nel mio DNA e non mi sento arrogante se difendo il mio diritto alla vita né codardo per aver vissuto a lungo una sorta di sudditanza e asciugato, come Tersite, lacrime visibili e invisibili tra la soddisfazione e le risate di pavidi astanti.

Non ho un solo occhio come Polifemo, ma per molto tempo non sono stato capace di governare la vista, ho dovuto imparare. Mostro al pari di lui agli occhi della maggior parte delle persone, mostro in tutti i significati del termine quando ho imparato a leggere e ad esprimermi scrivendo, per taluni sempre un selvaggio incivile e con la sola speranza di essere, nel migliore dei casi, un fenomeno da baraccone. Per fortuna c’è stato anche per me chi si è accorto che indosso i

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pantaloni e non sono antropofago così ho avuto l’opportunità di diventare un uomo tra i banchi dell’università, di Tersite e Polifemo scomparsa anche l’ombra. Tuttavia, anche se sono cresciuto, non sono cambiato perché la diversità mi appartiene, è il mio passato, è il mio presente e anche il mio futuro, e non devo dimenticarlo. Nell’incontro con l’altro capiterà ancora ch’io sia di volta in volta Tersite, Polifemo, il Selvaggio o un Freak, ma se oggi io mi sento solo me stesso, lo devo anche alla letteratura, agli innumerevoli personaggi di cui è popolata e con i quali ho potuto confrontarmi per scegliere di essere la persona che sono. Per questo cercherò di percorrere tutto l’arco letterario e, non potendo descrivere tutte le diversità, proporrò personaggi che, pur essendo ognuno rappresentativo di un’epoca, appartengono paradossalmente, a mio parere, a tutte le epoche e a tutte le latitudini, vivi ancora nell’immaginario collettivo e specchio di una umanità che sostanzialmente non muta.

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9

I

N

OI E GLI

A

LTRI

Ciò che si pone, si oppone in quanto si distingue e niente è se stesso senza essere altro dal resto. (Marc Augé)

Sarà certo capitato a tanti, in qualche momento della vita, di chiedersi: “Chi siamo noi? Chi sono gli altri?”

Sarebbe semplice rispondere che gli altri sono tutto ciò che non siamo noi, ma bisognerebbe prima definire quel noi. Per dirla con Italo Calvino:

chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d'esperienze, d'informazioni, di letture, d'immaginazioni? Ogni vita è un'enciclopedia, una biblioteca, un inventario d'oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili.1

Chi può dire infatti di essere identico oggi al se stesso di ieri? È sufficiente confrontare le immagini di un vecchio album fotografico per avere chiari i mutamenti esteriori che il tempo e le esperienze hanno operato sul nostro corpo, ma non basta guardarsi allo specchio per riconoscere gli inevitabili cambiamenti interiori. Lo specchio è solo una superficie che riflette un involucro e nulla dice della persona che in esso si cela. Siamo però così abituati ad osservare il resto del mondo come se ciò che vediamo non dovesse mai riguardarci che noi siamo noi e mai gli altri. Eppure siamo tutti individui, persone tra altre

1 Italo Calvino, da “Molteplicità” in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano

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persone, parte di quegli innumerevoli volti, conosciuti o sconosciuti, che come noi percorrono la vita, ciascuno a modo proprio, parte di quella folla (Baudelaire docet) dai movimenti frettolosi e intermittenti in cui l’individuo sprofonda ma mostra, a chi soffermi lo sguardo su di lui, una inconfondibile fisionomia. Pertanto chi si interroga sulla propria identità è anche lo sguardo degli altri che deve indagare.2 Non è essenziale che il confronto nasca da un encounter o da un meeting, che gli altri appartengano al nostro presente, che vengano da un altro paese o da un altro pianeta o che, se appartengono al nostro passato e non ci sono più, l’incontro sia con le testimonianze che ci hanno lasciato, così come gli esseri del futuro incontreranno quegli altri che siamo i noi di questo presente. Essenziale è che gli altri ci siano e che non dimentichiamo che nello sguardo dell’altro, gli altri siamo noi.

Io penso che in questa nostra faticosa e ottusa era, in cui a ciascuno sembra quasi impossibile costruire una propria identità, sia più che mai importante la presenza dell’altro, di quel tu che ci aiuta a riconoscere l’io e a viverlo pienamente qualunque sia la nostra condizione.

Ho altresì la convinzione che, sebbene si debba vivere ancorati alla realtà, tuttavia non si possa fare a meno dei sogni, della fantasia, dell’immaginazione per superarla, cioè per affrontarla quando ci sembri troppo dura e per goderne con i giusti toni quando ci appaia

2 Emblematica è in tal senso la lirica À une passante di Baudelaire (in Les fleurs du mal, 1857; I fiori del male,

trad. it.di Giovanni Raboni, Einaudi,Torino 1987-2014, p.150): la figura di una sconosciuta risalta tra la folla della città caotica, il suo sguardo incontra quello del poeta nello spazio di un istante. Poi la donna scompare e con lei l'occasione perduta, la possibilità d'amore portata dal caso e svanita rapidamente nel via vai parigino.

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troppo bella per essere vera, per meritarla, perché la vita è fatta per sorprenderci e l’immaginazione ci educa alla meraviglia.

Per questo, anche se il grande Baudelaire celebra la modernità con la perdita d’aureola del poeta, è proprio la voce di chi è capace di coniugare realtà e fantasia a guidarci nei panni degli altri, a risvegliare quelle forme di empatia che ci aiutano a superare il nostro etnocentrismo alla ricerca dell’altro che è fuori di noi oltre che in noi perché, come afferma Stefano Brugnolo, mio illustre docente di Teoria della Letteratura:

esistono solo diversità relative a fronte di un’umanità che è unica nello spazio e nel tempo:apparteniamo tutti a una comune specie e per quante differenze si diano tra culture, lingue e nazioni le nostre esperienze restano comunque confrontabili. […] L’altro non è irraggiungibile o indecifrabile, si può farne esperienza, ci si può identificare con lui, e comunque lo si può immaginare […].3

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II

L

ETTURA E LETTERATURA

La lettura è un incontro tra testo, autore e lettore. Si crea una intimità che invita al raccoglimento in solitudine. Scrive Italo Calvino:

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla, di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso, dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.4

L’atmosfera ci prepara all’ingresso in un mondo che pensiamo

sconosciuto, per accorgerci, nel corso della lettura, che forse siamo in esplorazione della nostra interiorità. L’invito al silenzio e alla solitudine non sottolinea tuttavia una condizione di malinconia o, peggio, di tristezza, piuttosto segna

[…] la condizione orgogliosa dell'essere umano solo con i suoi pensieri, capace di dimenticare per qualche ora “ogni affanno”.5

È la condizione in cui si poneva anche Machiavelli:

Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, e di quivi in un mio uccellare. Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come Tibullo, Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori ricordomi de' mia: gòdomi un pezzo in questo pensiero. […] Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni

4 Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), Mondadori, Milano 2000, p.2.

5 Corrado Augias, Leggere. Perché i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi. Mondadori, Milano 2007,

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affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.6

Il luogo della lettura è solitario, eppure il lettore non è solo, migliaia di altri lettori stanno compiendo i suoi stessi gesti, lettori del presente in ogni dove ma anche del passato. Come ci ricorda Alberto Manguel nella poetica pagina di apertura del suo Una storia della lettura7, personaggi di tutti i tempi sono stati ritratti intenti alla lettura e, che si tratti di Aristotele o Gesù, di Virgilio o di Dickens, della Maddalena o di Paolo e Francesca, di un monaco coreano di fronte ad una delle ottantamila tavolette della Tripitika Koreana o di un giovane sconosciuto appoggiato al parapetto di pietra del Lungosenna,

sono tutti lettori, e i loro gesti sono i miei stessi gesti; io condivido con loro il piacere, la responsabilità e il potere che derivano dalla lettura. Non sono solo.8

Intorno al lettore è il mondo o, meglio, un insieme di mondi nuovi nei quali ritrovare se stesso, la propria umanità e il senso del proprio essere tra altri:

Noi tutti leggiamo noi stessi e il mondo intorno a noi per intravedere cosa e dove siamo. Leggiamo per capire, o per iniziare a capire. Non possiamo fare a meno di leggere.9

E non è un caso che Tzvetan Todorov affermi:

[…] non posso fare a meno delle parole dei poeti, dei racconti dei romanzieri. Mi consentono di esprimere i sentimenti che provo, di mettere ordine nel fiume degli avvenimenti insignificanti che costituiscono la mia vita.10

La lettura può dunque diventare un viaggio tutto interiore, che tuttavia non fa perdere di vista il senso della realtà:

6 Niccolò Machiavelli, Lettere a Francesco Vettori e a Francesco Giucciardini, a cura di Giorgio Inglese, BUR,

Milano 2002; Lettera a Francesco Vettori, 10 dicembre 1513.

7 Alberto Manguel, A History of Reading (1996); Una storia della lettura, trad. it. di Gianni Guadalupi,Feltrinelli,

Milano 2009.

8 Ibidem, p.14. 9 Ibidem, p.16.

10 Tzvetan Todorov, La littérature en péril ( 2007); La letteratura in pericolo, trad. it. di Emanuele Lana, Garzanti,

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Non c'è dubbio che quando leggiamo le parole di un testo le riempiamo della nostra esperienza. Nel momento in cui leggo, è vero, sono come sospeso in un altrove tessuto di ombre e di fantasmi. Leggendo, calati nella logosfera del testo, ci si può persino sentire, a occhi aperti, immersi in un sogno più vero e più vivo della realtà circostante. E tuttavia questo spazio sono io a costruirlo, per animarlo lo reinvento di continuo partecipando del suo movimento nello specchio attivo dell'immaginazione […] mentre percorro le frasi di un libro, pur leggendo in silenzio investo la mia voce, ossia qualcosa che viene dal profondo dell'intimità corporea, anch'essa, come il volto, espressione inviolabile della mia singolarità e diversità: e nel momento in cui si trasforma, quasi sdoppiandosi, per mettersi alla prova della parola altrui, ecco che la voce può scoprire un nuovo aspetto di sé, una forza che non si riconosceva. […]pur in questo spazio gelosamente solitario e individuale, la lettura non è mai un monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nel libro ci rivela qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo in uno slancio intimo della coscienza affettiva, che può valere anche un atto d’amore. La solitudine diventa paradossalmente socievolezza […]11

Questo significa che, attraverso il testo letterario, si stabilisce tra autore e lettore una particolare sintonia che spesso nasce dalla scoperta di una singolare coincidenza tra ciò che è scritto e lo stato d’animo di chi legge in quel momento:

Leggendo, nella mia soggettività rappresento anche un altro soggetto, quasi «due in uno» sperimento la mia stessa identità come movimento e tensione verso l’alterità e la differenza.12

Lo scrittore tuttavia non rappresenta un unico individuo: attraverso i suoi personaggi ci presenta una molteplicità di vite, di tradizioni culturali in un confronto sempre aperto, in continua evoluzione. Anche il lettore cambia ogni volta che si accosta alla lettura e si pone in “ascolto” del testo letterario percorrendolo

[…] non come un turista, ma come un pellegrino, che nel compiere il suo viaggio cerca anche se stesso13

11 Ezio Raimondi, Un’etica del lettore, il Mulino, Bologna 2014, pp.11-13 (prima ed. 2007). 12 Ibidem, p.18.

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È certamente comune a molti l’esperienza della rilettura, a distanza di tempo, di un testo e della scoperta di come questo appaia sotto una nuova luce e suggerisca riflessioni diverse rispetto alle precedenti. La lettura si arricchisce del vissuto del lettore e il testo prende vita, ma non sostituisce la vita:

Quando mi chiedo perché amo la letteratura, mi viene spontaneo rispondere: perché mi aiuta a vivere. Non le chiedo più, come negli anni dell’adolescenza, di risparmiarmi le ferite che potevo subire durante gli incontri con persone reali; piuttosto che rimuovere le esperienze vissute, mi fa scoprire mondi che si pongono in continuità con esse e mi permette di comprenderle meglio. […] Più densa, più eloquente della vita quotidiana ma non radicalmente diversa, la letteratura amplia il nostro universo, ci stimola a immaginare altri modi di concepirlo e organizzarlo. […] la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. Ci procura sensazioni insostituibili, tali per cui il mondo reale diventa più ricco di significato e più bello. Al di là dell’essere un semplice piacere, una distrazione riservata alle persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano.14

La letteratura di tutti i tempi e di tutti i generi, luogo di incontri, sincera nel suo essere realtà e fiction insieme, con la sua potenza creativa, indica la possibilità di divenire altri quando crediamo di aver raggiunto un’identità stabilita; ci invita a vivere tanti mondi possibili per quanti ne possiamo pensare e ad essere sempre e soltanto ciò che vogliamo diventare. Infatti, seppure:

Va da sé […] che qualunque rappresentazione letteraria dell’alterità si dà sempre e comunque sulla base di pregiudizi e proiezioni. Questo, però, non rende meno significative e illuminanti quelle rappresentazioni.15

Ecco allora il mito a ricordarci che eterno e irrisolto è il problema, se così lo vogliamo definire, dell’identità, le fiabe a dare voce alla meraviglia, alle paure, ai desideri che sono in noi, il racconto di coloro cui la vita ha regalato il marchio della diversità e più di altri appaiono irraggiungibili ad evidenziare che il nostro sguardo deve essere in

14 Ibidem, pp.16-17.

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qualche modo decolonizzato se vogliamo raggiungere l’altro, in qualunque forma ci appaia, e comprendere noi stessi.

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III

I

L

D

IVERSO E L

’A

LTRO

I poemi omerici, in forma scritta dall’VIII sec. a.C., rappresentano l’inizio della letteratura occidentale, di tutto quell’universo di “favole”, secondo la definizione di Leopardi, cui si continua ad attingere. Possiamo dire che Omero è il classico per antonomasia e, tornando a Calvino,

6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.16

E anche:

14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona.17

Nei classici sono presenti infatti temi e intrecci che, tradotti e modificati nel corso dei tempi, ritornano nelle letterature posteriori ed è forse anche per questo che ai classici ancora talvolta ci rivolgiamo per trovare risposta alle molteplici domande che nascono dal nostro vissuto.

Un τόπος della tradizione letteraria è la figura del diverso, dell’altro. Non sempre questi due termini hanno indicato lo stesso oggetto di interesse. Nell’Iliade e nell’Odissea, per esempio, il diverso e l’altro non hanno lo stesso archetipo, i canoni che definiscono il primo sono infatti di tipo sociale a differenza di quelli che definiscono il secondo di carattere antropologico e culturale.

16 Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 2007, p.7 (postumo, prima ed.1991). 17 Ibidem, p.12.

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IV

T

ERSITE O LA

D

IVERSITÀ

Nell’Iliade è la deformità di Tersite a incarnare l’idea della diversità: […] αἴσχιστος δὲ ἀνὴρ ὑπὸ Ἴλιον ἦλθε·

φολκὸς ἔην, χωλὸς δ' ἕτερον πόδα· τὼ δέ οἱ ὤμω κυρτὼ ἐπὶ στῆθος συνοχωκότε· αὐτὰρ ὕπερθε φοξὸς ἔην κεφαλήν, ψεδνὴ δ' ἐπενήνοθε λάχνη. […] Era l'uomo piu' brutto che venne sotto Ilio. Era camuso e zoppo di un piede, le spalle eran torte, curve e rientranti sul petto; il cranio aguzzo in cima, e rado il pelo fioriva.18

Tersite è diverso in quanto è brutto.

In ogni secolo, filosofi e artisti hanno dato definizioni del bello e le loro testimonianze ci permettono di ricostruire una storia della bellezza attraverso i tempi. Non è così per il brutto cui sono state dedicate trattazioni marginali e bisogna arrivare al 1853 per avere una compiuta Estetica del brutto19 da parte del filosofo e critico tedesco Karl Rosenkrantz. È pur vero che in un precedente breve trattato sul brutto del 1754, Deformity: an essay20, William Hay cerca di rovesciare la concezione classica della καλοκαγαθία21 per cui non era possibile che un uomo, nel senso più nobile del termine, fosse brutto ma buono oppure bello ma cattivo, tuttavia Rosenkranz è il primo a tentare di costruire una teoria strutturata attorno alla questione:

Estetica del brutto suonerà, a taluno, un po' come “ferro ligneo”, perché il brutto è il contrario del bello. Solo che il brutto è inseparabile dal concetto di bello: quest'ultimo lo contiene costantemente nel suo sviluppo come quell'errore in sé in cui si può cadere con un troppo o un poco, spesso esigui. […] Non è difficile capire che il brutto, in quanto concetto relativo, è comprensibile solo in rapporto a un altro concetto

18 Omero, Iliade, versione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 2014; II, 216 – 219 (prima ed.1950). 19 Karl Rosenkranz, Estetica del brutto, a cura di S. Barbera, Aesthetica, Palermo 2004, quarta edizione. 20 William Hay, Deformity: an essay,English Literary Studies Monographs, 2016; (ed.originale 1754). 21 καλοκἀγαθία: voce del greco antico, crasi dell'espressione κᾰλóς καί ἀγᾰθóς , letteralmente bello e buono.

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[…] Se non ci fosse il bello, il brutto non ci sarebbe affatto, perché esiste solo come negazione di quello. Il bello è l'idea divina originaria e il brutto, sua negazione, ha, appunto in quanto tale, un'esistenza solo secondaria. 22

Il filosofo analizza il brutto passandone in rassegna tutte le manifestazioni con ricchezza di esempi tratti per la maggior parte dall’arte contemporanea. Egli però, pur riconoscendo al brutto quel rilievo che per secoli gli era stato sottratto, non gli concede autonomia. Il brutto trova riscatto nel suo manifestarsi nel comico in generale e nella caricatura in particolare poiché attraverso questi due modi espressivi rientra nel bello da cui è scaturito, il brutto è un momento del bello.

Il lavoro di Rosenkranz, certamente originale, sarà tuttavia messo in discussione, soprattutto a partire dai primi del Novecento, quando le Avanguardie artistiche rivendicheranno l’autonomia del brutto e la sua totale irriducibilità al bello.

Ma Tersite non è diverso solo per il suo aspetto repellente.

Nell’Iliade vi sono altri due brutti, Efesto e Dolone, tuttavia sul loro aspetto Omero non indugia. Efesto, così lo descrive Omero nel libro XVIII, è brutto e di cattivo carattere, è lo Zoppo, il mostro ansante, il glorioso Storpio, ma è soprattutto l’inclito fabbro, colui che, dotato di una grande forza nei muscoli delle braccia e delle spalle, è capace di opere di un'impareggiabile perfezione come lo scudo di Achille e poi è un dio, anche se minore.

Anche Dolone è brutto:

ἦν δέ τις ἐν Τρώεσσι Δόλων Εὐμήδεος υἱὸς […] ὃς δή τοι εἶδος μὲν ἔην κακός, ἀλλὰ ποδώκης· ma v’era fra i Teucri un tale Dolone, figliolo d’Eumède

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20

[…]e questi era brutto d’aspetto, veloce di piedi,23

Eroe per convenienza e non per vocazione, incline al tradimento già per il suo nome, Dolone morirà senza onore per mano di Diomede proprio da traditore.

Dolone e Tersite si assomigliano per bruttezza fisica e morale, entrambi rappresentano uno strappo rispetto agli eroi che Omero canta e la cui virtù sta nella bellezza secondo quell’ideale che nella Grecia antica comprendeva ogni aspetto umano, dall’estetica al modo di essere, a quello di comportarsi, di pensare.

Potremmo definire quella di entrambi i personaggi una καλοκἀγαθία rovesciata tuttavia, secondo Omero, Dolone è semplicemente κᾰκός cioè brutto e dunque cattivo mentre per Tersite, solo per Tersite in tutto il poema, adopera il superlativo αἴσχιστος24: Tersite è il più brutto, il più spregevole di quanti si recarono all’assedio di Troia. Viene spontaneo interrogarsi sul perché di un giudizio tanto severo.

Gli altri dunque sedevano, furono tenuti a posto. Solo Tersite vociava ancora smodato,

che molte parole sapeva in cuore, ma a caso, vane, non ordinate, per sparlare dei re:

quello che a lui sembrava che per gli Argivi sarebbe buffo. […]

Era odiosissimo, soprattutto ad Achille e a Odisseo,

che' d'essi sparlava sempre; ma allora contro il glorioso Agamennone diceva ingiurie, vociando stridulo; certo con lui gli Achei

l'avevano terribilmente, l'odiavano, pero' dentro il cuore; ma quello gridando forte accusava Agamennone con parole: "Atride, di che ti lamenti? che brami ancora?

piene di bronzo hai le tende, e molte donne sono nelle tue tende, scelte, che' a te noi Achei le diamo per primo, quando abbiam preso una rocca; e ancora hai sete d'oro, che ti porti qualcuno

dei Teucri domatori di cavalli, riscatto pel figlio preso e legato da me o da un altro dei Danai? o vuoi giovane donna, per far con essa all'amore, e che tu solo possieda in disparte? ma non e' giusto che un capo immerga nei mali i figli degli Achei.

23Omero, Iliade, op.cit.; X, 314 – 316.

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Ah, poltroni, brutti vigliacchi, Achee non Achei, a casa, si', sulle navi torniamo, lasciamo costui qui, a Troia, a digerirsi i suoi onori, che veda se tutti noi lo aiutavamo o no.

Egli che adesso anche Achille, un uomo migliore di lui, ha offeso; ha preso e si tiene il suo dono, gliel'ha strappato! Davvero ira non v'e' nel cuore d'Achille, e' longanime, se no, Atride, ora per l'ultima volta offendevi".25

Tersite “l’audace”ma anche “l’impudente”, questi i significati del suo nome, osa accusare pubblicamente Agamennone pastore d’eserciti d’essere avido, corrotto, egoista, d’avere trascinato in guerra un intero popolo solo per soddisfare brama di ricchezza e lussuria. Tersite, il vile e maldicente Tersite, si permette di incitare i valorosi Achei alla diserzione, di provocarli chiamandoli donnette (Achee non Achei!) finchè non interviene Odisseo:

«Tersite, lingua confusa, per quanto arguto oratore, smetti e non osare, tu, di offendere i re.

Io dico che un altro uomo più vile di te

non esiste, quanti con gli Atridi vennero sotto Ilio. Perciò tu non parlare avendo i re sulla bocca; non vomitare ingiurie, non ti curar del ritorno. Non sappiamo ancor bene come saran queste cose, se con fortuna o sfortuna torneremo, noi figli degli Achei. Ma tu per questo l’Atride Agamennone pastore d’eserciti godi d’offendere, perché molti doni gli dànno

gli eroi Danai; e tu concioni ingiuriando. Però ti dico e questo avrà compimento; se ancora a far l’idiota come adesso ti colgo, non resti più la testa d’Odisseo sulle spalle, non più di Telèmaco possa chiamarmi padre, s’io non ti acciuffo, ti spoglio delle tue vesti, mantello e tunica, che le vergogne ti coprono, e ti rimando piangente alle rapide navi,

fuori dall’assemblea, percosso con colpi infamanti!»26

Odisseo non si limita a ridicolizzare e a minacciare verbalmente Tersite; passando dalle parole ai fatti, con lo scettro lo percuote sul petto e sulle spalle e lo riduce al silenzio tra l’ilarità e l’approvazione degli Achei:

25 Omero, Iliade, op. cit; II, 211-242. 26 Ibidem, II, 246-264.

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22 Disse così, e con lo scettro il petto e le spalle

percosse; quello si contorse, gli cadde una grossa lacrima, un gonfio sanguinolento si sollevò sul dorso

sotto lo scettro d’oro; sedette e sbigottì

dolorando, con aria stupida si rasciugò la lacrima: gli altri scoppiarono a ridere di cuore di lui, benché afflitti, e uno parlava così, guardando un altro vicino:

«Ah, davvero, mille cose belle ha fatto Odisseo, dando buoni consigli e primeggiando in guerra; ma questa ora è la cosa più bella che ha fatto tra i Danai, che ha troncato il vociare di quel villano arrogante. Va’, che il nobile cuore non lo spingerà certo più a infamare i sovrani con parole ingiuriose!»27

Le argomentazioni di Tersite sono del tutto simili a quelle di Achille che minaccia di tornare in patria e definisce Agamennone vestito di spudoratezza, avido di guadagno quando questi pretende e ottiene per sé Briseide, il premio assegnato al pelide per il suo valore. Ma se le parole dell’eroe greco vengono ascoltate e lasciano il segno, così come trovano approvazione il discorso e l’azione di Ulisse, al contrario Tersite, percosso a sangue, oggetto di scherno (arguto oratore, nobile cuore), umiliato, ridotto alla gogna del ridicolo, viene messo a tacere e ineluttabilmente ignorato per tutto il resto del poema.

Il mondo creato da Omero rispetta infatti tutti i valori su cui si regge il mondo greco antico, una realtà della quale la gerarchia è elemento essenziale e nella quale agli ἀγᾰθοί, ai nobili, appartiene per definizione l’eccellenza, l’ἀρετή, ed ai κακοί, alla plebe, non resta che seguire le regole morali adeguandosi al ruolo riservato loro nella gerarchia.

Se, infatti, un ἀγᾰθός28 può perdere l’onore, connesso com’è quest’ultimo alla supremazia in potenza, ricchezza e valore militare, ad un plebeo non è consentito uscire dalla propria condizione.

27 Ibidem, II, 265-277.

28 ἀγᾰθός, in Omero è il capo di un οἶκος (casata) che è in grado di proteggere la comunità con le armi e di

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Con queste premesse la figura di Tersite, che ha violato la tacita gerarchia che stratifica i soggetti morali, diventa quella del “sovvertitore” che tenta di minare le basi di un mondo consolidato, è un esempio da non imitare e deve sparire per suggerirci che l’ordine va salvaguardato proprio a garanzia di quel mondo.

Anche William G. Thalmann ritiene che quella di Tersite sia la sfida ad una autorità vacillante e che l’azione su Tersite serva a ristabilire l’unione all’interno della comunità achea decimata anche dalla pestilenza scatenata da Apollo e lacerata da dubbi e tensioni accumulate in dieci anni di guerra.

From an external perspective. The cost of this splendid new unity is salso clear: not only the physical cruelty to Thersites but also the army’s renewed submission to authority. […] the reason why Achilles can make the challenge stick whereas Thersites is beaten into silence is their difference in class. […] Thersites is Achilles’ comic double.29

Da un punto di vista esterno, il costo di questa splendida nuova unione è altrettanto chiaro: non solo la crudeltà fisica su Tersite, ma anche la rinnovata sottomissione dell'esercito all’autorità. […] il motivo per cui Achille può prendere il bastone della sfida mentre Tersite è battuto nel silenzio è la loro differenza di classe. […] Tersite è il doppio comico di Achille. (tdr)

Thalmann prende in esame e in parte condivide anche la “teoria del capro espiatorio”30 esposta in La violence et le sacré da René Girard. Nel momento in cui i soldati adottano come proprio il linguaggio e i valori dei propri superiori, su Tersite vengono riversate tutte le

29 William G. Thalmann, Thersites: Comedy, Scapegoats, and Heroic Ideology in the Iliad, TAPHA, vol.118,

1988, pp. 1-28, The Johns Hopkins University Press; p.19.

30 Teoria del capro espiatorio: Girard propone questa teoria antropologica analizzando i comportamenti umani

durante una crisi collettiva. Conclude che in ogni occasione simile ci si trova di fronte ad una precisa tipologia di risoluzione del problema che funziona così: le singole rivalità tra gli uomini degenerano velocemente dando vita ad un desiderio unanime e indifferenziato di vendetta. Il propagarsi del sentimento di vendetta è definito come contagio mimetico che si spande a macchia d’olio all’interno della comunità colpendo qualsiasi cittadino anche il meno coinvolto. Successivamente viene a costituirsi una folla contagiata pronta a scegliere una singola vittima contro cui polarizzare tutto l’odio generatosi. Una volta individuata, la vittima viene sacrificata, linciata dalla comunità in preda a mimetismo violento e degenerato ed in seguito a questo atto finale si verificherà la ricomposizione della situazione conflittuale. È quest’ultimo punto che Thalmann non condivide poichè ritiene che la teoria faccia sembrare il più rigido ordine gerarchico giustificabile come barriera necessaria contro il caos e che la soluzione non sia permanente dal momento che, a suo parere, sarebbero le stesse istituzioni a generare nuove tensioni.

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tensioni e la violenza degli anni di guerra e l’ordine viene, almeno momentaneamente, ripristinato: Tersite diventa un capro espiatorio necessario.

Per questo Tersite appare solo nei pochi versi qui citati e in modo assolutamente negativo, per questo è la stessa comunità cui appartiene ad emarginarlo e la sua deformità diventa la cifra leggibile del suo essere eticamente diverso.

Secondo l’antica disciplina della fisiognomica, basterebbe la forma del suo capo a darci conferma della malvagità del nostro personaggio. Nel trattato Fisiognomica, erroneamente attribuito ad Aristotele, si catalogano le caratteristiche fisiche degli individui per trarne i tratti morali. Nella traduzione in latino, il De phisiognomonia liber (IV sec.), al §16 possiamo trovare un’ampia casistica di teste, per esempio:

Caput prolixum imprudentiae signum est (la testa allungata è segno di poca accortezza);

Caput immensum stultum et stolidum et indocilem vehementer ostendit (la testa enorme indica un animo stolto, stupido e decisamente rozzo);

Caput obliquum impudentiam designat(la testa inclinata da una parte è segno di sfrontatezza);

Caput e priori parte eminens insolentem denotat (la testa prominente nella parte anteriore connota l’insolente);31

La testa di Tersite sembra essere una summa delle deformità sopra elencate e le caratteristiche ad esse associate convergono in lui. Anche nel trattato tardo cinquecentesco La fisiognomica dell’uomo et la celeste di Giovan Battista Della Porta si legge:

I Genovesi quasi tutti hanno le teste aguzze. Simil capo hebbe Tersite, come di lui ridendo scrive Homero, e lo descrive molto sfacciato. […] Luciano pur descrive Tersite di capo acuto, e Platone nelle sue “città” descrive, che di tutti, che vennero alla guerra di Troia, fu il più brutto,

31 Testo e traduzione in Pseudo Aristotele, Fisiognomica – Anonimo latino, Il trattato di fisiognomica,

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per esser stato un mostro di sfacciatezza. […] E Quinto Calabro che sia divenuto Simia nelle sue Paralipomeni.32

Il principio che mette in relazione aspetto fisico e carattere morale è alla base anche dei trattati di epoca medievale e moderna. Nel suo testo più famoso, L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie del 1876, Cesare Lombroso coniuga le teorie degli antichi testi di fisiognomica e le teorie evoluzionistiche di Charles Darwin33, esamina e descrive in modo schematico e coerente gli stereotipi di corpi deformi e comportamenti devianti di uomini di colore, ebrei, zingari, prostitute, ladri, stupratori, pedofili, omicidi,… giungendo alla erronea convinzione che qualsiasi comportamento criminale o semplicemente bizzarro appartiene ad individui simili, per aspetto e comportamento, all’uomo primitivo.

Se in Tersite aspetto repellente e bassezza morale si coniugano alla perfezione, come anche, per esempio, nel traditore Efialte, che il film 30034 ci propone deforme, gobbo e dal cranio calvo e bitorzoluto, oggi sappiamo che la gobba e le altre deformità del corpo potrebbero essere conseguenza di una spondilite tubercolare35, affezione rilevata anche negli scheletri di alcune mummie egizie e della quale hanno sofferto personaggi noti e di grande spessore

32 Giovan Battista Della Porta, La fisonomia dell’huomo et la celeste, Venezia, presso li eredi di Gio. Battista

Combi, 1652; disponibile online per la lettura la copia del testo conservata presso il Monastero di Monserrat (Barcelona); https://books.google.it/books?id=sA1QG0Y70JkC; Libro II, pp.123 -124.

33 Charles Darwin, L’origine della specie (1859), a cura di G. Pancaldi, Rizzoli, Milano 2009.

L'idea che gli esseri viventi abbiano trovato origine in forme elementari primordiali, dalle quali si sarebbero poi sviluppate per gradi le specie attuali, si ritrova, variamente abbozzata, nella storia del pensiero dai greci in poi: ma solo con Charles Darwin questa intuizione raggiunge una struttura sistematica e una fisionomia definita

34 300: film del 2007, diretto da Zack Snyder è il racconto semi-storico della battaglia delle Termopili (480 a,C.)

Secondo la tradizione erodotea, Efialte avrebbe mostrato alle truppe di Serseil passaggio attraverso il quale esse accerchiarono Leonida. Il nome Efialte, che in greco antico significa incubo, è diventato epitetoper traditore.

35 Spondilite: (dal gr. σπόνδυλος "vertebra"). - Significa infiammazione delle vertebre. Tra le infezioni che

possono localizzarsi nella colonna vertebrale, di gran lunga più frequente è quella tubercolare; perciò solitamente col nome di spondilite s'intende la tubercolosi vertebrale, detta anche male di Pott; www.treccani.it

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come, solo per citarne alcuni, G. Leopardi, A. Moravia, A. Gramsci, I. Gandhi.

Per la forma della testa si può pensare invece che si trattasse di dolicocefalia36 o di acrocefalia (testa a torre)37.

A sconfessare la credenza che presso gli antichi associava a quest’ultima un particolare carattere negativo, un celeberrimo esempio è in Pericle. Come leggiamo in Plutarco, gli scrittori attici chiamavano lo statista schinocefalo cioè testa di cipolla marina e gli scultori, per non offenderlo, nascondevano sotto l’elmo il suo capo allungato e sproporzionato e tuttavia oltre a dolcezza (πραότης) e senso della giustizia (δικαιοσύνης) egli possedeva:

una forma di pensiero elevato e un modo di esprimersi sublime e immune da scurrilità bassa e plebea, ma pure la fermezza dei lineamenti, mai allenati al sorriso, la grazia del portamento, un modo di panneggiare la veste che non si scomponeva, per quanto potesse commuoversi parlando, una tonalità di voce inalterabile e altri simili atteggiamenti, che riempivano di stupore chiunque lo avvicinava.38

Della bruttezza di Esopo si legge in Erodoto e in Plutarco ma dai componimenti, ben 500, che a lui vengono attribuiti emerge una profonda saggezza popolare. Le sue favole sono popolate di animali, ma Esopo è all’uomo che si rivolge secondo una morale prevalentemente pratica volta alla difesa dei deboli contro la prepotenza dei potenti e alla condanna della stupidità.

L’orizzonte culturale di Socrate è ancora quello in cui si mostra particolare attenzione alla bellezza, soprattutto a quella maschile, e si considerano qualità etiche ed estetiche fra loro connesse.

36 dolicocefalia: conformazione del cranio caratterizzata da accentuata prevalenza del diametro della lunghezza

su quello della larghezza; www.treccani.it

37acrocefalia : abnorme conformazione del cranio umano caratterizzata da un’esagerata altezza della volta (cranio

a torre) e conseguente alla saldatura precoce della sutura coronale; si accompagna talora ad altri disturbi (atrofia dei nervi ottici ecc.); www.treccani.it

38 Plutarco, Vite parallele. Pericle e Fabio Massimo, trad. it. di Anna Santoni, BUR, Milano 1991; Per.5,1.

Plutarco riporta anche i versi dei commediografi Cratino, Teleclide ed Eupoli che beffeggiavano Pericle per la particolare forma del suo cranio.

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Gli occhi sporgenti, il naso piatto e rincagnato, la bocca grande, il grande filosofo non è certo avvenente e come fisicamente brutto lo descrivono i suoi contemporanei Platone (Simposio 215 B-C), Senofonte (Simposio, IV,197) e Aristofane (Le nuvole). In riferimento a quanto si legge in Platone, il filosofo francese Pierre Hadot scrive:

Alcibiade paragona Socrate a quei Sileni che nelle botteghe degli scultori servono da contenitori per le raffigurazioni degli dèi. Così, l'aspetto esteriore di Socrate, l'apparenza quasi mostruosa, brutta, buffonesca, impudente, non è che una facciata, una maschera.39

Una maschera, quella di Socrate, che nasconde, come è noto, una bellezza ben più preziosa di quella esteriore.

Un esempio moderno viene da Ferdinando I d’Austria (1793-1875) la cui testa, che nel ritratto del 1840 ad opera di Francesco Hayez presenta una impressionante prominenza, costituì ampia materia per i disegnatori satirici, ma:

basso, magro, malaticcio, affetto sin dalla nascita da una serie di scompensi che gli conferiscono un aspetto sgradevole ed un'espressione ebete, oltre a limitazioni mentali. […] nonostante tutto ciò, apprende diverse lingue straniere, impara a suonare il pianoforte e studia con passione e profitto araldica, agricoltura e tecnica. […] durante tutto il suo regno ha firmato una sola condanna a morte: persino il capitano Franz Reindl, che il 9 agosto 1832 attenta alla sua vita, viene da lui graziato e la sua famiglia sostenuta economicamente durante il periodo di carcerazione. Per queste sue qualità la gente ama definirlo "Ferdinando il Buono".40

Tersite rappresenta certamente un personaggio atipico nel panorama omerico popolato essenzialmente da eroi e da divinità, non c’è da stupirsi che persino la sua fine sia da sempre oggetto di discussione. Tra le numerose leggende, quella nell’Etiopide41 di Arctino di Mileto racconta che Meleagro lo scaraventò giù da un’altura considerandolo un vile poiché durante la caccia al

39 Pierre Hadot, Elogio di Socrate, Il Nuovo Melangolo, Genova 1999, p.13.

40 http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2683&biografia=Ferdinando+I+d%27Austria

41 L’opera è andata perduta, la leggenda della morte di Tersite si legge nella Crestomazia di Proclo, epitomata da

Fozio, in Thomas W. Allen, Homeri opera, Oxonii 1912; tomus V (Proculi poemarum cyclicorum enarrationes), p.105; in https://archive.org/details/homeriopera05home

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cinghiale calidonio42, cui entrambi partecipavano, Tersite sarebbe fuggito. Nei Posthomerica (Τὰ μεϑ' Ὅμηρον) di Quinto Smirneo si legge che Tersite43 era figlio di Agrio, fratello di Eneo, e che, scampato alla strage in cui morirono i suoi fratelli per mano di Diomede suo cugino, venne poi ucciso da Achille. La leggenda narra che Achille, dopo aver ucciso Pentesilea, regina delle amazzoni alleata dei Troiani, se ne innamorò perdutamente e ottenne che non si facesse scempio del corpo della donna. Tersite allora, non solo derise Achille accusandolo di necrofilia, ma, in segno di disprezzo, oltraggiò il cadavere dell’amazzone cavandogli un occhio con la lancia. Achille reagì sferrandogli un violento pugno che ne causò la morte:

[…] ed altamente

Achille s’affliggea, là su la rena Mirando l’amorosa e forte donna. Né men fero dolor l’animo interno Di quello a lui rodea, che provò quando Patroclo, a lui sì caro, estinto giacque. Onde Tersite a lui fattosi avanti Con acerbo parlar tale il riprese: Achille, o forsennato! […] Tal con agre rampogne egli dicea, Onde contro di lui d’ira s’accese Del figlio di Peléo l’alma superba: Ed alzando la man grave e robusta Sotto l’orecchio a lui ferío la gota, Onde tutti i suoi denti al suol cadéro; Poscia col volto in giù ricadde egli anco. In copia dalla bocca il sangue uscìo; Quinci dell’uom vilissimo ed indegno Dalle membra fuggì l’anima imbelle44

Secondo Licofrone, invece, Achille uccise Tersite trapassandolo con la lancia:

[…] la serva della vergine veloce - mitra di bronzochequell’Etolo,

42 Nella mitologia greca, il cinghiale calidonio è una bestia di grande possanza antagonista di grandi eroi in molti

miti. Anche Omero racconta che fu ucciso da Meleagro: Iliade, IX 543 – 546.

43 Sul mito di Tersite si legga anche Robert Greaves, I miti greci (Greek Myths, 1955), trad. di Elisa Morpurgo,

Ed.CDE su lic. Longanesi & C., Milano 1991, p.627.

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29 simile a una scimmia,essere rovinoso,

colpì in un occhio mentre esalava l’ultimo respiro e incontrò la sua fine squartato dalla lancia micidiale.45

Questa seconda versione troverebbe conferma nella Tabula Iliaca46 (I sec. a.C.), bassorilievo conservato presso il Museo Capitolino, che raffigura Achille con il braccio destro armato di lancia e alzato nell’atto di trafiggere Tersite.

L’azione di Achille avrebbe inaspettatamente suscitato lo sdegno degli Achei al punto da costringere l’eroe a compiere un sacrificio ad Apollo, Artemide e Latona.

Se ne deduce che, essendo figlio di Agrio, Tersite aveva nobili natali e dunque sarebbe stato suo diritto parlare nell’Assemblea. Tuttavia, poiché non era nella condizione di combattere, nessuno dei privilegi degli ἀγᾰθοί gli apparteneva. Forse per questo Odisseo potè permettersi di metterlo in ridicolo e addirittura di bastonarlo tra le risate generali sebbene la sua invettiva contro Agamennone avesse forti accenti di verità. D’altronde i sentimenti cui Tersite aveva dato voce erano largamente diffusi tanto che Odisseo:

Chiunque poi del volgo vedeva e trovava a urlare, con lo scettro batteva, con parole sgridava47

Non sarebbe dunque trascurabile l’ipotesi che Tersite fosse uno di quel volgo se non fosse certo che era apparentato con Diomede. Il filologo Giorgio Pasquali vede Tersite come:

45 Licofrone, Ἀλεξάνδρα (III sec. a.C.); Alessandra, trad. it. di V. Gigante Lanzara, BUR, Milano 2000; vv. 999 –

1002.

46 Il termine tabula iliaca fu impiegato per la prima volta da Lorenz Beger nell‛opera Bellum et excidium Trojanum

nel 1699, a proposito della più grande e più celebre delle tavole iliache, la Tabula Capitolina, rinvenuta presso Bovillae nel 1683, ora nei Musei Capitolini, con scene della guerra di Troia secondo l‛Iliade, l‛Etiopide, la Piccola Iliade, l‛Ilioupersis. Cosi per convenzione, dal XVII e soprattutto dal XVIII secolo, il nome “tavola iliaca” fu esteso a tutta una serie di bassorilievi di prima età imperiale, in miniatura con iscrizioni greche, che illustrano opere letterarie, epiche, con suddIvisione delle scene in zone sovrapposte, spesso separate da listelli o cornici.Da Le Tabulae Iliacae: studio per una nuova edizione ; Scuola Normale Superiore di Pisa (Laboratorio di Storia, Archeologia e Topografia del Mondo Antico).

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[…] il plebeo riottoso, che vuole in qualunque caso e a qualunque costo opporsi ai notabili, e si serve ai suoi fini di certo spirito di bassa lega48

Antonio La Penna nel suo Tersite censurato ci fa notare che perfino il grande Virgilio prende spunto dal personaggio omerico per costruire quello di Drance, ma non pone Tersite nell’Eneide:

Il Tersite omerico è solo il punto di partenza per l’elaborazione di un personaggio più complesso e più moderno. Come Tersite egli è abile parlatore e cattivo guerriero; come Tersite egli si oppone all’eroe nobile e valoroso e sfrutta i bassi istinti del volgo per fomentare la rivolta contro i capi, per turbare l’ordine e distruggere le gerarchie.49

Secondo La Penna:

Virgilio, come elimina quasi completamente il realismo alessandrino di Teocrito o di Apollonio, così elimina il realismo omerico50

e dunque elimina Tersite che:

si presenta come il primo esempio greco di ritratto realistico51

ma soprattutto è nell’esperienza e nei sentimenti politici che Virgilio modella in Drance il proprio ideale negativo di demagogo:

Virgilio tende ad eliminare il plebeo ribelle, insolente, deforme; ma le tracce di Tersite sono ancora visibili nell’homo novus demagogo, seditione potens, divenuto senatore autorevole52

La tendenza a preferire Drance, demagogo vile e fazioso, ma pur sempre appartenente all’élite politica, a Tersite, plebeo ribelle, rissoso e deforme, si manifesterà in modo rilevante in epoca cinquecentesca a causa del rifiuto del realismo crudo generato dalla eccessiva cura di Omero per i dettagli:

La preoccupazione del decoro classicistico coincide col rispetto del prestigio delle corti, che va salvato anche quando si tratta di corti

48 Giorgio Pasquali, Omero, il brutto e il ritratto (1940) in Pagine stravaganti, Sansoni, Firenze 1968; vol. II,

p.114.

49 Antonio La Penna, Tersite censurato e altri studi di letteratura tra antico e moderno, Nischi-Lischi, Pisa 1991,

p.130.

50 Ibidem, p.131. 51 Ivi.

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nemiche, giacchè tra le aristocrazie dei vari paesi esiste una solidarietà di classe, che ideologicamente si richiama al fondo comune dell’etica cavalleresca, capace di dare una certa unità di valori, di norme, di costumi: un consigliere di corte può essere ambiguo, invidioso, infido, ma non può essere un plebeo facinoroso.53

Al contrario, il filosofo Fernando Savater considera Tersite il campione di una prima forma di democrazia:

Tersite, uomo del popolo, contesta dal “basso” i capi aristocratici, osa prendere la parola ed esporre le sue ragioni per convincere i compagni ad abbandonare Agamennone, usa il diritto di parola nella convinzione che esso competa a tutti i Greci, senza distinzione di classe, perché tutti gli individui devono avere lo stesso voto e lo stesso peso nelle scelte politiche.54

Tersite, che osa parlare da pari a pari ai capi, sembra infatti dare voce ad una morale pericolosamente diversa da quella aristocratica. L’azione risoluta di Odisseo serve a ristabilire con forza la superiorità morale e politica degli aristocratici, di quella autorità regale ormai, si sa, vicina al declino. Non ci sono dei che accorrano, come per Achille, in aiuto di Tersite né egli può godere della solidarietà degli altri che, pur oppressi da pensieri simili a quelli del nostro personaggio (benché afflitti), ridono di lui. Tersite, che non può competere con gli eroi nemmeno dialetticamente, appare più simile ad un grasso e tozzo Sancho Panza che ad un pacifista ante litteram. Egli non possiede dignità di profeta e il suo intervento assume senso di intermezzo comico, grazie anche al fatto che Odisseo usa lo scettro, oggetto finemente decorato e soprattutto simbolo dell’autorità e del potere, come corpo contundente, come volgare bastone. Relegato in una triste condizione di solitudine, lo stesso Tersite rimane confinato inevitabilmente nello spazio del comico.

53 Ibidem, p.150.

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Neppure il pianto gli permette di apparire tragico: Tersite con “aria stupida si rasciugò la lacrima” perciò la sua lacrima non desta commozione, mentre forte è l’emozione per Odisseo che, di fronte al vecchio cane Argo morente che mostra di averlo riconosciuto, “voltandosi, si terse una lacrima”.55 Il gesto dei due uomini è lo stesso, ma nel vasto panorama omerico anche la dignità del pianto, così come il vigore delle imprese e dei corpi, appartiene ai veri eroi. A lungo singhiozza Achille per la morte di Patroclo e tra le lacrime Antiloco si prende cura di lui temendo un suo gesto inconsulto (Il. XVIII, 70; 32-34). Emblematico è il pianto di Achille e di Priamo (Il. XXIV, 507-512). Sull’isola di Calipso, colme di nostalgia sono le lacrime di Odisseo (Od., V, 81-84) che piange anche alla corte dei Feaci riconoscendo la propria storia nelle parole dell’aedo Demodoco (Od., VIII, 521-522) o quando, tornato ad Itaca, abbraccia il figlio (Od., XVI, 190-191) e la moglie (Od., XXIII, 231-232).

In Omero, le lacrime non sono prerogativa dei personaggi femminili. Che sgorghino dall’ira per un sopruso subito, dal dolore per la perdita di un amico o di un congiunto, dalla nostalgia, dalla disperazione o dalla commozione, le lacrime non sviliscono coloro cui è riservata la gloria e dunque, molto spesso, anche la morte.

L’eroe, per quanto grande sia, è pur sempre un uomo e, in quanto tale, consapevole della propria fragilità. Achille piange la fine di Patroclo e in essa prefigura la propria a causa di una guerra che da una parte lo nobilita e dall’altra gli offre un destino di morte. Nella scena in cui anche i cavalli immortali di Achille piangono la morte di Patroclo, loro auriga, più evidente appare la contrapposizione tra il destino degli

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immortali e quello tragicamente finito dell’uomo, tanto che Omero fa dire a Zeus:

No, non c’è nulla più degno di piantodell’uomo, fra tutto ciò che respira e cammina sopra la terra.56

Censore delle lacrime sarà invece Platone che le riterrà assolutamente inadatte all’uomo del proprio tempo in niente più somigliante al modello dell’eroe omerico:

Giustamente dunque sopprimeremo i lamenti per gli uomini illustri e li lasceremo alle donne, anzi nemmeno alle donne serie; e degli uomini a quanti siano dappoco, affinché ci facciano nascere lo sdegno d'una simile condotta in coloro che diciamo di voler allevare a custodia del paese [...] E perciò di nuovo chiederemo ad Omero e agli altri poeti che non rappresentino Achille, il figlio di una dea, "ora sul fianco giacente, ed ora invece supino, ed ora anche prono", che a volte si leva in piedi con l'animo agitato, errando sul lido del mare infaticabile e prende a due mani la nera polvere per cospargersene il capo, e neppure ch'egli prorompa in tutti quei pianti e lamenti, come poetò Omero, e neppure che Priamo, di stirpe quasi divina, e supplichi e si rotoli nel fango, e gli uomini tutti invochi ad uno ad uno per nome.57

Al contrario Omero nega il privilegio delle lacrime solo a chi non può cingersi di gloria, solo all’uomo comune, e Tersite lo è.

56 Omero, Iliade, op. cit. ; XVII, 446-447.

57 Platone, Tutte le opere, a cura di G. Pugliese Carratelli, Sansoni, Firenze 1974; La Repubblica, III, (387e -

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V

T

ERSITE OLTRE

O

MERO

Nonostante molti concordino con Omero nell’attribuirgli le caratteristiche più spregevoli, il personaggio di Tersite ha avuto grande fortuna nella tradizione letteraria occidentale sin dai tempi più antichi. Già nel IV sec. a. C., Cheremone, uno dei precursori delle tendenze poetiche della produzione ellenistica, gli dedicò un intero dramma dal titolo, appunto, Tersite. Nel Filottete di Sofocle leggiamo:

FILOTTETE: […[Per questo

chiederti voglio che ne sia d'un uomo turpe, ma furbo, e di lingua sacrilega. NEOTTOLEMO:

E di chi parli mai, se non d'Ulisse? FILOTTETE:

Di lui non parlo; ma un Tersíte c'era, che non potea, quand'anche protestassero tutti, star pago a un sol discorso. Or vive? NEOTTOLEMO:

Visto non l'ho; ma udito ho dir che vive. FILOTTETE:

Di certo, sí: ché niun malvagio mai giunge a rovina; n'han tutela i Dèmoni.58

Platone, nel Mito di Er, annovera Tersite tra le anime che possono scegliere un’altra vita e gli assegna addirittura la natura di scimmia:

Meritava poi vedere, diceva, come le singole anime sceglievano le loro vite. […]Diceva d’avere veduto[…]lontano, tra gli ultimi, quella del buffone Tersite penetrare in una scimmia.59

Ritroviamo Tersite in ben due opere di Luciano di Samosata, Storia vera60 e Dialoghi dei morti61. Nella prima lo vediamo perdente contro Omero, cui ha intentato causa per diffamazione, in un parodistico

58 Sofocle, Filottete (409 a.C.), trad. it. di E. Romagnoli, Nicola Zanichelli editore, Bologna 1926; vv. 438-447. 59 Platone, op. cit.; La Repubblica, X, 620 a-c.

60 Luciano di Samosata, Storia vera (II sec. d.C.) in Tutti gli scritti a cura di D. Fusaro. trad. it. di Luigi

Settembrini (testo greco a fronte), Bompiani, Milano 2007.

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processo dal finale scontato visto che a difendere il poeta è Odisseo. Nella seconda, più benevolmente, ottiene la parità con Nireo, il più affascinante dopo Achille, che lo ha sfidato in una gara di bellezza. Ci troviamo infatti nell’Ade e, come afferma Menippeo che fa da giudice, l’Orco agguaglia tutti, fa tutti simili.

La figura di questo brutto e cattivo appare anche in autori latini. È Ovidio che nelle sue Metamofosi fa dire ad Odisseo:

[…] ausus erat reges incessere dictis

Thersites etiam, per me haud impune protervus.62 […] eppure persino Tersite osò parlare e insolentire i re, anche se a quel protervo gliela feci pagare io, proprio io.

Seneca nel De ira paragona Tersite per insolenza a Democare, il Parrhesiastes, e Giovenale ne fa un modello di ascendenza dubbia e ignobile nella satira indirizzata all’amico Pontico:

Malo pater tibi sit Thersites, dummodo tu sis Aeacidae similis Vulcaniaque arma capessas, quam te Thersitae similem producat Achilles.63 Preferirei che Tersite tuo padre fosse, purchè

ad Achille somigliassi e le armi di Vulcano tu brandissi, piuttosto che simile a Tersite generato Achille t’avesse. (tdr)

Quintiliano sottolinea l’arroganza di Tersite il quale usa parole che meglio si addirebbero ad un animo nobile:

Verba adversus Agamemnonem a Thersite habita ridentur: da illa Diomedi aliive cui pari, magnum animum ferre prae se videbuntur.64 Le parole di Tersite contro Agamennone destano il riso, ma affidale a Diomede o a qualche altro suo pari, ed ecco saranno prova di grande coraggio. (tdr)

62 Ovidio, Metamorfosi, trad. it. di Ferruccio Bernini, Zanichelli. Bologna 1949; XIII, 232 – 233 (Contesa tra

Ulisse e Aiace per le armi di Achille; prima pubblicazione 8 d.C.

63 Decimo Giunio Giovenale, Satire, trad. it. di Ugo Dotti, Feltrinelli, Milano 2013; VIII, 269 -271.

(ed. originale tra il 101 e il 132 d.C.).

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Anche Aulo Gellio condanna la futilis inanisque loquacitas di Tersite e, con gli stessi epiteti usati da Omero, lo definisce eterno parlatore e chiacchierone:

Neque non merito Homerus unum ex omnibus Thersitam ἀμετροεπῆ e ἀκριτόμυθον appellat verbaque illius multa et ἄκοϭμά strepentium sine modo graculorum similia esse dicit.65

Giustamente Omero chiama Tersite unico fra tutti eterno parlatore e chiacchierone e dice che le sue parole sono molte e sgregolate simili all’infinito strepito delle cornacchie. (tdr)

Questi sono solo alcuni dei numerosi autori che nei secoli hanno scritto sul nostro personaggio o lo hanno semplicemente citato in paragoni quasi sempre scarsamente edificanti. Nel 1530, viene pubblicato, postumo, Dialogi aliquot studiosae iuventuti utiles et jucundi di Jean Textor, al secolo Jean Tixier de Ravisi66. Porta il titolo Thersite il dialogo in cui il personaggio omerico viene trasformato in maschera teatrale con tratti molto simili a quelli del miles gloriosus plautino. Tersite rimane uno sbruffone, un fanfarone pieno di sé che :

[…] défie le monde entier, hommes, bêtes sauvages, monstres de toute sorte. Si ce n'est que, quand un escargot se présente à lui avec ses cornes dangereuses, Thersite se garde bien de l'attaquer, et se borne à proférer des menaces, en affirmant qu'il lui faut chercher un ennemi dans d'autres parages. Et quand un vrai soldat le provoque en duel, le fanfaron court se réfugier dans les bras de sa mère. « Mère, mère, protège-moi de ton grand manteau ! reçois-moi dans ton sein ».67 […] sfida tutti, uomini, bestie, mostri di ogni genere. Sennonché, quando una lumaca gli si presenta con le sue corna pericolose, Tersite si guarda bene dall’attaccarla, e si limita a proferire minacce, affermando che deve trovare un nemico in altro luogo. E quando un vero soldato lo provoca al duello, quello spaccone corre a rifugiarsi tra le braccia di sua madre. «Mamma, mamma, proteggimi con il tuo grande cappotto! Accoglimi sul tuo seno». (tdr)

65 Aulo Gellio, Noctes Atticae, a cura di Giorgio Bernardi-Perini, UTET Libreria, Torino 2007; I,15,11

(opera databile al 159/170 d.C).

66 Jean Tixier de Ravisi, mieux connu sous le nom latin de Ravisius Textor, savant humaniste,

professeur de rhétorique au Collège de Navarre et Recteur de l'Université de Paris en l'an 1500; citato in Luigi Spina, L'homme qui vécut soixante-sept vers (Thersite dans la littérature antique et moderne), Bulletin de l'Association Guillaume Budé, n°3, octobre 2001, p.282.

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Nei primi anni del 1600, scopriamo Tersite anche sulla scena shakespeariana in Troilo e Cressida, un dramma in cui la guerra viene presentata per quello che è: un gioco assurdo in cui non ci sono eroi. Un Tersite estremamente odioso e sguaiato, ma al di sopra delle parti, strappa cinicamente ad ognuno la maschera raccontando il vero da abile fool. Nella piena consapevolezza di sé e fiero della propria diversità rifiuta il ruolo di Menelao:

A me, di diventare un cane, un mulo, un gatto, un rospo, un gufo una lucertola, un bozzàgo, un’aringa dilaccata,

una puzzola, non m’importerebbe. Ma diventare Menelao!… Ohibò! Se mi dovesse capitare tanto, diventerei ribelle al mio destino. Non domandatemi chi vorrei essere, se non fossi Tersite: dico solo non m’importerebbe di mutarmi in un pidocchio in testa d’un lebbroso, pur di non diventare Menelao.68 Ed esce di scena da vile:

MARGARELLONE - (A Tersite, che non s’è accorto di lui, perché sta seguendo con l’occhio i due combattenti)

Vòlgiti, schiavo, e battiti con me. TERSITE - Chi sei?

MARGARELLONE - Un figlio bastardo di Priamo. TERSITE - Anch’io sono bastardo. Amo i bastardi. Io son bastardo nato,

sono bastardo nell’educazione, bastardo nella mente, nel valore, illegittimo, insomma, in ogni cosa. Cane non morde cane; ed un bastardo perché dovrebbe mordere un bastardo? Bada che per due come noi siamo litigare potrebbe portar male. Se un figlio di puttana

si batte per amor d’una puttana, s’attira dannazione. Addio, bastardo! (Esce)

MARGARELLONE - Che ti si porti il diavolo, vigliacco!69

68 William Shakespeare, Troilo e Cressida (1609), testo inglese a fronte, trad. it. di F. Binni, Garzanti, Milano

2007; V,I.

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In tempi più vicini a noi, Umberto Eco vede in Tersite un modello di nemico da intendersi, ancora una volta come sovvertitore:

Talora il nemico è percepito come diverso e brutto perché di classe inferiore. Nell’Iliade Tersite […] è socialmente inferiore ad Agamennone o ad Achille e pertanto invidioso di loro. Fra Tersite e il Franti di De Amicis c’è poca differenza, brutti entrambi: Ulisse percuote a sangue il primo e la società manderà Franti all’ergastolo70 Quel Franti che:

[…] una faccia tosta e trista, […]

È malvagio. […] Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, […] ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno71

E Tersite entra, secondo Eco, nell’universo dei portatori di bruttezza dovuta alla loro posizione sociale, simile a Rosso Malpelo che per i suoi compaesani:

si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone.[…] Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. […] lo sapevano maligno e vendicativo. […] i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi.72

Jules Lemaître (1853-1914), scrittore, critico letterario e accademico di Francia, pubblica nel 1905 En marge de vieux livres73, una sorta di prosecuzione dell’Iliade e delle imprese dei personaggi omerici tra i quali compare naturalmente anche un Tersite dominato dal desiderio di vendetta. Ogni suo tentativo risulterà fallimentare e lo vedremo più volte bastonato fino a quando Patroclo, invece che punirlo, lo inviterà a diventare migliore e insieme a lui rifletterà sulla caducità della vita e sulla potenza della morte che eguaglia, un concetto ben esplicitato in Luciano di Samosata e che Tersite mostra di comprendere:

70 Umberto Eco, Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Bompiani, Milano 2012, pp.21-22. 71 Edmondo De Amicis, Cuore (1886), Newton Compton, Roma 2016, pp.34-88.

72 Giovanni Verga, Rosso Malpelo in Vita dei campi (1880), TEA, Milano1993, p.219.

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