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Alterazione della regolazione emotiva in pazienti adulti con Disturbo del deficit di Attenzione/Iperattivià: una prospettiva di Neurosviluppo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Medicina e

Chirurgia

TESI DI LAUREA

ALTERAZIONE DELLA REGOLAZIONE EMOTIVA IN PAZIENTI ADULTI CON DISTURBO DEL

DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITA’: UNA PROSPETTIVA DI NEUROSVILUPPO

Candidata:

Relatore:

Alessandra Chiellini

Prof. Giulio Perugi

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INDICE

1.

Introduzione...3

1.2. ADHD nell’adulto...10

1.2. Disregolazione emotiva nell’ADHD...27

2. Scopo dello studio...46

3. Materiali e metodi...47

3.1. Campione...47

3.2. Raccolta dei dati...48

3.3. Strumenti di valutazione...49 3.4. Analisi statistiche...54 4. Risultati...55 5. Discussione e conclusioni...68 6. Limiti...79 7. Tabelle...80 8. Bibliografia...87

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1. Introduzione

Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione/Iperattività (ADHD), è un disturbo del neurosviluppo che, come tale, esordisce precocemente durante l’infanzia ed è caratterizzato due aree sintomatologiche principali: da un lato i sintomi d’inattenzione, dall’altro quelli d’iperattività e impulsività. Il corteo sintomatologico presentato da questi bambini, ha un’influenza negativa sul loro funzionamento globale, determinando conseguenze rilevanti a livello familiare e sociorelazionale (APA 2013).

I pazienti affetti da ADHD, infatti, presentano spesso una peggiore qualità della vita, rispetto alla popolazione generale, a causa dell’impatto negativo che i sintomi comportano soprattutto sul piano relazionale, educativo e lavorativo (Asherson et al.2012, Cox et al.2011, Klassen et al. 2010, Kooij et al 2010). Inoltre, altre caratteristiche che si riscontrano nei soggetti con l’ADHD sono disregolazione emotiva (Barkley and Murphy 2010, Corbisiero et al.2013, Martel 2009, Retz et al. 2012, Surman et al. 2011) e instabilità umorale (APA 2000, Di Nicola et al.2014).

Studi clinici ed epidemiologici hanno mostrato come questi pazienti siano maggiormente a rischio di sviluppare altri disturbi psichiatrici, tra cui disturbi d’ansia, disturbi dell’umore e disturbi da uso di sostanze (Bernardi et al. 2012, Bierderman et al.1991, Bierderman et al 2006, Elkins et al. 2007, Kessler et al 2006).

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A oggi, l’ADHD è una delle più frequenti malattie mentali riscontrate in ambito educazionale e della salute mentale, sia nell’infanzia sia nell’adolescenza, con conseguenti elevati costi sia per l’individuo sia per la società (Matthies and Philipsen 2014, Pelham et al. 2007).

Come gli altri disturbi del neurosviluppo, l’ADHD ha il suo esordio nell’infanzia, ma può persistere anche nell’età adulta. Molti studi hanno mostrato che i sintomi di ADHD persistono nell’età adulta con percentuali variabili dal 10% al 60% dei casi (in base al tipo di studio e ai criteri diagnostici utilizzati) (Barkley et al. 2002). Lo studio “The National Comorbidity Survey” ha mostrato come il 36% degli adulti cui era stato diagnosticato l’ADHD nell’infanzia, presentasse ancora tale sintomatologia anche nell’età adulta (Di Nicola et al. 2014, Kessler et al. 2006). Il fatto che l’ADHD spesso persista e si ritrovi anche nell’età adulta (Bramham et al. 2012, Mannuzza et al. 2003), suggerisce che non soltanto i pediatri o i neuropsichiatri infantili, ma anche le altre figure professionali dell’ambito medico, hanno un’elevata probabilità di incontrare pazienti con ADHD durante l’esercizio della loro professione (Bernardi et al. 2012).

E’ importante sottolineare come la presentazione clinica dei pazienti con ADHD sia eterogenea e multiforme, con caratteristiche estremamente variabili per quanto riguarda la gravità del disturbo e la sintomatologia stessa da paziente a paziente.

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In altri termini, l’ADHD potrebbe essere concettualizzato come un disturbo caratterizzato da un continuum sintomatologico (Matthews et al.2014), in cui la traiettoria evolutiva e l’andamento del disturbo nel tempo dipendono da vari fattori tra cui la gravità del disturbo stesso, la presenza di una o più comorbidità (fisiche, neurologiche e psichiatriche) e il contesto socioeconomico e relazionale.

Infatti, secondo le variabili suddette e delle capacità residue individuali, i soggetti con ADHD possono sviluppare meccanismi compensatori tali da permettergli di raggiungere anche un normale funzionamento, con livelli discreti di adattamento nella sfera sociale, familiare e lavorativa. E' frequente però osservare un’evoluzione sfavorevole del disturbo, soprattutto quando non curato, con un incremento della conflittualità intra familiare, marcate difficoltà nelle relazioni sociali (Able et al.2007, Barkley et al. 2006), guida irresponsabile con una maggior probabilità d’incidenti, maggiore probabilità di incorrere in traumi e problematiche di ordine legale (Barkley et al. 1993, Swensen et al. 2004), abuso di sostanze (alcol, droghe e tabacco), ridotti livelli d’istruzione, scarso rendimento lavorativo (Kesseler et al. 2009, Mannuzza et al 1993) ed elevati costi sanitari (Leibson et al. 2001, Meyers et al. 2010, Bernardi et al. 2012).

Alcune volte, la diagnosi di ADHD non è immediata, poiché non chiara e ben definibile, con conseguente ritardo nella diagnosi del disturbo, specialmente nei casi in cui l’ADHD si manifesta con sintomi non caratteristici e tipici, ad

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esempio sintomi psichiatrici come inquietudine/irrequietezza motoria, instabilità emotiva, bassa autostima e disturbi del sonno.

Da notare che nella maggior parte dei casi, l’ADHD nell’adulto si presenta associato ad altri disturbi psichiatrici, in particolare disturbi affettivi (d’ansia e dell’umore) e disturbi da uso di sostanze (Murphy e Barkley 1996, McGough et al.2005, Biederman et al.2006, Kessler et al. 2006, Fayyad et al. 2007, Cumyn et al 2009). Anche i disturbi di personalità sono stati spesso riscontrati in questo tipo di pazienti ed è stato visto che il rischio di sviluppare un disturbo di personalità del Cluster B nella tarda adolescenza, è incrementato nei bambini che presentano l’ADHD (Miller et al.2008, Distel et al 2011).

Tra i disturbi psichiatrici maggiormente associati riscontriamo sicuramente il Disturbo Bipolare e il Disturbo Borderline di Personalità (Atmaca et al. 2009, Kent e Craddock 2003, Klassen et al.2010, Scheffer 2007, Skirrow et al.2012, Philipsen 2006, Philipsen et al.2009)

La presenza di tale comorbidità può risultare un effetto patoplastico sul disturbo stesso (precoce sviluppo del disturbo bipolare, aumentato rischio di abuso di sostanze, maggiore numero di episodi maniacali).

Tutto questo contribuisce al ritardo nella corretta diagnosi dell’ADHD in quanto la sintomatologia dell'ADHD è mascherata dai disturbi concomitanti (Wingo e Ghaemi 2007).

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La comorbidità inoltre, sembra essere responsabile di una maggior resistenza ai comuni trattamenti psichiatrici, che spesso è il motivo per cui molti pazienti si rivolgono al medico.

Negli adulti che presentano un disturbo bipolare, la prevalenza della comorbidità con ADHD varia significativamente (Bond et al. 2012).

Nello studio “The National Comorbidity Survey” è stato visto che il 21% dei pazienti affetti da disturbo bipolare, presentano anche l’ADHD (Kessler et al. 2006, Di Nicola et al. 2014). Molti studi mostrano come nei pazienti con disturbo bipolare e storia di ADHD nell’infanzia, il disturbo bipolare presenti un’insorgenza precoce (già in età infantile) e una maggior gravità sintomatologica, in particolare una maggior ricorrenza degli episodi affettivi, un maggior numero di tentativi di suicidio, maggiori livelli di aggressività, aumentato rischio di abuso di sostanze e una maggior probabilità di soffrire di disturbi d’ansia (Nieremberg et al. 2005, Sachs et al. 2000, Di Nicola et al. 2014).

Tuttavia, è ancora controversa la relazione esistente tra disturbo bipolare e ADHD in comorbidità, non sapendo se si tratti di un artefatto diagnostico, oppure di una reale specifica dimensione clinica (Wingo et Ghaemi 2007).

Infatti, sono numerosi i pazienti con ADHD, che presentano una marcata instabilità emotiva caratterizzata da una marcata difficoltà nella gestione delle emozioni in relazione a stimoli di natura sia interna che esterni. Una particolare difficoltà è presente nel controllo sentimenti negativi quali la rabbia e la

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frustrazione, con problemi importanti nella gestione dell’impulsività e dell’aggressività. C’è quindi in questi pazienti una sorta di disturbo dell’affettività, che può essere descritto più propriamente con il termine di Disregolazione Emotiva (Emotional Dysregulation) (Able et al. 2007, Barkley and Fischer 2010, Reimherr et al. 2005, Reimherr et al. 2007, Surman et al. 2013, Corbisiero et al.2012).

I sintomi di disregolazione emotiva sembrano contribuire sia alla gravità della sintomatologia dell’ADHD nell’adulto sia alle comorbidità associate (per esempio disturbi del sonno e del ritmo circadiano, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbo oppositivo provocatorio) oltre che a essere un’importante fonte di compromissione in vari ambiti della vita di questi pazienti (Reimherr et al. 2005, Reimherr et al. 2007, Reimherr et al. 2010, Barkley and Murphy 2010, Robison et al. 2008, Corbisiero et al. 2012, Wehmeier et al. 2010)

La disregolazione emotiva però non si riscontra solo nei pazienti con ADHD, bensì è spesso presente anche in altri disturbi psichiatrici, in particolare nel disturbo Bipolare e nel disturbo Borderline di personalità (Dadomo et al. 2016), che sono, infatti, le patologie più frequentemente associate all’ADHD nell’adulto, condividendo con questo molti aspetti sintomatologici. Per questa ragione è stata ipotizzata l’esistenza di un comune substrato patogenetico tra questi disturbi (Philipsen et al. 2008, Perroud et al. 2014, Wingo e Ghaemi 2007, Baud et al 2011, Lepouriel et al. 2016, Stone 2013). Sebbene ormai sia stata largamente riconosciuta la difficoltà dei pazienti ADHD nella regolazione e

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gestione dei propri stati emotivi, non si è ancora arrivati tuttavia a dare una spiegazione a questo fenomeno da un punto di vista teorico, concettualizzando meglio questo dominio sintomatologico (Shaw et al. 2014).

1.2. ADHD nell’adulto

Durante l’infanzia, l’ADHD si presenta frequentemente associato ad altri disturbi dello spettro “esternalizzante” come ad esempio il disturbo oppositivo/provocatorio e il disturbo della condotta e spesso persiste anche nell’età adulta con conseguente elevato disadattamento sociale, relazionale e lavorativo (APA 2013).

Nel DSM-V sono descritti tre principali tipi di ADHD, in base ai sintomi che predominano: sottotipo inattentivo, sottotipo iperattivo-impulsivo e infine quello misto caratterizzata dalla combinazione dei primi due. Questi tre sottotipi non sono stabili nel tempo, ma anzi, nello stesso bambino possono predominare sintomi di un sottotipo piuttosto che un altro cambiando attraverso gli anni (Lahey et al 2005).

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Nonostante i miglioramenti apportati ai criteri diagnostici, sono stati pochi i cambiamenti sostanziali introdotti col DSM 5. Le due caratteristiche principali del disturbo (inattenzione e iperattività/impulsività) rappresentano ancora i criteri principali per formulare la diagnosi. La letteratura degli ultimi venti anni ha fornito, con forte evidenza, conferma della validità e dell’utilità clinica di queste due aree sintomatologiche che, pur essendo molto correlate, possono predire differenti tipi di disadattamento e avere basi neurofisiologiche distinte (Willcutt et al. 2012, Fair et al. 2013).

In particolare, i sintomi d’inattenzione /disorganizzazione sarebbero maggiormente correlati a problemi di rendimento scolastico, facile distraibilità alla guida e difficoltà di relazione, mentre I sintomi d’iperattività/impulsività, si risulterebbero maggiormente associati a un aumento dell’aggressività, al rifiuto da parte degli altri gli altri e a problematiche legali per comportamenti a rischio (Matthews et al. 2014).

Gli attuali criteri diagnostici del DSM non sono sufficienti a descrivere accuratamente il quadro sintomatologico dell’ADHD nell’adulto. Questo perché sono stati stabiliti per fare diagnosi nell’età infantile senza, quindi, prendere in considerazione la potenziale evoluzione che caratterizza questo disturbo e i cambiamenti cui vanno incontro i sintomi col passare dell’età.

Studi sulla traiettoria della sintomatologia ADHD che hanno preso in esame soggetti con ADHD nell’infanzia fino alla prima età adulta hanno visto come la sintomatologia inattentiva, andava incontro a una minor remissione

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rispetto a quella d’iperattività/impulsività, con il risultato che negli adulti tende a prevalere il sottotipo inattentivo di ADHD (Hart et al. 1995, Biederman et al. 2000, Wilens et al. 2009, Braham et al. 2012).

Inoltre, i criteri diagnostici del DSM 5 non includono quei sintomi che spesso caratterizzano i soggetti affetti da ADHD come ad esempio l’instabilità e reattività emotiva elevata, gli scoppi di rabbia improvvisi, i frequenti e repentini cambi d’umore, ma ne è solo fatta menzione nella sezione cosiddetta “Associated Features”.

Wender e collaboratori (Wender et al. 1981, Wender et al. 2001, Ward et al. 1993) hanno formulato dei criteri più appropriati per la diagnosi di ADHD nell’adulto: “ The Criteria of Utah”. Secondo questi criteri, per far diagnosi di ADHD sono necessari una storia clinica caratterizzata da ADHD in età infantile e una serie di sintomi associati che prendono principalmente come riferimento le sensazioni e le percezioni soggettive dei pazienti piuttosto che i loro comportamenti (Evenden et al. 1999, Davis and Gastpar 2005).

Di seguito i Criteri di Utah: A. IPERATTIVITA’ MOTORIA:

Si manifesta con irrequietezza, incapacità a rilassarsi; nervosismo (inteso come incapacità di stare fermo e non come ansia anticipatoria); incapacità nel sostenere per un lungo periodo attività di tipo sedentario (come guardare un film, la TV o leggere il giornale); agitazione continua; disforia quando presente noia.

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Si manifesta con l’incapacità a mantenere l’attenzione durante una conversazione, con facile distraibilità; difficoltà nella concentrazione durante la lettura o nei compiti da svolgere (“avere la mente altrove”); frequenti dimenticanze (ad esempio si dimenticano gli appuntamenti, smarriscono le chiavi di casa, il portafogli e altri oggetti di maggiore o minore importanza); difficoltà a ultimare i dettagli finali di un progetto etc.

C. LABILITA’ AFFETTIVA:

Solitamente descritta come presente fin da prima dell’adolescenza e in molti casi come presente da sempre. Si manifesta con improvvisi passaggi da una condizione di eutimia ad una di depressione, o di leggera euforia fino all’eccitamento (mania).

La depressione è descritta dal paziente come sensazione di tristezza, noia o scontento; l’anedonia non è presente. Gli sbalzi di umore durano solitamente da qualche ora fino a massimo qualche giorno e si presentano senza motivo e senza significative variazioni neurovegetative. I cambiamenti di umore possono manifestarsi spontaneamente o in relazione ad un avvenimento specifico.

D. TEMPERAMENTO SANGUIGNO ED ESPLOSIONI DI RABBIA IMPROVVISA

Il temperamento è “sanguigno”, esplosivo, per così dire “a basso punto di ebollizione”. Gli attacchi di rabbia di solito sono seguiti da un ristabilirsi altrettanto rapido della condizione di calma.

I pazienti riferiscono che possono avere una transitoria perdita di controllo ed essere spaventati dal loro stesso comportamento; hanno un’irritabilità costante o facilmente provocabile. Questo tipo di temperamento interferisce negativamente con le relazioni personali.

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E. IPEREATTIVITA’ EMOTIVA

I pazienti non riescono a sostenere lo stress quotidiano e reagiscono in maniera eccessiva o inappropriata sviluppando forme di depressione, confusione, incertezza, ansia o rabbia. La risposta emotiva interferisce con la capacità di “problem solving”: questi soggetti sviluppano ripetute crisi nell’affrontare gli stress della vita quotidiana. Si descrivono come persone facilmente “scocciate” e molto “esaurite”.

F. DISORGANIZZAZIONE E INCAPACITA’ A PORTARE A TERMINE I COMPITI

Questi pazienti si caratterizzano per la mancanza di organizzazione nell’eseguire correttamente il loro mestiere, nella gestione familiare e nel portare a termine i compiti scolastici. Gli obiettivi prestabiliti non sono quasi mai portati a termine. I pazienti passano da un’attività a un’altra in maniera caotica e casuale. Hanno difficoltà organizzative, nella risoluzione dei problemi e nella gestione del tempo. Sono soggetti che hanno poca determinazione e si arrendono di fronte alla più piccola difficoltà.

G. IMPULSIVITA’

Manifestazioni minori di questa dimensione sono il parlare prima di pensare a cosa dire, interrompere spesso le conversazioni degli altri; l’impazienza (per esempio durante la guida) e la tendenza a spendere denaro in modo impulsivo.

Le manifestazioni più eclatanti possono essere simili a quelle che si ritrovano negli stati maniacali nel disturbo di personalità antisociale, per esempio il basso rendimento sul lavoro, la rapidità di intraprendere/terminare le

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relazioni (riferiscono frequentemente di aver avuto matrimoni falliti, divorzi e separazioni).

L’impulsività si caratterizza inoltre anche per un eccessivo coinvolgimento in attività gratificanti, senza però riconoscerne i rischi e le possibili conseguenze dannose (come ad esempio shopping compulsivo, investimenti finanziari pericolosi, guida spericolata) e l’incapacità a rimandare le gratificazioni, con marcata intolleranza alle frustrazioni.

E infine, altra caratteristica è di prendere le decisioni in maniera superficiale, senza riflettere sufficientemente, basandosi su informazioni incomplete da cui poi possono derivare conseguenze svantaggiose.

H. CARATTERISTICHE ASSOCIATE

Instabilità affettiva che si ripercuote nella vita relazionale; scarsi risultati nello studio e nel lavoro rispetto a quanto ci si aspetterebbe per livello d’intelligenza e istruzione; abuso di alcool e droghe; risposta atipica ai farmaci psicoattivi; storia familiare di ADHD in età infantile; disturbo antisociale di personalità e Sindrome di Briquet.

Dai criteri sopradescritti, s’intuisce quindi che l’ADHD non si presenta solo con quei sintomi considerati tipici quali inattenzione, iperattività e impulsività, ma che emergono altre due importanti aree sintomatologiche: quella dell’instabilità emotiva e quella dell’irritabilità/oppositività (Jensen et al. 2001, Reimherr et al. 2007).

Questi quattro macrodomini definiscono nel tempo i diversi livelli di variabilità e gravità del disturbo (Reimherr et al. 2010).

In rapporto alla popolazione generale, gli adulti con ADHD hanno il doppio delle probabilità di essere arrestati e di divorziare e un incremento del rischio del

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78% di rimanere disoccupati (Faraone and Biederman, 2004). L’ADHD nell’adulto si associa anche a una guida pericolosa, con conseguenti numerose sanzioni per eccesso di velocità e sospensione della patente e incidenti (Barkley et al. 2002) e inoltre, almeno uno studio suggerisce che questi pazienti hanno un reddito significativamente più basso rispetto ai loro pari (Biederman and Faraone 2006).

Infine, gli adolescenti con ADHD hanno frequentemente rapporti sessuali a rischio senza l’utilizzo di metodi anticoncezionali, esponendosi quindi a gravi rischi come gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili (Barkley et al. 2002).

Da queste valutazioni si può chiaramente dedurre che la qualità della vita nei pazienti con ADHD è nettamente peggiore sul piano educativo, professionale e personale (Klassen et al. 2010).

Da un punto di vista neurocognitivo molti studi sull’ADHD nell’adulto si sono focalizzati sul funzionamento del lobo frontale (funzioni esecutive). Da questi studi sono emerse evidenze di una compromissione di funzioni che coinvolgono l’attenzione prolungata, la ricezione dei segnali esterni, la memoria di lavoro, la valutazione del tempo, la fluidità verbale (intesa come competenza linguistica), la velocità dei movimenti, la velocità dei processi mentali, lo sviluppo cognitivo, la latenza di risposta a un segnale di stop e il controllo degli impulsi (Epstein et al. 1998, Dinn et al 2001, Gallagher and Blader, 2001, Davids and Gastpar 2005).

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Negli ultimi venti anni le teorie neurobiologiche sull’ADHD si sono focalizzate su due modelli principali, ma non reciprocamente esclusivi.

Il primo è il modello “Top Down” che coinvolge la processazione dei problemi, il controllo cognitivo e le funzioni esecutive (Barkley 1997) .

Il secondo è il modello “Bottom-Up”, che si concentra maggiormente sugli aspetti motivazionali la risposta alla ricompensa (Sagvolden et al. 2005).

Esistono diverse prove scientifiche che supportano questi due modelli psicobiologici e suggeriscono che entrambi potrebbero essere coinvolti nell’ADHD.

Il modello “Top Down” (o anche “The Executive Control Theory”) è stata a lungo considerata come la principale teoria per spiegare i sintomi nucleari dell’ADHD.

Barkley et al. (1997), basandosi su questa teoria, hanno cercato di spiegare come alcune delle caratteristiche comportamentali nei pazienti con ADHD derivino sostanzialmente da un’alterazione dell’inibizione dei meccanismi di risposta. Questa teoria è stata poi confermata da studi successivi (Doyle 2006, Nigg 1999, Nigg 2001, Seidman et al. 1997).

L’inibizione della risposta come meccanismo neurobiologico è caratterizzata dalla capacità di bloccare o sopprimere una risposta inappropriata o aggressiva a favore di una più appropriata. Si pensa che i meccanismi neurologici coinvolti facciano capo ai circuiti striatali e fronto-subtalamici (Aron 2011).

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Questa teoria è considerata come un prerequisito per l’autocontrollo (Muraven e Baumeister 2000), per la regolazione emotiva (Eisenberg e Morris 2002) e la flessibilità cognitiva (Arbuthnott e Frank 2000).

Sulla base di questa teoria sono stati condotti inoltre, studi neuroanatomici e neurofunzionali che dimostrano come alcune aree cerebrali e alcuni circuiti neuronali responsabili delle funzioni esecutive siano atipici nei bambini con ADHD (Bush et al. 1999, Rubia et al. 1999, Fair et al. 2012, Mennes et al.2011). I deficit neurocognitivi, che coinvolgono il livello di vigilanza, la capacità di attenzione, la capacità di pianificazione e la memoria di lavoro sono stati riscontrati spesso nei bambini con ADHD (Shue e Douglas 1992, Karatekin e Asarnow 1998, Pineda et al. 1998, Nigg et al. 2002). Poiché molti di questi deficit sono simili a quelli conseguenti alle lesioni del lobo frontale, è stato ipotizzato anche che l’ADHD possa essere un disturbo che origina da un alterato sviluppo delle aree a livello frontale o delle proiezioni alla corteccia frontale (Shue e Douglas 1992).

Esistono numerosi studi neurocognitivi che mostrano come queste funzioni siano alterate nei soggetti ADHD (Epstein et al. 1998, Dinn et al. 2001, Gallagher e Blader 2001); tuttavia la teoria sull’inibizione della risposta non è l’unica alterazione dei processi neurocognitivi riscontrata nei pazienti con ADHD (Matthews et al. 2014).

Negli ultimi anni un’altra teoria neurocognitiva sull’ADHD ha ricevuto notevoli attenzioni. Questa teoria chiamata “Bottom-Up” (Barkley 2009, Luman

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et al. 2005, Nigg e Casey 2005, Sonuga-Barke 2005) è sostanzialmente basata sul meccanismo di regolazione del sistema della ricompensa, della motivazione e delle emozioni.

Sebbene l’alterazione dell’emotività, caratterizzata dalla perdita del controllo, esplosioni di rabbia, oscillazioni rapide e improvvise dell’umore e in generale da un’alterata capacità di regolazione affettiva, non sia inclusa nelle linee guida sia comunque spesso riscontrabile nella sintomatologia del paziente ADHD.

Infatti, la disregolazione emotiva, associata alle altre disfunzioni neurocognitive, sembra essere di primaria importanza nello sviluppo della sintomatologia ADHD (Barkley 2009, Nigg e Casey 2005). Più precisamente, è probabile che la capacità di regolazione emotiva sia strettamente connessa al sistema della memoria di lavoro e la sua compromissione potrebbe giustificare, in parte, i sintomi d’inattenzione (Barkley 2009).

La capacità di controllo dei propri stati emotivi è associata alla capacità di modulare le intense reazioni emotive rispondendo in modo più approriato in relazione al contesto sociale, sia in termini di emozioni sia di comportamento. Infatti, è stato ipotizzato che l’alterazione della capacità di controllo emotivo possa essere associata alla dimensione iperattività e impulsività (Barkley 2009).

È importante notare che tipicamente i soggetti adulti con ADHD tendono a preferire e ricercare stimoli gratificanti di tipo immediato e intensi, piuttosto che rimandare il momento di gratificazione e piacere o dilazionarlo nel tempo

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(approccio comportamentale di tipo edonico). Questi soggetti mostrano, infatti, una vera e propria incapacità a rimandare e dilazionare il piacere, con marcata intolleranza alle frustrazioni, mostrando una ricerca frenetica di ricompense forti e immediate, nonostante ciò comporti spesso l’esposizione a situazioni a rischio con conseguenze negative e sfavorevoli (Casey e Nigg 2005).

Fin dall’infanzia, la regola sembra essere quella di preferire piccole ma immediate e continue gratificazioni piuttosto che grandi gratificazioni dilazionate nel tempo (Luman et al. 2005).

I bambini con ADHD manifestano comportamenti impulsivi e con reazioni negative sproporzionate rispetto alla norma, in tutte quelle situazioni in cui la sensazione di piacere derivante dalla gratificazione è rimandata e non è immediatamente fruibile (Sonuga-Barke 2005).

Questi comportamenti tipici, che caratterizzano i soggetti con ADHD però, si ritrovano anche in altri tipi di disturbi psichiatrici (Murphy and Adler 2004); ad esempio si manifestano frequentemente nei disturbi d’ansia, nei disturbi da uso di sostanze, nei disturbi dell’umore e nel disturbo Borderline e Antisociale di personalità (Bierderman et al. 1993, Bierderman et al 2006, Wilens et al. 2009, Ebedol et al.2012, Murphy e Barkley 1996, McGough et al. 2005, Kessler et al. 2006, Fayyad et al. 2007, Cumyn et al. 2009, Distell et al. 2011).

Inoltre, i pazienti adulti con ADHD presentano spesso altri disturbi psichiatrici in comorbidità, in particolare il disturbo Bipolare (Nieremberg et al. 2005, Tamam et al. 2008, Kessler et al. 2006, Bond et al. 20112, Ekinci et

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al.2013). La prevalenza del disturbo bipolare negli adulti con ADHD varia tra il 5 e il 20% (Faraone et al.2006, Kessler et al. 2006, McGough et al. 2005, Skirrow et al. 2012, Tamam et al. 2006) anche se ci sono studi che hanno riscontrato percentuali ancora più elevate: il 32% (Halmoy et al. 2010) e il 47% (Wilens et al.2003) rispettivamente. Inoltre, tra il 10 e il 21% dei pazienti adulti con disturbo Bipolare presenta in comorbidità l’ADHD (Bernardi et al. 2010, Karaahmet et al. 2013, Kessler et al. 2006, Nierenberg et al. 2005, Perugi et al. 2013, Tamam et al. 2006).

L’ADHD e il disturbo Bipolare condividono numerose dimensioni sintomatologiche (Milberger et al. 1995, Ekinci et al. 2013) tra cui il ridotto livello di attenzione, la perdita di memoria e la facile distraibilità, ma anche sintomi della sfera motoria quali l’aumento dell’attività psicomotoria, l’impulsività e i comportamenti maladattativi. Infine condividono anche i sintomi della sfera affettiva, come irritabilità e instabilità emotiva (Giedd 2010, Kent e Craddock 2003, Ebedol et al. 2012).

Questa elevata condivisione e sovrapposizione sintomatologica ha sollevato il dubbio sul fatto che questi due disturbi siano solo clinicamente simili oppure condividano delle basi neurobiologiche comuni (Kent e Craddock 2003).

E’ importante quindi, di fronte ad un paziente adulto che presenta un disturbo dello spettro bipolare, effettuare uno screening per l’ADHD, in quanto è elevata la comorbidità tra questo tipo di disturbi.

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La possibile relazione tra disturbi dello spettro bipolare e ADHD si basa sull’elevato grado di sovrapposizione sintomatologica (loquacità, deficit di attenzione e aumento dell’attività motoria).

Per questo motivo, negli ultimi anni si è assistito a un incremento nel numero di studi che si interessano alla relazione tra questi due disturbi. Alcuni di questi studi, mostrano che pazienti con diagnosi di disturbo bipolare nell’infanzia e nell’adolescenza presentano una percentuale di comorbidità con l’ADHD variabile dal 38% al 98% (Geller et al. 1998, Wozniak et al. 1995, Masi et al. 2006).

Inoltre è stato visto che i pazienti con disturbo bipolare e ADHD presentano delle differenze rispetto ai pazienti con solo il disturbo bipolare da un punto di vista sintomatologico, clinico e di decorso della malattia.

Nei pazienti con disturbo bipolare e ADHD, il disturbo dell’umore si manifesta più precocemente, gli episodi depressivi e misti rappresentano i tipi più frequenti, in generale si ha un maggior numero di episodi affettivi, gli intervalli liberi sono più brevi ed è molto frequente l’abuso di alcol e sostanze (Tamam et al. 2006, Nieremberg et al. 2005, Sachs et al. 2000, Karaahmet et al. 2013).

Anche i Disturbi di Personalità rappresentano una categoria diagnostica spesso presente in comorbidità con l’ADHD. Il rischio di sviluppare un disturbo di personalità del cluster B nella tarda adolescenza è incrementato nei bambini con ADHD (Miller et al. 2008). In particolare, la relazione tra ADHD e disturbo

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di personalità Borderline, ha ricevuto grande attenzione, per la similarità clinicamente evidente tra i due disturbi. Come è noto, il disturbo borderline è caratterizzato da un disturbo della propria identità, da difficoltà nelle relazioni interpersonali, impulsività e instabilità emotiva (A.P.A. 2000, Distel et al. 2011).

Ci sono vari motivi per cui la relazione tra ADHD e disturbo borderline di personalità, non dovrebbe sorprendere: numerosi studi dimostrano la presenza di un’elevata comorbidità tra ADHD e disturbo borderline (Andrulonis e Vogel 1984, Biederman et al. 1991); i criteri diagnostici del disturbo borderline e dell’ADHD presentano numerose similitudini; l’ADHD non è un disturbo episodico, ma è una condizione cronica in cui i sintomi possono persistere nell’adulto in vario modo (Klein e Mannuzza 1991, Shaffer 1994); l’associazione tra il disturbo antisociale di personalità e il disturbo borderline è stata già confermata in letteratura ed è noto come il disturbo antisociale rappresenti un fattore prognostico per l’ADHD nell’adulto (Eppright et al. 1993, Goldman et al. 1993, Klein e Mannuzza 1991). Infine il disturbo antisociale è stato riscontrato di frequente nei familiari di soggetti affetti da disturbo borderline ma anche in quelli dei soggetti con ADHD (Biederman et al.1993, Goldman et al. 1993, Davis et al. 2005).

Altro disturbo che spesso si ritrova nei soggetti con ADHD, è il disturbo da uso di sostanze (Ohlmeier et al. 2007). Ci sono a oggi sempre più evidenze che sostengono come un trattamento precoce e specifico per l’ADHD possa ridurre il rischio di sviluppare un disturbo da uso di sostanze da adulto o ridurne la

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gravità. E' corretto pensare che trattare un soggetto adulto con ADHD e abuso di sostanze potrebbe aiutare a gestire il disturbo da uso di sostanze oltre che migliorare gli aspetti caratteristici del quadro ADHD (Klassen et al. 2010).

Uno studio condotto da Wilens et coll. (2008) conferma quanto appena riportato, e cioè che il trattamento con psicostimolanti nei bambini con ADHD aumenta significativamente l’effetto protettivo sull’abuso di sostanze da adulti.

Possiamo dire quindi che in generale sembra esserci un forte collegamento tra ADHD e disturbi affettivi in particolare con il disturbo Bipolare, il disturbo di personalità (Borderline e Antisociale) e l’abuso di sostanze. Tutte queste condizioni presentano una vasta area di sovrapposizione sintomatologica tra loro, in particolare per quanto riguarda la presenza di disregolazione emotiva.

È importante notare che la diagnosi e il trattamento dell’ADHD nell’adulto possono risultare problematici in quanto nell’adulto l’ADHD tende ad avere una presentazione atipica, con minor sintomi esternalizzanti d’iperattività rispetto all’ADHD diagnosticato in età infantile (Karam et al. 2008, Klassen et al. 2010, Nierenberg et al. 2005); altro fattore che riduce l’affidabilità e l’accuratezza diagnostica potrebbe essere la sovrapposizione delle caratteristiche sintomatologiche tra ADHD e altre sindromi psichiatriche (Spencer et al. 1998).

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1.2. Disregolazione emotiva nell’ADHD

Il termine “Regolazione emotiva” (Emotional Regulation) si riferisce a una serie di strategie tese a modulare il proprio comportamento e a permettere il corretto adattamento alle esperienze emotive negative e/o sgradevoli (John e Gross 2004, Gross 2011).

La regolazione emotiva è un processo multidimensionale che permette alle persone di modulare le proprie emozioni, il modo e il momento in cui esternarle ed esprimerle ed è caratterizzata da: (1) consapevolezza e accettazione delle emozioni; (2) capacità scelta del comportamento in funzione degli obiettivi da raggiungere; (3) flessibilità nell’usare corrette strategie per modulare l’intensità e la durata della risposta emotiva (Pedersen et al. 2014, Dadomo et al. 2016).

Il controllo delle emozioni può anche essere definito come la capacità individuale di modificare uno stato emotivo e di promuovere un corretto comportamento adattativo ben focalizzato sull’obiettivo da raggiungere (Thompson 1994). In esso sono racchiusi tutti quei processi che permettono all’individuo di scegliere e valutare in maniera flessibile e adattiva gli stimoli emotivi che lo circondano in base ad obiettivi prefissati (Shaw et al. 2014) .

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Le emozioni sono quindi per definizione un tipo di risposta affettiva, dove per affettività ci si riferisce a un termine complesso che comprende le emozioni, l’umore e la risposta allo stress (Gross & Thompson 2007, Wessa et al. 2014).

Secondo Gross & Thompson (2007) la regolazione emotiva fa riferimento al processo attraverso cui l’emozione può crescere o decrescere in conseguenza di un particolare evento. Processo che può verificarsi inconsciamente e in modo automatico oppure con sforzo cosciente e consapevole.

All’interno di questo modello di controllo delle emozioni, Gross &Thompson (2007) differenziano 5 tipi strategie di regolazione che possono essere raggruppate in due principali modalità: (1) Antecedent-Focused Strategies: si verificano prima dell’espressione completa delle emozioni (selezione della situazione, modificazione della situazione, direzionamento dell’attenzione e cambiamento cognitivo); (2) Response-Focused Strategies: si verificano dopo la risposta emotiva che è generata (modulazione della risposta).

Quando il sistema della regolazione delle emozioni funziona correttamente, i soggetti sono in grado di modulare il loro stato emotivo e di controllare il proprio comportamento in modo adeguato. Infatti, la capacità di adottare un’efficiente strategia di controllo emotivo è considerata uno degli aspetti fondamentali dell’adattamento individuale (Dadomo et al. 2016).

Al contrario, la disregolazione emotiva è una condizione nella quale il soggetto non riesce a ottenere i risultati sperati e non riesce nemmeno a modulare le emozioni per ottenere tali risultati, nonostante gli sforzi elevati. La

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disregolazione emotiva quindi può essere definita come l’incapacità o la capacità parziale dell’individuo di regolare stati emotivi indesiderati e sgradevoli con sviluppo di comportamenti maladattativi (Dadomo et al.).

La disregolazione emotiva è caratterizzata da: (1) esprimere le emozioni in maniera eccessiva o inadeguata rispetto alle regole sociali e al contesto; (2) instabilità emotiva associata a un superficiale e inadeguato controllo delle emozioni; (3) inappropriata salienza degli stimoli emotivi (Shaw et al. 2014).

Secondo alcuni autori, anche l’irritabilità farebbe parte della dimensione della disregolazione emotiva poiché si ritrova frequentemente in molti disturbi psichiatrici e nei relativi criteri diagnostici (Stringaris 2011, Mikita e Stringaris 2013) ed è spesso connessa all’aggressività reattiva e agli scoppi di rabbia (Leibenluft 2011, Stringaris 2011, Dodge et al. 1991).

La prevalenza dell’irritabilità in età infantile varia dal 3% delle forme gravi al 20% delle forme moderate (Brotman et al. 2006, Pickles et al. 2010).

Secondo altri autori, quando l’irritabilità è cronicamente presente, si può parlare di “Severe Mood Dysregulation” (Grave Disregolazione dell’Umore). In questo caso, si presenta in forma cronica e grave, associata a umore negativo e scatti di rabbia improvvisa e immotivata (Leibenluft et al. 2003).

Si potrebbe parlare quindi più in generale di “Disturbo dell’Affettività” (Affective Disturbance), concepito come un’alterazione della risposta multisistemica (esperienza soggettiva, comportamento esternalizzato e risposta fisiologica) che interessa le emozioni, l’umore e la risposta allo stress. Tale

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alterazione può verificarsi sia per stati affettivi negativi (ansia/depressione) che per quelli positivi (euforia/eccitamento). Una delle cause principali dell’alterazione dell’affettività potrebbe proprio essere ricondotta alla difficoltà nel controllo emotivo (disregolazione emotiva). In questa prospettiva quindi, la regolazione delle emozioni e la conseguente disregolazione emotiva diventerebbero “componenti” di una dimensione più ampia rappresentata proprio dall’affettività. Si può inoltre aggiungere che la regolazione delle emozioni non ha un connotato positivo o negativo, mentre la disregolazione emotiva e in generale la compromissione dell’affettività, sono considerati di per sé, degli stati disfunzionali a valenza negativa.

Disregolazione emotiva (Reimherr et al. 2003), impulsività emozionale (Barkley e Fischer 2010), instabilità timica (Gudjonsson et al. 2013) e instabilità emotiva (Sobanski et al. 2010) sono tutti termini utilizzati per esprimere lo stesso concetto relativo al discontrollo emotivo (Martel 2009, Corbisiero et al. 2013, Skirrow et al. 2009).

Nonostante numerosi autori sostengano da tempo la presenza di una forte associazione tra disregolazione emotiva e disturbi del neurosviluppo, in particolare proprio con l’ADHD (Robinson et al. 2008, Surman et al. 2013, Richard-Lepouriel et al. 2016), non ci sono ancora stati studi che abbiano approfondito e meglio caratterizzato le manifestazioni cliniche di quest’associazione (Shaw et al. 2014).

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Infatti, c’è ancora un acceso dibattito riguardo alla classica tripartizione dei sintomi che caratterizzano l’ADHD (inattenzione, iperattività e impulsività), dal momento che sempre più autori sostengono che non questi sintomi non siano sufficienti a descrivere adeguatamente il disturbo, soprattutto quando si parla di adulti (Gibbins e Weiss 2007). A questo proposito ci sono studi che hanno mostrato l’instabilità nel tempo delle tre classiche dimensioni sintomatologiche dell’ADHD (Biederman et al. 2000, Faraone et al. 2006) e altri in cui ai classici sintomi dell’ADHD ne sono aggiunti altri considerandoli altresì fondanti e diagnostici, oltre che essenziali per descrivere con maggior completezza il quadro sintomatologico dell’ADHD nell’adulto (Barkley e Murphy 2006, Corbisiero et al. 2012).

A oggi, il problema della relazione tra disregolazione emotiova e ADHD resta da chiarire. I più recenti studi suggeriscono che la disregolazione emotiva rappresenti una terza dimensione sintomatologica nucleare del disturbo paragonabile alle altre due ben più conosciute (Shaw et al. 2014, Richard-Lepouriel et al. 2016). A questo proposito, è interessante notare che, storicamente, nella prima definizione dell’ADHD come “Minimal Brain Damage”, la disregolazione emotiva era considerata tra i sintomi fondanti del disturbo (Clements 1966, Shaw et al. 2014).

A partire dalla versione del 1968 del DSM, i deficit nel controllo emotivo sono considerati come “caratteristiche associate” all’ADHD, ma non rientrano

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tra i sintomi caratterizzanti il disturbo (APA 1968, APA 1987, APA 2000, Barkley 2006, Surman et al. 2013).

Anche nel DSM-5, i sintomi afferenti alla dimensione emotiva non sono stati inseriti tra i sintomi base dell’ADHD, ma sono solo menzionati nella sezione dei disturbi dirompenti, che considera la valutazione dei sintomi emozionali per una possibile diagnosi (Corbisiero et al. 2013).

Il Dott. Paul Wender ha sottolineato l’associazione tra ADHD, instabilità affettiva e intolleranza allo stress. Infatti, nella stesura dei Criteri di Utah, un temperamento caratterizzato da scatti di rabbia e irritabilità, l’instabilità umorale e l’iperreattività emotiva sono state considerate sintomi nucleari dell’ADHD e costituiscono alcuni dei domini diagnostici della scala WRAADS per la diagnosi di ADHD nell’adulto (Ward et al. 1993, Wender 1995, Rösler et al 2008a, Rösler et al 2008b, Corbisiero et al. 2013, Van Stgralen 2016). Anche la “Brown Adult ADHD Rating Scale” (Brown 1996) e la “Conners’Adult ADHD Rating Scale” (Conners et al. 1999) considerano tra i criteri diagnostici sintomi della sfera emozionale.

Le proposte suggerite da questi autori per la concettualizzazione della disregolazione emotiva nell’ADHD risultano in parte differenti tra loro, ma in parte anche sovrapponibili, considerando i sintomi della sfera emozionale come sintomi nucleari del disturbo, al pari degli altri. Barkley (1997a) in particolare sostiene questa posizione, proponendo di considerare la disregolazione emotiva parte integrante parte integrante del disturbo, coerentemente con il concetto di

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ADHD come disturbo dell’autoregolazione affettiva, così come dell’attenzione, della motivazione e dell’arousal (Nigg 2005, Surman et al. 2013).

Definire la disregolazione emotiva come parte integrante della sintomatologia ADHD è giustificato da diversi punti di vista: clinico, teorico e sperimentale. Da un punto di vista clinico in quanto dalle dichiarazioni dei pazienti, molto spesso, si apprende che la triade sintomatologica classica dell’ADHD risulta insufficiente a descrivere i vari aspetti psicopatologici e la compromissione funzionale che ne deriva, negli adulti con ADHD. Questi soggetti spesso riferiscono un umore molto instabile, che può cambiare significativamente e in modo rapido e improvviso anche più volte nell’arco della stessa giornata e in un modo più rapido e brusco rispetto ai pazienti con altri tipi disturbi affettivi. Questi pazienti hanno difficoltà a gestire le situazioni di stress e diventano rapidamente irritabili anche per banali problemi della vita quotidiana. Questo risulta coerente con i risultati degli studi che hanno riscontrato un’associazione non solo tra i classici sintomi dell’ADHD e i deficit cognitivi o i substrati neuroanatomici alterati, ma anche con l’instabilità dell’umore (Skirrow et al. 2009), oltre che l’evidenza di un ammontare sempre maggiore di studi sperimentali che hanno dimostrato l’importanza dei sintomi di disregolazione emotiva nell’ADHD (Corbisiero et al. 2013).

E’ stato anche suggerito da alcuni autori come la dimensione emozionale mostrata da numerosi pazienti con ADHD sia caratterizzata da una valenza prevalentemente di tipo negativo (Martel e Nigg 2006, Nigg et al. 2002a, Nigg

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et al. 2002b) e spesso accompagnata da una marcata componente di aggressività, sintomo che rifletterebbe secondo altri autori, la dimensione della disregolazione emotiva (Dodge et al. 1991, Becker et al. 2006, Sobanski et al. 2010, Shaw et al. 2014).

Non solo, ma è stato anche osservato come i bambini con caratteristiche temperamentali premorbose quali irrequietezza, rabbia, irritabilità, scarsa collaboratività e difficoltà di autocontrollo, mostrino un aumentato rischio di sviluppare un quadro ADHD con disregolazione emotiva.

Vi sono, infatti, molti studi di natura epidemiologica che hanno evidenziato la forte associazione tra ADHD e disregolazione emotiva anche nei bambini, in percentuali variabili (Siöwall et al. 2013, Stringaris e Goodman 2009, Sobanski et al. 2010, Anastopoulos et al. 2011, Spencer et al. 2011, Strine et al. 2006, Becker et al. 2006). Uno studio di popolazione su 5326 bambini con ADHD, ha dimostrato la presenza di disregolazione emotiva nel 38% dei soggetti (Stringaris e Goodman 2009a), mentre in un altro studio clinico hanno rilevato percentuali di disregolazione emotiva variabili dal 24 al 50% tra i bambini presi in considerazione (Stringaris e Goodman 2009b, Goldsmith et al. 2004, Bates et al. 1998, Carlson et al. 1995, Olson et al. 2002). Anche le percentuali di disregolazione emotiva negli adulti con ADHD risultano piuttosto elevate, in media tra il 34% e il 70% (Able et al. 1997, Barkley e Fischer 2010, Reimherr et al. 2005, Reimherr et al. 2007, Surman et al. 2013); questi dati non fanno altro che confermare la stretta relazione tra ADHD e disregolazione emotiva, già

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evidenziata da precedenti studi empirici (Surman et al. 2011, Surman et al. 2013, Vidal et al. 2014).

In uno studio di Barkley and coll. (2008), condotto su pazienti di una clinica specializzata nella cura dell’ADHD, è stato visto che sintomi come impazienza, irritabilità, frustrazione, reazioni emotive esagerate e facile eccitabilità erano presenti nel 60% degli adulti con ADHD e in meno del 15% dei soggetti di controllo.

È inoltre stato visto che la presenza di disregolazione emotiva è più comune nei pazienti con ADHD persistente piuttosto che in quelli in cui si ha una remissione della sintomatologia con l’età. Questo a dimostrazione di una cosiddetta “coerenza neuroevolutiva” della malattia: il miglioramento dei sintomi dell’ADHD avviene parallelamente al miglioramento dei sintomi di disregolazione emotiva (Barkley e Fischer 2010). Questa importante considerazione è stata indirettamente confermata da altri due trial clinici (Reimherr et al. 2005, Reimherr et al. 2007) dove si è osservato un miglioramento della disregolazione emotiva ED dopo specifica terapia per l’ADHD. Il trattamento con specifici farmaci per l’ADHD permetterebbe quindi di ridurre parallelamente i sintomi di ADHD e di disregolazione emotiva negli adulti (Rösler et al. 2010, Marchant et al. 2011, Reimherr et al. 2005, Reimherr et al. 2007, Kooij et al. 2010) ma anche nei bambini (Childress et al. 2013, Lopez et al. 2013) confermando l’ipotesi che la disregolazione emotiva costituisca un sintomo base dell’ADHD.

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È importante notare che tra i disturbi mentali descritti nel DSM, la disregolazione emotiva è presente in circa il 50% (APA 1994, Barlow 2000, Kring e Sloan 2010, Kring e Werner 2004, Werner e Gross 2010). In particolare, si ritrova nei disturbi dell’umore, nei disturbi d’ansia (Cole et al. 1994) e soprattutto nel disturbo bipolare e nei disturbi di personalità del cluster B (Dadomo et al. 2016). Infatti, l’alterazione dell’affettività è considerata un’importante caratteristica psicopatologica di molti disturbi che sono definiti primariamente disturbi dell’emotività (Mineka e Sutton 1992).

La capacità di regolazione emotiva oltre che rappresentare una componente essenziale della salute mentale (Gross e Muñoz 1995), quando diventa disregolazione, è un affidabile indicatore dello stato psicopatologico del soggetto (John e Gross 2004).

Poiché l’ADHD presenta un’elevata comorbidità con gli altri disturbi mentali, alcuni autori sostengono che la disregolazione emotiva potrebbe non essere una diretta conseguenza della presenza dell’ADHD, ma derivare dalla presenza dei disturbi in comorbidità (Surman et al. 2013).

Altri studi invece sembrano mostrare che la presenza di disregolazione emotiva in pazienti ADHD è indipendente dalle comorbidità con altri disturbi psichiatrici (Vidal et al. 2014, Reimherr et al. 2005), mentre, invece sembrerebbe che una maggiore comorbidità con altri disturbi risulti un fattore che aggrava la disregolazione emotiva, sia negli adulti sia nei bambini (Sobanski et al. 2010).

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Alcuni autori sostengono che la disregolazione emotiva, mostrando una bassa specificità, non possa essere considerata un sintomo tipico dell’ADHD (Sonuga-Barke 2003, Skirrow et al. 2009). In ogni caso, la disregolazione emotiva è altamente discriminativa nei soggetti con ADHD. Ciò suggerisce che è sempre consigliabile eseguire uno screening per l’ADHD in quei pazienti dove è riscontrabile questa dimensione (Skirrow et al. 2009, Philipsen 2006).

Nell’eziologia dell’ADHD sono state considerate numerose alterazioni di differenti circuiti nervosi e la compromissione di alcune funzioni neuropsicologiche; tuttavia, anche se non specifiche dell’ADHD queste alterazioni potrebbero in parte spiegare l’elevata ricorrenza dell’ADHD con la disregolazione emotiva (Banaschewski et al. 2005).

I più importanti circuiti cerebrali implicati sono quelli che risultano alla base delle teorie “Bottom-Up” e “Top-Down” (Ochsner e Gross 2005, Philips et al. 2008). È stato osservato che nei soggetti con ADHD è presente un’alterazione della percezione degli stimoli emotivi, soprattutto quelli negativi, con un meccanismo del controllo delle emozioni che risulta deficitario (Du et al. 2006, Williams et al. 2008) e la tendenza a preferire piccole e immediate gratificazioni (caratteristica distintiva d’impulsività), con difficoltà nel rimandare le gratificazioni (Sonuga et al. 2003, Sagvolden et al. 2005).

Un altro importante aspetto è rappresentato dalla capacità di regolare il sistema nervoso autonomo quando attivato da stimoli emotivamente carichi (Musser et al. 2013) e la capacità (sempre mediata dalle funzioni superiori con

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meccanismo “Top-Down”) di mantenere o distogliere l’attenzione verso uno stimolo emotivo, in modo tale da sviluppare un comportamento finalizzato a raggiungere l’obiettivo prefissato (Gross 1998).

Studi effettuati sull’amigdala hanno dimostrato che nei soggetti con ADHD vi è una tendenza all’iperattivazione di quest’area durante la processazione degli stimoli emotivi facciali (Marsh et al. 2008, Brotman et al. 2010, Posner et al. 2011, Schlochtermeier et al. 2011) e nel rimandare le gratificazioni (Scheres et al.2007, Ströhle et al. 2008, Stoy et al. 2011).

Altri studi hanno invece rilevato delle anormalità nella morfologia della corteccia orbito-frontale e nell’attivazione dei meccanismi del controllo del reward, oltre che una riduzione delle connessioni tra la corteccia orbito-frontale e l’amigdala.

Infine studi di neuroimaging funzionale, hanno osservato una riduzione della risposta alla stimolazione del nucleo striato ventrale nei pazienti con ADHD durante la procrastinazione e la successiva acquisizione degli stimoli legati alla gratificazione e al reward (resposabile dell’incapacità a rimandare le gratificazioni) (Shaw et al. 2014).

In conclusione, sulla base di queste conoscenze neuropsicologiche, si può ipotizzare che la disregolazione emotiva nei pazienti con ADHD potrebbe essere una conseguenza dell’incremento dei meccanismi “Bottom-Up” di reattività emotiva a causa dell’alterato funzionamento delle aree sottocorticali che assolvono normalmente a questa funzione (ad esempio l’amigdala, l’ippocampo

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e lo striato ventrale) e/o di una riduzione del funzionamento delle aree corticali superiori (corteccia cerebral) implicate nei processi “Top-Down”, oppure potrebbe dipendere da un’alterata connettività tra queste strutture nervose (Meyer-Lindenberg et al. 2006, Banaschewski et al. 2012).

Le evidenze fino ad oggi acquisite suggeriscono che i circuiti neurali che comprendono l’amigdala, lo striato ventrale e la corteccia orbitofrontale siano quelli direttamente implicati nella gestione del controllo delle emozioni (Shaw et al. 2014).

Secondo il modello proposto da Barkley (1997a, 1997b), il deficit del controllo inibitorio superiore, mostrato da pazienti ADHD di fronte a situazioni di rilevante carico emotivo, potrebbe spiegare l’alterazione delle funzioni esecutive ed anche una maggiore presenza di disregolazione emotiva (Barkley 2010), rispetto alla popolazione generale (Van Stralen 2016).

Un ampio studio condotto su bambini ADHD ha visto come, nonostante le alterazioni di molte funzioni neuropsicologiche siano correlate alla disregolazione emotiva (Banaschewski et al. 2012), questa relazione sembra essere principalmente mediata dal grado di severità della sintomatologia ADHD. Perciò, è evidente che la disregolazione emotiva nei pazienti con ADHD è collegato ad alcune caratteristiche alterazioni neuropsicologiche, ma questo non è sufficiente per spiegarne l’elevata associazione con l’ADHD.

Più di recente, è stato supposto invece che i sintomi della disregolazione emotiva non rappresentino un semplice epifenomeno della gravità dei sintomi

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ADHD e che sono solo parzialmente derivabili dal grado di comorbidità psichiatrica (Sobanski et al. 2010).

Alcuni studi hanno mostrato che la corteccia prefrontale, in particolare il cingolato anteriore (che coinvolge la neurotrasmissione dopaminergica e serotoninergica), probabilmente funziona come centro d’integrazione e collegamento tra emotività e processi di controllo cognitivo (Holroyd & Coles 2002). In questo modello, il controllo cognitivo e la sfera dell’emotività sembrerebbero avere una stretta interconnessione tale da permettere un funzionamento contemporaneo delle aree suddette a queste funzioni, per il raggiungimento di specifici obiettivi, come la valutazione degli stimoli ricevuti e la messa in atto di risposte comportamentali ed emotive adeguate (Bell e Wolfe 2004, Martel 2009).

La predominanza dei sintomi tipici di ADHD o di disregolazione emotiva in uno stesso soggetto potrebbe quindi dipendere dal tipo di rete neurale coinvolta e dal grado di compromissione presentato. Sembrerebbe, infatti, che nei soggetti ADHD con deficit funzionale delle regioni corticali, prevalentemente prefrontali e parietali, predomini la sintomatologia inattentiva piuttosto che quella di disregolazione emotiva. Mentre, nei soggetti ADHD in cui il deficit coinvolge soprattutto l’area paralimbica, sembrano predominare i sintomi di disregolazione emotiva, con predominanza del sottotipo iperattivo-impulsivo per quanto riguarda la sintomatologia classica (Shaw et al. 2014). Infatti, è noto che i sintomi iperattivi-impulsivi siano quelli che predicono

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maggiormente lo sviluppo di disregolazione emotiva in questi pazienti (Van Stralen 2016).

E’ stato anche ipotizzato che che quando presente la diade ADHD/disregolazione emotiva, ci si trovi di fornte a uno specifico sottogruppo di pazienti ADHD, accumunati da particolari caratteristiche genetiche. Robinson et al. (2010) hanno individuato un’elevata frequenza di associazione tra un polimorfismo genetico a singolo nucleotide (SNP) e la presenza di disregolazione emotiva nei pazienti con ADHD. In un altro studio che prendeva in considerazione i familiari di pazienti con ADHD e disregolazione emotiva, è stato visto che presentavano un’elevata frequenza di questo polimorfismo (Surman et al. 2011).

Inoltre, i sintomi di disregolazione emotiva negli adulti con ADHD sembrano contribuire alla maggiore gravità sia della sintomatologia ADHD sia dei disturbi in comorbidità (ad esempio i disturbi del sonno e del ritmo circadiano, i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, il disturbo oppositivo-provocatorio) e rappresentare un’importante fonte di compromissione nelle principali aree di funzionamento della vita quotidiana (Reimherr et al. 2005, Reimherr et al. 2007, Reimherr et al. 2010, Robison et al. 2008). Esaminando le differenze di genere sembra che le donne con ADHD abbiano una più elevata presenza di disregolazione emotiva, che oltre a complicare il disturbo di base ne complica la diagnosi (Robison et al. 2008).

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Secondo alcuni ricercatori la disregolazione emotiva, oltre a contribuire significativamente al peggioramento di vari aspetti della vita quotidiana di questi pazienti, quali il funzionamento sociale, familiare e lavorativo e il livello d’istruzione raggiunto, favorirebbe anche l’incorrere in problematiche di natura legale, lo sviluppo di comportamenti pericolosi e a rischio e la presenza di una marcata intolleranza allo stress, favorendo l’aggravamento dei sintomi base dell’ADHD (inattenzione, iperattività e impulsività) (Barkley e Fischer 2010, Barkley e Murphy 2010).

In sintesi, è possibile identificare tre ipotetici modelli che possono essere utilizzati per spiegare l’associazione tra ADHD e disregolazione emotiva.

Il primo modello, che riprende la prima concettualizzazione dell’ADHD, ipotizza che la disregolazione emotiva sia una caratteristica core del disturbo, una caratteristica centrale come lo sono inattenzione, iperattività e impulsività (Barkley e Murphy 2010). Questo è il modello nel quale è sostenuta la stretta relazione tra sistema di regolazione emotiva e sistema di controllo cognitivo. Va detto però che vi sono anche diversi studi che riportano dati di diversa interpretazione, in cui i soggetti con ADHD non manifestano alcun tipo di disregolazione emotiva.

Il secondo modello sostiene che la combinazione tra ADHD e disregolazione emotiva definirebbe un’entità distinta, a se stante, una sottocategoria di ADHD (Surman et al. 2011), con una propria dignità

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clinico-diagnostica, basata sull’evidenza di una base genetica comune (Sobanski et al. 2010, Surman et al. 2011).

Il terzo modello sostiene infine che i sintomi di ADHD e disregolazione emotiva, sono sintomi di due dimensioni sintomatologiche distinte, ma fortemente correlate e che alcuni deficit neurocognitivi sono in parte sovrapponibili tra queste due dimensioni.

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Lo studio è volto a dimostrare la possibile relazione tra ED e i disturbi dell’umore in un campione di pazienti adulti con ADHD (sulla base della bassa e alta disregolazione emotiva (low/high emotional dysregulation, L/H ED)) analizzando il decorso della malattia, le caratteristiche cliniche e del temperamento a essa associate. In questo studio sono valutate la gravità e le caratteristiche di ED mediante la scala RIPoSt, uno specifico questionario che analizza le diverse dimensioni del controllo emotivo come l’intensità, la reattività, la polarità e la stabilità. Per quanto è attualmente noto, questo è il primo studio realizzato su un campione di pazienti adulti con ADHD che analizza la presenza del discontrollo emotivo usando la scala RIPoSt.

3. Materiali e metodi 3.1. Campione

Lo studio comprende 65 pazienti reclutati presso l’U.O. di Psichiatria Universitaria, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’ Università

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di Pisa. Il campione è composto di 19 femmine (29.2%) e 46 maschi (70.8%) che presentavano i criteri DIVA 2.0 per il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD). Il campione è stato diviso in 2 sottogruppi, basandosi sul grado di disregolazione emotiva, misurata utilizzando la scala RIPoSt: il primo gruppo include pazienti con elevata disregolazione emotiva (High–ED) mentre il secondo quelli con bassa disregolazione emotiva (Low-ED). I criteri d’inclusione considerati sono stati un’età compresa tra i 18 e i 65 anni e la diagnosi di ADHD nell’adulto. Tutti i soggetti che hanno partecipato allo studio hanno firmato il consenso informato.

3.2. Raccolta dei dati

Tutti i pazienti coinvolti nello studio, erano valutati tramite colloquio clinico e test diagnostici specifici da medici specializzandi della Scuola di Specializzazione in Psichiatria di Pisa, sotto la supervisione di psichiatri strutturati del gruppo di ricerca. Tale approccio, ha permesso in prima istanza di fornire la diagnosi corretta ed eventualmente di valutare la presenza di comorbidità associate. La diagnosi di ADHD era confermata usando la scala

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DIVA 2.0. L’integrazione con la SCID-I permetteva la valutazione di tutti gli altri disturbi psichiatrici secondo il DSM-IV, e utilizzando poi la SCID II per la diagnosi dei disturbi di personalità. Il questionario RIPoSt è stato utilizzato per descrivere le caratteristiche emotive e per dividere i pazienti in due gruppi: gruppo a bassa o ad alta disregolazione emotiva. La scala SIMD-R è stata utilizzata per raccogliere i dati clinici, demografici e anamnestici dei pazienti affetti da disturbo dell’umore.

Altre scale di valutazione usate sono state: la briefTEMPS-M per valutare il temperamento affettivo, la BIS-11 per misurare il grado d’impulsività, l’ASRS-v per la valutazione della gravità dell’ADHD, la GAF e la FAST per la valutazione del funzionamento globale e di aree specifiche.

3.3. Strumenti di valutazione

Diagnostic Interview for ADHD in adults (DIVA 2.0) (Kooij and Francken 2010): la scala DIVA 2.0, sviluppata da un gruppo di ricerca europeo, è stata

tradotta in molte lingue dai membri dell'European Network Adult ADHD. La DIVA è reperibile gratuitamente sul sito www.divacenter.eu. Consiste in un’intervista semi strutturata basata sui criteri del DSM per l’ADHD. La prima parte del Test è dedicata ad analizzare i sintomi dell’ADHD ed è ulteriormente divisa in due set di domande: una prima parte che analizza il dominio

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inattentivo, la seconda il dominio dell’iperattività e dell’impulsività. Ogni dominio è formato da nove domande (una per ogni criterio del DSM) e per ogni domanda si hanno due sezioni, una per i sintomi presenti nell’età adulta e una per i sintomi riscontrati nell’età infantile. Ogni sezione è arricchita da molti esempi che possono aiutare a investigare sulla presenza o sull’assenza del sintomo. La seconda parte della valutazione provvede a investigare sull’età d’insorgenza della patologia e sulle aree del funzionamento compromesse. La DIVA non prescinde dalla valutazione clinica del medico e per questo motivo deve essere eseguita da un esaminatore esperto.

Structured Clinical Interview for DSM-IV Axis I and II Disorders (SCID-I and II) (First et al. 1995, First and Gibbon 1997): la SCID è un’intervista

clinica semi-strutturata pensata per la valutazione psichiatrica dei pazienti secondo i criteri del DSM-IV. La SCID I è usata per la diagnosi di gran parte dei disturbi psichiatrici e la SCID II è usata per la diagnosi dei disturbi di personalità.

La SCID è costituita da differenti moduli, ognuno dei quali include specifiche domande indirizzate alla rilevazione dei criteri diagnostici delle varie categorie. Ogni modulo è indipendente e può essere usato separatamente per varie ricerche cliniche. La maggior parte delle interviste cliniche come la SCID, non prescindono dal giudizio clinico del medico valutatore, che ha il compito di correlare le risposte al test con le diagnosi cliniche. Per questi motivi sarebbe opportuno far somministrare sempre la SCID da personale qualificato.

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Reactivity Intensity Polarity Stability Questionnaire (RIPoSt) (Hantouche Elie, 2010): la RIPoSt è un questionario di autovalutazione, costituito da 60

domande, che esplora la dimensione emotiva nelle sue varie componenti. Questa scala è composta da quattro sotto-scale: reattività, intensità, polarità e stabilità emotiva, ognuna delle quali comprende 15 domande. Può essere un utile strumento per misurare le caratteristiche emotive e fornire una valutazione dettagliata del grado di disregolazione emotiva.

Semi-structured Interview for Mood Disorders (SIMD-R) (Cassano et al. 1989): la SIMD-R è un’intervista diagnostica semi-strutturata per la valutazione

del disturbo dell’umore. Tale strumento raccoglie sistematicamente informazioni su differenti aspetti: familiari, demografici, anamnestici e clinici. Questa intervista è stata sviluppata per raccogliere informazioni schematiche sulla storia familiare, sul numero dei cicli e la polarità degli episodi affettivi precedenti, sul numero dei tentativi di suicidio (attuali o passati), e sugli eventuali sintomi psicotici di ogni fase affettiva. Grazie a questo strumento è stato possibile verificare la principale diagnosi di disturbo affettivo e il tipo di episodio attuale in corso. Quando possibile, per confermare l’età d’insorgenza, l’inizio della sintomatologia e la polarità del primo episodio, sono stati utilizzati anche dati clinici e informazioni ottenute da documentazione medica pregressa resa disponibile dal paziente.

Temperament Evaluation of Menphis, Pisa, Paris and San Diego-M (Munster translation by Erfurth) (briefTEMPS-M) (Erfurth et al. 2005):

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questa scala è composta da 35 domande raccolte in un questionario di autovalutazione che analizza i vari tipi di temperamento affettivo. Ogni domanda prevede 5 punti della scala Likert (O=assente; 5=moltissimo). Il

paziente è chiamato a specificare per ogni domanda il valore che meglio descrive le sensazioni maggiormente provate durante la sua vita. I cinque temperamenti esaminati sono: depressivo, ciclotimico, ipertimico, irritabile e ansioso.

Barratt Impulsiveness Scale (BIS-11) (Patton et al. 1995): la BIS-11 è un

questionario di autovalutazione progettato per valutare l’impulsività da un punto di vista comportamentale e personologico. Questa scala è lo strumento più citato per la valutazione dell’impulsività. L’attuale versione è composta da 30 domande che descrivono i comuni comportamenti impulsivi o non impulsivi. La valutazione assegnata a ogni domanda ha lo scopo di evidenziare i sei fattori più importanti (attenzione, motricità, auto-controllo, complessità cognitiva, perseveranza, e instabilità cognitiva/impulsiva) e i tre fattori secondari (attentività, motricità e impulsività organizzativa).

Adult Self-Report Scale (ASRS-v 1.1) (Kessler et al. 2005): questa è una scala

di screening dell’ADHD negli adulti, oltre che uno strumento per avere un’idea approssimativa della gravità dei sintomi ADHD. La scala ASRS è composta da 18 domande, in linea con i criteri del DSM-IV. Le prime sei delle 18 domande si sono rivelate essere le più predittive per la sintomatologia dell’ADHD. Queste sei domande sono le basi per lo screening e costituiscono la parte A della

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“Symptom Checklist”. La parte B invece è composta dalle rimanenti 12 domande.

Global Assessment of Functioning (GAF): questa è una scala Likert,

presentata nel DSM-IV come Asse V del sistema multi-assiale. Tale strumento permette la valutazione della funzione globale (psicologica, sociale e occupazionale) della persona. Fornisce un punteggio che va da 0 a 100, proporzionalmente alla condizione del paziente.

Functioning Assessment Short Test (FAST) (Rosa et al. 2007): si tratta di un

test sviluppato per la valutazione del grado di compromissione del funzionamento presentato dai pazienti che soffrono di disturbi mentali tra cui il disturbo bipolare. È uno strumento semplice, facile da applicare e che richiede poco tempo per la somministrazione. È composto da 24 domande suddivise secondo le sei aree di funzionamento: autonomia, funzionamento occupazionale, funzionamento cognitivo, finanziario, relazioni interpersonali e tempo libero. Per tutte le domande è usata una scala di valutazione costituita da quattro punti: 0= nessuna difficoltà 1=leggera difficoltà 2=discreta difficoltà 3=molta difficoltà. Il punteggio totale è fatto dalla somma di tutti i punteggi relativi a ogni domanda; pertanto nella scala FAST più alto è il punteggio, maggiori sono le difficoltà. La scala FAST misura la disabilità attualmente presente.

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