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L'Organismo di Vigilanza ai sensi del D.Lgs. 231/01: analisi empirica dell'organo di un campione di società quotate al FTSE MIB

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UNIVERSITA' DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea

L’Organismo di Vigilanza ai sensi del D.Lgs. 231/01: analisi

empirica dell’organo di un campione di società quotate al FTSE

MIB

Candidato: Relatrice:

Antonio Maggio Prof.ssa Alessandra Rigolini

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“Un grande economista deve possedere una rara combinazione di doti: deve essere allo stesso tempo e in qualche misura matematico, storico, politico e filosofo; deve saper decifrare simboli e usare le parole; deve saper risalire dal particolare al generale e saper passare dall'astratto al concreto nello stesso processo mentale; deve saper studiare il presente alla luce del passato, per gli scopi del futuro. Nessun aspetto della natura dell'uomo o delle Istituzioni umane gli deve essere aliena: deve essere concentrato sugli obiettivi e disinteressato allo stesso tempo; distaccato e incorruttibile, come un artista, ma a volte anche terragno come un politico.” John Maynard Keynes

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INDICE

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO PRIMO LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DELLE AZIENDE 1. Il decreto legislativo 231 del 2001 ... 8

1.1 Il campo di applicazione, gli autori del reato, l’“interesse” e il “vantaggio ... 12

1.2 La colpevolezza di “organizzazione”: ratio e finalità ... 15

1.3 Sanzioni ... 16

2. I reati previsti dal D.Lgs. 231/01 ... 20

2.1 I reati-presupposto previsti dal D.Lgs. 231/01 ... 20

2.2 Reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione ... 21

2.3 Reati contro la fede pubblica ... 23

2.4 Reati societari ... 23

2.5 Delitti contro la personalità dello Stato e reati transnazionali ... 26

2.6 Delitti contro la personalità individuale ... 27

2.7 Abusi di mercato ... 28

2.7.1 Abuso di informazioni privilegiate ... 29

2.7.2 Manipolazione del mercato e aggiotaggio ... 30

2.8 Reati in materia di riciclaggio e ricettazione ... 32

2.9 Reati in materia di sicurezza sul lavoro ... 34

2.10 Reati in materia di violazione del diritto d'autore ... 34

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3.1 Il D.Lgs. 231/2001 e il sistema di controllo interno ... 36

3.2 I Modelli di organizzazione, gestione e controllo ... 40

3.3 Le fasi di implementazione del Modello 231 ... 45

3.4 Modello 231: obbligo di adozione per le società del segmento STAR ... 49

CAPITOLO SECONDO L’ORGANISMO DI VIGILANZA 1. L’Organismo di Vigilanza ai sensi del D.Lgs. 231/01 ... 52

2. Funzioni e poteri dell’OdV ... 53

2.1 Compiti ... 53

2.2 Poteri ... 56

2.3 Raccordo con le disposizioni del Tus (D.Lgs. 81/08) ... 58

3. Requisiti ... 59

3.1 Autonomia e indipendenza ... 60

3.2 Professionalità ... 61

3.3 Continuità d’azione ... 63

4. Composizione dell’organo ... 63

4.1 Numerosità e caratteristiche qualitative ... 63

4.2 Partecipazione all’Odv di membri di organi societari ... 65

4.3 Identificazione dell’OdV con altri organi societari esistenti ... 69

4.4 Opportunità introdotte dalla Legge di stabilità 2012 ... 72

5. Responsabilità ... 73

5.1 Profili civili e tutela dei componenti dell’Odv ... 73

(5)

6. Funzionamento e flussi informativi ... 76

6.1 I flussi informativi periodici nei confronti dell’OdV ... 80

6.2 I flussi informativi specifici nei confronti dell’OdV ... 81

6.3 I flussi informativi dell'OdV nei confronti degli organi dirigenti ... 82

CAPITOLO TERZO LA COMPOSIZIONE DELL’ODV IN UN CAMPIONE DI SOCIETÀ QUOTATE ALL’INDICE FTSE MIB 1. L’Indice FTSE MIB ... 84

2. Il campione di analisi ... 85

2.1 Reati imputati alle società del campione dal 31 marzo 2008 ... 88

3. Composizione degli OdV delle società del campione ... 90

4. Risultati dell’analisi del campione ... 100

4.1 Organismo di Vigilanza collegiale o monocratico ... 100

4.2 Numerosità dell’Organismo di Vigilanza ... 101

4.3 Utilizzo di organi di controllo aziendali esistenti ... 103

4.4 Quote rosa nella composizione degli OdV ... 104

4.5 Suddivisione componenti: membri esterni / membri interni ... 107

4.6 Ruolo societario dei membri interni dell’OdV ... 109

5. Background e skills dei membri dell’OdV ... 112

CONCLUSIONI ... 114

BIBLIOGRAFIA ... 117

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INTRODUZIONE

Il Decreto legislativo n. 231 dell’8 giugno 2001 ha introdotto nell’ordinamento italiano una nuova disciplina riguardante la responsabilità amministrativa degli enti e delle società. Fino a quel momento le società non rispondevano dei reati commessi dai soggetti interni, societas delinquere non potest (art.27 della Costituzione), ma con l’emanazione del decreto gli enti incorrono in responsabilità se il reato viene commesso nel loro interesse o vantaggio.

Il D.Lgs. 231/01 prevede agli artt. 24 e 25 i cosiddetti “Reati – presupposto”; tale elenco è in continuo aggiornamento, si spazia dai reati contro la Pubblica Amministrazione ai reati societari, da quelli di corruzione e concussione a quelli in materia di tutela dell’ambiente e sicurezza sul lavoro. L’art. 6 del Decreto prevede la cosiddetta “clausola esimente”: l’ente o la società può esimersi da responsabilità se prova di aver adottato ed attuato efficacemente dei modelli di organizzazione e gestione (Modelli 231), e di aver affidato il compito di vigilare sull’adeguatezza degli stessi ad un organismo specifico.

Il lavoro svolto in questo elaborato affronta i temi descritti qui sopra. Nel primo capitolo viene presentato il D.Lgs. 231/01, il campo di applicazione, le sanzioni previste, e i già citati “Reati – presupposto”, offrendo un approfondimento per alcune fattispecie di questi ultimi. Sempre nel primo capitolo vengono trattati i modelli di organizzazione e gestione, poiché come già detto la loro implementazione permette all’ente di esimersi da responsabilità. L’ultimo paragrafo riguarda l’obbligo per le società appartenenti al segmento STAR (Segmento Titoli con Alti Requisiti) di adozione dei Modelli 231.

Il secondo capitolo della presente Tesi approfondisce invece il tema dell’Organismo di Vigilanza ai sensi del D.Lgs. 231/01. Viene svolta dapprima una panoramica totale su quelli che sono i compiti e i poteri dell’organo, i requisiti che devono essere mantenuti e la composizione dello stesso. Su quest’ultimo punto la trattazione ha riguardato anche le diverse teorie supportate dalle Linee guida, Dottrina, Giurisprudenza, ecc.. circa la partecipazione all’OdV da parte di membri che svolgono un ruolo decisionale o di controllo già all’interno della società. Infine

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il capitolo si conclude esponendo quali sono le responsabilità penali e civili previste nei confronti dei membri dell’OdV e il tema dei flussi informativi che tale organismo scambia con gli organi dirigenti e le altre funzioni di controllo societarie.

Il terzo e ultimo capitolo contiene invece l’analisi empirica svolta riguardo a diversi aspetti della composizione degli Organismi di Vigilanza di un campione di 24 società quotate all’Indice FTSE MIB, il più importante indice azionario della Borsa Italiana. L’analisi ha preso in considerazione diverse variabili: la forma dell’organo (monocratico o collegiale), il numero dei membri, le quote rosa all’interno degli OdV, il rapporto membri esterni / membri interni, ed il ruolo svolto dai membri interni nelle società.

Le conclusioni finali contengono il tentativo portato avanti da questa Tesi di cercare una motivazione generale che sta alla base delle diverse configurazioni degli Organismi di Vigilanza delle società oggetto di analisi.

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CAPITOLO PRIMO

LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DELLE AZIENDE

1. Il decreto legislativo 231 del 2001

Il D.Lgs. n. 231/2001, recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, ha introdotto nell'ordinamento italiano la responsabilità amministrativa degli enti per reati commessi nel loro interesse o vantaggio da persone legate al soggetto giuridico da specifici rapporti normativamente previsti. Il Legislatore è stato condotto da due diverse ragioni ad introdurre nel biennio 2000-2001 un atto normativo che disciplinasse la materia, la prima a livello nazionale e la seconda a livello europeo:

1) l'abuso sempre più intenso da parte delle società di pratiche illegali che spesso costituivano reato, lasciando impuniti gli artefici; questo era un fenomeno che riguardava non solo le imprese per loro natura illecite, cioè aventi finalità criminali, ma anche gli Enti mossi da fini di per sé leciti, ma perseguiti con policies aziendali illecite quali la truffa finanziaria, la corruzione, lesione di interessi patrimoniali pubblici, ecc..;

2) e la spinta normativa dell'Unione Europea.

Il Decreto 231 e la precedente Legge-delega n.300 del 2000 (legge a livello nazionale) costituiscono attuazione di un'ampia serie di atti e convenzioni internazionali ai quali l'Italia era da tempo vincolata, per questa ragione il provvedimento in esame non si qualifica come atto spontaneo dell'ordinamento italiano piuttosto come atto dovuto nei confronti dell'ordinamento comunitario, tanto che in dottrina si è parlato di “scelta europeista coatta”1.

1 G. Lattanzi, Intervento, in Societas puniri potest. La responsabilità da reato degli enti collettivi, Atti del

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L'Italia in quel particolare periodo non era estranea all'illegalità d'impresa, la quale dagli anni '60-70, si era andata intensificando sotto varie forme, dai fenomeni dei “white collars crime” (reati da parte dei “colletti bianchi”, vale a dire di criminalità economica) connessi al ruolo dell'impresa ed alla professionalità dei suoi amministratori, alla vera criminalità degli enti, ossia ai crimini posti in essere a favore delle organizzazioni, soprattutto in ambito economico; vi era una sostanziale differenza rispetto a molti Paesi dell'Unione Europea, come Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Olanda, Portogallo e Svezia, dove la responsabilità degli enti era già permeata e attecchita come dato di fatto, in Italia invece, come già detto, si registrava ancora una evidente lacuna normativa. In tale contesto era quindi necessaria l'introduzione di un sistema del tutto nuovo nell'ordinamento nazionale, in virtù dell'assoluta mancanza di un principio che sancisse la responsabilità degli enti e la relativa punibilità con sanzioni di carattere afflittivo.

Negli anni '90 divenne una scelta indispensabile rispondere all'esigenza di contrastare l'attività criminale, soprattutto vista la gravità e frequenza degli scandali imprenditoriali internazionali quali quelli di Enron, Worldcom, Vivendi, e quelli nazionali di Cirio, Parmalat, l'inchiesta “Mani pulite”, etc.

Il Decreto 231 può quindi essere classificato come un provvedimento che ha determinato un positivo adeguamento del diritto italiano al panorama comunitario. L'iter legislativo è stato abbastanza lungo e anche di difficile attuazione in quanto ostacolato dalla nostra Costituzione in virtù del principio “Societas delinquere non potest”. L'articolo 27 della Costituzione infatti sancisce quanto segue: “La responsabilità penale è personale”2. Nel tentativo di superare questo ostacolo costituzionale alcuni studiosi hanno avanzato e rivalutato la teoria organicistica, in base alla quale l'Ente è un soggetto portatore di interessi, in grado di esprimere la propria volontà e di realizzare atti giuridicamente rilevanti. Questa teoria identifica l'Ente nei suoi rappresentanti di vertice: il comportamento di tali soggetti, se

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oggettivamente e soggettivamente idoneo a configurare un reato, produce la responsabilità penale nella sfera giuridica dell'Ente, da essi impersonata.

Poiché l'Ente è un mero artificio tecnico avente finalità economiche, non può essere condannato ad alcuna pena fisica né può essere oggetto di alcuna azione rieducativa, il Legislatore italiano quindi, tra le possibili opzioni normative – quali la previsione di una responsabilità penale degli Enti, prevista ad esempio in Belgio, Francia, Olanda, Irlanda, Canada, o in alternativa la configurazione di una responsabilità non penale, sebbene connessa all'illecito penale - ha scelto di individuare quello che nella relazione governativa accompagnatoria del D.Lgs 231/2001 viene definito un “tertium genus” di responsabilità: non meramente di natura amministrativa poiché presuppone la commissione di un vero e proprio reato (illecito penale) e neppure di natura penale, poiché la sanzione combinabile all'Ente, seppur tipicamente punitiva, è priva della funzione rieducativa che è propria della pena.

Inizialmente il campo di applicazione del D.Lgs. 231/2001 era limitato alle sole fattispecie di reato compiute a danno della Pubblica Amministrazione; in seguito, con diversi interventi correttivi, la portata del decreto è stata estesa ad altre tipologie di reato, come ad esempio: i reati societari; i delitti con finalità di terrorismo; l’abuso di informazioni privilegiate, anche meglio conosciuto come insider trading; la manipolazione del mercato; e numerosi altri illeciti.

Merita sottolineare il fatto che secondo il Decreto Legislativo in esame, gli Enti che, nel caso si siano verificati alcuni tra i reati indicati nel citato decreto, abbiano adottato un sistema di organizzazione e controllo, possono usufruire di notevoli benefici. Infatti, un Ente che si è dotato di un organismo di controllo con il compito di verificare l’attuazione di un Modello di organizzazione in grado di prevenire la commissione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001 può allora dimostrare l’esclusione della propria responsabilità.

In seguito alla modifica del Regolamento dei mercati di Borsa, adottato con delibera della Consob n. 15786 del 26 febbraio 2007, l’adozione del Modello di organizzazione è divenuta obbligatoria per tutte le società quotate nel segmento

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STAR (Segmento Titoli con Alti Rendimenti). Per le restanti società, invece, l’adozione o meno del Modello di organizzazione e controllo risulta essere facoltativa, a discrezione dell’organo di amministrazione.

La cosiddetta responsabilizzazione dell’attività dell’ente, secondo la normativa in esame, trova il suo presupposto nell’identificazione delle specifiche aree di rischio a cui è esposta l’attività d’impresa; e richiede, come detto, l’attuazione di efficaci meccanismi di controllo per evitare la commissione dei reati-presupposto compiuti nell’interesse e a vantaggio dell’ente stesso di appartenenza. Tuttavia, ai sensi dell’art. 8 del D.lgs. 231 del 2001, la responsabilità dell’ente permane anche quando si verificano una sola delle due condizioni qui di seguito elencate, ovvero quando:

1) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile; 2) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.

Secondo tale normativa la responsabilità dell’ente risulta autonoma rispetto a quella del soggetto che ha compiuto materialmente il reato; e questo è ancor più evidente quando si considera il fatto che l’ente viene chiamato a rispondere del reato anche se l’autore dell’illecito non è stato identificato, o non è imputabile, così come visto al punto uno sopracitato. Quindi, si comprende che la mancata individuazione del soggetto responsabile del compimento del reato compiuto nell’interesse o a vantaggio dell’ente, non costituisce una clausola esimente per la società.

La responsabilità dell’ente è di per sé presunta in tutti quei casi in cui il reato contestato all’ente è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente da soggetti in posizione apicale o sottoposti al controllo degli organi dirigenti. Tale presunzione richiede che vengano però accertati due presupposti, e cioè:

1) il rapporto di collegamento qualificato tra l’autore del reato e l’organigramma aziendale;

2) l’esistenza dell’interesse o del vantaggio che ne avrebbe tratto l’ente dalla commissione dell’illecito contestato.

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Bisogna evidenziare il fatto che l’ente non ne risponde e non è responsabile, nel caso in cui le persone sopra indicate abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

1.1 Il campo di applicazione, gli autori del reato, l’“interesse” e il “vantaggio”

Il D.Lgs. 231 del 2001 come già detto disciplina la responsabilità amministrativa degli enti in presenza di illeciti dipendenti da reato3; le disposizioni in esso contenute si applicano agli enti dotati di personalità giuridica ma anche alle società e associazioni prive di tale personalità. Sono quindi assoggettate al decreto sopra citato:

• le società di capitali (Spa, Srl, ..); • le società di persone;

• le società cooperative;

• le associazioni con o senza personalità giuridica;

• gli enti pubblici economici e gli enti privati concessionari di un servizio pubblico;

• le fondazioni; • i comitati;

• le associazioni che svolgono la propria attività statutaria anche senza fine di lucro;

• gli enti pubblici economici, identificati con quelle realtà che svolgono un’attività economica secondo i principi stabiliti dal diritto privato.

Rimangono invece esclusi dall’ambito applicativo del D.Lgs. 231/2001: § lo Stato;

§ gli enti pubblici territoriali;

3 F. Storelli, L’illecito amministrativo da reato degli enti nell’esperienza giurisprudenziale,

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§ gli altri enti pubblici non economici;

§ gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, comprendenti sia i partiti politici che i sindacati;

§ le imprese individuali.

Una posizione particolare è rivestita da quegli enti pubblici associativi che, per la loro natura peculiare, rivestono una funzione pubblicistica (Aci, Cri) e gli enti pubblici che forniscono un servizio pubblico (aziende ospedaliere, scuole, Università, ecc..).

Le imprese individuali risultano invece escluse dall’applicazione del Decreto, in quanto manca il presupposto logico cui è necessariamente subordinata la responsabilità dell’ente, fondata sulla possibilità di distinguere la società dall’autore del reato.

Parlando di responsabilità amministrativa delle imprese risultano interessanti i concetti di “rapporto qualificato”, di “interesse” e di “vantaggio” dell’ente. Inizialmente vengono individuati quei soggetti che, essendo inseriti e operando all’interno della compagine aziendale, sono in grado di commettere degli illeciti che possono originare una responsabilità cosiddetta amministrativa per l’ente in cui operano.

I reati rilevanti secondo il D.Lgs. 231/2001 devono essere stati commessi da soggetti che all’interno della società rivestono cariche dirigenziali, oppure da soggetti che sono posti alle dipendenze di questi. Nel valutare il rapporto qualificato dell’autore del reato con l’ente in esame, si deve accertare se l’illecito è stato compiuto da persone che ricoprono funzioni di amministrazione, di direzione o di rappresentanza dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, oltre che da persone che esercitano anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso ente. La normativa in questione viene quindi applicata a quei soggetti che agiscono all’interno dell’azienda con una propria e specifica autonomia.

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Nell’accertare la responsabilità amministrativa dell’ente, ricoprono particolare interesse e rilevanza quei reati commessi da quei soggetti che, anche non muniti di una investitura formale, esercitano di fatto la gestione e il controllo dell’ente. Bisogna sottolineare come il rapporto qualificato tra colui che commette il reato e la società sussiste anche quando si è in presenza di un rapporto di sottoposizione dell’autore del reato a persone che all’interno dell’ente si trovano in posizione di vertice.

Per concludere, è importante sottolineare come reati contestabili alla società4 possono essere commessi da:

• soggetti muniti del potere di amministrazione e dotati di funzioni direttive; • soggetti sottoposti alla direzione di funzionari dell’ente.

Come già accennato, è evidente che l’ente non si trova a rispondere dell’illecito se colui che ha materialmente compiuto il reato lo ha fatto nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. Quindi la mancanza di coincidenza di interessi tra colui che ha commesso l’illecito e l’ente, interrompe il rapporto di immedesimazione organica. Il secondo elemento che deve essere valutato per contestare all’ente la responsabilità penale è il concetto di interesse o vantaggio che l’ente ha potuto trarre dal compimento del reato.

Abbiamo già individuato quali sono i soggetti potenzialmente in grado di compiere i reati previsti dal D.Lgs. 231 del 2001; adesso bisogna soffermarsi piuttosto sui concetti di “interesse” e di “vantaggio”. La sussistenza dell’interesse richiede la valutazione dell’azione, ossia se questa sia stata compiuta con l’obiettivo di realizzare una utilità futura per la società. È necessario quindi valutare l’elemento soggettivo dell’autore antecedente al compimento dell’illecito. Il vantaggio invece, viene considerato come l’effettiva e reale utilità economica di cui ha beneficiato l’ente per effetto della condotta sanzionata. La valutazione in questo caso è quindi oggettiva e viene effettuata ex post. Secondo l’interpretazione più

4 S. Di Pinto, La responsabilità amministrativa da reato degli enti. Profili penali sostanziali e ricadute sul piano civilistico, Torino, Giappichelli, 2003

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diffusa, è sufficiente che sia presente anche uno solo tra i due elementi sopra menzionati.

1.2 La colpevolezza di “organizzazione”: ratio e finalità

L'accertamento della responsabilità ed il conseguente profilo di rimproverabilità penale dell'Ente esigono, come già detto, oltre alla sussistenza dei criteri oggettivi, anche la verifica del cosiddetto profilo soggettivo di attribuzione della responsabilità. Dunque, per configurare una responsabilità in capo all'Ente è necessaria la sussistenza della cosiddetta “colpa da organizzazione5”: questa colpa consiste nel poter rimproverare all'Ente l’assenza o il carente funzionamento dei modelli di organizzazione previsti dagli artt. 6 e 7 del Decreto Legislativo 231 del 2001.

Tale sistema evidenzia, quindi, come la colpa da organizzazione si esprima già nella mancata fase di progettazione di una strategia di impresa avveduta e finalizzata alla prevenzione del rischio, e, perciò, quale deficit organizzativo insito in un'iniziale strategia di impresa. Dunque è proprio il riscontro di tale deficit organizzativo che consente l'imputazione all'Ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo.

L'Ente se vuole esimersi da responsabilità è chiamato a provare di aver adottato ed efficacemente attuato misure di organizzazione, gestione e controllo idonee a prevenire la commissione di illeciti espressamente previsti dal Decreto in esame; in caso contrario dovrà rispondere per un difetto di organizzazione, ovvero per una propria colpevole disorganizzazione.

L'Ente sarà quindi considerato colpevole per non esser stato in grado di impedire la consumazione o anche il solo tentativo del reato, e non perché abbia favorito la commissione del reato, inoltre: la negligenza della persona giuridica non dovrà

5 ARENA M., CASSANO G., La responsabilità da reato degli enti collettivi, Giuffrè, 2007

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essere cercata al di fuori della sua struttura, bensì all'interno di questa, nella sua organizzazione e nelle finalità aziendali perseguite, giacché i reati, in tale ambito, sarebbero solamente il sintomo più evidente di una “malata” cultura dell'impresa. Il comportamento colpevole, nel caso, della persona giuridica consiste dunque nella condotta volontaria della stessa a non predisporre idonei strumenti atti a prevenire e/o impedire i reati e quindi, ad esporsi implicitamente al pericolo che questi si verifichino, nonostante le potenziali condizioni favorevoli per assolvere ai propri adempimenti. In questo senso, il Decreto stabilisce una sorta di dovere di organizzazione, richiedendo all'ente di adottare modelli di organizzazione e gestione idonei.

É necessario precisare che i modelli appena citati, seppur non obbligatori, rappresentano, di fatto, la sola arma di difesa di cui dispone l'Ente che viene sottoposto ad indagini o imputato per uno o più dei reati previsti dal decreto. Tuttavia, come già detto, si è verificato un nuovo percorso normativo in forza del quale si è andati sempre più verso l'obbligatorietà dell'adozione delle misure previste dallo stesso decreto e, quindi, anche dell'organismo di vigilanza6.

1.3 Sanzioni

Quando l'illecito amministrativo viene accertato, il Decreto 231/2001 individua le sanzioni applicabili all'Ente, così distinte:

a) sanzione pecuniaria7; b) sanzione interdittiva8; 6Modifiche apportate al Regolamento dei Mercati di Borsa Italiana (delibera n. 15996 del 26 giugno 2007): si prevede l'obbligo di dotarsi dei modelli di organizzazione, gestione e controllo per tutti gli emittenti che intendano ottenere la qualifica di STAR, a partire dal 1° aprile 2008 7 Art. 10-11-12, D.Lgs 231/2001 8 Art. 13-14-15-16 D.Lgs 231/2001

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c) confisca del profitto9;

d) pubblicazione della sentenza;

Le sanzioni pecuniarie:

Tale sanzione viene applicata sempre al verificarsi dell'illecito amministrativo dipendente da reato (art. 10, comma 1); ai sensi del D.lgs. 231/2001 devono essere quantificate dal giudice con il sistema delle quote10, per un numero non inferiore a 100 né superiore a 1000. In sede di quantificazione delle quote il pubblico ufficiale dovrà tener conto della gravità del fatto, il grado di responsabilità dell'Ente, l'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. Il valore di ogni quota invece, può variare da un minimo di € 258 ad un massimo di €1549 (quindi si avranno sanzioni da un minimo di € 25.800, ad un massimo di € 1.549.000).

Per ciò che attiene, invece, la definizione dell'importo di ogni quota ci si affida alla discrezionalità del giudice, il quale valuta anche le condizioni patrimoniali ed economiche in cui versa l'Ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione, cosicché si evitino sanzioni inique e non congrue rispetto alla consistenza finanziaria dell'Ente.

É consentito ridurre la sanzione pecuniaria della metà quando l'autore del reato abbia compiuto l'illecito nel prevalente interesse proprio o di terzi e l'Ente non ne abbia ricavato vantaggio, o ne abbia ricavato un vantaggio minimo, oppure laddove il danno patrimoniale cagionato sia di “particolare tenuità”11. Può essere addirittura ridotta da un terzo alla metà nel caso in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l'Ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato (ossia si sia efficacemente attivato in tal senso), oltre al caso in cui sia stato adottato e reso

9 Art. 19, D.Lgs. 231/2001

10 Art. 11 D.lgs. 231/2001, Criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria 11 Art. 12 D.Lgs. 231/2001, Casi di riduzione della sanzione pecuniaria

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operativo un Modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Le sanzioni interdittive:

Sono previste nei casi più gravi e possono essere inflitte anche congiuntamente alle pene pecuniarie; hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l'illecito dell'Ente e sono determinate per tipologia e durata in funzione dell'idoneità a prevenire reati simili a quello commesso.

Si prevedono distinte fattispecie12, quali: Ø l'interdizione dall'esercizio dell'attività;

Ø divieto di contrattare con la pubblica amministrazione (salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio);

Ø la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;

Ø l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi;

Ø il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Le sanzioni interdittive, la cui durata non può essere inferiore a tre mesi e non superiore a due anni, sono applicate dal giudice in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni (art. 13, D.lgs. 231/2001):

a) l'Ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale o da soggetti sottoposti ad altrui direzione quando la commissione del reato sia stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;

b) in caso di reiterazione degli illeciti.

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L'articolo 15 del D.lgs. 231/2001 precisa che laddove sussistano le condizioni per l'applicazione di una sanzione interdittiva che determini l'interruzione dell'attività dell'Ente, il giudice potrà nominare un commissario, al quale saranno demandati specifici compiti e poteri (adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e controllo idonei a prevenire reati simili a quello commesso), il quale sarà chiamato a proseguire l'attività per un periodo pari alla durata della pena stessa, al verificarsi di almeno una delle seguenti condizioni:

• l'Ente eroga un pubblico servizio o un servizio di pubblica utilità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;

• l'interruzione dell'attività dell'Ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull'occupazione.

Da considerare che il profitto derivante dalla prosecuzione dell'attività sarà oggetto di confisca; inoltre, la prosecuzione da parte del commissario non è consentita quando l'interruzione dell'attività scaturisce dall'applicazione in via definitiva di una sanzione interdittiva.

Confisca del profitto:

Nei confronti dell'Ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Quando non è possibile eseguire la confisca, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o profitto del reato13.

Pubblicazione della sentenza:

La pubblicazione della sentenza di condanna può essere disposta quando, nei confronti dell'Ente, viene applicata una sanzione interdittiva. La sentenza è

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pubblicata una sola volta, per estratto o per intero in uno o più giornali individuati dal giudice nella sentenza, nonché mediante affissione nel comune ove lo stesso ha sede principale, a spese dell'Ente14.

2. I reati previsti dal D.Lgs. 231/01

2.1 I reati-presupposto previsti dal D.Lgs. 231/01

L'elenco dei reati-presupposto si presenta notevolmente ampliato rispetto all'originaria formulazione del Decreto. Infatti nella prima versione, come già detto in precedenza, il D.Lgs. 231/2001 considerava unicamente i reati contro la Pubblica Amministrazione.

L'elenco dei reati è in continuo ampliamento, negli ultimi anni sono stati inseriti ad esempio i reati connessi alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (reato di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro).

L'Ente può essere chiamato a rispondere esclusivamente per i reati15 previsti dagli artt.24 e seguenti del D.Lgs. 231/2001.

Attualmente i reati-presupposto sono i seguenti:

§ Art. 24 del D.Lgs. 231/2001: indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico; § Art. 25 del D.Lgs. 231/2001: concussione16 e corruzione;

§ Art. 25-bis del D.Lgs. 231/2001: i reati contro la fede pubblica; § Art. 25-ter del D.Lgs. 231/2001: reati societari;

14 Art. 18 D.Lgs. 231/2001, Pubblicazione della sentenza di condanna 15 AA.VV, G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti, Giuffré, Milano, 2005 16 Nella legislazione italiana, il reato è disciplinato dall'articolo 317 del codice penale il quale recita: "Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità e dei suoi poteri costringe o induce taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni".

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§ Art. 25-quater del D.Lgs. 231/2001: delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, previsti dal codice penale e da leggi speciali;

§ Art. 25-quater1 del D.Lgs. 231/2001: pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili;

§ Art. 25-quinquies del D.Lgs. 231/2001: delitti contro la personalità individuale;

§ Art. 25-sexies del D.Lgs. 231/2001: abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato;

§ Art. 25-septies del D.Lgs. 231/2001: omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commesse con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro;

§ Art. 25-octies del D.Lgs. 231/2001: ricettazione, riciclaggio e impiego denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita;

§ Art. 25-novies del D.Lgs. 231/2001: reati in materia di violazione del diritto d’autore;

§ Art. 25-decies del D.Lgs. 231/2001: induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'Autorità Giudiziaria;

§ Art. 25-undecies del D.Lgs. 231/2001: reati ambientali (introdotto con D.Lgs. 121/2011);

§ Art. 25-duodecies del D.Lgs. 231/2001: impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare;

§ Art. 26 del D.Lgs. 231/2001: delitti tentati;

§ Legge 16 marzo 2006, n. 146, art. 3 e 10: reati transnazionali.

2.2 Reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione

Molte imprese nell’esercizio della propria attività entrano in contatto con la Pubblica Amministrazione; tra queste soprattutto le società che partecipano a gare o a procedure di appalto, che ottengono autorizzazioni, concessioni, licenze,

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partecipano a procedure per ricevere finanziamenti pubblici, o si occupano di prestare servizi e di realizzare opere per le Amministrazioni.

Tali tipologie di reati vengono compiute da soggetti, che in virtù delle cariche e delle funzioni all’interno dell’azienda, entrano in contatto con soggetti che svolgono funzioni pubbliche o servizi pubblici. In modo analogo a questi reati appena citati, assumono rilevante importanza per l’applicazione del D.Lgs. 231/2001 anche quelli di corruzione e concussione (art. 25 del D.Lgs. 231/2001). In sostanza, assumono specifica rilevanza i reati di:

Ø Malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.)

Ø Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) Ø Truffa in danno Stato o di un ente pubblico (art. 640, comma 2, n.1, c.p.) Ø Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis

c.p.)

Ø Frode informatica (art.640-ter c.p.) Ø Concussione (art. 317 c.p.)

Ø Corruzione per un atto d’ufficio (artt. 318 e 321 c.p.)

Ø Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (artt. 319, 319-bis, 321 c.p.)

Ø Corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter e 321 c.p.)

Ø Corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (artt. 320 e 321 c.p.) Ø Istigazione alla corruzione (art 322 c.p.)

Ø Concussione, corruzione e istigazione alla corruzione dei membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati membri (art. 322-bis c.p.)

Nel caso in cui venga accertata la responsabilità dell’ente, potranno essere applicate le sanzioni previste dagli artt. 24 e 25 del D.Lgs. 231/2001 (sanzioni pecuniarie, interdittive, confisca del profitto e pubblicazione della sentenza).

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2.3 Reati contro la fede pubblica

L’art 25-bis del D.Lgs. 231/2001 prevede che venga applicata la responsabilità amministrativa delle imprese anche ai reati contro la fede pubblica.

I comportamenti che possono essere sanzionati, riguardano:

Ø Falsità in moneta, in carte di pubblico credito e in valori di bollo (art. 25-bis del D.Lgs. 231/2001)

Ø Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate (art. 453 c.p.)

Ø Alterazione di monete (art. 454 c.p.)

Ø Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate (art. 455 c.p.)

Ø Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede (art. 457 c.p.)

Ø Falsificazione dei valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati (art. 459 c.p.) Ø Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di

pubblico credito o di valori di bollo (art. 460 c.p.)

Ø Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata (art. 461 c.p.)

Ø Uso di valori di bollo contraffatti o alterati (art. 464 c.p.)

2.4 Reati societari

I reati societari rilevanti per la responsabilità amministrativa delle imprese sono quelli che vengono commessi nell’interesse della società, da amministratori, direttori generali o liquidatori, o da persone sottoposte alla loro vigilanza. Le Linee Guida di Confindustria contengono un approfondimento di particolare interesse in materia di reati societari; infatti in esse è stata dedicata particolare attenzione ai tre

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principali reati di natura societaria, che più frequentemente di altri e in maniera semplice si prestano a manipolazioni:

1) le false comunicazioni sociali (art. 2621 cc);

2) le false comunicazioni sociali in danno dei soci e dei creditori (art. 2622 cc);

3) e il falso in prospetto (art. 2623 cc)17.

Secondo quanto disposto dall’art. 25-ter del D.Lgs. 231/2001, quindi, i reati societari che possono dar vita a una responsabilità amministrativa per l’ente sono: a) per il delitto di false comunicazioni sociali, prevista dall'articolo 2621 del

codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote; a-bis) per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall'articolo 2621-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote; b) per il delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, previsto dall'articolo 2622, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote;

c) per il delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, previsto dall'articolo 2622, terzo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote; abrogata

d) per la contravvenzione di falso in prospetto, prevista dall'articolo 2623, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a duecentosessanta quote;

e) per il delitto di falso in prospetto, previsto dall'articolo 2623, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicentosessanta quote;

f) per la contravvenzione di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, prevista dall'articolo 2624, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a duecentosessanta quote;

17 Musco E., I nuovi reati societari, Milano, Giuffrè, 2007; Sciumbata G., I reati societari, Milano, Giuffrè, 2008

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g) per il delitto di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, previsto dall'articolo 2624, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote;

h) per il delitto di impedito controllo, previsto dall'articolo 2625, secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a trecentosessanta quote;

i) per il delitto di formazione fittizia del capitale, previsto dall'articolo 2632 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a trecentosessanta quote;

l) per il delitto di indebita restituzione dei conferimenti, previsto dall'articolo 2626 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a trecentosessanta quote;

m) per la contravvenzione di illegale ripartizione degli utili e delle riserve, prevista dall'articolo 2627 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a duecentosessanta quote;

n) per il delitto di illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante, previsto dall'articolo 2628 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a trecentosessanta quote;

o) per il delitto di operazioni in pregiudizio dei creditori, previsto dall'articolo 2629 del codice civile, la sanzione pecuniaria da trecento a seicentosessanta quote;

p) per il delitto di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori, previsto dall'articolo 2633 del codice civile, la sanzione pecuniaria da trecento a seicentosessanta quote;

q) per il delitto di illecita influenza sull'assemblea, previsto dall'articolo 2636 del codice civile, la sanzione pecuniaria da trecento a seicentosessanta quote;

r) per il delitto di aggiotaggio, previsto dall'articolo 2637 del codice civile, e per il delitto di omessa comunicazione del conflitto d'interessi previsto dall'articolo 2629-bis del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote;

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s) per i delitti di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, previsti dall'articolo 2638, primo e secondo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote.

s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote.

2.5 Delitti contro la personalità dello Stato e reati transnazionali

Per tale prima tipologia di reati, le condotte che vengono sanzionate sono quelle che vanno a ledere gli interessi politici, rivolgendo particolare attenzione a quelle azioni aventi lo scopo di promuovere, organizzare e finanziare organizzazioni-associazioni costituite con lo scopo di svolgere azioni di terrorismo o di evasione dell’ordine democratico.

Per quanto riguarda invece i reati transnazionali, di particolare interesse risulta essere l’art. 10 della legge 146/2006 intitolato “Responsabilità amministrativa degli enti”. Nell’art. 10 vengono infatti richiamati altri articoli contenenti i reati-presupposto rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa degli enti, prevedendo per ciascun reato una sanzione, a volte solo amministrativa, altre volte sia amministrativa che interdittiva.

L'articolo 3 della legge definisce reato “transnazionale” il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché:

a) sia commesso in più di uno Stato;

b) sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;

c) sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;

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d) sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in altro Stato. Tali reati transnazionali si distinguono in:

• associazione per delinquere; • associazione di tipo mafioso;

• associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri;

• associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope;

• disposizioni contro le immigrazioni clandestine;

• induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria;

• favoreggiamento personale.

2.6 Delitti contro la personalità individuale

I delitti controllo la personalità individuale che possono essere contestati agli enti a cui appartiene l’autore materiale del reato, sono contenuti e indicati dagli artt. 25-quater.1 e 25-quinquies del D.Lgs. 231/2001.

I reati in questione, che risultano essere rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa della società, sono riconducibili ai delitti di violazione dei diritti fondamentali della persona, di abusi sessuali, di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, tratta di persone.

Ci sono poi i reati-presupposto, richiamati dai due articoli sopra menzionati, del codice penale, rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente, ed hanno per oggetto i seguenti articoli, così intitolati:

Ø art. 583-bis c.p.: Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili; Ø art. 600 c.p.: Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù;

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Ø art. 600-ter c.p.: Pornografia minorile;

Ø art. 600-quater c.p.: Detenzione di materiale pornografico; Ø art. 600-quater.1 c.p.: Pornografia virtuale;

Ø art. 600-quinquies c.p.: Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile;

Ø art. 601 c.p.: Tratta di persone;

Ø art. 602 c.p.: Acquisto e alienazione di schiavi.

2.7 Abusi di mercato

La normativa in materia di abuso di mercato è frutto dell’attuazione della direttiva comunitaria n. 2003/6/Ce; queste nuove disposizioni, introdotte nel nostro ordinamento dalla legge 18 aprile 2005, sono andate a modificare sia il Testo Unico della Finanza (D.Lgs. 58/1998), sia la normativa in materia di responsabilità amministrativa delle imprese, ovvero il D.Lgs. 231/2001.

La normativa in questione è contenuta nell’art. 25-sexies del sopra citato decreto, che così sancisce riguardo al tema degli abusi di mercato:

1) “In relazione ai reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato previsti dalla parte V, titolo I-bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.

2) Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall'ente è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto.”

A norma del D.Lgs. 231/2001 viene prevista la responsabilità dell’ente nel caso in cui venga accertata la commissione di uno degli illeciti in materia di “abuso di mercato”, sanzionati dal D.Lgs. 58/1998, da parte di un soggetto posto in posizione apicale o un suo subordinato, nell’interesse o a vantaggio dell’ente. I reati sanzionati dal Tuf sono quelli contenuti nei seguenti articoli:

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§ art. 184: Abuso di informazioni privilegiate18; § art. 185: Manipolazione del mercato;

§ art. 186: Pene accessorie; § art. 187: Confisca.

È di rilevante importanza sottolineare come la responsabilità dell’ente risulta comunque autonoma e non solidale rispetto a quella contestata all’autore materiale dell’illecito.

Per quanto riguarda questa tipologia di reati, risulta interessante l’individuazione nel Modello di organizzazione e controllo delle aree di rischio. Nel valutare l’idoneità di questo Modello, qualora si presentasse il caso del compimento di reati in materia di abuso di mercato, assume particolare rilievo infatti la mappatura dei rischi contenuta nel Modello stesso e l’adozione quindi di misure efficaci finalizzate a prevenire ed evitare i reati previsti dal Tuf.

2.7.1 Abuso di informazioni privilegiate

Il reato di abuso di informazioni privilegiate è anche meglio conosciuto come Insider Trading. Con questo termine inglese, Insider Trading, si fa riferimento al reato che prevede la compravendita di titoli (valori mobiliari: azioni, obbligazioni, derivati), per conto proprio o altrui, di una determinata società da parte di soggetti che, per la loro posizione all'interno della stessa o per la loro attività professionale, siano venuti in possesso di informazioni riservate e quindi non di pubblico dominio (per questo vengono indicate come "informazioni privilegiate") che, per la loro natura, permettono ai soggetti che ne facciano utilizzo una scelta basata su di

18 L’informazione privilegiata non è più quella «che non sia stata resa pubblica» bensì quella «di cui il pubblico non dispone», ponendo così l’accento sull’effettiva e concreta indisponibilità al pubblico della stessa in un dato momento. In altri termini, la posizione di privilegio dell’insider si caratterizza non tanto per l’acquisizione di informazioni che devono rimanere nel tempo inaccessibili e indisponibili al pubblico, quanto per l’acquisizione anticipata di notizie che, non essendo ancora state divulgate, non sono riflesse dalle quotazioni attuali dei titoli, ma che comunque sono destinate a divenire di pubblico dominio in un momento successivo, quando l’insider avrà però già tratto profitto dallo scarto temporale a suo vantaggio

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un'asimmetria informativa, privilegiandoli rispetto ad altri investitori sul medesimo mercato.

Ai sensi del disposto di cui all’art.184 del Tuf compie il reato di abuso di informazioni privilegiate:

“[...] chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:

a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;

b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio;

c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a)”.

Quindi, dalle norme contenute nel nostro ordinamento, si deduce che verrà sanzionato il soggetto che, venuto in possesso di informazioni privilegiate, le metta a disposizione di terzi al di fuori del normale esercizio del proprio lavoro o funzione o ufficio; allo stesso modo, viene sanzionato il soggetto che raccomanda o induce altri, sulla base delle informazioni privilegiate possedute, al compimento delle operazioni indicate nelle lettere a) e b) del citato art.184 del Tuf.

2.7.2 Manipolazione del mercato e aggiotaggio

Il reato di manipolazione del mercato viene disciplinato dal Tuf all’art. 185: 1) “Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o

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prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni.

2) Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo “.

2-bis) Nel caso di operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a), numero 2), la sanzione penale è quella dell’ammenda fino a euro centotremila e duecentonovantuno e dell’arresto fino a tre anni.

Quindi, ai sensi dell’art.185 del Tuf, ai fini del compimento del reato di manipolazione del mercato, viene sanzionato colui che:

§ diffonde notizie false,

§ pone in essere operazioni simulate o altri artifizi nei fatti idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari.

Congiuntamente al reato di “Manipolazione del mercato” viene considerato il reato di aggiotaggio. Tale tipologia di reato lo si trova nel codice civile all’art. 2637 e nel codice penale all’art. 501, intitolato “Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”.

Il Codice Civile all’art. 2637 così recita:

“Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.

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Si può così comprendere come il reato di aggiotaggio19 colpisca la diffusione di informazioni false o il compimento di operazioni simulate o altri artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato.

Ecco perciò spiegata la differenza fondamentale tra l’aggiotaggio e la manipolazione di mercato:

• nel primo caso viene sanzionato il comportamento finalizzato all’alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati;

• nel secondo caso, invece, ai fini del compimento dell’illecito assume rilievo il comportamento finalizzato all’alterazione del prezzo di strumenti finanziari quotati.

2.8 Reati in materia di riciclaggio e ricettazione

Le disposizioni relative ai reati di riciclaggio e ricettazione, insieme a quello di impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita, sono state introdotte dal D.Lgs. del 16 novembre 2007 per reprimere il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.

Le disposizioni su tali tipologie di reati sono trattate all’art. 25-octies del D.Lgs. 231/2001, il quale ha inserito nel nostro ordinamento i reati presupposto rilevanti ai fini degli illeciti sopra menzionati. L’art. 25-octies così prevede:

19 Uff. indagini preliminari Tribunale Monza, 24 aprile 2006: “Il delitto di aggiotaggio non è reato di mera condotta, che si perfezione indipendentemente dall’effettiva conoscenza da parte di terzi di notizie false, bensì reato di pericolo concreto, che, quindi, si consuma nel tempo e nel luogo in cui si concretizza, quale conseguenza della condotta, la rilevante possibilità di verificazione della sensibile alterazione dello strumento finanziario. L’evento pericoloso risulta infatti logicamente e giuridicamente distinguibile dalla condotta posta in essere dall’agente, sicché il tempo e il luogo in cui il bene protetto è oggetto di minaccia possono non coincidere con le coordinate spazio-temporali della condotta, rappresentata nella specie dall’invio del comunicato.” In Il foro ambrosiano, 2006, 1, 81.

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1) “In relazione ai reati di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote. Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni si applica la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote.

2) Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1 si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a due anni.

3) In relazione agli illeciti di cui ai commi 1 e 2, il Ministero della giustizia, sentito il parere dell'UIF, formula le osservazioni di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.

I reati in questione, menzionati nel primo comma, riguardano: § art. 648 c.p.: Ricettazione;

§ art. 648-bis c.p.: Riciclaggio;

§ art. 648-ter c.p.: Impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita.

Dalle disposizioni previste dall’art. 25-octies del D.Lgs. 231/2001 si può dedurre che, all’ente o alla società, a cui appartiene l’autore materiale dell’illecito previsto da tale articolo, possono essere applicate sia sanzioni pecuniarie, sia sanzioni interdittive. Quest’ultime vengono applicate per casi di particolare gravità, e devono essere disposte per una durata non superiore ai due anni.

Le misure che possono essere applicate sono: • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

• la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

• il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere la prestazione di un pubblico servizio;

• l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

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• il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

L’applicazione delle sanzioni interdittive può perciò in alcuni casi anche compromettere la continuità dell’azienda, fino al punto di poter mettere seriamente in pericolo l’attività della società. A maggior ragione, risulta quindi necessario dotarsi di un idoneo ed efficiente Modello di organizzazione e controllo per le società e gli enti in generale che operano in settori a rischio per la commissione dei reati descritti dall’art. 25-octies del D.Lgs. 231/2001.

Le categorie di società maggiormente esposte alla commissione di questo genere di reati sono rappresentate dalle banche, dalle assicurazioni, Sicav, Sgr, Sim, ecc. Per queste società, è evidente la necessità di adottare un Modello di organizzazione interno, che permetta l’identificazione delle aree dell’attività maggiormente esposte al rischio di commissione degli illeciti in questione.

2.9 Reati in materia di sicurezza sul lavoro

La sicurezza sul lavoro è sicuramente un tema di grande attualità, è oggi definita a livello nazionale da un nuovo disposto normativo, il D.Lgs. 81/2008, anche meglio conosciuto come Testo Unico Sicurezza Lavoro entrato in vigore, per la quasi totalità degli articoli, il 15 maggio 2008. La nuova Legge abroga molti disposti normativi storici (risalenti al 1955 e 1956) ed altri anche molto recenti, inasprendo pesantemente le sanzioni a carico degli inadempienti. Anche per quanto riguarda i cantieri temporanei o mobili il D.Lgs. 81/2008 abroga la precedente “494” (D.Lgs. 494/96) introducendo importanti e significative modificazioni.

2.10 Reati in materia di violazione del diritto d'autore

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1) “In relazione alla commissione dei delitti previsti dagli articoli 171, primo comma, lettera a-bis), e terzo comma, bis, ter, septies e 171-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

2) Nel caso di condanna per i delitti di cui al comma 1 si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 174-quinquies della citata legge n. 633 del 1941.”

I reati previsti dagli articoli della legge 22 aprile 1941, n.633 riguardano:

Ø Messa a disposizione del pubblico, in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, di un'opera dell'ingegno protetta, o di parte di essa;

Ø Reati di cui al punto precedente commessi su opere altrui non destinate alla pubblicazione qualora ne risulti offeso l'onore o la reputazione;

Ø Abusiva duplicazione, per trarne profitto, di programmi per elaboratore; importazione, distribuzione, vendita o detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale o concessione in locazione di programmi contenuti in supporto non contrassegnati dalla SIAE; predisposizione di mezzi per rimuovere o eludere i dispositivi di protezione di programmi per elaboratori;

Ø Riproduzione, trasferimento su altro supporto, distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico, del contenuto di una banca dati; estrazione o reimpiego della banca dati; distribuzione, vendita o concessione in locazione di banche dati;

Ø Abusiva duplicazione, riproduzione, trasmissione o diffusione in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, di opere dell'ingegno destinate al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio di dischi, nastri o supporti analoghi o ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in

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movimento; opere letterario, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico musicali, multimediali, anche se inserite in opere collettive o composite o banche dati; riproduzione, duplicazione, trasmissione o diffusione abusiva, vendita o commercio, cessione a qualsiasi titolo o importazione abusiva di oltre cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d'autore e da diritti connessi; immissione in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, di un'opera dell'ingegno protetta dal diritto d'autore, o parte di essa;

Ø Mancata comunicazione alla SIAE dei dati di identificazione dei supporti non soggetti al contrassegno o falsa dichiarazione;

Ø Fraudolenta produzione, vendita, importazione, promozione, installazione, modifica, utilizzo per uso pubblico e privato di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica, sia digitale.

3. I Modelli organizzativi e di gestione ai sensi del D.Lgs. 231/2001

3.1 Il D.Lgs. 231/2001 e il sistema di controllo interno20

Come già più volte detto, il decreto legislativo 231/2001 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico la responsabilità amministrativa, ovvero la responsabilità degli enti per gli “illeciti amministrativi dipendenti da reato”. La responsabilità risulta essere di natura amministrativa e deriva dalla commissione di alcuni reati da parte di soggetti che si trovano in un rapporto determinato con l’ente stesso, sempreché, naturalmente, il reato sia stato commesso “nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio”, cioè la già citata “colpa da organizzazione”. L’ente incorre nella

20 Su approfondimenti sul sistema di controllo interno nella letteratura economico-aziendale si veda

in particolare: L. Marchi, Principi di revisione, Bologna, Clueb, 1999; M. Pini, Il sistema di

controllo interno. Dimensione logico-aziendali e valenze normative, Milano, Egea, 2000; M. Comoli, I sistemi di controllo interno nella corporate governance, Milano, Egea, 2002.

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responsabilità amministrativa, rischiando perciò di subire sanzioni di diverso tipo, se il reato è stato commesso:

§ da soggetti in posizione apicale, quali appunto persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione dell’ente o di una unità operativa autonoma, o comunque persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente

§ oppure da soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di soggetti apicali.

Il D.Lgs. 231/2001, prevede anche la possibilità per l’ente di esimersi dalla responsabilità per i reati commessi dai soggetti posti in posizione apicale, ma ciò avviene solo se esso è in grado di dimostrare che:

a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima che l’illecito fosse stato commesso, modelli di organizzazione e gestione idonei alla prevenzione dei reati del tipo di quello commesso;

b) il compito di vigilare sull’osservanza dei modelli e di aggiornarli è stato affidato ad un organismo dell’ente dotato di autonomi potere di iniziativa e controllo;

c) gli autori del reato hanno commesso lo stesso eludendo fraudolentemente i modelli organizzativi;

d) e infine, non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo, di cui alla lettera b).

Qualora l’ente decida di avvalersi del dettato dell’art. 6 del D.Lgs. 231/2001, che prevede appunto la clausola esimente, la norma è sicuramente destinata ad influire sul sistema di controllo interno dell’organizzazione.

Ovviamente i modelli previsti dal D.Lgs. 231/2001 non coincidono in modo perfetto con il sistema di controllo interno, anche se presentano due importanti punti di intersezione:

1) La responsabilità dell’organo dirigente per la loro adozione. Infatti è sicuramente condivisibile l’opinione secondo cui il procedimento di

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adozione ed implementazione dei modelli rappresenta l’esatto adempimento di un obbligo di corretta gestione dell’impresa da parte degli amministratori;

2) La costituzione dell’Organismo di Vigilanza sul funzionamento, sull’osservanza e sull’aggiornamento dei modelli.

Risulta quindi comprensibile come il sistema di “protocolli” per la gestione del rischio di reato, così come previsto dal D.Lgs. 231/2001 all’art. 6, comma 2, viene ad inserirsi, integrandolo allo stesso tempo, nel sistema di controllo interno della società.

Il sistema di controllo interno è parte integrante del più ampio sistema di Governance aziendale, e risulta infatti composto da un insieme piuttosto ampio di elementi, quali persone, strumenti, metodologie, ecc.., che complessivamente sono diretti a favorire il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

§ l’efficacia e l’efficienza dei processi, siano essi informativi, decisionali ed operativi, il quale coincide con il controllo di gestione;

§ la trasparenza gestionale, o detto in altri termini l’attendibilità delle informazioni di bilancio, che equivale al controllo amministrativo contabile;

§ e il rispetto delle norme in vigore, ovvero il controllo di conformità alle leggi e ai regolamenti attualmente in vigore.

Una volta data questa prima definizione, è necessario evidenziare come, ancora oggi, non esiste una definizione di sistema di controllo interno univoca, condivisa e accettata da tutto il mondo operativo e dalla dottrina economico-aziendale21, anche se il tema del controllo interno risulta essere oggetto di analisi in numerosi

21 Per quanto riguarda le definizioni di sistema di controllo interno a livello italiano, meritano di essere segnalate le definizioni date da: Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, Doc. n. 400, La valutazione dei rischi e la valutazione del sistema di controllo interno, Milano, Giuffrè, 2002, e sempre della stessa associazione, la Guida operativa per la vigilanza al sistema di controllo interno, Milano, 1999. Inoltre, per un ulteriore approfondimento si veda: BORSA ITALIANA, Codice di autodisciplina delle società quotate, Milano, 1999.

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