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Capitolo 1 La cosmologia copernicana

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La cosmologia copernicana

1.1 Copernico e la teoria eliocentrica

Nicol` o Copernico (1473-1543) pubblica la sua unica opera, il De Revolutionibus Orbium caelestium, ovvero il trattato “Sulle rivoluzioni degli orbi celesti”, nel 1543, pochi mesi prima della sua morte. L’opera, divisa in sei libri, ` e dedicata a Papa Paolo III. Il titolo fa riferimento a concetti dell’astronomia antica: per Copernico, il termine revolutio denota le rotazioni costanti e uniformi delle sfere celesti, chiamate anche “orbi”, le quali trascinano con s´ e i pianeti.

Ma l’opera di Copernico ` e in realt` a una vera e propria “rivoluzione” in molti settori della cultura del suo tempo: in astronomia (dove si scontra con il modello tolemaico che rappresentava da 14 secoli un paradigma cosmologico indiscusso ed indiscutibile) perch´ e spiega elegantemente il movimento dei pianeti e apre il cam- mino alla conoscenza delle reali dimensioni del sistema solare; in filosofia (dove si scontra con gli assunti aristotelici) perch´ e apre la mente ad una nuova conce- zione del mondo e dell’universo, del quale l’Uomo non occupa pi` u “il centro”: in teologia, perch´ e si scontra con l’interpretazione letterale dei testi sacri.

Copernico ´ e perfettamente cosciente dei grandi cambiamenti che sta per in- trodurre, ma non ` e in grado di intuirne per intero il significato, che trascende l’ambito stesso dell’astronomia.

L’ipotesi eliocentrica, fondamento della teoria copernicana, non era comunque

un fatto nuovo, essendo gi` a stata formulata nel III sec. a.C. da Aristarco e

ripresa nel tardo Medioevo da Grossatesta, Buridano e Oresme, ma ` e solo in

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epoca rinascimentale che trova terreno culturale fertile per affermarsi, seppure tra molte difficolt` a.

Il sistema copernicano pu` o sintetizzarsi nelle seguenti affermazioni:

1. il centro della Terra non ` e il centro dell’Universo, ma solo il centro della massa terrestre e dell’orbita della Luna

2. tutti i pianeti si muovono lungo orbite il cui centro ` e il Sole, che quindi ` e al centro dell’Universo

3. la distanza fra la Terra ed il Sole, paragonata alla distanza fra la Terra e le stelle del Firmamento, ` e infinitamente piccola

4. il movimento del Sole durante il giorno ` e solo apparente, e rappresenta l’effetto di una rotazione che la Terra compie intorno al proprio asse durante le 24 ore, rotazione sempre parallela a s´ e stessa

5. la Terra (insieme alla Luna, ed esattamente come gli altri pianeti) si muove intorno al Sole, ed i movimenti che questo sembra compiere (durante il giorno e nelle diverse stagioni dell’anno) altro non sono che l’effetto del reale movimento della Terra

6. i movimenti della Terra e degli altri pianeti intorno al Sole possono spiegare le stazioni (punti di fermata apparente), le stagioni e le altre particolarit` a dei movimenti planetari.

Copernico fonda queste sue affermazioni su tre postulati filosofici fondamentali, di evidente origine neoplatonica:

• l’Universo ha forma sferica

• la Terra ha forma sferica

• i moti dei pianeti devono essere composti da moti circolari uniformi.

Egli non pu` o ammettere la mancanza di uniformit` a perch´ e “l’intelletto indietreg- gia con orrore, essendo indegno di sostenere una tale veduta intorno ai corpi, che sono costituiti nell’ordine pi` u perfetto.” Ecco, quindi, l’importanza della sfera e della circonferenza, simboli filosofici di perfezione, che rappresentano la linea guida del suo lavoro.

Un altro punto fondamentale ` e la ricerca della semplicit` a teorica che lo porta

a pensare che debba essere la Terra a ruotare attorno a se stessa, piuttosto che

tutta la sfera celeste, anche se ci` o sembra essere in contrasto con l’apparenza fon-

data sul senso comune. Del resto, le principali obiezioni di Copernico all’ipotesi

tolemaica dell’immobilit` a della Terra hanno come base delle conoscenze fisiche

che i Greci antichi non potevano possedere. Vediamole in dettaglio:

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Figura 1.1: Il Sole e i pianeti secondo il modello eliocentrico copernicano.

.) Tolomeo affermava che se la Terra fosse in movimento, un oggetto lanciato in aria sarebbe ricaduto pi` u indietro rispetto al punto di lancio. A questa con- clusione Copernico obietta che il moto di un oggetto lanciato in aria ` e dato da due componenti: una componente verticale dovuta al lancio verso l’alto, e una componente orizzontale dovuta al movimento rotatorio della Terra. Un oggetto ricade lungo la verticale esattamente nel punto di lancio per il semplice fatto che noi stessi partecipiamo alla componente orizzontale del moto, causato dalla rota- zione terrestre, e poich´ e tale moto ` e condiviso con tutti gli oggetti sulla superficie terrestre, non ce ne possiamo accorgere anche se ` e sempre presente.

.) Tolomeo inoltre supponeva che se la Terra ruotasse attorno a se stessa avrebbe dovuto disintegrarsi per l’elevata velocit` a. A questa osservazione Co- pernico risponde facendo osservare quanto maggiormente dovrebbe disintegrarsi la sfera delle stelle fisse, dato che le stelle, essendo molto distanti, dovrebbero muoversi con una velocit` a di rotazione molto pi` u elevata di quella della Terra.

.) La teoria eliocentrica, afferma infine Copernico, spiega in maniera pi` u semplice alcune caratteristiche incomprensibili del moto dei pianeti sugli epicicli.

Ad esempio, secondo Tolomeo, i pianeti esterni, e solo loro, dovevano compiere

un giro sui loro epicicli nello stesso tempo impiegato dal Sole per girare attorno

alla Terra (e questo perch´ e, da un giorno con l’altro, la loro posizione in cielo

varia di pochissimo). Ma perch´ e questa particolarit` a? Copernico, posizionando

il Sole al centro, dimostra che le strane caratteristiche dei moti planetari sono

semplicemente una conseguenza del moto terrestre. Inoltre, mettendo la Terra

al terzo posto nella sequenza delle distanze planetarie dal Sole (cio` e tra Venere e

Marte) gli risulta possibile dividere i pianeti in due insiemi ben distinti: pianeti

interni (Mercurio e Venere) e pianeti esterni (Marte, Giove e Saturno). Viene

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in questo modo chiarito in modo semplice l’inspiegabile necessit` a tolemaica di differenziare il meccanismo degli epicicli di questi due gruppi di pianeti. E’

qui che si evidenzia la pi` u consistente semplificazione introdotta dal sistema copernicano rispetto a quello tolemaico.

In realt` a Copernico non pu` o ancora sapere che le orbite planetarie non sono effettivamente circolari e che i moti dei pianeti non sono per niente uniformi.

Ed ´ e proprio per questo motivo, cio´ e per fare in modo che il suo modello cosmologico rispecchi nel modo pi` u preciso possibile la posizione in cielo dei pianeti anche dopo intervalli di tempo molto lunghi, che anche Copernico si vede costretto ad usare un sistema di epicicli ed eccentrici per spiegare quelle apparenti anomalie del moto planetario che anche la teoria eliocentrica originale non era in grado di interpretare alla perfezione. Il risultato finale di questo successivo lavoro di aggiustamento modifica il modello originale facendogli perdere gran parte di quella semplicit` a teorica che lo caratterizzava. In alcuni casi (es. il sistema Sole-Terra) lo schema eliocentrico risulta addirittura pi` u complesso di quello tolemaico.

Il sistema copernicano non rappresenta il sistema cosmologico oggi noto: i suoi principali difetti consistono nel conservare ancora una struttura ad epicicli, e nel fatto che i moti dei pianeti (che nella realt` a avvengono su orbite ellitti- che), erano interpretati ancora attraverso composizioni di orbite assolutamente circolari. Soltanto con l’opera di Keplero si riuscir` a finalmente a superare questo

“pregiudizio” filosofico sulla necessit` a di avere moti necessariamente circolari.

Bisogna infine sottolineare il fatto che la nuova teoria copernicana non ´ e in grado di fornire risultati globalmente migliori in termini di predicibilit` a dei moti planetari di quanto non riesca a fare il vecchio modello tolemaico !! Anche per questo motivo (che ` e esclusivamente astronomico), il modello eliocentrico, accanto a convinti sostenitori, trova degli irriducibili oppositori persino tra i migliori astronomi del tempo. Il pi` u famoso tra questi ´ e senz’altro il danese Tycho Brahe.

1.2 Il sistema “misto” di Tycho Brahe

Come Copernico era stato il primo europeo dal tempo dei Greci ad innalzarsi all’altezza di Aristarco e di Tolomeo nel campo teorico, cos`ı Tycho Brahe (1546- 1601) ´ e il primo ad innalzarsi all’altezza di Ipparco nel campo dell’osservazione astronomica.

Sinceramente contrario alla teoria copernicana, il sistema cosmologico da lui

proposto ´ e ancora geocentrico, anche se diverso da quello Tolemaico. Egli infatti

immagina che la Terra sia immobile al centro dell’universo, che il Sole e la Luna

ruotino attorno alla Terra e che tutti i pianeti ruotino attorno al Sole. Fino alla

fine della sua vita egli non ´ e capace di accorgersi che la sua soluzione risulta,

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nei fatti, esattamente uguale a quella di Copernico. Infatti dal punto di vista matematico e geometrico, la trasformazione da un sistema all’altro ` e di fatto insignificante e conduce agli stessi risultati.

Pure con questi pesanti limiti teorici, il suo lavoro di osservazione fu prezio- sissimo per lo sviluppo successivo dell’astronomia, e non solo per la mole di dati raccolti ma anche e soprattutto per l’elevata precisione degli stessi, veramente impensabile per i tempi che precedono l’invenzione del telescopio.

Figura 1.2: Il sistema “misto” di Tycho Brahe.

Nato in Danimarca, a Knudstrup, nel 1546, Tycho era figlio del governatore del castello di Helsingborg. Dopo aver compiuto gli studi a Copenaghen e in Ger- mania, si interessa presto di astronomia e di astrologia. Comincia a progettare e collezionare strumenti di osservazione sempre pi` u imponenti fra cui un grande quadrante per osservazioni stellari e un globo celeste sul quale va segnando le po- sizioni delle stelle, migliorando di molto la precisione delle misure astronomiche fino ad allora eseguite.

Il re Federico II gli fa dono dell’isola danese di Hveen con tutte le rendite che produce e si impegna a costruirgli un osservatorio a spese dello stato. Nasce cos`ı un grande edificio chiamato Uranjborg (castello del cielo), dove Tycho installa molti strumenti astronomici (sestanti, armille equatoriali, strumenti parallattici, orologi ecc . . . ).

Tycho Brahe vive a Uranjborg per vent’anni, durante i quali raccoglie una immensa collezione di dati astronomici che gli serviranno in seguito per costruire il suo nuovo sistema cosmologico. M

a la megalomania di cui soffre lo porta presto a tiranneggiare i poveri abitanti dell’isola di Hveen con balzelli non dovuti e condanne per insolvenza. Proprio per porre un freno a questa situazione, il successore di Federico II comincia a limitare gli appannaggi godeva l’astronomo, e Tycho, profondamente offeso, abbandona l’isola e riprende le sue peregrinazioni per l’Europa portandosi dietro la famiglia e i suoi numerosi strumenti.

Finisce cos`ı alla corte di re Rodolfo II (personaggio altrettanto eccentrico) con

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l’incarico di Mathematicus imperialis. E’ qui che nel 1600 incontra Keplero nel quale Tycho spera di trovare un fedele discepolo della sua teoria, ma il rapporto tra i due astronomi risulta difficoltoso e molto breve. Tycho, infatti, muore nel 1601 senza riuscire a convincere Keplero della correttezza del suo sistema geocentrico.

1.3 Le tre leggi di Keplero (1576 - 1630)

Giovanni Keplero, la cui opera teorica deve cos`ı tanto alle osservazioni di Tycho Brahe, nasce a W¨ urtenberg il 27 dicembre del 1571, quasi un secolo dopo Coperni- co. La pi` u importante innovazione di Keplero ´ e quella di liberarsi dal pregiudizio (di natura filosofica) che le orbite dei pianeti debbano essere necessariamente circolari o comunque ottenute mediante composizione di moti circolari.

Egli infatti, oltre a riaffermare l’ipotesi eliocentrica, ´ e il primo a proporre un modello di orbite ellittiche per descrivere il movimento dei pianeti intorno al Sole in modo da far coincidere la teoria con l’enorme quantit` a di dati osservativi raccolti nella sua vita da Tycho Brahe. Ecco, in sintesi, le tre leggi di Keplero sulle orbite planetarie:

PRIMA LEGGE - Ciascun pianeta ruota attorno al Sole percorrendo un’or- bita piana che ha la forma di un’ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.

Il punto in cui il pianeta raggiunge la massima distanza dal Sole si chiama afelio, mentre il punto di minima distanza viene detto perielio.

SECONDA LEGGE - La velocit` a di ciascun pianeta lungo la sua orbita non

`

e uniforme, ma cambia a seconda della sua posizione: il pianeta sar` a pi` u veloce nei pressi del perielio e pi` u lento nei pressi dell’afelio. Precisamente, il raggio vettore che unisce il pianeta al Sole, percorrer` a aree uguali in tempi uguali. (Nella fig:Ellisse1, le aree azzurre hanno forma diversa ma sono uguali: quindi i tratti di orbita che esse sottendono sono percorsi dal pianeta in tempi uguali).

TERZA LEGGE - E’ la famosa relazione tra le dimensioni delle orbite e i periodi di rivoluzione dei pianeti. I quadrati dei periodi di rivoluzione sono proporzionali ai cubi delle distanze dal Sole, cio` e:

(T

1

/T

2

)

2

= (a

1

/a

2

)

3

(1.1)

dove T

1

e T

2

sono periodi di rivoluzione di due pianeti e a

1

e a

2

sono i semiassi maggiori delle loro orbite.

Senza il prezioso frutto delle osservazioni di Tycho, che si erano protratte per pi` u

di 30 anni con una precisione mai raggiunta prima e che in gran parte si riferivano

all’orbita di Marte, il pianeta dal movimento pi` u “anomalo”, Keplero molto

difficilmente avrebbe potuto determinare la vera natura delle orbite planetarie.

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Figura 1.3: Terza legge di Keplero: aree uguali sono percorse in tempi uguali I risultati di questi studi, pubblicati nel 1609 (De motibus stellae Martis), furono applicati proprio al pianeta Marte e poi estesi a tutti gli altri piane- ti. La terza legge fu pubblicata qualche anno dopo (1618) nella sua opera pi` u importante: Harmonices mundi.

1.4 Galileo (1564-1642) e il telescopio

L’opera di Galileo ´ e di estrema importanza da numerosi punti di vista: passato alla storia come il padre del metodo scientifico, Galileo ` e senza dubbio il pi` u im- portante artefice della nascita della scienza moderna e in particolare della fisica.

Ma sono le sue osservazioni astronomiche, la prime compiute con il telescopio, a fornire quell’insieme di elementi sperimentali che accentuano la crisi della fi- sica di Aristotele e accelerano la graduale affermazione del sistema cosmologico copernicano.

Il telescopio non fu inventato da Galileo, ma quando giunge tra le sue mani alla fine dell’anno 1609 Galileo capisce immediatamente le straordinarie poten- zialit` a del nuovo strumento in campo astronomico, e lo punta verso il cielo.

Convinto sostenitore del modello eliocentrico, la scienziato pisano cerca di tro- varne le prove sperimentali attraverso quelle osservazioni che solo l’uso del nuovo strumento rende ora alla sua portata.

Le scoperte astronomiche di Galileo possono essere riassunte nei seguenti punti:

1) ` e il primo a vedere i 4 satelliti di Giove (battezzati medicei in onore della nobile famiglia fiorentina dei Medici), la cui osservazione dimostra senza dubbio che le loro orbite hanno come centro del moto il pianeta Giove e non la Terra. I satelliti di Giove, quindi, sono dei corpi celesti che non ruotano attorno alla Terra.

Inoltre, proprio il loro movimento attorno a Giove ´ e una prova contro l’esistenza delle sfere cristalline teorizzate da Aristotele che, altrimenti, sarebbero da questi satelliti completamente perforate.

Ad una conclusione analoga era arrivato Tycho Brahe qualche anno prima

quando, studiando minuziosamente l’orbita di una luminosa cometa apparsa nel

1577, si era reso conto, utilizzando il “metodo della parallasse”, che essa era

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un oggetto posto oltre la sfera della Luna (contrariamente a quanto si credeva allora) e che seguiva un’orbita “ovoidale” (oggi diremmo ellittica) che avrebbe dovuto intersecare e perforare le sfere cristalline degli altri pianeti.

2) scopre le fasi di Venere, identiche a quelle della Luna, e perch´ e ci` o sia possibile occorre che Venere ruoti attorno al Sole e non attorno alla Terra (os- servazione, questa, che per` o era in accordo anche con un modello geocentrico del tipo di quello proposto da Tycho Brahe)

3) scopre i monti e i mari della Luna (questi ultimi sono in realt` a delle zone pianeggianti e senza acqua) la cui presenza dimostra come l’aspetto morfologico del nostro satellite non sia dissimile da quello terrestre, e questo contraddice l’ipotesi aristotelica della perfezione delle sfere celesti e della diversit` a del mondo celeste da quello terrestre. In questo senso anche la scoperta delle macchie solari (zone della superficie del Sole che appaiono scure perch´ e, essendo a temperatura pi` u bassa, appaiono per contrasto meno luminose di quelle limitrofe,) si inserisce nel solco di una evidente falsit` a dell’assunto aristotelico.

Inoltre, proprio in quegli anni, Tycho Brahe nel 1572 e poi Keplero nel 1604, osservano la comparsa di una “stella nova” (oggi diremmo lo scoppio di una su- pernova galattica) che rimane luminosissima in cielo per diversi mesi fino poi a scomparire gradatamente dalla vista. L’evento ` e rarissimo e capita in media una volta ogni 4 secoli. Questo fenomeno, ripetutosi due volte in circa tren- t’anni, contraddiceva in modo fin troppo evidente il principio aristotelico della immutabilit` a e dell’assoluta staticit` a delle sfere celesti.

4) Galileo nota infine che la Via Lattea, se osservata al telescopio, dimostra di possedere un aspetto granulare dove ogni singolo piccolo punto luminoso svela la sua natura stellare. Si tratta di stelle lontanissime, quindi, non appartenenti al mondo sublunare, la cui scoperta induce a dilatare enormemente le dimensioni dell’Universo fino ad allora concepito.

Va detto a conclusione che tutta questa serie di osservazioni, se da un lato minano alla radice tutta quanta l’impostazione della fisica di Aristotele, dall’altro non costituiscono ancora una prova certa e indubitabile delle teorie copernicane. I dubbi in proposito, alcuni dei quali molto ragionevoli, si fondano sulle seguenti osservazioni:

1. il fatto che le stelle lontane non dimostrano di essere interessate dal feno- meno della parallasse (che invece dovrebbe essere causato dalla rivoluzione della Terra attorno al Sole) indurrebbe a pensare, come conseguenza della teoria elio- centrica, ad un Universo infinitamente grande (ma questa conclusione, sebbene corretta, non era assolutamente condivisa dai filosofi del tempo)

2. la difformit` a di ogni teoria eliocentrica con il “senso comune”, in virt` u del

quale ` e pi` u facile per l’Uomo convincersi che ` e il Sole a ruotare attorno alla Terra,

e non viceversa, e che annovera dalla sua parte l’unico fatto non dubitabile: la

Luna ruota con certezza attorno alla Terra e non attorno al Sole

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3. il principio di autorit` a, per il quale l’opera di Aristotele appare agli studiosi del tempo un esempio di perfezione filosofica a cui attenersi scrupolosamente e difficile da contraddire

4. il fatto che, in termini di predicibilit` a delle posizioni dei pianeti, il modello eliocentrico non funziona assolutamente meglio di quello tolemaico. Da questo punto di vista un sostanziale passo in avanti lo si consegue solo con l’ipotesi introdotta da Keplero relativamente alla forma ellittica delle orbite (che per` o sembra essere un’assurdo filosofico anche in un’ottica copernicana)

5. la mancanza, nella teoria copernicana, del motivo per cui i pianeti si muovono. La risposta verr` a solo con l’introduzione del concetto di forza di gra- vit` a cos`ı come spiegato nella Teoria della Gravitazione universale di Newton.

L’ipotesi delle sfere celesti che trasmettono il movimento che il Motore Immo- bile induce nella sfera delle stelle fisse, ´ e comunque una spiegazione considerata filosoficamente “ragionevole” in assenza di una qualunque risposta alternativa

6. l’ipotesi di rotazione della Terra sul suo asse, infine, si scontra con tre critiche molto ragionevoli:

• con la prima si fa osservare che l’aria, le nuvole e gli uccelli dovrebbero rimanere indietro rispetto al movimento della superficie terrestre

• con la seconda, si constata l’apparente assenza di una forza centrifuga sugli oggetti posizionati sulla superficie terrestre, propria di ogni corpo in moto circolare, e i cui effetti dovrebbero essere massimi all’equatore: una tale forza dovrebbe proiettare nello spazio tutto ci` o che non ` e vincolato alla superficie terrestre, e ci` o non si verifica

• con la terza critica si sottolinea come un oggetto lasciato cadere in verti- cale da una certa quota (la sommit` a della torre di Pisa, ad esempio) non dovrebbe muoversi perfettamente lungo la verticale, ma dovrebbe dirigersi un po’ pi` u ad Est, in virt` u di una sua velocit` a tangenziale iniziale maggiore di quella posseduta dai punti al suolo; ma anche questo effetto sembra non verificarsi . . .

Al giorno d’oggi un atteggiamento errato, e forse un po’ pretestuoso, ci ha indotto ad accusare di ignoranza ed “oscurantismo” tutti coloro che tra il Cinquecento e il Seicento si sono opposti alla teoria copernicana perch´ e l’ipotesi eliocentrica non si conciliava con l’interpretazione letterale delle Sacre Scritture.

In realt` a, come abbiamo ampiamente visto, le ragioni di questa opposizione

erano ben pi` u complesse e motivate. Inoltre, proprio le prove sperimentali a

favore dell’eliocentrismo, che Galileo cerc` o di produrre per tutta la vita, non

erano cos`ı convincenti e definitive come si vorrebbe far credere, al punto che

un astronomo, uno scienziato sperimentale del valore di Tycho Brahe, rifiut` o a

spada tratta la teoria copernicana fino alla morte.

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E poi c’era un orizzonte culturale fortemente contraddistinto dalla filosofia aristotelica i cui principi erano obiettivamente ben radicati e difficili da mettere in discussione: il concetto di etere, ad esempio, si aggirer` a ancora come un fantasma tra le teorie della fisica fino all’inizio del Novecento, quando sar` a definitivamente sconfitto da Einstein nella sua Teoria della relativit` a ristretta.

1.5 Isaac Newton e la “gravitazione universale”

Isaac Newton (1642-1727) completa l’opera di scardinamento della filosofia natu- rale aristotelica estendendo la validit` a delle leggi terrestri al cielo e quindi rimuo- vendo definitivamente quella distinzione tra il corruttibile mondo sublunare e il mondo celeste, regno della perfezione, che nella fisica di Aristotele necessitavano di leggi separate per essere interpretati !!

Il moto dei corpi celesti ` e spiegato con la forza gravitazionale, che altro non

`

e che la generalizzazione all’intero universo della forza peso terrestre: il moto di un sasso in caduta libera e il moto dei pianeti, quindi, sono regolati dalla stessa forza (che a ragione Newton pu` o chiamare universale), e la fisica appare in grado di comprendere in un unico sistema di leggi sia i fenomeni terrestri che quelli celesti. La matematica e la geometria diventano il linguaggio che rende possibile questo gigantesco passo.

Nasce, per` o, un problema di tipo nuovo. E’ ancora radicata nella cultura scientifica l’ipotesi, tutta aristotelica, che le forze possano agire sui corpi materiali solo attraverso il contatto: in che modo, allora, la forza gravitazionale pu` o far sentire il suo influsso sui corpi celesti ? (La Luna e la Terra non sono certo a contatto !!) Lo stesso problema si ripresenta nel corso dell’Ottocento per spiegare l’attrazione elettrica tra cariche di segno opposto. A tale proposito, Newton, con grande umilt` a, confessa la sua incapacit` a di suggerire spiegazioni ragionevoli che possano interpretare la natura di queste forze che sembrano agire a distanza, affermando: “Hypoteses non fingo” (“Non avanzo ipotesi”).

I suoi contemporanei, invece, non esitano a riesumare il concetto aristotelico di etere: una sostanza immateriale, trasparente, elastica, incorruttibile . . . che riempie di se l’intero Universo e il cui duplice scopo ` e ora quello di rappresentare il supporto materiale alla “propagazione” della forza gravitazionale e di evitare il vuoto (horror vacui ) che si potrebbe formare tra un corpo celeste e l’altro in un universo enormemente pi` u grande di quanto non potessero concepire la cultura greca e quella rinascimentale. Pu` o cos`ı prendere vita l’idea di azione (forza) a distanza (che si affianca a quella aristotelica di azione a contatto).

Si tratta, in realt` a di una soluzione criticabile, che dimostrer` a tutta la sua

inadeguatezza quando gli esperimenti di Michelson e Morley alla fine dell’Ot-

tocento provano senza ombra di dubbio l’inesistenza dell’etere. Il concetto di

azione a distanza verr` a allora definitivamente sostituito da quello di campo di

forze.

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Per quanto riguarda la visione cosmologica, Isaac Newton poteva veramente diventare il fondatore della cosmologia moderna, se non avesse commesso un er- rore enorme nel tentativo di salvare l’immobilismo cosmico. Newton, come tutti i suoi contemporanei, ` e sinceramente convinto che le stelle lontane siano fisse e immutabili e poich´ e egli stesso ha scoperto che in virt` u della forza di attrazione gravitazionale i corpi materiali, liberi di muoversi, si attraggono reciprocamente e tendono a collassare verso una massa centrale, per non contraddire il principio (filosofico!!) della staticit` a ed immutabilit` a del Cosmo, sostiene che l’Univer- so deve essere infinito e popolato uniformemente di stelle in modo che la forza risultante, e quindi il movimento complessivo, risulti nulla.

Ma se una stella rimane in equilibrio perch´ e attratta in uguale misura da un numero infinito di altre stelle, la stessa cosa dovrebbe valere per la Terra la quale dovrebbe stare ferma perch´ e anch’essa attratta in tutte le direzioni da un numero infinito di stelle. E allora, come pu` o una Terra che deve rimanere ferma, ruotare attorno al Sole ?

Il modello di Universo di Newton si rivela, quindi, non esente da contraddi- zioni. La soluzione del problema sta nel riconoscere che le stelle non sono fisse:

esse si attraggono, ma contemporaneamente si muovono descrivendo traiettorie ellittiche proprio come fanno i pianeti e le comete.

Si dovr` a aspettare ancora molto tempo prima di mettere in moto quello che ancora oggi chiamiamo “firmamento”, cio` e il luogo degli oggetti fermi. Sar` a necessaria la teoria della relativit` a generale di Einstein per entrare in possesso del quadro concettuale indispensabile per la formulazione del primo modello di Universo di sicuro valore scientifico.

1.6 Le prove della rotazione terrestre

1. la caduta verso est dei gravi. E’ verificata per la prima volta dall’abate Giovanni Battista Gugliemini, che offre in questo modo una prova fisica della rotazione della Terra misurando, grazie a degli esperimenti realizzati a Bologna fra il 1789 e il 1792 una leggerissima deflessione verso est dei gravi in caduta dall’alto di una torre (solo 4 mm di scostamento su una caduta di 30 m, quindi difficilissimo da evidenziare ai tempi di Galileo) 2. il pendolo di Focault (1851). E’ Galileo a scoprire le leggi che regolano

il moto del pendolo e tra queste vi ` e quella che afferma che il piano di

oscillazione ` e costante. In realt` a, poich´ e il pendolo si muove sulla superficie

della Terra che, a causa della sua rotazione, non ` e un sistema di riferimento

inerziale, il suo moto ` e influenzato dalle forze “apparenti” (nel caso specifico

la forza di Coriolis) che agiscono perpendicolarmente al piano di oscillazione

e lo fanno lentamente ruotare dalla sua posizione originaria.

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Questo fenomeno era perfettamente visibile anche ai tempi di Galileo, ma lo scienziato pisano, che passa tutta la vita a cercare una prova della ro- tazione terrestre, non si accorge di avere a portata di mano la soluzio- ne sperata, nonostante lui stesso scriva di aver notato un comportamento

“anomalo” del pendolo relativamente a certe irregolarit` a nel suo modo di oscillare . . . L’esperienza che dimostra definitivamente la rotazione del pia- no del pendolo, e di conseguenza la rotazione terrestre, ´ e eseguita solo nel 1851 da Focault a Parigi.

Figura 1.4: Il fenomeno della parallasse consiste in un apparente spostamento della posizione delle stelle vicine rispetto alle stelle lontane quando si osserva il cielo da due posizioni diverse sull’orbita terrestre.

1.7 Le prove della rivoluzione terrestre

1. la parallasse delle stelle vicine (1838). E’ la prova chiave della rotazione

della Terra attorno al Sole e consiste in uno spostamento apparente delle

stelle vicine rispetto a quelle pi` u lontane dovuto alla variazione di prospet-

tiva indotta nell’osservatore quando si trova in due punti diversi dell’orbita

terrestre. A causa delle grandi distanze in gioco l’effetto ` e piccolissimo e

molto difficile da misurare. Ci provano, inutilmente, Aristarco e Ipparco

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nell’antica Grecia, Tycho Brahe e Galileo in epoca pi` u recente. L’effet- to viene misurato per la prima volta nel 1838 da Bessel che evidenzia un piccolissimo spostamento apparente della stella 61 Cygni se osservata a di- stanza di sei mesi. La distanza angolare misurata risulta pari a tre decimi di secondo d’arco, equivalente, per dare un’idea, all’angolo sotto il quale sono visti a occhio nudo due capocchie di spillo separate da 1 mm e poste alla distanza di 1 km dall’osservatore

2. l’aberrazione della luce. E’ un complesso fenomeno misurato per la prima

volta nel 1726 da Bradley. Dipende dal movimento della Terra attorno al

Sole e dimostra, tra l’altro, che la luce si muove a velocit` a elevata ma non

infinita.

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1 La cosmologia copernicana 1

1.1 Copernico e la teoria eliocentrica . . . . 1

1.2 Il sistema “misto” di Tycho Brahe . . . . 4

1.3 Le tre leggi di Keplero (1576 - 1630) . . . . 6

1.4 Galileo (1564-1642) e il telescopio . . . . 7

1.5 Isaac Newton e la “gravitazione universale” . . . . 10

1.6 Le prove della rotazione terrestre . . . . 11

1.7 Le prove della rivoluzione terrestre . . . . 12

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