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Studio ed ottimizzazione di un CVT per bicicletta elettrica

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(1)

ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERITÀ DI BOLOGNA

SCUOLA DI INGEGNERIA E ARCHITETTURA

-Sede di Forlì-

CORSO DI LAUREA

IN INGEGNERIA MECCANICA

Classe: L-9

ELABORATO FINALE DI LAUREA

In

DISEGNO TECNICO ASSISTITO DAL CALCOLATORE

Studio ed ottimizzazione di un CVT per bicicletta elettrica

CANDIDATO

RELATORE

Andrea Nicolini

Prof. Luca Piancastelli

Anno Accademico 2013/2014

Sessione III

(2)

Indice

Capitolo 1

1.1 Introduzione alle ruote dentate………1

1.2 Generalità………...…1

1.2.1 Profilo dei denti……….1

1.3 Nomenclatura……….4

1.4 Rapporto di trasmissione……….5

1.5 Continuità dell’ingranamento e interferenza………...6

1.5.1 Ruote a dentatura esterna………..6

1.5.2 Ruote a dentatura interna……….12

1.6 Forze……….13

1.7 Perdite e rendimento……….14

1.8 Fabbricazione………...17

1.8.1Taglio per fresatura………..17

1.8.2 Taglio per inviluppo………19

1.9 Avarie………...20

1.9.1 Rottura per flessione………...20

1.9.2 Pitting……….21 1.9.3 Scuffing………....22 1.9.4 Usura………...23 1.10 Rotismi………...…25 1.10.1 Rotismi ordinari………25 1.10.2 Rotismi epicicloidali………26 1.10 Teoria di Lewis………...29 i

(3)

Capitolo 2

2.1 Innesti………...37

2.2 Innesti a denti………37

2.3 Frizioni……….39

2.4 Innesto di una frizione………...41

2.4.1 Fase di accostamento………..41

2.4.2 Fase di strisciamento………...42

2.4.3 Fase finale………...42

Capitolo 3

3.1 Breve storia della bicicletta.………..43

3.2 La E-Bike..………45

Capitolo 4

4.1 Storia del cambio………..49

4.2 Shimano XTR-Di2………51

Capitolo 5

5.1 Il Riduttore………....53

5.2 Forze e coppie resistenti………55

5.3 Studio del rapporto di trasmissione………...56

5.4 Dimensionamento cinematico………..58

5.5 Calcolo della velocità………61

5.6 Calcolo della coppia………..………62

(4)

5.7 Scelta del secondo motore elettrico………...64 5.8 Schema finale………66

Capitolo 6

Conclusioni………69 Bibliografia………71 iii

(5)

Indice immagini

1.1 Evolvente di cerchio………...2

1.2 Contatto negli ingranaggi cilindrici a denti dritti, ruote esterne………...5

1.3Relazione geometrica tra arco d’azione e segmento dei contatti………..8

1.4 Contatto negli ingranaggi cilindrici a denti diritti, ruote interne………11

1.5 Esempio di rottura per flessione………19

1.6 Esempio di danneggiamento a pitting………...22

1.7 Esempio di danneggiamento per scuffing……….23

1.8 Esempio di scuffing in cui appaiono molto visibili le striature causate “dall’effetto utensile” delle microsaldature……….24

1.9 Esempio di ruota soggetta a usura per carenza di lubrificante………..24

1.10 Ingranaggio epicicloidale………27

1.11 Modello delle forze relative alla teoria di Lewis………..28

2.1 Innesto a denti frontali………..38

2.2 Innesto a denti radiali………38

2.3 Innesto a frizioni coniche………..39

2.4 Innesto a frizione a dischi multipli………40

3.1 Evoluzione della bicicletta………43

3.2 Safety Bicycle agli inizi del 900………45

3.3 E-bike………...46

3.4 Andamento e previsioni al 2016 relative al mercato delle E-bike…………..48

4.1 Cambio a bacchetta Campagnolo………..49

4.2 Cambio Gran Sport 1012………..50

4.3 Shimano XTR-Di2………51

4.4 Guarnitura a tre corone Shimano XTR-Di2………...51

4.5 Cassetta 11 velocità Shimano XTR-Di2………52

4.6 Schema di cambiata eseguita dal computer elettronico……….52

5.1 Caratteristica del motore elettrico……….53

5.2 Schema del rotismo epicicloidale adottato………54

(6)

5.3 Andamento del rapporto di trasmissione in funzione di 𝜔𝜔3………...58

5.4 Trasmissione secondaria………...65

5.5 Schema finale………66

5.6 Soluzione con innesto a denti frontali………...67

(7)
(8)

Sommario

Lo scopo di questo elaborato di tesi è quello di trattare la progettazione di un cambio continuo per una bicicletta elettrica. L’idea alla base è quella di realizzare un meccanismo in grado di fornire una variazione continua del rapporto di trasmissione. È stato preso come punto di partenza un motore elettrico già presente in commercio e si è sviluppato un rotismo epicicloidale. Il motore controllerà la velocità di una ruota del rotismo e il porta satellite sarà il membro d’uscita.

Inoltre si è studiato una soluzione affinché il nostro veicolo possa partire in salita senza che il conducente faccia sforzi e possa pedalare anche quando il motore è spento o la batteria scarica. Come si vedrà nei prossimi capitoli il nostro sistema sarà implementato da un cambio già in commercio per le biciclette elettriche.

Per dimensionare gli organi sono state considerate le seguenti caratteristiche:

- Velocità minima di marcia;

- Velocità massima di marcia;

- Dimensione della ruota posteriore;

- Coppia e velocità del motore elettrico in condizione di massimo rendimento.

Saranno affrontate le seguenti problematiche:

- Dimensionamento cinematico e dinamico delle ruote dentate;

- Scelta del secondo motore elettrico

- Scelta del cambio necessario per affrontare le salite

(9)

- Soluzione del problema riguardante l’uso del veicolo a motore spento o batteria scarica

In corso di trattazione delle varie parti si è anche cercato di fornire al lettore una base sulle nozioni teoriche che sono state utilizzate, al fine di creare un documento che potesse essere utilizzato anche come mezzo di studio

(10)

Capitolo 1

1.1 Introduzione alle ruote dentate

In questo capitolo verranno trattate le nozioni teoriche di base relative alle ruote dentate, con particolare riferimento alle ruote a denti dritti. Si forniranno tutti gli strumenti per affrontare la progettazione, cinematica e dinamica, delle ruote dentate di un meccanismo.

1.2 Generalità

Le ruote dentate permettono di trasmettere il moto tra assi paralleli, concorrenti e sghembi mantenendo una ben definita correlazione tra la rotazione angolare dell’albero motore e quella dell’albero condotto. Nella pratica l’utilizzo delle ruote dentate per la trasmissione del moto risulta particolarmente conveniente quando:

- sono richiesti ridotti valori dell’interasse;

- è necessario mantenere costante il valore del rapporto di trasmissione; - si devono trasmettere coppie di grande entità.

Le ruote dentate sono dei corpi solidi, strutturati in modo da poter ruotare attorno ad un asse, e sono costituite lungo la loro circonferenza da un profilo sagomato (costituito da elementi detti “denti”) in modo tale da permettere loro di trascinare in moto un’altra ruota dentata.

1.2.1 Profilo dei denti

Come appena accennato il profilo dei denti di una ruota dentata deve essere realizzato in modo da assicurare la trasmissione del moto secondo la legge desiderata. La quasi

(11)

totalità delle ruote dentate viene ormai realizzata con profilo dei denti ad evolvente di cerchio, profilo che fu proposto per la prima volta nel 1695 dal francese Philippe Lahaire.

Figura 1.1: Evolvente di cerchio

Uno dei motivi che ha favorito la larga diffusione del profilo ad evolvente risiede nella grande semplicità di lavorazione de dente stesso rispetto alle altre tipologie di profili altri tipi di profili possono essere quelli cicloidali e quelli ad arco di cerchio, le cui applicazioni risultano sempre più limitate.

Definizione 1.1.1 (di evolvente). Si definisce evolvente di una circonferenza la curva

piana descritta da un punto di una retta (detta generatrice), tangente ad una circonferenza (detta base), quando questa rotola senza strisciare sulla stessa.

La definizione analitica di evolvente di una circonferenza può essere fatta assumendo un sistema di coordinate polari avente come origine il centro della circonferenza di base e un asse passante per il punto d’origine dell’evolvente, ossia per il punto dell’evolvente appartenente alla circonferenza di base. Facendo quindi riferimento alla figura 1.1

(12)

possiamo quindi esprimere l’equazione parametrica dell’evolvente ricavando le coordinate di un generico punto P, ad essa appartenente, rispetto al sistema di riferimento appena adottato.

Dalla definizione 1.1.1 è immediato ricavare che la normale all’evolvente nel punto P sarà tangente alla circonferenza di base (nel puntoB), vale perciò:

ρ = R cos(ϑ),

da cui segue immediatamente:

R =

𝜌𝜌

cos (𝜗𝜗)

=

OP.

L’angolo φ, vale invece:

φ = 𝐴𝐴O�𝐵𝐵 − 𝜗𝜗,

e poiché

tan(

ϑ)=

PB OB

=

𝐴𝐴𝐴𝐴� 𝜌𝜌

=

𝜌𝜌𝐴𝐴𝑂𝑂�𝐴𝐴 𝜌𝜌

= A

O�B

, vale la relazione

𝜑𝜑 = 𝐴𝐴𝑂𝑂�𝐵𝐵 − 𝜗𝜗

. (1)

Le coordinate polari del punto P generico, che come già detto, identificano l’equazione parametrica in coordinate polari dell’evolvente di una circonferenza di raggio ρ, sono;

𝜑𝜑 = 𝑒𝑒𝑒𝑒(𝜗𝜗)

,

𝑅𝑅 =

𝜌𝜌

cos (𝜗𝜗).

È possibile ricavare l’espressione di tale equazione in coordinate cartesiane: 𝑥𝑥 = 𝜌𝜌(cos(𝑡𝑡) + 𝑡𝑡 sin(𝑡𝑡)), 𝑦𝑦 = 𝜌𝜌(sin(𝑡𝑡) − 𝑡𝑡 cos(𝑡𝑡)). 1 In letteratura è possibile incontrare anche la notazione inv(ϑ) la quale risulta storicamente

antecedente. A seguito dell’unificazione tedesca ( DIN 3960 del 1987) è stata introdotta la notazione ev(ϑ), che corrisponde alla traduzione italiana e tedesca della parola involute. In questo scritto si ritiene opportuno adottare la nuova notazione, perché più conforme alla lingua italiana.

3

(13)

1.3 Nomenclatura

In questo paragrafo sono riportati alcuni dei concetti principali della nomenclatura delle ruote dentate. Per ogni nozione riportata di seguito si è fatto riferimento alla norma UNI 8862, Parte 1a.

Simbolo Denominazione Unità di misura

z Numero di denti

Modulo normale di riferimento mm

d Diametro primitivo di riferimento mm

d = zmn

ϑ Angolo di pressione normale di riferimento °

ϑ = 20° (2) ha Addendum mm ha = mn (3) hd Dedendum mm hd = 1.25 mn (4) h altezza dente mm h = ha + hd b larghezza di fascia mm da diametro di testa mm db diametro di base mm db =2rb =2r cos(ϑ) ρf

raggio di raccordo sul fondo dente mm

ρf =0.37 mn (5)

τ rapporto di trasmissione

i

rapporto di condotta

1 pedice relativo al pignone

2 Per il valore dell’angolo di pressione si fa riferimento alla norma UNI 6587.

3 Per il valore dell’addendum si fa riferimento alla norma UNI 6587.

4 Per il valore del dedendum si fa riferimento alla norma UNI 6587.

5 Per il valore del raggio di raccordo si fa riferimento alla norma UNI 6587.

4

(14)

1.4 Rapporto di trasmissione

Il rapporto di trasmissione è un coefficiente utilizzato per caratterizzare le modalità con cui viene trasmesso il moto da una ruota dentata ad un’altra in un ingranaggio. Viene definito come:

𝜏𝜏 =

ω2 ω1

=

d1 d2

=

z1 z2

Figura 1.2: Contatto negli ingranaggi cilindrici a denti dritti, ruote esterne.

A seconda del valore del rapporto di trasmissione un ingranaggio può essere definito come:

Riduttore: | τ | < 1, la velocità della ruota condotta è minore di quella del pignone. Moltiplicatore: | τ | > 1, la velocità del pignone è minore di quella della ruota condotta.

Per quanto riguarda la trasmissione della coppia, rapporti di trasmissione minori dell’unità garantiscono una coppia maggiore nella ruota condotta rispetto a quella del pignone, invece con rapporti maggiori dell’unità vale il contrario.

(15)

1.5 Continuità dell’ingranamento e interferenza

1.5.1 Ruote a dentatura esterna

Negli ingranaggi cilindrici a denti diritti il contatto tra i denti delle ruote dentate avviene in modo simultaneo lungo una retta, che prende il nome di retta dei contatti. Si consideri ora una sezione generica di accoppiamento (fig. 1.2), il punto A di inizio contatto è individuato dall’intersezione della circonferenza di base del pignone con la circonferenza di testa della ruota condotta, il punto B invece è individuato come intersezione della circonferenza di testa del pignone con la retta dei contatti (delle due intersezioni geometricamente impossibili, B è ovviamente quella dove piò esserci contatto tra i denti delle due ruote). Il segmento 𝐴𝐴𝐵𝐵 prende il nome di segmento dei contatti e può essere espresso in funzione delle grandezze geometriche delle due ruote, infatti:

𝐴𝐴𝐵𝐵 = 𝐴𝐴𝐴𝐴

���� + 𝐴𝐴𝐵𝐵 = � 𝐴𝐴𝐼𝐼

2

− 𝐴𝐴𝐼𝐼

2

� + ( 𝐵𝐵𝐼𝐼

1

− 𝐴𝐴𝐼𝐼

1),

dove le grandezze 𝐴𝐴𝐼𝐼2 e 𝐵𝐵𝐼𝐼1 valgono rispettivamente:

𝐴𝐴𝐼𝐼

2

= �𝑟𝑟

𝑎𝑎22

− 𝑟𝑟

𝑏𝑏22 , (1.1)

𝐴𝐴𝐼𝐼

2

= �𝑟𝑟

𝑎𝑎12

− 𝑟𝑟

𝑏𝑏12 . (1.2)

Se ora introduciamo la relazione 𝑟𝑟𝑎𝑎1 = 𝑟𝑟1+ ℎ𝑎𝑎1, 𝑟𝑟𝑎𝑎2 = 𝑟𝑟2+ ℎ𝑎𝑎2, 𝑟𝑟𝑏𝑏1 = 𝑟𝑟1cos (𝜃𝜃) e 𝑟𝑟𝑏𝑏2 = 𝑟𝑟2cos (𝜃𝜃); sarà possibile scrivere le equazioni (1.1) e (1.2) come:

𝐴𝐴𝐼𝐼

2

= 𝑟𝑟

2

�(1 +

𝑟𝑟𝑎𝑎22

)

2

− 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

2

(𝜃𝜃),

(16)

𝐵𝐵𝐼𝐼

1

= 𝑟𝑟

1

�(1 +

ℎ𝑎𝑎1

𝑟𝑟1

)

2

− 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

2

(𝜃𝜃)

.

Inoltre risulta:

𝐴𝐴𝐼𝐼

2

= 𝑟𝑟

2

sin (𝜃𝜃),

𝐴𝐴𝐼𝐼

1

= 𝑟𝑟

1

sin (𝜃𝜃).

Possiamo quindi riscrivere la relazione del segmento dei contatti nel modo seguente:

𝐴𝐴𝐵𝐵 = 𝑟𝑟

2

���1 +

𝑟𝑟𝑎𝑎21

2

− 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

2

(𝜃𝜃) − sin(𝜃𝜃)�

−𝑟𝑟

1

��(1 +

𝑟𝑟

𝑎𝑎1 1

)

2

− 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

2

(𝜃𝜃) − sin (𝜃𝜃)�

che nel caso di ruote realizzate con proporzionamento modulare (ha1 = ha2 = mn e mn1

= mn2 = mn con 𝑚𝑚𝑛𝑛 =𝑟𝑟𝑟𝑟 2) diventa:

𝐴𝐴𝐵𝐵 =

𝑚𝑚𝑛𝑛 2

�𝑧𝑧

1

��1 +

2 𝑟𝑟1

2

− 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

2

(𝜃𝜃)� +

𝑚𝑚𝑛𝑛 2

�𝑧𝑧

2

�(1 +

2 𝑟𝑟2

)

2

− 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

2

(𝜃𝜃) − (z1 + z2) sin (θ) �

.

Considerando adesso la figura 1.3, in cui è messo in evidenza il profilo di un generico dente del pignone, rispettivamente nella posizione corrispondente

(17)

Figura 1.3: Relazione geometrica tra arco d’azione e segmento dei contatti

all’inizio dell’ingranamento (punto A) e in quella in cui il contatto avviene in corrispondenza del punto C. Si può osservare che nel passaggio dalla prima alla

seconda configurazione tutti i punti del dente hanno ruotato dello stesso angolo, perciò si ha:

𝑀𝑀𝑂𝑂

�𝐴𝐴 = 𝑅𝑅𝑂𝑂

1

�𝑆𝑆

1 ,

e per tanto tra gli archi 𝑀𝑀𝐴𝐴� e 𝑅𝑅𝑆𝑆� esisterà la seguente relazione:

𝑀𝑀𝐴𝐴

� = 𝑅𝑅𝑆𝑆

𝑟𝑟1

𝑟𝑟𝑏𝑏1

=

𝑅𝑅𝑅𝑅�

cos (𝜃𝜃) (1.3)

Contemporaneamente per le proprietà dell’evolvente possiamo scrivere 𝐴𝐴𝐴𝐴 = 𝑅𝑅𝑆𝑆� per cui la relazione (1.3) diventa:

𝑀𝑀𝐴𝐴

� =

cos (𝜃𝜃)𝐴𝐴𝐴𝐴 ,

(18)

dove 𝑀𝑀𝐴𝐴 � rappresenta l’arco d’azione in accesso. Con lo stesso procedimento è poi possibile ricavare l’arco d’azione in recesso, risulterá quindi che la lunghezza totale dell’arco d’azione vale:

𝑒𝑒 =

cos (𝜃𝜃)𝐴𝐴𝐴𝐴 . (1.4)

Dalla relazione (1.4) è possibile ricavare il numero di denti contemporaneamente in presa:

𝑧𝑧

𝑝𝑝

=

𝑝𝑝𝑒𝑒 𝑛𝑛

=

𝐴𝐴𝐴𝐴 𝑝𝑝𝑛𝑛cos (𝜃𝜃)

=

𝐴𝐴𝐴𝐴 𝑝𝑝𝑏𝑏,

con pb, passo misurato sulla circonferenza di base.

Per garantire un corretto ingranamento é necessario che il contatto avvenga unicamente lungo il profilo dei denti. Puó verificarsi che la geometria di un ingranaggio sia tale da avere uno o entrambi i punti A e B esternamente al segmento 𝐼𝐼1𝐼𝐼2, quando questo accade si verificano fenomeni d’interferenza. Per evitare quindi il manifestarsi di queste eventualità occorre che l’addendum assuma valori tali da ottenere che il segmento dei contatti sia completamente contenuto all’interno degli estremi I1 e I2. Si consideri la configurazione 𝐴𝐴 ≡ 𝐼𝐼1 (condizione al limite dell’interferenza) in modo da poter determinare il valore dell’addendum corrispondente. Applichiamo quindi il teorema di Carnot al triangolo 𝑂𝑂� che coincide nel nostro particolare caso con il 1𝑂𝑂2𝐼𝐼1 triangolo 𝑂𝑂� , si ottiene la relazione: 1𝑂𝑂2𝐴𝐴

𝑂𝑂

2

𝐴𝐴

2

= �𝑂𝑂

2

𝐼𝐼

1

𝑙𝑙𝑙𝑙𝑚𝑚 2

= 𝑂𝑂

1

𝑂𝑂

22

+ 𝑂𝑂

1

𝐼𝐼

12

− 2𝑂𝑂

1

𝐼𝐼

1

𝑂𝑂

1

𝑂𝑂

2

cos (𝜃𝜃)

(1.5) Valgono inoltre:

𝑂𝑂

1

𝐴𝐴 = 𝑟𝑟

1

=

𝑚𝑚𝑛𝑛2𝑟𝑟1 , (1.6)

𝑂𝑂

2

𝐴𝐴 = 𝑟𝑟

2

=

𝑚𝑚𝑛𝑛2𝑟𝑟2 , (1.7) 9

(19)

𝑂𝑂

1

𝐼𝐼

1

= 𝑟𝑟

𝑏𝑏1

=

𝑚𝑚𝑛𝑛2𝑟𝑟1

cos (𝜃𝜃)

, (1.8)

𝜏𝜏 =

𝑟𝑟1 𝑟𝑟2

=

𝑟𝑟1 𝑟𝑟2 , (1.9)

𝑂𝑂

2

𝐼𝐼

1

= 𝑟𝑟

2

+ ℎ

𝑎𝑎2

=

𝑚𝑚𝑛𝑛2𝑟𝑟2

+ ℎ

𝑎𝑎2 (caso generale). (1.10) Sostituendo le equazioni dalla (1.6) alla (1.9) all’interno della (1.5) si ottiene:

(𝑂𝑂

2

𝐼𝐼

1

)

𝑙𝑙𝑙𝑙𝑚𝑚2

= (

𝑚𝑚𝑛𝑛2𝑟𝑟1

)

2

𝜏𝜏12

+ �1 +

2

𝜏𝜏

� 𝑐𝑐𝑠𝑠𝑠𝑠

2

(𝜃𝜃)�

. (1.11)

Per non generare interferenza dovrà perciò valere 𝑂𝑂2𝐼𝐼1 ≤ �𝑂𝑂2𝐼𝐼1

𝑙𝑙𝑙𝑙𝑚𝑚, da cui è possibile,

usando le relazioni (1.10) e (1.11), ottenere il seguente risultato:

𝑎𝑎2 𝑚𝑚𝑛𝑛

𝑟𝑟1 2

��

1 𝜏𝜏2

+ �1 +

2 𝜏𝜏

� 𝑐𝑐𝑠𝑠𝑠𝑠

2

(𝜃𝜃) −

1 𝜏𝜏

(1.12)

Nella pratica è di uso comune progettare le ruote dentate facendo riferimento alle normative, in cui l’addendum è espresso in funzione del modulo (ha1 = ha2 = kmn).

Perciò per evitare interferenze, la ruota di diametro minore deve avere un numero di denti sempre inferiore a zmin. La relazione del numero minimo di denti può essere

ricavata dalla (1.12) inserendo la condizione appena citata, si ottiene:

𝑧𝑧

𝑚𝑚𝑙𝑙𝑛𝑛

=

2𝑘𝑘

� 1

𝜏𝜏

2

+ �1 + 2𝜏𝜏�𝑐𝑐𝑠𝑠𝑠𝑠

2

(𝜃𝜃) − 1𝜏𝜏

= 2𝑘𝑘

1+ �1+ (2𝜏𝜏+𝜏𝜏(2+𝜏𝜏)𝑠𝑠𝑙𝑙𝑛𝑛22)𝑠𝑠𝑙𝑙𝑛𝑛(𝜃𝜃) 2(𝜃𝜃)

(20)

Figura 1.4: Contatto negli ingranaggi cilindrici a denti diritti, ruote interne

Osserviamo che il valore di zmin cresce sia al diminuire di 𝜃𝜃 sia al diminuire di τ. Nel

caso particolare τ = 0 ( ingranamento tra rocchetto e dentiera) risulterà

(𝑧𝑧

𝑚𝑚𝑙𝑙𝑛𝑛

)

𝜏𝜏=0

=

𝑠𝑠𝑙𝑙𝑛𝑛2𝑘𝑘2(𝜃𝜃) .

Va inoltre aggiunto che valori più bassi dell’angolo di pressione permettono di ottenere ruote con un minor numero di denti, tuttavia i primi causano, a parità di coppia, un aumento delle forze scambiate fra i denti, con un conseguente incremento dello stato di sollecitazione interno degli stessi.

(21)

1.5.2 Ruote a dentatura interna

Il ragionamento relativo alle ruote a dentatura interna è del tutto simile a quello trattato per quelle a dentatura esterna, con la sola differenza che i punti I1 e I2 si trovano dalla

stessa parte rispetto al punto di contatto C (vedi fig.1.4). E’ evidente, per quanto detto nel paragrafo precedente, che nelle ruote a dentatura interna può esistere il fenomeno dell’interferenza solo nella fase d’accesso, mentre in quella di recesso il contatto risulterà sempre corretto qualunque sia la geometria dei denti. Nonostante ciò, il valore di zmin risulta maggiore in questo tipo di ruote, perché il punto A cade più lontano

rispetto ad I1. Si riporta la relazione seguente:

𝑧𝑧

𝑚𝑚𝑙𝑙𝑛𝑛

= 2𝑘𝑘

1+�1−(2𝜏𝜏−𝜏𝜏

2)𝑠𝑠𝑙𝑙𝑛𝑛2(𝜃𝜃)

(2−𝜏𝜏)𝑠𝑠𝑙𝑙𝑛𝑛2(𝜃𝜃) .

Si può aggiungere che a differenza delle ruote a dentatura esterna, in questo caso possono verificarsi anche altri tipi d’interferenza:

- Interferenza secondaria, tipo d’interferenza generata tra la testa de pignone e quella della ruota condotta in punti esterni alla retta d’azione. Per ruote con proporzionamento nomale (6) ed angolo di pressione di 20° questa interferenza si

verifica se 𝑧𝑧2− 𝑧𝑧1 < 8;

- Interferenza radiale, questo tipo d’interferenza si genera nel montaggio o nel taglio (con coltello Fellows). Nel montaggio può essere facilmente evitata avvicinando i pezzi assialmente ma nel taglio essa risulta inevitabile.

6 Si intende per quelle ruote in cui la dimensione del dente è stata realizzata secondo le direttive di una normativa, dove il valore di addendum e dedendum sono espressi in funzione del modulo normale di riferimento.

12

(22)

1.6 Forze

Per completare l’analisi della trasmissione del moto mediante ruote dentate cilindriche a denti diritti rimane da considerare la trasmissione della potenza fra gli assi delle ruote stesse.

Indicando con P1 la potenza entrante nella trasmissione attraverso l’albero motore, la

coppia sul pignone risulterà quindi:

𝐴𝐴

1

=

𝑃𝑃1

𝜔𝜔1 .

La forza che le due ruote si scambiano è diretta lungo la retta di pressione, pertanto per l’equilibrio alle rotazioni del pignone, in condizioni di assenza di attrito e a regime completamente sviluppato, si ha:

𝐹𝐹

𝑡𝑡

= 𝐴𝐴

𝑟𝑟

11

= 2𝐴𝐴

𝑚𝑚

𝑛𝑛

𝑧𝑧

11

𝐹𝐹

𝑡𝑡

= 𝐹𝐹𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐(𝜃𝜃)

� 𝐹𝐹 =

2𝐴𝐴

1

𝑚𝑚

𝑛𝑛

𝑧𝑧

1

cos (𝜃𝜃)

𝐹𝐹

𝑛𝑛

= 𝐹𝐹𝑐𝑐𝑠𝑠𝑠𝑠(𝜃𝜃)

.

Analogamente per la ruota condotta otteniamo:

𝐴𝐴

2

= 𝐹𝐹

𝑡𝑡

𝑟𝑟

2

= 𝐹𝐹𝑟𝑟

2

cos(𝜃𝜃) =

𝐹𝐹𝑚𝑚𝑛𝑛𝑟𝑟2 2

cos(𝜃𝜃) = 𝐴𝐴

1 𝑟𝑟2 𝑟𝑟1

=

𝐴𝐴1 𝜏𝜏

.

13

(23)

1.7 Perdite e rendimento

Le perdite di potenza meccanica negli ingranaggi possono essere di diverso tipo, quali:

- Perdite dovute allo strisciamento dei denti a contatto;

- Perdite causate dall’imperfetto rotolamento dei profili dei denti durante l’ingranamento;

- Perdite nei supporti:

- Perdite per attrito con l’aria;

- Perdite causate da piccoli urti che si sviluppano fra due denti che vengono a contatto quando l’accoppiamento è caratterizzato da piccoli giochi o errori di produzione.

A basse velocità le perdite per attrito costituiscono la parte principale delle perdite mentre all’aumentare delle velocità acquistano peso le perdite causate dagli urti e quelle dovute all’imperfetto rotolamento. Questo fenomeno è ancora più marcato se i carichi sono più elevati.

Per determinare l’entità delle perdite causate dallo strisciamento nel contatto occorre considerare la forza che i denti si scambiano nelle sue due particolari componenti, una (FN) avente direzione normale alla superfice del dente mentre l’altra (FT) tangenziale,

ossia avente la stessa direzione della velocità relativa tra i denti. Tali forze non sono da confondere con le componenti introdotte nel paragrafo 1.5 le cui direzioni sono riferite alla circonferenza primitiva e non al profilo laterale del dente.

La velocità relativa della ruota condotta rispetto al pignone, risulterà:

𝑉𝑉

𝑟𝑟

���⃗ = (𝜔𝜔

�����⃗ − 𝜔𝜔

2

����⃗)˄(𝑃𝑃 − 𝐴𝐴)

1 ,

(24)

che in modulo vale:

𝑉𝑉

𝑟𝑟

= (𝜔𝜔

2

+ 𝜔𝜔

1

)𝑥𝑥

.

dove x rappresenta la distanza del generico punto P da C. Introduciamo l’ipotesi semplificativa di avere una sola coppia di denti in presa alla volta e consideriamo il pignone, su di esso agiranno: la coppia motrice C1 e le due forze FN e FT, che il dente

della ruota condotta gli trasmette. Dall’equazione di equilibrio alla rotazione del pignone rispetto al punto O1 ricaviamo:

𝐴𝐴

1

= 𝐹𝐹

𝑁𝑁

𝑟𝑟

1

cos(𝜃𝜃) − 𝐹𝐹

𝑇𝑇

(𝑟𝑟

1

sin(𝜃𝜃) − 𝑥𝑥

.

Conoscendo la relazione FT = f FN, dove f è il coefficiente di attrito, possiamo scrivere

la precedente equazione come:

𝐹𝐹

𝑁𝑁

=

𝑟𝑟1cos(𝜃𝜃)−𝑓𝑓(𝑟𝑟𝐴𝐴11sin(𝜃𝜃)+𝑥𝑥) . (1.13) Contemporaneamente sulla ruota condotta agiscono, la coppia resistente C2 e le forze

F’

N e F’T che sono uguali ed opposte rispettivamente alla FN e alla FT. Scrivendo questa

volta l’equilibrio alla rotazione della ruota condotta rispetto al punto O2 e considerando

la relazione FT = f FN si ricava:

𝐹𝐹

𝑁𝑁

=

𝑟𝑟2cos(𝜃𝜃)−𝑓𝑓(𝑟𝑟𝐴𝐴22sin(𝜃𝜃)+𝑥𝑥) . (1.14) Eguagliando ora le espressioni (1.13) e (1.14) otteniamo:

𝐴𝐴1 𝑟𝑟1cos(𝜃𝜃)−𝑓𝑓(𝑟𝑟1sin(𝜃𝜃)+𝑥𝑥)

=

𝐴𝐴2 𝑟𝑟2cos(𝜃𝜃)−𝑓𝑓(𝑟𝑟2sin(𝜃𝜃)+𝑥𝑥)

𝐴𝐴2 𝐴𝐴1

=

𝑟𝑟2cos(𝜃𝜃)−𝑓𝑓(𝑟𝑟2sin(𝜃𝜃)+𝑥𝑥) 𝑟𝑟1cos(𝜃𝜃)−𝑓𝑓(𝑟𝑟1sin(𝜃𝜃)−𝑥𝑥) , 15

(25)

=

𝑟𝑟2 𝑟𝑟1

1−𝑓𝑓(tan(𝜃𝜃)+𝑟𝑟2 cos(𝜃𝜃)𝑥𝑥 ) 1−𝑓𝑓(tan(𝜃𝜃)−𝑟𝑟1 cos(𝜃𝜃)𝑥𝑥 )

,

=

1𝜏𝜏

1−𝑓𝑓(tan(𝜃𝜃)+ 𝑥𝑥 𝑟𝑟2 cos(𝜃𝜃)) 1−𝑓𝑓(tan(𝜃𝜃)− 𝑟𝑟1cos (𝜃𝜃)𝑥𝑥

. (1.15)

Il risultato ottenuto nella (1.15) può essere usato per calcolare l’espressione del rendimento:

𝜂𝜂 =

𝑃𝑃2 𝑃𝑃1 ,

=

𝐴𝐴2𝜔𝜔2 𝐴𝐴1𝜔𝜔1 ,

=

𝐴𝐴2 𝐴𝐴1

𝜏𝜏

,

=

1−𝑓𝑓 (tan(𝜃𝜃)+ 𝑥𝑥 𝑟𝑟2 cos(𝜃𝜃)) 1−𝑓𝑓(tan(𝜃𝜃)−𝑟𝑟1 cos(𝜃𝜃)𝑥𝑥 ) .

Questa espressione è valida durante la fase di accesso, quando cioè il punto P si trova all’interno del segmento 𝐼𝐼1𝐴𝐴. Durante la fase di recesso, ossia quando si trova invece all’interno del segmento 𝐴𝐴𝐼𝐼2 sarà valida l’espressione (1.16) che può essere ottenuta con un ragionamento analogo a quello appena esposto, tenendo conto però che la forza tangenziale e la velocità relativa sono di verso opposto alle precedenti. Quindi in fase di recesso si ha:

𝜂𝜂 =

1+𝑓𝑓(tan(𝜃𝜃)− 𝑥𝑥′ 𝑟𝑟2 cos(𝜃𝜃)) 1+𝑓𝑓(tan(𝜃𝜃)+𝑟𝑟1cos (𝜃𝜃)𝑥𝑥′ , (1.16) 16

(26)

Che risulta strutturalmente simile a quella precedente. Possiamo tuttavia sottolineare che a parità di distanza dal punto C il rendimento della trasmissione nella fase di recesso risulta leggermente superiore a quello della fase di accesso.

Introduciamo ora, senza dimostrarla, la formula di Poncelet che esprime invece il valore medio del rendimento durante l’ingranamento in funzione dei raggi delle circonferenze primitive, del fattore d’attrito e delle lunghezze dei segmenti di contatto 𝑙𝑙𝑎𝑎R e 𝑙𝑙𝑟𝑟, rispettivamente nella fase di accesso e in quella di recesso:

𝜂𝜂

𝑚𝑚

= 1 −

12

𝑟𝑟11

+

𝑟𝑟12

� �

𝑙𝑙𝑎𝑎

2+𝑙𝑙𝑟𝑟2

𝑙𝑙𝑎𝑎+𝑙𝑙𝑟𝑟

� 𝑓𝑓 .

Nella pratica i valori del rendimento per le ruote dentate si attestano tra il 95% e il 98% (η∈[0.95, 0.98]).

1.8 Fabbricazione

In questo paragrafo ci proponiamo di raccogliere i concetti di base relativi al taglio delle dentature cilindriche a denti diritti, senza tuttavia entrare nella descrizione particolareggiata delle macchine utensili interessate. Esistono innumerevoli sistemi per la produzione di ruote dentate, quali: la fusione a terra, la fusione a guscio, la fusione in forma permanente, la pressofusione e la rullatura o formatura a freddo. Tipicamente però come conseguenza degli elevati rapporti di carico trasmesso e delle dimensioni, le ruote dentate sono prodotte in acciaio e poi tagliate tramite fresatura o per inviluppo.

1.8.1 Taglio per fresatura

Il taglio delle ruote dentate cilindriche a denti diritti mediante fresatura è realizzato mediante frese a disco. I denti della fresa sono costruiti in modo da riprodurre il vano fra dente e dente della particolare ruota da realizzare.

(27)

Lo svantaggio principale del taglio con fresa consiste nel fatto che, se si desidera la massima qualità della ruota (con massima qualità si intende quella relativa a questo specifico processo produttivo) è necessaria una diversa fresa sia per ogni diverso modulo che per ogni numero di denti. Se diversamente non è richiesta una elevata precisione, è possibile tagliare con ogni fresa

Tabella 1.1: Serie di 8 frese prese dalla normativa UNI 4501

n 12 14 17 21 26 35 55 135

nmax 13 16 20 25 34 54 134 ∞

Tabella 1.2: serie di 15 frese prese dalla normativa UNI 4501

n 12 13 14 15 17 19 21 23

nmax 16 18 20 22 25

n 26 30 35 42 55 80 135

nmax 29 34 41 54 79 134

anche ruote con numero di denti alquanto maggiore di quello ottimale per quel determinato profilo (per il modulo lo stesso ragionamento non è valido). Riportiamo, puramente a titolo di esempio, due tabelle (1.1 e 1.2) prese da normativa(7)che

contengono, la prima 8 serie di frese per tagliare ruote dentate con modulo da 0.5 a 9 mentre la seconda 15 serie per moduli maggiori di 10. Nelle tabelle sono indicati i rispettivi valori del numero di denti ottimale e quello massimo.

Concludiamo specificando che il taglio con fresa non consente di raggiungere gli elevati gradi di precisione che talvolta sono richiesti in ingranaggi per applicazioni veloci. Al contrario risulta molto semplice ed economico, qualità che lo rendono idoneo alla produzione su larga scala di ruote con le medesime caratteristiche.

7 La norma di riferimento è la UNI 4501 del 1960, che risulta ora ritirata senza sostituzione.

18

(28)

1.8.2 Taglio per inviluppo

Questo metodo è quello che possiede la massima versatilità e consente di ottenere la massima precisione possibile, esso è usato principalmente per realizzare ruote con dentatura ad evolvente. Le sue modalità di realizzazione possono essere facilmente comprese se si immagina che la ruota sia costituita da materiale modellabile per pressione mentre l’utensile sia infinitamente rigido. Facendo muovere ruota ed utensile l’una rispetto all’altro con lo stesso movimento che avrebbero se la ruota da realizzare fosse già tagliata, si ottiene la modellazione di quest’ultima.

Tra i vari utensili che possono essere usati si trovano:

- le dentatrici-strozzatrici del tipo Maag, Sunderland o Fellows;

- le dentatrici con moto rotatorio continuo (Pfauter e Reinecker).

Figura 1.5: Esempio di rottura per flessione

(29)

1.9 Avarie

Esistono numerose modalità di cedimento delle ruote dentate che sono state messe in relazione ad una moltitudine di fattori legati al funzionamento degli ingranaggi, come per esempio la lubrificazione, le forze trasmesse e la velocità periferica. Tali relazioni sono state poi riportate all’interno di normative come la ISO 6336, la UNI 8862, la DIN 3990 e anche tante altre.

Nella maggior parte dei casi è difficile attribuire ben determinate condizioni alle specifiche tipologie di avarie in quanto nella quasi totalità dei casi si presentano simultaneamente diversi tipi di danneggiamento. Nel seguente capitolo verrà proposta una presentazione generale delle tipologie più frequenti di cedimento. Quelle che tratteremo in questo paragrafo sono:

- rottura per flessione;

- pitting;

- scuffing;

- usura.

1.9.1 Rottura per flessione

Con rottura per flessione si intende il cedimento del dente in conseguenza dello stato tensionale a flessione pulsante a cui esso è sottoposto. La sezione più sollecitata si trova alla base del dente sia perché rappresenta la sezione di massimo sforzo, essendo massimo il braccio della forza scambiata fra i denti, sia per la presenza di intaglio. Perciò la frattura si sviluppa normalmente in questa zona (vedi figura 1.5), la rigidezza di una ruota può però influenzarne la propagazione, facendola sviluppare verso l’interno.

(30)

La sua evoluzione risulta quella tipica delle rotture a fatica, con una prima fase di nucleazione, una successiva di propagazione della cricca, generalmente lungo la direzione perpendicolare allo sforzo ed in fine la rottura che è di tipo fragile.

In linea del tutto generale, è possibile affermare che questo fenomeno è legato al superamento del limite di fatica del materiale, limite che deve essere calcolato tendendo conto delle condizioni di carico e delle particolari geometrie delle ruote dentate.

1.9.2 Pitting

Il pitting è un danneggiamento per fatica dovuto allo scambio di forze tra due superfici a contatto, risulta tipico di tutti i membri che prevedono la trasmissione delle forze tramite contatto, quindi non solo negli ingranaggi ma anche nei cuscinetti, nelle camme e in tantissimi altri meccanismi.

Lo stato tensionale tipico di questo fenomeno può essere approssimato tramite la teoria del contatto hertziano, in cui le due ruote sono immaginate come due cilindri a contatto lungo una generatrice di lunghezza pari a quella della faccia dei denti. Le altre ipotesi che stanno alla base di questa teoria sono:

- perfetta elasticità del materiale;

- assenza di forze di attrito;

- zona del contatto limitata rispetto alle dimensioni dei due corpi.

La tensione massima risulterà:

𝜎𝜎

𝐻𝐻𝑚𝑚𝑎𝑎𝑥𝑥

≈ 0.418�

𝑃𝑃𝑃𝑃𝜌𝜌𝑏𝑏 ,

dove:

𝜌𝜌 =

𝜌𝜌1

1

+

1

𝜌𝜌2 è la somma delle curvature delle superfici a contatto,

(31)

𝐸𝐸 =

2𝑃𝑃1𝑃𝑃2

𝑃𝑃1+𝑃𝑃2 con E1 e E2 moduli elastici dei materiali delle due ruote, e P forza

premente i due cilindri l’uno contro l’altro.

Il punto di contatto varierà durante l’ingranamento lungo il segmento dei contatti facendo di conseguenza variare il valore delle due curvature e quindi il valore di 𝜎𝜎𝐻𝐻. È stato tuttavia dimostrato che il punto di massima tensione hertziana è il centro di istantanea rotazione C ( 𝜌𝜌1 = 𝑟𝑟1 e 𝜌𝜌1 = 𝑟𝑟1), in cui essendo nulla la velocità relativa si ha una bassa lubrificazione.

Figura 1.6: Esempio di danneggiamento a pitting

1.9.3 Scuffing

Questo particolare fenomeno consiste nella saldatura e nel successivo distacco del fianco dei denti di due ruote dentate. La causa principale è la carenza o addirittura la mancanza dello strato di lubrificante che dovrebbe permettere alle due superfici di

(32)

scorrere l’una sull’altra. L’insorgenza di questa eventualità, unita a determinate condizioni di velocità e temperatura, può creare tra le due superfici una pressione tale da indurre il materiale delle due ruote a microsaldarsi. Poi durante il proseguimento del moto queste microsaldature si romperanno, determinando uno scambio di materiale e la conseguente formazione di superfici scabre. Tali irregolarità si comporteranno come degli utensili, generando durante gli ingranamenti successivi delle striature lungo la direzione di strisciamento relativo delle due superfici (vedi figure 1.7 e 1.8).

1.9.4 Usura

Il fenomeno dell’usura è un processo continuativo e duraturo nel tempo, che consiste nella abrasione delle superfici di contatto tra i denti, la sua principale causa è come per lo scuffing la mancanza o l’inadeguatezza della lubrificazione.

Un’altra possibile causa potrebbe anche essere la presenza di particelle estranee trasportate dal lubrificante, in questi casi esse asportano una piccola quantità di materiale dalle superfici, causando delle vistose striature nella direzione di scorrimento.

Figura 1.7: Ruota a denti dritti danneggiata per scuffing

(33)

Figura 1.8: Esempio di scuffing in cui appaiono molto visibili le striature causate “dall’effetto utensile” delle microsaldature

Figura 1.9: Esempio di ruota soggetta a usura per carenza di lubrificante

Gli effetti e le cause sono molto simili allo scuffing, da cui però si differenzia per la maggior omogeneità del danneggiamento, l’usura infatti interessa tutto il fianco attivo del dente mentre lo scuffing è localizzato soprattutto nelle zone ad alta velocità di scorrimento. Se i carichi e le velocità sono ridotti, il materiale asportato è rappresentato principalmente da ossidi, che tenderanno a riformarsi con sufficiente rapidità in modo da impedire il contatto diretto tra le superfici sottostanti. Quando le condizioni sono più critiche, la velocità di rigenerazione degli ossidi non è più in grado di evitare il contatto diretto tra le superfici dei denti, in questo caso l’usura può raggiungere entità tali da produrre modifiche nel profilo dei denti con conseguenti vibrazioni e rumore.

(34)

1.10 Rotismi

Si definiscono rotismi quei meccanismi in cui la trasmissione del moto avviene per mezzo di ruote dentate, la cui funzione principale è quella di assicurare un determinato rapporto di trasmissione. Il rotismo più elementare è costituito da due ruote dentate (ingranaggio) e dai membri a cui le ruote sono accoppiate rotoidalmente. In questo capitolo distingueremo i rotismi in:

- ordinari, quando gli assi di tutte le ruote sono fissi;

- epicicloidali, se almeno uno degli assi delle ruote risulta mobile.

Definiremo poi le modalità del calcolo del rapporto di trasmissione in uno e nell’altro caso.

1.10.1

Rotismi ordinari

Il rapporto di trasmissione τ di un rotismo ordinario composto da n+1 ruote dentate è definito come il rapporto tra la velocità angolare del cedente con quella del movente:

𝜏𝜏 =

𝜔𝜔𝑛𝑛+1

𝜔𝜔1 ,

e può anche essere espresso attraverso i rapporti di trasmissione dei singoli ingranaggi, ossia scrivendo:

𝜏𝜏 =

𝜔𝜔𝑛𝑛+1 𝜔𝜔𝑛𝑛 𝜔𝜔𝑛𝑛 𝜔𝜔𝑛𝑛−1

𝜔𝜔2 𝜔𝜔1

= 𝜏𝜏

𝑛𝑛

𝜏𝜏

𝑛𝑛−1

… 𝜏𝜏

1 .

Ora, se un rotismo ordinario contiene una ruota che ingrana contemporaneamente con altre due, il rapporto di trasmissione tra la prima e l’ultima ruota non viene influenzato, in valore, dalla presenza della ruota intermedia, che ha invece la sola funzione di invertire il segno della velocità in uscita: tale ruota prende il nome di oziosa.

(35)

Nella pratica è di uso comune considerare come range di valori ottenibili, dalla

trasmissione di un singolo ingranaggio, quelli compresi nell’intervallo �1

6 , 6�. Questa

convenzione, che non é obbligatorio applicare, ha lo scopo di limitare l’ingombro ed il costo del meccanismo. Quindi nel caso si debba realizzare un rotismo il cui rapporto di trasmissione non risulti interno a tali valori (ad esempio 𝜏𝜏 = 1

18), sarà necessario

suddividere la trasmissione in più stadi (2 per il nostro esempio). Si pone quindi il problema di come debba essere suddiviso il rapporto stesso ed in quale ordine debbano essere posti i vari stadi.

La soluzione più opportuna risulta quella di suddividere la trasmissione in stadi il più possibile simili tra loro, montando sugli alberi più veloci le coppie di ruote aventi trasmissione più bassa.

1.10.2

Rotismi epicicloidali

Come abbiamo già anticipato, un rotismo epicicloidale è un rotismo in cui almeno una delle ruote è accoppiata rotoidalmente ad un albero avente asse mobile. Il più semplice esempio di rotismo epicicloidale è quello rappresentato in figura 1.10, come si può vedere esso è costituito da due ruote e da un terzo membro accoppiato rotoidalmente ad esse. La ruota 1 ad asse fisso prende il nome di solare, la 2 ad asse mobile di satellite mentre il componente numero 3 viene chiamato portatreno (o portasatellite).

Prima di passare al calcolo del rapporto di trasmissione è necessario osservare che a differenza dei rotismi ordinari, nei quali erano presenti un solo albero motore e un solo albero condotto, possono esistere in questo caso diverse configurazioni in cui é possibile avere più alberi condotti o più alberi motore. Risulterà quindi necessario determinare una relazione tra le velocità angolari dei vari componenti.

Consideriamo ora un generico rotismo epicicloidale costituito da n ruote, dove la 1 sia il movente e la n il cedente (rotismo ad un grado di libertà). Il rapporto di trasmissione sarà quindi:

(36)

𝜏𝜏 =

𝜔𝜔𝑛𝑛

𝜔𝜔1 , (1.17)

Figura 1.10: ingranaggio epicicloidale

ipotizzando ora di attribuire a tutto il rotismo una velocità angolare uguale ed opposta a quella del portatreno, le velocità delle altre ruote diventeranno:

𝜔𝜔

1,0

= 𝜔𝜔

1

− Ω

𝜔𝜔

2,0

= 𝜔𝜔

2

− 𝛺𝛺

𝜔𝜔

𝑛𝑛,0

= 𝜔𝜔

𝑛𝑛

− 𝛺𝛺

(37)

In questo modo il rotismo in esame è stato privato della caratteristica peculiare dei rotismi epicicloidali, il rotismo che ne deriva prende il nome di rotismo ordinario associato ed ha rapporto di trasmissione pari a:

𝜏𝜏

0

=

𝜔𝜔𝜔𝜔𝑛𝑛1− 𝛺𝛺− 𝛺𝛺 , (1.18)

=

𝜔𝜔𝑛𝑛,0 𝜔𝜔(𝑛𝑛−1),0

𝜔𝜔2,0 𝜔𝜔1,0 ,

=

𝑟𝑟𝑛𝑛−1 𝑟𝑟𝑛𝑛

𝑟𝑟1 𝑟𝑟2 . (1.19)

Figura 1.11: Modello delle forze relativo alla teoria di Lewis

La relazione 1.18 è detta formula di Willis ed individua, come si è già compreso, il rapporto di trasmissione del rotismo ordinario associato.

L’introduzione di questo modello di calcolo ha lo scopo di determinare una relazione che esprima un legame tra il rapporto di trasmissione e le grandezze note, come per esempio la velocità dell’albero motore e il numero di denti delle ruote. A tal proposito dalla 1.19 è possibile ricavare τ0 in funzione del numero di denti:

𝜏𝜏

0

= 𝑓𝑓(𝑧𝑧

1

, 𝑧𝑧

2

, … , 𝑧𝑧

𝑛𝑛

)

.

(38)

Dopo aver considerato tutte le condizioni al contorno, e se possibile applicato delle semplificazioni alla 1.18 il passo successivo è quello di scrivere la velocità del cedente in funzione di τ0:

𝜔𝜔

𝑛𝑛

= 𝑓𝑓(𝜏𝜏

0

, 𝜔𝜔

1

)

.

A questo punto si inserisce la relazione appena trovata all’interno della 1.17, ottenendo così il risultato cercato:

𝜏𝜏 = 𝑓𝑓(𝜏𝜏

0

, 𝜔𝜔

1

)

.

1.11 Teoria di Lewis

Nella teoria di Lewis il dente è considerato come una mensola incastrata nella circonferenza di base, sollecitata alla forza complessiva che le ruote si tramettono (vedi fig. 1.11).

Le ipotesi che stanno alla base di questa teoria sono:

- il dente è sollecitato dalla forza F agente sulla punta dello stesso;

- è considerata nel calcolo la condizione più sfavorevole, cioè quella nella quale all’interno del segmento dei contatti vi sia una sola coppia di denti in presa;

- tra le due componenti della F, la W responsabile dello sforzo di flessione sul dente è la sola che viene considerata nel calcolo e per semplicità presa in modulo pari alla Ft agente lungo la tangente alla circonferenza primitiva ( si ipotizza cioè

𝜃𝜃 = 𝛾𝛾);

- forze d’attrito considerate trascurabili;

- effetto della concentrazione delle tensioni alla base del dente considerato trascurabile.

(39)

Al fine di eliminare le condizioni di carico del dente, scriviamo la componente W della F che genera lo sforzo di flessione:

𝑊𝑊 = 𝐹𝐹 cos (𝛾𝛾) ,

essendo però per ipotesi 𝜃𝜃 = 𝛾𝛾, si ha; cos(𝜃𝜃) = cos(𝛾𝛾) ,

e, di conseguenza:

𝑊𝑊 =

𝐹𝐹𝑡𝑡

cos (𝜃𝜃)

cos(𝛾𝛾) ≅ 𝐹𝐹

𝑡𝑡 .

Avendo trascurato la componente di F che determina lo sforzo di compressione sul dente, calcoliamo la massima tensione dovuta al solo momento flettente:

𝜎𝜎

𝑚𝑚𝑎𝑎𝑥𝑥

=

𝑀𝑀𝑓𝑓 𝑆𝑆(𝑥𝑥) 2 𝐼𝐼

=

𝐹𝐹𝑡𝑡𝑥𝑥 1 6𝑏𝑏 [𝑅𝑅(𝑥𝑥)]2 , (1.20) dove:

- x, è la distanza fra il punto corrispondente all’intersezione della retta dei contatti con l’asse di simmetria del dente e la sezione del dente in cui si produce la σmax

;

- S(x), è lo spessore del dente alla coordinata x;

- b, è la larghezza di fascia del dente;

- I , è il momento d’inerzia della sezione resistente, con 𝐼𝐼 = 1

12𝑏𝑏 [𝑆𝑆(𝑥𝑥)]3 .

(40)

Da quanto detto finora non è ancora nota la sezione del dente in cui si ha σmax . Se il

dente avesse sezione costante ovviamente la si avrebbe nella sezione d’incastro, ma non è questo il caso.

In generale invece per la teoria di Lewis il massimo dello sforzo sul dente si ha nel punto in cui una parabola di uniforme resistenza, avente per asse l’asse del dente e origine nel punto H (corrispondente all’intersezione della retta dei contatti con l’asse di simmetria del dente), risulta tangente al profilo del dente stesso. Ponendo quindi 𝜎𝜎𝑚𝑚𝑎𝑎𝑥𝑥 ≡ 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑡𝑡. , si ha:

[𝑆𝑆(𝑥𝑥)]

2

= 𝑦𝑦

2

=

𝐹𝐹𝑡𝑡

𝜎𝜎𝑚𝑚𝑎𝑎𝑥𝑥16𝑏𝑏

𝑥𝑥

, (1.21)

Che rappresenta l’equazione della parabola di uniforme resistenza appena citata. Imponendo poi la tangenza tra la 1.21 e l’equazione dell’evolvente specifica della ruota dentata in esame, è possibile determinare la sezione in cui si ha la σmax. Ponendo:

𝜎𝜎

𝑚𝑚𝑎𝑎𝑥𝑥

= 𝜎𝜎

𝐿𝐿𝐿𝐿,

𝑥𝑥 = ℎ

𝐿𝐿 ,

𝑆𝑆[𝑥𝑥 = ℎ

𝐿𝐿

] = 𝑆𝑆

𝐿𝐿,

dove x è la coordinata della sezione relativa alla σmax e SL è la larghezza della sezione

in cui si ha la σmax, si può scrivere:

𝜎𝜎

𝐿𝐿𝐿𝐿

=

6 𝐹𝐹𝑏𝑏 𝑅𝑅𝑡𝑡ℎ𝐿𝐿𝐿𝐿

=

6 𝐹𝐹𝑡𝑡 �𝑆𝑆𝐿𝐿

𝑚𝑚𝑛𝑛2�

2

=

6 𝐹𝐹𝑏𝑏𝑡𝑡

𝑌𝑌

𝐿𝐿𝐿𝐿 . (1.22)

Il termine YLw prende il nome di fattore di forma ( secondo Lewis), e vale:

𝑌𝑌

𝐿𝐿𝐿𝐿

=

6 ( 𝑚𝑚𝑛𝑛ℎ𝐿𝐿)

𝑚𝑚𝑛𝑛𝑆𝑆𝐿𝐿�2 .

(41)

Una volta definito il quadro teorico rimane da esaminare come elaborare le equazioni in modo da poter affrontare un calcolo di progetto. Consideriamo il caso in cui debba essere determinato sia il modulo mn che la larghezza di fascia b. Pertanto introducendo

nella 1.22 le relazioni:

𝜆𝜆 =

𝑚𝑚𝑏𝑏 𝑛𝑛 ,

𝐴𝐴 = 𝐹𝐹

𝑡𝑡

𝑟𝑟 → 𝐹𝐹

𝑡𝑡

=

𝑟𝑟 𝑚𝑚2 𝐴𝐴𝑛𝑛 , otteniamo:

𝜎𝜎

𝐿𝐿𝐿𝐿

=

2 𝐴𝐴 𝑌𝑌𝐿𝐿𝐿𝐿 𝜆𝜆 𝑟𝑟 𝑚𝑚𝑛𝑛3 .

Tabella 1.3: Valori convenzionalmente utilizzati per λ Qualità delle dentature e condizioni di lavoro λ Dentatura precisa, fusa oppure tagliata alla fiamma;

6 ÷ 10 pignone con supporti esterni non rigidi.

Dentatura temprata ma non rettificata. 5 ÷ 15 Dentatura lavorata bene; supporti nello stesso carter del

10 ÷ 20 rotismo, rigidi e ben allineati.

Dentatura lavorata di precisione; n1 < 3000 rpm 20 ÷ 40 Superficie dei denti pressochè perfetta ed elevata

40 ÷ 80 precisione di dentatura; supporti rigidi; n1 < 3000 rpm

In ambito di progettazione dovrà valere la condizione di resistenza, ossia 𝜎𝜎𝐿𝐿𝐿𝐿 ≤ 𝜎𝜎𝑎𝑎𝑚𝑚𝑚𝑚 e perciò rielaborando l’equazione precedente possiamo scrivere:

𝑚𝑚

𝑛𝑛

≥ �

3 𝜆𝜆 𝑟𝑟 𝑓𝑓2 𝐴𝐴 𝑌𝑌𝑣𝑣 𝜎𝜎𝐿𝐿𝐿𝐿𝑎𝑎𝑚𝑚𝑚𝑚 ,

(42)

dove il termine fv è un coefficiente correttivo aggiunto che considera possibili urti e

vibrazioni.

Esso vale:

𝑓𝑓

𝑣𝑣

=

12+ √𝑣𝑣12 ,

per ruote ad alta precisione,

𝑓𝑓

𝑣𝑣

=

6+ √𝑣𝑣6 ,

per ruote di buona qualità,

𝑓𝑓

𝑣𝑣

=

5+ √𝑣𝑣5 ,

per ruote di medio-bassa qualità.

(43)

Tabella 1.4: Valori del coefficiente YLw z 𝜃𝜃 = 20° 𝜃𝜃 = 15° 1/YLw 1/YLw 12 0.245 0.210 13 0.261 0.220 14 0.276 0.226 15 0.289 0.236 16 0.295 0.242 17 0.302 0.251 18 0.308 0.261 19 0.314 0.273 20 0.320 0.283 21 0.327 0.289 22 0.330 0.292 24 0.336 0.298 25 0.346 0.307 28 0.352 0.314 30 0.358 0.320 34 0.371 0.327 38 0.383 0.336 43 0.396 0.346 50 0.408 0.352 60 0.421 0.358 75 0.434 0.364 100 0.446 0.371 150 0.459 0.377 ∞ 0.484 0.390 34

(44)

Tabella 1.5: Valori dei moduli unificati, presi dalla normativa UNI 6586. In fase di scelta sono da preferire, nell’ordine, moduli appartenenti alla colonna 1 poi alla 2 ed infine alla 3

Colonna 1 Colonna 2 Colonna 3 Colonna 1 Colonna 2 Colonna 3

0.5 6 0.75 6.5 1 7 1.25 8 1.25 9 1.375 10 1.5 11 1.75 12 2 14 2.25 16 2.5 18 2.75 20 3 22 3.25 25 3.5 29 3.75 32 4 35 4.5 40 5 45 5.5 50 35

(45)
(46)

Capitolo 2

2.1 Innesti

In questo capitolo ci concentreremo sui vari tipi di innesti esistenti.

Gli innesti permettono di collegare e scollegare a piacere due alberi (uno dei quali sarà collegato al motore e l’altro all’utilizzatore), in molti casi anche mentre questi sono in movimento.

I principali tipi di innesti sono gli innesti a denti e gli innesti a frizione. Un tipo particolare è il giunto idraulico, che svolge sia la funzione di innesto sia quella di giunto.

2.2 Innesti a denti

Gli innesti a denti frontali permettono di effettuare il collegamento fra due alberi rotanti alla medesima velocità o con velocità poco diverse fra loro. Sono di due tipo fondamentali (figura 2.1):

- A pochi denti (con denti rettangolari, triangolari, trapezoidali, a spirale) per collegamento da fermo o a velocità molto bassa.

- A molti denti ( con denti a dente di sega) per collegare anche in movimento a velocità relativa medio bassa.

Gli innesti a denti di esecuzione normale permettono di ottenere il collegamento in una posizione qualsiasi, ma esistono innesti che permettono il collegamento solo in una o in alcune posizioni angolari relative dei due alberi.

Si trovano in commercio gruppi costituiti da un innesto e dal relativo comando, che può essere oleodinamico, pneumatico o elettromagnetico. La modalità di intervento del comando si dice positiva se il comando provoca il collegamento fra i due alberi, si dice negativa se i due alberi sono normalmente collegati ed il comando ne provoca lo

scollegamento.

(47)

Figura 2.1: Innesto a denti frontali

Gli innesti a denti radiali (figura2.2) realizzano l’innesto senza sviluppare sforzi assiali. Essi trovano impiego, ad esempio, nei cambi automobilistici. Questi comprendono due alberi principali, sui quali sono montate delle ruote dentate: su uno le ruote sono calettate, mentre sull’altro albero sono montate folli. Ogni ruota del primo albero è costantemente in presa con la corrispondente ruota del secondo. Opportuni innesti a denti radiali permettono di rendere solidale con il proprio albero una delle ruote folli.

Figura 2.2: Innesto a denti radiali

L’innesto avviene facendo scorrere il manicotto dentato sul proprio albero, che è scanalato, fino a farlo entrare in presa con la dentatura ricavata sul fianco della ruota folle. Poiché l’innesto deve avvenire con velocità relativa nulla, il manicotto è munito di superfici coniche ( sincronizzatori) che funzionano come frizioni coniche: quando il manicotto incomincia a muoversi, ma prima che abbia inizio l’innesto delle due dentature, le superfici coniche del

(48)

manicotto vengono a contatto con corrispondenti superfici coniche ricavate su un anello solidale con la ruota folle, e questa è portata a ruotare alla stessa velocità angolare del manicotto, cioè dell’albero.

2.3 Frizioni

Gli innesti ad attrito, o frizioni, permettono di effettuare il collegamento fra due alberi, rotanti inizialmente con velocità anche molto diverse fra loro. Il principio di funzionamento è molto semplice. I due alberi da collegare portano due superfici affacciate: quando queste non sono a contatto fra loro, non c’è trasmissione di coppia; se vengono accostate e premute una contro l’altra, dapprima le superfici strisciano fra loro e trasmettono una coppia per attrito; successivamente, acquistano la stessa velocità e la coppia è trasmessa per aderenza.

Figura 2.3: Innesto a frizioni coniche

I primi innesti a frizione erano conici (figura 2.3), cioè con le superfici di contatto coniche; anche attualmente le frizioni coniche trovano impiego in applicazioni industriali, in alcuni veicoli e nei sincronizzatori dei cambi automobilistici. Rispetto alle frizioni piane, questi innesti richiedono sforzi assiali minori durante la trasmissione per aderenza, mentre per lo spostamento assiale relativo delle due superfici coniche, cioè durante le fasi di accostamento e di distacco, le componenti d’attrito fanno sì che siano necessarie forze assiali maggiori.

(49)

Un certo interesse hanno le frizioni radiali, nella quali parti mobili collegate ad uno dei membri si muovono in senso radiale fino a premere su idonee superfici (di solito cilindriche o coniche) ricavate nell’altro membro. Il movimento radiale delle parti mobili può essere realizzato mediante meccanismi vari, per esempio, un collare ed una molla, oppure può essere dovuto all’azione della forza centrifuga, che fornisce allora anche l’azione che tiene premute una corona contro l’altra le due superfici d’attrito: si realizza così una frizione centrifuga, che effettua automaticamente l’innesto quando la velocità dell’albero al quale sono collegate le parti mobili raggiunge un valore sufficiente per fare avvenire l’innesto.

I tipi più comuni sono però le frizioni piane, nelle quali il contatto avviene su superfici a forma di corona circolare. Le frizioni piane possono essere monodisco, di solito a secco, con una o due superfici di contatto.

Le frizioni a dischi multipli sono realizzate con un albero scanalato, sul quale scorrono assialmente dei dischi dotati di dentelli che si accoppiano con le scanalature dell’albero, e con una campana con scanalature interne, entro la quale scorrono dischi simili ai precedenti, alternati ad essi e dotati di dentelli verso l’esterno (figura 2.4).

Figura 2.4: Innesto a frizione a dischi multipli

Quando i dischi vengono premuti gli uni contro gli altri, quelli calettati sull’albero scanalato trasmettono, per attrito o per aderenza, una coppia a quelli dotati della dentellatura verso l’esterno, torsionalmente solidali con la campana.

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Se le superfici a contatto sono n, il momento trasmesso per attrito durante la fase di strisciamento a quello trasmesso per aderenza nella fase finale sono n volte quelli trasmessi da ciascuna superficie di contatto.

Nelle applicazioni industriali, intervento sulla frizione avviene di regola mediante un comando elettromagnetico, oleodinamico o pneumatico. L’innesto si dice a comando positivo se la frizione è normalmente disinserita e viene inserita o alimentando con una tensione elettrica o inviando olio o aria in pressione; si dice a comando negativo quando la frizione è normalmente innestata e alimentando con una tensione elettrica o inviando olio o aria in pressione se ne provoca il disinnesto.

Nel campo industriale le frizioni sono largamente utilizzate sia come innesti, sia come limitatori di coppia. La frizione non è in grado di trasmettere una coppia superiore ad un certo massimo, e pertanto può essere impiegata per impedire che un sovraccarico, cioè un momento torcente di valore eccessivo, che si verifichi in un lato della trasmissione, si trasmetta anche all’altra parte, danneggiando o distruggendo parti importanti del sistema.

2.4 Innesto di una frizione

Nell’innesto di una frizione meccanica si distinguono tre fasi principali:

- Fase di accostamento;

- Fase di strisciamento;

- Fase di aderenza finale.

2.4.1 Fase di accostamento

Questa fase è molto breve e pertanto verrà trascurata.

(51)

2.4.2 Fase di strisciamento

La frizione trasmette la coppia

𝑀𝑀𝑓𝑓 = 𝑓𝑓𝑓𝑓𝑅𝑅𝑚𝑚 (2.1)

Indicando con 𝑀𝑀𝑚𝑚 il momento motore, con 𝑀𝑀𝑟𝑟 il momento resistente, con Ω𝑚𝑚 la velocità angolare del motore, con Ω𝑢𝑢 quella dell’utilizzatore, con 𝐽𝐽𝑚𝑚 e 𝐽𝐽𝑢𝑢 i momenti d’inerzia, rispettivamente, del motore e dell’utilizzatore, le equazioni del moto nella fase di strisciamento sono:

𝑀𝑀𝑚𝑚−𝑀𝑀𝑓𝑓=𝐽𝐽𝑚𝑚𝑑𝑑Ω𝑚𝑚𝑑𝑑𝑑𝑑

𝑀𝑀𝐹𝐹−𝑀𝑀𝑟𝑟=𝐽𝐽𝑢𝑢𝑑𝑑Ω𝑢𝑢𝑑𝑑𝑑𝑑 (2.2)

La prima delle 2.2 si riferisce al lato motore, la seconda al lato utilizzatore. La frizione trasmette un momento 𝑀𝑀𝐹𝐹, che è resistente per il motore ed è motore per l’utilizzatore. Affinché quest’ultimo possa essere effettivamente trascinato, occorre evidentemente che sia 𝑀𝑀𝐹𝐹 > 𝑀𝑀𝑟𝑟.

Durante questa fase la velocità angolare del motore diminuisce e quella dell’utilizzatore aumenta: la fase ha termine quando le due velocità diventano uguali.

2.4.3 Fase finale

In questa fase è Ω𝑚𝑚 = Ω𝑢𝑢; posto Ω𝑚𝑚 = Ω𝑢𝑢 = Ω , l’equazione del moto nella fase di aderenza è:

𝑀𝑀𝑚𝑚− 𝑀𝑀𝑟𝑟 = (𝐽𝐽𝑚𝑚− 𝐽𝐽𝑢𝑢)𝑑𝑑Ω𝑑𝑑𝑑𝑑 (2.3)

I due alberi sono solidali fra loro e la frizione trasmette per aderenza un momento 𝑀𝑀𝑎𝑎 il cui valore è compreso tra i limiti 0 ≤ 𝑀𝑀𝑎𝑎 ≤ 𝑓𝑓𝑎𝑎𝑓𝑓𝑅𝑅, dove 𝑓𝑓𝑎𝑎 è il coefficiente di aderenza fra le superfici di contatto.

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Capitolo 3

3.1 Breve storia della bicicletta

Nel tracciarne la storia è necessario tener conto del fatto che le invenzioni applicate alla bicicletta che hanno avuto successo, di rado sono state il frutto dell’idea di una persona; piuttosto sono state il risultato di precedenti idee ed esperimenti per cui difficilmente è possibile associare ad un determinato progetto una precisa data storica ed un particolare inventore.

Numerose sono le rivendicazioni iniziali per l’invenzione della bicicletta come veicolo. Sembra piuttosto probabile comunque che tutte le presunte invenzioni antecedenti quella brevettata da Karl Drais nel 181 siano solo ipotetiche.

Figura 3.1: Evoluzione della bicicletta

Rivendicazioni più datate fanno risalire l’invenzione della bicicletta ad un disegno preciso del mezzo trovato all’interno del codice atlantico di Leonardo Da Vinci, nel foglio 133v e accompagnato da altre tavole raffiguranti congegni meccanici ad oggi, sebbene messo in dubbio dalla critica, mai smentito dagli studiosi. L’origine della prima bicicletta effettivamente utilizzata è da attribuirsi al barone Karl von Drais, un impiegato statale del Gran Ducato di Baden in Germania. Drais inventò la sua Laufmachine (macchina da corsa)

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nel 1817 che fu chiamata dalla stampa draisine e più tardi velocipide. La draisina era comunque molto diversa dalla bicicletta intesa in senso moderno poiché la propulsione non avveniva per mezzo di pedali e trasmissione ma per spinta diretta dei piedi sul terreno. L’adozione dei pedali avvenne solo intorno al 1860, in Francia, in concomitanza con la nascita di un nuovo tipo di fondo stradale che rese più semplice condurre il velocipede sebbene imitando la tecnologia delle carrozze per la costruzione di massicci telai d’acciaio, il peso del veicolo era raddoppiato a quasi 45 chilogrammi. Un’ulteriore comodità fu portata con l’introduzione di copertoni di gomma solida e del primo cuscinetto a sfere. Necessitano una menzione anche i primi tentativi di introdurre la trazione posteriore per superare gli svantaggi di quella anteriore ( la difficoltà nel mantenere la pedalata mentre si sterza e la velocità limitata), anche se dovranno passare altri 40 anni prima che questa si affermi definitivamente diventando d’uso comune. Lo sviluppo della “bicicletta sicura” fu indubbiamente la modifica più importante nella storia della bicicletta; essa spostò la percezione dell’opinione pubblica sulla bicicletta da quella di un giocattolo pericoloso per giovani sportivi a quella di un mezzo di trasporto adatto a uomini e donne di tutte le età. Si deve dunque a John Kemp Starley l’invenzione della prima “safety bicycle” nel 1885; egli non brevettò mai la sua invenzione ma le principali novità erano rivoluzionare: ruota anteriore sterzante con il significativo angolo d’incidenza (8), ruote di uguali dimensioni e trasmissione a catena alla ruota posteriore.

Inizialmente il punto della safety bicycle fu la stessa difficoltà nell’assorbimento delle asperità del terreno, problema rilevante su ruote di diametro inferiore; ciò costringeva all’adozione di sistemi di ammortizzazione a molla complicati, ingombranti e pesanti; tutto ciò divenne obsoleto a partire dal 1888 quando John Dunlop inventò il primo pneumatico da bicicletta.

8 L’angolo di incidenza è quello formato dall’asse dello sterzo con il terreno. Tale angolo si traduce in una

distanza dall’asse di rotazione del punto di applicazione della reazione del suolo, dando origine ad una coppia che, nel caso di angolo positivo, tende a riportare la ruota parallela alla direzione di marcia durante le sterzate. Un aumento dell’angolo d’incidenza aumenta la stabilità del veicolo penalizzandone la reattività e viceversa.

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Figura 3.2: Safety bicycle agli inizi del ‘900

La trasmissione a catena aumentò sia il confort che la velocità, il moto veniva trasferito alla ruota non sterzante permettendo una pedalata più rilassata e meno rischiosa (9). La configurazione a trazione posteriore semplificò inoltre la forma del telaio e la sua costruzione (figura 3.2); i progressi nella scienza dei materiali lo resero inoltre più leggero.

3.2 La e-bike

Durante tutta la sua storia la bicicletta è sempre stata un veicolo soggetto a continua innovazione e revisione; ciò è dovuto essenzialmente alla sua semplicità e negli anni in tanti si sono cimentati in infinite “customizzazioni” e personalizzazioni di vario genere, tanto che spesso si sono create forti ambiguità nell’attribuzione della paternità di innovazioni di successo.

9 Con la trasmissione posta direttamente sulla ruota anteriore sterzante la pedalata diventa difficoltosa a

causa del disallineamento tra il piano di mezzeria del corpo del ciclista e quello delle gambe e dei pedali che seguono la ruota in fase di sterzata.

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Figura

Figura 1.1: Evolvente di cerchio
Figura 1.2: Contatto negli ingranaggi cilindrici a denti dritti, ruote esterne .
Figura 1.3: Relazione geometrica tra arco d’azione e segmento dei contatti
Figura 1.4: Contatto negli ingranaggi cilindrici a denti diritti, ruote interne
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