• Non ci sono risultati.

Il vescovo della capitale. Pavia e i suoi vescovi nell'Alto Medioevo (secoli VII-XI)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il vescovo della capitale. Pavia e i suoi vescovi nell'Alto Medioevo (secoli VII-XI)"

Copied!
346
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Studi Umanistici

Dottorato di ricerca in Scienze Storiche

-

Coordinatore Prof. Claudio Rosso

-(XXVIII ciclo)

Il vescovo della capitale.

Pavia e i suoi vescovi nell'Alto Medioevo (secoli VII-XI)

(

SSDM-STO/01 - STORIA MEDIEVALE)

Tutor: Dottorando:

(2)
(3)

Parte prima. La Chiesa di Pavia e il suo vescovo nell'Alto Medioevo...12

Capitolo I. Pavia e la sua Chiesa nei secoli IV-VI...12

1 All'ombra di Milano (sec. IV)...12

2 Pavia e la fine dell'Impero d'Occidente (sec. V)...19

3 Il vescovo Epifanio e la Chiesa pavese alla caduta dell'Impero occidentale...24

4 Verso la capitale. Pavia in età gota...34

Capitolo II. Pavia capitale di regno. L'età longobarda (secc. VI-VIII)...39

1 Una necessaria premessa storiografica ...40

2 Gli esordi di Pavia in età longobarda...57

3 Pavia capitale...60

Capitolo III. L'eredità della capitale longobarda alla Chiesa pavese: la consacrazione romana del vescovo di Pavia...68

1 Le origini dell'anomalia pavese: la prima attestazione...71

2 Tra missioni, apostoli e sovrani. Gli storici di fronte alla nascita del privilegio pavese ...77

3 Per una nuova proposta intorno alla consacrazione romana del vescovo pavese...88

4 Prime conclusioni. Un'occasione mancata. L'ambiguità del privilegio romano...117

Parte seconda. La nascita della signoria episcopale pavese (secc. X-XI)...120

Capitolo IV. La ricerca storica sulla signoria episcopale. Una breve rassegna e una nuova proposta interpretativa...131

Capitolo V. Tra 'notizie', erudizione e falsi. Le premesse testuali all'esegesi dei diplomi per la Chiesa pavese...137

1 L'incendio del 924 e il diploma di Rodolfo II (18 luglio 925)...138

2 Un testimone controverso. Il 'diploma' di Lotario e Ludovico (Lotario 849)...160

Capitolo VI. La signoria episcopale pavese nel X e XI secolo...205

1 Prima delle fiamme. La prima attestazione della signoria del vescovo pavese: il diploma di Berengario I...209

2 Una seconda occasione mancata. Il diploma di Ugo e Lotario del 945 ...215

3 Tra apparente debolezza e nascente potenza. Il diploma di Ottone II del 976...240

4 Tra usurpatori e distruzioni. Gli ultimi imperatori sassoni e la svolta dell'XI secolo. ...264

Conclusioni...300

Fonti archivistiche...306

Fonti edite...308

(4)

Abbreviazioni

Archivi

ASDPv Archivio Storico Diocesano di Pavia

BAMi Biblioteca Ambrosiana di Milano

BCBPv Biblioteca Civica «Bonetta» di Pavia

BSVPv Biblioteca Seminario Vescovile di Pavia

BUPv Biblioteca Universitaria di Pavia

Collezioni di fonti, riviste

«ASL» Archivio Storico Lombardo

«BSPSP» Bollettino Società Pavese di Storia Patria

CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum

DBI Dizionario biografico degli italiani

MGH Monumenta Germaniae Historica

MGH, Auct. ant. Auctores antiquissimi

MGH, SS. Scriptores

MGH, SS. rer. Germ. Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum separatim editi

MGH, SS. rer. Germ. N.S. Scriptores rerum Germanicarum, Nova series

MGH, SS. rer. Lang. Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX

RIC Roman imperial coinage

(5)

Introduzione

In un saggio comparso nel terzo volume della Storia di Pavia Aldo Settia così si esprimeva circa lo studio di Pavia nell'XI secolo:

«trattare di Pavia capitale del regno nel secolo XI significa pertanto fare i conti con un'informazione quantitativamente scarsa e qualitativamente delu-dente, zona impervia sulla quale, per consentire in qualche modo il transito, ciascun viandante, in tempi e in modi diversi, ha provveduto a collegare le rare certezze mediante il probabile e il possibile: tali collegamenti si presentano tal-volta come solidi viadotti, ma non mancano i ponti di fortuna e le passerelle dondolanti sull'abisso; tutte strutture che, se oggi non possono più essere utiliz-zate così come si presentano, non è nemmeno possibile sostituire in modo com-pleto. Chi intenda ripercorrere la storia dell'età precomunale pavese dovrà quindi innanzitutto revisionare la stabilità dei ponti tentando semmai di costi-tuire qualche nuovo parziale ancoraggio, operare la sostituzione qui di un ele-mento, là di un'intera campata con la speranza di pervenire così indenne alla metà1».

Nelle belle metafore di Settia è espressa tutta la difficoltà di chi si ac-cinge a studiare Pavia nell'XI secolo. Non ci discosteremo però dalla

1 Cfr. SETTIA A. A., Pavia nell'età precomunale in Storia di Pavia, III/1, Pavia

(6)

realtà se affermiamo che tali riflessioni valgano non solo per la fase pre-comunale bensì per lo studio della storia di Pavia in senso lato, lungo tut-ti i secoli alto medievali. A tale quadro non derogano le vicende inerentut-ti il vescovo di Pavia il cui scarno corredo documentario riferibile a tutto l'Alto Medioevo genera problematiche in tutto e per tutto simili a quelle riscontrate nello studio della città.

In altri termini, nelle parole di Settia si scorge la sfida che si prospetta a chi voglia cimentarsi nell'analisi delle vicende politico-istituzionali le-gate al vescovo di Pavia. Questi risulta essere una figura certamente non sconosciuta agli studiosi eppure sino ad oggi sprovvista di studi sistema-tici aggiornati. La cause di questa carenza sono molteplici ma fra tutte, con ogni probabilità, emergono le già ricordate difficoltà connesse alla penuria delle fonti che quindi hanno indotto, come bene ricordava Settia, ad affidarsi spesso al «probabile» e al «possibile», rendendo così la storia di Pavia altomedievale e delle figure gravitanti su di essa (il comes così come il vescovo) simile ad un quadro impressionistico.

Fatte queste premesse, l'opportunità di proporre un profilo storico del vescovo pavese nei secoli alto medievali (segnatamente tra il VII e l'XI secolo) si spiega con una serie di ragioni, prima fra tutte la ben nota cen-tralità della figura vescovile nell'ambito del medioevo latino-germanico. Evito senz'altro in questa sede di dilungarmi nella rievocazione di com-plicati e articolati schemi interpretativi circa l'importanza dell'episcopato entro il complesso e mutevole sistema politico-istituzionale dell'Europa

(7)

Occidentale nei secoli oggetto del nostro studio: sono ben noti agli spe-cialisti e verranno comunque richiamati più avanti nella trattazione quan-do sarà necessario2.

Quello che qui preme sottolineare è come lo studio delle vicende stori-che dei diversi vescovi di Pavia divenga, in ragione della loro condizione di pastori della Chiesa della capitale del regno longobardo prima e del re-gno italico poi, un osservatorio privilegiato sulla storia di Pavia stessa, in grazia del legame quasi simbiotico che intercorre tra ogni città e il suo vescovo. Un nesso, quello tra presule e città, sanzionato già a partire dal IV secolo quando fu canonicamente definito che solo le città potessero divenire ed essere sedi episcopali3 tanto da portare, nell'Alto Medioevo,

ad applicare il nome stesso di civitas solamente ai centri abitati ospitanti una sede vescovile4. In tal senso andrà ricordato come lo specifico

lega-me tra Pavia e il suo presule abbia reso a lungo la città padana un vero e proprio unicum nell'Occidente europeo in grazia del suo status di capitale - ossia di sede permanente di un sovrano e di una amministrazione,

di-2 Necessario punto di partenza sull'argomento sono gli studi di Giovanni Tabacco: si vedano TABACCO G., L'ambiguità delle istituzioni nell'Europa costruita dai

Franchi i n «Rivista storica italiana», LXXXVII/3 (1975), pp. 401-438; ID., Il

volto ecclesiastico del potere nell'età carolingia i n Storia d'Italia. Annali, IX,

Torino 1986, pp. 5-41. Nel medesimo volume si veda anche SERGI G., Vescovi,

monasteri, aristocrazia militare, pp. 73-98.

3 Cfr. ALZATI C., Metropoli e sedi episcopali fra tarda antichità e alto medioevo in

CAPRIOLI A., RIMOLDI A., VACCARO L. (ACURADI), Chiesa e società. Appunti per

una storia delle diocesi lombarde, Brescia 1986, p. 48 nota n. 5.

4 Cfr. TABACCO G., La città vescovile nell'Alto Medioevo in ROSSI P. (A CURA DI),

(8)

remmo oggi, 'centrale' - e della speciale dignità del proprio pastore che risultava essere esente dall'originaria soggezione rispetto alla sede metro-politica milanese. Caratteristiche queste che avvicinavano Pavia al mo-dello di capitale tardo-antica, all'epoca ancora ben rappresentato da Co-stantinopoli5.

Ciò che qui mette conto indicare è, rifacendoci alla metafora odepori-ca di Settia, l'itinerario attraverso il quale giungere alla meta del nostro viaggio: il presente studio si propone infatti di analizzare le vicende che

5 Pavia fu capitale del Regno Longobardo a partire dal regno di Arioaldo (626-636) e mantenne tale funzione quale centro di un'amministrazione palatina, salvo una breve parentesi agli esordi dell'età carolingia, sino al 1024, anno della nota distruzione del palatium regio. Così Brühl scriveva riguardo a Pavia: «Pavie et Tolède sont - chacune à sa façon - une copie plus ou moins bien réussie de Constantinople ou de Ravenne, dans la mesure où les souverains germaniques d'Espagne et d'Italie ont su imiter le modèle antique et byzantin» un modello che lo studioso indicò come «du modèle inégalé et inégalable qu'est Constantinople (et en Italie, peut-être aussi Ravenne)» in BRÜHL C., Remarques sur les notions de

'capitale' et de 'résidence' pendant le haut Moyen Ãge in «Journal des savants»

(1967) pp. 193-215 (per Pavia in particolar modo si vedano le pp. 203 e segg.); per le citazioni si vedano rispettivamente pp. 206-207 e p. 215. Per le consonanze col modello tardo-antico oltre a Brühl un accenno in MAJOCCHI P., Pavia città

regia. Storia e memoria di una capitale medievale, Roma 2008, p. 45. Per il

riferimento su Costantinopoli e il suo modello si veda VESPIGNANI G.,

Costantinopoli Nuova Roma come modello della urbs regia tardoantica in «Reti

medievali rivista», XI (2010/2), pp. 117-136 (reperibile all'indirizzo <http://www.retimedievali.it>). Sull'affermazione di Pavia quale capitale si veda MAJOCCHI P., Sviluppo e affermazione di una capitale altomedievale: Pavia in età

gota e longobarda in «Reti medievali rivista», XI (2010/2), pp. 169-179

(reperibile all'indirizzo <http://www.retimedievali.it>) e più di recente ID., Pavia

capitale del regno longobardo: strutture urbane e identità civica in I Longobardi e Pavia. Miti, realtà prospettive di ricerca. Atti della Giornata di studio (Pavia, 10 aprile 2013), MICIELI G. ETAL. (ACURADI ), Pavia 2014, pp. 29-42.

(9)

portarono il vescovo di Pavia ad acquisire, sotto il rispetto ecclesiastico, l'insolito privilegio romano e ad ottenere, sotto il rispetto temporale, tutta una serie di possessi e centri signorili destinati, al pari del privilegio ec-clesiastico, a travalicare ampiamente gli estremi cronologici dell'età me-dievale configurandosi perciò quali fenomeni storici di lunga durata e di grande interesse.

L'indagine procederà pertanto entro due ambiti d'analisi, corrisponden-ti alle due sfere nella quali il vescovo di Pavia si trovava inserito: quella propriamente ecclesiastica e quella più schiettamente temporale.

La prima riguarderà le vicende della sede episcopale pavese in quanto istituzione ecclesiastica, dalla sua genesi, risalente alla metà del IV seco-lo6, sino all'acquisizione del privilegio che riservava al pontefice la

con-sacrazione del vescovo pavese.

La seconda verterà invece sulla nascita e lo sviluppo delle signorie episcopali pavesi, sui presupposti politici che si situano alla loro origine e, soprattutto, su una loro reinterpretazione quale specchio delle strategie politiche attuate dal presule di Pavia in ordine all'ottenimento di sempre maggior potenza, tanto nell'ambito cittadino quanto nel contesto rurale.

6 La nascita della sede episcopale sarebbe infatti da collocarsi verso la metà del IV secolo. Cfr. ORSELLI A. M., La città altomedievale e il suo santo patrono: (ancora

una volta) il «campione» pavese in «Rivista di storia della Chiesa in Italia»,

XXXII (1978), pp. 1-69, in particolare p. 2 e p. 22. Si veda anche ALZATI,

Metropoli, p. 48. Per ulteriori precisazioni si rimanda alle pagine seguenti nei

(10)

In entrambe le parti dello studio si adotterà un modus operandi sostan-zialmente simile: si procederà anzitutto ad una rassegna storiografica, mettendo a punto lo status quaestionis nei rispettivi ambiti d'indagine. Esaurita questa fase preparatoria, ci si confronterà con le precedenti in-terpretazioni storiografiche al fine di verificarne la tenuta alla luce delle risultanze emerse nel corso del nostro studio.

In caso di esito negativo, si procederà a presentare delle nuove propo-ste interpretative circa i nodi storiografici che tradizionalmente caratte-rizzano la figura dei vescovi di Pavia entro i secoli VII-XI. Li ricordo in estrema sintesi qui di seguito: in primo luogo le controverse cause e le complesse dinamiche legate all'ottenimento della consacrazione romana e alla successiva esenzione ecclesiastica; in secondo luogo la mai defini-tivamente risolta questione circa le fonti documentarie tradizionalmente considerate alla base della nascita dei possessi e dei poteri temporali del vescovo pavese: su questo specifico tema si sconta tutt'ora l'assenza di una analisi complessiva intorno ai diplomi destinati alla Chiesa di Pavia. Questo stato di cose ha pertanto generato sino ad oggi nello studio delle signorie vescovili grandi ambiguità ed incertezze interpretative.

L'analisi che propongo nelle pagine seguenti ci permetterà così di for-mulare delle nuove ipotesi nei due diversi ambiti, sia per quanto concer-ne la nascita della prassi ecclesiastica 'romana' sia per quanto attieconcer-ne la critica dei diplomi del IX e X secolo fondanti i domini temporali vesco-vili. In quest'ultimo ambito ci prefiggiamo di determinare su quali

(11)

docu-menti debba essere fondata la nostra indagine storica, il cui naturale esito sarà la presentazione di una nuova proposta interpretativa circa la fisio-nomia delle signorie vescovili pavesi sotto profilo politico-istituzionale.

Da questi risultati muoveremo poi verso il fine ultimo di tutto il nostro studio: la presentazione di nuovi elementi che permettano un ripensa-mento complessivo circa il reale spessore politico del vescovo di Pavia e, conseguentemente, della reale incidenza della sua azione quale 'vescovo potente' tanto entro la città di Pavia quanto al di fuori di essa.

(12)

Parte prima. La Chiesa di Pavia e il suo vescovo

nell'Alto Medioevo

Capitolo I. Pavia e la sua Chiesa nei secoli IV-VI

1 All'ombra di Milano (sec. IV)

Una criticità che accomuna gli studi di chi si accosti alle vicende di Pavia, dal tardo impero romano sino agli esordi dell’età comunale, è cer-tamente l'esiguità di documenti che la volontà dei conservatori come an-che il capriccio della storia ha voluto tramandarci. Un numero an-che, tal-volta, paradossale a dirsi, è inversamente proporzionale al ruolo che la città rivestì nei diversi contesti epocali.

Non stupirà perciò che l'avvio della nostra analisi faccia immediata-mente conto con un quasi totale silenzio delle fonti ufficiali in merito al ruolo e alla fisionomia della piccola Ticinum, città posta sull'omonimo fiume, non lontano dalla confluenza di quest'ultimo col Po. Questa felice posizione, posta sul più importante asse fluviale dell'Italia padana, a lun-go andare decreterà le fortune di Ticinum ma, all'alba del IV secolo, la rendeva adatta a rivestire, per il momento, il ruolo di 'appendice fluviale'

(13)

della vicina e soverchiante Milano. E ciò non deve sorprendere. Già a partire dalle riforme dioclezianee di fine III secolo, l'Italia settentrionale, divenuta diocesi dell'Italia annonaria, vide aumentare a dismisura l'im-portanza di Milano ove dal 286 Massimiano volle porre la propria capita-le.

Tale svolta epocale, che segnava il termine dell'egemonia dell’Urbe sulla penisola, ebbe ovviamente ripercussioni sui centri demici padani che, in virtù della loro collocazione in una zona di grande valore strategi-co e di strategi-comunicazione quale era la pianura padana rispetto alle regioni delle Gallie e dell'Illirico, videro mutato l'orizzonte politico e sociale in ragione non soltanto della presenza della nuova corte imperiale in Milano che, a cascata, quale capitale, comportava anche per lunghi periodi il vi-cino stanziamento di truppe comitatensi7. Tra le diverse città interessate

andrà considerata anche Ticinum le cui vicende, in special modo per il IV secolo, risultano praticamente ignote stante l'esiguità delle fonti disponi-bili8.

Alla luce di tale stato di cose molte delle domande inerenti la storia della città in età antica sono destinate a rimanere senza risposta. Esem-plare è la nostra totale ignoranza intorno alle vicende e alle cause che

7 CLEMENTE G., Ticinum: da Diocleziano alla caduta dell'Impero d'Occidente in

Storia di Pavia, I, L'età antica, Pavia 1984, p. 257.

8 Per i riferimenti su Pavia in questo periodo si veda CRACCO RUGGINI L., Ticinum:

dal 476 alla fine del Regno Gotico in Storia di Pavia, I, L'età antica, Pavia 1984,

(14)

portarono Ticinum ad ospitare una zecca imperiale per oltre cinquant'anni (274-326)9. Quel che appare certo ad ogni modo, pur in una tale aridità

documentaria, è che l'estrema vicinanza con la capitale Milano se da un lato non poté non limitare lo sviluppo politico dell'allora piccolo centro pavese (e come vedremo più avanti, anche della sua sede episcopale), dall'altro configurò Pavia, come si è detto, quale centro logistico privile-giato (sia civile che militare) e naturale tramite della città ambrosiana -di suo priva di naturali accessi fluviali- con i territori oltre padani e adriati-ci, determinando inoltre l'importanza di Ticinum in particolar modo per chi volesse dalle Gallie raggiungere Roma e l'Italia centrale10. Questo

9 Stando infatti a Michael H. Crawford l'unica cosa verosimilmente certa è che la nascita della zecca di Ticinum non sarebbe che l'esito dello spostamento della preesistente zecca di Mediolanum in altro luogo ponendo perciò un nesso di consequenzialità tra la chiusura della zecca milanese e l'apertura di quella pavese (vedi CRAWFORD M. H., La zecca di Ticinum in Storia di Pavia, I, L'età antica,

Pavia 1984, pp. 250-251). In tal modo il Crawford si pone in discontinuità con la vecchia tesi di Luigi Cremaschi che non ravvisava alcuna correlazione tra la cessazione dell'attività monetaria milanese e gli esordi pavesi (cfr. CREMASCHI L.,

La zecca di Ticinum in «BSPSP», LXI (1961), p. 43). Per le testimonianze numismatiche di Ticinum si vedano i tre volumi dei RIC, rispettivamente il vol V, VI (pp. 266-298) e VII (pp. 349-388). Dei due tomi costituenti il volume V dei RIC, data la diversa organizzazione della materia al loro interno rispetto al sesto e al settimo volume, si indicano qui per comodità i soli indici riportanti i riferimenti alla zecca di Ticinum: V/1 cfr. p. 366; V/2 cfr. p. 601.

10 In tale periodo, stante la valenza politica e militare di Milano e della pianura Padana, assunse notevole importanza tutta la tratta est-ovest che, per il tramite del Po e dei suoi affluenti, metteva in contatto Torino con i porti di Ravenna e Aquileia, quest'ultima raggiunta inoltre dalla Via Postumia, arteria atta a collegare la costa adriatica a quella tirrenica. Come si vede Milano (e con essa, come aggregato, Pavia), in tale contesto geografico si trovava esattamente al centro di tutti questi traffici e spostamenti tanto economici quanto di truppe ed equipaggiamenti militari.

(15)

ruolo sarà decisivo per Pavia la quale, già a partire da questo secolo, pare andasse assommando al carattere di stanziamento con funzioni di colle-gamento e raccolta di derrate ed equipaggiamenti11, la dimensione di

cen-tro eminentemente militare, aspetto che sarà oggetto di una netta e ine-quivocabile affermazione a partire dal V secolo.

Alcune tracce risalenti al IV secolo ci inducono a formulare tale ipote-si, permettendoci inoltre contemporaneamente, dato non secondario, di gettare qualche spiraglio di luce sui primissimi anni del culto cristiano a Pavia.

La prima di esse riguarda un passo della vita di Martino di Tours, ad opera di Sulpicio Severo12. In esso si narra come il padre del santo,

mili-tare di carriera si trasferisse con la famiglia a Pavia:

«Igitur Martinus Sabaria Pannoniarum oppido oriundus fuit, sed intra Ita-liam Ticini altus est, parentibus secundum saeculi dignitatem non infimis, gen-tilibus tamen. Pater eius miles primum, post tribunus militum fuit. Ipse

arma-11 A sostegno di quanto si è appena detto, a Ticinum risultava operante una fabbrica statale di archi (arcuaria) che doveva essere un importante centro di approvvigionamento delle truppe di retroguardia e delle limitanee, le cui operazioni spaziavano entro tutto lo scacchiere padano e alpino. Il caso pavese peraltro non era isolato: al pari di essa altri centri posti sulle principali vie fluviali e stradali risultavano sedi di fabbriche specializzate nella produzione dei necessari equipaggiamenti militari. Esempi in tal senso ci giungono da Cremona (scutaria), Verona (scutaria et armorum), Mantova (loricaria), Lucca (spatharia) e in ultimo

Concordia (sagittaria). Cfr. CRACCO RUGGINI, Ticinum, p. 277 nota n. 27.

12 SULPICII SEVERI, Libri qui supersunt, (A CURA DI HALM K.) in CSEL, I, Vienna

(16)

tam militiam in adulescentia secutus inter scolares alas sub rege Constantio, deinde sub Iuliano Caesare militavit [...]13».

Constatiamo quindi come il futuro vescovo, a seguito del trasferimen-to del padre (che è verosimile, sottrasferimen-tolinea la Cracco Ruggini, si trattasse di uno spostamento dovuto all'assegnazione del proprio corpo militare a Pavia e non ad una libera scelta individuale14) crebbe a Pavia e qui

vero-similmente, sulla scia degli obblighi militari paterni (a quell'epoca eredi-tari), venne arruolato militando sotto Costanzo II e Giuliano.

Appare evidente che l'allora Ticinum rivestisse già all'epoca un ruolo strategico e di punto nodale ove le truppe potessero acquartierarsi e tro-vare il necessario supporto logistico. Non basta però. Proseguendo nella lettura veniamo informati di come Martino, seppure non cristiano di na-scita (parentibus...gentilibus tamen), non avesse preso servizio sua

spon-te bensì in ragione dei predetti obblighi militari. Egli in cuor suo, così ci

viene narrato, desiderava sin dalla più tenera età, nonostante la contrarie-tà dei genitori (invitibus parentibus), prestare servizio a Dio piuttosto che presso l'esercito. La vocazione giovanile sarebbe confermata dalla richie-sta di un Martino poco più che decenne di divenire catecumeno

(cate-chumenum fieri postulavit)15. La narrazione, che nel suo proseguire perde

13 Ivi, pp. 111-112.

14 CRACCO RUGGINI, Ticinum, p. 280.

15 «Non tamen sponte, quia a primis fere annis divinam potius servitutem sacra inlustris pueri spiravit infantia. Nam cum esset annorum decem, invitis parentibus ad ecclesiam confugit seque catechumenum fieri postulavit» cfr. SULPICII SEVERI,

(17)

per noi di interesse, ci indica, seppur non esplicitamente, come a Pavia esistesse già alla metà del IV secolo una comunità cristiana, la stessa presso la quale il giovane Martino avrebbe richiesto il catecumenato. E infatti, facendo un piccolo passo indietro, Sulpicio scriveva che Martino

Ticini altus est, crebbe cioè a Pavia ove, nel medesimo periodo, operava

una giovane comunità che dalle scarne notizie fornite dall’agiografo, pur avendo come epicentro un luogo di culto (Martino, deciso a farsi cristia-no, ad ecclesiam confugit), sembra non esser ancora guidata da alcun presule. Saremmo entro la prima metà del IV secolo anche considerando che la morte del futuro vescovo si colloca nel 39716.

Tornando alla sfera civile pavese, una seconda possibile prova del ca-rattere militare che Ticinum già nel IV secolo dovette possedere è invece desumibile dalla vita di Sant'Ambrogio. Quest'ultimo, secondo la leggen-da, contrariamente a Martino, cercò in tutti i modi di evitare la dignità vescovile che la volontà popolare aveva deciso di attribuirgli, arrivando anche ad applicare, al fine di screditarsi presso i fedeli, lui che era gover-natore imperiale e uomo retto, la tortura. Resosi conto che neanche que-sto poteva smuovere dal loro proposito i suoi 'persecutori', e dopo aver ospitato deliberatamente delle prostitute in casa propria, tentò di fuggire a

Libri, pp. 111-112.

16 Per questi aspetti si veda LANZANI V., Dalle origini della città cristiana all'arrivo

dei Longobardi in CAPRIOLI A., RIMOLDI A., VACCARO L. (ACURADI), Diocesi di

(18)

cavallo verso Pavia17: decisione che se si accetta la dimensione militare

di Ticinum, come suggerisce la Cracco Ruggini, potrebbe giustificarsi col fatto che date le funzioni governative di Ambrogio, il recarsi a Pavia, il più vicino centro militare alla capitale, potesse essere un pretesto plausi-bile per lasciarsi alle spalle l'indesiderata elezione vescovile18.

Pavia quindi già dal IV secolo avrebbe avuto un chiara connotazione di accampamento e centro logistico militare in forza probabilmente, oltre che della sua più volte rievocata posizione, anche delle proprie mura ur-biche (risalenti nella loro prima cintura tra la fine del III secolo e l'inizio del IV19) e dalla disponibilità di acqua, caratteristiche tali da privilegiarne

la funzione di oppidum. Sebbene quindi la vista delle truppe nelle vie del cardo e decumano pavese dovesse essere ormai abituale per i cittadini, questo non voleva dire che la dimensione municipale della città ne venis-se per forza di covenis-se pregiudicata: sappiamo infatti da Ennodio (514-521) - vescovo di Pavia e biografo di Epifanio (466-497) suo predecessore nell'episcopato pavese - che Epifanio ebbe la possibilità di studiare

pres-17 Si vedano rispettivamente i capitoli 7 e 8 della Vita Ambrosii: cap. 7 «Quo ille cognito [ossia l'incombente elezione per acclamazione], egressus ecclesiam tribunal sibi parari fecit: [...] tunc contra consuetudinem suam tormenta personis iussit adhiberi» e ancora «[...]publicas mulieres publice ad se ingredi fecit, ad hoc tantum, ut visis his populi intentio revocaretur». Nel cap. 8 : «At ille cum videret nihil intentionem suam posse proficere, fugam paravit; egressus noctis medio civitatem, cum Ticinum se pergere putaret [...]». Cfr. PAOLINODI MILANO, Vita di

S. Ambrogio, (ACURADI PELLEGRINO M.), Roma 1961, pp. 58-61.

18 CRACCO RUGGINI, Ticinum, p. 281.

19 BULLOUGH D. A., Urban change in early medieval Italy: the example of Pavia in

(19)

so una scuola di tachigrafia a Paviasintomo di un qualche fermento intel-lettuale nella piccola Ticinum20.

2 Pavia e la fine dell'Impero d'Occidente (sec. V)

Il V secolo fu, per Pavia, l'inizio di una nuova fase a partire dalla qua-le la città andrà progressivamente acquisendo importanza a scapito della vicina Milano. Questa, a causa degli stravolgimenti avvenuti nei primis-simi anni del nuovo secolo, accuserà una marginalizzazione politica al-trettanto progressiva che pare possa definirsi strettamente legata alla con-temporanea ascesa pavese. Un declino, quello milanese, il cui culmine sarà raggiunto con la ritorsione devastatrice di Uraia, al tempo della guerra greco gotica.

20 «Notarum in scribendo compendia et figuras varias verborum multitudinem conprehendentes brevi adsecutus in exceptorum numero dedicatus enituit coepitque iam talis excipere qualis possit sine bonorum oblocutione dictare. Cfr. MAGNI FELICIS ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani episcopi Ticinensis ecclesiae

in ID., Opera, (ACURADI VOGEL F.) in MGH, Auct. ant., VII, Berlino 1885, cap. 9,

p. 85. Per un commento ai vari loci dell'opera, sulla base dell'edizione del Vogel qui adottata, si veda ENNODIO,Vita del beatissimo Epifanio vescovo della chiesa

pavese, (ACURADI CESA M.), Como 1988. Sul ruolo di Epifanio ed Ennodio vedi

infra. Sulle dimensioni di Ticinum indicata da Ennodio stesso come civitatula cfr.

MAGNI FELICIS ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani, cap. 127 p. 100. Utili

riflessioni di carattere generale sulla fisionomia delle città tardo-antiche e sul concetto stesso di città sino al passaggio all'età alto-medievale n CRACCO RUGGINI

L., Città tardoantica, città altomedievale: permanenze e mutamenti in «Anabases», XII (2010), pp. 103-118.

(20)

I fatti schiettamente politici sono ben noti e non necessitanti di essere qui ricordati nella loro totalità. Gioverà però al nostro discorso porre in primo piano come, in maniera totalmente diversa dal passato, Pavia risul-ti talvolta teatro dei grandi mutamenrisul-ti, delle grandi scelte che scandirono i decenni che portarono alla soppressione dell'autorità imperiale occiden-tale.

Uno degli avvenimenti più importanti di quegli anni ebbe in effetti luogo a Ticinum nel 408 quando Onorio attuò il proprio colpo di mano a scapito del generale Stilicone. L'imperatore infatti, spinto dagli ambienti anti-germanici di corte, fece trucidare le truppe fedeli al generale roma-no-germanico liquidando in breve tempo anche lo stesso condottiero nel frattempo rifugiatosi a Ravenna21.

Se dunque la capitale venne definitivamente spostata dopo questi eventi perché troppo esposta, ciò accadde in ragione del fatto che, al di la dei successi che ancora si potevano cogliere (e Stilicone lo aveva dimo-strato) oramai si andavano perdendo le speranze di poter reggere l'urto delle truppe nemiche entro l'arco alpino, considerazione che dovette es-sere alla base della significativa abolizione, nel 409, del comes italiae il cui compito precipuo era sovrintendere alla difesa del tractus Italiae

cir-ca Alpes22.

21 Cfr. CRACCO RUGGINI, Ticinum, p. 282.

(21)

La ricaduta di queste scelte strategiche toccò la città di Pavia, ormai assurta al ruolo di punto nodale delle vie di comunicazione tanto terrestri quanto marittime sia lungo l'asse est-ovest (con particolare rispetto ai ter-ritori della Gallia) sia quale importante approdo lungo le vie fluviali che permettevano di raggiungere in pochi giorni Ravenna (e da qui Roma tra-mite la Flaminia) grazie ai rapidi collegamenti approntati sulle acque del Po e dei suoi affluenti23. Una tale rete di collegamenti apriva inoltre a

Pa-via l'accesso agli scambi che tramite l'alto Adriatico si irradiavano per il Mediterraneo centro-orientale determinandone nel lungo periodo, come si vedrà, anche il successo e l'affermazione quale primario polo commer-ciale della Pianura Padana.

Nei decenni seguenti inoltre l'importanza strategica di Ticinum24,

or-mai libera di esprimere le proprie potenzialità anche in senso politico e militare senza esser più appendice di Milano, andò consolidandosi di pari

23 Appare quindi non priva di significato l'annotazione circa la celerità di Epifanio che, per ritornare a Pavia da Roma, ove si era recato per colloquiare con Antemio, impiegò soli sei giorni: «Vicesimo a se, cum Romam egressus est, futurum pascha dies promittebat. Tanta tamen iter celeritate confecit, ut quarto decimo die inprovisus et famam praeveniens Ticinum ingrederetur [...]». Cfr. MAGNI FELICIS

ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani, cap. 73, p. 93.

24 Non sarà dunque casuale, anche alla luce delle azioni di Oreste (cfr. infra nota 26), il riferimento lasciatoci dal vescovo Ennodio che nel parlare delle origini pavesi di Epifanio, si riferisce a Ticinum chiamandola oppidum. Tale termine indicava chiaramente un centro urbano, ancorché di dimensioni modeste, certamente fortificato e dalla netta vocazione militare andando a confermare l'ormai acquisito ruolo di Pavia quale piazzaforte al centro dell'Italia settentrionale.

(22)

passo con le vicende belliche che contrassegnarono gli ultimi vent'anni di governo imperiale e che videro Pavia stessa (da Attila saccheggiata e messa a ferro e fuoco insieme con Milano) e le terre circostanti, sempre più teatro di scontri militari mai risolutivi e sempre più tendenti a svuota-re di valosvuota-re la carica imperiale tanto che essa, come si sa, nel 476 venne ad essere di fatto soppressa da Odoacre25. I fatti ebbero come epicentro

Pavia e ci mostrano come essa venisse ormai percepita dalle alte sfere politico-militari: Oreste infatti, padre di Romolo Augustolo e detentore di fatto del potere, alla richiesta dei 'federati' germanici (ovverosia il nerbo di quel che restava delle truppe imperiali) che fossero loro assegnate del-le terre ove stabilirsi, oppose un netto rifiuto che risultò essere il casus

belli e fattore scatenante di una feroce reazione delle truppe le quali,

sceltosi Odoacre quale capo, si ribellarono apertamente al patrizio roma-no. Ma cediamo la parola ad Ennodio che di quelle vicende, se pure non diretto testimone, dovette aver accesso alle testimonianze di chi visse tali drammatici momenti:

«ecce ille quietis nescius et scelerum patrator inimicus [ossia il diavolo] ma-gna dolorum incrementa conglutinat et inquirit [...]. Exercitum adversus Ore-stem patricium erigit et discordiae crimina clandestinus supplantator interserit. Spe novarum rerum perditorum animos inquietat, Odovacrem ad regnandi

am-25 Tra i molti fatti d'arme in zone circonvicine a Pavia basterà ricordare quello vide protagonisti Avito contrapposto a Ricimero e Maiorano ed ebbe luogo presso Piacenza, o quello fra Ricimero stesso e il suo ex alleato che si svolse a Tortona. Cfr. CRACCO RUGGINI, Ticinum, p. 289.

(23)

bitum extollit et, ut haec pernicies in Ticinensi civitate contingeret, Orestem ad eam fiducia munitionis invitat26».

Quello che colpisce del passo, al di là del contenuto volutamente lette-rario che sottace le reali motivazioni della rivolta - forse perché da Enno-dio non ritenute funzionali alla sua narrazione -, è il riferimento a Oreste che, vistosi perduto, decise di giocarsi il tutto per tutto a Pavia, ove si ri-tirava fiducioso delle sue fortificazioni offrendoci una definitiva confer-ma dello spiccato valore militare rivestito dalla città in quel periodo.

Ma c'è dell'altro. Proseguendo la lettura, tra il caos degli scontri e il di-sorientamento dei cittadini emerge infatti una figura alla quale tutti i pa-vesi parevano affidarsi perché certi della sua autorità e importanza e che solo sembrava saper reagire e comportarsi in tale difficile situazione: il vescovo di Pavia Epifanio27.

26 MAGNI FELICIS ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani, cap. 95 p. 96.

27 «Episcopus cum omnibus ad se pertinentibus praesens invenitur. Fit maximus in urbe concursus, praedandi rabies inardescit: ubique luctus, pavor ubique et mortis imago plurima. Discurrebat ille sollicitus [...]». Cfr. Ivi, Vita beatissimi viri

(24)

3 Il vescovo Epifanio e la Chiesa pavese alla caduta dell'Impero

occidentale

Chi era dunque questa personalità che finalmente sembra far emergere la Chiesa di Pavia dal cono d'ombra?

La possibilità offertaci da Ennodio, che di Epifanio compose la bio-grafia28, di ricostruire in questa sede il profilo, seppure per episodi, di

questo vescovo di Pavia, che resse la cattedra ticinese dal 466 al 497, non sarà da scartare bollandola come mero esercizio erudito perché, attraver-so la sua vicenda episcopale, è possibile cogliere momenti e sfumature preziosissime per la comprensione del ruolo vescovile a quest'altezza cronologica ed inoltre, da ultimo, avere moltissimi termini a quo circa le relazioni d'ordine tra la sede pavese e quella metropolitica milanese in futuro oggetto di tensioni fra i due episcopati.

Epifanio, immortalato dal suo secondo successore e biografo, era pro-babilmente esponente del ceto curiale, ossia di una famiglia di più recen-te affermazione e minor autorevolezza rispetto alla nobiltà senatoria. Tali gruppi familiari solitamente tendevano ad affermarsi a livello municipale avendo come via di ascesa sociale carriere militari o di burocrazia civile, meglio se palatine. Un membro quindi della nobiltà provinciale che, limi-tata dalla tradizionale preponderanza dell'aristocrazia senatoriale romana,

(25)

aveva sempre ricoperto un ruolo di secondo piano nel contesto politico generale, sempre in posizione di retroguardia, non godendo di reali occa-sioni per pervenire a definitiva affermazione29.

Non è quindi inverosimile che dall'aumentare dell'importanza di

Tici-num nello scacchiere padano possa essere derivato un maggior peso della

nobiltà provinciale ligure30, come emerge dalle vicende biografiche di

Epifanio dalle quali apprendiamo che i maggiorenti provinciali rivestiro-no un ruolo rivestiro-non secondario nel contesto politico di quegli anni31.

Ulteriore dato che emerge dal testo di Ennodio è che il vescovo pavese Epifanio doveva già avere un certo carisma se solo a pochi anni dalla

29 «Igitur praefatus vir insignis Epifanius oriundo Ticinensis oppidi indigena fuit, patre Mauro generatus et matre Focaria editus, quae sancti etiam Mirocletis confessoris et episcopi tangebat prosapiem, hominibus ex liquido ingenuitatis fonte venientibus». Epifanio parrebbe quindi vantare tra i suoi antenati anche un vescovo ma in questo dato, peraltro solo qui riportato, sarebbe da riconoscersi un topos letterario dell'agiografia episcopale: cfr. ENNODIO,Vita del beatissimo

Epifanio, pp. 122-123. Per il testo si veda MAGNI FELICIS ENNODI, Vita beatissimi

viri Epifani, cap. 7, p. 85.

30 Intendendo con Liguria la circoscrizione amministrativa dioclezianea (con capitale Milano) che si sostituì dalla fine del IV secolo alle preesistenti circoscrizioni augustee. La Liguria di quest'epoca corrispondeva dunque, approssimativamente, agli odierni Piemonte, Liguria e Lombardia. Cfr. CRACCO

RUGGINI, Ticinum, p. 276. Un utile quadro di tali mutamenti amministrativi è

rinvenibile nell'Enciclopedia Costantiniana alla voce La riorganizzazione

amministrativa dell'Italia. Costantino, Roma, il Senato e gli equilibri dell'Italia romana a cura di Pierfrancesco Porena (voce consultata in data 12 marzo 2016:

<http://www.treccani.it/enciclopedia/la-riorganizzazione-amministrativa-dell-italia-costantino-roma-il-senato-e-gli-equilibri-dell-italia-romana_

%28Enciclopedia-Costantiniana%29/>). 31 Cfr. CRACCO RUGGINI, Ticinum, pp. 289-297.

(26)

consacrazione episcopale avvenuta in giovane età (siamo nel 470 circa), venne designato dal consesso dei grandi proprietari della Liguria

(collec-tio ligurum nobilitatis) quale inviato e rappresentante dei loro interessi

presso il comandante barbaro Ricimero e l'augusto Antemio, in modo che venisse ricomposta la frattura tra i due uomini che reggevano il potere in Italia e che rischiavano di dare il là ad un conflitto fratricida32.

Ottempe-rato al proprio incarico, Epifanio di fatto non cesserà più di ricoprire lun-go tutto il suo episcopato un ruolo così centrale nelle vicende tanto di ambito municipale pavese quanto di più ampio respiro 'internazionale', venendo ancora designato nel 474, questa volta congiuntamente da Giu-lio Nepote e dal conciGiu-lio dei liguri, quale ambasciatore dell'imperatore affinché conducesse le trattative di pace con il re goto Eurico33. Gioverà

alla nostra analisi riproporre il passo ennodiano che narra come si giunse a tale decisione:

«Adtigerat iam beatissimus vir octavum in sacerdotio annum, cum repente Nepotis animum submovendae dissensionis amor infudit ut repulso simultatis veneno servaret inter reges caritas quod tueri arma vix poterant. Evocantur ad consilium Liguriae lumina, viri maturitatis, quorum possit deliberatione labans

32 «Interea apud Ricimerem patricium Mediolani ea tempestatem residentem fit collecito Ligurum nobilitatis, qui flexis genibus soloque prostrati pacem orabant principum et, ut ab scandalo utraeque partes desinerent, occasiones gratiae ab una precabantur offerri». Cfr. MAGNI FELICIS ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani,,

cap. 53, p. 90.

33 «Post quem ad regnum Nepos accessit. Tunc inter eum et Tolosae alumnos Getas, quos ferrea Euricus rex dominatione gubernabat, orta dissensio fuit [...]» cfr. Ivi, cap. 80, p. 94.

(27)

reipublicae status reviviscere et in antiquum columen soliditas desperata resti-tui, tantique ad tractatum coiere ex iusso principis, quanti poterant esse recto-res. Seritur de ordinanda legatione sermo: in beatissimum virum Epifanium mentes omnium et oculi diriguntur34».

Quanto appena riportato suscita grande interesse perché permette di proporre una serie di riflessioni sul ruolo giocato in quest'occasione dal vescovo.

In primo luogo appare evidente come la preminenza accordata ad Epi-fanio sia personale e non derivante dalla dignitas conferitagli dall'essere vescovo di Pavia che invece ne giustificava 'solamente' la presenza ad un cosi importante consesso di potenti. E d'altronde tale fatto non dovrà stu-pire. A quest'altezza cronologica, il vescovo era il vero e unico rappre-sentante dell'intera comunità cittadina che sostanzialmente in tutte le sue componenti sociali (a clero a populo), insieme coi rappresentanti del po-tere civile centrale e i vescovi co-provinciali, intervenivano alla sua ele-zione. Questa prassi, a lungo invalsa, che riconosceva un'ampia parteci-pazione laica alle elezioni episcopali35, concorse a rendere l'eletto ancor

più vicino alle esigenze della cittadinanza e in special modo del ceto

emi-34 Ivi, cap. 81-82, p. 94.

35 È tale prassi tanto all'origine dell'intervento regio durante il processo elettivo episcopale quanto analogamente a quello imperiale rispetto all'elezione papale, situazione quest'ultima che perdurerà sino alla metà dell'XI secolo quando col decreto sinodale del 1059 si posero le basi per la sottrazione al laicato di un ruolo attivo durante le procedure elettorali papali.

(28)

nente, anche in ragione della comune estrazione sociale tra i prelati di quell'epoca con la nobiltà ereditaria e quella cittadina di provenienza cu-riale. Di fatto il vescovo, a partire dalla svolta costantiniana del IV seco-lo, andrà sempre più assommando in se le caratteristiche che da sempre distinsero le élites romane quale il decoro, la moderatezza di costumi, il gusto per lo studio delle lettere e la filosofia e, a cascata, per la teologia e le Scritture.

Sbaglieremmo però ad immaginare Epifanio (e con lui tutti gli eccle-siastici di questo periodo storico) come un mero aristocratico, di rango curiale o senatoriale che fosse, provvisto di una formazione letteraria e di una forte vocazione eucaristica. Nella realtà dei fatti (e le vicende biogra-fiche di Epifanio, come di molti altri vescovi suoi contemporanei, sono lì a dimostrarlo), la progressiva diffusione del culto cristiano e il suo fare breccia nei ceti dirigenziali e della grande proprietà romana condusse la Chiesa ad un forte sviluppo patrimoniale. Tale tendenza portò a richiede-re una semprichiede-re maggiorichiede-re strutturazione della Chiesa visibile, perché sem-pre più legata a gestioni di ingenti patrimoni fondiari frutto della semsem-pre più crescente devozione. E non è tutto. Come è noto, le più aspre scissio-ni in seno alla Chiesa nacquero da dotte disquisizioscissio-ni figlie dell'habitus mentale che i teologi ereditavano dai propri ambienti di provenienza, spesso caratterizzati da una forte consapevolezza filosofica che quindi, imponeva di fatto una figura, quasi un 'profilo' professionale, ben diverso da quello delle origini. I vescovi dovettero esser sempre più preparati e

(29)

abituati a gestire grandi patrimoni fondiari, a presentarsi al cospetto dei potenti e ad essi relazionarsi con il necessario bagaglio di conoscenze tanto intellettuali quanto mondane. Dovevano inoltre disporre di adeguati strumenti che permettessero loro di essere parimenti uomini immersi nel secolo ed intellettuali capaci di disquisire intorno a sottigliezze circa la cristologia, la natura trinitaria e qualsivoglia altro aspetto del divino che quella generalizzata e inquieta fede avesse desiderato confutare e porre al proprio vaglio critico36. Non desterà sorpresa allora sapere che già alla

metà di questo stesso V secolo Sidonio Apollinare, vescovo di Clermont e discendente da una nobilissima schiatta di possidenti gallo-romani, fi-glio e nipote di prefetti delle Gallie e genero dell'imperatore Avito, teo-rizzasse - evidenziando nettamente la propria consapevolezza di ceto - quale prerequisito, non obbligatorio e però desiderabile per l'elezione episcopale, la nobilitas rifacendosi ad un passo del vangelo di Luca (1,5) quale sostegno della propria tesi37.

Tutto ciò però non basta ancora a spiegare, in una prospettiva di lunga durata, molti degli sviluppi istituzionali e politici che interesseranno il vescovo a partire dal periodo dei vari regna romano-germanici, i

presup-36 Per questi aspetti, ineludibile è il riferimento a Giovanni Tabacco. Si veda da ultimo TABACCO G., Le metamorfosi della potenza sacerdotale nell'alto medioevo,

Brescia, 2012, pp.13-33 e in particolar modo pp. 20-30.

37 Ivi, pp. 35-37. Per il testo di Sidonio Apollinare cfr. GAI SOLLII APOLLINARIS

SIDONII, Epistulae et carmina, (A CURA DI LÜTJOHANN C.) in MGH, Auct. ant.,

(30)

posti dei quali prendono le mosse dalla progressiva affermazione del Cri-stianesimo quale elemento del discorso politico romano tra IV e V seco-lo.

In tale arco cronologico dovette risultare decisiva la coincidenza tra la già ricordata dimensione eminentemente cittadina dell'episcopato e l'in-serimento nelle sue fila di sempre più esponenti della nobiltà e dei

poten-tes. Tale somma di fattori portò il potere imperiale a riconoscere

progres-sivamente alla struttura verticistica che la Chiesa si era nel frattempo data, sempre più prerogative, dapprima onorifiche e successivamente giuridiche, in diversi ambiti della cosa pubblica.

Come la moderna storiografia ha dimostrato38, già a partire da alcuni

decenni prima della fine dell'impero occidentale - e ancor più dopo il 476 -, i vescovi, per via della continuità sul territorio della loro istituzione, assunsero sempre più il ruolo di protettori e guide delle proprie città in una dimensione suppletiva dello stato, forti della familiarità col 'potere', della consuetudine alle dinamiche di governo ed erede nei suoi esponenti di una cultura naturalmente incline al comando.

In tale ottica si spiegano dunque le 'imprese' civili di Epifanio e il suo essere in prima linea nelle diverse vicende politiche che toccarono la sua

38 Basterà per i temi qui accennati il rimando a MOR C. G., Sui poteri civili dei

vescovi dal IV al secolo VIII in MOR C. G., SCHMIDINGER H. (ACURADI), I poteri

temporali dei Vescovi in Italia e in Germania nel Medioevo, Bologna 1979, pp.

(31)

città e, in particolare, andrà sottolineato come molte delle sue iniziative, indipendentemente che si svolgessero sotto Odoacre o Teodorico, fossero in consonanza con quanto poco sopra si è delineato riguardo alle funzioni pubbliche e di sorveglianza attribuite ai vescovi. Un'attività alla quale si sarà prestato perché spinto da contingenti necessità comunitarie che in lui, evidentemente, vedevano se non un capo capace, perlomeno un auto-revole rappresentante delle proprie istanze: fu Epifanio ad ottenere da Odoacre la liberazione di coloro che erano stati fatti prigionieri durante i disordini nella città e sempre lui a denunciare gli abusi del prefetto del pretorio Pelagio in materia di annona39.

Più volte lo vedremo impetrare dai reges esenzioni fiscali la cui rica-duta tradisce il gruppo sociale più vicino al vescovo ossia quello dell'ari-stocrazia municipale e dei medi-piccoli possessori che fu portatore di tali istanze perché sicuramente più colpito dal recente trapasso istituzionale e dai conseguenti mutamenti patrimoniali generati dall'assegnazione di ter-re ai Germani. Rimanendo in ambito fiscale è inoltter-re verosimile che Epi-fanio fosse incaricato di gestirne la ripartizione tra i diversi contribuenti («ad quae beneficia per singulos dispertienda») ennesima conferma della connotazione fortemente 'amministrativa' del suo episcopato40. Epifanio

39 Si veda per la liberazione dei prigionieri (tra le quali figuravano anche la sorella S. Onorata e S. Luminosa) MAGNI FELICIS ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani,

cap. 99, p. 96; per gli abusi di Pelagio cfr. Ivi, cap. 107, p. 97.

40 Due volte nel testo ennodiano riemerge il tema della concessione, richiesta da Epifanio, di esenzioni fiscali: la prima sotto Odoacre (che sarà da collocarsi

(32)

appare dunque sempre più come il tramite privilegiato ed il difensore de-gli interessi dei concittadini, in special modo dei più alti strati sociali lo-cali, sebbene il testo di Ennodio vada interpretato in qualche modo in controluce. È difficile capire, ad esempio, quanto la lungimirante scelta di incontrare Teodorico, da poco insediatosi a Milano, per porgli l'omag-gio e la dedizione cittadina, fosse una sua personale decisione o fosse frutto invece di una decisione collegiale dei maggiorenti cittadini41. Il

te-sto biografico, per la sua stessa natura encomiastica, potrebbe forse ecce-dere nel tratteggiare il personalismo di questo vescovo onnipresente e in-faticabile. E vi è forse indizio, che dietro l'operato del vescovo non ci fosse solo la sua individuale sensibilità, se pensiamo all'episodio nel qua-le Epifanio con il metropolita Lorenzo (significativamente attestante la preminenza milanese e l'ascesa di Pavia e forse rappresentanti di due co-munità che da subito si erano poste come filo-gotiche) ottenne un'amni-stia generale per tutti coloro i quali non avessero aderito alla causa di

immediatamente dopo i fatti del 476) «nam directa legatione ad Odovacrem quinquennii vacationem fiscalium tributorum impetravit, ad quae beneficia per singulos dispertienda tanta se castitate continuit, ut nemo ex his minus acciperet quam is, quo fuerant inpetrante concessa» cfr. Ivi, cap. 106, p. 97; la seconda sotto Teodorico, dopo la missione presso Gundobado (494), ottenendo, a fronte della richiesta di un totale sgravio fiscale per l'anno corrente, il condono dei soli due terzi di esso, mostrando, il fatto qui narrato, il pragmatismo di Teodorico che, da acuto politico, accondiscese solo in parte alle richieste «duas tamen praesentis indictionis fiscalis calculi partes cedemus, tertiam tantummodo suscepturi» cfr. Ivi, cap. 189, p 108.

41 Per la prima ipotesi sembra propendere Tabacco che, a questa scelta politica associa anche Lorenzo, arcivescovo di Milano: cfr. TABACCO, Le metamorfosi, p.

(33)

Teodorico sin dall'inizio, difendendo quindi tutti coloro i quali, meno av-veduti di Pavia e del suo vescovo e forse più compromessi col passato re-gime, fossero ora destinatari delle ritorsioni gote42.

Insomma, da quanto detto, la figura di Epifanio emerge come la prima grande personalità della quale la Chiesa della piccola Pavia (si ricordi l'accenno, nelle parole di Ennodio, alla «vorace invidia» provata in am-biente milanese che la piccola sede pavese fosse onorata da un sì grande pastore43) poté fregiarsi. La sua vita ci testimonia inoltre come anche in

un centro di secondaria importanza quale a lungo fu Ticinum, il vescovo avesse recepito nella sua totalità quell'eredità 'imperiale' - quanto a ge-stione amministrativa e spessore civile - che i vescovi di più grandi ed importanti sedi avevano già mostrato possedere in tempi precedenti, pre-rogativa essenziale per i futuri sviluppi politico-istituzionali in età suc-cessive.

Non è un caso quindi se la cittadinanza innalzerà Epifanio agli onori degli altari, secondo una dinamica che in quel contesto storico, tendette a premiare l'attivismo -Tabacco parlerà di «virtù attiva»- rispetto al

tradi-42 Per questa vicenda si veda MAGNI FELICIS ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani,

cap. 122-135, pp. 99-101.

43 Ivi, cap. 42, pag. 89: «aliquos tamen magnarum urbium incolas edax consumebat invidia, quod tantum oppidi Ticinensis angustia habere meruisset antistitem, cum apud ipsos sola pontifices metropolitanae iactantiae vocabula tuerentur».

(34)

zionale carisma cristiano (che pure fu presente in Epifanio) quale percor-so privilegiato per la santità44.

4 Verso la capitale. Pavia in età gota

Dal punto di vista amministrativo e sociale, il passaggio in Italia dal governo imperiale a quello goto, attraverso la dominazione di Odoacre, non comportò una frattura e l’immediata decadenza della società roma-no-italica. Si assistette infatti sia sotto Odoacre sia sotto Teodorico ad un sostanziale rispetto e mantenimento delle gerarchie, tanto sociali, quanto amministrative, dell'area italica. Non vi furono saccheggi degni di nota né spoliazioni da parte di fantomatici ariani anti-niceni ai patrimoni delle chiese. Semplicemente, ed anche intelligentemente, i re germanici man-tennero le varie classi sociali nei loro uffici giovandosi dunque di un ap-parato politico ancora funzionante che ne facilitò il governo appoggian-dosi inoltre ad un Senato e ad un ceto latifondista mai decaduto dalle tra-dizionali posizioni di prestigio ed anzi continuando, sotto Odoacre, ad at-tingere da esso per i più alti incarichi45. Un certo cambiamento si ebbe

44 Si veda TABACCO G., Le metamorfosi, p. 47. Significativa è anche la santità che fu

riconosciuta, tra gli altri vescovi di quel periodo, ad Ennodio che fu letterato e anch'esso vicino alla corte gota e inoltre due volte ambasciatore papale presso Costantinopoli negli anni tra il 515 e il 517. Per Ennodio si veda LANZANI, Dalle

origini, in particolare le pp. 29-40.

45 Per la dominazione di Odoacre in Italia basterà qui il rinvio a TABACCO G.,

Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, Torino 20003, pp. 68-76.

(35)

certamente con Teodorico a livello sociale e di governo. Durante il regno del sovrano amalo infatti i due grandi ambiti del governo del territorio, quello militare e civile, andarono caratterizzandosi a livello etnico: se in-fatti la reciproca indipendenza tra autorità civili e militari non era certa-mente inedita, durante il regno di Teodorico l'uso delle armi venne attri-buito ai soli goti mentre le cariche civili e l'amministrazione dello stato erano appannaggio dei sudditi romano-italici. Si ebbe perciò una contrap-posizione 'etnica' che in Italia non aveva precedenti non essendosi verifi-cata neppure al tempo di Odoacre46. Differenziare i compiti dei goti da

quelli destinati ai romani non equivaleva però ad un'assenza di dialogo e di collaborazione tra popoli germanici e genti italiche. Teodorico infatti, desiderando cementare le basi interne del proprio dominio, volle divenire una sorta di volano sociale nei confronti della nobiltà provinciale e muni-cipale che sotto di lui ebbe maggiori possibilità di ascesa ed inserimento nelle più alte cariche statali, in ciò seguendo intelligentemente l'esempio fornitogli dagli imperatori romani dei secoli precedenti, ottenendo così il re goto sia l'anelata fedeltà dalle province sia un contrappeso alla nobiltà senatoriale, talvolta ambigua e pur sempre legata a Bisanzio47.

46 Ivi, p. 84.

47 Per i goti, ancora valido punto di partenza è la lettura di WOLFRAM H., Storia dei

goti, Roma 1985 in particolare, le vicende degli ostrogoti si vedano le pp.

431-618. Per un bilancio sull'esperienza gota in Italia si veda GASPARRI S., Prima delle

nazioni. Popoli etnie e regni fra antichità e Medioevo, Roma 1997, pp. 113-121 e

(36)

In tale contesto Pavia - che sul finire dell'epoca gota probabilmente prese ad essere così chiamata48 - non poté che giovarsi della familiarità

che abbiamo visto intercorrere tra i propri vescovi Epifanio ed Ennodio e la corte di Teodorico. La città peraltro, come lo stesso sovrano amalo aveva potuto sperimentare durante gli anni delle guerre con Odoacre, do-vendosi qui rifugiare a causa del tradimento di Tufa49, aveva mostrato le

proprie qualità di piazzaforte e quindi è plausibile che Teodorico, nell'or-ganizzare il proprio territorio, desse preferenza quale sede dei propri

pa-latia a città che rivestissero un ruolo strategico-militare significativo.

Coerente con questa ipotesi sarebbe in effetti la tripolare suddivisione della sede amministrativa gota, forse specchio di una eguale divisione di-strettuale50 che finì per premiare con la dignità di 'capitale' anche Pavia,

per quanto in subordine rispetto a Ravenna e Verona. In questa fase stori-ca il centro padano fu quindi oggetto di un intenso sviluppo urbanistico sotto ogni aspetto -tanto civile, quanto militare- dettato dalla volontà dei sovrani di adeguare il tessuto cittadino alla nuova dignità di primario centro amministrativo e politico del regno. Sono ascrivibili a quegli anni infatti l'edificazione del famoso palatium come anche l'ampliamento

del-48 Incerto è a tutt'oggi il percorso linguistico che portò a mutare il toponimo della città da Ticinum a Pavia. Utili considerazioni sull'argomento in GABBA E., Il nome

di Pavia in Storia di Pavia, II, L'alto medioevo, Pavia 1987, pp. 9-18.

49 Per questo episodio, collocabile tra la fine del 489 e l'estate del 490 si veda MAGNI

FELICIS ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani, cap. 111-113, p. 98.

50 Cfr. MOR C. G., Pavia capitale in Pavia capitale di regno. Atti del IV Congresso

internazionale di studi sull'alto medioevo (Pavia, Scaldasole, Monza, Bobbio, 10-14 settembre 1967), Spoleto 1969, p. 25.

(37)

la primitiva cerchia muraria che dovette incorporare al suo interno anche delle neo-edificate terme e un nuovo anfiteatro51. Pavia si avviava

dun-que ad assumere, anche nella sua veste architettonica, la sua nuova di-mensione cittadina di centro catalizzatore di letterati, burocrati e di traffi-ci, essendo uno dei vertici della triangolazione posta in essere con Ra-venna e Verona e a queste collegate per via terrestre (la Postumia) e flu-viale.

La città, che tanto doveva a Teodorico, si legò poi, scoppiata la guerra greco-gotica, ancor di più alla monarchia negli ultimi sussulti di tale esperienza politica traendone indiretto vantaggio nella propria afferma-zione individuale. Tra il 538 e il 539 la città di Milano, che insieme con la Liguria si era data praticamente senza colpo ferire ai bizantini l'anno precedente, fu quasi completamente distrutta da Uraia che, rifugiatosi in quel frangente in Pavia, unica città rimastagli fedele, ne poté poi uscire dopo che gli furono giunti rinforzi tali da poter porre in atto la propria ri-torsione52.

51 Cfr. ANONIMI VALESIANI Pars posterior in Chronica minora saec. IV, V, VI, VII, (A CURA DI MOMMSEN T.) in MGH, Auct. ant., IX, p. 324: «Item Ticino palatium

thermas amphitheatrum et alios muros civitatis fecit». Per lo studio dello sviluppo della topografia urbana pavese dalla fine del V secolo sino al 1024 (anno della distruzione del palazzo regio) ineludibile è la lettura del già incontrato lavoro di Bullough, Urban change; altrettanto utile il più recente lavoro di Peter Hudson confluito nel secondo volume della Storia di Pavia: cfr. ID., Pavia: l'evoluzione

urbanistica di una capitale altomedievale in Storia di Pavia, II, L'alto medioevo,

Pavia 1987, pp. 237-316. Per il periodo goto in particolare si vedano le pp. 239-245.

(38)

Pavia dunque, come si diceva, tra il 538 e il 540 vide così cadere o perdere importanza quasi tutte le altre competitrici alla sua preminenza italica: detto di Milano, Ravenna cadde nel 540 e così Pavia, a partire dal regno di Totila (541-552) e Teia (552-553), fu zecca del regno (come lo era stata brevemente a cavallo del III e IV secolo) e sede del tesoro reale. Qui i due ultimi sovrani assunsero la dignità regia e sempre qui, dopo la definitiva sconfitta dei goti nella battaglia del Monte Lattaro (ove perì Teia) si rifugiarono gli ultimi irriducibili goti prima di arrendersi agli im-periali, ultima tra le città del regno, nel corso del 553. Si chiudeva così una fase fondamentale della storia di Pavia nella quale molti elementi, a lungo serbati dalla città in fase embrionale nell'età tardo antica, poterono finalmente avviare il proprio sviluppo e dispiegarsi nella successiva età longobarda.

(39)

Capitolo II. Pavia capitale di regno. L'età longobarda (secc.

VI-VIII)

Nel 568 o nel 569 la penisola italiana, dopo poco più di un decennio dalla riconquista imperiale e dalla Pragmatica sanctio pro petitione

Vigi-lii, si vide investita da una nuova massa di popolazioni germaniche

inter-namente diversificata per etnie e guidate da Alboino. Questi, sfruttando lo sfinimento delle popolazioni italiche e le carestie che in quel periodo si erano sopra di esse abbattute, in poco più due anni conquistò gran par-te dell'Italia setpar-tentrionale ponendo le basi per una dominazione che sa-rebbe durata oltre due secoli. Era così iniziato il regno longobardo in Ita-lia. E' inutile in questa sede ripercorrere passo a passo le ben note vicen-de che caratterizzarono lo sviluppo di questa entità politica53. Ci basterà

qui far emergere momenti significativi per la storia della città e della sua sede episcopale dal più ampio flusso di eventi di carattere generale54.

53 Il primo e ovvio rimando per il quadro evenemenziale legato ai Longobardi è al testo di Paolo Delogu edito nel primo volume della Storia d'Italia Utet: si veda DELOGU P., Il regno Longobardo i n DELOGU P, GUILLOU A, ORTALLI G.,

Longobardi e Bizantini, Torino 1980, pp. 1-216. Tale testo sarà da integrarsi, nei

diversi ambiti della storia longobarda, con i testi indicati nelle note successive. 54 Per un'analisi delle vicende su Pavia in età longobarda è ancora valido, nelle sue

linee generali, GASPARRI, Pavia longobarda i n Storia di Pavia, I I , L'alto

medioevo, Pavia 1987, pp. 19-68. Ulteriori utili riferimenti sul tema in MAJOCCHI,

(40)

Questa operazione ci permetterà di tentare di delineare, pur nelle difficol-tà connesse allo studio dell'edifficol-tà longobarda, in che modo la Chiesa pavese perdurasse in tale fase storica e di proporre una nuova interpretazione che dia conto delle probabili circostanze dalle quali scaturì per il vescovo della città di Pavia (nel frattempo divenuta capitale longobarda) la consa-crazione romana e la sua sottrazione dalla tradizionale soggezione verso il metropolita milanese. Una condizione che pertanto configurerà il ve-scovo e la Chiesa pavese nel loro complesso quale vero e proprio unicum nel panorama ecclesiastico per tutto l'Alto medioevo.

1 Una necessaria premessa storiografica

Come recentemente ha ricordato Stefano Gasparri55, l'indagine storica

dell'età longobarda ha sempre dovuto fare i conti con delle oggettive dif-ficoltà legate alle fonti sulle quali ha dovuto esercitare la propria rifles-sione ed analisi. Tali difficoltà non sono altro che uno dei molti «nodi principali intorno ai quali ruota l'interpretazione complessiva della storia

55 L'occasione si è presentata nell'ambito del suo intervento tenutosi a Pavia durante una giornata di studio incentrata sulla storia di Pavia in età Longobarda. Gli atti dei diversi lavori sono confluiti nel volume I Longobardi e Pavia. Miti, realtà

prospettive di ricerca. Atti della Giornata di studio (Pavia, 10 aprile 2013),

MICIELI G.ET AL. (A CURA DI ), Pavia 2014. Il saggio a cui si fa riferimento è

GASPARRI S., I nodi fondamentali della storia longobarda in I Longobardi e Pavia,

(41)

dell'età longobarda56». Il primo di essi, dal quale i restanti provengono a

cascata, è dunque quello delle fonti. Ciò potrebbe stupire inizialmente l'occhio disattento del non specialista in quanto, apparentemente, la natu-ra, il numero e - in alcuni casi - la celebrità delle fonti, parrebbero favori-re lo studioso di cose longobarde piuttosto che il collega che studi espe-rienze politico-istituzionali contemporanee al regnum langobardorum. Se però analizziamo con più attenzione il corpus delle fonti longobarde scopriamo che gli studiosi, a fronte della relativa abbondanza di cui so-pra, debbano però confrontarsi con delle difficoltà interpretative difficil-mente eludibili. Non è necessario in questa sede rammentare tutti i limiti che le diverse fonti (siano esse documentarie, legislative o cronachisti-che57) presentano: essi sono ben noti agli specialisti.

Di questi, uno solo merita qui d'esser ricordato, perché principale e origi-ne di tutti gli altri e cioè che, data la natura delle fonti e l'altezza cronolo-gica nel quale ciascuna di esse s'inserisce, tutte le testimonianze disponi-bili non possono essere efficacemente sovrapposte ed incrociate tra loro

56 Cfr. GASPARRI, I nodi, p. 21.

57 Per le leggi: Le leggi dei Longobardi. Storia memoria e diritto di un popolo

germanico, (A CURA DI AZZARA C., GASPARRI S.), Roma 2005² (prima edizione

Milano 1992) da integrarsi -per inquadrare il sistema legislativo longobardo- con AZZARA C., "...quod cawerfeda antiqua usque nunc sic fuisset". Consuetudine e

codificazione nell'Italia longobarda i n GASPARRI S. (A CURA DI), Alto medioevo

mediterraneo, Firenze 2005, pp. 251-257. Per le fonti cronachistiche: PAOLI

DIACONI, Historia Langobardorum, (ACURADI BETHMANN L., WAITZ G.) in MGH,

SS. rer. Lang., Hannover 1878. Utile traduzione con commento e testo a fronte:

(42)

se non per un brevissimo periodo. Da ciò deriva in maniera evidente l'al-to grado di indeterminatezza che spesso caratterizza diversi aspetti della storia dell'età longobarda, a partire in alcuni casi, dalla dimensione squi-sitamente evenemenziale58. In un tale contesto il non poter verificare, ad

esempio, dei vari passi di Paolo Diacono l'aderenza alla realtà dei fatti, o anche solo circoscriverne la portata59 per mezzo delle fonti d'archivio, ne

58 A questo proposito Aldo Settia (e con lui altri studiosi) recentemente hanno posto attenzione ad una più serrata critica testuale delle fonti narrative, segnatamente quelle del Diacono, al fine di meglio contestualizzare passi tradizionalmente accettati come tali e di verificarne l'aderenza alla realtà dei fatti. In tale contesto Settia ha analizzato, con grande precisione e perizia filologica, il passo concernente il notissimo assedio triennale posto su Pavia verificandone sospette analogie con testi precedenti (ad es. la Vita Aureliani) che Paolo Diacono molto verosimilmente conobbe ed utilizzò per comporre la propria opera; riguardo l'assedio in particolar modo, è stato messo in risalto come la durata triennale degli assedi sia, in maniera quantomeno curiosa, un elemento ricorrente delle opere del Diacono, presente tanto nell'Historia Langobardorum (ad es. il blocco di Costantinopoli del 717-718 da Paolo indicato però come triennale: cfr. VI, 47) quanto nell'Historia Romana (l'assedio di Attila di Aquileia). Da quanto proposto dal Settia emergerebbe pertanto come non soltanto la durata triennale ma anche lo stesso assedio -elementi tradizionalmente dati per acquisiti dalla storiografia- andrebbero derubricati a mere invenzioni letterarie che Paolo Diacono volle inserire nella trama del testo per aumentarne con tutta probabilità il pathos della narrazione. Si veda SETTIA A. A., Aureliano imperatore e il cavallo di re Alboino.

Tradizione ed elaborazione nelle fonti pavesi di Paolo Diacono i n Paolo Diacono. Uno scrittore fra tradizione longobarda e rinnovamento carolingio. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Cividale del Friuli, Udine, 6-9 maggio 1999), CHIESA P. (ACURADI), Udine 2000, pp. 487-504 con particolare attenzione

alle pp. 498-504.

59 Viene qui naturale riferirsi al noto brano sui vescovi ariani che, nelle parole di Paolo Diacono, sarebbero stati presenti in tutte le città del regno. Questa immagine, cosi tramandataci, fu solo una tra le molte altre, che furono base per la teoria (oggi non più accettabile perché confutata dagli studiosi) tanto cara al Bognetti sull'importanza, all'interno delle dinamiche politiche e sociali del regno,

Riferimenti

Documenti correlati

[27] which described the development of a composite material based on natural collagen, polylactide electrospun nano-fibres and natural calcium phosphate

Relativamente alla osservazione decimasettima nella quale si prescrive la costituzione degli studi, ed in specie della scienza Teologica pel corso di quattro

Compared to previous ones, this work focuses on the concurrent estimation of battery state and parameters using experimental data, measured on a Lithium-ion cell subject to a

A straightforward extension of the Implicit Q Theorem (see [13], Theorem 7.4.2) for block Hessenberg matrices indicates that essentially the same unitary matrix should be determined

Essenzialmente quattro le aree che paiono meritevoli di essere rivisitate: (i) la validità o meno delle clausole arbitrali che prevedano l’affidamento della nomina degli arbitri

Per prime ne sono esposte le imprese B2B, che hanno clienti particolarmente collaborativi che assumono crescente importanza nelle loro scelte di mercato, e le imprese B2C che hanno

Va da sé che le ostie devono essere confezionate da persone che non soltanto si distinguano per onestà, ma siano anche esperte nel prepararle e fornite di strumenti adeguati» (n.