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Capitolo II. Pavia capitale di regno L'età longobarda (secc VI-

3 Pavia capitale

La situazione di Pavia mutò definitivamente con il regno dell'ariano Arioaldo (626-636) che, sposata Gundiperga rispettivamente figlia e so- rella degli ultimi due sovrani, decise di spostare definitivamente la sede a Pavia. Non è chiaro quali siano state le motivazioni che lo abbiano spinto a prendere tale decisione; possiamo però ipotizzare che, avendo di fatto usurpato il trono del cognato, Arioaldo per smarcarsi e avviare la propria reggenza preferisse insediarsi in una città dalle recenti memorie teodori- ciane e, di fatto, polo alternativo a Milano sede di Teodolinda, Agilufo e Adaloaldo90.

Questa scelta avrà avuto però anche delle motivazioni prettamente strategiche se pensiamo che la conquista longobarda, arrestatasi negli ul- timi anni, era ormai pronta a rilanciarsi, avendo puntato alla zona costie- ra ligure che, rimasta in mano bizantina, di fatto rendeva difficoltosi e

89 Cfr. GASPARRI, Pavia longobarda, pp. 40-41.

malcerti i contatti tra entroterra padano e Tuscia longobarda. Pavia dove- va quindi essere una base d'appoggio ideale per un tale scacchiere. Che la collocazione della sede regia a Pavia non fosse però un mero fatto transi- torio legato all'imminente proiezione militare longobarda in Liguria, lo si vide con il successore di Arioaldo, Rotari, il quale, pur ottenuto il con- trollo della Liguria, mantenne la sede a Pavia.

Lo spostamento a sud del confine comportò dunque un netto cambia- mento per la città che, da centro con forte connotazione militare divenne, definitivamente e praticamente senza più soluzione di continuità, capitale del regno longobardo sino alla conquista franca91.

Dopo tale conquista il carattere di Pavia quale città a vocazione emi- nentemente militare andò progressivamente diminuendo non essendo più la capitale posta in prima linea: ciò comportò una riconversione della cit- tà che potenziò così negli anni successivi la sua funzione amministrativa, di grande emporio del regno in grazia della felice posizione che la rende- va tanto sbocco del tratto appenninico proveniente dalla Langobardia

Minor, quanto logico approdo delle merci che provenissero dall'Italia

orientale. Sarà questa una capitale dove, esauritosi l'ultimo sussulto delle

91 Se si eccettua la breve condizione di diarchia venutasi a creare dopo la morte di Ariperto I (661). Eccezionalmente infatti i due figli del defunto sovrano, Pertarito e Godeberto, si spartirono il regno, ponendo le rispettive sedi a Pavia e Milano: si veda PAOLI DIACONI, Historia, IV, 51 («Igitur Aripert postquam aput Ticinum per

annos novem Langobardos rexerat diem obiens, regnum duobus filiis suis adhuc aduliscentibus Perctarit et Godeperto regendum reliquit. Et Godepert quidem Ticini sedem regni habuit, Perctarit vero in civitate Mediolanensi»).

aristocrazie romano-italiche, si andrà formando e si imporrà, in maniera crescente, un nuovo ceto dirigente 'longobardo', frutto di una progressiva assimilazione tra i germani e gli italici e rappresentante lo stadio ultimo dell'etnogenesi longobarda. Questo nuovo gruppo eminente, capeggiato

in primis dagli stessi sovrani, caratterizzerà la propria opera di governo

entro due retaggi culturali che, apparentemente tra loro così diversi, in realtà vennero ad essere entrambi parti del nuovo bagaglio politico-cultu- rale dei longobardi della seconda metà del VII secolo. Da un lato infatti vi fu un tenace legame con la tradizione longobarda risalente alla fase di- remmo 'pre-italiana', dall'altro un inserimento sempre più massiccio di elementi chiaramente desunti dalla tradizione romana tardo-antica che dovette essere frutto sia del contatto con i pochi autoctoni che fossero in grado di essere tramite di tale tradizione (segnatamente i membri del cle- ro residenti nelle pur depresse città), sia dei pregressi rapporti con la ro- manità orientale di matrice bizantina. Evidenti tracce di tale fenomeno si riverberano pesantemente anche nella figura del sovrano le cui connota- zioni andranno via via acquisendo tratti romani in relazione alla propria sovranità come anche nel rapporto stesso con la legge. In tal senso sia la messa per iscritto delle leggi, sia la logica sottesa all'emanazione delle nuove norme si pone come perfetto esempio di ibridismo culturale, a metà strada tra modelli tradizionali germanici ed i 'nuovi' apporti roma-

ni92. Con sovrani così connotati non stupirà che le cariche centrali di cor-

te siano anch'esse figlie di una cultura dalla duplice provenienza: avremo infatti il maggiordomo, posto a capo dell'amministrazione centrale del

palatium di Pavia, il marpahis (ossia il maestro dei cavalli) carica per lo

più onorifica, il tesoriere o stolesaz e il cubicularius ossia il responsabile degli appartamenti privati regi ed altri ancora. Si notano dunque tanto la presenza di cariche desunte da esperienze germaniche tanto veri e propri calchi di quella che erano gli apparati delle corti bizantine, quali ad esempio la presenza di due seguiti, riferibili ad entrambi i coniugi della coppia sovrana93.

Pavia divenne perciò il fulcro del regno in quanto ospitava non soltan- to il centro della pur semplificata macchina governativa longobarda ma era anche sede della curtis regia, cuore dell'amministrazione fiscale cen- trale i cui proventi servivano a mantenere funzionante tutto l'apparato pa- latino. Questa concentrazione di apparati in un unico centro spiega perciò le ragioni che spinsero gli usurpatori Grimoaldo o Alahis ad impadronirsi il prima possibile della città pavese il controllo della quale permetteva per di più la piena disponibilità del palazzo (con tutto ciò che questo comportava) e del tesoro regio.

92 Cfr. AZZARA, "...quod cawerfeda antiqua usque nunc sic fuisset"; utile riferimenti

nell'introduzione al testo preposta al corpus delle leggi in AZZARA, GASPARRI, Le

leggi, pp. xli-lxv.

Il ruolo di capitale di una monarchia ormai cristianizzatasi comporta anche una nuova attenzione alla città quale spazio ove i sovrani ed i po-

tentes possano manifestare la propria fede tramite la fondazione di chiese

e monasteri94. Sono ascrivibili a questa fase storica diverse fondazioni,

tanto nobiliari quanto regie che, sulla scorta dell'esempio dell'area di Metz studiata da Guy Halsall, sarebbero testimonianza della competizio- ne sociale in ambito funerario tra la nobiltà e la monarchia95. Queste ulti-

me però, nell'ottica regia, non dovevano soltanto essere meramente luo- ghi di culto bensì testimonianze destinate a perdurare oltre i propri fon-

94 Cfr. MAJOCCHI, Pavia città regia, pp. 29-34. Per un'analisi storico-artistica di

Pavia durante l'età longobarda buon punto di partenza sono i contributi confluiti nel secondo volume della Storia di Pavia: oltre al già citato HUDSON, Pavia:

l'evoluzione urbanistica, pp. 245-260 si vedano i contributi di VICINI D., La

civiltà artistica: l'architettura, pp. 317-371 e di SEGAGNI MALACART A., La

scultura in pietra dal VI al X secolo, pp. 373-406. Per un denso e aggiornato

quadro d'insieme SCHIAVI L. C., Arte longobarda a Pavia: dalle fonti alla

conoscenza storica e archeologica. Un bilancio in I Longobardi e Pavia. Miti, realtà prospettive di ricerca. Atti della Giornata di studio (Pavia, 10 aprile 2013),

(A CURA DI MICIELI G.ET AL.), Pavia 2014, pp. 89-118. Tradizionalmente si è

inoltre fatto risalire all'ultimo scorcio del VII secolo e all'operato del vescovo Damiano (vedi infra) lo spostamento della cattedrale pavese entro il circuito cittadino (cfr. ad es. BULLOUGH, Urban change, pp. 100-101 e HUDSON, Pavia:

l'evoluzione urbanistica, pp. 252-253) ma in tempi più recenti, a partire dagli

studi di Paolo Piva sulle cattedrali doppie, pare invece che la cattedrale pavese sia ascrivibile già al V secolo mentre al presule andrebbero ascritte il restauro e l'ampliamento di una domus vescovile e la costruzione di terme per i religiosi. Cfr. PIVA P., Le cattedrali lombarde, Quistello (Mn) 1990, per Pavia vedi pp. 85-

100. Del medesimo avviso Luigi Carlo Schiavi (ID., Arte longobarda, pp. 104-

105).

95 Per il tema delle sepolture regie si veda MAJOCCHI P., La morte del re. Rituali

funerari e commemorazione dei sovrani nell’alto medioevo in «Storica», 49, XVII

datori e ad attestarne la memoria e l'intimo legame col potere regale. In relazione a questa prassi, è stato evidenziato da Piero Majocchi che «le pratiche funerarie della monarchia longobarda appaiono caratterizzate dalla progressiva adozione del modello costantiniano e merovingio attra- verso la fondazione di enti ecclesiastici destinati a ospitare la sepoltura del fondatore e (eventualmente) dei suoi discendenti96». Tale tendenza - i

cui prodromi si possono forse rintracciare durante la reggenza di Teodo- linda che, come noto, fondò la basilica monzese di S. Giovanni Battista - subisce un'accelerazione dalla metà del VII secolo anche in probabile connessione con il susseguirsi sul trono di sovrani dichiaratamente catto- lici. La natura policentrica delle sepolture regie che le fonti ci tramanda- no è invece il riflesso dell'instabilità dinastica al vertice del regno longo- bardo data dalla natura ancor sempre elettiva della monarchia. Così se quattro membri della dinastia 'bavarese' (oltre al fondatore, Pertarito, Cu- niperto ed Ariperto II) trovarono riposo presso l'oratorio di San Salvatore fondato ad ovest della città da Ariperto I, i sovrani appartenenti a fami- glie diverse provvidero a fondare dei propri mausolei in modo da diffe- renziarsi, anche a livello simbolico, dalle schiatte precedenti. Ecco dun- que che la chiesa di S. Ambrogio risulterebbe fondata da Grimoaldo e

96 Per la citazione cfr. Ivi, pp. 45-46. Le informazioni relative alle sepolture regie pavesi che seguono sono tratte da repertorio Le sepolture regie del regno italico

(secoli VI-X), (A CURA DI P. MAJOCCHI), <http://sepolture.storia.unipd.it/>, sub

voce. Per questa fase di intensa attività edilizia si veda HUDSON, Pavia:

qui la tradizione vorrebbe che riposino le sue membra mentre re An- sprando e suo figlio Liutprando trovarono sepoltura presso la cappella di S. Adriano, dal primo di essi fondata. La dinamica che vede il fondatore essere sepolto nella propria fondazione è attestata anche nel caso delle donne che furono al fianco dei sovrani longobardi. È questo il caso, ad esempio, di Gundiperga che, forse sulla scorta dell'esempio della madre Teodolinda, fondò a Pavia una chiesa dedicata al Battista venendone poi inumata; allo stesso modo Rodelinda, moglie di Pertarito, fondò fuori le mura della città la chiesa di Santa Maria 'alle Pertiche' ove trovò poi se- poltura. Come già si è rilevato, questa densa attività edilizia nel suo com- plesso sembra potersi giustificare col desiderio dei sovrani di mantenere uno stretto rapporto con la capitale, centro del proprio potere, anche dopo la morte, connotando così sempre più Pavia come vera e propria urbs re-

gia profondamente compenetrata nel suo tessuto urbanistico dalla presen-

za regia e dotata di un così ampio patrimonio morale e materiale tale da caratterizzarne l'identità e le successive vicende sino al Tardo Medioevo. Che questo retaggio fosse ancora ben vivo, non soltanto nelle coscienze dei pavesi ma anche al di fuori del contesto cittadino, è infatti provato dall'utilizzo che ne vollero fare i Visconti per legittimare il proprio dise- gno egemonico italiano volto alla ricostituzione dell'antico regnum lan-

gobardorum97.

Insomma sembrerebbe che per riconoscere in Pavia tutti i tratti della capitale ispirata al modello tardo-antico98 non manchi che un solo ele-

mento: il primato ecclesiastico e l'esenzione dalla soggezione metropoli- tica del presule delle città capitale. Pare giunto il momento, dopo averlo lungamente accantonato, di tornare a trattare dell'episcopus papiensis ora divenuto vescovo della capitale del regno longobardo.