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Dal punto di vista amministrativo e sociale, il passaggio in Italia dal governo imperiale a quello goto, attraverso la dominazione di Odoacre, non comportò una frattura e l’immediata decadenza della società roma- no-italica. Si assistette infatti sia sotto Odoacre sia sotto Teodorico ad un sostanziale rispetto e mantenimento delle gerarchie, tanto sociali, quanto amministrative, dell'area italica. Non vi furono saccheggi degni di nota né spoliazioni da parte di fantomatici ariani anti-niceni ai patrimoni delle chiese. Semplicemente, ed anche intelligentemente, i re germanici man- tennero le varie classi sociali nei loro uffici giovandosi dunque di un ap- parato politico ancora funzionante che ne facilitò il governo appoggian- dosi inoltre ad un Senato e ad un ceto latifondista mai decaduto dalle tra- dizionali posizioni di prestigio ed anzi continuando, sotto Odoacre, ad at- tingere da esso per i più alti incarichi45. Un certo cambiamento si ebbe

44 Si veda TABACCO G., Le metamorfosi, p. 47. Significativa è anche la santità che fu

riconosciuta, tra gli altri vescovi di quel periodo, ad Ennodio che fu letterato e anch'esso vicino alla corte gota e inoltre due volte ambasciatore papale presso Costantinopoli negli anni tra il 515 e il 517. Per Ennodio si veda LANZANI, Dalle

origini, in particolare le pp. 29-40.

45 Per la dominazione di Odoacre in Italia basterà qui il rinvio a TABACCO G.,

Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, Torino 20003, pp. 68-76.

certamente con Teodorico a livello sociale e di governo. Durante il regno del sovrano amalo infatti i due grandi ambiti del governo del territorio, quello militare e civile, andarono caratterizzandosi a livello etnico: se in- fatti la reciproca indipendenza tra autorità civili e militari non era certa- mente inedita, durante il regno di Teodorico l'uso delle armi venne attri- buito ai soli goti mentre le cariche civili e l'amministrazione dello stato erano appannaggio dei sudditi romano-italici. Si ebbe perciò una contrap- posizione 'etnica' che in Italia non aveva precedenti non essendosi verifi- cata neppure al tempo di Odoacre46. Differenziare i compiti dei goti da

quelli destinati ai romani non equivaleva però ad un'assenza di dialogo e di collaborazione tra popoli germanici e genti italiche. Teodorico infatti, desiderando cementare le basi interne del proprio dominio, volle divenire una sorta di volano sociale nei confronti della nobiltà provinciale e muni- cipale che sotto di lui ebbe maggiori possibilità di ascesa ed inserimento nelle più alte cariche statali, in ciò seguendo intelligentemente l'esempio fornitogli dagli imperatori romani dei secoli precedenti, ottenendo così il re goto sia l'anelata fedeltà dalle province sia un contrappeso alla nobiltà senatoriale, talvolta ambigua e pur sempre legata a Bisanzio47.

46 Ivi, p. 84.

47 Per i goti, ancora valido punto di partenza è la lettura di WOLFRAM H., Storia dei

goti, Roma 1985 in particolare, le vicende degli ostrogoti si vedano le pp. 431-

618. Per un bilancio sull'esperienza gota in Italia si veda GASPARRI S., Prima delle

nazioni. Popoli etnie e regni fra antichità e Medioevo, Roma 1997, pp. 113-121 e

In tale contesto Pavia - che sul finire dell'epoca gota probabilmente prese ad essere così chiamata48 - non poté che giovarsi della familiarità

che abbiamo visto intercorrere tra i propri vescovi Epifanio ed Ennodio e la corte di Teodorico. La città peraltro, come lo stesso sovrano amalo aveva potuto sperimentare durante gli anni delle guerre con Odoacre, do- vendosi qui rifugiare a causa del tradimento di Tufa49, aveva mostrato le

proprie qualità di piazzaforte e quindi è plausibile che Teodorico, nell'or- ganizzare il proprio territorio, desse preferenza quale sede dei propri pa-

latia a città che rivestissero un ruolo strategico-militare significativo.

Coerente con questa ipotesi sarebbe in effetti la tripolare suddivisione della sede amministrativa gota, forse specchio di una eguale divisione di- strettuale50 che finì per premiare con la dignità di 'capitale' anche Pavia,

per quanto in subordine rispetto a Ravenna e Verona. In questa fase stori- ca il centro padano fu quindi oggetto di un intenso sviluppo urbanistico sotto ogni aspetto -tanto civile, quanto militare- dettato dalla volontà dei sovrani di adeguare il tessuto cittadino alla nuova dignità di primario centro amministrativo e politico del regno. Sono ascrivibili a quegli anni infatti l'edificazione del famoso palatium come anche l'ampliamento del-

48 Incerto è a tutt'oggi il percorso linguistico che portò a mutare il toponimo della città da Ticinum a Pavia. Utili considerazioni sull'argomento in GABBA E., Il nome

di Pavia in Storia di Pavia, II, L'alto medioevo, Pavia 1987, pp. 9-18.

49 Per questo episodio, collocabile tra la fine del 489 e l'estate del 490 si veda MAGNI

FELICIS ENNODI, Vita beatissimi viri Epifani, cap. 111-113, p. 98.

50 Cfr. MOR C. G., Pavia capitale in Pavia capitale di regno. Atti del IV Congresso

internazionale di studi sull'alto medioevo (Pavia, Scaldasole, Monza, Bobbio, 10- 14 settembre 1967), Spoleto 1969, p. 25.

la primitiva cerchia muraria che dovette incorporare al suo interno anche delle neo-edificate terme e un nuovo anfiteatro51. Pavia si avviava dun-

que ad assumere, anche nella sua veste architettonica, la sua nuova di- mensione cittadina di centro catalizzatore di letterati, burocrati e di traffi- ci, essendo uno dei vertici della triangolazione posta in essere con Ra- venna e Verona e a queste collegate per via terrestre (la Postumia) e flu- viale.

La città, che tanto doveva a Teodorico, si legò poi, scoppiata la guerra greco-gotica, ancor di più alla monarchia negli ultimi sussulti di tale esperienza politica traendone indiretto vantaggio nella propria afferma- zione individuale. Tra il 538 e il 539 la città di Milano, che insieme con la Liguria si era data praticamente senza colpo ferire ai bizantini l'anno precedente, fu quasi completamente distrutta da Uraia che, rifugiatosi in quel frangente in Pavia, unica città rimastagli fedele, ne poté poi uscire dopo che gli furono giunti rinforzi tali da poter porre in atto la propria ri- torsione52.

51 Cfr. ANONIMI VALESIANI Pars posterior in Chronica minora saec. IV, V, VI, VII, (A CURA DI MOMMSEN T.) in MGH, Auct. ant., IX, p. 324: «Item Ticino palatium

thermas amphitheatrum et alios muros civitatis fecit». Per lo studio dello sviluppo della topografia urbana pavese dalla fine del V secolo sino al 1024 (anno della distruzione del palazzo regio) ineludibile è la lettura del già incontrato lavoro di Bullough, Urban change; altrettanto utile il più recente lavoro di Peter Hudson confluito nel secondo volume della Storia di Pavia: cfr. ID., Pavia: l'evoluzione

urbanistica di una capitale altomedievale in Storia di Pavia, II, L'alto medioevo,

Pavia 1987, pp. 237-316. Per il periodo goto in particolare si vedano le pp. 239- 245.

Pavia dunque, come si diceva, tra il 538 e il 540 vide così cadere o perdere importanza quasi tutte le altre competitrici alla sua preminenza italica: detto di Milano, Ravenna cadde nel 540 e così Pavia, a partire dal regno di Totila (541-552) e Teia (552-553), fu zecca del regno (come lo era stata brevemente a cavallo del III e IV secolo) e sede del tesoro reale. Qui i due ultimi sovrani assunsero la dignità regia e sempre qui, dopo la definitiva sconfitta dei goti nella battaglia del Monte Lattaro (ove perì Teia) si rifugiarono gli ultimi irriducibili goti prima di arrendersi agli im- periali, ultima tra le città del regno, nel corso del 553. Si chiudeva così una fase fondamentale della storia di Pavia nella quale molti elementi, a lungo serbati dalla città in fase embrionale nell'età tardo antica, poterono finalmente avviare il proprio sviluppo e dispiegarsi nella successiva età longobarda.