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LA QUARTA VIA DELLA POLITICA ESTERA RUSSA

Nell’agosto 1998 il ministero degli Affari esteri russo celebrava i duecento anni dalla nascita del principe A.M. Gorˇcakov (1798-1883), responsabile della politica estera dell’impero dal 1867 al 1882. L’ini-ziativa dell’allora titolare del dicastero, E.M. Primakov, venne accolta con favore, suscitando interesse e approfondimenti1

, tanto che I.S. Ivanov, suo successore, in occasione di un convegno organizzato nel 2003 dall’Associazione russa degli studiosi di relazioni internazionali, vi si è di nuovo richiamato, sottolineandone l’importanza in un breve discorso dedicato ai nuovi orientamenti della politica estera della Fe-derazione russa2

.

A.M. Gorˇcakov svolse la sua attività in un momento caratterizzato da eventi che mutarono profondamente l’immagine del paese, tanto al-l’interno, con le riforme volute da Alessandro II, necessario preludio all’industrializzazione, quanto all’esterno, con un lungo processo di rielaborazione della dottrina in politica estera che sarebbe sfociato, con i suoi successori, nel riavvicinamento alla Francia a fine Ottocen-to. Tale processo può essere considerato un punto di arrivo le cui tappe furono contrassegnate, in negativo, dal disastro di Crimea, dal conflitto russo-turco della fine degli anni Settanta e dal conseguen-te fallimento diplomatico del congresso di Berlino: sconfitconseguen-te diplomati-che e militari diplomati-che determinarono prima il tramonto delle velleità dot-trinarie sui cui si basava il legittimismo europeo di Nicola I, quindi la presa di coscienza di un divario tecnologico che rendeva inattuabili i disegni strategici sui Balcani e gli stretti turchi. Impossibilitata a

* Dottore di ricerca in Storia delle relazioni internazionali presso l’Università de-gli Studi di Firenze.

1

Una ricognizione interessante sulla figura di A.M. Gorˇcakov in relazione alla politica estera russa degli anni Novanta è rintracciabile sul sito della Brooking Institu-tions, www.brook.edu: An Overview of Russian Foreign Policy.

2

I.S. Ivanov, Vneˇsnjaja politika Rossii na sovremennom etape, in A.V. Torkunov (ed.), Desjat’ let vneˇsnej politiki Rossii: Materialy pervogo konventa rossijskoj associacii meˇzdunarodnych issledovanij, Moskva, Rosspen, 2003, pp. 19-25.

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muoversi sullo scacchiere europeo, la Russia avrebbe trovato nuovo terreno di espansione nel Caucaso e in Estremo oriente3

, accordando ai rapporti con l’Occidente una base più specificamente economica.

Simbolicamente Gorˇcakov dovrebbe rappresentare questo, ma non solo. Stavano sullo sfondo, infatti, i movimenti culturali che dissestaro-no il tessuto sociale con una recrudescenza che sarebbe poi stata set-taria, tanto da destra che da sinistra, così come il braccio di ferro tra l’élite illuminata e l’entourage zarista sul terreno delle riforme, che a cavallo dei due secoli avrebbe visto emergere figure di primissimo pia-no quali S.I. Vitte, P.N. Miljukov e P.A. Stolipyn.

La perdita di un ruolo di prestigio sullo scenario internazionale, lo sgretolamento progressivo del potere centrale, l’emergere di istanze apertamente rivoluzionarie o ultrareazionarie e il concomitante e incer-to procedere delle forze liberali possono offrire, con le dovute precau-zioni, particolari analogie con il passato più recente della Russia post-sovietica. Il richiamo a Gorˇcakov sembrerebbe suggerirlo.

Nella Russia attuale l’esistenza di istanze culturali affermatesi dopo il 1991, come l’euroasianesimo4

, il neoisolazionasimo, il panslavismo e il panortodossismo, rappresentano la risposta ultraconservatrice e na-zionalista al vuoto ideologico e al ridimensionamento geografico e po-litico seguito alla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Si è in questo modo cercato di colmare la lacuna originata dal cedimento del marxismo-leninismo e alimentata dall’indirizzo filo-occidentale perse-guito da Gorbaˇcëv prima e da El’cin poi.

Inserita in un quadro di politiche sia nazionali sia internazionali se-condo il quale il supporto della Russia era anche una necessità impre-scindibile dello stesso occidente, Mosca, a cavallo degli anni Novanta, ab-bandonava l’Europa centrale e orientale, consentiva la riunificazione della

3

Non fu solo un mutamento di strategia in politica estera. Dalla metà circa del XIX secolo, conclusasi la lunga fase di emulazione e assimilazione della cultura occi-dentale, si cominciarono a tracciare i percorsi di quell’ideale ricongiungimento con la tradizione che l’“europeizzazione” aveva in un certo senso escluso. La vocazione “asiatica” nacque anche da questo desiderio. Per una valutazione delle istanze cultura-li e pocultura-litiche che influirono su tale processo si veda: A. Ferrari, La foresta e la step-pa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa, Milano, Scheiwiller, 2003.

4

Da non confondersi con l’euroasianesimo di matrice culturale geopolitica: si veda in proposito V.A. Kolosov, R.F. Turovskij, Le rappresentazioni geopolitiche della Russia: ritorno alle origini o ricerca di un nuovo cammino?, in V.A. Kolosov (ed.), La collocazione geopolitica della Russia. Rappresentazioni e realtà, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 2001.

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Germania e riduceva i propri armamenti con azioni in pratica unilatera-li5

. Nel periodo post sovietico la cura Gajdar e la de-nazionalizzazione, più che privatizzazione, del settore industriale non facevano che accelera-re il processo di occidentalizzazione dell’economia russa in un quadro generale di politica estera praticamente svincolato da qualsiasi prerogativa di interesse specificamente nazionale. Come poteva sintetizzare A. Kozy-rev, ministro degli esteri dal 1991, l’obiettivo primario della Russia era uno solo: l’ingresso nel club (questa la parola usata) dei paesi democrati-camente più evoluti e più ricchi6

. Questo, basandosi sull’assunto che tale fosse anche l’intendimento dei paesi occidentali e che la ricostruzione sa-rebbe avvenuta rapidamente e quasi automaticamente mediante l’afflusso di notevoli investimenti stranieri.

Ciò non avvenne, in parte per la disonestà e la corruzione dilagan-te7, in parte per colpe stesse dell’Occidente8. I costi sociali pagati dal-la Russia in quei primi anni furono il terreno fertile sul quale attecchi-rono poi l’ondata nazionalista e le correnti di pensiero decisamente schierate contro l’Occidente o, più semplicemente, desiderose di dare alla Russia un nuovo indirizzo in linea con gli interessi derivanti dalla sua specificità geografica.

Conviene sottolineare che la dissoluzione dell’Unione Sovietica fu nei fatti il risultato di una crisi istituzionale innescata dalle spinte cen-trifughe delle Repubbliche che la componevano, ma che, tra queste, vi era anche la Russia: allo stesso tempo prefigurabile sia come soggetto attivo, in prima linea nel dirigere gli eventi e desiderosa, nel minor tempo possibile, di riappropriarsi del prestigio e della tradizione stori-ca e politistori-ca lasciati vastori-canti dal crollo delle precedenti istituzioni, sia, passivamente, prostrata dal duro e lungo giogo del camuffamento so-vietico. Non è probabilmente un caso che le istanze culturali oggi propagandate con etichette di varia estrazione rimandino a un retro-terra slavo-ortodosso che è poi il cuore della diversità russa rispetto all’Europa centro-occidentale e la cui importanza, come fonte di ag-gregazione dell’antica Rus’, venne sminuita, in epoca sovietica, dal va-lore internazionalista del modello socialista.

5

V.A. Nikonov, Rossija v poiskach mesta v mire XXI veka, in A.V. Torkunov (ed.), op. cit., pp. 32-39.

6

Ivi, p. 35.

7

Cfr. G. Chiesa, Russia addio, Roma, Editori Riuniti, 1997.

8

N.P. ˇSmelev, Ekonomiˇceskaja sostavljajuˇsˇcaja vo vneˇsnej politike Rossii, in A.V. Torkunov (ed.), op. cit., pp. 40-53.

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La ricerca di un’identità, la famosa “questione russa”, non è quin-di fine a se stessa, ma criterio quin-di giuquin-dizio fondante quin-di legittimità agli occhi di parte della stessa collettività, abituata a confrontarsi con pe-nurie di ogni bene, crudeltà di qualsiasi tipo, ma non con la dismis-sione delle prerogative nazionali che rappresentano lo Stato. Strumen-talmente, o per desiderio inconscio, Kozyrev prefigurava una Russia di là da venire quando dichiarava che l’URSS non era stata sconfitta dal-la “macchina da guerra deldal-la NATO” ma, semmai, dai “principi de-mocratici ispirati dalla CSCE”9. Alla ricerca di una nuova parità, di un nuovo equilibrio post-sovietico che lasciasse inalterate le prerogati-ve e lo status acquisito dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, la politica filo-occidentale del gruppo el’ciniano avrebbe assunto, infine, i contorni di una resa incondizionata.

Nella realtà la Russia poteva vantare il diritto di entrare a far par-te del “club” preconizzato da Kozyrev in virtù della propria tradizione storica, della “presenza geografica”, del diritto di veto alle Nazioni Unite e, soprattutto, degli arsenali atomici a disposizione ma, quanto al confronto con le società occidentali post-industrializzate e alla pos-sibilità di integrarsi strutturalmente con esse, le sue condizioni rimane-vano da “terzo mondo”10

.

Considerazioni siffatte risultano tanto più tangibili se osservate di riflesso alle tensioni sociali innescate dal fallimento delle riforme intro-dotte per compiacere il Fondo monetario internazionale11. L’assenza di una strategia politica che andasse di pari passo con la trasformazione in atto venne posta all’ordine del giorno solo qualche anno più tardi, in concomitanza con la stesura del documento programmatico sulla si-curezza nazionale nel 1997. Si ammise in quell’occasione che nessuna idea nuova, unificante, programmatica, sul modello della perestrojka, era stata trovata, sebbene molte interviste e discussioni avessero cerca-to di dare un’identità precisa alla strategia politica da perseguire sul piano nazionale e internazionale12

.

Ciò risultò tanto più visibile sullo scacchiere caucasico e dell’Asia

9

C. Wagnsson, Developing the ‘Moral’ Arguments: Russian Rhetorical Strategies on Security Post-Kosovo, luglio 2001, www.iss-eu.org, sito dell’Institute for Security Studies.

10

V.A. Nikonov, op. cit.

11

E. Franceschini, “Camdessus-Zjuganov, la strana coppia... ma indietro non si torna”, in Limes, 1996, n. 2, pp. 109-118.

12

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centrale, caratterizzato dalla presenza di nuove realtà statuali prive di una tradizione di autonomia e strettamente dipendenti da Mosca. Dal-le ceneri del dissolto sistema sovietico era infatti sorta la CSI, figlia più di contingenze e di calcoli politici particolari che di un progetto specifico di salvaguardia di quelle interconnessioni strutturali ed eco-nomiche che erano state alla base della dissolta Unione Sovietica. L’accordo di Belovec, vicino a Minsk, che ne sancì la nascita l’8 di-cembre 1991, fu il risultato di un’intesa a tre tra la Russia, la Bielo-russia e l’Ucraina, poco inclini al momento a valutare le istanze delle altre ex Repubbliche sovietiche, considerate un fardello inutile. Solo tredici giorni dopo, ad Alma-Ata, su iniziativa kazaka, entrarono nella Comunità anche la Moldavia, l’Azerbajdˇzan, l’Armenia, il Kazachstan, il Turkmenistan, l’Uzbekistan e il Kirghizistan, con la significativa as-senza, paesi baltici a parte, della Georgia. La CSI doveva offrire uno strumento di coordinamento delle infrastrutture un tempo comuni ma rimase a lungo priva di strumenti politici propri e troppo spesso in balia degli umori di Mosca. L’iniziale considerazione del gruppo el’ci-niano, che prevedeva un controllo inerziale sulle ex Repubbliche, si dimostrò presto velleitaria13.

Solo a partire dal 1993 il Cremlino prese una serie di misure volte a irrobustire l’interdipendenza degli Stati membri della CSI, a ragione di dinamiche che si andarono sviluppando negli anni successivi, prin-cipalmente legate al “grande gioco” degli idrocarburi del Mar Caspio. Tra la fine del 1993 e il settembre del 1994 vennero infatti firmati i cosiddetti “contratti del secolo”: il primo tra la Chevron e il governo kazako, il secondo tra l’Azerbajdˇzan e un consesso di nove compagnie petrolifere tra le quali la Lukoil (russa) con una quota del 10 per cen-to, destinata a salire nei mesi successivi.

La profittabilità della regione caspica era notevole, seconda solo ai giacimenti sauditi, ma presentava l’inconveniente di essere al centro di un’area politicamente instabile, punto nevralgico di diversi interessi e senza accessi diretti ai mercati internazionali. I paesi produttori erano giovani, privi di capitali, desiderosi di emanciparsi dal Cremlino e carat-terizzati da forme di governo clientelari e familiari. La Turchia approfittò del vuoto diplomatico lasciato dalla Russia per cercare di riunire sotto il

13

S.I. ˇCernjaskij, Politika Rossii v Central’noj Azii i Zakavkaz’e, in M.M. Narin-skij, A.V. Mal’gin (eds), Juˇznyj flang SNG. Central’naja Azija, Kaspij, Kavkaz: vozmoˇz-nosti i vyzovy dlja Rossii, Moskva, Logos, 2003, pp. 35-54.

(6)

vessillo panturco l’Azerbajdˇzan, il Kazachstan, il Kirghizistan, l’Uzbeki-stan e il Turkmenil’Uzbeki-stan14: un tentativo rivelatosi poi velleitario, ma che garantì alle Repubbliche un’alternativa credibile rispetto a Mosca.

Il ruolo strategico della Turchia nello scacchiere NATO, le sue re-lazioni particolari con gli Stati Uniti, la presenza nel Consiglio d’Euro-pa e lo status formale che la sua richiesta di adesione alla UE com-portava, la resero (e la rendono) un partner di primissimo piano. Il circolo virtuoso innestatosi su questi nuovi scenari non si fece attende-re, tanto che già nell’ottobre del 1994 il Turkmenistan e l’Uzbekistan poterono usufruire dei benefici derivanti da un accordo di collabora-zione tra la Turchia, gli Stati Uniti e Israele nel settore delle coltiva-zioni agricole15

.

Ma il punto su cui parvero misurarsi gli interessi in gioco fu so-prattutto quello degli oleodotti, con la variante Baku-Ceyhan che, dal 1995, prese corpo come soluzione concreta e alternativa all’utilizzo delle condotte russe per il trasporto verso il Mediterraneo. Il tragitto avrebbe previsto il passaggio del greggio da Baku, in Azerbajdˇzan, a Supsa, in Georgia, sino al porto turco di Ceyhan, direttamente sul Mar Mediterraneo, lasciando la Russia fuori dal mercato16

. Mosca avrebbe usato i mezzi in suo possesso per ostacolare questo piano, ar-rivando a chiudere o diminuire il flusso dei propri oleodotti, mentre

14

L’Azerbajdˇzan e le Repubbliche centro asiatiche eccetto il Tadˇzikistan sono ri-conducibili etnicamente e linguisticamente al ceppo turco e sono in prevalenza musul-mani sunniti; il Tadˇzikistan è sciita e di ceppo persiano (A. M. Khazanov, After the USSR. Ethnicity, Nationalism, and Politics in the Commonwealth of Indipendent States, Madison, The University of Wisconsin Press, 1995, passim). Linguisticamente le cin-que Repubbliche e la Turchia mostrano molte differenze, piuttosto che somiglianze. Uno dei punti di forza di questa piattaforma è comunque il comune retroterra islami-co, secolarizzato dall’esperienza kemalista in Turchia e sovietica in Asia centrale. Cfr. M.A. Chrustalev, Etnonacional’naja i social’no-ekonomiˇceskaja kartina juˇznogo flanga SNG, in M.M. Narinskij, A. V. Mal’gin (eds), op. cit. pp. 9-34.

15

L’accordo turco-israeliano del 23 febbraio 1996 ha ulteriormente rafforzato le basi dell’intesa con un ruolo sempre più diretto degli Stati Uniti. L’intenzione è quel-la di garantire, alle ex Repubbliche sovietiche, un ventaglio di opzioni nelquel-la produzio-ne degli idrocarburi e di trasporto, alternative a quelle russe. Cfr. I.D. Zvjagel’skaja, D.V. Makarov, Vosprijatie Rossiej politiki zapada v central’noj Azii, in M.M. Narin-skij, A.V. Mal’gin (eds), op. cit., pp. 103-127; per un quadro in termini di strategia internazionale: Z. Brzezinski, “A Geostrategy for Eurasia”, in Foreign Affairs, 1997, n. 5, pp. 50-64.

16

A.V. Mal’gin, Kaspijskij region: meˇzdunarodno-politiˇceskie i energetiˇceskie pro-blemy, in M.M. Narinskij, A. V. Mal’gin (eds), op. cit., pp. 128-146.

(7)

Ankara violò la covenzione di Montreaux sulla navigazione degli stret-ti, colpendo il valore strategico del porto di Novorossijsk, sul Mar Nero, punto terminale delle condotte russe17

.

L’evolversi continuo della situazione portò Mosca a considerare con maggiore pragmatismo le istanze specifiche legate alla difesa dei propri interessi nel Caucaso e nell’Asia centrale. A suggellare la muta-ta strategia fu il decreto del 14 settembre 1995, volto a delineare gli approcci e gli obiettivi strategici nell’ambito della CSI18

. Diedero il se-gnale della svolta anche il passaggio del ministero degli Esteri da Ko-zyrev a Primakov e l’abbandono delle prerogative preminentemente occidentali in favore di un approccio indirizzato a privilegiare le istan-ze del cosiddetto “estero vicino”, ovvero dei paesi immediatamente confinanti con la Federazione russa, e in primo luogo il ruolo della CSI19

. La mutata strategia ebbe anche o, forse, soprattutto la malcela-ta intenzione di cavalcare l’onda nazionalismalcela-ta che, di lì a pochi mesi, avrebbe portato all’affermazione quasi schiacciante del partito comuni-sta di Zjuganov, oramai sposato alle tesi euroasiste e nazionaliste20

. Nell’infuocata atmosfera delle presidenziali del 1996, la politica estera russa fu strumentalizzata a favore di quella interna, in conside-razione della quale El’cin, dopo aver taciuto di fronte agli eventi bo-sniaci di inizio anni Novanta, lasciando campo libero agli interessi oc-cidentali, non perse occasione per attaccare la NATO e il suo inter-vento nell’ennesima crisi jugoslava.

Nella logica dei nuovi orientamenti rientrò così la firma, il 25 aprile 1996, del trattato sui confini tra la Russia e la Cina, preludio a un farao-nico progetto di collegamento della regione dello Xinjiang con il greggio del Kazachstan21, la più delicata delle Repubbliche centro asiatiche nel-l’ottica di Mosca (per la sua grandezza, per i suoi 5000 km di confine con la Federazione russa, per il potenziale atomico, per la base spaziale

17

P. Sinatti, “Il grande gioco per il controllo del petrolio caspico”, in Limes, 1996, n. 2, pp. 189-196.

18

S.I. ˇCernjavskij, op. cit.

19

A.V. Mal’gin, op. cit.

20

Nel dicembre 1993 vi era già stata la netta affermazione del partito liberal-democratico del leader ultranazionalista ˇZirinovskij. Il KPRF (Partito comunista della Federazione russa) con i propri alleati sfiorò la maggioranza assoluta alla Duma nelle elezioni del dicembre 1995.

21

Il progetto non ha finora avuto seguito, soprattutto per i costi proibitivi che avrebbe comportato. Cfr. A.D. Voskresenskij, S.G. Luzianin, Politika Kitaja v Cen-tral’noj Azii, in M.M. Narinskij, A.V. Mal’gin (eds), op. cit., pp. 301-335.

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di Bainokur, per la sua ricchezza di materie prime e per la presenza del-la maggior encdel-lave russa nell’“estero vicino”). Sul fronte del Caucaso del-la Turchia, indebolita da una crisi finanziaria tra il 1994 e il 1995, ridimen-sionò le sue ambizioni cercando un punto di equilibrio con Mosca22, col-locandosi, nel 1997, tra i primi cinque partner commerciali della Fe-derazione23.

L’attivismo mostrato dalla Russia nell’Asia centro-orientale, legato alla maggiore attenzione dedicata alle istanze nazionali in patria, fece sorgere in quegli anni nuovi timori e inquietudini sulle intenzioni del Cremlino. In un paese prostrato dal dissesto economico, deluso dal-l’Occidente e desideroso, almeno nell’inconscio collettivo, di riaffer-marsi come grande potenza, le istanze nazionaliste avevano, come det-to, presa facile. Tuttavia, volendo delineare un quadro dei rapporti con l’Occidente, necessariamente semplificato, non può sfuggire il fat-to che, ragioni interne a parte, una linea di continuità non sia mai ve-nuta a mancare: principalmente nei confronti di quelle istituzioni quali l’OSCE/CSCE, l’ONU e soprattutto l’Unione Europea, cui la Russia ha sempre guardato con favore, inquadrandole in un’ottica di bilancia-mento della NATO e dell’unilateralismo statunitense24.

Terminata la luna di miele degli anni tra il 1991 e il 1993, l’atteg-giamento russo rimase sostanzialmente pro-occidentale, pur accompa-gnato da dure affermazioni e rimostranze specificamente indirizzate verso la NATO, come nel caso della crisi kosovara e del primo allar-gamento a Est dell’Alleanza atlantica.

Gli anni tra il 1997 e il 1999 furono segnati, più che da un sostanzia-le isolamento, da un ripiegamento interlocutorio. Pesarono sull’immagine

22

Nell’aprile 1999 sarà inaugurata la prima tratta dell’oleodotto per Ceyhan, quella da Baku a Supsa, in Georgia, sul Mar Nero, da dove, per mare, i greggi cauca-sici avrebbero raggiunto Odessa e quindi attraverso l’Ucraina e la Polonia il Baltico. La lievitazione dei costi per la costruzione, ma, successivamente, anche per l’esercizio della via commerciale, metterà in dubbio la possibilità di estendere la tratta sino in Turchia. M. Nicolazzi, “Gli idrocarburi dell’Asia centrale in cerca di un mercato”, in Limes, 2001, n. 4, pp. 220-236.

23

A.I. Trejviˇs, L’«isola Russia» nell’economia mondiale alle soglie del XXI sec., in V.A. Kolosov (ed), op. cit., pp. 31-71.

24

“L’Europa controbilancia gli Stati Uniti e la Russia è parte dell’Europa”, O.N. Barabanov, Oboronnaja politika ES i Rossija: vozmoˇzno li vzaimodestvie?, in A.V. Torkunov (ed.), op. cit., p. 112; in questa luce è sintomatico il fatto che le strutture europee siano state, per tutti gli anni Novanta, considerate “un bene” a priori dalla stragrande maggioranza degli analisti russi. Cfr. ivi, pp. 111-116.

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del paese le complicate alchimie politiche legate all’entourage el’ciniano e la crisi finanziaria del 1998, ulteriore aggravio per la già dissestata econo-mia interna.

Il quadro di stallo e il progressivo isolamento trovarono però una loro collocazione concettuale nella dottrina elaborata da Primakov sul-la figura di Gorˇcakov, che il successore Ivanov mantenne invariata, delineando i contorni di una Realpolitik cui Vladimir Putin, successo-re di El’cin dal 2000, avsuccesso-rebbe saputo infine ispirarsi.

La dichiarazione programmatica sulle linee guida della politica estera russa del 28 giugno 200025, pur muovendosi su un ampio spet-tro di scenari, identificò una serie di priorità che eventi successivi in parte avrebbero disatteso o modificato, ma formulò anche una pro-spettiva di bilanciamento tra quegli stessi obiettivi e le possibilità reali del paese. La necessità di un approccio pragmatico fu dettata proprio dall’impossibilità di agire a difesa dei propri interessi separatamente da una piattaforma di dialogo con le maggiori istituzioni occidentali. Pertanto, pur ribadendo i sostanziali punti di attrito con la NATO e con gli Stati Uniti, il richiamo più incisivo venne dedicato alla part-nership con l’Unione Europea, con un interesse particolare dedicato “alla futura crescita del carattere polifunzionale”26

dell’OSCE.

In linea con tale dichiarazione si sarebbe poi delineata l’attività di Putin. L’allargamento europeo e, particolarmente, quello della NATO27, nella primavera 2004 non hanno offerto materiale a suffi-cienza per l’inasprirsi del dibattito interno. Opporvisi, per Putin, sa-rebbe stato possibile solo spogliandosi dei tratti oramai delineati della propria leadership, per vestire quelli anti-occidentali che furono di El’cin a metà degli anni Novanta, quando una marea montante di ultra-nazionalismo non lasciava altre vie di uscita. Ma questa non è la solu-zione attuale: tanto meno la scelta euro-asiatica può pagare se svinco-lata dagli interessi occidentali. Al momento, gli unici in grado di inve-stire ingenti capitali negli idrocarburi del Caucaso e dell’Asia centrale

25

Koncepcija vneˇsnej politiki Rossijskoj Federacii (Concetti della politica estera della Federazione Russa). ll testo è consultabile sul sito del ministero degli Esteri: www.mid.ru.

26

Ibidem.

27

I due avvenimenti hanno significato comunque diverso. Secondo molti analisti russi, l’allargamento europeo controbilancia in positivo il fatto che alcuni degli stessi paesi che vi hanno aderito siano entrati a far parte della NATO nel 1999 e nel 2004: cfr. O.N. Barabanov, op. cit.

(10)

sono proprio questi ultimi, mentre la Russia può esercitare la propria influenza solo nel settore dei trasporti, sempre che non ne venga esclusa come la variante Baku-Supsa sta a dimostrare28.

L’appoggio fornito alla richiesta americana di poter disporre di unità militari nelle Repubbliche centro asiatiche e caucasiche dopo l’11 settembre 2001 ha risvegliato più forti timori degli allargamenti della NATO e dell’Unione Europea. La decisione di Putin di optare per il sì, pur incontrando pareri discordi nel gruppo stesso dei suoi consiglieri, è anche una rottura precisa con i pericolosi miti che han-no sostenuto l’illusione di contrastare la potenza americana su un pia-no di presunta parità29.

In sintesi, la Russia di oggi sembra essere costretta da una parte a coltivare, almeno nominalmente, e per necessità interne, alcuni leitmo-tiv tipici di certe frange nazionaliste, dall’altra a prefigurare una strada di adattamento creativo che liquidi alcune paure del passato a vantag-gio di un approccio differenziato, soprattutto nel Caucaso e nell’Asia Centrale. Di conseguenza risulteranno poco praticabili politiche di ege-monia e militarizzazione a sostegno di un ideale di grande potenza e tanto più necessaria una politica estera rivolta al conseguimento di obiettivi concreti, che abbiano come risultato finale un miglioramento delle condizioni interne del paese. `E in sostanza quella che alcuni au-tori hanno preconizzato come la quarta via della politica estera russa30

, dopo le varianti filo-occidentali, euro-asiatiche e antioccidentali segu-ite alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. In tal senso, il richiamo al-l’attività diplomatica di Gorˇcakov, che ricercò la realizzazione degli obiettivi nazionali attraverso un’opera diplomatica capace di coagulare il consenso delle altre potenze, senza stravolgere l’ordine internazionale

28

Si veda nota 22.

29

Le tappe che hanno suggellato l’evolversi degli interessi statunitensi nell’area possono essere così riassunte: 1991-1992, riconoscimento dei nuovi Stati indipendenti e accordo di sostegno finanziario per il loro sviluppo; 1993-1995, riconoscimento l’area come zona di interesse strategico e avvio di una politica di contenimento del-l’influenza russa nella CSI; 1996-2000, creazione del GUAM/GUUAM (Georgia, Uz-bekistan, Ucraina, Azerbajdˇzan, Moldavia), organizzazione filo-americana a difesa delle strategie principalmente legate allo sfruttamento degli idrocarburi; dopo il 2001, in-stallazione di basi militari e ridimensionamento della politica unilaterale praticata dalle Repubbliche aderenti al GUUAM, a seguito del riavvicinamento russo-americano dopo l’11 settembre. Cfr. O.N. Barabanov, Politika S ˇCA v Central’noj Azii i Zakavkaz’ja, in M.M. Narinskij, A.V. Mal’gin(eds), op. cit., pp. 336-350.

30

(11)

e ritirandosi qualora le possibilità di vittoria non valessero il prezzo da pagare, è esemplare. Lo ha ribadito I.S. Ivanov a margine di un di-scorso sui principi base della politica estera putiniana:

Il desiderio di creare condizioni di pace per lo sviluppo interno del pae-se è conforme alla tradizione pae-secolare della diplomazia russa, che, in modo brillante, si manifestò soprattutto all’epoca di Alessandro II, Ales-sandro III e, in seguito, delle riforme stolypiniane31

.

Anche se strumentale e simbolicamente allargato a un arco di tem-po ben maggiore, il richiamo a Gorˇcakov puntualizza una linea di con-tinuità non solo nella tradizione, ma anche con la più recente esperien-za della diplomazia russa, in primo luogo con Primakov: continuità ben delineabile nei confronti dell’Occidente, i cui punti cardine rimangono quelli delineati più sopra, ma anche per il cosiddetto “estero vicino”, la cui importanza, per contiguità geografica, tradizione storica e strategie internazionali, non potrà in futuro essere sottovalutata.

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