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La morte e il Giudizio

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Academic year: 2021

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Il forum di bioetica vuole suscitare un interesse culturale sui principi fondanti della bioetica e aprire il dibattito sui dilemmi etici dell’epoca moderna

INDICE

Principi e Dilemmi di bioetica

Per  tutti  ci  sarà  un  giudizio  finale.    I  Novissimi,  

di  Paolo  Rossi

 

La  Morte:    

1.   Realtà   fisica   della   morte.   2.   Valore   morale   della   morte   (giudizio   della   coscienza,   la   voce   di   Dio)  3.   Concetto  cristiano  della  morte.  4.  Gesù  rivelatore  della  morte.  5.  La  morte  nell'Antico  Testamento.  6.  La   morte  nel  Nuovo  Testamento.  7.  Dalla  morte  alla  vita  

Il  Giudizio:    

particolare  e  universale,  i  peccati  che  accusano,  la  giustizia  che  sgomenta.    

Equità  del    giudizio  finale  

L’inferno:    

i  principali  supplizi;  l’odio  eterno;  rabbia  dei  dannati  

Purgatorio  realtà  escatologica  

Paradiso:  Il  dinamismo  escatologico  della  grazia        

 

BIOETICA  

   NEWSLETTER  n.  145  

F

E B B R A I O  

 

2017

   

 

I

 

N

O V I S S I M I

 

               

I

N F E R N O                            

G

I U D I Z I O                        

P

A R A D I S O

 

                                                         

FORUM

 di  

(2)

 

 

 

Per  tutti  ci  sarà  un  giudizio  finale    

I  Novissimi  

di  Paolo  Rossi  

 

I  Quattro  Novissimi sono: morte,  giudizio,  inferno    (purgatorio),  paradiso 1

La  Morte  

È l'ultima cosa che accade alla persona in questa vita. Con essa termina il tempo di prova sulla terra. La sanzione definitiva della sua corrispondenza o meno alla volontà di salvezza di Dio manifestata mediante Cristo si ha già nel giudizio particolare e viene confermata nel giudizio universale.

1.  Realtà  fisica  della  morte    

La morte da un punto di vista fisiologico è la separazione dell'anima e del corpo: strappo violento, che urta la natura umana, desiderosa della propria unità.

L'uomo perciò rifugge dalla morte. Essa gli fa paura, spesso egli ne ha orrore. Anche il libertino trema quando la vede avvicinarsi. Con la morte non si scherza. Sarebbe stolto non tremare. La morte è una cosa seria: la cosa più seria della vita, umanamente parlando. Una cosa a cui vale la pena di pensare.

La paura di morire nasce principalmente dal nostro desiderio positivo di vivere, di esserci, di esistere. Abbiamo paura che tutto finisca, perché infondo siamo attaccati alla vita con forza, sostenuta dall’istinto di sopravvivenza 2.

È evidente che non hai paura di perdere cose di poco valore, cose che per te non contano e la paura di morire è la paura di perdere la cosa più preziosa che esista.3

                                                                                                                         

1  Il  termine  Novissimi  è  una  traslitterazione  del  latino  novissĭma,  "cose  ultime";  il  corrispondente  termine  greco  è  ἔσχατα,  éschata.  

2  Le   reazioni   istintive   sono   specifiche   per   tutti   gli   individui   appartenenti   a   una   stessa   specie,   e   si   assomigliano   per   specie   simili:   così   l’istinto   alla  

nidificazione  negli  uccelli,  alla  costruzione  delle  celle  nelle  vespe  ecc.  Pur  mancando  però  la  consapevolezza  della  realizzazione  dell’atto  istintivo,  si  richiede,   per  quest’ultimo,  l’intervento  di  altre  attività  psichiche,  soprattutto  della  memoria  (così  nei  nidi  pluriloculari,  gli  animali  sanno  dove  sono  le  celle  contenenti   l’uovo).   Nell’uomo,   per   quanto   presente,   il   patrimonio   istintivo   è   più   scarso   e   ha   meno   influenza   sulla   condotta   perché   mascherato,   nell’adulto,   dallo   sviluppo  maggiore  dell’intelligenza.  L’istinto   di   autoconservazione  è  predisposto  al  mantenimento  dell’individuo.  Vi  rientrano  l’istinto  di  nutrizione,  le   regolazioni  istintive  che  assicurano  l’esistenza  del  neonato,  l’istinto  di  aggressione,  ripulsione,  fuga.  L’istinto  di  gregge  (o  sociale)  è  comune  sia  agli  uomini   sia  agli  animali;  esso  spinge  l’individuo  a  cercare  la  convivenza  con  i  suoi  simili.  Rientra  in  questa  categoria  la  partecipazione  affettiva  istintiva,  o  simpatia,   comune   anche   fra   individui   di   specie   diverse,   come   fra   uomo   e   cane.   L’istinto   sessuale   permette   la   realizzazione   dell’impulso   sessuale   e,   insieme   all’istinto   materno,   assicura   il   mantenimento   e   la   conservazione   della   specie;   è   presente   anche   prima   della   pubertà,   benché   si   esprima   solo   come   componenti  parziali,  per  es.  la  dedizione  amorosa,  tendenze  sadiche  o  masochistiche  di  alcuni  bambini,  o  sotto  forma  di  curiosità  sessuale.  Connesso,  ma   diverso,  è  l’istinto  di  potenza  e  autoaffermazione,  di  notevole  importanza  anche  nell’istinto  sociale,  poiché  crea  in  quell’ambito  una  gerarchia  secondo   la  legge  del  più  forte;  

3 san Giovanni XXIII nel dicembre 1955 diceva: «La mia morte, la vostra quando verrà ? Non è poi così triste il pensarci:

diventa soave la vita con il familiarizzarci al pensiero della morte».

 

(3)

Dice la Didaché «Cercate ogni giorno il volto dei santi, ossia di coloro la cui esistenza risplende della verità infinita, più appagante di ogni piccola scintilla o abbaglio. Perché senza una verità divina ma umana non è possibile sconfiggere la distrazione a cui siamo potentemente indotti» (non a caso solo il cristianesimo ha potuto superare l’idolatria presente nelle altre religioni) e quindi la smania di possesso delle piccole cose. Non è dunque a forza di rinunce, in questo caso dallo shopping, che si vince l’idolo, ma solo quando il sacrificio dell’effimero è pedagogicamente usato come spazio lasciato alla memoria e all’invocazione e quindi al ritorno continuo alla presenza di Cristo incarnato.

2.  Valore  morale  della  morte  

Da un punto di vista morale e fisiologico la morte è un passo decisivo. È la conclusione di tutta una vita. Allora cadono tutte le maschere. Non vi è possibilità di produrre degli alibi. Tutto viene in chiaro. Su quel culmine dell'esistenza umana verrà pronunciato un solenne giudizio:

a) giudizio   della   coscienza, che adunerà tutto il raccolto di una vita, e ne discernerà con chiarezza la qualità, ne giudicherà il valore, positivo o negativo. Quaggiù la coscienza è spesso assonnata, o distratta, o travolta. Ma in quell'ora ci sarà un perfetto raccoglimento. Per un istante l'anima non sentirà che voci intime. Nemmeno i canti degli angeli o le urla dei demoni prevarranno sulla sua interiore parola. L'anima giudicherà se stessa, in base a quella legge morale che in essa si è sempre manifestata con norme precise e indiscutibili, più forti dell'uomo. Nell'ora della morte formulerà finalmente un esatto giudizio sull'osservanza di quelle norme;

b) la   voce   di   Dio. Nell'ordine eterno che abbraccia e regola la vita dell'uomo, vi è un verdetto infallibile che riguarda ognuno di noi. Quale sarà? L'ora della morte sarà l'ora della grande scoperta. Vedremo allora il nostro destino. Anche per questo c'è ragione di prendere la morte molto seriamente.

Non c'è da illudersi; non si può passar sopra questo pensiero alla leggera. Che cosa significherà per me, per te, per ognuno di noi, la voce di Dio finalmente risuonante in modo chiaro, evidente, indiscutibile nella nostra coscienza per dare il giudizio definitivo sulla nostra vita? E che cosa porterà con sé quel giudizio? Che cosa pensa di noi Dio? Che cosa rivelerà il nostro spirito nel primo incontro con lui?

In realtà queste domande che riguardano i «novissimi» dovrebbero dominare tutta la nostra vita. E la nostra vita non dovrebbe essere altro che preparazione all'ultima ora.

3.  Concetto  cristiano  della  morte  

C'è anche il punto di vista cristiano sulla morte: è una visione nuova, più serena. Da quando Cristo è risorto, non è la morte, come tale, l'ultimo termine del cammino umano; essa non è la fine della vita, ma il ponte della vita. Se Cristo è risorto, il trionfo non è della morte, ma della vita.

«Vittoria   finale: «Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d'incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d'immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?. Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore». (1 Cor 15, 51-58).

Distrutto il peccato, è distrutta la radice della morte. Essa non può imperare definitivamente sull'uomo. Essa anzi è diventata il valico della Vita vera, che è quella eterna. La vita quaggiù è vera morte, dicevano i Santi medioevali. Media vita in morte

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       

(4)

sumus. Quando San Tommaso partecipava al canto di questa antifona nella Compieta quaresimale, si scioglieva in lacrime.

Quella che si suole chiamare morte, in realtà è l'inizio della vera Vita. 4 Essa è l'abbraccio

con Dio, il ritorno alla casa paterna, l'ingresso nel Regno celeste, il definitivo compimento in noi dei misteri di Cristo. Dal Battesimo alla morte una sola linea lega e sorregge tutta la vita cristiana. 5 Il Battesimo è la rinascita dell'uomo in Cristo, la morte è un sonno in Cristo

e con Cristo: «obdormivit in Domino», si dice dei Santi. Cristo riproduce nella nostra morte il mistero della sua morte, che porta già in sé la forza della Risurrezione. Il Battesimo è la nascita alla vita eterna nella fase terrestre, nel tempo di prova; la morte lo è nella fase definitiva, quella del cielo. La  morte  per  il  cristiano  è  come  il  Battesimo  dell'eternità.  

Il Battesimo dà la «prima» grazia; la morte è la maturazione definitiva di questa grazia, è anzi l'ora dell'ultima e più completa grazia, la perseveranza finale.

4.  Gesù  rivelatore  della  morte  

L'inizio della predicazione di Cristo, dopo gli anni del nascondimento di Nazareth e le tentazioni nel deserto, è commentato dall'evangelista San Matteo con queste parole del profeta Isaia: «Il popolo che giaceva nelle tenebre ha visto una gran luce, luce che è spuntata per coloro che giacevano nella regione e nell'ombra della morte» (Is 4, 16); è la chiara indicazione del

capovolgimento che si stava attuando nella storia con la venuta di Gesù, il quale si presentava come la vera Vita per gli uomini e come il vincitore della morte.

Considerata sotto questa luce, la morte acquista il suo vero volto e aggiunge al suo aspetto di fatto ineluttabile, doloroso e definitivo, che ad essa tutti attribuiscono, un nuovo senso di sicurezza serena, di traguardo raggiunto al termine di una fatica, il cui esito si risolve in vittoria. Deposte le proprie giornate nelle mani di Dio, offerti a lui i sacrifici e i godimenti, l'anima cristiana gli si presenta alla fine della vita terrena per restituire anche l'ultimo respiro in una dedizione suprema.

La morte cristiana diventa così un passaggio tranquillo fra i due cicli di vita, quello terreno e quello celeste. Il grande rivelatore della morte è stato Gesù Cristo, che ha recato agli uomini la certezza della vita d'oltretomba, come pure ha portato ai giusti defunti, nel limbo, la grande notizia della Redenzione.

5.  La  morte  nell'Antico  Testamento  

Tra Vecchio e Nuovo Testamento c'è nei confronti dell'aldilà, e quindi della morte, una notevole diversità.

Il primo parla assai poco del nostro destino futuro, dell'esistenza ultraterrena, delle pene e ricompense della vita futura. Lo Sheol di cui parla, è un luogo amorfo, dove tutti si ritrovano in una presenza opaca e senza che si precisi il rapporto di ogni anima con Dio, sebbene Dio sia presente anche là, secondo le parole: «Se io discendo nello Sheol, tu sei là»

(Salmo 138,8).

Di qui anche il “vago” concetto del significato della morte, che il Genesi presenta nel suo carattere di castigo per il peccato: «ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai». (Gen 2, 17) e il Libro della

Sapienza dice: «1 Dicono fra loro sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati. È un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore. Una volta spentasi questa, il corpo diventerà cenere […] 23 Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. 24 Ma la morte è entrata

                                                                                                                         

4  Il  mezzo  alla  vita  siamo  nella  morte.  Da  chi  dobbiamo  cercare  soccorso  se  non  da  Te,  o  Signore?  Che  per  i  nostri  peccati,  giustamente  sei  contrariato.  

Santo  Dio,  Santo  Forte,  o  Santo  e  misericordioso  Salvatore.  Non  ci  dare  una  morte  amara.  In  Te  i  nostri  Padri  hanno  sperato,  e  sperando  li  hai  liberati.  Santo   Dio,  Santo  Forte,  o  Santo  e  misericordioso  Salvatore,  Non  ci  dare  una  morte  amara.  A  Te  hanno  invocato,  i  nostri  Padri  invocarono,  e  non  rimasero  delusi.   Santo  Dio,  Santo  Forte,  o  Santo  e  misericordioso  Salvatore,  Non  ci  dare  una  morte  amara.  Gloria  al  Padre  e  al  Figlio  e  allo  Spirito  Santo:  Santo  Dio,  Santo   Forte,  o  Santo  e  misericordioso  Salvatore,  Non  ci  dare  una  morte  amara.    

5  Noi  comuni  mortali,  celebriamo  l’anniversario  del  giorno  della  nostra  nascita.  E  quando  si  chiede  ai  familiari  la  data  di  nascita  del  familiare  defunto,  essi  

fanno  riferimento  al  giorno  della  nascita.  La  Chiesa  la  pensa  in  maniera  differente.  Per  la  Chiesa  "il  giorno  della  nascita"  dei  suoi  figli  -­‐  il  dies  natalis  –  è  il  

giorno  della  morte.  Questo  spiega  perché  quando  dichiara  un  figlio  della  Chiesa  santo,  stabilisce  –  per  quanto  possibile  -­‐    che  la  memoria  liturgica  sia  

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nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.» (Sap 2, 1-3, 23-24)

Nonostante la serenità della morte dei Patriarchi, tuttavia resta nell'Antico Testamento il senso predominante della morte come fatto luttuoso, che fa paura, che è da fuggire: fatto a cui pochi altri sono paragonabili e che solo è da preferirsi al peccato, al tradimento di Dio. Ma sulla morte non si proietta la luce chiara dell'aldilà.

La difficoltà maggiore che si opponeva a che i giudei comprendessero rettamente il concetto della morte stava forse nella loro mentalità messianica, alimentata anche dalla erronea interpretazione temporalistica delle Scritture. Per questo motivo Gesù dovette insistere anche presso i suoi discepoli perché s'innalzassero a una concezione più spirituale del suo regno nell'aldilà. Ma non sempre essa traspare dal modo di vivere e di pensare dei suoi seguaci. Uno dei discepoli di Emmaus manifesta a Gesù, dopo gli avvenimenti di Gerusalemme, proprio quello che gli ebrei speravano da lui: «Noi speravamo che egli fosse

colui che doveva salvare Israele; invece, dopo tutto questo (la crocifissione), eccoci al terzo giorno che tali cose sono avvenute» (Lc 24, 21). E ancora poco prima dell'Ascensione, «coloro che si

trovavano presenti si legge negli lo interrogavano dicendo: Signore, ricostituirai in questo tempo il regno di Israele?». (Atti (1, 6).

Con questa mentalità si capisce che la prospettiva suprema del giudaismo fosse nella ricostituzione e nella continuità di una dominazione politico-religiosa nell'aldiquà, e che meno aperta fosse l'intelligenza alla concezione della vita eterna e quindi alla comprensione del valore della morte individuale. D'altra parte Dio solo gradualmente e in proporzione alla capacità di recezione umana rivelava la sua verità, comprendente anche il mistero della vita e della morte.

6.  La  morte  nel  Nuovo  Testamento  

Nel Nuovo Testamento l'insegnamento di Gesù Maestro è chiarissimo nel contrapporre l'oggi passeggero al domani duraturo. «Beati voi che avete fame, perché sarete saziati; beati

voi che ora piangete, perché riderete» dice Gesù nel Discorso della Montagna (Lc 6, 21). E nella

parabola del ricco e del povero, mette in bocca ad Abramo le seguenti parole: «Inoltre fra noi e voi esiste un grande abisso, di modo che colui che da qui volesse passare a voi non lo può fare, né dalla parte vostra si può passare a noi» (Lc 16, 26). Analogo riferimento alla morte si ha

nel paragone tratto dall'opposizione fra il giorno e la notte: «è necessario che io compia finché dura il giorno le opere di Colui che mi ha mandato, perché nessuno può lavorare quando viene la notte» (Gv 9, 4).

Nel Nuovo Testamento vi è il concetto della morte come conseguenza del peccato, nello stato precedente della natura umana, mentre, sebbene essa fosse in sé naturale all'uomo, nello stato di giustizia originale egli ne era stato esentato. Il dono dell'immortalità fu perduto col peccato dei progenitori, mentre la morte riprendeva il suo dominio.

«Voi siete figli del diavolo dice Gesù ai farisei suoi avversari e così volete soddisfare i desideri del vostro padre. Egli fu omicida fin da principio e non perseverò nella verità» (Gv 8, 44). Ancora più

esplicito nell'attribuire la morte al peccato di Adamo è San Paolo: «mediante un solo uomo entrò nel mondo il peccato, e col peccato la morte, e in tal modo la morte trapassò tutti gli uomini, perché tutti peccarono» (Rom 5, 12). «Il salario del peccato è la morte» (Rm 6, 22): la morte che è

eterna perdizione. 6

Tuttavia per il cristiano c'è ormai una grande   certezza: egli è stato affrancato dal peccato: « Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore. e ha «per fine la vita eterna», che gli è data come un «dono di Dio... in Cristo

Gesù» (Rm 6: 22-23).

                                                                                                                         

6  Perché  morire  così  presto?  S.  Matilde,  avendo  perduto  un  santo  amico,  diceva  al  Signore:  O  mio  dolcissimo  Iddio  perché  avete  tolto  così  presto  

quest'anima  dal  mondo,  ove  le  sue  parole  e  i  suoi  esempi  avrebbero  potuto  giovare  a  tante  persone?  «  Il  violento  desiderio  ch'egli  aveva  di  possedermi  mi   ci  ha  costretto;  perché,  come  il  bambino  s'attacca  al  seno  della  madre,  così  l'anima  sua  si  è  attaccata  a  me,  e  per  questa  ragione  egli  ha  meritato  di  venire   così  presto  a  riposarsi  meco.  Ma,  perché  egli  doveva  ricevere  tanta  dignità  e  gloria,  fu  mestieri  che  soffrisse  qualche  indugio,  durante  il  quale  io  lo  feci   riposare».  LE  DIVINE  PAROLE"(LDP)  Ossia  quello  che  il  Signore  ha  detto  ai  suoi  discepoli  nel  corso  dei  secoli  cristiani  di  R.P.  Saudreau  domenicano  Casa   Editrice  Masietti  1924  I.      

(6)

7.  Dalla  morte  alla  vita  

Ineluttabile conseguenza del primo peccato, la morte diventa per il cristiano il cammino che lo conduce alla pienezza della sua configurazione a Cristo, poiché, come la morte di lui rappresenta il culmine del mistero della Redenzione, così la morte del fedele costituisce il congiungimento definitivo e pieno col suo Capo e quindi il momento in cui si realizza per lui la   pienezza   intramontabile   della   vita   di   grazia,   trasformata   in   gloria. Non dunque fine della vita, ma ponte della vita, porta del cielo. Nella morte cristiana si attua per i fedeli, nella più vera e profonda realtà personale, il mistero del sacrificio di Cristo, il quale capovolge i luoghi comuni del linguaggio terreno e fa sì che la morte sia l'inizio della vera vita.7

«Per me infatti, esclama San Paolo, la vita è Cristo, e morire è un guadagno» (Fil1, 21). «Ignorate

voi forse che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?»

(Rm 6, 3). Noi siamo stati dunque sepolti con lui mediante il Battesimo nella sua morte,

affinché, come Cristo è risuscitato dai morti mediante la gloriosa potenza del Padre, così anche noi viviamo di una nuova vita.

Se è vero infatti che siamo stati vitalmente connessi con lui mediante una morte che somiglia alla sua, saremo anche una stessa cosa con lui per quel che concerne la risurrezione: « Così pure Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio mette in conto la

giustizia senza opere, dicendo: «Beati quelli le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti.» (Rom. 4, 6-7).

Questa è l'interpretazione mistica che San Paolo dà della morte, la quale, come fatto fisico, quasi svanisce dall'orizzonte cristiano. Ciò che conta è la morte al peccato, avvenuta nel Battesimo e continuata lungo tutta la vita cristiana. «Questo ben sappiamo: che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui (Cristo). Ora, se siamo morti con Cristo, noi crediamo che anche vivremo con lui, poi ché sappiamo che Cristo, risuscitato com'è dai morti, non muore più: la morte non impera più su lui. La morte della quale è morto, è, una volta per sempre, morte che concerne il peccato; ma la vita di cui vive, è vita che concerne Dio. Anche voi dunque consideratevi come morti per quanto concerne il peccato, e come viventi per quanto concerne Dio, in Cristo

Gesù» (Rm 6,6-11).

Questa è la vita che veramente conta, e che vince la morte 8. Gesù la identificava con se

stesso, quando diceva: «Io sono la risurrezione e la vita; chiunque crede in me, quand'anche fosse morto, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà mai» (Gv 11, 25).

Il

Giudizio

«Verrà a giudicare i vivi e i morti», diciamo nel Credo. Questa formula è tra le più antiche del linguaggio cristiano ed era di uso comune nella prima comunità (Atti 10, 42). La troviamo

usata nella prima lettera di Pietro: «Dovranno rendere conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti» (1 Pietro, 4, 5), e nella lettera seconda a Timoteo: «Ti scongiuro davanti a Dio e a

Gesù Cristo, che giudicherà i vivi e i morti.» (II Tim, 4, 4).

Il vero significato è quello letterale: si vuol dire che Gesù sottoporrà al suo giudizio non solo quelli che troverà in vita alla sua venuta, ma anche tutti gli uomini del passato, che hanno già incontrato la morte. Più semplicemente si vuol dire - attraverso l'uso semitico                                                                                                                          

7  I  dolori  che  precedono  la  morte  sono  spesso  un  effetto  della  divina  misericordia.  Il  Signore  fece  comprendere  a  S.  Brigida  che  le  pene  dure  e  umilianti  

che  spesso  i  cristiani  subiscono  in  morte  sono  un  effetto  della  sua  misericordia:  «  Sono  forse  io  stesso  degno  di  disprezzo  perchè  la  mia  morte  fu  dura  e   vergognosa?  I  miei  eletti  sarebbero  essi  degli  insensati  per  aver  sofferto  cose  umilianti?  No,  ma  io  e  i  miei  eletti  abbiamo  sofferto  cose  umilianti,  per   mostrare  colla  parola  e  coll'esempio  che  le  vie  del  cielo  sono  dure  ed  aspre  e  per  far  intendere  ai  cattivi  quanto  essi  abbiano  bisogno  d'essere  purificati,  dal   momento  che  anime  innocenti  dovettero  soffrir  tanto...  Colui  che  amando  Iddio  con  tutto  il  suo  cuore  è  afflitto  da  lunghe  infermità,  vive  e  muore   felicemente,  perchè  la  morte  dura  e  dolorosa  diminuisce  il  peccato  e  la  pena  del  peccato  e  aumenta  le  corone.  (LDP)  

8    Gli  ultimi  momenti  dei  peccatori,  degl'imperfetti  e  dei  perfetti.  

Parole  di  Dio  a  S.  Caterina  da  Siena:  «I  demonii  sono  ministri  incaricati  di  tormentare  i  dannati  nell'inferno  e  di  esercitare  e  provare  la  virtù  delle  anime  in   questa  vita.  La  loro  intenzione  non  è  certamente  di  provare  la  virtù,  perchè  non  hanno  la  carità;  essi  vogliono  distruggerla  in  voi,  ma  non  lo  potranno  mai   fare,  se  voi  non  volete  consentirvi.  «  Ora  considera  la  pazzia  dell'uomo  che  si  rende  debole  per  il  mezzo  appunto  ch'io  gli  avevo  dato  per  esser  forte,  e  che  si   abbandona  da  se  stesso  nelle  mani  del  demonio.  Perciò  voglio  che  tu  sappia  ciò  che  accade  nel  momento  della  morte  a  quelli  che,  durante  la  loro  vita,   hanno  volontariamente  accettato  il  giogo  del  demonio,  il  quale  non  poteva  costringerveli.  «  I  peccatori  che  muoiono  nel  loro  peccato,  non  hanno  altri   giudici  che  se  stessi;  il  giudizio  della  loro  coscienza  basta,  ed  essi  si  precipitano  con  disperazione  nell'eterna  dannazione.  Prima  di  passarne  la  soglia,  essi   l'accettano  per  odio  della  virtù,  scelgono  l'inferno  coi  demonii,  loro  signori.«  All'opposto  i  giusti,  che    vissero  nella  carità,  muoiono  nell'amore.  Quando   viene  il  loro  ultimo  istante,  se  hanno  praticata  perfettamente  la  virtù,  illuminati  dal  lume  della  fede  e  sostenuti  dalla  speranza  del  sangue  dell'Agnello;   veggono  il  bene  che  io  ho  loro  apparecchiato,  e  colle  braccia  dell'amore  lo  abbracciano  stringendo  con  strette  d'amore  me  sommo  ed  eterno  bene   nell'ultima  estremità  della  morte.  E  così  gustano  vita  eterna»  (Dialogo,  c.  XLII).  (LDP)  

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del binomio di totalità, che indica l'intero mediante la distinta elencazione delle parti (per esempio "il cielo e la terra", per dire "tutto") - che «sarà giudicata tutta l'umanità, senza alcuna eccezione».

Oltre l'universalità delle persone, la Rivelazione ci parla di una «universalità dei fatti umani, niente di ciò che è umano sfuggirà alla valutazione del giudice».

• Non si dovranno offrire vuote frasi adulatrici. Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: «Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità» (Matteo, 21-23),

• ma si dovrà presentare la totalità delle opere compiute: «Perché il Figlio dell'uomo

verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua». (Matteo, 16, 27); :

• « Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere: vita eterna a quelli che con perseveranza

nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità; ma ira e indignazione a quelli che, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla verità ubbidiscono all'ingiustizia» (Rom, 2, 6-8) ; «Noi

tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male» (2 Cor, 5, 10);

• e non solo sulle opere saremo giudicati, ma anche sulle parole: «Non giurare neppure

per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero» (Matteo, 12,

36),

• sulle omissioni : «Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del

Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna». (Matteo, 25, 34-46),

• sui pensieri segreti: «Anzi, neppur giudico me stesso: io, infatti, non ho coscienza di

alcuna infedeltà» (1 Cor, 4, 5).

Nelle pagine della Bibbia troviamo ricordati alcuni elementi che entrano a comporre la scenografia del giudizio, in un quadro che ha sempre eccitato la fantasia, ma che chiede piuttosto di essere letto, anche nei particolari pittoreschi, secondo il suo vero significato concettuale.

Il profeta Gioele colloca il giudizio in una misteriosa "Valle di Giosafat" (Gioele, 4, 2), solo

tardivamente - a partire dal IV secolo dopo Cristo - identificata con la “Valle del Cedron”, a sud-est della spianata del tempio. Ancora oggi arabi ed ebrei ambiscono essere seppelliti sull'uno e sull'altro versante dell'avvallamento, per essere più pronti a rispondere all'ultimo appuntamento. In realtà il nome ci rivela con molta chiarezza nella sua composizione la sua natura simbolica: Giosafat significa Jahvè giudica. Del resto, poco più avanti lo stesso profeta usa un altro nome, ugualmente significativo: "Valle della Decisione" (Gioele, 4, 14).

Il nostro mondo è caratterizzato da una quasi totale discordanza tra i valori reali e la loro esterna apparenza, sicché non è di solito possibile assegnare agli uomini e alle cose il giusto prezzo che hanno in faccia a Dio.

Questa discordanza ha raggiunto il grado sommo - e ne è stata condannata - al momento dell'uccisione del Figlio di Dio: «Ora grazie a lui voi siete in Cristo Gesú, il quale da Dio è stato

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fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione», (1 Corin, 1, 30), "è stato annoverato

tra i malfattori" «Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori.» (Isaia, 53, 12).

L'esecuzione di Gesù fuori della porta di Gerusalemme, cioè "fuori della vigna" che era la sua eredità, raffigura e avvera la sconfitta di Dio, che oggi appare come estromesso dal mondo che è suo. Dio è sconfitto, e non tanto dall'uomo che pecca, quanto dall'uomo che, peccando, appare bello, forte, felice, soddisfatto; mentre colui che, tentando di conformarsi alla volontà del Padre, incontra la derisione, la sofferenza, la morte, è associato al mistero della sconfitta del suo Creatore.

Il   momento   del   giudizio   è   appunto   la   fine   di   questo   stato   irrazionale   e   blasfemo. Esso perciò

consisterà essenzialmente nella brusca lacerazione del velo della esteriorità, così che tutta la creazione appaia "nuda e aperta" agli occhi di tutti, come è nuda e aperta da sempre agli occhi di Dio:«Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto.» (Ebrei, 4, 12-13). Il suono della tromba finale - particolare del quadro che

significativamente ritorna sempre nelle descrizioni bibliche della fine - farà crollare la scena di questo mondo come le trombe di Giosuè squassarono, lasciandole diroccate, le mura di Gerico (Giosuè, 6, 20), e ciascuno sarà visto con la sua interiore ricchezza o con la sua

interiore miseria.

Gesù sarà l'unico punto di riferimento dal quale tutto sarà misurato: per questo egli sarà il "giudice". Allora finalmente sarà rovesciato il ricamo della nostra storia, e si potranno contemplare nella loro piena evidenza la bontà, l'armonia, la saggezza del disegno condotto a compimento da Dio.

Su quale legge saremo giudicati? Certo, saremo giudicati sulla nostra fedeltà alla legge di Dio, perché Gesù non ha abrogato il decalogo, il quale resta per gli uomini di tutti i tempi il codice di comportamento. Ma, poiché il Signore stesso ha chiarito che la legge di Dio ha come compendio, come anima, come significato sostanziale l'amore di Dio sopra ogni altro amore e l'amore del prossimo, come inveramento concreto dell'amore di Dio, possiamo ben dire che "all'ultimo dei giorni - come si esprime san Giovanni della Croce - «saremo  

giudicati  sull'amore».    

"Tutti risorgeranno - dice il concilio Lateranense quarto - con i loro propri corpi, gli stessi che possiedono ora". È un'affermazione categorica, ma in fondo non è che l'insegnamento della Sacra Scrittura: «Da Dio ho ricevuto queste membra; queste per le sue leggi disprezzo; queste da lui spero di avere di nuovo», dice il terzo dei fratelli prima del martirio, nella narrazione del secondo libro dei Maccabei (2 Mac 7, 11). E Paolo: «È necessario che questo corpo

corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1 Cor, 15, 53).

Cristo stesso - archetipo degli uomini che rinascono dalla morte - riprende dal sepolcro lo stesso corpo che è stato spento sul Calvario. Del resto, l'ipotesi di una risurrezione con un corpo diverso rivela una concezione dell'uomo che neppure sul piano di un'antropologia puramente razionale possiamo accettare. Tale ipotesi suppone infatti che l'anima stia nel corpo come una spada nel fodero; e che, come la spada, possa tranquillamente cambiare di fodero senza per questo mutare essa stessa.

San Tommaso invece giustamente sostiene che l'anima intellettiva è l'unica "forma sostanziale" dell'uomo, perciò altre ipotesi sono non solo teologicamente errate, ma anche filosoficamente assurde per cui: non  solo  risorgeremo  con  il  nostro  identico  corpo,  ma  neppure  

possiamo  risorgere  con  un  corpo  diverso. 9

Equità  del  Giudizio  finale  

                                                                                                                         

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Allo spettacolo della gloria e della felicità degli eletti cui si sono privati, i dannati sentiranno crescere la loro pena e la loro confusione.10 Nel loro corpo appariranno i segni

dei peccati commessi e i supplizi che avranno meritato. In quella parola, che essi udranno terribile: «Andate, maledetti, nel fuoco eterno», l'anima e il corpo andranno a dimorare con i demoni senza alcun rimedio di speranza, in quel luogo ognuno porterà le sue iniquità. L'avaro vi arderà insieme con la sua passione dei tesori della terra, il   crudele con la sua crudeltà, l'immondo con l'immondizia e miserabile concupiscenza, l'ingiusto con le sue ingiustizie, l'invidioso con l'invidia, chi   odia   il   suo   prossimo con il suo odio. Quelli che si saranno amati di quell'amore disordinato che provoca tutti i mali, perché insieme con l'orgoglio che è il principio di tutti i vizi, saranno divorati da un fuoco intollerabile.11

L’Inferno  

«Stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati» (CCC 1031). I malvagi

saranno separati dalla comunità dei giusti e consegnati al potere dei demoni, «E costoro andranno all'eterno supplizio» (Mt 25,46); e lì staranno per sempre tra lutti e lamenti, lontano

dalle gioie del Paradiso; non riceveranno mai alcun refrigerio. I dannati vivranno sempre senza speranza di perdono e di misericordia.12 È tremendo l'inferno ma ancora di più il volto

irato del Giudice; ciò che poi sorpassa ogni terrore è la lontananza eterna dalla visione della beatissima Trinità. L'essere privati dai beni eterni ed esclusi da ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano causa tanta afflizione che, anche se non ci fosse alcun altro tormento esteriore, questa pena basterebbe da sola.

I  quattro  principali  supplizi  dell'inferno.  

«Figlia mia, disse Iddio a S. Caterina da Siena, la lingua non è sufficiente a narrare la pena di queste anime tapinelle. Vi sono tre vizi principali: Amor proprio di sé, d'onde esce il secondo, cioè la propria riputazione, e dalla propria riputazione procede il terzo, cioè la superbia, con falsa ingiustizia e crudeltà, e con altri immondi e iniqui peccati, che dopo questi seguitano. Così ti dico che nell'inferno vi sono quattro tormenti principali, ai quali seguitano tutti gli altri tormenti.»

Il  primo  è  che  i  dannati  si  veggono  privati  della  mia  visione, che per loro è pena così grande che, se loro fosse possibile, eleggerebbero piuttosto il fuoco e i crociati tormenti e vedere me, anziché stare fuori delle pene e non vedermi. «Questa pena ne produce una  seconda,  che  è  il   verme   della   coscienza   che   la   rode   incessantemente». Il dannato vede che, per colpa sua, si è privato della mia vista e della compagnia degli angeli e che si è reso degno della compagnia e della vista del demonio. «Questa  vista  del  demonio  è  la  terza  pena», e questa pena

raddoppia la sua sventura perché vedendolo essi si conoscono maggiormente e comprendono quello che meritarono colle loro colpe. «Allora il verme della coscienza li rode

                                                                                                                         

10  Giudizio  delle  anime  peccatrici.  Istruzioni  divine  date  a  S.  Caterina  da  Siena:  «  Il  peccatore  non  ha  scusa,  perocché  è  ripreso  e  gli  è  mostrata  la  verità  

continuamente.  Onde  s'egli  non  si  correggerà,  quando  è  ancor  tempo,  sarà  condannato  nella  seconda  riprensione,  la  quale  si  farà  nell'ultima  estremità   della  morte,  dove  grida  la  mia  giustizia:  Surgite  mortui,  venite  ad  iudicium,  cioè,  tu  che  sei  morto  alla  grazia,  e  morto  giungi  alla  morte  corporale,  levati  su,  e   vieni  dinanzi  al  Sommo  Giudice  con  la  ingiustizia  e  falso  giudizio  tuo,  e  col  lume  spento  della  fede,  il  qual  lume  traesti  acceso  dal  santo  battesimo,  e  tu  lo   spegnesti  al  vento  della  superbia  e  vanità  del  cuore,  del  quale  facevi  vela  ai  venti,  ch'erano  contrari  alla  salute  tua;  il  vento  della  propria  riputazione  nutrivi   colla  vela  dell'amor  proprio.  Onde  correvi  per  lo  fiume  delle  delizie  e  stati  del  mondo  colla  propria  volontà,  seguitando  la  fragile  carne  e  le  molestie  e  le   tentazioni  del  demonio.  Il  quale  demonio  con  la  vela  della  tua  propria  volontà  t'ha  menato  per  la  via  di  sotto,  la  quale  è  un  fiume  corrente.  Onde  t'ha   condotto  con  lui  all'eterna  dannazione  »  (Dialogo,  xxxvi).  (LDP)  

11  è  giusto  che  il  corpo  risusciti  per  partecipare  alla  pena  o  alla  ricompensa.  Nel  Dialogo  di  S.  Caterina  da  Siena  si  leggono  questi  insegnamenti  dati  

dall'Eterno  Padre:  «  Ogni  operazione  buona  o  cattiva  è  fatta  col  mezzo  del  corpo.  E  però  giustamente,  figliuola  mia,  è  renduto  ai  miei  eletti  gloria  e  bene   infinito  col  corpo  loro  glorificato,  perchè  il  corpo  e  l'anima  siano  ricompensati  entrambi  delle  fatiche  che  per  me  sopportarono  insieme.  Così  agli  iniqui  sarà   renduta  pena  eternale  col  mezzo  del  corpo  loro,  perchè  esso  fu  strumento  del  male;  il  loro  supplizio  si  rinnoverà  e  aumenterà  quando  ripiglieranno  il  loro   corpo  in  presenza  del  mio  Figliuolo.  «  La  loro  miserabile  sensualità  coll'immondizia  sua  riceverà  riprensione  in  vedere  la  natura  umana  unita  in  Gesù  Cristo   alla  purezza  della  divinità,  scorgendo  la  carne  d'Adamo  sopra  tutti  i  cori  degli  angeli,  mentre  essi  per  i  loro  difetti  si  veggono  profondati  nel  baratro   dell'inferno.  E  veggono  la  larghezza  e  la  misericordia  rilucere  nei  beati,  ricevendo  il  frutto  del  sangue  dell'Agnello,  e  veggono  le  pene  ch'essi  hanno  portate,   che  tutte  stanno  per  adornamento  nei  corpi  loro,  sì  come  la  fregiatura  sopra  del  panno,  non  per  virtù  del  corpo,  ma  solo  per  la  plenitudine  dell'anima,  la   quale  rappresenta  al  corpo  il  frutto  della  fatica,  perchè  fu  compagno  con  lei  ad  operare  la  virtù.  Questa  ricompensa  è  visibile,  e  appariste  sul  corpo  come  la   faccia  dell'uomo  si  riflette  in  uno  specchio  »  (Dialogo,  c.  XLII).    

12  La  pena  misurata  secondo  il  peccato.  Dio  Padre  disse  a  S.  Caterina  da  Siena:  «  La  mia  giustizia  esige  ch'io  proporzioni  la  pena  all'offesa.  Perciò  il  

cattivo  cristiano  è  punito  più  assai  che  il  pagano.  Il  fuoco  terribile  della  mia  vendetta,  che  arde  senza  consumare,  lo  tortura  maggiormente  e  il  verme   roditore  della  coscienza  lo  divora  più  profondamente.  Quali  si  siano  i  loro  tormenti,  i  dannati  non  possono  perdere  l'essere,  chiedono  la  morte  senza  poter   ottenerla,  il  peccato  loro  non  toglie  che  la  vita  della  grazia.  Sì,  il  peccato  è  più  punito  dopo  la  Redenzione  che  prima,  perché  gli  uomini  hanno  ricevuto  di   più.  I  peccatori  disgraziati  non  ci  pensano»  (LDP)    

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più crudelmente e li divora come un fuoco insaziabile. Ciò che rende questa pena terribile si è ch'essi veggono il demonio nella sua realtà, e la sua figura è così spaventosa che l'immaginazione dell'uomo non potrebbe mai concepirlo.» «Il   quarto   supplizio   dell'inferno   è   il   fuoco. Questo fuoco arde e non consuma, perocchè l'anima non si può consumare. L'essere suo non è cosa materiale, che possa essere consumata dal fuoco, poiché è incorporea; ma, giustizia vuole che questo fuoco la arda e la torturi senza distruggerla, e questo supplizio è in rapporto con la diversità e la gravità delle sue colpe. «Questi quattro principali tormenti sono accompagnati da molti altri, come dal freddo, dal caldo e dallo stridore di denti. Ecco come saranno puniti quelli che, dopo essere stati convinti d'ingiustizia e di errore durante la loro vita, non si saranno convertiti e, nell'ora della morte, non avranno voluto sperare in me e piangere l'offesa che mi avevano fatta, più che la pena che avevano meritata» (Dialogo, XXXVIII LDP).

L'odio  eterno.  

«Egli è tanto l'odio ch'essi hanno, che non possono volere né desiderare verun bene, ma sempre mi bestemmiano. E sai perché essi non possono desiderare il bene? Perché, finita la vita dell'uomo, è legato il libero arbitrio; per la qual cosa non possono meritare, perduto che hanno il tempo. Se essi finiscono in odio colla colpa del peccato mortale, sempre per divina giustizia sta legata l'anima col legame dell'odio, e sempre sta ostinata, in quel male ch'ella ha, rodendosi in se medesima e aumentando la sua pena colle pene di quelli per cui ella fu causa di dannazione.

«Il ricco malvagio chiedeva di grazia che Lazzaro andasse a' suoi fratelli i quali erano rimasti nel mondo ad annunziare le pene sue. Questo già non faceva per carità, né per compassione dei fratelli, perocché egli era privato della carità, e non poteva desiderare bene né in onore di me, né in salute loro. Perché già t'ho detto che i dannati non possono voler alcun bene al prossimo e mi bestemmiano, perché la loro vita finì nell'odio di me e della virtù. «Ma perché dunque il faceva? Facevalo, perché egli era stato il maggiore e avevali nutriti nelle miserie; in cui egli era vissuto. Sicché egli era cagione della dannazione loro e temeva di vedersi crescere la sua pena, dovendo i loro tormenti aggiungersi a' suoi; perché quelli che muoiono nell'odio eternamente si divorano fra loro nell'odio» (Dialogo, c. x. LDP).

Il  Purgatorio,  realtà  escatologica.

La sua esistenza è confermata dalla Bibbia: Giuda Maccabeo ha raccolto le truppe Israeliane e costringe alla fuga l'esercito nemico:« Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per

circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.» (2Mac 12,

43-45). San Paolo: «Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore,

legno, fieno, paglia, l'opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l'opera di ciascuno. Se l'opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l'opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco.» (1 Cor 3, 12-15).

È una dimensione temporanea delle anime che durerà solo fino al Giudizio Universale, prima della resurrezione della carne. In Purgatorio, le anime dei giusti saldano il loro debito nei confronti della Giustizia divina subendo pene purificatrici molto dolorose, è bene sottolineare che la purificazione del Purgatorio non verte sulla colpa, ma sulla pena. Se il perdono divino concesso all'anima pentita cancella la colpa, non fa sparire altresì la pena, e per mezzo dell'espiazione l'uomo ripara al disordine causato dai suoi peccati. Qui, l'anima subisce la pena sotto la forma di una penitenza volontaria e meritoria; nell'altro mondo, sotto la forma di una purificazione obbligatoria.

Il Concilio ecumenico di Firenze (1438-1445) definisce come verità di fede non solo l'esistenza del Purgatorio, ma anche la possibilità che le anime purganti possano essere liberate anzitempo grazie ai suffragi dei fedeli viventi.

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Sommo bene che avranno "coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati" (CCC 1023) Il Paradiso è l'amore eterno dove la sete di felicità trova la

sua perfetta estinzione. La gioia del Paradiso può essere già parzialmente sperimentata su questa terra quando si è in intimità con Gesù e in grazia di Dio, nelle azioni e nelle intenzioni. La dottrina cattolica e la Bibbia insegnano che in Paradiso c'è una distinzione di gloria, secondo il grado di santità personale che ciascuno ha realizzato nella propria vita. Altro è lo splendore di San Francesco o di un martire che ha effuso il proprio sangue per amore di Dio, altro quello di chi è stato salvato per misericordia.

Il  dinamismo  escatologico  della  grazia  

Senza l'apertura e corrispondenza dall'interno, la porta del cuore non si apre e Gesù non entra nel cuore.

Si racconta che l'autore del quadro, un tempo riprodotto nelle immagini che davano a noi fanciulli, dove è dipinta la porta di una casa col Signore che bussa, quando ebbe finito il suo lavoro, stava contemplandolo insieme al figlioletto. E questi domandò al padre: Papà, come vuoi che quel signore apra la porta, se non c'è la maniglia? (E difatti nella vecchia immaginetta la porta è senza maniglia) E il babbo rispose: «Vedi, quella è una porta che si apre soltanto dall'interno, è la  porta  del  cuore: non c'è maniglia per aprirla dall'esterno. Il Signore del resto, non è prepotente. Non vuole sfondare la porta. Chiede che gli apriamo dal di dentro, cedendo liberamente e amorosamente al suo invito».

Momento per momento della vita che passa, il Signore picchia alla porta e chiede di entrare.

Se a un certo momento l'anima gli apre, nel momento successivo Gesù bussa con un altro colpo, dolcemente e fortemente: e se l'anima apre, realizza un nuovo aumento di grazia. è la cosiddetta «grazia   del   momento   presente»: cioè la grazia, l'aiuto, il dono di vita, di luce soprannaturale, offerto momento per momento all'anima, perché possa svolgere tutta la sua vita in un crescendo continuo di vita divina. Questo sviluppo immanente alla vita spirituale, come a quella fisica, importa di per sé un progresso continuo, che significa la crescente realizzazione della presenza di Cristo in noi fino alla pienezza. Perciò in ogni momento di grazia che si realizza, è già immanente la tendenza alla pienezza finale che si avrà, come grazia, nel momento della morte, e come gloria in cui matura la grazia nell'aldilà, in Cielo.

Quando Gesù dice: «Ecco, io sto alla porta e busso» , le sue parole riguardano le richieste e le offerte di grazia che ci vengono fatte, momento per momento, lungo tutta la vita, ma già includente l'ultimo colpo bussato alla nostra porta, nell'ora della morte, quando si ha la realizzazione finale dello sviluppo della grazia della terra e il passaggio alla pienezza della gloria in Cielo.

Gesù bussa alla porta e viene momento per momento nei nostri giorni mortali, seguendo il succedersi del tempo. Ma è già l'eternità che s'inoltra in noi. Noi cristiani abbiamo, tra tutti gli uomini, il privilegio di sapere che l'eternità la portiamo già in noi.

A coloro che non hanno la grazia di Dio ma è impossibile giudicare su questa partecipazione alla vita divina nella grazia; anche per coloro che vivono fuori dei confini visibili del cristianesimo, dove c'è da sperare, e forse da credere, che moltissimi, se non tutti, ricevano la grazia del Signore o siano in preparazione di riceverla sono persone che si direbbero incluse nel tempo che passa in modo irrimediabile.

Nella misura in cui si introduce nell'uomo la grazia del Signore, il tempo cessa di essere la regola, la misura della sua vita, perché, almeno per partecipazione, egli è già nell'eternità, che matura sempre più in lui stesso, e misura la sua «vita nuova» (Rom 6, 4), che è una

partecipazione dell'eternità.  

     

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La Parola ai lettori

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