-
Il forum di bioetica vuole suscitare un interesse culturale sui principi fondanti della bioetica e aprire il dibattito sui dilemmi etici dell’epoca moderna
INDICE
Principi e Dilemmi di bioetica
Per tutti ci sarà un giudizio finale. I Novissimi,
di Paolo RossiLa Morte:
1. Realtà fisica della morte. 2. Valore morale della morte (giudizio della coscienza, la voce di Dio) 3. Concetto cristiano della morte. 4. Gesù rivelatore della morte. 5. La morte nell'Antico Testamento. 6. La morte nel Nuovo Testamento. 7. Dalla morte alla vita
Il Giudizio:
particolare e universale, i peccati che accusano, la giustizia che sgomenta.
Equità del giudizio finale
L’inferno:
i principali supplizi; l’odio eterno; rabbia dei dannati
Purgatorio realtà escatologica
Paradiso: Il dinamismo escatologico della grazia
BIOETICA
NEWSLETTER n. 145
F
E B B R A I O–
2017
I
N
O V I S S I M II
N F E R N OG
I U D I Z I OP
A R A D I S OFORUM
di
Per tutti ci sarà un giudizio finale
I Novissimi
di Paolo Rossi
I Quattro Novissimi sono: morte, giudizio, inferno (purgatorio), paradiso 1
La Morte
È l'ultima cosa che accade alla persona in questa vita. Con essa termina il tempo di prova sulla terra. La sanzione definitiva della sua corrispondenza o meno alla volontà di salvezza di Dio manifestata mediante Cristo si ha già nel giudizio particolare e viene confermata nel giudizio universale.
1. Realtà fisica della morte
La morte da un punto di vista fisiologico è la separazione dell'anima e del corpo: strappo violento, che urta la natura umana, desiderosa della propria unità.
L'uomo perciò rifugge dalla morte. Essa gli fa paura, spesso egli ne ha orrore. Anche il libertino trema quando la vede avvicinarsi. Con la morte non si scherza. Sarebbe stolto non tremare. La morte è una cosa seria: la cosa più seria della vita, umanamente parlando. Una cosa a cui vale la pena di pensare.
La paura di morire nasce principalmente dal nostro desiderio positivo di vivere, di esserci, di esistere. Abbiamo paura che tutto finisca, perché infondo siamo attaccati alla vita con forza, sostenuta dall’istinto di sopravvivenza 2.
È evidente che non hai paura di perdere cose di poco valore, cose che per te non contano e la paura di morire è la paura di perdere la cosa più preziosa che esista.3
1 Il termine Novissimi è una traslitterazione del latino novissĭma, "cose ultime"; il corrispondente termine greco è ἔσχατα, éschata.
2 Le reazioni istintive sono specifiche per tutti gli individui appartenenti a una stessa specie, e si assomigliano per specie simili: così l’istinto alla
nidificazione negli uccelli, alla costruzione delle celle nelle vespe ecc. Pur mancando però la consapevolezza della realizzazione dell’atto istintivo, si richiede, per quest’ultimo, l’intervento di altre attività psichiche, soprattutto della memoria (così nei nidi pluriloculari, gli animali sanno dove sono le celle contenenti l’uovo). Nell’uomo, per quanto presente, il patrimonio istintivo è più scarso e ha meno influenza sulla condotta perché mascherato, nell’adulto, dallo sviluppo maggiore dell’intelligenza. L’istinto di autoconservazione è predisposto al mantenimento dell’individuo. Vi rientrano l’istinto di nutrizione, le regolazioni istintive che assicurano l’esistenza del neonato, l’istinto di aggressione, ripulsione, fuga. L’istinto di gregge (o sociale) è comune sia agli uomini sia agli animali; esso spinge l’individuo a cercare la convivenza con i suoi simili. Rientra in questa categoria la partecipazione affettiva istintiva, o simpatia, comune anche fra individui di specie diverse, come fra uomo e cane. L’istinto sessuale permette la realizzazione dell’impulso sessuale e, insieme all’istinto materno, assicura il mantenimento e la conservazione della specie; è presente anche prima della pubertà, benché si esprima solo come componenti parziali, per es. la dedizione amorosa, tendenze sadiche o masochistiche di alcuni bambini, o sotto forma di curiosità sessuale. Connesso, ma diverso, è l’istinto di potenza e autoaffermazione, di notevole importanza anche nell’istinto sociale, poiché crea in quell’ambito una gerarchia secondo la legge del più forte;
3 san Giovanni XXIII nel dicembre 1955 diceva: «La mia morte, la vostra quando verrà ? Non è poi così triste il pensarci:
diventa soave la vita con il familiarizzarci al pensiero della morte».
Dice la Didaché «Cercate ogni giorno il volto dei santi, ossia di coloro la cui esistenza risplende della verità infinita, più appagante di ogni piccola scintilla o abbaglio. Perché senza una verità divina ma umana non è possibile sconfiggere la distrazione a cui siamo potentemente indotti» (non a caso solo il cristianesimo ha potuto superare l’idolatria presente nelle altre religioni) e quindi la smania di possesso delle piccole cose. Non è dunque a forza di rinunce, in questo caso dallo shopping, che si vince l’idolo, ma solo quando il sacrificio dell’effimero è pedagogicamente usato come spazio lasciato alla memoria e all’invocazione e quindi al ritorno continuo alla presenza di Cristo incarnato.
2. Valore morale della morte
Da un punto di vista morale e fisiologico la morte è un passo decisivo. È la conclusione di tutta una vita. Allora cadono tutte le maschere. Non vi è possibilità di produrre degli alibi. Tutto viene in chiaro. Su quel culmine dell'esistenza umana verrà pronunciato un solenne giudizio:
a) giudizio della coscienza, che adunerà tutto il raccolto di una vita, e ne discernerà con chiarezza la qualità, ne giudicherà il valore, positivo o negativo. Quaggiù la coscienza è spesso assonnata, o distratta, o travolta. Ma in quell'ora ci sarà un perfetto raccoglimento. Per un istante l'anima non sentirà che voci intime. Nemmeno i canti degli angeli o le urla dei demoni prevarranno sulla sua interiore parola. L'anima giudicherà se stessa, in base a quella legge morale che in essa si è sempre manifestata con norme precise e indiscutibili, più forti dell'uomo. Nell'ora della morte formulerà finalmente un esatto giudizio sull'osservanza di quelle norme;
b) la voce di Dio. Nell'ordine eterno che abbraccia e regola la vita dell'uomo, vi è un verdetto infallibile che riguarda ognuno di noi. Quale sarà? L'ora della morte sarà l'ora della grande scoperta. Vedremo allora il nostro destino. Anche per questo c'è ragione di prendere la morte molto seriamente.
Non c'è da illudersi; non si può passar sopra questo pensiero alla leggera. Che cosa significherà per me, per te, per ognuno di noi, la voce di Dio finalmente risuonante in modo chiaro, evidente, indiscutibile nella nostra coscienza per dare il giudizio definitivo sulla nostra vita? E che cosa porterà con sé quel giudizio? Che cosa pensa di noi Dio? Che cosa rivelerà il nostro spirito nel primo incontro con lui?
In realtà queste domande che riguardano i «novissimi» dovrebbero dominare tutta la nostra vita. E la nostra vita non dovrebbe essere altro che preparazione all'ultima ora.
3. Concetto cristiano della morte
C'è anche il punto di vista cristiano sulla morte: è una visione nuova, più serena. Da quando Cristo è risorto, non è la morte, come tale, l'ultimo termine del cammino umano; essa non è la fine della vita, ma il ponte della vita. Se Cristo è risorto, il trionfo non è della morte, ma della vita.
«Vittoria finale: «Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d'incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d'immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?. Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore». (1 Cor 15, 51-58).
Distrutto il peccato, è distrutta la radice della morte. Essa non può imperare definitivamente sull'uomo. Essa anzi è diventata il valico della Vita vera, che è quella eterna. La vita quaggiù è vera morte, dicevano i Santi medioevali. Media vita in morte
sumus. Quando San Tommaso partecipava al canto di questa antifona nella Compieta quaresimale, si scioglieva in lacrime.
Quella che si suole chiamare morte, in realtà è l'inizio della vera Vita. 4 Essa è l'abbraccio
con Dio, il ritorno alla casa paterna, l'ingresso nel Regno celeste, il definitivo compimento in noi dei misteri di Cristo. Dal Battesimo alla morte una sola linea lega e sorregge tutta la vita cristiana. 5 Il Battesimo è la rinascita dell'uomo in Cristo, la morte è un sonno in Cristo
e con Cristo: «obdormivit in Domino», si dice dei Santi. Cristo riproduce nella nostra morte il mistero della sua morte, che porta già in sé la forza della Risurrezione. Il Battesimo è la nascita alla vita eterna nella fase terrestre, nel tempo di prova; la morte lo è nella fase definitiva, quella del cielo. La morte per il cristiano è come il Battesimo dell'eternità.
Il Battesimo dà la «prima» grazia; la morte è la maturazione definitiva di questa grazia, è anzi l'ora dell'ultima e più completa grazia, la perseveranza finale.
4. Gesù rivelatore della morte
L'inizio della predicazione di Cristo, dopo gli anni del nascondimento di Nazareth e le tentazioni nel deserto, è commentato dall'evangelista San Matteo con queste parole del profeta Isaia: «Il popolo che giaceva nelle tenebre ha visto una gran luce, luce che è spuntata per coloro che giacevano nella regione e nell'ombra della morte» (Is 4, 16); è la chiara indicazione del
capovolgimento che si stava attuando nella storia con la venuta di Gesù, il quale si presentava come la vera Vita per gli uomini e come il vincitore della morte.
Considerata sotto questa luce, la morte acquista il suo vero volto e aggiunge al suo aspetto di fatto ineluttabile, doloroso e definitivo, che ad essa tutti attribuiscono, un nuovo senso di sicurezza serena, di traguardo raggiunto al termine di una fatica, il cui esito si risolve in vittoria. Deposte le proprie giornate nelle mani di Dio, offerti a lui i sacrifici e i godimenti, l'anima cristiana gli si presenta alla fine della vita terrena per restituire anche l'ultimo respiro in una dedizione suprema.
La morte cristiana diventa così un passaggio tranquillo fra i due cicli di vita, quello terreno e quello celeste. Il grande rivelatore della morte è stato Gesù Cristo, che ha recato agli uomini la certezza della vita d'oltretomba, come pure ha portato ai giusti defunti, nel limbo, la grande notizia della Redenzione.
5. La morte nell'Antico Testamento
Tra Vecchio e Nuovo Testamento c'è nei confronti dell'aldilà, e quindi della morte, una notevole diversità.
Il primo parla assai poco del nostro destino futuro, dell'esistenza ultraterrena, delle pene e ricompense della vita futura. Lo Sheol di cui parla, è un luogo amorfo, dove tutti si ritrovano in una presenza opaca e senza che si precisi il rapporto di ogni anima con Dio, sebbene Dio sia presente anche là, secondo le parole: «Se io discendo nello Sheol, tu sei là»
(Salmo 138,8).
Di qui anche il “vago” concetto del significato della morte, che il Genesi presenta nel suo carattere di castigo per il peccato: «ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai». (Gen 2, 17) e il Libro della
Sapienza dice: «1 Dicono fra loro sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati. È un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore. Una volta spentasi questa, il corpo diventerà cenere […] 23 Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. 24 Ma la morte è entrata
4 Il mezzo alla vita siamo nella morte. Da chi dobbiamo cercare soccorso se non da Te, o Signore? Che per i nostri peccati, giustamente sei contrariato.
Santo Dio, Santo Forte, o Santo e misericordioso Salvatore. Non ci dare una morte amara. In Te i nostri Padri hanno sperato, e sperando li hai liberati. Santo Dio, Santo Forte, o Santo e misericordioso Salvatore, Non ci dare una morte amara. A Te hanno invocato, i nostri Padri invocarono, e non rimasero delusi. Santo Dio, Santo Forte, o Santo e misericordioso Salvatore, Non ci dare una morte amara. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo: Santo Dio, Santo Forte, o Santo e misericordioso Salvatore, Non ci dare una morte amara.
5 Noi comuni mortali, celebriamo l’anniversario del giorno della nostra nascita. E quando si chiede ai familiari la data di nascita del familiare defunto, essi
fanno riferimento al giorno della nascita. La Chiesa la pensa in maniera differente. Per la Chiesa "il giorno della nascita" dei suoi figli -‐ il dies natalis – è il
giorno della morte. Questo spiega perché quando dichiara un figlio della Chiesa santo, stabilisce – per quanto possibile -‐ che la memoria liturgica sia
nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.» (Sap 2, 1-3, 23-24)
Nonostante la serenità della morte dei Patriarchi, tuttavia resta nell'Antico Testamento il senso predominante della morte come fatto luttuoso, che fa paura, che è da fuggire: fatto a cui pochi altri sono paragonabili e che solo è da preferirsi al peccato, al tradimento di Dio. Ma sulla morte non si proietta la luce chiara dell'aldilà.
La difficoltà maggiore che si opponeva a che i giudei comprendessero rettamente il concetto della morte stava forse nella loro mentalità messianica, alimentata anche dalla erronea interpretazione temporalistica delle Scritture. Per questo motivo Gesù dovette insistere anche presso i suoi discepoli perché s'innalzassero a una concezione più spirituale del suo regno nell'aldilà. Ma non sempre essa traspare dal modo di vivere e di pensare dei suoi seguaci. Uno dei discepoli di Emmaus manifesta a Gesù, dopo gli avvenimenti di Gerusalemme, proprio quello che gli ebrei speravano da lui: «Noi speravamo che egli fosse
colui che doveva salvare Israele; invece, dopo tutto questo (la crocifissione), eccoci al terzo giorno che tali cose sono avvenute» (Lc 24, 21). E ancora poco prima dell'Ascensione, «coloro che si
trovavano presenti si legge negli lo interrogavano dicendo: Signore, ricostituirai in questo tempo il regno di Israele?». (Atti (1, 6).
Con questa mentalità si capisce che la prospettiva suprema del giudaismo fosse nella ricostituzione e nella continuità di una dominazione politico-religiosa nell'aldiquà, e che meno aperta fosse l'intelligenza alla concezione della vita eterna e quindi alla comprensione del valore della morte individuale. D'altra parte Dio solo gradualmente e in proporzione alla capacità di recezione umana rivelava la sua verità, comprendente anche il mistero della vita e della morte.
6. La morte nel Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento l'insegnamento di Gesù Maestro è chiarissimo nel contrapporre l'oggi passeggero al domani duraturo. «Beati voi che avete fame, perché sarete saziati; beati
voi che ora piangete, perché riderete» dice Gesù nel Discorso della Montagna (Lc 6, 21). E nella
parabola del ricco e del povero, mette in bocca ad Abramo le seguenti parole: «Inoltre fra noi e voi esiste un grande abisso, di modo che colui che da qui volesse passare a voi non lo può fare, né dalla parte vostra si può passare a noi» (Lc 16, 26). Analogo riferimento alla morte si ha
nel paragone tratto dall'opposizione fra il giorno e la notte: «è necessario che io compia finché dura il giorno le opere di Colui che mi ha mandato, perché nessuno può lavorare quando viene la notte» (Gv 9, 4).
Nel Nuovo Testamento vi è il concetto della morte come conseguenza del peccato, nello stato precedente della natura umana, mentre, sebbene essa fosse in sé naturale all'uomo, nello stato di giustizia originale egli ne era stato esentato. Il dono dell'immortalità fu perduto col peccato dei progenitori, mentre la morte riprendeva il suo dominio.
«Voi siete figli del diavolo dice Gesù ai farisei suoi avversari e così volete soddisfare i desideri del vostro padre. Egli fu omicida fin da principio e non perseverò nella verità» (Gv 8, 44). Ancora più
esplicito nell'attribuire la morte al peccato di Adamo è San Paolo: «mediante un solo uomo entrò nel mondo il peccato, e col peccato la morte, e in tal modo la morte trapassò tutti gli uomini, perché tutti peccarono» (Rom 5, 12). «Il salario del peccato è la morte» (Rm 6, 22): la morte che è
eterna perdizione. 6
Tuttavia per il cristiano c'è ormai una grande certezza: egli è stato affrancato dal peccato: « Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore. e ha «per fine la vita eterna», che gli è data come un «dono di Dio... in Cristo
Gesù» (Rm 6: 22-23).
6 Perché morire così presto? S. Matilde, avendo perduto un santo amico, diceva al Signore: O mio dolcissimo Iddio perché avete tolto così presto
quest'anima dal mondo, ove le sue parole e i suoi esempi avrebbero potuto giovare a tante persone? « Il violento desiderio ch'egli aveva di possedermi mi ci ha costretto; perché, come il bambino s'attacca al seno della madre, così l'anima sua si è attaccata a me, e per questa ragione egli ha meritato di venire così presto a riposarsi meco. Ma, perché egli doveva ricevere tanta dignità e gloria, fu mestieri che soffrisse qualche indugio, durante il quale io lo feci riposare». LE DIVINE PAROLE"(LDP) Ossia quello che il Signore ha detto ai suoi discepoli nel corso dei secoli cristiani di R.P. Saudreau domenicano Casa Editrice Masietti 1924 I.
7. Dalla morte alla vita
Ineluttabile conseguenza del primo peccato, la morte diventa per il cristiano il cammino che lo conduce alla pienezza della sua configurazione a Cristo, poiché, come la morte di lui rappresenta il culmine del mistero della Redenzione, così la morte del fedele costituisce il congiungimento definitivo e pieno col suo Capo e quindi il momento in cui si realizza per lui la pienezza intramontabile della vita di grazia, trasformata in gloria. Non dunque fine della vita, ma ponte della vita, porta del cielo. Nella morte cristiana si attua per i fedeli, nella più vera e profonda realtà personale, il mistero del sacrificio di Cristo, il quale capovolge i luoghi comuni del linguaggio terreno e fa sì che la morte sia l'inizio della vera vita.7
«Per me infatti, esclama San Paolo, la vita è Cristo, e morire è un guadagno» (Fil1, 21). «Ignorate
voi forse che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?»
(Rm 6, 3). Noi siamo stati dunque sepolti con lui mediante il Battesimo nella sua morte,
affinché, come Cristo è risuscitato dai morti mediante la gloriosa potenza del Padre, così anche noi viviamo di una nuova vita.
Se è vero infatti che siamo stati vitalmente connessi con lui mediante una morte che somiglia alla sua, saremo anche una stessa cosa con lui per quel che concerne la risurrezione: « Così pure Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio mette in conto la
giustizia senza opere, dicendo: «Beati quelli le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti.» (Rom. 4, 6-7).
Questa è l'interpretazione mistica che San Paolo dà della morte, la quale, come fatto fisico, quasi svanisce dall'orizzonte cristiano. Ciò che conta è la morte al peccato, avvenuta nel Battesimo e continuata lungo tutta la vita cristiana. «Questo ben sappiamo: che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui (Cristo). Ora, se siamo morti con Cristo, noi crediamo che anche vivremo con lui, poi ché sappiamo che Cristo, risuscitato com'è dai morti, non muore più: la morte non impera più su lui. La morte della quale è morto, è, una volta per sempre, morte che concerne il peccato; ma la vita di cui vive, è vita che concerne Dio. Anche voi dunque consideratevi come morti per quanto concerne il peccato, e come viventi per quanto concerne Dio, in Cristo
Gesù» (Rm 6,6-11).
Questa è la vita che veramente conta, e che vince la morte 8. Gesù la identificava con se
stesso, quando diceva: «Io sono la risurrezione e la vita; chiunque crede in me, quand'anche fosse morto, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà mai» (Gv 11, 25).
Il
Giudizio
«Verrà a giudicare i vivi e i morti», diciamo nel Credo. Questa formula è tra le più antiche del linguaggio cristiano ed era di uso comune nella prima comunità (Atti 10, 42). La troviamo
usata nella prima lettera di Pietro: «Dovranno rendere conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti» (1 Pietro, 4, 5), e nella lettera seconda a Timoteo: «Ti scongiuro davanti a Dio e a
Gesù Cristo, che giudicherà i vivi e i morti.» (II Tim, 4, 4).
Il vero significato è quello letterale: si vuol dire che Gesù sottoporrà al suo giudizio non solo quelli che troverà in vita alla sua venuta, ma anche tutti gli uomini del passato, che hanno già incontrato la morte. Più semplicemente si vuol dire - attraverso l'uso semitico
7 I dolori che precedono la morte sono spesso un effetto della divina misericordia. Il Signore fece comprendere a S. Brigida che le pene dure e umilianti
che spesso i cristiani subiscono in morte sono un effetto della sua misericordia: « Sono forse io stesso degno di disprezzo perchè la mia morte fu dura e vergognosa? I miei eletti sarebbero essi degli insensati per aver sofferto cose umilianti? No, ma io e i miei eletti abbiamo sofferto cose umilianti, per mostrare colla parola e coll'esempio che le vie del cielo sono dure ed aspre e per far intendere ai cattivi quanto essi abbiano bisogno d'essere purificati, dal momento che anime innocenti dovettero soffrir tanto... Colui che amando Iddio con tutto il suo cuore è afflitto da lunghe infermità, vive e muore felicemente, perchè la morte dura e dolorosa diminuisce il peccato e la pena del peccato e aumenta le corone. (LDP)
8 Gli ultimi momenti dei peccatori, degl'imperfetti e dei perfetti.
Parole di Dio a S. Caterina da Siena: «I demonii sono ministri incaricati di tormentare i dannati nell'inferno e di esercitare e provare la virtù delle anime in questa vita. La loro intenzione non è certamente di provare la virtù, perchè non hanno la carità; essi vogliono distruggerla in voi, ma non lo potranno mai fare, se voi non volete consentirvi. « Ora considera la pazzia dell'uomo che si rende debole per il mezzo appunto ch'io gli avevo dato per esser forte, e che si abbandona da se stesso nelle mani del demonio. Perciò voglio che tu sappia ciò che accade nel momento della morte a quelli che, durante la loro vita, hanno volontariamente accettato il giogo del demonio, il quale non poteva costringerveli. « I peccatori che muoiono nel loro peccato, non hanno altri giudici che se stessi; il giudizio della loro coscienza basta, ed essi si precipitano con disperazione nell'eterna dannazione. Prima di passarne la soglia, essi l'accettano per odio della virtù, scelgono l'inferno coi demonii, loro signori.« All'opposto i giusti, che vissero nella carità, muoiono nell'amore. Quando viene il loro ultimo istante, se hanno praticata perfettamente la virtù, illuminati dal lume della fede e sostenuti dalla speranza del sangue dell'Agnello; veggono il bene che io ho loro apparecchiato, e colle braccia dell'amore lo abbracciano stringendo con strette d'amore me sommo ed eterno bene nell'ultima estremità della morte. E così gustano vita eterna» (Dialogo, c. XLII). (LDP)
del binomio di totalità, che indica l'intero mediante la distinta elencazione delle parti (per esempio "il cielo e la terra", per dire "tutto") - che «sarà giudicata tutta l'umanità, senza alcuna eccezione».
Oltre l'universalità delle persone, la Rivelazione ci parla di una «universalità dei fatti umani, niente di ciò che è umano sfuggirà alla valutazione del giudice».
• Non si dovranno offrire vuote frasi adulatrici. Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: «Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità» (Matteo, 21-23),
• ma si dovrà presentare la totalità delle opere compiute: «Perché il Figlio dell'uomo
verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua». (Matteo, 16, 27); :
• « Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere: vita eterna a quelli che con perseveranza
nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità; ma ira e indignazione a quelli che, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla verità ubbidiscono all'ingiustizia» (Rom, 2, 6-8) ; «Noi
tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male» (2 Cor, 5, 10);
• e non solo sulle opere saremo giudicati, ma anche sulle parole: «Non giurare neppure
per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero» (Matteo, 12,
36),
• sulle omissioni : «Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del
Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna». (Matteo, 25, 34-46),
• sui pensieri segreti: «Anzi, neppur giudico me stesso: io, infatti, non ho coscienza di
alcuna infedeltà» (1 Cor, 4, 5).
Nelle pagine della Bibbia troviamo ricordati alcuni elementi che entrano a comporre la scenografia del giudizio, in un quadro che ha sempre eccitato la fantasia, ma che chiede piuttosto di essere letto, anche nei particolari pittoreschi, secondo il suo vero significato concettuale.
Il profeta Gioele colloca il giudizio in una misteriosa "Valle di Giosafat" (Gioele, 4, 2), solo
tardivamente - a partire dal IV secolo dopo Cristo - identificata con la “Valle del Cedron”, a sud-est della spianata del tempio. Ancora oggi arabi ed ebrei ambiscono essere seppelliti sull'uno e sull'altro versante dell'avvallamento, per essere più pronti a rispondere all'ultimo appuntamento. In realtà il nome ci rivela con molta chiarezza nella sua composizione la sua natura simbolica: Giosafat significa Jahvè giudica. Del resto, poco più avanti lo stesso profeta usa un altro nome, ugualmente significativo: "Valle della Decisione" (Gioele, 4, 14).
Il nostro mondo è caratterizzato da una quasi totale discordanza tra i valori reali e la loro esterna apparenza, sicché non è di solito possibile assegnare agli uomini e alle cose il giusto prezzo che hanno in faccia a Dio.
Questa discordanza ha raggiunto il grado sommo - e ne è stata condannata - al momento dell'uccisione del Figlio di Dio: «Ora grazie a lui voi siete in Cristo Gesú, il quale da Dio è stato
fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione», (1 Corin, 1, 30), "è stato annoverato
tra i malfattori" «Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori.» (Isaia, 53, 12).
L'esecuzione di Gesù fuori della porta di Gerusalemme, cioè "fuori della vigna" che era la sua eredità, raffigura e avvera la sconfitta di Dio, che oggi appare come estromesso dal mondo che è suo. Dio è sconfitto, e non tanto dall'uomo che pecca, quanto dall'uomo che, peccando, appare bello, forte, felice, soddisfatto; mentre colui che, tentando di conformarsi alla volontà del Padre, incontra la derisione, la sofferenza, la morte, è associato al mistero della sconfitta del suo Creatore.
Il momento del giudizio è appunto la fine di questo stato irrazionale e blasfemo. Esso perciò
consisterà essenzialmente nella brusca lacerazione del velo della esteriorità, così che tutta la creazione appaia "nuda e aperta" agli occhi di tutti, come è nuda e aperta da sempre agli occhi di Dio:«Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non v'è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto.» (Ebrei, 4, 12-13). Il suono della tromba finale - particolare del quadro che
significativamente ritorna sempre nelle descrizioni bibliche della fine - farà crollare la scena di questo mondo come le trombe di Giosuè squassarono, lasciandole diroccate, le mura di Gerico (Giosuè, 6, 20), e ciascuno sarà visto con la sua interiore ricchezza o con la sua
interiore miseria.
Gesù sarà l'unico punto di riferimento dal quale tutto sarà misurato: per questo egli sarà il "giudice". Allora finalmente sarà rovesciato il ricamo della nostra storia, e si potranno contemplare nella loro piena evidenza la bontà, l'armonia, la saggezza del disegno condotto a compimento da Dio.
Su quale legge saremo giudicati? Certo, saremo giudicati sulla nostra fedeltà alla legge di Dio, perché Gesù non ha abrogato il decalogo, il quale resta per gli uomini di tutti i tempi il codice di comportamento. Ma, poiché il Signore stesso ha chiarito che la legge di Dio ha come compendio, come anima, come significato sostanziale l'amore di Dio sopra ogni altro amore e l'amore del prossimo, come inveramento concreto dell'amore di Dio, possiamo ben dire che "all'ultimo dei giorni - come si esprime san Giovanni della Croce - «saremo
giudicati sull'amore».
"Tutti risorgeranno - dice il concilio Lateranense quarto - con i loro propri corpi, gli stessi che possiedono ora". È un'affermazione categorica, ma in fondo non è che l'insegnamento della Sacra Scrittura: «Da Dio ho ricevuto queste membra; queste per le sue leggi disprezzo; queste da lui spero di avere di nuovo», dice il terzo dei fratelli prima del martirio, nella narrazione del secondo libro dei Maccabei (2 Mac 7, 11). E Paolo: «È necessario che questo corpo
corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1 Cor, 15, 53).
Cristo stesso - archetipo degli uomini che rinascono dalla morte - riprende dal sepolcro lo stesso corpo che è stato spento sul Calvario. Del resto, l'ipotesi di una risurrezione con un corpo diverso rivela una concezione dell'uomo che neppure sul piano di un'antropologia puramente razionale possiamo accettare. Tale ipotesi suppone infatti che l'anima stia nel corpo come una spada nel fodero; e che, come la spada, possa tranquillamente cambiare di fodero senza per questo mutare essa stessa.
San Tommaso invece giustamente sostiene che l'anima intellettiva è l'unica "forma sostanziale" dell'uomo, perciò altre ipotesi sono non solo teologicamente errate, ma anche filosoficamente assurde per cui: non solo risorgeremo con il nostro identico corpo, ma neppure
possiamo risorgere con un corpo diverso. 9
Equità del Giudizio finale
Allo spettacolo della gloria e della felicità degli eletti cui si sono privati, i dannati sentiranno crescere la loro pena e la loro confusione.10 Nel loro corpo appariranno i segni
dei peccati commessi e i supplizi che avranno meritato. In quella parola, che essi udranno terribile: «Andate, maledetti, nel fuoco eterno», l'anima e il corpo andranno a dimorare con i demoni senza alcun rimedio di speranza, in quel luogo ognuno porterà le sue iniquità. L'avaro vi arderà insieme con la sua passione dei tesori della terra, il crudele con la sua crudeltà, l'immondo con l'immondizia e miserabile concupiscenza, l'ingiusto con le sue ingiustizie, l'invidioso con l'invidia, chi odia il suo prossimo con il suo odio. Quelli che si saranno amati di quell'amore disordinato che provoca tutti i mali, perché insieme con l'orgoglio che è il principio di tutti i vizi, saranno divorati da un fuoco intollerabile.11
L’Inferno
«Stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati» (CCC 1031). I malvagi
saranno separati dalla comunità dei giusti e consegnati al potere dei demoni, «E costoro andranno all'eterno supplizio» (Mt 25,46); e lì staranno per sempre tra lutti e lamenti, lontano
dalle gioie del Paradiso; non riceveranno mai alcun refrigerio. I dannati vivranno sempre senza speranza di perdono e di misericordia.12 È tremendo l'inferno ma ancora di più il volto
irato del Giudice; ciò che poi sorpassa ogni terrore è la lontananza eterna dalla visione della beatissima Trinità. L'essere privati dai beni eterni ed esclusi da ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano causa tanta afflizione che, anche se non ci fosse alcun altro tormento esteriore, questa pena basterebbe da sola.
I quattro principali supplizi dell'inferno.
«Figlia mia, disse Iddio a S. Caterina da Siena, la lingua non è sufficiente a narrare la pena di queste anime tapinelle. Vi sono tre vizi principali: Amor proprio di sé, d'onde esce il secondo, cioè la propria riputazione, e dalla propria riputazione procede il terzo, cioè la superbia, con falsa ingiustizia e crudeltà, e con altri immondi e iniqui peccati, che dopo questi seguitano. Così ti dico che nell'inferno vi sono quattro tormenti principali, ai quali seguitano tutti gli altri tormenti.»
Il primo è che i dannati si veggono privati della mia visione, che per loro è pena così grande che, se loro fosse possibile, eleggerebbero piuttosto il fuoco e i crociati tormenti e vedere me, anziché stare fuori delle pene e non vedermi. «Questa pena ne produce una seconda, che è il verme della coscienza che la rode incessantemente». Il dannato vede che, per colpa sua, si è privato della mia vista e della compagnia degli angeli e che si è reso degno della compagnia e della vista del demonio. «Questa vista del demonio è la terza pena», e questa pena
raddoppia la sua sventura perché vedendolo essi si conoscono maggiormente e comprendono quello che meritarono colle loro colpe. «Allora il verme della coscienza li rode
10 Giudizio delle anime peccatrici. Istruzioni divine date a S. Caterina da Siena: « Il peccatore non ha scusa, perocché è ripreso e gli è mostrata la verità
continuamente. Onde s'egli non si correggerà, quando è ancor tempo, sarà condannato nella seconda riprensione, la quale si farà nell'ultima estremità della morte, dove grida la mia giustizia: Surgite mortui, venite ad iudicium, cioè, tu che sei morto alla grazia, e morto giungi alla morte corporale, levati su, e vieni dinanzi al Sommo Giudice con la ingiustizia e falso giudizio tuo, e col lume spento della fede, il qual lume traesti acceso dal santo battesimo, e tu lo spegnesti al vento della superbia e vanità del cuore, del quale facevi vela ai venti, ch'erano contrari alla salute tua; il vento della propria riputazione nutrivi colla vela dell'amor proprio. Onde correvi per lo fiume delle delizie e stati del mondo colla propria volontà, seguitando la fragile carne e le molestie e le tentazioni del demonio. Il quale demonio con la vela della tua propria volontà t'ha menato per la via di sotto, la quale è un fiume corrente. Onde t'ha condotto con lui all'eterna dannazione » (Dialogo, xxxvi). (LDP)
11 è giusto che il corpo risusciti per partecipare alla pena o alla ricompensa. Nel Dialogo di S. Caterina da Siena si leggono questi insegnamenti dati
dall'Eterno Padre: « Ogni operazione buona o cattiva è fatta col mezzo del corpo. E però giustamente, figliuola mia, è renduto ai miei eletti gloria e bene infinito col corpo loro glorificato, perchè il corpo e l'anima siano ricompensati entrambi delle fatiche che per me sopportarono insieme. Così agli iniqui sarà renduta pena eternale col mezzo del corpo loro, perchè esso fu strumento del male; il loro supplizio si rinnoverà e aumenterà quando ripiglieranno il loro corpo in presenza del mio Figliuolo. « La loro miserabile sensualità coll'immondizia sua riceverà riprensione in vedere la natura umana unita in Gesù Cristo alla purezza della divinità, scorgendo la carne d'Adamo sopra tutti i cori degli angeli, mentre essi per i loro difetti si veggono profondati nel baratro dell'inferno. E veggono la larghezza e la misericordia rilucere nei beati, ricevendo il frutto del sangue dell'Agnello, e veggono le pene ch'essi hanno portate, che tutte stanno per adornamento nei corpi loro, sì come la fregiatura sopra del panno, non per virtù del corpo, ma solo per la plenitudine dell'anima, la quale rappresenta al corpo il frutto della fatica, perchè fu compagno con lei ad operare la virtù. Questa ricompensa è visibile, e appariste sul corpo come la faccia dell'uomo si riflette in uno specchio » (Dialogo, c. XLII).
12 La pena misurata secondo il peccato. Dio Padre disse a S. Caterina da Siena: « La mia giustizia esige ch'io proporzioni la pena all'offesa. Perciò il
cattivo cristiano è punito più assai che il pagano. Il fuoco terribile della mia vendetta, che arde senza consumare, lo tortura maggiormente e il verme roditore della coscienza lo divora più profondamente. Quali si siano i loro tormenti, i dannati non possono perdere l'essere, chiedono la morte senza poter ottenerla, il peccato loro non toglie che la vita della grazia. Sì, il peccato è più punito dopo la Redenzione che prima, perché gli uomini hanno ricevuto di più. I peccatori disgraziati non ci pensano» (LDP)
più crudelmente e li divora come un fuoco insaziabile. Ciò che rende questa pena terribile si è ch'essi veggono il demonio nella sua realtà, e la sua figura è così spaventosa che l'immaginazione dell'uomo non potrebbe mai concepirlo.» «Il quarto supplizio dell'inferno è il fuoco. Questo fuoco arde e non consuma, perocchè l'anima non si può consumare. L'essere suo non è cosa materiale, che possa essere consumata dal fuoco, poiché è incorporea; ma, giustizia vuole che questo fuoco la arda e la torturi senza distruggerla, e questo supplizio è in rapporto con la diversità e la gravità delle sue colpe. «Questi quattro principali tormenti sono accompagnati da molti altri, come dal freddo, dal caldo e dallo stridore di denti. Ecco come saranno puniti quelli che, dopo essere stati convinti d'ingiustizia e di errore durante la loro vita, non si saranno convertiti e, nell'ora della morte, non avranno voluto sperare in me e piangere l'offesa che mi avevano fatta, più che la pena che avevano meritata» (Dialogo, XXXVIII LDP).
L'odio eterno.
«Egli è tanto l'odio ch'essi hanno, che non possono volere né desiderare verun bene, ma sempre mi bestemmiano. E sai perché essi non possono desiderare il bene? Perché, finita la vita dell'uomo, è legato il libero arbitrio; per la qual cosa non possono meritare, perduto che hanno il tempo. Se essi finiscono in odio colla colpa del peccato mortale, sempre per divina giustizia sta legata l'anima col legame dell'odio, e sempre sta ostinata, in quel male ch'ella ha, rodendosi in se medesima e aumentando la sua pena colle pene di quelli per cui ella fu causa di dannazione.
«Il ricco malvagio chiedeva di grazia che Lazzaro andasse a' suoi fratelli i quali erano rimasti nel mondo ad annunziare le pene sue. Questo già non faceva per carità, né per compassione dei fratelli, perocché egli era privato della carità, e non poteva desiderare bene né in onore di me, né in salute loro. Perché già t'ho detto che i dannati non possono voler alcun bene al prossimo e mi bestemmiano, perché la loro vita finì nell'odio di me e della virtù. «Ma perché dunque il faceva? Facevalo, perché egli era stato il maggiore e avevali nutriti nelle miserie; in cui egli era vissuto. Sicché egli era cagione della dannazione loro e temeva di vedersi crescere la sua pena, dovendo i loro tormenti aggiungersi a' suoi; perché quelli che muoiono nell'odio eternamente si divorano fra loro nell'odio» (Dialogo, c. x. LDP).
Il Purgatorio, realtà escatologica.
La sua esistenza è confermata dalla Bibbia: Giuda Maccabeo ha raccolto le truppe Israeliane e costringe alla fuga l'esercito nemico:« Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per
circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.» (2Mac 12,
43-45). San Paolo: «Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore,
legno, fieno, paglia, l'opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l'opera di ciascuno. Se l'opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l'opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco.» (1 Cor 3, 12-15).
È una dimensione temporanea delle anime che durerà solo fino al Giudizio Universale, prima della resurrezione della carne. In Purgatorio, le anime dei giusti saldano il loro debito nei confronti della Giustizia divina subendo pene purificatrici molto dolorose, è bene sottolineare che la purificazione del Purgatorio non verte sulla colpa, ma sulla pena. Se il perdono divino concesso all'anima pentita cancella la colpa, non fa sparire altresì la pena, e per mezzo dell'espiazione l'uomo ripara al disordine causato dai suoi peccati. Qui, l'anima subisce la pena sotto la forma di una penitenza volontaria e meritoria; nell'altro mondo, sotto la forma di una purificazione obbligatoria.
Il Concilio ecumenico di Firenze (1438-1445) definisce come verità di fede non solo l'esistenza del Purgatorio, ma anche la possibilità che le anime purganti possano essere liberate anzitempo grazie ai suffragi dei fedeli viventi.
Sommo bene che avranno "coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati" (CCC 1023) Il Paradiso è l'amore eterno dove la sete di felicità trova la
sua perfetta estinzione. La gioia del Paradiso può essere già parzialmente sperimentata su questa terra quando si è in intimità con Gesù e in grazia di Dio, nelle azioni e nelle intenzioni. La dottrina cattolica e la Bibbia insegnano che in Paradiso c'è una distinzione di gloria, secondo il grado di santità personale che ciascuno ha realizzato nella propria vita. Altro è lo splendore di San Francesco o di un martire che ha effuso il proprio sangue per amore di Dio, altro quello di chi è stato salvato per misericordia.
Il dinamismo escatologico della grazia
Senza l'apertura e corrispondenza dall'interno, la porta del cuore non si apre e Gesù non entra nel cuore.
Si racconta che l'autore del quadro, un tempo riprodotto nelle immagini che davano a noi fanciulli, dove è dipinta la porta di una casa col Signore che bussa, quando ebbe finito il suo lavoro, stava contemplandolo insieme al figlioletto. E questi domandò al padre: Papà, come vuoi che quel signore apra la porta, se non c'è la maniglia? (E difatti nella vecchia immaginetta la porta è senza maniglia) E il babbo rispose: «Vedi, quella è una porta che si apre soltanto dall'interno, è la porta del cuore: non c'è maniglia per aprirla dall'esterno. Il Signore del resto, non è prepotente. Non vuole sfondare la porta. Chiede che gli apriamo dal di dentro, cedendo liberamente e amorosamente al suo invito».
Momento per momento della vita che passa, il Signore picchia alla porta e chiede di entrare.
Se a un certo momento l'anima gli apre, nel momento successivo Gesù bussa con un altro colpo, dolcemente e fortemente: e se l'anima apre, realizza un nuovo aumento di grazia. è la cosiddetta «grazia del momento presente»: cioè la grazia, l'aiuto, il dono di vita, di luce soprannaturale, offerto momento per momento all'anima, perché possa svolgere tutta la sua vita in un crescendo continuo di vita divina. Questo sviluppo immanente alla vita spirituale, come a quella fisica, importa di per sé un progresso continuo, che significa la crescente realizzazione della presenza di Cristo in noi fino alla pienezza. Perciò in ogni momento di grazia che si realizza, è già immanente la tendenza alla pienezza finale che si avrà, come grazia, nel momento della morte, e come gloria in cui matura la grazia nell'aldilà, in Cielo.
Quando Gesù dice: «Ecco, io sto alla porta e busso» , le sue parole riguardano le richieste e le offerte di grazia che ci vengono fatte, momento per momento, lungo tutta la vita, ma già includente l'ultimo colpo bussato alla nostra porta, nell'ora della morte, quando si ha la realizzazione finale dello sviluppo della grazia della terra e il passaggio alla pienezza della gloria in Cielo.
Gesù bussa alla porta e viene momento per momento nei nostri giorni mortali, seguendo il succedersi del tempo. Ma è già l'eternità che s'inoltra in noi. Noi cristiani abbiamo, tra tutti gli uomini, il privilegio di sapere che l'eternità la portiamo già in noi.
A coloro che non hanno la grazia di Dio ma è impossibile giudicare su questa partecipazione alla vita divina nella grazia; anche per coloro che vivono fuori dei confini visibili del cristianesimo, dove c'è da sperare, e forse da credere, che moltissimi, se non tutti, ricevano la grazia del Signore o siano in preparazione di riceverla sono persone che si direbbero incluse nel tempo che passa in modo irrimediabile.
Nella misura in cui si introduce nell'uomo la grazia del Signore, il tempo cessa di essere la regola, la misura della sua vita, perché, almeno per partecipazione, egli è già nell'eternità, che matura sempre più in lui stesso, e misura la sua «vita nuova» (Rom 6, 4), che è una
partecipazione dell'eternità.
La Parola ai lettori
Tutti coloro che ricevono questa newsletter sono invitati ad utilizzare la opportunità offerta dal forum per far conoscere il proprio pensiero su quanto letto o sollecitare ulteriori riflessioni ed ampliare la riflessione.
La corrispondenza potrà essere inviata all’indirizzo qui specificato: paolorossi_1927@fastwebnet.it
Tutte le newsletter precedenti sono archiviate con l’indice analitico degli argomenti nel sito: http://www.nuovainformazionecardiologica.it
La newsletter è inviata automaticamente secondo la mailing list predisposta, chi non desidera riceverla può chiedere di essere cancellato dalla lista. Chi volesse segnalare altri nominativi di posta elettronica è pregato di fare riferimento all’indirizzo qui sopra riportato per la corrispondenza
Comitato di redazione
Dott. Cleto Antonini, (C.A.), Aiuto anestesista del Dipartimento di Rianimazione Ospedale Maggiore di Novara;
Don Pier Davide Guenzi, (P.D.G.), docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Sezione parallela di Torino; e di Introduzione alla teologia presso l’Università Cattolica del S. Cuore di Milano e vice-presidente del Comitato Etico dell’Azienda Ospedaliera
“Maggiore della Carità” di Novara.
Don Michele Valsesia, parroco dell'Ospedale di Novara, docente di Bioetica alla Facoltà Teologica dell'Italia Sett. sez. di Torino
Prof. Paolo Rossi, (P.R.) Primario cardiologo di Novara Master di Bioetica Università Cattolica di Roma