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Aortite isolata: valutazione epidemiologica, clinica e strumentale di una serie di casi e confronto con una coorte di pazienti affetti da arterite temporale.

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INDICE

RIASSUNTO………pag. 2

INTRODUZIONE:

Classificazione e clinica delle aortiti………...pag. 4 Diagnosi delle aortiti………..pag. 40 Terapia delle aortiti……….pag. 53 Prognosi delle aortiti………..pag. 62

CAPITOLO 1

Scopo dello studio………pag. 64

CAPITOLO 2 Materiali e metodi………pag. 65 CAPITOLO 3 Risultati………..pag. 66 CAPITOLO 4 Discussione………pag. 71 BIBLIOGRAFIA……….pag. 76

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RIASSUNTO

L’arterite a cellule giganti (ACG) è la più comune vasculite sistemica primitiva dell’anziano che interessa le arterie di medio e grosso calibro, con preferenza per le arterie extracraniche del capo e del collo, ma con possibilità di coinvolgimento anche dell’aorta e delle sue principali diramazioni. Il profilo clinico della ACG è molto variegato comprendendo segni e sintomi cranici tipici, quali cefalea temporo-parieto-frontale di recente insorgenza, claudicatio mandibolare, diminuzione dell’acuità visiva e tumefazione palpabile dell’arteria temporale, sintomi costituzionali, quali febbre, astenia e perdita di peso. Le tecniche di imaging a nostra disposizione indicano che l’interessamento aortico nella ACG è comune anche negli stadi precoci di malattia o al momento della diagnosi; tale condizione, inoltre, può essere manifestazione di una patologia tendente alla cronicizzazione o alla riacutizzazione con necessità di interventi terapeutici più aggressivi e con un aumentato rischio di complicanze vascolari nel lungo termine. La prevalenza di aortite in corso di ACG varia dal 33 al 65%, tuttavia i dati provenienti da casistiche chirurgiche e da studi autoptici suggeriscono un tasso di incidenza più elevato. Poiché

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l’aortite di solito sfocia in complicanze che mettono a rischio la vita del paziente (dissecazioni e aneurismi) e poiché molto spesso rimane asintomatica fino alla comparsa di tali complicanze, è fondamentale un corretto screening in tutti i pazienti con ACG per escludere la presenza di un eventuale interessamento aortico. Le più comuni cause reumatologiche di aortite sono l’arterite di Takayasu (TA) e la ACG, ma l’aortite può essere anche: idiopatica, una manifestazione della patologia IgG4-correlata o causata da infezioni tra le quali sifilide, tubercolosi o da altri agenti batterici e virali. Oltre ai pazienti con ACG e sintomi cranici, non è raro osservare pazienti asintomatici o con soli sintomi costituzionali che presentino alla PET un aumento dell’uptake del tracciante a livello aortico. Nella pratica clinica, in tali casi, viene di solito posta diagnosi di ACG o di TA sulla base dell’età di esordio dei sintomi; rimane da chiarire se l’aortite isolata sia parte del quadro clinico della ACG o della TA o sia invece un’entità nosologica differente. Lo scopo dello studio è di paragonare dati epidemiologici e clinici e l’esito delle indagini svolte su pazienti con aortite isolata con quelli dei pazienti con ACG per definire se i due gruppi di soggetti differiscano o meno tra di loro.

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CLASSIFICAZIONE E CLINICA DELLE AORTITI

“Aortite” è un termine aspecifico che indica la presenza

di alterazioni infiammatorie a carico della parete aortica, indipendentemente dalla loro eziologia (1). Generalmente le aortiti vengono classificate in due grosse categorie infettive o non infettive (Tab. 1).

Aortiti infettive:  Batteriche  Tubercolari  Sifilitiche  Virali  Aneurismi micotici Aortiti non infettive:

Malattie reumatologiche:  Arterite di Takayasu  Arterite a cellule giganti  Sindrome di Cogan  Spondilite anchilosante  Policondrite ricorrente  Morbo di Behçet  Artrite reumatoide

 Lupus eritematoso sistemico  Forme idiopatiche:

 Aortite idiopatica  Fibrosi retroperitoneale

 Aneurismi aortici infiammatori  Aortite indotta da radiazioni o da farmaci

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Con il termine aortite infettiva si definisce un processo infettivo e infiammatorio a carico della parete aortica secondario alla invasione di questa da parte di microrganismi di vario tipo. In condizioni fisiologiche l’intima aortica è estremamente resistente alle infezioni, tuttavia alcune condizioni favorenti, quali placche aterosclerotiche, pre-esistenti aneurismi, protesi vascolari, precedenti interventi chirurgici sull’aorta, traumi e condizioni associate a compromissione delle difese immunitarie (ad esempio diabete, cancro e terapie immunosoppressive), possono causare un indebolimento della parete aortica e predisporre allo sviluppo di aortite infettiva (1). Fanno parte del gruppo delle aortiti infettive gli aneurismi micotici o aneurismi infettivi, termini con cui si intendono tutte le dilatazioni aortiche di origine infettiva, indipendentemente dall’agente microbico in causa. L’aneurisma micotico può originare dal un precedente aneurisma che va secondariamente incontro ad infezione o può rappresentare l’evoluzione di un’aortite infettiva, non trattata, in cui il processo infettivo indebolisce la parete vasale che alla fine si dilata (2). I microorganismi possono raggiungere la parete vasale attraverso uno dei seguenti meccanismi: raggiungimento dell’aorta per via ematica e penetrazione nella parete

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arteriosa attraverso una lesione dell’intima o una placca aterosclerotica in pazienti con batteriemia (è questa la via di infezione più comune); emboli settici nei vasa vasorum aortici (tipicamente osservato nei pazienti con endocardite), diffusione alla parete aortica direttamente da un focus infettivo vicino, diretta inoculazione del microorganismo in corso di intervento chirurgico o in seguito a trauma penetrante (1). Gli agenti infettivi più frequentemente causa di aortite sono Salmonella (un terzo di tutte le aortiti infettive) e Staphylococcus con interessamento prevalente della aorta addominale. L’aortite da Streptococcus pneumoniae è estremamente rara, può colpire l’aorta addominale o più raramente l’aorta toracica discendente. Rara anche la forma da

Clostridium septicum, solitamente associata alla presenza

di neoplasie ematologiche e del colon; il microorganismo raggiunge la parete dell’aorta addominale, più frequentemente colpita, o per via ematogena o direttamente dai tessuti molli ad essa adiacenti in seguito a perforazione retroperitoneale di un adenocarcinoma del colon. Questo tipo di aortite si associa ad una rapida formazione di aneurisma micotico e sua successiva rottura, se non correttamente e tempestivamente trattato (3). Da ricordare, infine, le aortiti da Mycobacterium

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tuberculosis e da Treponema pallidum. L’aortite

tubercolare è rara sebbene sia previsto un incremento della sua prevalenza legato ad una maggiore diffusione della infezione da HIV e alla comparsa di ceppi di micobatteri multiresistenti. Il Mycobacterium tuberculosis nel 75% dei casi raggiunge la parete aortica per diffusione diretta da un focus infettivo adiacente quale linfoadenopatie mediastiniche o retroperitoneali, polmonite, empiema, pericardite, ascessi paravertebrali; possono essere interessate aorta addominale e aorta toracica discendente. La necrosi caseosa provocata dai bacilli tubercolari può interessare tutta la parete aortica portando al suo indebolimento con successivo sviluppo di aneurisma (1,4). L’infezione da Treponema pallidum può interessare il sistema cardiovascolare e in particolare l’aorta nel suo terzo stadio. Viene interessata l’aorta toracica ascendente nel 60% dei casi e l’arco aortico nel 30%, raro il coinvolgimento dell’aorta addominale. Le spirochete che invadono la parete arteriosa provocano un’endoarterite obliterativa dei vasa vasorum dell’avventizia con conseguente necrosi ischemica della media. La parete aortica affetta si presenta ispessita per densa fibrosi dell’avventizia con assottigliamento della media dove sono evidenziabili foci di fibrosi con perdita

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del tessuto elastico e muscolare; ne deriva un indebolimento della parete vasale che porta al successivo sviluppo di aneurisma (5). È possibile infine lo sviluppo di aortite infettiva in corso di infezione da HIV, per processo aterosclerotico accelerato (legato all’uso degli inibitori delle proteasi) e infezioni croniche secondarie, e a livello di protesi vascolari utilizzate per la correzione chirurgica degli aneurismi (con le nuove tecniche di riparazione endovascolare degli aneurismi le infezioni sono una complicanza rara (1,3-6%); la parete aneurismatica intatta infatti protegge la protesi dal contatto con la cavità peritoneale che invece si verifica in caso di interventi chirurgici a cielo aperto). Il quadro clinico di pazienti con aortite infettiva è piuttosto aspecifico e dipende dalla sede dell’infezione e dalla presenza o meno di aneurisma. I sintomi più frequenti sono: febbre con brivido, dolore addominale o lombare nelle forme interessanti l’aorta addominale, dolore toracico o dorsale nelle forme interessanti l’aorta toracica. In presenza di aneurisma possono comparire i sintomi legati alla compressione delle strutture anatomiche adiacenti alla dilatazione vascolare quali: dispnea, disfagia, tosse, sindrome da compressione della vena cava superiore, subocclusione intestinale, idronefrosi. Se non correttamente e prontamente trattate

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le aortiti infettive hanno un decorso rapido e fatale, portano alla formazione di aneurisma micotico con sua successiva rottura; è tuttavia possibile anche la rottura della aorta infetta senza la precedente formazione di un aneurisma (1, 6).

Le aortiti non infettive costituiscono la maggior parte delle aortiti; possono svilupparsi secondariamente a un ampio spettro di patologie reumatiche, a condizioni idiopatiche o in seguito all’esposizione a radiazioni o a farmaci. L’associazione tra malattie reumatologiche e aortite è ben documentata; arterite di Takayasu (TA),

arterite a cellule giganti (ACG), spondilite anchilosante di

lunga durata, sindrome di Cogan e policondrite ricorrente sono associate con un’alta prevalenza (>10%) di interessamento aortico. È stato, invece, documentato come evento infrequente l’interessamento aortico in spondiloartriti sieronegative, artrite reumatoide, malattia di Behçet e lupus eritematoso sistemico. Le forme idiopatiche (nelle quali non è possibile identificare una causa infettiva o una patologia sistemica) di aortite includono: aortite idiopatica, aneurismi infiammatori aortici

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La arterite a cellule giganti (ACG) o arterite temporale è una vasculite granulomatosa che colpisce le arterie di medio e grosso calibro, con preferenza per le arterie extracraniche del capo e del collo, ma con possibilità di coinvolgimento anche dell’aorta e delle sue principali diramazioni. La sua prevalenza risulta maggiore nella popolazione caucasica, il sesso femminile è colpito tre volte più frequentemente di quello maschile e la frequenza aumenta, in entrambi i sessi, con l’età: rari i casi sotto i 50 anni con picco di incidenza tra i 70 e gli 80 anni di età. L’eziologia della ACG rimane ancora oggi una questione irrisolta. Numerosi fattori di rischio sembrerebbero contribuire allo sviluppo di tale patologia, tra questi: predisposizione genetica, età avanzata, agenti infettivi che agirebbero come meccanismo scatenante l’arterite in soggetti geneticamente predisposti, fattori ormonali quali ormoni surrenalici e ormoni sessuali femminili e fattori ambientali quali fumo ed esposizione alla luce solare. Si può quindi affermare che l’eziopatogenesi della ACG sia verosimilmente multifattoriale e, in particolare, l’ipotesi attualmente più accreditata prevede l’interazione di fattori di natura genetica, infettiva ed immunologica per cui in un individuo geneticamente predisposto si innescherebbe una abnorme risposta immunitaria contro antigeni di

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verosimile natura infettiva. L’aspetto istologico della ACG è uno dei più caratteristici tra i disordini vascolari: si tratta di una panarterite delle arterie di grande e medio calibro, arterie muscolari dotate di lamine elastiche interna ed esterna ben sviluppate. Istologicamente il processo infiammatorio colpisce le arterie in modo focale e segmentario, l’interessamento è irregolare, spesso sono presenti lesioni a salto ovvero aree colpite dall’infiammazione separate da aree indenni. Nella fase acuta, a livello della tonaca media e in stretta prossimità della lamina elastica interna che appare disgregata, si formano i tipici granulomi a cellule giganti; l’avventizia è invasa da cellule infiammatorie mononucleate e i vasa vasorum si restringono con conseguente comparsa di fibrosi, mentre a livello dell’intima si osserva un ispessimento iperplastico associato a neoangiogenesi. Le manifestazioni cliniche della ACG possono essere numerose e variegate, distinte comunemente in tipiche e atipiche. Le prime, senza dubbio più frequenti, sono caratterizzate da cefalea temporo-parieto-frontale di recente insorgenza, claudicatio masseterina, riduzione dell’acuità visiva e tumefazione palpabile dell’arteria temporale, alle quali si associa elevazione degli indici aspecifici di flogosi e concomitante presenza di sintomi

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costituzionali quali: malessere, febbricola, perdita di peso, anoressia ed anemia. Accanto a tali manifestazioni e, meno frequentemente, in loro assenza può presentarsi una sintomatologia definita “distrettuale”, imputabile all’insulto ischemico a carico della sede irrorata dal vaso colpito dall’infiammazione. Più rari i cosiddetti sintomi atipici quali: dolore laterocervicale, tosse, claudicatio abdominis, claudicatio degli arti e dolore acuto alla schiena. Non va infine dimenticato che nel 50% dei casi la ACG si associa alla presenza di polimialgia reumatica caratterizzata da dolore muscolare intenso, esacerbato dai tentativi di movimento, e rigidità, particolarmente severa dopo il riposo. Tali manifestazioni sono di solito bilaterali e simmetriche, localizzate ai cingoli scapolare e pelvico e al tronco e sono accompagnate da sintomi generali e aumento marcato degli indici di flogosi. L’interessamento dell’aorta e dei suoi rami principali in corso di ACG è ritenuto poco comune (3-18% dei casi) verosimilmente a causa delle scarse manifestazioni cliniche che esso provoca: è molto frequente che i sintomi compaiano solo nel momento in cui si sviluppa una sua complicanza. Casistiche chirurgiche e studi autoptici suggeriscono, d’altro canto, una più alta incidenza di interessamento dei grossi vasi in corso di ACG (30-50% dei casi) con

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prevalente interessamento dell’aorta toracica. Le moderne tecniche di imaging, in particolare PET e angio-RM, hanno inoltre dimostrato che l’aortite è una condizione comune anche negli stadi precoci della malattia; può infatti sia manifestarsi all’esordio della ACG sia svilupparsi più tardivamente durante il decalage dello steroide o alla sua completa sospensione. La ACG è facilmente diagnosticabile quando sono presenti i sintomi tipici di interessamento dei rami dell’arteria carotide esterna; in questi casi la diagnosi si basa su criteri clinici, laboratoristici e istologici come descritto nei criteri classificativi dell’American College of Rheumatology del 1990 (Tab. 2). Il gold standard per la diagnosi di ACG continua ad essere la biopsia della arteria temporale. Quest’ultima, tuttavia, non sempre risulta colpita in corso di ACG in quanto il processo infiammatorio può essere confinato all’aorta e alle sue principali branche con un quadro clinico aspecifico caratterizzato dalla presenza di soli sintomi sistemici (febbre, malessere, calo ponderale ed elevazione degli indici aspecifici di flogosi) e con incostante presenza di dolore alla schiena. In questi casi la biopsia dell’arteria temporale è di solito negativa, ottenere un campione bioptico da altra sede è complicato per cui è fondamentale l’utilizzo delle moderne tecniche di

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imaging. Poiché l’aortite nel lungo termine può causare gravi complicanze quali ectasia aortica, aneurismi dell’aorta ascendente che si possono estendere all’arco aortico (è questa la complicanza più frequente), dissecazione aortica, insufficienza valvolare aortica e aneurismi dell’aorta addominale, è fortemente raccomandata la ricerca dell’interessamento dei grossi vasi già nelle fasi più precoci della malattia continuando, nel lungo termine, con uno screening annuale tramite rx torace, ecocardiogramma ed ecografia addominale alla ricerca di eventuali aneurismi dell’aorta anche in pazienti con ACG in fase di remissione (2, 7).

CRITERI DEFINIZIONE

Età di insorgenza > 50 anni

Sviluppo dei sintomi in soggetti di 50 anni di età o più anziani

Cefalea Nuovo inizio o nuovo tipo di dolore localizzato alla testa

Alterazioni dell’arteria temporale

Dolorabilità alla palpazione o ingrossamento o ridotta pulsatilità della arteria temporale Aumento della VES VES >50mm/h

Anomalie della biopsia dell’arteria temporale

Vasculite caratterizzata da un infiltrato prevalentemente mononucleato o da flogosi granulomatosa con cellule giganti multinucleate Tab. 2 Criteri ACR per la classificazione di ACG: un paziente può essere classificato come affetto da ACG quando sono presenti almeno 3 dei 5 criteri.

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L’arterite di Takayasu (TA) è una vasculite dei vasi di grosso calibro che colpisce prevalentemente l’aorta e i suoi principali rami e meno frequentemente le arterie polmonari. Il processo infiammatorio generalmente causa stenosi o occlusione del vaso colpito tuttavia è possibile anche lo sviluppo di aneurismi. È una patologia rara che colpisce soprattutto giovani donne asiatiche; l’incidenza annuale, nella maggior parte della popolazione, è di 1-3 casi/milione, le donne sono colpite da quattro a nove volte più frequentemente degli uomini e l’età di insorgenza più comune è tra i 20 e i 30 anni (nel 70-90% del casi). L’eziopatogenesi della TA non è conosciuta; è possibile cha agenti infettivi quali Mycobacterium tuberculosis, virus, batteri e spirochete, agendo in un individuo geneticamente predisposto (probabile l’associazione con gli antigeni del sistema maggiore di istocompatibilità HLA-B52 e B39) scatenino la patologia, dovuta a una reazione autoimmune T-mediata contro componenti della parete vasale, soprattutto i vasa vasorum (8). La TA è una panarterite granulomatosa; il primo passo verso lo sviluppo delle lesioni tipiche di tale patologia è la comparsa di una severa infiammazione dei vasa vasorum dell’avventizia associata ad una flogosi granulomatosa (prevalentemente linfociti, macrofagi e polimorfonucleati

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con occasionali cellule giganti) a carico di avventizia e parte esterna della tonaca media e a neovascolarizzazione. La flogosi ha, come nella ACG, una distribuzione a salto. Nella fase cronica si osserva invece iperplasia dell’intima con fibrosi di media e avventizia e distruzione del tessuto elastico che portano alla stenosi del vaso. I medesimi reperti istopatologici si riscontrano nella ACG per cui l’esame bioptico molto spesso non riesce a differenziare queste due vasculiti. Macroscopicamente, nella fase cronica, il vaso interessato appare ispessito per la fibrosi dei tre strati della sua parete, il lume è ristretto con una distribuzione a chiazze, sono cioè presenti aree colpite alternate ad aree di tessuto normale, e l’intima può essere “rigata” per la presenza di “solchi”, con un aspetto a “corteccia di albero”, comune a molte arteriti. Qualora la malattia abbia una progressione rapida, la fibrosi può essere inadeguata con conseguente distruzione della tonaca media e successivo sviluppo di aneurisma. L’aorta è interessata nel 90% dei casi, più frequentemente a livello di arco e suoi rami e porzione toracica seguiti dall’aorta addominale; tra i rami aortici abitualmente interessati dalla TA ricordiamo: succlavie, carotidi comuni, coronarie, arterie renali e polmonari. Le manifestazioni cliniche sono quanto mai eterogenee

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spaziando da un quadro di malattia asintomatica, accertata occasionalmente per l’assenza di polsi arteriosi periferici o per soffi vascolari, fino a manifestazioni neurologiche catastrofiche. Dal punto di vista clinico, sono state descritte due fasi nella TA: una fase iniziale che precede l’assenza dei polsi e che si caratterizza per la presenza di sintomi aspecifici legati al processo flogistico in atto quali febbre, astenia, calo ponderale, mialgie, artralgie, sudorazioni notturne e anemia, e una fase cronica in cui compaiono i sintomi legati all’ischemia del territorio irrorato dall’arteria colpita. Nel caso in cui siano interessati arco dell’aorta e suoi rami i sintomi dominanti saranno dolore a livello di collo, mandibola, braccia, spalle, dorso e torace superiore, claudicatio degli arti superiori, disturbi visivi, vertigini, sincope, angina; nel caso in cui sia invece prevalentemente colpita l’aorta addominale la sintomatologia sarà caratterizzata da dolore addominale o lombare, ipertensione arteriosa e claudicatio intermittens. All’esame obiettivo si riscontrano solitamente assenza di polso a livello di una o di entrambe le arterie radiali e presenza di soffi vascolari a livello di collo, torace e addome. In questa, come in tutte le vasculiti, è fondamentale la diagnosi precoce giacché la terapia farmacologica, tempestiva e adeguata, può

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risultare decisiva per il controllo della malattia e per la prevenzione delle complicanze ischemiche. A tale proposito, nel corso degli anni, sono stati formulati una serie di criteri diagnostici che includono le manifestazioni più frequenti e caratteristiche della malattia; i primi sono i criteri del 1988 di Ishikawa, basati sull’osservazione di pazienti giapponesi, e utilizzati per molto tempo (Tab. 3).

Nel 1990 l’American College of Rheumatology (ACR) ha proposto una serie di criteri semplificata: tre o più di questi criteri consentono di classificare una vasculite come TA (Tab. 4). Sia i criteri di Ishikawa che quelli ACR considerano elemento classificativo-diagnostico l’età inferiore a 40 anni; in certe popolazioni, tuttavia, la vasculite può colpire fasce d’età più avanzate e pertanto l’applicazione di questi criteri rischia di non includere alcuni pazienti. I criteri ACR, inoltre, non permettono di identificare pazienti in fase precoce di malattia, quando ancora non sono comparse le lesioni stenotiche, e non sono stati revisionati alla luce delle nuove metodiche non invasive di imaging vascolare, di grande utilità per formulare la diagnosi di TA. Con l’obiettivo d’includere anche i pazienti con caratteristiche cliniche non previste dai criteri di Ishikawa e ACR, Sharma et all. nel 1995 hanno proposto nuovi criteri diagnostici per la TA, basati

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ancora sui criteri di Ishihawa, ma in parte modificati (Tab. 3). I criteri più ampiamente utilizzati rimangono tuttavia i criteri ACR del 1990; non dobbiamo comunque dimenticare che una corretta diagnosi non può essere limitata da criteri classificativi i quali, pur rappresentando le manifestazioni più sensibili e specifiche di malattia, non comprendono altri elementi ugualmente rilevanti, ma deve derivare da una sintesi di reperti clinici, bioumorali e strumentali. Una volta posta diagnosi di TA, è necessario classificare il paziente anche sotto il profilo anatomo-angiografico, poiché un’esatta definizione del tipo di vasi interessati consente un approccio farmacologico o chirurgico mirato (come, ad esempio, in caso d’interessamento delle arterie renali, delle arterie coronarie o di quelle polmonari), e permette di fare previsioni sulla prognosi della malattia. In questo senso i criteri classificativi angiografici più utilizzati sono quelli proposti nel 1994 in occasione della Conferenza Internazionale sulla TA, tenutasi a Tokio (Tab. 5) (9, 10)

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CRITERI DI ISHIKAWA (1988) CRITERI DI SHARMA (1995) Criterio obbligatorio

Età < 40 anni Criteri maggiori

1) Lesioni della porzione media dell’arteria succlavia

di sinistra

2) Lesioni della porzione media dell’arteria succlavia

di destra Criteri minori

1) Aumento della VES

2) Dolorabilità alla palpazione delle arterie carotidi comuni

3) Ipertensione arteriosa 4) Reflusso aortico o ectasia anuloaortica

5) Lesioni dell’arteria polmonare 6) Lesioni della porzione media dell’arteria carotide comune di sinistra

7) Lesioni del tratto distale del tronco brachio-cefalico

8) Lesioni dell’aorta discendente toracica

9)Lesioni dell’aorta addominale

Criteri maggiori

1) Lesioni della porzione media dell’arteria succlavia

di sinistra

2) Lesioni della porzione media dell’arteria succlavia

di destra

3) Sintomi e segni caratteristici con durata di almeno

un mese Criteri minori

1) Aumento della VES

2) Dolorabilità alla palpazione delle arterie carotidi comuni

3) Ipertensione arteriosa 4) Reflusso aortico o ectasia anuloaortica

5) Lesioni dell’arteria polmonare 6) Lesioni della porzione media dell’arteria carotide comune di sinistra

7) Lesioni del tratto distale del tronco brachio-cefalico

8) Lesioni dell’aorta discendente toracica

9) Lesioni dell’aorta addominale 10) Lesioni delle arterie coronarie

Diagnosi d’arterite di Takayasu:

Criteri di Ishikawa: in aggiunta al criterio obbligatorio, presenza di due criteri maggiori o di uno maggiore e di due o più criteri minori, o quattro o più criteri minori.

Criteri di Sharma: presenza di due criteri maggiori, o di uno maggiore e due minori, o di quattro criteri minori.

Tab. 3Criteri di Ishikawa (1988) e criteri di Sharma (1995) per la diagnosi di arterite di Takayasu.

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CRITERI DEFINIZIONE

Età d’esordio della malattia < 40 anni

Sviluppo di sintomi o segni di arterite di Takayasu < 40 anni di età

Claudicatio delle estremità Comparsa e aggravamento di fatica muscolare di una o più estremità durante l’attività fisica, soprattutto degli arti superiori Ridotta pulsatilità delle

arterie brachiali

Attenuazione del polso di una o di entrambe le arterie brachiali

Differenza pressoria >10 mmHg

Differenza della pressione arteriosa sistolica tra le due braccia >10 mmHg

Soffi sull’arteria succlavia

o sull’aorta Soffi vascolari udibili all’ascoltazione di una o di entrambe le arteria succlavie o dell’aorta addominale

Alterazioni arteriografiche Restringimenti od occlusioni dell’aorta, dei suoi rami principali o delle grandi arterie degli arti superiori o inferiori, non causate da aterosclerosi, displasia fibromuscolare

o altre cause similari. Alterazioni generalmente focali o segmentali

Tab. 4Criteri ACR per la classificazione della TA: un paziente può essere classificato come affetto da TA quando sono presenti almeno 3 dei 6 criteri.

TIPO INTERESSAMENTO VASALE

Tipo I Tipo IIa Tipo IIb Tipo III Tipo IV Tipo V

Diramazioni dell’arco aortico

Aorta ascendente, arco aortico e sue diramazioni

Aorta ascendente, arco aortico e sue diramazioni, aorta discendente toracica

Aorta discendente toracica, aorta addominale, e/o arterie renali Aorta addominale e/o arterie renali

Combinazione delle caratteristiche del tipo IIb e IV

Interessamento delle arterie coronarie: C (+); interessamento delle arterie polmonari: P (+).

Tab. 5 Classificazione angiografica dell’arterite di Takayasu secondo la Conferenza di Tokyo (1994).

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La spondilite anchilosante (AS) è una patologia infiammatoria cronica, facente parte del gruppo delle spondiloartriti sieronegative, che colpisce prevalentemente soggetti di sesso maschile (M:F 2-3:1) tra la seconda e la terza decade di vita. È una patologia comune la cui prevalenza infatti varia tra lo 0,1 e l’1% della popolazione generale; è strettamente associata all’antigene di istocompatibilità HLA-B27, espresso nel 90% dei pazienti. Interessa prevalentemente lo scheletro assiale (tipicamente affette le articolazioni sacroiliache) con dolore di tipo infiammatorio e rigidità mattutina di lunga durata che migliorano con l’attività fisica. È possibile riscontrare l’impegno delle articolazioni periferiche e di tessuti extra-articolari quali cute, occhio (uveiti anteriori), intestino (malattie infiammatorie croniche) e apparato cardiovascolare (aortite e periaortite). La AS è probabilmente la prima patologia reumatologica per cui è stata descritta l’associazione con aortite; è fondamentale ricordare tale associazione dal momento che la presenza di impegno aortico può modificare fortemente la prognosi dei pazienti e richiedere un trattamento tempestivo. L’aortite è una complicanza potenzialmente letale che può insorgere tardivamente o, più raramente, nelle fasi precoci. Il processo infiammatorio interessa la radice

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aortica e l’aorta ascendente causando insufficienza valvolare. Dal punto di vista anatomo-patologico, a livello della radice aortica, si riscontra infiammazione dei vasa vasorum, infiltrato infiammatorio mononucleato nella tonaca media con distruzione delle lamine elastiche e comparsa di fibrosi, proliferazione delle cellule dell’intima e ispessimento fibrotico dell’avventizia. Le alterazioni fibrotiche possono estendersi al setto interventricolare causando anomalie della conduzione e possono interessare anche le cuspidi valvolari nella loro interezza (dal margine libero alla base). La fibrosi delle cuspidi e la dilatazione dell’anulus valvolare, conseguenza della dilatazione aortica, sono responsabili della comparsa di insufficienza valvolare aortica. Questa presenta un decorso variabile con forme croniche ed emodinamicamente stabili (sono le più frequenti) e forme di insufficienza acuta, rapidamente progressiva. L’interessamento valvolare nella AS è raro nei primi 10 anni di malattia diventando più frequente nelle AS di lunga durata: è stato stimato che circa il 10% dei pazienti con una storia di malattia di circa 30 anni presentano impegno valvolare. È stata infine descritta l’associazione tra AS e fibrosi retroperitoneale idiopatica, inquadrabile nel gruppo delle aortiti non infettive idiopatiche (11, 12).

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La sindrome di Cogan (CS) è una rara patologia infiammatoria sistemica di eziologia sconosciuta, a patogenesi verosimilmente autoimmune, della quale sono descritti in letteratura circa 250 casi. Colpisce prevalentemente giovani adulti caucasici, soprattutto nelle prime tre decadi di vita, senza nessuna prevalenza di genere. Le sue principali manifestazioni sono legate ad una infiammazione di occhio, orecchio interno e vasi. Nella forma tipica di CS sono presenti le seguenti 3 condizioni: sintomi oculari legati alla presenza di cheratite interstiziale (rossore e dolore oculare, fotofobia), sintomi

audiovestibolari simili a quelli di una sindrome di Meniere

(comparsa improvvisa di acufeni, vertigini, sensazione di instabilità, nausea, vomito associati a perdita irreversibile dell’udito) e un intervallo di tempo tra l’inizio dei sintomi oculari e la comparsa delle manifestazioni audiovestibolari inferiore ai 2 anni. Si parla, invece, di forme atipiche di CS quando si osservano: differenti manifestazioni infiammatorie oculari (congiuntivite, uveite, sclerite) associate o meno a cheratite interstiziale; tipiche manifestazioni oculari associate a sintomi audiovestibolari diversi da quelli riscontrabili nel corso di una sindrome di Meniere, ritardo superiore ai due anni tra l’inizio dei tipici sintomi oculari e la comparsa delle

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manifestazioni audiovestibolari. È possibile riscontrare sintomi aspecifici quali: febbre, astenia, calo ponderale, linfadenopatia, epatomegalia, epatite, splenomegalia, artralgie, artrite, mialgie e orticaria. Può essere inoltre interessato l’apparato cardiovascolare con aortite e vasculite necrotizzante dei vasi di grande, medio e piccolo calibro che più frequentemente causa stenosi a carico di arterie coronarie, iliache e renali. L’aortite, in particolare, interessa più del 10% dei pazienti, si sviluppa entro settimane o anni dall’insorgenza dei sintomi oculari e audiovestibolari e causa dilatazione dell’aorta prossimale, insufficienza valvolare aortica, interessamento dell’origine delle arterie coronarie e formazione di aneurismi dell’aorta toraco-addominale. Dal punto di vista istologico, a livello dell’aorta, si riscontra un florido infiltrato linfocitario intorno ai vasa vasorum e nella tonaca media con frammentazione o perdita completa del tessuto elastico, fibrosi e successiva dilatazione aneurismatica (4, 13, 14).

La policondrite ricorrente (RP) è una rara condizione autoimmune caratterizzata da lesioni infiammatorie, distruttive e diffuse delle cartilagini e delle strutture connettivali. Il picco di incidenza si ha intorno ai 50 anni di età e le donne sembrano essere colpite più

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frequentemente degli uomini (F:M 3:1); non è stata ancora chiarita la eziologia di tale patologia mentre la patogenesi sembra essere autoimmune: il processo autoimmune sarebbe scatenato in soggetti geneticamente predisposti da noxae patogene diverse (traumi, tossine, agenti infettivi) che espongono al sistema immunitario antigeni connettivali criptici. Possono essere colpiti tutti i tipi di cartilagine e cioè sia la cartilagine ialina delle articolazioni periferiche che la fibrocartilagine dei tessuti extra-articolari, ma anche i tessuti ricchi in proteoglicani compresi tonaca media delle arterie, congiuntiva e sclera. Possono essere presenti sintomi costituzionali quali febbre, calo ponderale, sudorazione notturna, astenia associati ad una sintomatologia piuttosto variegata che dipende dell’organo colpito dal processo infiammatorio. I distretti abitualmente interessati sono: la cartilagine

elastica di orecchie (dolore, rossore e tumefazione del

padiglione auricolare che diventa, dopo episodi infiammatori ripetuti o dopo un lungo episodio, flaccido. Possibile anche l’interessamento di meato uditivo esterno e tuba di Eustachio con conseguente otite media e risultante calo dell’udito su base conduttiva. Si possono riscontrare anche sintomi vestibolari o calo dell’udito su base sensoriale per vasculite del ramo vestibolare o

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cocleare dell’arteria uditiva interna) e naso (dolore del naso, mal di gola e difficoltà a parlare con nel tempo sviluppo di deformità a sella della piramide nasale),

cartilagine dell’albero laringotracheobronchiale (tosse,

dispnea, stridore laringeo, sibili e ostruzione di laringe, trachea o bronchi), cartilagine articolare (oligoartrite di articolazioni metacarpofalangee e interfalangee prossimali, polsi e ginocchia. L’artrite è solitamente episodica, asimmetrica, migrante, non erosiva), tessuti

dell’occhio (episclerite, sclerite, congiuntivite). Meno

frequenti le manifestazioni renali, con patologia mesangiale o nefropatia da IgA (20% dei pazienti),

neurologiche, interessanti sia il SNC che i nervi periferici,

e cardiovascolari, osservate nel 20-50% dei pazienti con aortite e insufficienza valvolare aortica, pericardite, miocardite e alterazioni della conduzione. L’aortite può colpire tutta l’aorta; dal punto di vista anatomopatologico si osserva infiltrato linfocitario intorno ai vasa vasorum e nella media, frammentazione o completa scomparsa della lamina elastica e sostituzione ialina. Il risultato può essere una dilatazione della radice aortica con conseguente insufficienza valvolare, aneurismi aortici e dissecazione aortica (15, 4).

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Meno frequentemente è possibile riscontrare un’aortite in altre condizioni reumatologiche quali morbo di Behçet,

lupus eritematoso sistemico e artrite reumatoide. Il morbo

di Behçet (BD) è una patologia autoimmune cronica con interessamento mucocutaneo, oculare, vascolare e del SNC, che colpisce più frequentemente soggetti giovani (età media 20-30 anni) con prevalenza simile nei due sessi. I pazienti con BD presentano di solito: ulcere orali e genitali ricorrenti, lesioni cutanee tipo eritema nodoso o pseudofollicolite, interessamento oculare con perdita della vista (panuveite), interessamento neurologico con cefalea, meningite o meningoencefalite, crisi comiziali. Alla base di tali manifestazioni vi è una vasculite dei vasi sia arteriosi che venosi colpiti indipendentemente dal loro calibro. Non esistono test patognomonici e la diagnosi si basa sulla sintomatologia del paziente; utili in questo senso i criteri diagnostici del 1990 dell’International Study Group (ISG) for Behçet disease (Tab. 6). È possibile riscontrare in una percentuale di pazienti variabile dal 15 al 50% un interessamento dei grossi vasi sia arteriosi che venosi; questi ultimi sono quelli più colpiti con trombosi venose profonde a livello degli arti inferiori. L’aorta e i suoi rami principali vengono colpiti nel 5-18% dei pazienti e costituiscono una delle cause più gravi di morbilità e

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mortalità. Dal punto di vista anatomopatologico si osserva un infiltrato infiammatorio a livello dei vasa vasorum e dell’avventizia che porta a rapida distruzione della parete vasale con necrosi della media. Si sviluppano così aneurismi a carico di aorta, arterie polmonari, femorali, poplitee e carotidee. L’interessamento dei grossi vasi causa la comparsa di sintomatologia sistemica aspecifica (febbre, astenia e aumento degli indici di flogosi) con massa pulsante e dolente a livello della sede dell’aneurisma; fa eccezione l’interessamento dell’aorta addominale che può provocare, invece, la comparsa di dolore alla schiena e subocclusione intestinale. Tra le sedi di interessamento dei grossi vasi non va dimenticata l’arteria polmonare; l’aneurisma dell’arteria polmonare è associato ad un’elevata mortalità, è di solito bilaterale e si manifesta con sintomi sistemici aspecifici associati a tosse, dolore toracico, dispnea e emottisi (4, 16). Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una patologia autoimmune che colpisce prevalentemente le donne in età fertile. Accanto all’impegno cutaneo, articolare, sierositico, renale, ematologico e neurologico, è ben documentato anche l’impegno del sistema cardiovascolare con una vasculite dei vasi di piccolo calibro e una pancardite cioè un possibile interessamento di pericardio, miocardio,

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endocardio e arterie coronarie. L’aortite è una complicanza poco comune del LES e si associa alla formazione di aneurismi, a dissecazioni dell’aorta e alla formazione di trombi; più frequentemente è interessata l’aorta ascendente. Nei casi con aortite si è osservata una più giovane età d’insorgenza dei sintomi del LES, una terapia steroidea di lunga durata e la presenza di ipertensione arteriosa. All’analisi istopatologica degli aneurismi aortici è possibile trovare o un infiltrato infiammatorio linfoplasmacellulare con deposizione di IgG, C3 e fibrinogeno o, più frequentemente, una degenerazione della media tipo Marfan in assenza di infiltrato infiammatorio della parete aortica: ciò ha fatto nascere il sospetto che alla base del danno aortico possano avere un ruolo sia i corticosteroidi che i fattori meccanici (11). L’aortite è inoltre una rara complicanza dell’artrite reumatoide e si associa, solitamente, alla presenza di vasculite a livello di altri distretti vascolari; causa lo sviluppo di aneurismi aortici multipli con possibili rotture improvvise e spontanee del vaso. Dal punto di vista anatomopatologico è presente vasculite dei vasa vasorum con ispessimento dell’avventizia e presenza di infiltrato infiammatorio a livello della media (2, 11). In letteratura, infine, è possibile trovare rari case

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report sull’impegno dell’aorta in sarcoidosi, vasculiti ANCA-associate e artrite idiopatica giovanile (11).

Criterio maggiore:

 Aftosi orale ricorrente: aftosi minore, maggiore o lesioni erpetiformi che recidivano almeno 3 volte in 12 mesi

Criteri minori:

 Aftosi genitale ricorrente: ulcere o esiti cicatriziali

 Lesioni oculari: uveite anteriore, uveite posteriore o cellule nel corpo vitreo all’esame con lampada a fessura; vasculite retinica  Lesioni cutanee: eritema nodoso, pseudofollicolite, lesioni

papulopustolose o noduli acneiformi in pazienti in fase post-adolescenziale non in trattamento steroideo

 Patergia: presenza di lesione eritemato-pomfoide nel sito di iniezione entro 24-48 ore

Tab. 6 Criteri ISG per la diagnosi di BD: per la diagnosi di BD deve essere presente il criterio maggiore in associazione ad almeno 2 criteri minori in assenza di altra spiegazione clinica.

L’aortite idiopatica è una forma di vasculite caratterizzata dalla presenza di flogosi isolata della aorta in assenza di patologie infettive o sistemiche identificabili. È una forma di aortite verosimilmente sottostimata poiché la maggior parte dei pazienti sono asintomatici fino alla comparsa di complicanze quali aneurismi, stenosi o dissecazioni aortiche, e la diagnosi viene posta al momento dell’analisi istologica di un aneurisma dell’aorta

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resecato. Da studi su casistiche chirurgiche le aortiti idiopatiche sembrano rappresentare il 4,3% di tutte le aortiti; il tratto aortico più spesso interessato dalla flogosi è l’aorta toracica; discordanti sono invece i dati a nostra disposizione circa l’epidemiologia di tale patologia, secondo alcuni studi infatti risultano colpite più frequentemente le donne mentre secondo altri sarebbero i soggetti di sesso maschile ad essere più spesso interessati. L’eziopatogenesi di tale condizione è sconosciuta, il quadro istopatologico dell’aortite isolata è indistinguibile da quello della ACG; dal punto di vista prognostico il 17% dei pazienti con aortite isolata, sempre secondo le casistiche chirurgiche, nel tempo svilupperebbe un nuovo aneurisma per cui è raccomandato un periodico follow-up di questi pazienti (1, 2). L’aortite isolata è dunque una condizione che richiede ulteriori studi per definirne la eziopatogenesi, la classificazione rispetto alle altre vasculiti dei grossi vasi e la necessità o meno di un trattamento specifico.

Gli aneurismi infiammatori idiopatici dell’aorta si distinguono da quelli aterosclerotici per la presenza di un’estesa fibrosi perianeurismatica adesa alla parete aortica che appare ispessita, tipicamente solo nel tratto

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anteriore. Colpiscono più frequentemente l’aorta addominale, rappresentando il 3-10% di tutti gli aneurismi addominali; le forme dell’aorta toracica sono invece molto rare, con solo pochi casi riportati in letteratura. L’età media di insorgenza sono i 60 anni, con i soggetti di sesso maschile colpiti più frequentemente di quelli di sesso femminile (7-9:1). Le manifestazioni cliniche più tipiche sono caratterizzate dalla triade: massa

addominale pulsante, calo ponderale ed elevazione degli indici di aspecifici di flogosi. Gli aneurismi infiammatori

dell’aorta addominale (IAAA) insieme alla fibrosi retroperitoneale idiopatica (IRF) e alla fibrosi retroperitoneale perianeurismatica rientrano nel

gruppo delle periaortiti croniche (CP) cioè un insieme di patologie idiopatiche caratterizzate dallo sviluppo di un tessuto fibro-infiammatorio che dalla avventizia dell’aorta addominale e delle arterie iliache comuni si estende nel retroperitoneo con progressivo intrappolamento delle strutture vicine quali ureteri, vasi arteriosi, venosi e linfatici. La CP può quindi svilupparsi intorno ad una aorta non dilatata o dilatata: nel primo caso parliamo di IRF (tessuto fibro-infiammatorio intorno ad un’aorta non dilatata e nel retroperitoneo adiacente); nel secondo caso invece si parla di IAAA (tessuto fibro-infiammatorio

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intorno ad un’aorta dilatata) o di fibrosi retroperitoneale perianeurismatica (tessuto fibro-infiammatorio che da un’aorta dilatata si estende nel retroperitoneo adiacente) sulla base della assenza o presenza rispettivamente di intrappolamento delle strutture anatomiche vicine. Quando l’aorta è solo leggermente dilatata, risulta difficile distinguere tra forma aneurismatica e non aneurismatica di CP per cui è stato fissato come limite per classificare una CP come aneurismatica un diametro dell’aorta maggiore di 3 centimetri (17). Le entità cliniche comprese nel gruppo delle CP sono tutte idiopatiche; in particolare nel caso di RF devono quindi essere escluse le forme secondarie che rappresentano circa un terzo di tutte le forme di RF. Le principali cause di RF secondaria sono: farmaci (derivati degli alcaloide ergot, metisergide, beta-bloccanti e agonisti dopaminergici); neoplasie retroperitoneali (linfomi, sarcomi retroperitoneali) o neoplasie metastatiche con interessamento del retroperitoneo (carcinoidi, metastasi di carcinomi di stomaco, colon, mammella, polmone, tiroide e tratto genitourinario); infezioni (istoplasmosi, TBC, actinomicosi); radioterapia; traumi e chirurgia addominale pregressa (18). La patogenesi della CP non è stata ancora chiarita; inizialmente si pensava che fosse dovuta ad una

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reazione infiammatoria locale contro un antigene localizzato nelle placche aterosclerotiche dell’aorta addominale; sono stati identificati due possibili antigeni implicati nelle sviluppo di CP le LDL ossidate o i ceroidi. Poiché la tonaca media intatta costituisce un sito immunoprivilegiato, la capacità dei lipidi depositati nell’intima e nella media di scatenare un processo infiammatorio nell’avventizia può dipendere da un assottigliamento o da una rottura della media stessa con conseguente transito di lipidi. Questi possono essere processati dai macrofagi dell’avventizia e presentati a linfociti B e T con attivazione degli stessi e produzione di immunoglobuline. A supporto di tale ipotesi abbiamo il riscontro di IgG in stretta associazione con i ceroidi extracellulari e la presenza di alti livelli di anticorpi anti-LDL ossidate e anti-ceroidi nel siero dei pazienti con CP. Se, tuttavia, inizialmente si pensava che l’aterosclerosi fosse un prerequisito indispensabile per lo sviluppo di CP, attualmente il suo ruolo è controverso; si è infatti osservato che la CP si sviluppa anche in assenza di aterosclerosi. Poiché i pazienti con CP presentano sintomi costituzionali sistemici, elevati livelli degli indici aspecifici di flogosi, positività di autoanticorpi e spesso patologie autoimmuni sistemiche o organo-specifiche associate

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(possibile l’associazione tra IRF e LES, AR, vasculiti dei vasi di medio e piccolo calibro e tiroidite autoimmune), è stato recentemente proposto che la CP sia una manifestazione di una malattia autoimmune sistemica a eziopatogenesi multifattoriale (tra i possibili fattori ambientali scatenanti: fumo, esposizione all’asbesto e infezioni da herpes virus, citomegalovirus e Clamydia pneumoniae) e non il risultato di una reazione infiammatoria locale. Studi istologici sull’aorta di pazienti affetti da CP hanno dimostrato la presenza di flogosi dell’avventizia con infiltrati perivascolari a livello dei vasa vasorum, caratteristica questa riscontrabile nelle vasculiti dei grossi vasi; inoltre la PET, eseguita nei pazienti con CP, ha evidenziato una flogosi dei grossi vasi con interessamento prevalente di aorta addominale e arterie iliache comuni, ma con possibile estensione anche ad aorta toracica e sue principali branche. Alla luce di questi dati sembrerebbe possibile che la CP inizi come arterite, con particolare tropismo per l’aorta addominale e le iliache comuni, e che da qui poi l’infiammazione si estenda al retroperitoneo scatenando una reazione fibro-infiammatoria (17, 19). Questo spiega il perché la CP sia inserita nel gruppo delle aortiti non infettive idiopatiche. L’epidemiologia della CP non è ben nota, tende a

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svilupparsi tra i 50 e i 60 anni, con i soggetti di sesso maschile colpiti da 2 a 3 volte più frequentemente rispetto a quelli di sesso femminile (tale predilezione di sesso è più evidente, come già sottolineato, per IAAA). Dal punto di vista anatomopatologico, macroscopicamente in corso di CP si evidenzia un tessuto bianco-grigiastro che infiltra i tessuti retroperitoneali intorno all’aorta addominale e alle arterie iliache comuni. Microscopicamente si ha un tessuto sclerotico con infiltrato infiammatorio costituito prevalentemente da linfociti B e T, macrofagi e plasmacellule che si possono organizzare in strutture follicolari, localizzate prevalentemente nelle aree perivascolari. Nella parete aortica si osserva infiammazione a carico dell’avventizia, con un infiltrato simile a quello che ritroviamo nei tessuti retroperitoneali, assottigliamento della media e, molto spesso, aterosclerosi dell’intima. Clinicamente l’esordio della CP è spesso caratterizzato dalla presenza di sintomi costituzionali aspecifici quali: astenia, anoressia, febbricola, calo ponderale, dolore addominale o lombare o livello del fianco nell’80% dei pazienti. Nel caso di un IAAA, come precedentemente affermato, è presente una massa pulsante addominale mentre del caso di una IRF sono presenti i sintomi legati all’intrappolamento delle

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strutture anatomiche adiacenti. Nel 56-100% dei pazienti con IRF è presente intrappolamento degli ureteri per cui si hanno i sintomi di una uropatia ostruttiva che, se non opportunamente trattata, sfocia in insufficienza renale. La compressione dei vasi linfatici e venosi causa edema delle estremità inferiori, trombosi venosa profonda, tumefazione scrotale, dolore testicolare, varicocele e idrocele; possibile inoltre la presenza di sintomi legati a subocclusione intestinale (17). Negli ultimi anni è stato osservato che alcune CP possono essere parte di una patologia rara e di nuova identificazione che è la patologia correlata alle IgG4, è stato inoltre osservato che molte RF e IAAA in passato classificati come idiopatici in realtà sono IgG4-correlati. Poiché la malattia IgG4-correlata è un’entità nuova, mancano studi epidemiologici su larga scala che ci permettano di capire quale percentuale di CP sia in realtà IgG4-correlata (20). La patologia sclerosante IgG4-correlata è una patologia fibroinfiammatoria caratterizzata da elevati livelli sierici di IgG4 e della presenza, a livello degli organi interessati, di un denso infiltrato di linfociti, plasmacellule, con abbondanti plasmacellule IgG4 positive, e eosinofili, flebite obliterativa e fibrosclerosi. Clinicamente negli organi colpiti compaiono lesioni similtumorali che rispondono agli

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steroidi. Il prototipo di tale patologia è la pancreatite autoimmune da cui le lesioni si possono estendere a colecisti e dotti biliari; altri possibili quadri clinici sono: scialoadenite cronica sclerosante, dacrioadenite cronica sclerosante, polmonite interstiziale, nefrite interstiziale e prostatite (21). La CP può essere una manifestazione cardiovascolare della patologia sclerosante IgG4 correlata; dal punto di vista istologico nel tessuto infiammatorio delle CP IgG4-correlate sono presenti numerose plasmacellule IgG4 positive con possibile formazione di follicoli linfatici, infiltrato di eosinofili e flebite obliterativa. La parete dell’aorta è più ispessita rispetto alla forme non IgG4-correlate, con una più spiccata flogosi dell’avventizia. Dal punto di vista clinico nelle forme di CP IgG4-correlate sono più evidenti i sintomi sistemici secondari alla flogosi, si hanno alti livelli sierici di IgG4, è possibile riscontrare positività degli anticorpi antinucleo, sono più frequenti patologie allergiche o autoimmuni ed è più rara la rottura degli aneurismi per un maggior ispessimento della parete arteriosa (20, 21).

Con il termine aortiti iatrogene si intendono le forme di aortiti indotte da radiazioni e quelle indotte da farmaci. Le prime si manifestano dopo molti anni (più di

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10) dall’esposizione ad alte dosi di radiazioni e colpiscono solo il tratto di aorta compreso nel campo di irradiazione. È presente obliterazione dei vasa vasorum con necrosi ischemica della parete vascolare e successiva stenosi; si possono riscontrare anche trombosi, rotture del vaso e processo accelerato di calcificazione della parete vasale. Tra i farmaci che possono indurre aortite ricordiamo gemcitabina, propiltiouracile, minociclina, antagonisti dei recettori dei leucotrieni. Il processo infiammatorio si risolve con la sospensione del farmaco (1, 4).

DIAGNOSI DELLE AORTITI

Il quadro clinico dell’aortite può essere notevolmente variabile comprendendo forme totalmente asintomatiche, che danno segno di sé solo nel momento in cui compaiono le complicanze della flogosi vascolare e cioè stenosi e/o aneurismi, e forme caratterizzate dalla presenza di segni e sintomi che sono tuttavia aspecifici quali: dolore addominale o lombare, febbre, astenia, calo ponderale, insufficienza valvolare aortica; a questi si può aggiungere la sintomatologia specifica della patologia causa dell’aortite. Gli esami di laboratorio solitamente evidenziano la presenza di un processo flogistico in atto con elevazione degli indici aspecifici di flogosi talvolta

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associati ad anemia normocromica e normocitica e piastrinosi. Nel caso di aortiti infettive compare solitamente leucocitosi neutrofila, possono aiutare emocolture, intradermoreazione di Mantoux e/o Quantiferon gold e test sierologici per la sifilide, mentre nelle forme di aortite in corso di IRF va esclusa la presenza di linfomi o neoplasie metastatiche con interessamento del retroperitoneo. Data la aspecificità del quadro clinico e laboratoristico, per la diagnosi di aortite risultano fondamentali le metodiche strumentali di imaging le quali ci permettono di distinguere tra forme infettive e non infettive, di valutare le alterazioni a carico di parete e lume del vaso e l’estensione della malattia. Possono inoltre essere utili per biopsie guidate in casi selezionati e nel follow-up del paziente sia per quanto riguarda la risposta al trattamento e il grado di attività della malattia sia per quanto riguarda la comparsa di complicanze nel lungo termine (1, 2). Le metodiche di imaging più utilizzate sono:

angiografia: un tempo era considerata il

gold-standard per la diagnosi di aortite, soprattutto di quella causata da TA. Oggi tale tecnica è stata sostituita da angio-TC e angio-RM: metodiche non invasive che ci danno informazioni non solo sul

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lume vascolare, ma anche sullo stato della parete del vaso e delle strutture periaortiche. Oltre quello di essere una metodica invasiva, un altro svantaggio della angiografia è l’uso di alte dosi di radiazioni; attualmente viene utilizzata prevalentemente per procedure terapeutiche interventistiche (ad esempio procedure di rivascolarizzazione) (4, 22).

Angio-TC: la tomografia computerizzata con mezzo

di contrasto iodato ha praticamente sostituito l’angiografia nella diagnosi delle vasculiti dei grossi vasi. È una metodica ampiamente disponibile in tutti i centri ed è di solito la prima indagine richiesta nel sospetto di aortite. È un’indagine multiplanare, con possibilità di ricostruzioni tridimensionali e con un’eccellente risoluzione spaziale. Ci permette di escludere rapidamente la presenza di altre patologie aortiche che possono mimare la presenza di un’aortite quali dissecazioni dell’aorta, ematomi intramurali e ulcere aterosclerotiche penetranti. In caso di aortite la TC evidenzia di solito un ispessimento irregolare della parete aortica, un enhancement di parete dopo somministrazione del mezzo di contrasto e una

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flogosi periaortica. Nel lungo termine è utile per monitorare l’eventuale comparsa di complicanze come aneurismi, stenosi, trombosi e calcificazioni della parete aortica. I suoi svantaggi sono l’esposizione a radiazioni ionizzanti, l’uso di mezzo di contrasto iodato che pone problemi in soggetti allergici o con insufficienza renale e la poca sensibilità circa il grado di attività di malattia (1, 4). Angio-RM: la risonanza magnetica con mezzo di

contrasto (gadolinio) è una delle metodiche di scelta nel paziente con aortite, soprattutto se causata da vasculite dei grossi vasi, che necessita di valutazioni strumentali multiple nel corso del tempo. È, come la TC, una tecnica multiplanare con possibilità di ricostruzioni tridimensionali che non fa uso però né di radiazioni ionizzanti né di mezzo di contrasto iodato. Fornisce informazioni sull’estensione del processo flogistico a carico dell’aorta, sullo stato del lume e della parete vasale evidenziando ispessimenti della parete, aneurismi o stenosi vascolari. Con particolari sequenze, definite “edema weighted”, la angio-RM mostra la presenza di edema nella parete del vaso correlato al grado di attività di malattia. Nel follow-up dei pazienti con

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aortite non solo, come la angio-TC, permette di evidenziare la comparsa di complicanze, ma potrebbe fornire anche informazioni sulla risposta alla terapia (riduzione dell’edema di parete) e sul grado di attività di malattia. Non può essere impiegata in pazienti portatori di pacemaker o di protesi metalliche e nei pazienti con insufficienza renale, che controindica la somministrazione di gadolinio (22, 1).

18-Fluorodeossiglucosio tomografia ad

emissione di positroni (FDG-PET): è una indagine

di medicina nucleare sempre più utilizzata per la diagnosi di aortite e vasculite dei grossi vasi. Il processo infiammatorio a livello della parete vascolare si caratterizza per la presenza di cellule infiammatorie con metabolismo aumentato che quindi ipercaptano il FDG: si osserverà quindi nell’aortite un accumulo del radiofarmaco a livello della parete arteriosa. La PET può essere utile anche nel follow-up dei pazienti e per la valutazione della risposta al trattamento. I suoi principali svantaggi sono: l’esposizione a radiazioni, l’elevato costo, la disponibilità limitata solo in pochi centri e la bassa risoluzione spaziale (non dà informazioni

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morfologiche e cioè non evidenzia né l’ispessimento di parete né l’eventuale presenza di stenosi, aneurismi o trombi inoltre sono visualizzabili solo i vasi con un diametro di almeno 4mm) per cui di solito viene combinata con la TC per ottenere una maggiore precisione anatomica (4).

Ecodoppler: è una metodica non invasiva che

combina le immagini real-time con la determinazione della velocità di flusso tramite doppler, permettendo così la stima sia della anatomia vascolare che dello stato luminale. L’ecografia dell’addome e l’ecocardiogramma transtoracico o transesofageo nei pazienti con aortite possono evidenziare l’ispessimento circonferenziale della parete e la presenza di aneurismi, stenosi o trombosi; non forniscono invece informazioni sul grado di attività di malattia (1, 4).

Nelle aortiti infettive l’indagine strumentare di prima scelta è la angio-TC che evidenzia: ispessimento della parete arteriosa con captazione disomogenea del mezzo di contrasto, nodularità periaortiche, presenza di fluido o di una massa di tessuto molle captante il mezzo di contrasto

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in sede periaortica, modifiche del diametro dell’aorta fino alla comparsa di aneurismi sacculari, presenza di gas nella parete aortica e in sede periaortica, raccolte ascessuali. Con la angio-RM si evidenzia il tratto di aorta colpito che presenta una parete ispessita, captante mezzo di contrasto, edematosa. Poco utili la PET, che evidenzia la flogosi di parete, ma non permette di distinguere tra aortiti infettive e non infettive, e l’ecografia che evidenzia la dilatazione aneurismatica, ma non fornisce alcuna informazione nelle forme di aortite non aneurismatica. L’ecografia nel caso di aortite infettiva può essere un esame di completamento, ma non è un esame da utilizzare in prima battuta per formulare una corretta diagnosi (6, 23, 24).

Nell’ambito delle aortiti non infettive PET, angio-RM e angio-TC sono fondamentali per evidenziare l’interessamento flogistico dell’aorta e l’estensione della flogosi vascolare con i pro e i contro di ogni metodica che ho sopra ricordato. Tra le aortiti non infettive meritano particolare attenzione TA, ACG e periaortite cronica. Per quanto riguarda TA il gold standard per la diagnosi di tale patologia in passato era considerata la angiografia che oggi è stata sostituita dalle tecniche di imaging non invasive per le molteplici ragioni sopra citate. La angio-TC

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nelle fasi iniziali della TA mostra un quadro tipico detto “double ring”: la parete arteriosa infiammata è ispessita in modo concentrico con un anello interno ipointenso corrispondente all’intima edematosa, ipodensa e ipocaptante il contrasto e un anello esterno iperintenso corrispondente a media e avventizia infiammate e quindi ipercaptanti il contrasto. Alla angio-RM la parete arteriosa infiammata è ispessita, con ritardato enhancement dopo la somministrazione di gadolinio nella sequenze T1 e iperintensa nelle sequenze di T2 per presenza di edema. Sia angio-TC che angio-RM permettono di evidenziare la comparsa di eventuali complicanze tardive della flogosi arteriosa mentre, per entrambe, ci sono pareri contrastanti circa la loro utilità nel definire il grado di l’attività di malattia nel lungo termine. Il controllo della malattia con la terapia steroidea e immunosoppressiva si traduce in riduzione dell’enhancement di parete sia alla TC che alla RM. Per quanto riguarda invece la riduzione dell’edema e dello spessore della parete arteriosa come parametri di risposta al trattamento, i risultati a nostra disposizione sono contrastanti, in particolare risulta difficile, basandosi solo sullo spessore della parete, distinguere tra lesioni infiammatorie attive e lesioni fibrotiche croniche per cui occorrono studi più

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approfonditi per comprendere come angio-TC e angio-RM ci possano aiutare nella valutazione del grado di attività delle vasculiti dei grossi vasi. Nella TA può essere utile inoltre l’ecodoppler per lo studio delle arterie carotidi comuni, frequentemente colpite da tale patologia. Nei soggetti sani, la parete delle carotidi mostra all’ecografia due linee parallele, ecogene separate da uno spazio ipoecogeno che rappresenta l’interfaccia lume-intima e media-avventizia chiamato complesso intima-media (IMC). Nella TA attiva, in sezioni trasverse, si osserva un aumento diffuso e circonferenziale dell’IMC (“macaroni sign”) che probabilmente riflette la presenza di edema infiammatorio, un’aumentata vascolarizzazione o entrambi. L’ispessimento è più marcato nella patologia attiva che in quella inattiva mentre l’iperecogenicità si può osservare sia in arteriti attive che in quelle inattive; resta da chiarire se l’ecodoppler possa essere utile per valutare l’attività di malattia cioè se vi sia una correlazione tra risposta al trattamento e grado di ispessimento della parete arteriosa. Nonostante sia una metodica operatore-dipendente e non permetta di studiare tutti i tratti arteriosi (ad esempio, per la loro localizzazione profonda e per la presenza di strutture anatomiche sovrastanti, non è possibile studiare correttamente aorta toracica e

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addominale) l’ecografia può essere utilizzata per il monitoraggio dei pazienti con TA. Il gold standard per la diagnosi di ACG è la biopsia dell’arteria temporale (TAB); per la valutazione dell’interessamento dei grossi vasi sono di aiuto sia l’angio-TC, meno utilizzata in questa patologia, sia l’angio-RM con i medesimi reperti e le medesime incertezze riguardo al ruolo di tali metodiche nel follow-up del paziente con ACG. La RM ad alto campo (1,5-3 T) può essere utilizzata per lo studio dell’arteria temporale che, se colpita dal processo infiammatorio, si presenta con parete ispessita e con enhancement di parete e intorno ad essa. Anche in questo caso rimane da chiarire se esiste una correlazione tra i dati RM e i parametri clinici e di laboratorio e se quindi questa metodica possa o meno essere utilizzata nel follow-up. L’ecografia nella ACG viene utilizzata per lo studio dell’arteria temporale la quale, se interessata dal processo flogistico, mostra un reperto tipico e cioè un ispessimento ipoecogeno della parete dovuto all’edema infiammatorio (segno dell’halo). La terapia steroidea, iniziata prima dell’ecografia, può sopprimere l’edema di parete con scomparsa del segno dell’ halo. Nell’interpretazione dei risultati ecografici andrebbe valutata la probabilità di ACG prima del test (probabilità pre-test) determinata sulla

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base di storia clinica, esame fisico e valori della VES del paziente. Si distinguono tre situazioni: se la probabilità pre-test è bassa (≤10%) l’ecografia negativa esclude praticamente la ACG ed elimina il bisogno della TAB; se la probabilità pre-test è alta (≥90%) la TAB è praticamente inevitabile, indipendentemente dai risultati dell’esame ecografico. Se infine la probabilità pre-test è del 50% (ACG probabile, ma sono possibili altre diagnosi), l’ecografia è di grande valore in quanto reperti anormali accrescono la probabilità di ACG a livelli tali da giustificare una TAB, mentre risultati negativi riducono la probabilità all’interno di un range nel quale la TAB dovrebbe essere considerata su basi individuali. Sia nella TA che nella ACG è di grande aiuto per identificare la presenza di impegno dei grossi vasi la PET la quale fornisce informazioni sia sulla severità che sull’estensione del processo infiammatorio. A causa dell’elevato uptake di FDG da parte del tessuto encefalico, non è possibile valutare l’impegno dei vasi di medio calibro quali arterie temporali e craniche. La PET può essere utilizzata anche per valutare il grado di attività di malattia nel tempo: la risposta clinica e bioumorale al trattamento si traduce in una riduzione dell’uptake del FDG sebbene in molti casi un minimo di captazione rimanga anche nei pazienti considerati in remissione

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