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Approcci fitoterapici al trattamento dell' artrite reumatoide: nuovi meccanismi ed evidenze cliniche

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

Approcci fitoterapici al trattamento dell’artrite reumatoide: nuovi meccanismi ed evidenze cliniche

RELATRICE:

Prof.ssa Maria Cristina Breschi

CANDIDATO: Lorenzo Giani

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SOMMARIO

1. Introduzione 4 1.1 Epidemiologia 4 1.2 Cause 4 1.3 Patogenesi 6 1.4 Quadro clinico 11 1.5 Criteri classificativi 16 1.6 Terapia 19 2. Fitoterapia 24

2.1 Fitoterapia malattie infiammatorie 26

2.2 Arnica montana 27 2.3 Boswellia serrata 30 2.4 Curcuma longa 33 2.5 Ribes nigrum 36 2.6 Harpagophytum procumbens 40 2.7 Glycyrrhiza glabra 43 2.8 Zingiber officinale 45 2.9Camellia sinensis 47 2.9.1 Studio clinico 49 3. Conclusioni 55 4. Bibliografia 56

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1.INTRODUZIONE

L’artrite reumatoide è una malattia progressiva che tende a diventare cronica e si presenta con un’infiammazione delle articolazioni mobili del corpo, quelle caratterizzate dalla presenza delle membrane sinoviali, che provoca dolori, gonfiori, rigidezza degli arti e difficoltà di movimento. Le articolazioni più frequentemente coinvolte sono quelle piccole delle dita delle mani, i polsi, i piedi, le ginocchia e le caviglie; più raro è invece il coinvolgimento di anche, spalle, gomiti e rachide. L’interessamento è di solito simmetrico.

1.1 EPIDEMIOLOGIA

L'artrite reumatoide colpisce tra lo 0,5 e l'1% degli adulti nel mondo sviluppato. Tra 5 e 50 individui su 100.000 sviluppano la malattia ogni anno.[1] Nel 2010 ciò si è tradotto in circa 49.000 decessi nel mondo.[2]Alcuni gruppi di nativi americani hanno tassi di prevalenza più elevati (5-6%) mentre gli originari della regione caraibica hanno tassi di prevalenza più bassi. Più comunemente la malattia esordisce tra i 40 e i 50 anni di età, mentre negli uomini un po' più tardi. [3] Tra le persone più colpite le donne superano gli uomini in proporzione di 4 a 1. L’artrite reumatoide comporta una riduzione della qualità di vita e perdita della capacità lavorativa entro 10 anni dall’esordio in oltre il 50% dei soggetti affetti [4]; anche l’aspettativa di vita appare ridotta in questi soggetti, infatti molti studi sostengono che essa si accorci di 5-10 anni nei pazienti con artrite reumatoide rispetto alla popolazione generale [5].

1.2 CAUSE

L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune di cui non sono ancora completamente note le cause. Probabilmente si manifesta quando un individuo geneticamente predisposto entra in contatto con un antigene

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scatenante: ciò determina un’attivazione del sistema immunitario che sviluppa un processo infiammatorio acuto che si auto mantiene e diventa cronico. Il sistema immunitario stimola una infiammazione cronica determinata e alimentata da un’alterazione dell’equilibrio fisiologico tra determinate proteine, chiamate citochine. L’infiammazione è un importante meccanismo di difesa dell’organismo ma è necessario che si esaurisca una volta superata l’aggressione dell’elemento patogeno. Nell’organismo esiste un sistema di cellule, proteine e recettori che mantengono in equilibrio il sistema di difesa: all’incremento fisiologico delle proteine infiammatorie corrisponde un aumento di recettori solubili e proteine antiinfiammatorie che, rapidamente, ripristinano l’equilibrio. L’artrite reumatoide è determinata dalla rottura di questo equilibrio e nelle articolazioni permangono cronicamente quantitativi elevati di proteine pro-infiammatorie. Citochine quali il Tumor Necrosis Factor - alfa (TNF-α), Interleuchina-1 e 6 giocano un ruolo determinante nell'automantenimento dell'infiammazione.

Altra supposizione viene dal dato incontrovertibile fornito dall’osservazione che una notevole percentuale, circa il 70-80 %, dei pazienti sofferenti l’artrite reumatoide sono positivi al fattore reumatoide FR ovvero un autoanticorpo cioè un anticorpo che aggredisce i tessuti del proprio corpo.

Secondo alcuni studiosi tra le cause potrebbero concorrere fattori ambientali in grado di contribuire a scatenare, in una struttura genetica predisposta, questa patologia.

L’artrite reumatoide ha anche una componente ereditaria, in quanto alcune ricerche sul sistema di istocompatibilità umana, cioè l’insieme dei geni di un individuo, ha permesso di dimostrare che le persone con un consanguineo affetto da questa malattia hanno una probabilità quattro volte maggiore di contrarla.

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Infine alcuni ricercatori ipotizzano tra le cause della malattia anche i fattori ormonali, considerato che le donne risultano più esposte e che ad esempio durante la gravidanza l’artrite reumatoide migliora nel 75/80 % dei casi.

1.3PATOGENESI

L’artrite reumatoide si sviluppa in individui geneticamente predisposti per azione di un antigene scatenante che attiva il sistema immunitario con sviluppo di reazione flogistica (infiammazione) e successivo

automantenimento e cronicizzazione.

La predisposizione genetica è legata ai geni del complesso maggiore di istocompatibilita (HLA), in particolare DR4 e DR1 (soprattutto il primo). I soggetti affetti da artrite reumatoide sono per il 60-70% DR4+, nei quali la malattia è più aggressiva rispetto ai DR4-.

Inoltre nella popolazione generale i soggetti DR4+ hanno un rischio di contrarre la malattia 4-5 volte superiore rispetto ai DR4-.

L’antigene scatenante è l’agente che funge da “miccia” innescando il processo infiammatorio.

L’incontro tra l’antigene e l’individuo geneticamente predisposto scatena una risposta immunitaria che coinvolge sia l’immunità innata che quella specifica ed ha come principali effettori del danno sinoviociti, macrofagi e linfociti.

Il processo patogenetico (Figura 1) è diviso in tre stadi, mentre quello fisiopatologico e clinico in cinque stadi.

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Le fasi patogenetiche sono:

Fase di induzione (o della risposta innata) precede il primo dei cinque stadi

della classificazione fisiopatologica e clinica: consiste in una risposta rapida a molteplici stimoli patogeni, più spesso di tipo esogeno, con alterazioni iniziali a carico di sinoviociti e capillari sinoviali che determinano iperplasia sinoviale e deposizione di fibrina ed attivazione di cellule mesenchimali e macrofagiche. Le cellule mesenchimali e macrofagiche rilasciano citochine, chemochine e molecole di adesione all’endotelio che predispongono l’ambiente al successivo arrivo di polimorfonucleati e monucleati.

Fase infiammatoria (della risposta antigene-specifica)corrisponde agli

stadi 1, 2 e 3 della classificazione fisiopatologica e clinica. In seguito a preattivazione dell’ambiente articolare le cellule dendridiche presentano l’antigene ai linfociti CD4 che producono citochine le quali amplificano la

risposta immunitaria nei seguenti modi:

IL-2 agendo con meccanismo autocrino aumenta l’attività dei CD4 stessi; la stessa IL-2, insieme ad IL4, IL5 e L6, attiva e stimola i linfociti B; TNF, IL-1 ed altre chemochine richiamano e attivano i neutrofili; TNF-β e IFN-γ attivano il sistema monocitico macrofagico. I linfociti B si differenziano in plasmacellulle che secernono anticorpi, tra i quali ci sono i fattori reumatoidi (FR) che formano degli immunocomplessi con le IgG. Alcuni complessi FR-IgG, sospesi nel liquido sinoviale, attivano il complemento con produzione di C3a e C5a (chemiotattici); altri precipitano sulla membrana danneggiandola e svolgendo una azione attrattiva nei confronti del panno sinoviale; altri ancora possono superare il filtro articolare e determinare reazioni da immunocomplessi a distanza che possono portare alla formazione di noduli reumatoidi. Nel frattempo i neutrofili, giunti nel liquido sinoviale, fagocitano immunocomplessi, detriti cellulari e materiale fibroso. Alla fagocitosi si

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accompagna attivazione dei sistemi plasmatici (coagulazione, fibrinolisi, chinine e complemento), produzione di radicali liberi e metaboliti dell’acido arachidonico, liberazione di enzimi lisosomiali (proteasi, elastasi, collagenasi) e produzione di sostanza P, di identificazione piuttosto recente, in grado di stimolare la crescita dei sinoviociti.

Fase distruttiva (mesenchimale) corrisponde agli stadi 4 e 5 della

classificazione fisiopatologica e clinica. E’ sostenuta da fibroblasti e sinoviociti che vengono attivati e stimolati dalla produzione di citochine ad opera del sistema mocito macrofagico (IL1, IL 8, CSF1 THFα) e dei linfociti (IL6, IFNγ, TNF). I sinoviociti attivati perpetuano il processo infiammatorio autostimolandosi (produzione di citochine ad azione autocrina) e stimolando leucociti (IL15) e sistema monocitico macrofagico (IL1, IL3 TNF M-CSF, GM-CSF) che a loro volta ristimolano i sinoviociti. I sinoviociti sono distinti in A e B. I sinoviociti di tipo A (simil macrofagici) sono i più numerosi e secernono le citochine responsabili del mantenimento dello stato infiammatorio. I sinoviociti B (simil fibroblastici), responsabili della reazione mesenchimale, hanno aspetti di tipo trasmormato simil neoplastico con incremento di oncogeni associati alla proliferazione, riduzione dell’apoptosi, e perdita dell’inibizione da contatto (pannociti). Sinoviociti e polimorfonucleati concorrono alla formazione del panno sinoviale con danneggiamento della cartilagine per digestione enzimatica. Concorrono, in minor misura, alla distruzione della cartilagine articolare anche gli immunocomplessi che determinano danno per deposizione sulla membrana e per infiammazione sinoviale acuta (quelli sospesi nel liquido sinoviale che richiamano i neutrofili). I sinoviociti di tipo B producono anche citochine che attivano gli osteoclasti determinando rarefazione ossea ed erosioni.

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Alle tre fasi patogenetiche sono strettamente connessi i cinque stadi fisiopatologici e clinici:

Stadio 1: corrisponde al fenomeno di presentazione dell’antigene ai linfociti

T CD4, è asintomatico e privo di manifestazioni istologiche e radiologiche.

Stadio 2: corrisponde allo sviluppo della sinovite acuta e all’inizio della sua

cronicizzazione, all’accumulo di neutrofili e alle fasi inziali di formazione del panno con iperplasia dei sinoviociti e formazione di villi sinoviali, che crescono senza invadere la cartilagine ed in maniera polarizzata. Clinicamente si hanno malessere generale, astenia, rigidità mattutina, lieve tumefazione e dolorabilità digitopressoria delle piccole articolazioni; non sono ancora presenti alterazioni radiologiche.

Stadio 3: corrisponde all’ avanzamento dei processi patogenetici del

secondo stadio; clinicamente peggiorano i segni e i sintomi dello stadio precedente e si aggiungono dolore articolare e limitazione funzionale; radiologicamente si evidenzia un ispessimento delle capsule articolari.

Stadio 4: corrisponde all’organizzazione del processo proliferativo sinoviale

con panno invasivo, a sviluppo centripeto, invadente la cartilagine e l’osso subcondrale; clinicamente peggiorano i segni e i sintomi dello stadio precedente, in modo particolare la limitazione funzionale; radiologicamente, ai reperti dello stadio precedente, si aggiunge evidenza di riduzione dello spazio articolare e osteoporosi periarticolare;

Stadio 5: corrisponde ad un importante invasione da parte del tessuto di

granulazione della cartilagine e dell’osso subcondrale (Figura2) con alterazioni anche a carico di strutture periarticolari (tendini e legamenti); clinicamente peggiorano i segni e i sintomi dello stadio precedente con ulteriore perdita di funzione, notevole limitazione dei movimenti attivi e passivi, sviluppo di deformità ed eventuale comparsa di manifestazioni

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extrarticolari; radiologicamente si accentuano i reperti dello stadio precedente e compaiono le erosioni.

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Figura 2 Confronto fra articolazione normale ed una affetta da artrite reumatoide

1.4 QUADRO CLINICO

Il decorso dell’artrite reumatoide può essere eterogeneo: può manifestarsi sotto forma di malattia articolare di modesta entità con scarso danno articolare o di poliartrite progressiva a rapida evoluzione ed invalidante.

Per quanto riguarda le modalità di esordio, nel 70% dei casi esso è graduale e insidioso, cominciando con artralgie e rigidità mattutina che dura per settimane o mesi prima di evolvere in un’artrite franca. Nel 20% dei casi l’esordio è subacuto e nel 10% è acuto: in questo caso si hanno fin dall’inizio tutti i segni di flogosi.

L’aspetto tipico di presentazione della patologia è quello di un interessamento poliarticolare e simmetrico, mentre più raramente si manifesta con un coinvolgimento mono-articolare o oligo-articolare. Manifestazioni sistemiche, quali febbre, perdita di peso, mialgia e rash cutaneo, possono accompagnare quelle articolari e solo molto raramente le

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precedono. Sempre raramente l’esordio è di tipo palindromico (dolore e tumefazione, localizzati a una o più articolazioni, che poi si risolvono completamente, ma ricorrono; soprattutto a mani e piedi). Quest’ultima modalità è più frequente nell’artrite reumatoide senile.

Manifestazioni articolari

Le manifestazioni articolari sono chiaramente le più importanti del quadro clinico dell’artrite reumatoide, esse colpiscono le articolazioni diartrodiali e si evidenziano come una poliartrite con distribuzione simmetrica e andamento centripeto . Quindi, le prime articolazioni interessate sono le piccole articolazioni delle mani (Figura 3) e dei piedi e progressivamente quelle più prossimali; vengono coinvolte sempre nuove articolazioni senza risoluzione del processo morboso in quelle precedentemente interessate.

Le articolazioni più colpite sono:

• interfalangee prossimali delle mani; • metacarpo-falangee;

• polsi;

• metatarso-falangee.

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Altre articolazioni frequentemente coinvolte sono le interfalangee prossimali dei piedi, le ginocchia, i gomiti, le caviglie, le spalle, le anche, la colonna cervicale, l’articolazione temporo-mandibolare e le crico-aritenoidi.

Tale interessamento si manifesta con i segni e i sintomi tipici dell’infiammazione:

• dolore spontaneo, continuo che aumenta con il movimento ed il carico; • rigidità articolare che dura almeno un’ora e fino a 2-3 ore al mattino o

dopo;

• lunga inattività (al contrario di quanto avviene nell’osteoartrosi dove la rigidità è di breve durata);

• debolezza e facile affaticabilità;

• tumefazione articolare più evidente sulla superficie estensoria, dove la capsula è più distendibile; essa può essere dovuta a versamento, ipertrofia, iperplasia della membrana sinoviale o a edema dei tessuti molli periarticolari;

• rossore e calore della cute sovrastante;

• limitazione funzionale: inizialmente è dovuta alla sinovite, al versamento ed alla contrattura muscolare antalgica, successivamente alla deformazione articolare ed all’anchilosi.

Manifestazioni extra-articolari

Dal momento che l’artrite reumatoide è una malattia sistemica, diversi distretti dell’organismo, oltre alle articolazioni, sono coinvolti dal processo patologico in un numero significativo di casi. Inoltre l’interessamento extra-articolare ha un peso importante nell’aumentare la mortalità nei pazienti affetti dalla malattia.

Cute: a livello sottocutaneo e intracutaneo possono localizzarsi dei noduli reumatoidi.

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La cute può essere interessata da un processo vasculitico caratterizzato da

microinfarti periungueali e ulcere cutanee.

Polmoni: l’interessamento polmonare risulta molto importante dal punto di vista prognostico poiché rappresenta un’importante causa di decesso tra i pazienti con artrite reumatoide. La pleurite è la più comune manifestazione

intratoracica della malattia, associata frequentemente a versamento essudativo e più raramente a empiema. Altra estrinsecazione della patologia

reumatica a livello polmonare è la malattia interstiziale e la pneumopatia nodulare. Come a tutti i livelli possiamo avere un interessamento vascolare che, in questo caso, si manifesta come arterite polmonare.

Una sindrome caratteristica che può colpire pazienti affetti da artrite reumatoide con pneumoconiosi è la sindrome di Caplan che consiste in un processo fibroso nodulare diffuso.

Apparato cardio-vascolare: riveste particolare importanza in questo contesto la cardiopatia ischemica, che sembra rappresentare la causa di morte di circa il 40% di pazienti reumatoidi. Si ritiene infatti che l’artrite reumatoide comporti la presenza di fattori di rischio specifici per la cardiopatia ischemica in aggiunta a quelli classici (età, sesso maschile, elevati livelli di

colesterolo LDL, fumo, ipertensione, etc.): infatti la flogosi cronica svolge un ruolo fondamentale nel danno endoteliale e nell'aterogenesi precoce

osservata nei pazienti con artrite reumatoide.

Altri possibili interessamenti dell’apparato cardio-vascolare sonorappresentati da pericardite, che spesso ha un andamento subclinico, da

miocardite dovuta a vasculite o amiloidosi, da endocardite per localizzazione di noduli reumatoidi a livello dell’endocardio, da vasculite coronaria e da interessamento del tessuto di conduzione.

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Muscoli: due complicanze dell’artrite reumatoide sono l’ipotrofia muscolare da disuso, localizzata o generalizzata, e la miopatia da cortisone: entrambe contribuiscono alla debolezza muscolare tipica della malattia.

Osso: l’osteoporosi secondaria all’artrite reumatoide può essere localizzata o generalizzata; nel primo caso è indotta dalla sinovite, mentre nel secondo

dalla diminuzione dell’attività fisica e dalla terapia con corticosteroidi.

Sistema nervoso: il sistema nervoso centrale è interessato in casi rarissimi, ma vanno sempre tenute in considerazione le conseguenze psicologiche di una malattia cronica, invalidante e accompagnata da dolore.

Il sistema nervoso periferico può essere interessato per sindromi da intrappolamento, neuropatia sensitiva distale e mononeurite multipla. Le prime sono causate dall’aumento di pressione che l’infiammazione e l’edema esercitano sui nervi quando transitano in spazi inestensibili: è il caso della sindrome del tunnel carpale e della mielopatia cervicale. La neuropatia sensitiva distale e la mononeurite multipla sono invece dovute a fenomeni vasculitici.

Rene: l’interessamento renale è principalmente dovuto agli effetti che possono avere su quest’organo diversi farmaci usati nel trattamento dell’artrite reumatoide, oppure può essere dovuto ad amiloidosi o, più raramente, a vasculite reumatica.

Apparato gastro-enterico: anche in questo caso l’interessamento può essere dovuto ad amiloidosi o a vasculite. Inoltre, è rilevante l’interessamento iatrogeno, soprattutto per quel che riguarda i FANS.

Occhio: il coinvolgimento oculare si presenta in genere in soggetti con una

malattia di lunga durata, caratterizzata dalla formazione di noduli. Le due

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1.5 CRITERI CLASSIFICATIVI

La diagnosi di questa malattia, prevalentemente nelle fasi iniziale della malattia, è clinica. Dallo studio di numerose casistiche di soggetti portatori di artrite reumatoide, sono stati individuati i sintomi e i segni più frequenti e caratteristici dell'AR. La concomitante presenza, in un soggetto, di questi sintomi e segni individuati dall'American Rheumatism Association (ARA) permette la diagnosi con significativa specificità e sensibilità.

In accordo con la classificazione della ARA 1987 [6], per la diagnosi di AR devono essere presenti almeno 4 dei 7 criteri sotto elencati. L'artrite deve essere presente per almeno 6 settimane.

1) Rigidità mattutina prolungata oltre un’ora; 2) Artrite di più di tre sedi articolari;

3) Artrite delle articolazioni tipiche delle mani;

4) Tumefazione simmetrica delle medesime sedi (destra e sinistra); 5) Noduli reumatoidi;

6) Fattore reumatoide sierico (FR);

7) Alterazioni radiologiche (erosioni o decalcificazione ossea iuxtaarticolare).

Un criterio diagnostico di grande importanza è costituito dalla presenza nel siero del FR, riscontrabile nell` 70% circa dei pazienti.

Le metodiche atte a svelare la presenza nel siero del FR IgM sono:

1) RA test eseguito cimetando il siero del paziente a diluizioni scalari con particelle di lattice ricoperte da IgG umane aggregate mediante calore. Qualora il siero contenga FR IgM, questo si legherà alle IgG inducendo l’agglutinazione delle particelle. Il test è sensibile ma poco specifico e va considerato positivo soltanto con titoli > 1:80.

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2) reazione di Waaler Rose, nella quale vengono utilizzate emazie di pecora e un siero di coniglio immunizzato con tali emazie. Questo test è meno sensibile, ma più specifico del RA-test; l`agglutinazione delle emazie è considerata positiva solo con titoli > 1 : 32.

I FR non IgM possono rendersi responsabili di una falsa negatività sierologica, in quanto non evidenziabili mediante razioni di agglutinazione; tuttavia con l’uso di metodiche radioimmunologiche e immunoenzimatiche è possibile svelare anche la presenza di FR non IgM.

La diagnosi di AR non presenta particolari difficoltà quando il quadro clinico è conclamato: la presenza di dolore e tumefazione bilaterale simmetrica e stabile, da oltre 6 settimane, delle piccole articolazioni delle mani (metacarpo-falangee, inter-falangee prossimali) e/o dei polsi, con prolungata rigidità mattutina, rende facile la diagnosi di AR. La presenza di FR e di lesioni ossee tipiche suffragono la diagnosi dove la clinica è meno evidente. Il riscontro di noduli reumatoidi invece è generalmente possibile nei casi più gravi ed evoluti.

Più difficile, invece, diagnosticare l'AR di recente insorgenza (poche settimane), soprattutto quando questa ha un esordio subdolo e sono poche le articolazioni colpite (oligoartrite). In questi casi si impone un attento e stretto monitoraggio del paziente che impedisca ogni ritardo della diagnosi . Anche nei casi ove la diagnosi pare facile, è buona norma considerare i sintomi, i segni clinici e di laboratorio finalizzati alla esclusione, in diagnosi differenziale, di altre condizioni reumatiche, quali le connettiviti e altre poliartriti croniche.

ALTRI ESAMI DI LABORATORIO

Nell’artrite reumatoide gli esami di laboratorio, principalmente VES e proteina C reattiva (PCR), sono utili per dimostrare la presenza di uno stato

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infiammatorio e il suo grado di attività e per monitorare entità ed evoluzione della malattia. Questi esami sono però poco specifici in quanto possono essere positivi anche in altri processi infiammatori o infezioni. Se l’esame radiologico evidenzia erosioni di cartilagini e osso significa che la malattia è purtroppo già attiva da tempo. Un test di recente introduzione e che ha dimostrato una buona sensibilità e specificità per la diagnosi precoce di artrite reumatoide è la ricerca degli anticorpi anti-peptidi citrullinati (anticorpi anti-CCP).

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1.6 TERAPIA

Dal momento che non esiste una terapia eziologica, gli scopi del trattamento dell’artrite reumatoide sono i seguenti: abolire o attenuare l’infiammazione e il dolore, rallentare la progressione della malattia, preservare o recuperare la funzionalità articolare, prevenire o limitare lo sviluppo di deformità e correggere quelle già esistenti. Oltre alla terapia farmacologica, riabilitativa e chirurgica, bisogna offrire al paziente un supporto psicologico, molto utile perché egli possa accettare la condizione di malattia disabilitante e per ottenere una buona compliance terapeutica. Il medico, inoltre, deve offrire alcune misure educazionali informando il paziente sulla patologia e suggerendo il riposo nelle fasi di attività della malattia e un adeguato movimento nei periodi in cui l’infiammazione è spenta per prevenire l’anchilosi e l’ipotrofia muscolare.

Terapia farmacologica

La terapia farmacologia dell’artrite reumatoide può essere divisa fra farmaci sintomatici e farmaci di fondo, detti DMARDs, cioè Disease Modifying Antirheumatic Drugs. Come detto, un intervento terapeutico nelle fasi iniziali della malattia, nella cosiddetta window of opportunity, rappresenta un’occasione da non lasciarsi sfuggire per modificare sensibilmente e concretamente l’evoluzione e il decorso dell’artrite reumatoide, tanto che l’EULAR (European League Against Rheumatism) ha pubblicato alcune raccomandazioni per la gestione dell’ERA [7] tra cui spicca la necessità di intraprendere al più presto un trattamento energico con DMARDs.

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FANS

I FANS non alterano in alcun modo il decorso della patologia, né prevengono la comparsa di erosioni articolari; per questo non possono costituire il solo trattamento farmacologico [8]. Essi risultano però utili nel ridurre il dolore, l’infiammazione e la rigidità mattutina. L’indometacina, il diclofenac, l’ibuprofene, il ketoprofene, il naprossene e gli inibitori selettivi della COX-2 sono, tra i FANS, i più efficaci e maggiormente utilizzati. I nuovi FANS COX-2 selettivi offrono il vantaggio di una minor gastrolesività. Una strategia terapeutica utile nell’uso dei FANS è quella di somministrare un preparato a lunga durata d’azione o a dosaggi più elevati alla sera, per evitare la rigidità mattutina e il dolore.

CORTICOSTEROIDI

I corticosteroidi sono utili nel controllo a breve termine dell’attività di malattia, grazie alla loro azione antiflogistica inibente la produzione e l’azione di citochine pro-infiammatorie. Vanno però usati sempre alla luce dei loro effetti collaterali, tra cui ricordiamo l’osteoporosi, la soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e l’alterazione dell’equilibrio glucidico. ANALGESICI

Farmaci quali paracetamolo, tramadolo e altri oppiacei possono essere usati nel controllo del dolore.

DMARDs

Una volta posta diagnosi di artrite reumatoide è indicato iniziare tempestivamente una terapia con farmaci di fondo, data la loro capacità di modificare il decorso della malattia e di migliorare i sintomi. Molti DMARDs si sono dimostrati anche in grado di ritardare la progressione radiologica della malattia. Essi sono rappresentati da: metotressato, azatioprina, ciclosporina, leflunomide, sulfasalazina e sali d’oro. La loro

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attività comincia a manifestarsi dopo un periodo variabile di latenza (4-16 settimane). Tali farmaci mostrano una maggiore efficacia nel controllo dell’evoluzione della malattia senza un incremento cumulativo della loro tossicità, è stato, quindi, proposto un trattamento con due o più DMARD in associazione fin dall’inizio per tentare di arrestare la rapida progressione della malattia. Il trattamento viene successivamente ridotto con l'obiettivo di mantenere la malattia in remissione.

FARMACI BIOLOGICI

Un notevole contributo alla terapia dell'artrite reumatoide è stato dato dalla disponibilità di molecole biotecnologiche in grado di bloccare l'azione di alcune citochine pro-infiammatorie che svolgono un ruolo patogenetico centrale nell' automantenimento dell'infiammazione reumatoide. I principali farmaci attualmente in uso sono:

• Infliximab: un anticorpo chimerico monoclonale anti IgG1 che per il 20% e` costituito da sequenze proteiche murine. Si lega con elevate affinita` al fattore di necrosi tumorale (TNF), neutralizzando la sua attivita`. Viene somministrato per infuzione endovenosa ogni 8 settimane.

• Adalimumab: un anticorpo monocolonale ricombinante completamente umano che si lega con elevata affinita`al TNF-alfa. Viene somministrato per via sottocutanea due volte al mese.

• Etanercept: una proteina di fusione del recettore-2 umano (p75) del TNF con il frammento Fc della molecola umana IgG1. Viene somministrato per via sottocutanea una volta alla settimana.

• Golimumab: un anticorpo monoclonale umano diretto contro il TNF-alfa ed è la prima terapia anti-TNF TNF-alfa per via sottocutanea somministrabile una volta al mese, per il trattamento dell'artrite reumatoide, dell'artrite psoriasica e della spondilite anchilosante.

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• Anakinra: è l`unico inibitore dell`interleuchina 1 autorizzato per la terapia dell`artrite reumatoide.

• Rituximab: il cui bersaglio è il recettore CD20 dei linfociti B. Viene utilizzato nel trattamento del linfoma non Hodgkin delle cellule B, nelle leucemie delle cellule B e in artrite reumatoide. L'anticorpo si lega al cluster di differenziazione 20 (CD20), espresso sulle cellule B, sin dalla fase precoce di differenziazione; il CD20 è invece assente sulle plasmacellule nella fase finale della differenziazione. Nel trattamento dell’artrite reumatoide il farmaco 19 viene usato per somministrazione endovenosa in due cicli a distanza di due settimane che poi si ripetono a distanza di sei mesi.

• Abatacept: anche denominato CTLA4Ig, è un modulatore selettivo della costimolazione delle cellule T. Inibisce la funzione delle cellule T, ma non ne produce deplezione. E` indicato nella riduzione dei segni e dei sintomi dell’artrite reumatoide in forma moderata-grave nei pazienti adulti, con inadeguata risposta ad almeno un farmaco modificante la malattia (DMARD) incluso almeno un inibitore del TNFalfa. Sono stati dimostrati una inibizione della progressione del danno articolare ed un miglioramento della funzione fisica durante il trattamento di combinazione con abatacept e metotrexato [9].

• Tocilizumab: è un anticorpo molecolare umanizzato anti-interleuchina-6. L’interleuchina-6 rappresenta un altro target molecolare nel trattamento dell’artrite reumatoide. La sicurezza e l’efficacia di Tocilizumab è stata dimostrata in studi clinici condotti su pazienti con artrite reumatoide ed altre malattie infiammatorie autoimmuni, come artrite reumatoide idiopatica giovanile e malattia di Crohn [10].

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Essi sono gravati da diversi effetti collaterali, tra cui: infezioni (soprattutto da patogeni opportunisti e da tubercolosi), cardiopatia congestizia, patologie a carattere demielinizzante e reazioni locali da infusione.

Terapia fisica e riabilitativa

Le terapie fisiche, quali la crioterapia e la stimolazione nervosa elettrica transcutanea (TENS), hanno lo scopo di ridurre il dolore e le sue conseguenze sulla funzionalità e capacità fisiche. La terapia riabilitativa ha invece il ruolo di prevenire le deformità articolari, di mantenere la funzionalità articolare e il trofismo muscolare. Si avvale di tecniche di correzione posturale, di esercizi articolari attivi e passivi. È, inoltre, molto importante applicare i principi dell’economia articolare, quindi insegnare al paziente la gestualità corretta per “risparmiare” le articolazioni.

Terapia chirurgica

La terapia chirurgica può essere eseguita allo scopo di prevenire le lesioni e le deformità, in questo caso si eseguono interventi di sinoviectomia o di osteotomia. Nelle fasi avanzate di malattia può essere indicato l’intervento di artroprotesi nel caso in cui la struttura articolare sia completamente sovvertita, la sua funzione pressoché abolita e il dolore insopportabile.

Infine negli ultimi anni si stanno effettuando molti studi clinici sull’ uso della fitoterapia per migliorare il decorso di questa malattia.

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2. FITOTERAPIA

La fitoterapia, dal greco phytón (pianta) e therapéia (cura), è la scienza che tratta la cura e la prevenzione delle malattie umane per mezzo delle piante medicinali. Essa studia le capacità curative delle piante o delle droghe vegetali, le indicazioni di massima, le controindicazioni relative, la posologia e le opportune vie di somministrazione.

In fitoterapia per droga s’ intende quella parte della pianta medicinale (radice, foglia, seme, corteccia, rizoma, ecc.) che viene utilizzata a fini terapeutici perché contiene, assieme a sostanze inerti o di scarso interesse farmacologico, composti chimici capaci di esplicare un’ azione farmacologica ovvero i principi attivi.

Ecco una lista esemplificativa dei vari principi attivi:

- fenoli semplici;

- polifenoli - tannini e flavonoidi;

- glicosidi (fenilpropanoidi, antrachinoni, glucosinolati, iridoidi, glicosidi cianogeniche);

- terpeni;

- terpenoidi e saponine (fitosteroli, glicosidi cardioattive, triterpeni); - olii essenziali e resine;

- alcamidi; - alcaloidi.

Negli ultimi trent’anni si è assistito a una progressiva reintroduzione della fitoterapia, fino al suo riconoscimento tra le discipline della Medicina Integrata insieme all’Omeopatia e all’Agopuntura. Numerose condizioni hanno favorito il riemergere di queste antiche conoscenze, e tra queste troviamo principalmente i problemi legati all’uso dei farmaci di sintesi e

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l’aumento progressivo di studi scientifici convalidanti l’efficacia clinica di diverse piante medicinali.

Per quanto riguarda i farmaci di sintesi si è visto che:

• hanno numerosi effetti collaterali, sia al momento dell’utilizzo sia a lungo termine, causando una specifica categoria di disturbi e malattie detti “malattie iatrogene”, cioè causate dalla terapia;

• c’è una tendenza della classe medica a prescrivere troppi farmaci, così

come dei pazienti a farne un uso smodato, soprattutto per quanto riguarda i farmaci da banco, che non sono affatto esenti da effetti collaterali;

Per quanto riguarda i farmaci naturali possiamo dire che:

• è aumentato in modo imponente il numero di studi scientifici effettuati su varie piante medicinali;

• è aumentata la produzione di farmaci naturali, grazie anche allo sviluppo di moderne tecnologie che ne facilitano raccolta, lavorazione e conservazione;

• lo sviluppo di un approccio più ecologico verso il pianeta e verso la vita ha portato nuovo interesse verso terapie naturali e una certa sfiducia verso i farmaci chimici.

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2.1 Fitoterapia nelle malattie infiammatorie

Le piante medicinali ad attività antinfiammatoria sono diverse e rispetto ai farmaci antinfiammatori steroidei e non steroidei hanno un utilizzo oggettivamente e naturalmente limitato, fatto salvo il considerare l’opportunità d’impiego di prodotti erboristici a complemento della terapia farmacologica, con sinergismo agonista con i farmaci (eventualmente favorendone un dosaggio più basso) o per ridurne gli effetti collaterali. Ciononostante, negli ultimi anni, sono stati pubblicati numerosi studi relativi all’efficacia clinica di estratti vegetali nel trattamento di stati infiammatori come l’artrite reumatoide e l’osteoartrite. Le droghe utilizzate nel trattamento di questi disturbi hanno generalmente lo scopo di prevenire o limitare il processo infiammatorio. Poiché le malattie autoimmuni sono dovute a un difetto dell’immunità umorale o cellulare, si ricorre anche all’utilizzo di piante medicinali in grado di modulare i processi immunitari, che stimolano cioè in generale il sistema immunitario accrescendo la resistenza contro tutti gli antigeni esterni piuttosto che verso uno specifico antigene, in particolare con l’attivazione di cellule e di fattori umorali [11].

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LE PRINCIPALI PIANTE STUDIATE

2.2 ARNICA MONTANA, famiglia delle Asteraceae.

Figura 4 Pianta di Arnica Montana

L'arnica (Arnica montana) (Figura4) è una pianta erbacea perenne con fusto semplice peloso ghiandoloso alta fino a 50 cm con rizoma strisciante breve bruno-rossiccio e capolino grande unico giallo. E’ originaria dell'Europa e in Italia la troviamo in prossimità delle Alpi e sugli Appennini. Appartiene alla famiglia delle Asteracee (o Composite) e si distingue per i bei fiori giallo-aranciati, dal gradevole odore aromatico. La droga è costituita dai capolini appena schiusi oppure dal rizoma raccolto in autunno.

Questa pianta è stata usata per secoli nell’ erboristeria tradizionale come rimedio per i traumi, nelle contusioni e nelle condizioni di infiammazione legate all'apparato locomotore [12], ed è considerata una dei rimedi naturali più utilizzati per le condizioni reumatologiche [13].

I principi attivi contenuti nell'arnica (flavonoidi, triterpeni, lattoni sesquiterpenici come l'elenalina e olio essenziale) le conferiscono proprietà

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antinfiammatorie, antimicrobiche, antidolorifiche e stimolanti la circolazione, ma deve essere utilizzata solo per via esterna.

L'uso interno è stato infatti abbandonato perché l'assunzione di arnica in dosi medicinali può scatenare irritazioni gastriche e altri effetti collaterali, e attualmente le cure per via orale sono a base di diluizioni omeopatiche del rimedio.

I sesquiterpeni, in particolare quelli contenenti una struttura alfa-metilene-gamma-lattone, mostrano attività antiinfiammatoria. L'elenalina è una delle molecole più attive.

I meccanismi ipotizzati per l'azione antiinfiammatoria sono tre:

- disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa nei neutrofili PMN;

- elevazione del cAMP nei neutrofili e nelle cellule epatiche;

- inibizione dell'attività enzimatica dei lisosomi nei neutrofili e nelle cellule epatiche.

Negli ultimi anni è stato effettuato uno studio [14] che ha dimostrato un effetto similare tra l’uso topico dell’arnica ed i benefici dell’ibuprofene, un comune farmaco antinfiammatorio non steroideo frequentemente indicato per alleviare il dolore ed il processo di flogosi. Lo studio è stato condotto su un campione di ben 204 soggetti affetti da artrosi alle mani in forma moderata o grave che sono stati sottoposti in parte ad un trattato topico con l’ibuprofene, mentre l’altra metà dei paziente è stata curata con prodotti in gel contenenti arnica. I ricercatori in entrambi i casi hanno raccomandato di massaggiare le mani 3 volte al giorno con il gel e di proseguire la cura per 3 settimane consecutive. Al termine del periodo della cura i ricercatori hanno potuto verificare dei risultati soddisfacenti su tutti e due i gruppi, anche l’uso dell’arnica ha determinato su soggetti colpiti da artrosi alle mani una sensibile diminuzione del dolore ed un parziale recupero funzionale. I

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prodotti a base di arnica infatti riescono ad espletare le loro proprietà grazie alla concentrazione di principi attivi ad azioni antiflogistiche ed antalgiche. Si tratta nello specifico di due lattoni sesquiterpenici: l’elenalina (Figura 5) e la diidroelenalina.

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2.3 BOSWELLIA SERRATA

Figura 6 Pianta di Boswellia serrata

La Boswellia serrata (Figura 6) è una pianta appartenente alla famiglia delle Burseraceae che cresce nelle regioni tropicali del Sud-Est asiatico, dell’India e nella fascia costiera del Magreb. È una pianta che appartiene alla medicina tradizionale Ayurvedica ed utilizzata dalle popolazioni locali per le sue splendide proprietà antisettiche ed espettoranti ma anche antinfiammatorie e antiartritiche.

La droga di questa pianta è costituita dalla resina che fuoriesce per incisione della corteccia la quale è molto ricca di oleoresine. Le oleoresine sono delle miscele costituite da resine miste ad oli essenziali che rendono le piante che le contengono molto aromatiche. Queste oleoresine prendono il nome di incenso e sono impiegata da millenni sia per le funzioni rituali sia per scopi medici.

Da un punto di vista chimico, la Boswellia serrata è una pianta ricca di oleoresine e la sua frazione resinosa è composta principalmente da triterpeni per circa il 55%, gomme e gommoresine per il 23%. Il principio attivo di questa pianta, che si trova in percentuali molto elevate nella resina che sgorga dalle corteccia incisa, è l’acido bosweillico (Figura 7): un triterpene pentaciclico.[15]

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Figura 7 Struttura dell’acido boswellico Figura 8 Struttura del cortisolo

Se osserviamo la struttura chimica dell’acido boswellico[16] e quella del cortisolo (Figura 8) che noi stessi produciamo, si noterà che le due strutture in parte si somigliano. Infatti, le proprietà dell’acido boswellico sono per certi versi del tutto paragonabili a quelle degli antinfiammatori steroidei, i cortisonici.

Le proprietà terapeutiche della Boswellia serrata che possiamo sfruttare a nostro vantaggio riguardano gli effetti antinfiammatori, antidolorifici e antiedemigeni che si esplicano sostanzialmente con due diversi meccanismi d’azione.

Il primo riguarda l’inibizione della 5-lipossigensi (5-LO), un enzima che converte l’acido arachidonico in leucotrieni mediatori dell’infiammazione insieme alle prostaglandine. Gli acidi boswellici sono capaci di inibire selettivamente questo enzima bloccando la sintesi di diversi tipi di leucotrieni coinvolti sia nell’infiammazione acuta (leucotriene B4, LTB4) che cronica (leucotriene C4, LTC4; leucotriene D4, LTD e leucotriene E4, LTE4). Poiché i principi attivi della Boswellia non agiscono sulla produzione di prostaglandine, l’altro gruppo di mediatori chimici del processo flogistico, vengono meno tutti gli effetti collaterali che si manifestano in seguito alla loro inibizione, in primis la gastrolesività. L’assunzione di questi composti

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in forma di integratori alimentare può aiutare a ridimensionare il processo infiammatorio riducendo il gonfiore e il dolore associati.

La seconda attività terapeutica esercitata dagli acidi boswellici riguarda l’inibizione della migrazione dei leucociti (globuli bianchi) e dell’elastasi. Questi composti si sono dimostrati capaci di frenare la migrazione dei leucociti polimorfonucleati (PMN), grazie all’inibizione sia del rilascio che della produzione dei fattori chemotattici che li richiamano nella sede dell’infezione. L’elastasi, prodotta da queste cellule, è un enzima proteolitico che serve a scindere il collagene e quindi la struttura dei tessuti molli convolti nel processo flogistico. In questo modo, i leucociti si “fanno strada” per poter raggiungere il luogo colpito dall’infezione. Questa attività di inibizione dell’elastasi, oltre che di altri enzimi, risulta molto importante nei casi di infiammazione alle articolazioni perché in questo modo non vengono danneggiate strutture quali cartilagine, tendini e legamenti.

Nella medicina tradizionale indiana ayurvedica, la Boswellia serrata è usata per trattare l’artrite reumatoide. Per sostenere questo uso tradizionale scientificamente, Singh e Atal [17] dal Laboratorio di ricerca regionale (RRL) in Jammu, India, hanno descritto per la prima volta le proprietà anti-infiammatorie della Boswellia serrata in animali da esperimento. Nello studio l’artrite è stata indotta iniettando 0,1 ml di formaldeide (2% v / v in soluzione fisiologica) nella regione sub-plantare il 1 ° e 3 ° giorno dell’esperimento. Il volume della zampa è stato misurato prima dell’iniezione con formaldeide e durante il trattamento farmacologico. Utilizzando un intervallo di dose tra 50 – 200 mg / kg per via orale, l’estratto alcolico della resina della Boswellia serrata ha comportato una marcata inibizione del rigonfiamento in questi ratti.

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2.4 CURCUMA LONGA

Figura 9 Pianta di Curcuma longa

Curcuma longa (curcuma o zafferano delle indie o più raramente turmerico) (Figura9) è una pianta erbacea, perenne, rizomatosa della famiglia delle Zingiberacee, originaria dell'Asia sud-orientale e largamente impiegata come spezia soprattutto nella cucina indiana, medio-orientale, thailandese e di altre aree dell'Asia.

Le foglie sono grandi, lunghe da 20 a 45 cm, con picciolo allungato. I fiori sono raccolti in una vistosa pseudo-infiorescenza ricca di grandi brattee verdi in basso e bianche o violacee in alto. Le brattee verdi formano una serie di tasche, che ospitano grandi fiori gialli con possibili sfumature arancioni.

La radice è un grosso rizoma cilindrico, ramificato, di colore giallo o arancione, fortemente aromatico, che costituisce la parte di maggior interesse commerciale della pianta.

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La droga contiene sostanze denominate curcuminoidi (5%) caratterizzate da un intenso colore giallo, tra i quali la curcumina (Figura10) è la più importante e un olio essenziale (4,2-14%) composto prevalentemente da sesquiterpeni come la zingiberina, chetoni, monoterpeni, monosaccaridi (fruttosio in particolare) e polisaccaridi.

Figura 10 Struttura della curcumina

È stato dimostrato che una frazione dell’olio volatile di curcuma possiede attività antinfiammatorie e antiartritiche nei topi. Su questi ultimi la curcumina ha anche effetti antiedemici. L’azione antinfiammatoria è dovuta alla curcumina e all’olio volatile. Quest’azione si esplica attraverso molteplici meccanismi: aumento della produzione di steroidi endogeni sulla corteccia del surrene; inibizione del metabolismo epatico del cortisone con conseguente aumento degli steroidi circolanti; inibizione dell’attivazione del fattore di trascrizione proinfiammatori NF-κB; inibizione della produzione di interleuchine e TNFα. Per la frazione polisaccaridica di curcuma è stata dimostrata un’azione immunomodulante [11]. La curcuma oltre ad avere un’azione antinfiammatoria, ha azione coleretica in quanto stimola la produzione di bile, e colecinetica, in quanto favorisce il deflusso della bile dalla cistifellea. Per la sua proprietà antinfiammatoria è usata in associazione con altre fitomedicine per il trattamento dell’artrite reumatoide e altri disturbi muscolo-scheletrici. Ai fini antinfiammatori i dosaggi sono più alti rispetto alle altre indicazioni terapeutiche. Il dosaggio giornaliero consigliato è di 1,2 g di curcumina.

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La commissione E tedesca non riporta effetti collaterali, per cui la curcuma appare una droga sicura anche se con alcune controindicazioni [11]. La curcuma è sconsigliata infatti a pazienti che soffrono di calcoli alla cistifellea o blocco del dotto biliare. Non va usata durante la gravidanza e durante l’infanzia. Inoltre può interferire con farmaci anticoagulanti.

In uno studio condotto dall’American College of Rheumatology, 45 pazienti a cui era stata diagnosticata l’artrite reumatoide sono stati divisi in tre gruppi di controllo, trattati rispettivamente con

- il componente attivo più studiato della curcuma e che attribuisce a questa radice il suo tipico colore giallo, la curcumina (500 mg),

- uno dei farmaci antinfiammatori steroidei (FANS) più diffusi per il trattamento di questa forma di artrite, l’ibuprofene

- la combinazione delle due.[18]

Sorprendentemente, i ricercatori hanno trovato che il gruppo che assumeva curcumina mostrava la più alta percentuale di miglioramento nella DAS (Disease Activity Score), un indice di valutazione dell’attività dell’artrite reumatoide misurato in parte in base al numero di articolazioni dolenti, in parte al numero di quelle tumefatte e al complessivo stato di salute del paziente. I punteggi ottenuti sono risultati in maniera significativa migliori rispetto a quelli registrati dal gruppo a cui era stato somministrato solo il farmaco FANS.

Ancora più importante, è che il trattamento effettuato usando la curcumina è risultato più sicuro e privo di effetti collaterali.

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2.5 RIBES NIGRUM

Figura 11 Pianta di Ribes nigrum

Il Ribes nigrum (Figura 11), comunemente detto ribes nero, è una pianta della famiglia delle Grossulariaceae. È un arbusto originario delle zone montuose dell'Eurasia, alto fino a 2 metri con fogliame deciduo e fusti ramosi. La corteccia è liscia, da chiara a rossastra nei fusti giovani, mentre diviene scura nei fusti vecchi. Le foglie sono grandi, piane, picciolate, con tre - cinque lobi, apice acuto e margine dentato. La pagina inferiore, coperta da un leggero tomento, è ricca di ghiandole giallastre dalle quali emana un caratteristico odore. I fiori appaiono in primavera, raccolti in racemi pendenti, sono pentameri, di colore verde-biancastro, poco appariscenti. I frutti, delle bacche nere globose ricche di semi con all'apice le vestigia del fiore, compaiono in agosto-settembre. Le foglie, le gemme ed i frutti sono intensamente profumati per la presenza di ghiandole contenenti oli essenziali.

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I componenti principali nelle foglie di ribes sono composti polifenolici mono- e digliceridi di quercitina e campferolo, prevalentemente isoquercetina e rutina. Sono stati inoltre identificati anche glicosidi della miricetina e dell’isoramnetina.

Il fitocomplesso contiene flavanone, sacuranetina, gallocatechina ed epigallocatechina, proantocianidine tra le quali in particolare prodelfinidine di- e trimeriche (Figura 12), derivati dell’acido idrossicinnamico compresi gli acidi clorogenico, caffeico e p-cumarinico.

Figura 12 Struttura di una prodelfinidina

Contiene inoltre fitosteroli, tracce di olio essenziale, acido citrico, acido malico e vitamina C. La droga non deve contenere meno dell’1,5% di flavonoidi, calcolati come rutina, con riferimento alla droga essiccata [19]. Dai semi di Ribes nigrum si ricava un olio che contiene un’alta concentrazione di acido gamma linolenico (AGL), ma anche un’elevata concentrazione di acido alfa-linolenico (ALA), entrambi dotati di proprietà antinfiammatorie[11] .

Ribes nigrum è noto per le sue proprietà antinfiammatorie, antidolorifiche e antiallergiche e la sua efficacia è evidente sia nella fase essudativa sia in quella proliferativa dell’infiammazione. La sua azione terapeutica sembra essere dovuta alle proantocianidine (PCAs), che si sono dimostrate capaci di combattere l’infiammazione mostrando un’azione antiedemigena e

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capillaroprotettiva, mentre gli acidi fenolici e i flavonoidi sembrano svolgere un ruolo meno importante.

Diversi studi sui ratti hanno evidenziato come il pretrattamento degli animali con le proantocianidine del ribes ha ridotto sia l’edema della zampa dei ratti sia la pleurite indotta in maniera dose-dipendente. Le PCAs del ribes hanno ridotto l’infiltrazione di cellule polimorfonucleate e di conseguenza anche i livelli di molecole pro-infiammatorie (TNF-α e IL1-β, ma non hanno agito a livello dell’IL-6 e IL-10) e il rilascio di ossido nitrico, riducendo i livelli di nitrati (NOx) [20].

Gli effetti antinfiammatori delle proantocianidine di Ribes nigrum sono in parte dovute all’inibizione dell’infiltrazione leucocitaria, che può essere spiegata da una significativa riduzione delle molecole di adesione endoteliali (ICAM-1 e VCAM-1) e alla capacità di modulare i livelli di TNF-α indotti dalla trascrizione del VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare) [21].

L’azione delle prodelfinidine della droga sulle COX-1 è risultata modesta, con maggiore attività sulle COX-2. Quindi il ribes riduce la chemiotassi leucocitaria e ha un’azione di stabilizzazione sulle membrane cellulari; inoltre riduce la produzione di istamina e chinidine da parte dei mastociti, riducendone la degranulazione. Il ribes per la sua azione a livello immunitario, agisce sulle cellule immunocompetenti, regolando e riducendo la produzione di immunoglobuline IgE, ma senza modificare in alcun modo l’elaborazione delle altre immunoglobuline. Il complesso delle attività associate e dimostrate per il fitocomplesso della droga potrebbe giustificare l’impiego delle foglie di Ribes nigrum nelle sindromi infiammatorie sistemiche e locali, nelle sindromi allergiche, nella cefalea vasomotoria, nel reumatismo articolare e nell’asma bronchiale. È noto inoltre che i flavonoidi,

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le antocianine e i fenoli degli estratti crudi di ribes sono dei validi antagonisti dei radicali liberi e sembrano inibire il sistema xantina/ xantina ossidasi[22], questa loro attività e caratteristica favorisce l’attività antinfiammatoria della droga. Ribes nigrum sembra anche avere un effetto diuretico.

Dal punto di vista degli effetti collaterali e controindicazioni non si segnalano effetti secondari né tossici a dosi terapeutiche a meno di ipersensibilità individuale. A causa della possibile azione cortison-like, le preparazioni a base di Ribes nigrum dovrebbero essere usate con cautela nei pazienti con grave ipertensione arteriosa [23].

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2.6 HARPAGOPHYTUM PROCUMBENS

Figura 13 Pianta di Harpagophytum procumbens

Harpagophytum procumbens (Figura 13) chiamato anche volgarmente artiglio del diavolo, è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Pedaliacee, presente nell'Africa del Sud, nelle aree di savana e del deserto Kalahari. È ampiamente usato nella medicina tradizionale africana.

Presenta dei fiori rosso-violetto e delle radici con un corredo di uncini che hanno valso alla pianta il suo nome popolare: gli animali e i roditori possono rimanere infatti impigliati nelle radici e morire di fame.

In realtà non sono le radici ad avere gli uncini, bensì i frutti,anche se ad essere usate sono le radici secondarie, organi di deposito del diametro di 6– 20 cm e che possono raggiungere il peso di 600 grammi.

La droga contiene glicosidi iridoidi ovvero procumbide, arpagoside (Figura 14) e arpagide, presenti in quantità variabili che vanno dallo 0,5 all’1,6% nella droga secca; sono considerati i costituenti farmacologicamente attivi [11].

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Figura 14 Struttura di arpagoside

La droga inoltre contiene un chinone (arpagochinone); alcuni acidi aromatici (acido cinnamico, acido clorogenico); vari flavonoidi (kempferolo, kempferide, fisetina, luteolina); acidi triterpenici e pentaciclici; steroli; glicosidi di steroidi; acidi grassi; fenoli glicosilati; carboidrati in notevole quantità (stachiosio, vari tetralosidi) [24].

La Farmacopea Ufficiale Italiana riporta che le radici secondarie essiccate di Harpagophytum precumbens (Harpagophyti radix) devono contenere non meno dell’1,8% di glicoiridoidi totali, di cui almeno l’80% di arpagoside [25].

L’artiglio del diavolo manifesta proprietà analgesiche e antinfiammatorie. In alcuni studi in vitro è stato dimostrato che, a differenza dell’aspirina, l’artiglio del diavolo non inibisce la ciclossigenasi, l’enzima responsabile della sintesi delle prostaglandine. Si è però visto che l’azione antinfiammatoria dipende dall’inibizione della lipossigenasi, l’enzima responsabile della biosintesi dei leucotrieni (l’arpagoside è responsabile solo in parte di questa azione). Inoltre un estratto idroalcolico di artiglio del diavolo riduce il rilascio di TNF-α delle cellule infiammatorie stimolate con lipopolisaccaride[26] .

La Commissione E tedesca, un’agenzia regolatoria governativa che valuta ed approva le erbe medicinali basandosi su dimostrate evidenze di sicurezza

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ed efficacia, riporta che l’artiglio del diavolo è indicato anche nel trattamento della dispepsia, per l’anoressia e per il trattamento adiuvante delle malattie muscolo-scheletriche degenerative.

Da recenti studi relativi all’efficacia dell’artiglio del diavolo è emerso che gli estratti acquosi e la droga in polvere hanno un effetto superiore al placebo; presentano un’efficacia paragonabile ad alcuni farmaci convenzionali come Rofecoxib (inibitore selettivo della COX-2) e agli inibitori delle citochine.

La commissione E tedesca raccomanda una dose di 4,5 g di droga secca. Nella maggior parte degli studi clinici è stato utilizzato l’estratto acquoso (rapporto droga: estratto 2,5:1). Nei prodotti commerciali il contenuto di arpagoside generalmente varia dal 2 all’8%.

La commissione E tedesca non riporta effetti collaterali specifici anche se alcuni studi hanno riportato una bassa frequenza di effetti collaterali a carico dell’apparato gastrointestinale, in particolare flatulenza e diarrea. Raramente può manifestarsi mal di testa, tinnito, anoressia e perdita del sapore [11]. Anche se non sono stati riportati effetti collaterali, l’artiglio del diavolo è controindicato in caso di ulcere gastriche e duodenali in quanto contiene sostanze amare che stimolano la secrezione gastrica. Non dovrebbe essere utilizzato in soggetti già sottoposti a terapie con farmaci anticoagulanti. Per esempio è stato osservato che la somministrazione concomitante di arpagofito e Warfarin può comportare un incremento del rischio di sanguinamento con possibile insorgenza di porpora.

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2.7 GLYCYRRHIZA GLABRA

Figura 15 Pianta di Glycyrrhiza glabra

La liquirizia (Glycyrrhiza glabra) (Figura 15) è una pianta erbacea perenne, alta fino a un metro, appartenente alla famiglia Fabaceae. Questa pianta è una erbacea perenne rustica, cioè resistente al gelo, e cresce principalmente nell'Europa meridionale in terreni calcarei e/o argillosi. La pianta sviluppa un grosso rizoma da cui si estendono stoloni e radici, lunghi fino a due metri. Della liquirizia vengono usate le radici di piante di tre-quattro anni, raccolte durante la stagione autunnale ed essiccate.

La liquirizia contiene soprattutto saponine triterpeniche (2-15%), principalmente glicirizzina, costituita dai sali di ammonio e di calcio dell’acido glicirizzico, e dalla 24-idrossiglicirizzina. L’acido glicirizzico è costituito a sua volta dall’acido glicirretico (Figura 16) (aglucone) e dalla parte zuccherina, l’acido diglucuronico[27]. Altri componenti sono flavonoidi (liquiritina, liquiritoside, ramniliquirina), derivati cumarinici (erniarina, umbelliferone), asparagina e amido [11].

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Numerosi studi hanno confermato l’attività antinfiammatoria della liquirizia. In uno studio è stato dimostrato che l’acido glicirretico possiede attività antiartritica simile a quella del cortisolo mentre in un altro ha soppresso la sintesi di istamina e il rilascio di acido arachidonico da parte dei mastociti.

Figura 16 Struttura dell’acido glicirretico

L’acido glicirretico si è dimostrato inoltre un potente inibitore della cascata del complemento [28]. L’acido glicirretico è un potente inibitore dell’enzima 11-idrossisteroide deidrogenasi (11- HSD), che trasforma il cortisolo in cortisone. Questo comporta un aumento dei livelli di cortisolo, il quale si lega al recettore dei mineralcorticoidi promuovendo il riassorbimento di sodio e provocando altri effetti collaterali di tipo mineralcorticoide, come ipertensione, ipokaliemia e formazione di edema.

La liquirizia è controindicata nei disturbi della colecisti, nei casi di cirrosi epatica, ipokaliemia, insufficienza renale e gravidanza [11]. È sconsigliata la contemporanea assunzione di liquirizia con farmaci diuretici, digitalici e lassativi e altri farmaci che causano riduzione dei livelli di potassio; anticoagulanti e ipoglicemici in quanto ne antagonizzano l’azione.

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2.8 ZINGIBER OFFICINALE

Figura 17 Pianta di Zingiber officinale

Lo zenzero (Zingiber officinale) (Figura 17) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, è originaria dell'Estremo Oriente.

Coltivata in tutta la fascia tropicale e subtropicale, è provvista di rizoma carnoso e densamente ramificato dal quale si dipartono sia lunghi fusti sterili e cavi, formati da foglie lanceolate inguainanti, sia corti scapi fertili, portanti fiori giallo-verdastri con macchie porporine. Il frutto è una capsula divisa da setti in tre logge.

La parte utilizzata della pianta è il rizoma che contiene una grande varietà di principi attivi, tra i principali abbiamo l’olio essenziale composto prevalentemente da zingiberene ,shogaoli , gingeroli , resine e mucillagini.

I gingeroli sono sesquiterpeni tipici di Zingiber officinale, sono chimicamente correlati alla capsaicina (alcaloide del capsico) ed alla

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piperina (presente nel pepe nero) e come questi composti, i gingeroli si legano ai recettori TRPV1 (recettori dei vanilloidi) espressi prevalentemente sui neuroni afferenti primari.

In seguito a cottura o essiccazione, i gingeroli si trasformano in shogaoli e zingerone(Figura 18).

Figura 18 Struttura dello zingerone

Sono stati effettuati vari studi sull’ azione antinfiammatoria dello zenzero per valutare eventuali vantaggi da applicare nella cura dell’artrite reumatoide.

In uno studio [29] è stato dimostrato che l’attività antinfiammatoria dello zenzero è dovuta non solo all’ inibizione delle prostaglandine ma anche all’ inibizione della biosintesi dei leucotrieni.

In un altro studio[30] in vitro più recente sono state isolate alcune cellule sinoviali da una membrana sinoviale, le quali sono state successivamente stimolate dal TNF-α. È stato poi riscontrato un simile effetto inibitorio dello zenzero con quello del betametasone; entrambi andavano ad inibire la produzione di citochine IL-1 e IL-6.

Infine in un ulteriore studio [31] sono stati valutati gli effetti di specifici principi attivi dello zenzero: il 6-shogaolo e il 10-gingerone.É stata osservata una notevole riduzione dell’ infiammazione con un meccanismo d’ azione differente rispetto a quelli precedenti in quanto queste due molecole agiscono andando a diminuire la produzione di ossido nitrico.

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2.9 CAMELLIA SINENSIS

Figura 19 Pianta di Camellia Sinensis

La Camellia sinensis( Figura 19) ovvero il tè verde è un arbusto eretto, dalle foglie ovato-acuminate, con il margine dentato, di colore verde-chiaro lucente; i fiori semplici di piccole dimensioni, di colore bianco, portano numerosi stami color giallo-oro; è originaria della parte continentale del Sud e Sudest Asiatico, ma oggi è coltivata in tutto il mondo, soprattutto in regioni a clima tropicale e subtropicale.

Allo stato naturale può crescere ben oltre i due metri ma, per facilitarne la

coltivazione, generalmente si mantiene a dimensioni

di cespuglio sempreverde o di piccolo albero. Le radici sono forti e i fiori possono essere bianchi o gialli, dal diametro di 4 centimetri e a 7 o 8 petali.Le foglie sono lunghe dai 4 ai 15 cm, e larghe dai 2 ai 5 cm.

Proprio le foglie di tè verde contengono un certo numero di importanti principi attivi, in particolare: caffeina (chiamata teina) un alcaloide stimolante del sistema nervoso centrale ; teanina , un amminoacido psicoattivo; alcuni tannini con azione astringente; teofillina e teobromina, due alcaloidi stupefacenti e stimolanti; grassi ,cere , saponine e oli essenziali.

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Ma il cuore dei principi attivi del tè sono invece i polifenoli del tè verde, ed in particolare le epicatechine, che hanno invece dimostrato una significativa azione antiossidante (antiradicali liberi), astringente-antiinfiammatoria e preventiva sulla degenerazione neoplastica delle cellule. I polifenoli si sono dimostrati in grado di combattere tutti gli stress ossidativi delle cellule.

Le catechine rappresentano più dell’80% dei polifenoli presenti nel tè verde; esse sono derivate dal flavan-3-olo e rappresentano il 70-80% della massa solida ricavata dall’evaporazione di infuso di tè verde. Le principali catechine sono: epigallocatechina 3-gallato (EGCG) (Figura20), epigallocatechina (EGC) ,epicatechina 3-gallato (ECG) ed epicatechina (EC).

Il tè verde essiccato contiene il 15-20% di catechine, il 2-3% di caffeina ( metil-xantine) e tra l’1% ed il 6% di amminoacidi (rappresentati per la metà da teanine).

Il 25-40% delle catechine presenti nel tè verde è rappresentato da EGCG, alla quale vengono attribuiti la maggior parte degli effetti biologici di tale bevanda.

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Proprio questa molecola è stata oggetto di un recente studio clinico nel quale sono state studiate le sue attività nei confronti della malattia dell’artrite reumatoide.

2.9.1 STUDIO CLINICO

I ricercatori della Washington State University di Spokane hanno identificato un potenziale nuovo approccio per combattere il dolore articolare e l’infiammazione dei tessuti causati dall’ artrite reumatoide.

I ricercatori si sono concentrati su un composto fitochimico chiamato epigallocatechina-3-gallato (EGCG), un antiossidante in grado di proteggere le proteine dalla degradazione.

Questo studio [32] ha avuto come obiettivo quello di verificare una possibile interazione tra questo composto fitochimico (EGCG) ed alcune proteine attraverso le quali le citochine proinfiammatorie trasmettono i loro segnali causando infiammazione e distruzione dei tessuti nell’ artrite reumatoide.

Queste proteine sono TAK1 (Transforming growth factor β-activated kinase 1) che è un’ importante proteina di segnalazione della famiglia MAPKKK (Mitogen-activated protein kinase kinase kinase) interleukin-1β (IL 1β) ; IRAK1 ( IL-1 receptor associated kinase 1) e TRAF6 (TNF receptor associated factor 6).

Nell’ artrite reumatoide l ‘ aumento di espressione di interleuchina 1β ( IL 1β), TNF ( tumor necrosis factor) e di IL-6 nel microambiente sinoviale contribuisce al dolore, all’ infiammazione e alla distruzione dei tessuti. [33] Infatti IL 1β è la principale regolatrice dell’infiammazione nelle malattie autoimmuni croniche come la gotta , il diabete mellito di tipo 2 e appunto l’ artrite reumatoide [34].

Recenti studi di vie di segnalazione intracellulare hanno identificato TAK1 come un bersaglio terapeutico interessante per le malattie infiammatorie

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[35]. TAK1 è un MAPKKK che media l'attivazione a valle di MAPK e NFKB in risposta alla stimolazione di IL-1β, TNF, o TLR ( Toll-like receptor)[36]. Tra queste citochine, IL-1β svolge un importante ruolo di patologico nel RA [37] . Un efficace legame del ligando con la porzione extracellulare del recettore dell’IL-1 induce una modificazione strutturale in seno al suo dominio citoplasmatico. Tale alterazione strutturale nel recettore porta ad una serie di successivi eventi del percorso di segnalazione (Figura 21).

IL-1, legandosi al suo recettore, induce una alterazione conformazionale nel dominio del recettore Toll-IL-1R (TIR) consentendo il legame ad una proteina adattatrice chiamata MyD88.

Con il legame della proteina adattatrice MyD88 al recettore occupato, si ha il reclutamento del complesso recettoriale di uno o più membri della famiglia proteica delle chinasi attivate del recettore dell’IL-1 (IRAK).

Una di queste, IRAK-4, si attiva per autofosforilazione e fosforila i suoi compagni IRAKs, con il risultato di siti di legame per il fattore 6 associato al recettore del TNF (TRAF6), il quale a sua volta è associato a un complesso ubiquitina-ligasi capace di generare catene di poli-ubiquitina.

Il complesso IRAK-TRAF6 si dissocia poi dal suo complesso recettoriale e interagisce con un complesso citosolico preformato costituito da TAK1 e da due proteine che si legano con TAK1, cioè TABs 1 e 2. Questo complesso viene attivato dal legame di catene poli-ubiquitine alle proteine TAB all’interno di questo complesso.

A questo punto il complesso TAK1 svolge due funzioni:

1-fosforila e attiva il complesso IKK, portando alla distruzione di IkB e alla risultante attivazione del fattore di trascrizione NF-kB.

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2-attiva a valle membri della cascata delle MAPK, che poi attivano il fattore di trascrizione AP1 ( Activator protein 1) fattore di trascrizione che regola l’espressione di vari geni che controllano vari processi cellulari, quali differenziazione, proliferazione e apopotosi.

Figura 21 Ruolo di TAK1 nell’ espressione delle citochine

Il legame delle citochine della famiglia IL-1 ai loro recettori porta quindi ad un’alterazione totale dei modelli di trascrizione delle cellule coinvolte,

Riferimenti

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