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I POLIFENOLI NELLE PATOLOGIE NEURODEGENERATIVE ASSOCIATE A DECLINO COGNITIVO: BASI FARMACOLOGICHE PRECLINICHE DI UN POTENZIALE UTILIZZO

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana

TESI DI LAUREA

I POLIFENOLI NELLE PATOLOGIE NEURODEGENERATIVE ASSOCIATE A

DECLINO COGNITIVO: BASI FARMACOLOGICHE PRECLINICHE DI UN

POTENZIALE UTILIZZO

Relatore:

Prof. Vincenzo Calderone

Correlatore:

Prof.ssa Lara Testai

Candidato:

Ietto Giuseppe

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Abstract

Neurodegenetative diseases associated with cognitive decline (ND) are a group of

neurological disorders characterized by the progressive degeneration of the structure

and loss of the functions of the central and / or peripheral nervous system (Butterfield

et al., 2007) .The main diseases (ND) are: Alzheimer's disease AD, Parkinson's

disease (PD), Huntington's disease (HD), diseases caused by human prions, motor

neuron disease (MND) and multiple sclerosis (MS). (Jha et al., 2009). Understanding

the causes that cause them (ND) has proved to be the most challenging challenge for

biology of the last century. Several literature evidences that oxidative stress plays a

relevant pathogenic role both in early aging and in some serious diseases with

inflammatory and / or degenerative background, such as ND diseases. Recent

pre-clinical studies have shown that polyphenols are capable to slow down the course of

the ND pathways. They inhibit the deleterious effects of oxidative stress typical of

ND diseases. In particular, the Flavonoids have aroused great interest, due to the

neuroprotective properties demonstrated both in vitro and in vivo. Flavonoids, such

as those present in the cocoa, tea, berries and citrus fruits have proven very effective

in preventing age-related cognitive decline and neurodegeneration in animals and

humans. Evidence suggests that flavonoids can express this activity in the central

nervous system interceding in a multitude of physiological processes such as

modulating the immune system. They reduce the activity of microglia, the release of

cytokines, the expression of iNOS, the production of nitric oxide and the activity of

NADPH oxidase. This activity appears to be mediated by the modulation of

intracellular signaling on different targets such as: interaction with the nuclear factor-j

B (NF-j B), with the mitogen-activated protein kinase (MAPK) and with the C-Jun

kinase N-terminal (JNK). To date, however, these actions are not reflected in clinical

trials. This failure is attributed to the low bioavailability of the flavonoids and to their

difficulty in crossing the blood-brain barrier, beyond which they should carry out

their activities. The resolution of this problem is the object of study of numerous

research activities. Nowadays various administration strategies are being evaluated,

such as the incorporation of flavonoids into polymeric nanovectors.

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INDICE

Introduzione

Le malattie neurodegenerative

La malattia di Alzheimer

Fattori di rischio

Genetica ed Epigenetica nella malattia di Alzheimer

Eziogenesi Alzheimer

Antiossidanti

I Polifenoli

I Polifenoli nelle malattie neurodegenerative associate a declino cognitivo

I flavonoidi

I flavonoidi nelle patologie neurodegenerative associate a declino cognitivo

I flavoni

I Flavoni nelle malattie neurogegenerative associate a declino cognitivo

I Flavanoni

I flavanoni nelle malattie neurodegenerative associate a declino cognitivo

I Flavonoli

I flavonoli nelle malattie neurodegenerative associate a declino cognitivo

Flavanoli

Flavanoli nelle malattie neurodegenerativie associate a declino cognitivo

Conclusioni

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Introduzione

L'aumento della durata della vita nelle popolazioni dei paesi sviluppati sta portando ad un aumento dell'incidenza di malattie legate all'età come le malattie neurodegenerative associate a declino cognitivo (ND).(Butterfield et al., 2007) Le malattie (ND) sono un gruppo di patologie neurologiche caratterizzate dalla progressiva degenerazione della struttura e perdita delle funzioni del sistema nervoso centrale e/o periferico .(Butterfield et al., 2007)Le principali malattie (ND) sono :la malattia di Alzheimer AD ,la malattia di Parkinson (PD),la malattia di Huntington(HD) ,le malattie causate dai prioni umani ,la malattia del motoneurone (MND) e la sclerosi multipla (SM), (Butterfield et al., 2007) La comprensione delle cause che provocano le (ND) si è rivelata la sfida più impegnativa per la biologia dell’ultimo secolo.Le recenti ricerche scientifiche ,pubblicate in tutto il mondo ,sono ormai letteralmente decine di migliaia, ma a dispetto di una così gigantesca mole di conoscenze, non si possiede alcuna cura efficace nè alcuna terapia preventiva. La comunita' scientifica e' d' accordo nel ritenere che il cronicizzarsi di processi neuroinfiammatori sia alla base dello sviluppo e del decorso di tali malattie neurologiche. Lo stress ossidativo svolge un ruolo cruciale sia durante il normale processo di invecchiamento che nella patogenesi di diverse malattie come le neoplasie, l’ischemia e le (ND). (Butterfield et al., 2007) La neuroinfiammazione è un meccanismo di difesa volto a proteggere il sistema nervoso centrale (SNC) dagli agenti infettivi e dalle lesioni .Nella maggior parte dei casi, costituisce un processo benefico che cessa una volta che la minaccia è stata eliminata e l'omeostasi è stata ripristinata. Tuttavia, il cronicizzarsi di processi neuroinfiammatori contribuisce alla cascata di eventi che culminano nel danno neuronale osservato in molte malattie (ND), in particolare nella (PD) e nel (AD) .La neuroinfiammazione espone il tessuto neuronale ad un abnorme stress ossidativo.(Bird TD. (2008)Tessuti diversi presentano differente suscettibilità allo stress ossidativo; il sistema nervoso centrale è estremamente sensibile a questo tipo di danno per diverse ragioni che includono un basso livello di enzimi antiossidanti, un elevato contenuto di substrati ossidabili e una gran quantità di ROS prodotte durante le reazioni neurochimiche .Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’ alimentazione può costituire un importante fattore di protezione ambientale nei confronti delle malattie ND . In particolare, risulta importante la ricchezza nella dieta di prodotti vegetali, e quindi l’ assunzione di quantità rilevanti di frutta e verdura come è, ad esempio, tipico nella Dieta Mediterranea. La ricerca scientifica biomedica, nel settore della nutrizione e dell’ alimentazione, si interessa fortemente nel definire i composti più attivi della dieta ed a comprenderne i meccanismi d’ azione a livello molecolare e cellulare. Recenti studi pre-clinici hanno dimostrato che i polifenoli sono in grado di rallentare il decorso delle mallatie ND .Essi inibiscono gli effetti deleteri dello stress ossidativo caratteristico delle malattie ND .In particolare i Flavonoidi hanno suscitato grande interesse, per le proprieta' neuroprotettive dimostrate sia in vitro che in vivo. I flavonoidi, come quelli presenti nel cacao, nel tè, nelle bacche e negli agrumi, si sono dimostrati molto efficaci nel prevenire il declino cognitivo correlato all'età e la neurodegenerazione negli animali e nell'uomo. L'Evidence suggerisce che i flavonoidi possono esprimere tale attivita' nel sistema nervoso centrale intercedendo in una moltitudine di processi fisiologici come la modulazione del sistema immunitario. Essi riducono l' attivita' della microglia, il del rilascio di citochine , l' espressione di iNOS, la produzione di ossido nitrico e l' attività della NADPH ossidasi. Tale attivita' sembra essere mediata dalla interazione con diversi target del segnaling intracellulare come: il factor-nucleare j B (NF-j B), la mitogeno-activated protein chinasi (MAPK) e la chinasi C-Jun N-terminale (JNK). In quanto tali, i Flavonoidi rappresentano interssanti targhet nello sviluppo di farmaci in grado di contrastare la neuroinfiammazione e le malattie ND.(Patil, CS;Singh2003)

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Le malattie neurodegenerative associate a declino cognitivo

Le malattie (ND) sono un gruppo di patologie neurologiche caratterizzate dalla progressiva degenerazione della struttura e della funzione del sistema nervoso centrale e/o periferico . (Hong, H.; Kim, B.S.; 2016) .Le malattie ND sono condizioni incurabili a causa della progressiva disfunzione del sistema nervoso causata dalla degenerazione e perdita di cellule nervose per ragioni che non sono state ancora completamente comprese. Le principali malattie neurodegenerative (ND) sono :la malattia di Alzheimer (AD) ,la malattia di Parkinson PD,la malattia di Huntington (HD) ,le malattie causate dai prioni umani ,la malattia del motoneurone (MND) e la sclerosi multipla (SM). (Zhang, L.; Zhang,2016).La malattia di Alzheimer (AD) è un malattia ND demenziale. Il decorso clinico patologico e' caratterizzato dal declino delle funzioni cognitive e comportamentali come la memoria, il pensiero e le abilità linguistiche. I segni distintivi di AD sono: l'accumulo di peptide beta-amiloide (A) nel SNC;la presenza di grovigli neurofibrillari (NFT) contenenti frammenti tau iperfosforilati e la perdita di neuroni corticali . La (PD) è la seconda malattia ND per diffusione. La sua incidenza è in aumento tra le persone di età superiore ai 60 anni .(Hong, H.; Kim, B.S.; 2016)Sul piano istopatologico è caratterizzata dalla perdita progressiva e diffusa dei neuroni dopaminergici nella substantia nigra e dall'accumulo di corpi di Lewy (inclusioni contenenti la sinucleina) nelle cellule nervose.I principali sintomi clinici sono tremore a riposo, rigidità, bradicinesia e instabilità posturale.La (HD) è una malattia neurologica ereditaria, trasmessa come carattere autosomico dominante. (Hong, H.; Kim, B.S.; 2016). Nella fase iniziale della malattia, la perdita neuronale si verifica preferenzialmente nello striato, mentre nelle fasi successive l'estesa neurodegenerazione avviene in una varietà di regioni cerebrali. L'HD di solito si manifesta intorno ai 50 anni anche se esiste anche una rara forma giovanile .Il decorso clinico patologico e' caratterizzato da disordini motori , sintomi psichiatrici tra cui: psicosi, depressione , disturbo ossessivo-compulsivo e deterioramento cognitivo.(Hong,H.;Kim,B.S.;2016).Le malattie da prioni umani sono malattie ND fatali che includono :il Kuru, la malattia di Creutzfeldt-Jakob,la sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker e l' insonnia familiare fatale. Le malattie da prioni derivano dalla conversione conformazionale di una normale proteina prionica cellulare (PrP C) in una forma patologica anormale e misfoldata (PrP Sc ).Il suo accumulo nel sistema nervoso centrale provoca una progressiva degenerazione neuronale. (Hong, H.; Kim, B.S.; 2016). La (MND) è una malattia ND grave , la più comune è la sclerosi laterale amiotrofica (SLA).La MND colpisce sia l' encefalo che il midollo spinale ed è caratterizzata dalla degenerazione dei motoneuroni, che a sua volta causa disflunzioni neuro-muscolari.I principali sintomi clinici includono debolezza muscolare, deperimento, crampi , rigidità delle braccia e delle gambe, problemi del linguaggio e della deglutizione o, più raramente, problemi respiratori. (Balendra, R.; Patani, R. 2016). L'eziopatogenesi della MND è sconosciuta e lo scopo della cura è quello di mantenere la capacità funzionale e di consentire ai pazienti MND di vivere la vita il più umanamente possibile. (Madill, M.; Fitzgerald2016) .La sclerosi multipla (SM) è una malattia infiammatoria cronica del SNC causata dalla perdita della mielina e dal danno assonale mediato dall' autoimmunità . La sua eziopatogenesi è poco conosciuta. La SM è il disturbo neurologico più comune che colpisce i giovani adulti, con un totale di 2,5 milioni di persone in tutto il mondo .(Madill, M.; Fitzgerald2016). Provoca una serie di sintomi recidivanti durante la fase iniziale della malattia, ma diventa più persistente e meno suscettibile al trattamento nelle fasi successive. La ricerca si è incentrata sull'identificazione di trattamenti che rallentano la progressione della neurodegenerazione e ripristinano anche la mielina delle regioni del SNC colpite .(Madill, M.; Fitzgerald2016)

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La malattia di Alzheimer.

La (AD) è una patologia neurodegenerativa, irreversibile e progressiva, che distrugge lentamente la memoria e le abilità cognitive (Irvine et al., 2008) con alterazione della personalità e del comportamento.Il nome della malattia si deve ad Alois Alzheimer, un medico tedesco che, nel 1907, descrisse le principali caratteristiche riscontrate, a livello cerebrale, in una donna di 51 anni affetta da demenza progressiva.(Hong, H.; Kim, B.S.; 2016) L’autopsia di questa paziente ha permesso di rilevare due tipi di formazioni caratteristiche: le placche senili (SP), che si depositano a livello extracellulare, e depositi di aggregati neurofibrillari (NFT) a livello intracellulare .L’AD è considerata la più comune causa di demenza ed attualmente colpisce più di 24 milioni di persone nel mondo, con 4.6 milioni di nuovi casi ogni anno (Irvine et al., 2008). Il prolungamento della vita media e l’avanzamento delle tecniche diagnostiche, giustificano l’aumento del numero di casi rilevati negli ultimi anni. La patologia inizialmente si manifesta con alcuni sintomi premonitori tra i quali ricordiamo perdita di memoria, difficoltà nelle attività quotidiane, problemi di linguaggio, diminuzione della capacità di giudizio, difficoltà nel pensiero astratto, cambiamenti di umore, di comportamento, di personalità e mancanza di iniziativa. In una seconda fase l’amnesia diviene più pronunciata e si accompagna a segni di agnosia (difficoltà nel riconoscere le persone), aprassia (difficoltà nel movimento) ed afasia (deterioramento del linguaggio), nonché disturbi nelle funzioni esecutive .(Kidd, 2005) La fase terminale può sopraggiungere, nei casi più gravi, dopo soli tre anni, ma, in generale, giunge circa dopo venti anni dall’esordio; in questo stadio della malattia si assiste ad una disintegrazione delle funzioni vitali, apatia ed inerzia cui segue la morte per patologie collaterali, quali quelle a carico dell’apparato respiratorio. Intorno alla metà degli anni ’70 le ricerche suggerirono che la causa dell’insorgenza della demenza fosse legata alla degenerazione dei neuroni che sintetizzano e rilasciano il neurotrasmettitore acetilcolina, questa tesi ha portato alla produzione di farmaci specifici, inibitori dell’acetilcolinesterasi (farmaci colinergici), gli unici oggi prescritti specificamente per la malattia, i quali hanno dimostrato effetti palliativi per periodi limitati, senza alcun effetto sul decorso globale della malattia.(Kidd, 2005). Le zone cerebrali interessate, che comprendono inizialmente l’ippocampo e si estendono via via alle altre aree, sono caratterizzate dall’accumulo nello spazio extracellulare di formazioni definite “placche senili”. Esse sono formate da aggregati fibrillari costituiti da frammenti proteici chiamati amiloide( A ) e dalla presenza di numerosi neuroni contenenti depositi di grovigli fibrillari intracellulari. Quest' ultimi sono costituiti dalla proteina TAU, una proteina neuronale che normalmente lega i microtubuli (trasportatori di neurotrasmettitori lungo assoni e dendriti) e li stabilizza, ma, in condizioni patologiche, si stacca ed è rilasciata nel liquido intracellulare, dove i frammenti si aggregano nei caratteristici “grovigli neurofibrillari” (tangles).Le zone che contengono le placche mostrano tipicamente neuroni con un numero di sinapsi ridotto ed i neuriti (prolungamenti principali) ad essi associati appaiono danneggiati (Mattson, 2004). Le placche amiloidi sono costituite principalmente da peptidi lunghi 40 aminoacidi, Aβ-amiloide 1-40 A1-40), una frazione minore è costituita da peptidi con due aminoacidi in più, Aβ-amiloide 1-42 A1-42).(Haass et al., 1992)Questi peptidi più “lunghi” sono più idrofobici (insolubili in acqua) e particolarmente propensi all’aggregazione. Numerosi studi hanno tuttavia dimostrato che i peptidi Aβ-amiloidi, in forma solubile, sono rilasciati dalle cellule anche in condizioni normali (Haass et al., 1992); essi sono stati infatti ritrovati nel fluido cerebrospinale e nel plasma di soggetti sani (Seubert et al., 1992).I peptidi -amiloidi derivano dal taglio sequenziale di una proteina transmembrana, codificata dal cromosoma 21, chiamata “proteina precursore dell’amiloide” (APP), la cui funzione non è ancora completamente chiarita, tuttavia indicazioni sempre più numerose suggeriscono che APP abbia una funzione neuroprottettiva e abbia un ruolo nella crescita dei neuriti, nella plasticità sinaptica e sopattutto nell’adesione cellulare . (Haass et al., 1992)

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Figura n 1 .La formazione delle placche senili e dei grovigli neurofibrillari contribuiscono alla degradazione dei neuroni e al successivo sviluppo della malattia di Alzheimer .(da Kidd, 2008)

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Fattori di rischio

L’AD è una complessa patologia multifattoriale , il risultato dell’interazione di diversi fattori non solo genetici, ma anche ambientali .I Fattori di rischio associati al AD vengono divisi in due categorie: fattori di rischio non modificabili e fattori di rischio modificabili. (Lambert,Amouyer 2007) Uno dei fattori di rischio non modificabili è rappresentato dall’età. Con l’avanzare dell’età incrementa anche il rischio di sviluppare la AD. La maggior parte delle persone sviluppa l’AD dopo i sessantacinque anni e, da questo momento, l’incidenza di malattia incrementa in modo esponenziale fino a circa ottanta anni. Un secondo fattore di rischio è rappresentato dalla genetica. Alcune forme di demenza sono definite sporadiche, cioè si manifestano senza ereditarietà tra le generazioni di una famiglia. (Bird, 2008) Altre forme invece, denominate familiari, si manifestano in due o più persone appartenenti allo stesso nucleo familiare. Queste ultime possono essere causate da una mutazione genetica che può essere trasmessa dal genitore al figlio con una probabilità del cinquanta per cento. Un altro fattore genetico di suscettibilità è legato al gene ApoE. Una sua specifica variante conferisce un rischio aumentato di sviluppare la AD, ma non la assoluta certezza.I principali fattori di rischio modificabili sono associati allo stile di vita: il fumo di sigaretta, l’assunzione di alcol, la carenza di vitamine, la scarsa attività fisica o altre attività di svago (fisiche, mentali, sociali) .Il diabete, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione, l’obesità e la dislipidemia rappresentano altri fattori di rischio associati all’Alzheimer così come una storia positiva per traumi cerebrali, patologie cerebrovascolari, vasculopatie. Una bassa scolarità e uno stile alimentare poco sano sono anch’essi associati ad un maggior rischio di sviluppare la malattia. I fattori di protezione rappresentano l’altra faccia della medaglia. Tra essi è possibile citare l’assenza di familiarità per la malattia e il possedere un particolare genotipo, l’alta scolarità, l’aderire ad uno stile alimentare sano, ben rappresentato dalla dieta mediterranea, il mantenere allenati fisico e cervello, il mantenere delle buone relazioni sociali, il monitorare e trattare eventuali problematiche cardiovascolari. In assenza di cure e non potendo agire sui fattori di rischio non modificabili, appare quindi di fondamentale importanza promuovere la riduzione del rischio intervenendo su questi ultimi fattori.(Bird, 2008)

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Genetica ed Epigenetica nella malattia di Alzheimer

Figura n 4 :Fattori implicati nell' espressione genetica.

La malattia può essere distinta in forme sporadiche e forme familiari. (Christen, 2000; Bird, 2008) Nelle forme sporadiche, che rappresentano la maggioranza dei casi (circa il 75%), un solo membro della famiglia sviluppa la malattia; nelle forme familiari (il restante 25% dei casi) più individui all’interno della stessa famiglia, possono sviluppare l’AD.(Christen, 2000) Le forme familiari, a loro volta, si possono suddividere in: forme familiari ad insorgenza precoce (nell’1%-6% dei casi): la malattia si manifesta prima dei 60-65 anni di età;(Bird, 2008) ;forme familiari ad insorgenza tardiva (nel 60% dei casi): la malattia si manifesta dopo i 65 anni di età (Bird, 2008). Lo studio di queste ultime forme di AD, che presentano una modalità di trasmissione di tipo autosomica-dominante, ha permesso di ottenere importanti informazioni sulla malattia; nelle forme familiari, infatti, sono stati identificati alcuni geni che, se mutati, possono causare l’AD. Tre di questi geni sono implicati nelle forme familiari ad insorgenza precoce e codificano per la proteina precursore dell’amiloide (APP), la presenilina 1 (PSEN-1) e la presenilina 2 (PSEN-2) (Christen, 2000; Bird, 2008).Il gene che codifica l' APP,e' localizzato sul cromosoma 21, se mutato porta ad un aumento della produzione della APP; le mutazioni a livello di questo gene sono rare. In particolare, sono state descritte 23 mutazioni, 19 delle quali causano, inequivocabilmente, AD o altre forme di demenza associate ad emorragie cerebrali . Queste mutazioni sono state trovate tutte a livello del sito di taglio delle secretasi, enzimi coinvolti nel metabolismo dell’APP e nella produzione della Aβ che tende a depositarsi a livello cerebrale sottoforma di placche senili. (Lambert,Amouyer, 2007). Il gene psen-1 è situato sul cromosoma 14; sono state identificate circa 150 mutazioni che rappresentano la causa più comune dell’AD familiare ad esordio precoce (con età di insorgenza tra i 28 e i 60 anni). È oggi noto che la PSEN-1 fa parte del cuore catalitico del complesso delle beta-secretasi, enzimi che hanno la funzione di tagliare la proteina amiloide; una mutazione a livello di questo gene porta all’accumulo della proteina amiloide Aβ 1-42 (Lambert, 2007). Il gene psen-2 è localizzato sul cromosoma 2. Sono state descritte 9 mutazioni che, come le mutazioni del gene psen-1, sono funzionalmente associate con un incremento della produzione del peptide Aβ 1-42 (Lambert,Amouyer, 2007). Oltre a questi, il gene dell’apolipoproteina E (apo E), localizzato sul cromosoma 19, è geneticamente associato con un aumento del rischio di insorgenza

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della AD sia nelle forme sporadiche che familiari (Christen, 2000). L’Apo E è una proteina plasmatica coinvolta nel trasporto del colesterolo, che si lega alla proteina amiloide ; esistono tre forme: Apo 2, Apo 3, Apo 4 codificate da tre alleli diversi ( 2, 3, 4). L’allele 4 è presente con maggiore frequenza nei soggetti affetti da AD; questo dato ha fatto ipotizzare che la presenza del genotipo 4 determina un aumento del rischio, di circa tre volte, di sviluppare la malattia nelle forme familiari ad esordio tardivo e nelle forme sporadiche. Il genotipo Apo 2 avrebbe, invece, un effetto protettivo nei confronti della malattia (Migliore et al, 2005). Le mutazioni epigenetiche rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel proseguimento delle malattie ND.(Lambert, 2007).E' stato osservato che vi è una diminuzione nella metilazione del DNA in soggetti affetti da AD. Infatti, la maggior parte dei geni patogenetici associati associati con AD sono ipometilati. Esempi sono il sito promotore di APP, presenelin-1 (PSEN1) e il sito per la β-secretasi (BACE):i quali sono responsabili della modulazione della produzione di A.(Lambert, 2007).Una diminuizione dell' acetilazione degli istoni specialmente nel lobo temporale, e' associata a deficit di memoria e scarsa capacità di apprendimento.(Uttara et al., 2009) .Un'aumentata fosforilazione dell'istone H2A nella corteccia frontale e' associata a danno neuronale Infine diversi miRNA sono stati identificati in vitro per regolare direttamente l'mRNA di APP, incluso miRNA let-7, e la famiglia miR-20a. Oltre ai miRNA che interagiscono con i geni patogeni di AD, ce ne sono anche miRNA coinvolti nel metabolismo nel accumulazione di Aβ .(Uttara et al., 2009)

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Eziopatogenesi dell ' Alzheimer

Negli ultimi anni sta emergendo una nuova prospettiva nella quale i neuroni non sono più gli unici elementi essenziali per l’attività cerebrale. Il mantenimento di un ambiente ottimale per la funzione neuronale si basa su cellule di supporto chiamate glia e sul buon funzionamento la barriera emato-encefalica.Questa interazione tra neuroni, astrociti, oligodendrociti, periciti e cellule della microglia è essenziale per le principale funzioni dell’attività cerebrale.(Uttara et al., 2009)

Gli studi di istopatologia effettuati, post-mortem , su tessuti neuronali di pazienti affetti da malattie ND ha permesso di formulare tre possibili ipotesi per lo sviluppo di suddette patologie : l' Ipotesi della cascata amiloidea, l' Ipotesi dell’iperfosforilazione della proteina tau e l' Ipotesi dello stress ossidativo.(Uttara et al., 2009)

Ipotesi della cascata amiloidea

Figura n 6: processo di formazione delle placche senili .(Uttara et al., 2009)

Secondo l’ipotesi amiloidea, la proteina beta-amiloide (A ), che deriva dal taglio proteolitico della proteina precursore dell’amiloide (APP), svolge un ruolo centrale nella patogenesi dell’AD. In particolar modo, una serie di proteasi, l’ alfa -, la beta - e la gamma -secretasi, tagliano la APP e conducono alla formazione dell’amiloide. La APP appartiene ad una grande famiglia di proteine di membrana di tipo I con un largo dominio extracellulare ed una piccola regione citoplasmatica che deriva dallo splicing alternativo di un gene di trascrizione localizzato sul braccio lungo del cromosoma 21 .(Uttara et al., 2009) La APP matura è metabolizzata attraverso 2 vie che competono tra loro:

• la via non amiloidogenica dell’ alfa-secretasi, un enzima che taglia all’estremità

amminoterminale (N-terminale) dell’APP, generando un frammento N-terminale solubile (sAPP ) e un frammento carbossiterminale (C-terminale) ancorato alla membrana, il CTF (anche conosciuto come C83);

• la via amiloidogenica della beta -secretasi, enzima conosciuto anche con il nome di BACE (

-APP-site cleaving enzime), che taglia l’APP a livello dell’estremità N-terminale generando il frammento sAPP e il frammento C-terminale CTF (conosciuto anche come C99). Il taglio di alcune beta -secretasi può essere spostato di dieci residui amminoacidici, generando il frammento sAPP e il frammento CTF ©(o C89) (Gandy, 2005).

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enzima multiproteico ad alto peso molecolare (>106 KDa) costituito dalla proteina presenilina (PS), associata ad altre componenti quali la nicastrina, l’APH-1 e la PEN-2 (Gandy, 2005).

Quando la gamma secretasi agisce sul frammento C83 porta alla formazione del dominio intracellulare dell’APP (AICD) e del peptide p3 , l’azione della secretasi a livello del frammento C99 porta alla formazione del AICD e della Aβ-40 e Aβ 1-42, mentre l’azione dell’enzima sul frammento C89 porta alla formazione del AICD e Glu11A , (Gandy, 2005). A livello delle placche amiloidee, si possono riscontrare entrambe i tipi di Aβ , ma la proteina Aβ 1-42 ha un’azione fortemente neurotossica ed ha una maggiore tendenza ad aggregarsi rispetto alla forma Aβ 1-40 (Uttara et al., 2009). In condizioni normali, circa il 90% del peptide Aβ secreto è Aβ 1-40, che risulta essere la forma solubile del peptide che solo lentamente possono essere convertite ad una configurazione -sheet insolubile e, per tale motivo, può essere prontamente eliminata dal cervello. Al contrario, circa il 10% del peptide Aβ secreto è Aβ 1-42, che tende ad aggregarsi facilmente e a depositarsi a livello cerebrale in individui con AD e Sindrome di Down (Uttara et al., 2009). A livello intracellulare, la Aβ è presente sottoforma di monomeri, oligomeri, protofibrille e fibrille; mentre i primi non mostrano azione patogena, gli altri possono facilitare l’iperfosforilazione della proteina tau , la distruzione del proteosoma e delle funzioni mitocondriali, la disregolazione dell’omeostasi del calcio, la perdita delle sinapsi, la diminuzione del rilascio di neurotrasmettitori (in particolare acetilcolina) ed infine, possono condurre alla morte dei neuroni .(Uttara et al., 2009)

Ipotesi dell’iperfosforilazione della proteina tau

Figura n 7 :Processo di formazione dei grovigli neurofibrillari della proteina Tau.

Uno dei marker patologici che caratterizza l’AD è la presenza dei grovigli neurofibrillari intracellulari che contengono, come loro prima componente, aggregati della proteina tau in uno stato iperfosforilato. . Nell’Uomo, il gene che codifica per la proteina tau è espresso sul cromosoma 17 . ( Fasulo et al., 2005)La tau è una proteina, altamente solubile, associata ai microtubuli; questi rappresentano lo scheletro interno dei neuroni e costituiscono il sistema di trasporto per le sostanze nutritive e chimiche. In condizioni fisiologiche, la proteina è strettamente legata ai lati dei microtubuli ed è necessaria per mantenerne la struttura; quando insorge la malattia di Alzheimer, le proteine tau si staccano dai microtubuli e si uniscono formando i grovigli neurofibrillari. In pazienti affetti da AD la tau risulta essere iperfosforilata in tutte e sei le sue possibili isoforme . L’iperfosforilazione della proteina tau riduce la sua capacità di legarsi ai microtubuli, i quali si disgregano con conseguente sequestro della proteina tau normale, delle MAP-1 (proteine associate

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ai microtubuli 1), delle MAP-2 e dell’ubiquitina nei grovigli neurofibrillari ( Fasulo et al., 2005). Questi ultimi sono in grado di indurre i microtubuli al collasso, di interferire con il trasporto assonale e, in ultima analisi, di condurre a disfunzione delle sinapsi, degenerazione dei neuroni e decadimento cognitivo .(Fasulo et al., 2005) Recenti scoperte hanno messo in luce che, nell’AD, le modificazioni della proteina tau non sono dovute a mutazioni nel gene che codifica per la proteina, come avviene in altri tipi di demenze (ad esempio nelle demenze fronto-temporali); in effetti, i livelli di espressione del RNA messaggero trascritto dal gene non cambiano. Quindi, le modificazioni associate alla malattia potrebbero instaurarsi dopo che la proteina tau è già stata “costruita” dal DNA, ovvero nei cosiddetti processi post-traduzionali .( Fasulo et al., 2005).

Ipotesi dello stress ossidativo

Figura n 8: Danni causati dalle specie chimiche reattive in codiizioni di stress ossidativo (Mariani et al., 2005)

Il termine stress ossidativo indica l’insieme delle alterazioni che si manifestano a livello di tessuti, cellule e macromolecole biologiche quando queste vengono esposte ad un eccesso di agenti ossidanti . In tutti gli organismi aerobi esiste un delicato equilibrio, detto ossido-riduttivo, tra la produzione di sostanze ossidanti, tra cui le specie reattive dell’ossigeno (ROS), e il sistema di difesa antiossidante che ha il compito di prevenire e/o riparare l’eventuale danno prodotto. Tutte le forme di vita conservano, all’interno delle loro cellule, un ambiente riducente che viene preservato da enzimi che mantengono lo stato ridotto attraverso un costante apporto di energia metabolica. Disturbi del normale stato redox possono provocare effetti tossici attraverso la produzione di specie chimiche reattive che danneggiano le componenti della cellula incluse proteine, lipidi e acidi nucleici .Le ROS e altre specie reattive vengono continuamente prodotte dal nostro organismo attraverso numerosi processi biochimici (Uttara et al., 2009). Determinate quantità di sostanze ossidanti sono infatti indispensabili per mantenere il corretto funzionamento cellulare, regolando i meccanismi propri dell’omeostasi (Iorio, 2007).

Durante le reazioni di riduzione dell’ossigeno, però, le specie reattive generate possono superare il valore soglia fisiologico. Se tali molecole non vengono neutralizzate dai sistemi antiossidanti, si possono instaurare danni all’interno della cellula, in grado di condurre la stessa ad apoptosi .Quindi, se si genera uno sbilanciamento tra la produzione di ROS e l’efficacia del sistema di difesa antiossidante, si stabilisce una condizione di stress ossidativo (Iorio, 2007). Molte delle ricerche sull’AD si focalizzano sul meccanismo dello stress ossidativo e sulla sua importanza nella

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patogenesi della malattia. Molteplici evidenze suggeriscono che lo stress ossidativo e il danno da radicali liberi sono implicati nella patogenesi e nell’eziologia dell’AD (Perry et al., 2002).La prima evidenza a sostegno dell’ipotesi dello stress ossidativo nell’AD si basa sulla scoperta che i metalli sono responsabili della maggior parte della produzione dei radicali liberi. Gli elementi chimici di maggior interesse nell’AD sono il ferro (Fe), l’alluminio (Al), il mercurio (Hg), il rame (Cu) e lo zinco (Zn). Il Fe è implicato nella formazione del radicale idrossile, il quale ha effetti deleteri come descritto dalla reazione di Fenton e di Haber-Weiss (Christen, 2000).Diversi studi hanno evidenziato un’alterazione del metabolismo del Fe nell’encefalo di pazienti AD (Markesbery, 1996; Christen, 2000). Mediante tecniche di istochimica, è stato riscontrato un incremento dei livelli di Fe nella corteccia cerebrale di soggetti affetti dalla malattia; in particolar modo è stato osservato che la distribuzione del Fe rispecchia la distribuzione delle SP e dei NFT, i due elementi chiave della AD. Ferro, ferritina e transferrina sono stati trovati nelle SP dei pazienti AD e la ferritina è presente nella microglia in associazione con le SP nell’AD. Uno studio effettuato da Kennard e collaboratori, nel 1996, ha mostrato, nei pazienti AD, un’elevata concentrazione, nel fluido cerebrospinale e nel plasma, della proteina p 97, una proteina di legame del Fe, la quale potrebbe rappresentare un marker della patologia (Markesbery, 1996; Christen, 2000).Risultati contrastanti sono stati trovati circa il coinvolgimento dell’Al nella patologia, infatti, mentre alcuni studi riscontrano un aumento di questo metallo nell’encefalo di pazienti con AD, altri studi non confermano tale osservazione (Markesbery, 1996; Christen, 2000).

La possibilità del coinvolgimento del Cu nell’AD è supportata dal fatto che lo ione può agire come catalizzatore della produzione di ROS, ed è stato messo in evidenza che molecole di APP contengono siti di legame per il Cu. L’APP riduce il Cu2+

a Cu+

e questo potrebbe accrescere la produzione di ·OH che, a sua volta, condurrebbe a danno neuronale. In effetti, questo metallo è essenziale nell’attività di molti enzimi tra cui la citocromo c ossidasi (COX) e la superossido dismutasi rame/zinco (Cu/Zn SOD). Recenti studi mostrano basse concentrazioni del Cu in cinque regioni del cervello di pazienti AD, particolarmente a livello di ippocampo e amigdala (Markesbery, 1996; Christen, 2000).L’ultimo metallo citato come possibile fattore dello sviluppo dell’AD è lo Zn, il quale induce una rapida colorazione delle placche amiloidi nell’uomo, ma no nel ratto. La APP lega lo Zn2+

e questo legame modula le proprietà funzionali dell’APP (ad esempio inibisce il taglio dell’APP da parte delle -secretasi) (Christen, 2009).

Diversi marker di danno ossidativo a livello di DNA, lipidi e proteine sono stati largamente studiati nella malattia di Alzheimer. Un incremento significativo dei livelli di 8-OHdG è stato riscontrato a livello del n-DNA e del mt-DNA di pazienti affetti da AD. Tale aumento è maggiore nel mt-DNA rispetto al n-DNA, mostrando un’elevata suscettibilità dei mitocondri allo stress ossidativo (Mariani et al., 2005).I pazienti affetti da AD presentano, a livello cerebrale, un incremento della perossidazione lipidica particolarmente a livello del lobo temporale, dove le alterazioni istopatologiche sono ben visibili. Queste osservazioni comunque non sono confermate da altri studi, i quali falliscono nel tentativo di trovare altre differenze nei livelli basali di perossidazione lipidica. L’incoerenza di questi risultati, è da attribuire al genotipo Apo E. I pazienti che portano l’allele 4 sono probabilmente più suscettibili alla perossidazione lipidica rispetto a coloro che non hanno tale allele (Christen, 2009).La perossidazione lipidica è stata quantificata anche saggiando i livelli delle sostanze reattive per l’acido tiobarbiturico (TBARS), del 4-idrossi-2-nonenale (HNE) e del F2-isoprostano che aumentano nelle regioni cerebrali dei pazienti affetti da AD, a differenza dei livelli di MDA che non risultano significativamente elevati se confrontati con i controlli. I TBARS risultano incrementati a livello della corteccia frontale e temporale dei pazienti AD ed anche i livelli del F2-isoprostano risultano molto più alti nel fluido cerebrospinale dei pazienti rispetto ai controlli (Mariani et al., 2005).Il fenomeno della lipoperossidazione potrebbe avere una maggiore influenza sulla patogenesi della malattia o addirittura esserne la causa (Christen, 2009).

Molto importante è l’effetto che le ROS hanno sui fosfolipidi di membrana; alterazioni a livello di queste strutture possono essere specifiche della patogenesi della malattia. È stato mostrato che la

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perossidazione lipidica è la causa maggiore di deplezione dei lipidi di membrana nell’AD. Uno dei prodotti della perossidazione lipidica, l’HNE che è stato trovato in alte concentrazioni nei pazienti AD, è risultato essere tossico in cellule di ippocampo in coltura (Christen, 2009).

Riguardo l’ossidazione proteica, è stato riscontrato che non ci sono differenze nei livelli delle proteine ossidate nel tessuto cerebrale di pazienti AD se confrontato con normali controlli anziani (Mariani et al., 2005)

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Antiossidanti

Figura n 9:Meccanismo d' azione degli antiossidanti.(Valko et al., 2006)

Il termine antiossidante indica tutte le molecole capaci di stabilizzare o disattivare i radicali liberi prima che essi danneggino le cellule. L’organismo umano ha evoluto sistemi altamente complessi di difesa antiossidante, enzimatici e non enzimatici, i quali lavorano sinergicamente e in combinazione con altri sistemi di protezione cellulare contro il danno ossidativo. (Uttara et al., 2009). Gli antiossidanti sono classificati in endogeni ed esogeni; questi ultimi possono essere ottenuti in parte dalla dieta o tramite l’assunzione di integratori alimentari. Alcuni componenti alimentari che non neutralizzano i radicali liberi, ma che accrescono l’attività endogena possono comunque essere classificati come antiossidanti.(Valko et al., 2006)Gli antiossidanti si dividono in molecole di natura enzimatica e non enzimatica. Gli antiossidanti enzimatici comprendono un numero limitato di proteine come le catalasi, la glutatione perossidasi e le superossido dismutasi (Uttara et al., 2009). Gli antiossidanti non enzimatici, a loro volta, possono essere distinti in antiossidanti ad azione diretta ed indiretta. I primi, sono estremamente importanti nella difesa contro lo stress ossidativo e comprendono l’acido ascorbico e lipoico, polifenoli e caratenoidi; la cellula stessa può sintetizzare una minima quantità di queste molecole. I secondi includono agenti chelanti e di legame per ridurre i metalli e prevenire la formazione dei radicali (Uttara et al., 2009).

Antiossidanti enzimatici

La superossido dismutasi (SOD) è un enzima appartenente alla famiglia delle metalloproteine la cui funzione è quella di convertire il ·O2 in O2 e H2O2 secondo la seguente reazione di dismutazione o

di disproporzione: ·O2 + ·O2 + 2H = H2O2 + O2 (Valko et al., 2006)

In questa reazione, una molecola di ·O2 si ossida diventando ossigeno e l’atra molecola si riduce e si protona diventando H2O2 .(Valko et al., 2006) La SOD è presente in diverse isoforme,

identificabili in base agli ioni presenti nel sito attivo (rame, ferro o manganese), alla composizione amminoacidica e alla distribuzione negli organismi. I geni che codificano per le SOD derivano da due geni ancestrali; da uno dei due geni deriva il gruppo delle Mn-SOD e delle Fe-SOD ampiamente diffuso tra tutti gli organismi aerobi, dai batteri alle piante fino all’uomo, dall’altro discende la famiglia delle Cu/Zn-SOD, distribuito esclusivamente tra gli organismi eucaristici (Valko et al., 2006). Nell’uomo sono presenti tre isoforme di SOD: la SOD1 è distribuita nel

citoplasma, la SOD2 nei mitocondri, mentre la SOD3 è localizzata a livello extracellulare. La prima

è un dimero di peso molecolare di 32 kDa, mentre le altre due sono tetrametri con peso molecolare di 96 kDa. La SOD1 e la SOD3 contengono rame e zinco, mentre la SOD2 contiene il manganese nel

suo centro di reazione (rispettivamente Cu/Zn-SOD e Mn-SOD). (Valko et al., 2006)

Negli organismi aerobi, sono presenti due famiglie di enzimi, le catalasi e la glutatione perossidasi, capaci di degradare il H2O2 .

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Le catalasi (CAT) sono metalloproteine, localizzate a livello dei perossisomi delle cellule eucariotiche, il cui gruppo prostetico, la parte non proteica dell’enzima, è rappresentato dal ferro . Questi enzimi hanno la capacità di proteggere i tessuti dai perossidi; la reazione catalizzata dalle catalasi è la decomposizione del H2O2 ad H2O ed O2 molecolare secondo la seguente reazione :H2O2 + H2O2=2 H2O +2 O2 (Valko et al., 2006)

Le CAT hanno un’alta velocità di tourn-over: una molecola può convertire, ogni minuto, approssimativamente 6 milioni di molecole di H2O2 ad H2O e O2 (Valko et al., 2006). Quando i

livelli di perossido di idrogeno sono troppo bassi per attivare le catalasi, la decomposizione di tale SRC avviene per attivazione della glutatione perossidasi (Iorio, 2007), un enzima presente in due diverse forme, una selenio-dipendente (GPx), l’altra selenio indipendente (glutatione-S-tranferasi, GST). Le differenze sono dovute al numero di subunità, ai meccanismi catalitici e al legame del selenio nel centro attivo (Valko et al., 2006).Nell’organismo umano sono presenti quattro tipi differenti di GPx, le quali hanno la funzione di ridurre i perossidi. La GPx agisce in associazione con il glutatione, una molecola presente ad alte concentrazioni nelle cellule che rappresenta uno dei più importanti meccanismi endogeni di difesa dai radicali liberi. La GPx utilizza come substrato H2O2 o un perossido organico (ROOH) e catalizza la conversione dei perossidi ad acqua o alcol e,

simultaneamente, reagendo con il H2O2, ossida il glutatione (Valko et al., 2006) .Negli organismi

maggiormente evoluti, la GPx sembra aver largamente soppiantato il bisogno delle catalasi nella difesa contro lo stress ossidativo. Inoltre, è un enzima molto importante nel prevenire la perossidazione lipidica per mantenere la struttura e la funzione delle membrane biologiche .(Valko et al., 2006)

Antiossidanti non enzimatici

Gli antiossidanti non enzimatici includono diversi tipi di molecole tra le quali ricordiamo la vitamina E, un potente antiossidante liposolubile, che nell’uomo è presente in differenti forme delle quali la più attiva è l’alfa- tocoferolo (Valko et al., 2006). Ha un ruolo importante nella prevenzione dell’ossidazione degli acidi grassi polinsaturi, che rappresenta l’evento chiave nello sviluppo del processo di perossidazione lipidica. Tale evento, scatenato dall’azione di radicali liberi, si sviluppa attraverso delle reazioni a catena che continuano il processo (Valko et al., 2006).

La vitamina E è in grado di bloccare questo fenomeno donando un atomo di idrogeno con un elettrone ai radicali perossilipidici, rendendoli in tal modo meno reattivi e bloccando di fatto la perossidazione lipidica. Tale reazione redox trasforma la vitamina E in un radicale -tocoferossilico che è piuttosto stabile e che può reagire con la vitamina C o con il glutatione per riformare l’ alfa-tocoferolo (Valko et al., 2006). Poiché lo sviluppo della perossidazione lipidica può determinare profonde alterazioni delle membrane cellulari, si comprende il motivo per cui alla vitamina E è riconosciuto un ruolo importante nel mantenere tali strutture indenni (Valko et al., 2006).

Un altro importante antiossidante è la Vitamina C, una molecola idrosolubile che può essere presente in due forme, una ridotta (acido ascorbico) ed una ossidata (acido deidroascorbico) tra loro interconvertibili. Come già detto, la vitamina C è implicata nella rigenerazione della forma non radicalica della vitamina E, dopo che questa ha reagito con un radicale libero. In determinate circostanze può agire da agente riducente: ad esempio, in presenza di metalli di transizione (Fe3+

e Cu2+

) può innescare la perossidazione lipidica. Ciò nonostante, l’azione antiossidante è, in vivo, superiore a quella pro-ossidante (Iorio, 2007 ).Un gruppo importante di antiossidanti non enzimatici è rappresentato dai tioli. I gruppi tiolici (SH) sono essenziali per la protezione degli effetti dannosi delle ROS (Valko et al., 2006).Il più importante antiossidante tiolico è il glutatione ridotto (GSH), un tripeptide formato da cisteina, glicina e glutammato. Il GSH è tra i più efficaci antiossidanti prodotti a livello intracellulare, è molto abbondante nel citosol , a livello di nuclei e dei mitocondri ed è considerato il maggiore antiossidante solubile in questi compartimenti cellulari (Valko et al., 2006). Generalmente, la capacità antiossidante dei composti tiolici è dovuta all’atomo di zolfo il quale può facilmente favorire la perdita di un singolo elettrone. La vita della specie radicalica così

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generata, come il radicale GS·, può essere significativamente più lunga di molti altri radicali generati durante lo stress ossidativo (Valko et al., 2006). Le principali caratteristiche protettive del GSH come meccanismo di difesa contro lo stress ossidativo sono dovute alle seguenti proprietà (Valko et al., 2006): è un cofattore di diversi enzimi di detossificazione contro lo stress ossidativo(Valko et al., 2006); partecipa al trasporto degli amminoacidi attraverso le membrane plasmatiche (Valko et al., 2006); ha la funzione di “scavanger” nei confronti degli idrossidi e dei radicli dell' ossigeno ; detossifica il perossido di idrogeno e i lipoperossidi attraverso l’azione catalitica della glutatione perossidasi (Valko et al., 2006); è in grado di rigenerare i più importanti antiossidanti, quali la vitamina C ed E dalle loro forme attive (Valko et al., 2006). Un altro antiossidante tiolico è la tioredoxina (TRX), una proteina con attività ossidoriduttasica che è presente sia nelle cellule dei mammiferi che dei procarioti (Rahman, 2007).Il terzo antiossidante tiolico è l’ Acido alfa-lipoico (ALA). È un disulfide derivato dall’acido octanoico, può essere sia liposolubile che idrosolubile e, per questo, è largamente distribuito nelle membrane cellulari e nel citosol sia di cellule eucariotiche che procariotiche. L’ALA è rapidamente assorbito dalla dieta e convertito nella sua forma ridotta, l’acido diidrolipoico (DHLA) (Valko et al., 2006). Entrambe le forme sono dei potenti antiossidanti e svolgono la propria azione attraverso lo “scavenger” dei radicali liberi, chelano gli ioni metallici, riciclano gli antiossidanti e riparano le proteine danneggiate dallo stress ossidativo. Il DHLA ha un’azione fortemente antiossidante e può agire in sinergia con altri antiossidanti come il glutatione, l’acido ascorbico e il tocoferolo. Esso può anche avere proprietà pro-ossidanti; ad esempio, è in grado di ridurre lo ione ferro e di generare radicali contenenti zolfo che possono danneggiare le proteine (Valko et al., 2006). Altre molecole implicate nel processo di detossificazione dai radicali liberi sono la melatonina, i carotenoidi e i polifenoli .La melatonina è un neuro-ormone sintetizzato principalmente dalla ghiandola pineale ed ha molti effetti su un largo numero di funzioni fisiopatologiche.È un forte antiossidante che può facilmente attraversare le membrane cellulari e la barriera ematoencefalica.(Valko et al., 2006) La funzione principale della melatonina è quella di “scavenger” dei radicali liberi prodotti durante il metabolismo dell’ossigeno. A differenza di altri antiossidanti, la melatonina non percorre un ciclo redox che le consentirebbe di agire come proossidante e promuovere la formazione di radicali liberi. Per tale motivo, la melatonina, una volta ossidata, non può più essere ridotta al suo stato precedente in quanto, dopo aver reagito con i radicali liberi, forma numerosi prodotti finali stabili. Per questo motivo, la melatonina è definita un antiossidante terminale.I carotenoidi rappresentano una classe di pigmenti presenti nelle piante e in diversi microrganismi. Studi epidemiologici hanno rilevato che un incremento del consumo di carotenoidi, attraverso la dieta, diminuisce il rischio di sviluppare malattie età-dipendenti.(Valko et al., 2006)

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I POLIFENOLI

I polifenoli rappresentano un vasto gruppo di composti organici di origine vegetale che pur non prendendo parte ai processi metabolici degli organismi animali, sono considerati un componente importante della dieta umana per la loro azione antiossidante. Essi sono caratterizzati dalla presenza di uno o più anelli fenolici e questo li rende responsabili, insieme ad altri composti, del colore di molti frutti, proprietà essenziale nella propagazione del seme da parte di animali fruttivori. La loro funzione più importante è però quella di proteggere le piante dal rischio ossidativo rappresentato dalla luce solare e da altri agenti ambientali. Per la stessa ragione contribuiscono alla conservazione delle proprietà organolettiche di derivati alimentari di origine vegetale, come l’olio di oliva e il vino rosso, e alle possibili loro azioni benefiche sulla salute umana.( Hwang, S.L.; Yen2008) In riferimento alla loro struttura possono essere schematicamente distinti in tre diverse classi, quella dei fenoli semplici, quella dei flavonoidi e quella dei tannini.I fenoli semplici comprendono gli acidi fenolici, le cumarine e gli acidi benzoici.La loro condensazione può dare origine a polimeri come la lignina.I tannini comprendono due categorie: i tannini condensati ed i tannini idrolizzabili.I primi sono detti anche proantocianidine, poiché per idrolisi con acidi forti danno antocianidine.I secondi sono polimeri eterogenei contenenti acidi fenolici (ad es. l'acido Gallico) e zuccheri semplici. I flavonoidi costistuiscono il più grande gruppo polifenoli naturali ed hanno tutti come struttura di riferimento il 2 fenil-benzopirone o flavonone.Variazioni strutturali negli anelli permettono di suddividere i flavonoidi in diverse famiglie: Flavoni , flavanoni, flavonoli ,Flavanoli , isoflavoni e antocianine . (Hwang, S.L.; Yen2008)

Figura n 10: le classi di molecole che compongono la famiglia dei flavonoidi.

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I Polifenoli nelle malattie neurodegenerative associate a declino cognitivo

Recenti studi clinici hanno dimostrato che i polifenoli sono in grado di rallentare il decorso delle patologie neurodegenerative attraverso la riduzione dei processi infiammatori che stanno alla base di suddette patologie .(Hwang, S.L.; Yen2008)Tale azione e' osservabile sia a livello macroscopico che microscopico. Essi diminuiscono l’accumulo dei radicali liberi dell’ossigeno,cedendo l’idrogeno del gruppo ossidrilico al radicale comportandosi da antiossidanti chain-breaker , riducendo cosi la possiblita' di danni a proteine ,lipidi e acidi nucleici ; Riducono il danno ossidativo a livello dei mitocondri ,attaverso il ripristino del pathway del calcio mitocondriale ,che è particolarmente importante per la funzionalità delle cellule neuronali ;Agiscono a livello di target intracellulari connessi a proteine di tipo apoptotico come le caspasi e la Buks BCL2 ,in particolare

quest' ultima media l’innesco dell 'apoptosi a livello mitocondriale; Agiscono direttamente sull’espressione genica attraverso modificazioni epigenetiche ,come la modulazione dell’istone acetil transferasi , della dna metil transferasi e l' interazione con i microRNA.Quest' ultimi sono molecole di RNA di piccole dimensioni che di per sé non codificano per nessuna proteina,ma riescono a modulare il livello di espressione di altre proteine specifiche agendo sugli mRNA di quest' ultime.(Santa Cirmi , Nadia Ferlazzo ,Michele Navarra,2016).

Figura 11 :Proprieta' neuroprotettive dei flavonoidi .Inibizione dei processi neurodegenerativi. (Santa Cirmi , Nadia Ferlazzo ,Michele Navarra,2016)

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I Flavonoidi

Figura n 12: struttura base dei flavonoidi.

Sono prodotti naturali ampiamente distribuiti nelle piante la cui struttura presenta tre anelli fenolici di cui due aromatici (A e B) uniti da uno eterociclico (C) comprendente tre atomi di carbonio ed uno di ossigeno (Santa Cirmi ,Michele Navarra,2016).

I flavonoidi si suddividono a seconda della struttura dell’ anello C:

• in flavonoli (quercetina, miricetina), • flavoni (luteolina e apigenina),

• flavanoli (catechina, epicatechine e epigallocatechina gallato), • flavani, antocianidine

• isoflavonoidi (Liu RH.Y:Fu 2004).

I flavonoidi rivestono un ruolo importante nelle strategie riproduttive delle piante, dando infatti colore ai fiori ed ai frutti e sembrano essere particolarmente utili all’ uomo per i loro impieghi in medicina. Assorbono fortemente le radiazioni ultraviolette e il loro accumulo nell’epidermide delle foglie ne suggerisce una funzione specifica di protezione dal danno che queste radiazioni causano al DNA delle cellule. I flavonoidi svolgono numerose attività biologiche tra cui attività antibatterica, attività di inibizione o neutralizzazione di reazioni dannose provocate da diverse molecole, fra cui l’ ossigeno, responsabile della formazione dei radicali liberi.(Liu RH. 2004).

Le proprietà funzionali dei flavonoidi sono influenzate da un certo numero di caratteristiche strutturali:

• la presenza di un gruppo ossidrilico in posizione 3-dell’anello C: i flavonoidi agliconi che

hanno un 3-OH (quercetina, mirecitina) sono antiossidanti più potenti di quelli che hanno lo stesso gruppo sostituito (diosmentina, apigenina, esperetina e naringenina);

• la presenza di un doppio legame tra C2 e C3: aumenta la capacità antiossidante;

• numero di gruppi ossidrilici (-OH) presenti sull’anello B: l’ attività antiossidante aumenta

proporzionalmente all’ aumentare dei gruppi ossidrilici.

• la presenza di gruppi glicosidici: determina un ingombro sterico che riduce la capacità

antiossidante.(Santa Cirmi , Nadia Ferlazzo ,Michele Navarra,2016)

A causa del carattere acido dei gruppi ossidrilici e delle proprietà nucleofile degli anelli fenolici, i flavonoidi sono altamente reattivi. I flavonoidi sembrano avere proprietà antivirali, antibatteriche, immunostimolanti, antiischemiche, antineoplastiche, antinfiammatorie, antiallergiche antilipoperossidanti e gastroprotettive. I flavonoidi inibiscono le attività di molti enzimi tra cui la lipoossigenasi, la ciclossigenasi, la monossigenasi, la xantinossidasi, la NADH-ossidasi, la fosfolipasi A2, alcune protein chinasi e fattori trascrizionali come NF-kB. (Santa Cirmi , Nadia

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I Flavonoidi nelle patologie neurodegenerative associate a declino cognitivo

La bioattività dei flavonoidi sul sistema nervoso risiede nella loro capacità di proteggere i neuroni vulnerabili, migliorare la funzione neuronale esistente, stimolare la rigenerazione neuronale e la neurogenesi . Tali attivita' neuroprotettive sono dovute sia ai loro effetti antiossidanti diretti che alle loro interazioni con percorsi neuronali / gliali di segnalazione intracellulare cruciali nel controllo della resistenza neuronale alle neurotossine . È interessante notare che i flavonoidi hanno una stretta omologia strutturale a specifici inibitori delle cascate di segnalazione cellulare, come il PD98059, un inibitore MAPK e il LY294002, un inibitore della fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3). Nel contesto della neuroinfiammazione, l'inibitore MAPK PD98059 ha dimostrato di bloccare efficacemente l'espressione di iNOS e la produzione di ossido nitrico in cellule gliali attivate Inoltre, LY294002 è stato modellato sulla struttura della quercetina ed entrambi i composti si inseriscono nella tasca di legame dell'enzima per l' ATP .( Vauzour et al., 2007) La capacità di vari flavonoidi di modulare la PI3-chinasi è correlata al numero di gruppi idrossile sull'anello B e il grado di insaturazione del legame C2- C3 nell'anello C .Alla luce di ciò, sembra che le interazioni con questo e altri percorsi di segnalazione possano essere dipendenti dalla struttura, il che significa che diversi flavonoidi possono esprimere esiti cellulari diversi a seconda del loro grado di interazione con i recettori o le chinasi a valle. Studi di biologia molecolare confermano il ruolo neuroprotettivo dei flavonoidi e la loro interazione e modulazione del signaling interneuronale. ( Vauzour et al., 2007) Studi pre-clinici basati su test in vitro ed in vivo confermano l' attivita' neuroprotettiva dei flavonoidi. E' stato dimostrato che tale azione e' il risultato della loro caratteristica attivita' multi-target. Tale attivita' e' stata osservata anche in studi in vivo che utilizzavano modelli murini caratterizzati da degenerazione neuronale indotta da diverse sostanze neurotossiche. La somministrazione di flavonoidi in queste cavie ha comportato ,a livello del tessuto neuronale , una riduzione del fenomeno infiammatorio ,il parziale ripristino delle funzioni biologiche e l' aumento dell' espressione di fattori neutrofici. Tale attivita' e' stata ricondotta alla sommatoria delle diverse interazioni osservate per suddette molecole .E' stao infatti accertato che esse in condizioni di stress ossidativo :

• inibiscono l' attivazione del JNK, del c-jun e della caspasi-3 ;(Zhao et al. (2013)

• modulano l' attivita' del PKC che porta all' attivazione del pathway anti-apoptotico

(PI3K) / Akt-dipendente ; ( Vauzour et al., 2007)

• inibiscono l' attivita' della glicogeno sintasi chinasi-3 (GSK -3) ;( Vauzour et al., 2007) • attivano l' Akt responsabile dell' inibizione di proteine pro-apoptiche in neuroni corticali,

come: la chinasi 1 (ASK1) la Bad, la caspase-9 e la caspasi-3. (Zhao et al. (2013)

• interagiscono sugli enzimi secretasi che tagliano il precursore dell’amiloide spostando

l’equilibrio verso il pathway non amiloidogenico coordinato dall’enzima alfa-secretasi. ( Vauzour et al., 2007)

• Inibiscono la lipoossigenasi, la ciclossigenasi, la monossigenasi, la xantinossidasi, la

NADH-ossidasi, la fosfolipasi A2, alcune protein chinasi e fattori trascrizionali come NF-kB

( Vauzour et al., 2007).

Nei prossimi capitoli verranno descritte le proprieta' delle varie classi dei flavonoidi riscontrate in studi pre-clinici in vitro e in vivo su modelli sperimentali che riproducevano le caratteristiche fisio-patologiche delle malattie ND .

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I Flavoni

I flavoni sono la classe più numerosa dei flavonoidi ,in natura sono presenti per lo più nella forma glicosilata.

Figura n 13 :struttura base dei flavoni

La struttura chimica è basata su uno scheletro di 15 atomi di carbonio composto da due anelli aromatici ed uno eterociclico; un anello aromatico risulta condensato con un eterociclico ed il terzo anello aromatico collegato all' eterociclo in posizione 2. I piu' importanti sono l' apigenina , la luteolina ,la baicaleina e il wogonin . (Santa Cirmi , Nadia Ferlazzo ,Michele Navarra,2016)

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I Flavoni nelle malattie neurogegenerative associate a declino cognitivo

Apigenina

Recenti studi clinici hanno dimostrato che anche i Favoni possiedono proprieta' neuroprotettive . L'Apigenina ha dimostrato di possedere diverse attività biologiche in grado di contrastare la neurodegenerazione, come : l' attivita' antiossidante, l' attivita' antinfiammatoria, l' attivita' anti-mutagena e l' attivita' anti-tumorale. Tali attivita' sono state confermate dai recenti risultati di studi clinici condotti sia su test in vitro che in vivo,in particolare gli studi in vivo sono stati condotti su modelli murini caratterizzati da neurodegenerazione indotta da neurotossine . (Zhao et al. (2013) I risultati degli studi in vitro affermano che l' apigenina ha la capacita' di ridurre l'apoptosi : in cellule neuronali ippocampali murine , in presenza di stress del reticolo endoplasmatico ; in colture primarie di neuroni umani ,sottoposti ad eccitotossicità indotta da acido chinolico e in colture di cellule murine cerebellari e corticali sottoposti neurotossicità indotta da glutammato . (.Zhao et al. (2013) . Inoltre l' Apigenina ha dimostrato effetti neuroprotettivi in test in vivo eseguiti su topi transgenici per la proteina precursore dell'amiloide presenilina 1 APP / PS1 . (.Zhao et al. (2013) .In particolare la somministrazione di Apigenina (40 mg / kg) su tali cavie per 3 mesi,ha determinato miglioramenti della memoria , del deficit di apprendimento e riduzione dei depositi di amiloide fibrillare. Tali risultati sono in parte attribuiti al ripristino del pathway (ERK) / cAMP (CREB) / BDNF che è noto per essere coinvolto nell'apprendimento e nella memoria nei soggetti affetti da pazienti da AD. Un altro studio eseguito da Taupin et al. (2009) ha evidenziato che la somministrazione di apigenina (25 mg / kg) per 10 giorni ha stimolato la neurogenesi nella regione ippocampale del cervello di tali modelli murinici e ha comportato un miglioramento delle prestazioni nel labirinto d'acqua Morris .(Taupin, P. 2009). Patil e il suo gruppo di ricerca hanno dimostrato che la somministrazione cronica intraperitoneale di apigenina (5-20 mg / kg) ha ridotto i deficit cognitivi nei nelle cavie murine anziane e in quelle esposte ad lipopolisaccaridi (LPS). Inoltre, l'apigenina ha migliorato le capacità motorie e aumentato il potenziale neurotrofico in modelli murini affetti da Parkinsonismo indotto da 1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina (MPTP) .(Taupin, P. 2009) In particolare, l'MPTP (25 mg / kg) è stato somministrato per cinque giorni consecutivi e quindi l'Apigenina (10 e 20 mg / kg) è stata somministrata per via orale per 26 giorni, inclusi 5 giorni di pretrattamento. Più recentemente, Liu et al. (2015) hanno dimostrato che l'apigenina esercita un effetto protettivo contro la neurotossicità indotta da MPP +

in cellule catecolaminergiche neuronali. Questo effetto è mediato dall'inibizione dello stress ossidativo, dalla stabilizzazione della funzione mitocondriale e dalla riduzione dell'apoptosi neuronale attraverso la via mitocondriale . L'effetto citoprotettivo dell'apigenina è stato valutato anche da Wu e collaboratori (2015), che dimostrano che l'apigenina ha ripristinato la vitalità cellulare e represso sia l'attivazione della CASPASE-3 che del PARP-1 in cellule trattate con 4 HNE.

La Luteolina

Recentemente, diversi studi hanno riportato le proprietà neuroprotettive della luteolina. Wang et al., (2016) .Studi in vivo hanno dimostrato che la Luteolina attenua la disfunzione cognitiva in modelli murini affetti da ipoperfusione cerebrale cronica e in quelli trattatti con diete ad alto contenuto di grassi. (Rezai-Zadeh (2008)). Recentemente, Wang et al., (2016) hanno dimostrato che la Luteolina e' capace di migliorare significativamente l'apprendimento spaziale e di contrastare l'indebolimento della memoria in modelli murini trattati con STZ . Un altro studio ha dimostrato che il trattamento con Luteolina (10 e 20 mg / kg) riduce le alterazioni motorie e muscolari in topi esposti a MPTP. (Wu e collaboratori (2015)). Il gruppo di ricerca di Rezai-Zadeh (2008) ha dimostrato che il trattamento di linee cellulari di microglia primarie derivate da cavie murine con Luteolina ha ridotto significativamente l'espressione del CD40 e il rilascio di citochine pro-infiammatorie IL-6 e

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che il trattamento con luteolina ,in cellule neuronali di cavie muriniche AD ha determinato una significativa riduzione della generazione di A. Il meccanismo sembra essere coinvolto nell'attivazione selettiva dell'isoforma GSK-3, che a sua volta aumenta la fosforilazione di PS1, il nucleo catalitico del complesso secretasi, riducendo quindi l'interazione dell'app PS1 e la generazione di A .Chen e collaboratori (2008) hanno dimostrato che la luteolina e' in grado di proteggere i neuroni dopaminergici dalle lesioni indotte da LPS . Un'altra ricerca ha dimostrato che la luteolina e' in grado di inibire l'espressione dell' iNOS , della COX-2,del TNF- ,dell' IL-1 e l'attivazione di NF-B in colture cellullari stimolate da LPS . Per

comprendere meglio gli effetti immuno-modulatori della luteolina, Dirscherl et al. (2010) hanno condotto uno studio di espressione su tutto il genoma in cellule di microglia BV-2 esposte ad LPS trattate con luteolina e hanno eseguito un profilo fenotipico e funzionale. Hanno osservato che la Luteolina sopprimeva l'espressione di marcatori pro-infiammatorii nella microglia attivata da LPS e innescato cambiamenti globali nella trascrizione microgliale con più di 50 trascritti differenzialmente espressi. In conclusione e' stato osservato che la Luteolina e' in grado di inibire l'espressione genica pro-infiammatoria e pro-apoptotica ,e di indurre l' espressione di geni coinvolti nel metabolismo anti-ossidante, nella fagocitosi e nella chemiotassi . (Dirscherl et al. (2010) )

Il wogonin

Il wogonin ha dimostrato di essere in grado di inibire la produzione dell' ossido nitrico, in cellule-gliali attivate con LPS , tramite la soppressione dell'attività dell' enzima NF-jB e l' inibizione dell'espressione di iNOS ( Chen et al., 2004). Inoltre ha dimostrato di avere proprieta' antinfiammatorie ,infatti in seguito alla sua somministrazione e' stata riscontrata una riduzione delle concentrazioni di citochine infiammatorie, tra cui TNF- ae IL-1 b, e la riduzione dell' apoptosi nelle cellule neuronali .Sebbene questi effetti siano stati osservati a concentrazioni elevate, non fisiologiche ,tale effetto neuroprotettivo e' stato osservato anche in diversi studi in vivo. La somministrazione di wogonin ,per via intraperitoneale (10 mg / kg) ,in cavie che presentavano lesioni neuronali , ha ridotto la perdita di popolazione neuronale , attraverso l'inibizione dell' iNOS, dell'attività di NF- j B e la down-regulation dell'attivazione della microglia in aree specifiche dell'ippocampo .( Chen et al., 2004)

La Baicaleina

La somministrazione di baicaleina ,ha evidenziato che la stessa e' in grado di inibire i processi infiammatori e l' apoptosi, attraverso l' inibizione di iNOS ( Li et al., 2005) e tramite l' inibizione del fattore di trascrizione nucleare per IL-6 (NF-IL6) .( Chen et al., 2004) In accordo con quanto osservato per il wogonin, l'azione antinfiammatoria del baicaleina sembra coinvolgere la modulazione dell'attività di NF-j B risultante nell'inibizione delle cascate di segnalazione infiammatoria a valle . Tuttavia, la bacaleina inibisce anche l'attivazione della via di PI3-chinasi / Akt, anche se ad alta concentrazione , senza effetti sulla fosforilazione di ERK e p38, e così facendo protegge dallo stress ossidativo indotto dall'ipossia e dall'espressione del gene infiammatorio di iNOS e COX -2 nella microglia .( Hwang et al., 2008 ) In accordo con ciò, la bacaleina, in prossimità di concentrazioni fisiologiche , non ha avuto alcun effetto sulla fosforilazione di ERK indotta da LPS / INF- c nelle cellule microgliali , suggerendo che la via di PI3 chinasi / Akt potrebbe essere il principale bersaglio dell'azione anti-infiammatoria della baicaleina nel SNC. ( Chen et al., 2004)

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I Flavanoni

I flavanoni sono un gruppo di composti chimici naturali polifenolici appartenenti alla classe dei flavonoidi. La stuttura chimica di base dei flavanoni e' il nucleo 2-fenil-benzo- pirano costituito da due anelli benzenici collegati attraverso un anello eterociclico piranico. La glicosilazione si verifica per la maggior parte sulle posizione 5 e 7, la metilazione e l’acilazione sui gruppi idrossilici dell’anello B.

Figura n 15:struttura base dei flavanoni.

Tipici esempi di flavanoni sono i composti amari e solubili presenti nell'epicarpo dei frutti del genere Citruss sotto forma di glicosidi. Tra questi uno dei più comuni è il Citrus bergamia Risso (fam. Rutaceae), comunemente chiamato bergamotto, il cui frutto è ricco dei glicosidi neoeriocitrina, neoesperidina e naringina. Sono state riconosciute proprietà antitumorali a molti flavanoni ma il loro utilizzo medico risulta limitato dalla costosa estrazione dai tessuti vegetali che li contengono. Per questo la possibilità dello sviluppo di farmaci a base di flavanoni, così come per molti altri composti naturali, è affidata alla scoperta di sintesi di laboratorio alternative all'estrazione naturale. ( Vauzour et al., 2007)

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