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Simulazione multivariata: il VaR e l'ES per la gestione del rischio di portafogli

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale

e Mercati Finanziari

Simulazione multivariata:

il VaR e l’ES per la gestione del rischio di portafogli

Candidato:

Relatore:

Sara Salvo

Prof. Emanuele Vannucci

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La mente dell’uomo è sempre in azione e non può cessare di “macinare” ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale materiale fornire (cfr. Cassiano il Romano, Lettera a Leonzio Igumeno).

Alla mia famiglia, a Fabio, alla sua famiglia e ai miei amici, che ci sono stati e ci saranno …sempre.

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1

INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO 1 ... 4

DA BASILEA A SOLVENCY ... 4

1.1 L’importanza del Risk Management nelle banche... 4

1.2 Solvency II: valutazione dei rischi dell’impresa assicurativa ... 12

CAPITOLO 2 ... 19

MISURE DI RISCHIO ... 19

2.1 Variabili aleatorie ... 19

2.2 Value at Risk ... 22

2.3 Coerenza delle misure di rischio ... 25

2.3.1 Coerenza del VaR ... 25

2.3.2 Limiti del VaR ... 26

2.4 Expected Shortfall ... 29

2.5 VaR e ES a confronto ... 30

2.6 Shortfall Deviation Risk ... 31

CAPITOLO 3 ... 34

LE COPULE ... 34

3.1 Definizione di copule ... 34

3.2 Concordanza e associazione tra variabili aleatorie ... 36

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2

3.2.2 Coefficiente di correlazione lineare ... 37

3.2.3 τ di Kendall ... 38

3.2.4 ρ di Spearman ... 38

3.2.5 Tail-Dependence ... 39

3.3 Le copule ellittiche ... 40

3.3.1 La copula Normale o Gaussiana ... 41

3.3.2 La copula t-Student ... 41

3.4 Le copule Archimedee bivariate ... 42

3.4.1 La copula di Gumbel ... 43

3.4.2 La copula di Clayton ... 44

3.4.3 La copula di Frank ... 44

CAPITOLO 4 ... 46

APPLICAZIONI ... 46

4.1 Verso la Simulazione Monte Carlo ... 46

4.2 Composizione del portafoglio ... 48

4.3 Calcolo dei rendimenti e della loro distribuzione di frequenza ... 53

4.4 Sviluppo della simulazione Monte Carlo ... 58

4.5 Calcolo del Value at Risk e dell’Expected Shortfall ... 64

4.6 Creazione di una matrice di correlazione fittizia ... 67

4.7 Variazione delle distribuzioni marginali ... 71

4.8 Test chi-quadro ... 75

CONCLUSIONI ... 82

BIBLIOGRAFIA ... 83

SITOGRAFIA ... 84

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3

INTRODUZIONE

Il ruolo svolto dal risk management nelle banche e nelle compagnie di assicurazione, è determinante in quanto identifica, misura e controlla la complessità dei rischi assunti da queste. La crisi del 2009 ha mostrato che gli enti finanziari in generale, sono stati incapaci di cogliere la presenza di rischi rilevanti. In particolare il rischio di mercato nelle banche, è stato sottostimato, portando ad aggravare la crisi. Le disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche prevedono l’obbligo di rispettare quotidianamente i requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato. Già dal 1996 Basilea I, prevedeva che le banche, qualora avessero adottato una metodologia basata sui modelli interni, il requisito patrimoniale sui rischi di mercato sarebbe stato determinato dal Value at Risk. Soltanto con la recente pubblicazione del Fundamental Review of trading book si richiede alle banche di calcolare i requisiti patrimoniali per il rischio di mercato non più con il Value at Risk, ma con l’Expected Shortfall.

Dopo un breve excursus su Solvency, che attualmente impone alle imprese di assicurazione di determinare i requisiti patrimoniali di solvibilità attraverso il VaR, l’elaborato procede a definire il VaR e l’ES da un punto di vista statistico. In particolare nel 2° capitolo vengono messe in luce le differenze tra le due misure di rischio.

Il VaR e l’ES vengono successivamente affrontati in termini analitici, attraverso la simulazione Monte Carlo, come strumenti di misurazione del rischio di un portafoglio composto da quattro titoli, quotati alla borsa di Milano, e appartenenti al settore assicurativo. Nello specifico, utilizzando il metodo della simulazione Monte Carlo, e ipotizzando una distribuzione normale multivariata, sono stati simulati 500 scenari di valori del portafoglio, dai quali è stato possibile calcolare il VaR e l’ES ad un livello di confidenza del 99% e del 95%.

Infine, sono stati messi a confronto i risultati in termini di VaR ed ES alterando dapprima la matrice dei coefficienti di correlazione lineare dei quattro titoli in esame, e in secondo luogo modificando le distribuzioni marginali dei titoli attraverso la funzione delle copule, funzione ampiamente descritta nel capitolo terzo di questo lavoro.

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4

CAPITOLO 1

DA BASILEA A SOLVENCY

1.1 L’importanza del Risk Management nelle banche

La crisi finanziaria del 2007, scoppiata sul segmento subprime dei mutui immobiliari statunitensi, colpì l’intero sistema finanziario internazionale. Gli effetti scaturiti dalla crisi furono talmente destabilizzanti, che indussero i governi degli stati e le autorità monetarie a elaborare nuove linea guida, che portarono all’emanazione di Basilea III1.

Basilea III si prefigge di rendere il sistema finanziario più stabile e di contenere il

rischio complessivo entro livelli sostenibili.

Nel 2009 fu costituito un comitato dei saggi, presieduto da Larosière, al fine di configurare una vigilanza integrata sui mercati finanziari. Il rapporto di Larosière ha condotto all’istituzione dell’European Systemic Risk Board (ESRB) e del Sistema

Europeo di Vigilanza Finanziaria (SEVIF).

Al primo, l’ESRB, viene affidata la vigilanza macro-prudenziale con obiettivi di controllo nonché valutazione dei rischi per la stabilità del sistema finanziario.

Al secondo, il SEVIF, viene affidata la vigilanza micro-prudenziale; il Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria si compone di tre organismi:

 L’EBA (European Banking Authority), il quale opera nel settore bancario;

 L’EIOPA (European Insurance and Occupational Pension Authority), operante nel settore assicurativo e previdenziale;

 L’ESMA (European Securities and Markets Authority), operante nei mercati finanziari.

1 Recepita da Banca d’Italia con la Circolare n.285 del 17 dicembre 2013 ed entrata in vigore il 1 gennaio

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5

L’istituzione di tali organismi è finalizzata all’applicazione della normativa prudenziale, in modo uniforme a livello comunitario, attraverso la realizzazione del

Single Rulebook, ovvero un insieme di regole armonizzate.

Con riguardo al settore bancario, i principi cardine del nuovo modello di vigilanza sono enunciati all’art 5 del TUB2

(Testo Unico Bancario) e sono riconducibili alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. Inoltre il secondo comma del presente articolo, sancisce che la vigilanza si esercita nei confronti delle banche, dei gruppi bancari, degli intermediari finanziari, degli istituti di moneta elettronica e degli istituti di pagamento.

Con l’emanazione del TUB si ha il passaggio da una forma di vigilanza di tipo strutturale-autorizzativa, la quale non permetteva alle banche di migliorare la propria competitività, ad una vigilanza di tipo prudenziale.

Le nuove disposizioni in materia di vigilanza prudenziale, dettate da Banca d’Italia con la Circolare n.285 del 17 dicembre 2013, delineano tre pilastri:

1. PILLAR 1 determina i requisiti patrimoniali minimi al fine di assicurare l’adeguatezza dei fondi propri della banca rispetto ai rischi ai quali è esposta:

a. rischio di credito, definito come la possibilità che il merito creditizio del debitore subisca variazioni tali da non adempiere ai suoi obblighi di pagamento degli interessi e di rimborso del capitale;

b. rischio di mercato è definito come il rischio di incorrere in perdite derivanti da oscillazioni dei prezzi di mercato;

c. rischio di controparte è il rischio che la controparte di un’operazione, avente a oggetto determinati strumenti finanziari, risulti inadempiente prima del regolamento dell’operazione;

d. rischio operativo definito come rischio di reputazione e rischio legale. 2. PILLAR 2 definisce gli strumenti e i processi di controllo che le banche devono adottare per fronteggiare ogni tipologia di rischio diversa da quella trattata dal PILLAR 1;

3. PILLAR 3 individua gli obblighi di informativa sui rischi e sull’adeguatezza patrimoniale della banca che gli intermediari vigilati devono fornire al pubblico.

2

(8)

6

“Gli organismi di regolamentazione concordano a livello internazionale, sul fatto che le carenze a livello di governance societaria di numerosi enti finanziari, compresa l’assenza di validi sistemi di controllo e di equilibri al loro interno, hanno contribuito alla crisi finanziaria. Un’assunzione di rischi eccessiva e imprudente può portare al fallimento di singoli enti finanziari e causare problemi sistemici tanto negli Stati membri quanto a livello globale3”.

Motivo per il quale, la Circolare 263/2006 di Banca d’Italia4, che rappresenta il quadro normativo dei sistemi di controllo interno da parte delle banche, ha subito significativi aggiornamenti. L’ultimo, il 15° aggiornamento, risale al 2 luglio 2013. Il sistema di controllo interno prevede una differenziazione tra le mansioni affidate agli organi aziendali e i compiti delle funzioni aziendali. Il modello tradizionale, tipico di una banca, riserva al Consiglio di Amministrazione (CdA) la funzione di supervisione strategica, all’Alta direzione la gestione del sistema di controlli e infine al Collegio sindacale la funzione di controllo.

Le funzioni aziendali, invece, si articolano su tre livelli:

1. I controlli di 1° livello o controlli di linea, sono finalizzati ad assicurare il corretto svolgimento delle operazioni aziendali nel rispetto dei regolamenti e delle policy aziendali e vengono effettuati dagli stessi soggetti preposti allo svolgimento di tali operazioni;

2. I controlli di 2° livello o controlli sulla gestione dei rischi, si articolano a loro volta in:

a) Risk Management, volti a monitorare la complessità dei rischi assunti dalla banca;

b) Controlli di Compliance, i quali verificano la conformità dell’attività aziendale alla normativa;

c) Antiriciclaggio, finalizzati a scongiurare potenziali situazioni di riciclaggio;

3. I controlli di 3° livello o internal auditing, consistono nell’attività di revisione interna dei meccanismi di controllo dell’azienda, verificando l’efficacia e l’efficienza dei controlli di 1° e 2° livello e il soddisfacimento degli organi aziendali, quali Consiglio di Amministrazione e Collegio sindacale.

3 Cfr. GAZZETTA UFFICIALE DELL’UNIONE EUROPEA, direttiva 2014/65/UE del Parlamento

europeo e del Consiglio, 15 maggio 2014.

4 Per le parti non modificate dalla Circolare n.285 del 17 dicembre 2013 si fa riferimento alla

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Tutti i processi, politiche, tipologie di controlli dei rischi adottati dal sistema di controlli interni, sono formalizzati in documento denominato RAF (Risk Appetite

Framework), il quale viene trasmesso alle autorità di vigilanza.

In ragione del continuo evolversi della tipologia di rischi che interessano il complesso bancario, in quanto esso stesso è in continua evoluzione, Basilea II ha provveduto ad un potenziamento della funzione di Risk Management.

Le fasi tipiche in cui si sostanzia il processo di Risk Management sono le seguenti: o Identificazione dei rischi: rappresenta la fase iniziale nella quale la funzione di Risk Management verifica le linee di business dell’azienda e i fattori di rischio che interessano ognuna di esse;

o Modellizzazione e misurazione dei rischi: è una fase tecnica che consiste nella creazione e utilizzo di modelli di natura quantitativa, matematica e informatica che consentono di effettuare misurazione continue sulle singole esposizioni;

o Controllo e reporting dei rischi: in tale fase viene verificata la conformità del comportamento di business agli obiettivi preposti dal CdA e viene svolta l’attività di reporting verso gli organi aziendali, all’interno dei quali possono emergere eventuali anomalie;

o Gestione e mitigazione dei rischi: fase nella quale la funzione di Risk

Management si esplica nella definizione di eventuali azioni correttive da mettere

in atto dalla rispettiva area operativa.

Il primo presidio diretto a fronteggiare la complessità dei rischi è il patrimonio. Quest’ultimo, per quanto concerne la solidità bancaria, rappresenta il parametro di riferimento per eccellenza per le valutazioni da parte delle autorità di vigilanza.

Le nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche prevedono l’obbligo per queste e per i gruppi bancari di rispettare i requisiti patrimoniali per i rischi di mercato e dunque quelli inerenti all’operatività sui mercati di strumenti finanziari, valute e merci. Le banche sono tenute a rispettare i requisiti patrimoniali su base continuativa e qualora una banca non soddisfi i requisiti patrimoniali in tempo, essa deve adottare immediate misure per ristabilire la situazione.

I requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato, possono essere determinati secondo una metodologia di calcolo standardizzata oppure sulla base di modelli interni,

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purché rispettino determinati requisiti organizzativi e quantitativi e siano subordinati all’autorizzazione dell’autorità di vigilanza nazionale.

Qualora le banche, adottino la metodologia basata sui modelli interni, il requisito patrimoniale sui rischi di mercato è determinato sulla base delle misure di rischio calcolate internamente.

Quanto ai requisiti quantitativi, già nel 1996 Basilea I richiedeva alle banche che decidevano di utilizzare i modelli interni, di definire il VaR5 (Value at Risk) come base per determinare il requisito patrimoniale minimo a fronte del rischio di mercato.

Il Value-at-Risk deve essere calcolato su base giornaliera, con un intervallo di confidenza unilaterale al livello del 99 per cento. Nel calcolo del VaR il periodo di detenzione minimo richiesto è di dieci giorni lavorativi e il periodo di osservazione dei fattori di rischio non deve essere superiore ad un anno.

In seguito la riforma Basilea 2.5, sviluppata nel 2009, ha introdotto importanti modifiche sul calcolo del rischio di mercato: in aggiunta al VaR, deve essere calcolato almeno settimanalmente lo stressed Value at Risk (sVaR), ovvero il VaR misurato tenendo conto di un periodo di osservazione di un anno, relativo a perdite significative per il portafoglio di negoziazione della banca. Nello specifico, Basilea 2.5 prevede che le banche rispettino su base giornaliera un requisito patrimoniale che è pari alla somma dei seguenti importi:

1) il maggiore tra la misura del VaR del giorno precedente e la media delle misure del VaR giornaliero nei 60 giorni operativi precedenti, moltiplicata per un fattore non inferiore a 3;

2) il maggiore tra l'ultima misura disponibile dello sVaR e la media delle misure del sVaR nei 60 giorni operativi precedenti, moltiplicata per un fattore non inferiore a 3.

Successivamente, a maggio 2012, il Basel Committee on Banking Supervision (BCBS) ha pubblicato norme revisionate sui requisiti patrimoniali minimi per il rischio di mercato, note come Fundamental Review of trading book. Si prevede l’applicazione delle suddette norme, da parte delle autorità di vigilanza nazionali alle proprie banche, dapprima entro il 2019, adesso slittata al 2022 per permettere alle autorità di vigilanza e agli istituti creditizi di adeguarsi al fine di attuare le disposizioni.

5 Misura di rischio più utilizzata nella finanza, per la definizione matematica del VaR si rimanda al

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9

Tra le modifiche apportate, rilevante è il passaggio dalla misura di rischio del VaR a quella dell’Expected Shortfall (ES) per le banche che adottano la metodologia interna. “L’applicazione dell'ES garantisce una più prudente valutazione del "rischio di coda" e dell'adeguatezza patrimoniale durante i periodi di notevole stress del mercato finanziario6”.

Ai fini del calcolo del capitale regolamentare l’Expected shortfall deve essere calcolato su base giornaliera, con un intervallo di confidenza unilaterale del 97,5%, di conseguenza, comporta un requisito patrimoniale maggiore del VaR calcolato con un intervallo del 99%.

L’ES deve essere calcolato partendo da un orizzonte di liquidità di base pari a dieci giorni secondo la seguente formula:

𝐸𝑆 = √(𝐸𝑆𝑇(𝑃))2+ ∑ (𝐸𝑆 𝑇(𝑃, 𝑗)√ 𝐿𝐻𝑗− 𝐿𝐻𝑗−1 𝑇 ) 2 𝐽≥2 In cui:

 ES è la perdita attesa di liquidità corretta per la regolamentazione;

 T è la lunghezza dell'orizzonte temporale di base pari a 10 giorni;

 𝐸𝑆𝑇(𝑃) è la perdita attesa all’orizzonte temporale T di un portafoglio con posizioni 𝑃 = (𝑝𝑖), rispetto agli shock a cui sono esposte le posizioni del portafoglio P;

 𝐸𝑆𝑇(𝑃, 𝑗) è la perdita attesa all'orizzonte temporale T di un portafoglio con posizioni 𝑃 = (𝑝𝑖), rispetto agli shock ai quali è esposta ciascuna posizione nel sottoinsieme dei fattori di rischio 𝑄(𝑝𝑖, 𝑗), con tutti gli altri fattori di rischio tenuti costanti;

 𝐸𝑆𝑇(𝑃) deve essere calcolato tenendo conto delle variazioni dei fattori di rischio, 𝐸𝑆𝑇(𝑃, 𝑗) deve essere calcolato con riferimento alle variazioni del sottoinsieme dei fattori di rischio 𝑄(𝑝𝑖, 𝑗);

 𝐿𝐻𝑗è l'orizzonte di liquidità j, con lunghezze date dalla tabella seguente:

6 Cfr. BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, Minimum capital requirements for

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10

L’ES, dunque, può essere definito come la perdita attesa che subirebbe il portafoglio corrente bancario se i fattori di rischio attraversassero un periodo di stress.

L’Expected Shortfall viene calibrato tenendo conto di un numero ridotto di fattori di rischio per il portafoglio, purché in grado di spiegare almeno il 75% delle variazioni del modello Expected Shortfall. Inoltre, l’insieme ridotto dei fattori di rischio è soggetto all’approvazione da parte dell’autorità di vigilanza. L’ES per il portafoglio formato da un numero ridotto di fattori di rischio (𝐸𝑆𝑅,𝑆), deve essere calibrato per un periodo di 12 mesi di notevole stress per il portafoglio bancario. Moltiplicando quest’ultimo (𝐸𝑆𝑅,𝑆), per l’ES corrente ottenuto utilizzando tutto l’insieme dei fattori di rischio del portafoglio (𝐸𝑆𝐹,𝑆), e dividendo per (𝐸𝑆𝑅,𝑆), si ottiene l’ES richiesto ai fini del capitale di rischio:

𝐸𝑆 = 𝐸𝑆𝑅,𝑆 × 𝐸𝑆𝐹,𝑆

𝐸𝑆𝑅,𝑆

Con riguardo alla misura dell’ES corrente, l’𝐸𝑆𝐹,𝑆, sottolineano che essa deve basarsi su un insieme di dati aggiornati almeno una volta al mese.

Per quanto concerne l’𝐸𝑆𝑅,𝑆 , le banche devono aggiornare i loro periodi di stress di dodici mesi, almeno mensilmente, o ogniqualvolta vi siano modifiche sostanziali dei fattori di rischio del portafoglio.

Inoltre, il Fundamental Review of Trading Book, precisa che le banche per il calcolo dell’Expected Shortfall:

 sono libere di utilizzare modelli basati sia sulla simulazione storica che sulla simulazione di Monte Carlo, o altri metodi analitici appropriati;

j 𝑳𝑯𝒋 1 10 2 20 3 40 4 60 5 120

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11

 potranno riconoscere le correlazioni esistenti tra le classi di rischio di credito, di rischio di tasso d'interesse, di rischio azionario, di rischio materie prime e di rischio di cambio. L’utilizzo delle correlazioni dovrà essere limitato e coerente ai criteri stabiliti dall’autorità di vigilanza;

 devono soddisfare, su base giornaliera, un requisito di capitale 𝐶𝐴 espresso come il massimo tra il requisito patrimoniale aggregato per il rischio di mercato del giorno precedente e una media giornaliera delle misure di capitale nei 60 giorni lavorativi precedenti.

La nuova disciplina prudenziale precisa inoltre, che i suddetti requisiti patrimoniali, data l'impossibilità di prevedere appieno le variazioni dei valori dei titoli e delle valute e, in generale, l'evoluzione dei mercati, non sono sufficienti. È necessario, oltre al rispetto di tali requisiti quantitativi, dotarsi di procedure e sistemi di controlli idonei alla sana e prudente gestione dei rischi di mercato.

Dunque, in aggiunta ai requisiti quantitativi, le banche devono soddisfare determinati criteri qualitativi, il cui rispetto deve essere preventivamente valutato dai Supervisors. I criteri qualitativi riguardano:

 La banca deve disporre di un'unità indipendente di controllo dei rischi che implementi il sistema di gestione dei rischi della banca. L'unità dovrebbe giornalmente produrre e analizzare i risultati derivanti del modello di misurazione del rischio della banca;

 L'unità deve confrontare ex post le misure di rischio adottate e i valori di

Profits and Loss generati dal modello con le variazioni giornaliere effettive

dei valori del portafoglio per periodi di tempo più lunghi;

 Un'unità distinta deve effettuare la convalida di tutti i modelli interni almeno su base annuale;

 Il consiglio di amministrazione e l'alta direzione devono essere attivamente coinvolti nel processo di controllo del rischio, a cui devono dedicare significative risorse;

Devono essere condotti periodicamente gli stress test. Qualora i risultati dello

stress test rilevino una particolare vulnerabilità devono essere adottate misure

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 Deve essere effettuata regolarmente una revisione indipendente del sistema di misurazione del rischio sia attraverso un processo di revisione interno alla banca sia da parte di un revisore esterno.

1.2 Solvency II: valutazione dei rischi dell’impresa

assicurativa

Analogamente a quanto previsto per le banche, le imprese di assicurazione e di riassicurazione, in quanto aziende che assumono e gestiscono sistematicamente dei rischi, sono soggette ad una vigilanza regolamentare. Per circa trent’anni, fino al 31 dicembre del 2015, le regole sul controllo della solvibilità di tali imprese erano determinate dal regime di vigilanza noto come Solvency I7.

Questo, presentava una struttura regolamentare semplice ma al tempo stesso robusta.

Solvency I rispetto al precedente regime di vigilanza, Solvency 0, fissa i criteri

prudenziali per la quantificazione degli impegni assunti nei confronti degli assicurati e ridefinisce il requisito patrimoniale minimo.

Tuttavia, Solvency I, non teneva conto dei rischi specifici ai quali è esposta una compagnia di assicurazione e della qualità degli impieghi a copertura del portafoglio assicurativo. Il risultato, dunque, era quello che il requisito patrimoniale minimo non era sufficiente a garantire la solvibilità della compagnia.

Alla luce di ciò, e conseguentemente all’elaborazione della regolamentazione finanziaria a livello comunitario e alla promulgazione di Basilea II nell’ambito bancario, la Commissione europea ha ritenuto necessario riformare il sistema di vigilanza prudenziale in ambito assicurativo: dal primo gennaio 2016 è entrato in vigore il regime di vigilanza Solvency II dopo un lungo iter durato sette anni8.

7 Disciplinato dalla Direttiva 2002/12/EC per le imprese operanti nel ramo vita e dalla Direttiva

2002/13/EC per quelle operanti nei rami diversi da quello vita.

8

Nel 2009 la Direttiva Solvency II, Direttiva Quadro 2009/138/CE, è stata approvata dal Parlamento e Consiglio Europeo. Nel 2014 il Parlamento e consiglio Europeo approvano la direttiva Omnibus II che modifica alcuni aspetti della direttiva Solvency II. Nell’arco del 2014 il Parlamento Europeo approva il regolamento con le misure applicative di Solvency II, e nel 2015 l’EIOPA pubblica le proprie linee guida per l’attuazione di Solvency II.

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13

Solvency II, ha effettuato una revisione delle regole per una migliore valutazione e

gestione dei rischi effettivi a cui sono esposte le imprese assicurative e di riassicurazione europee. Si tratta di un sistema di vigilanza prudenziale di tipo risk

based. Tra gli obiettivi di Solvency II vi è quello di migliorare l’integrazione del

mercato unico europeo delle assicurazioni, di rafforzare la competitività dell’assicurazione europea e di garantire una maggiore tutela ai contraenti.

Come quanto previsto già da Basilea II e poi da Basilea III, per le banche, Solvency II è strutturato su tre pilastri:

I. Il primo pilastro fissa i requisiti quantitativi in relazione alla valutazione

delle attività e passività, al calcolo dei requisiti patrimoniali, alla determinazione di fondi propri e in relazione agli investimenti effettuati a copertura delle riserve tecniche;

II. Il secondo pilastro definisce i requisiti qualitativi riguardanti la governance, il sistema di controllo interno e il Risk Management all’interno

delle imprese assicurative;

III. Il terzo pilastro fissa i requisiti informativi e di reporting al pubblico, al

fine di ottenere una maggiore trasparenza delle informazioni finanziarie che vengono fornite dalle compagnie e una corretta informazione agli assicurati. La disciplina di vigilanza, al fine di garantire la solvibilità aziendale, obbliga le imprese oltre a stimare adeguatamente le riserve tecniche, a detenere un certo ammontare di mezzi propri. I requisiti patrimoniali previsti da Solvency II e definiti nel primo pilastro sono due:

 Il Solvency Capital Requirement (SCR);  Il Minimum Capital Requirement (MCR).

Il primo (SCR), deve essere misurato tenendo conto di tutti i rischi quantificabili, ai quali l’impresa è esposta. I rischi non quantificabili vengono esclusi dal calcolo, tuttavia, devono essere riposti all’attenzione dell’Autorità di vigilanza.

Il requisito patrimoniale di solvibilità copre l’attività esistente al momento del calcolo e le nuove attività che si prevede vengano intraprese nel corso dei dodici mesi successivi. Relativamente all’attività esistente, deve essere capace di assorbire le perdite

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14

inattese dell’azienda. Le perdite attese si presume che vengano coperte dalle riserve tecniche.

Il SCR corrisponde al VaR dei fondi propri dell’impresa con un intervallo di confidenza del 99,5% su un periodo di un anno. Le imprese di assicurazione e di riassicurazione devono calcolare tale requisito, almeno una volta all’anno e comunicare il risultato del calcolo alle autorità di vigilanza.

Il secondo requisito, MCR, è il requisito patrimoniale minimo al di sotto del quale le compagnie di assicurazione non possono svolgere la loro attività aziendale, in quanto i contraenti e i beneficiari sarebbero esposti ad un livello di rischio inaccettabile.

L’importo del Minimum Capital Requirement deve essere compreso tra il 25% e il 45% del Solvency Capital Requirement. L’MCR inoltre, deve essere calcolato ogni tre mesi e misurato al VaR dei fondi propri con intervallo di confidenza dell’85% in un anno. A copertura dell’MCR sono ammissibili solo determinati fondi propri.

Con riferimento ad entrambi i requisiti patrimoniali, SCR e MCR, le compagnie sono tenute a monitorare tali requisiti su base continuativa.

Il calcolo dei due requisiti può essere effettuato o applicando una formula standard9, o attraverso l’elaborazione di un modello interno, approvato dall’Autorità di vigilanza.

Il Requisito Patrimoniale di Solvibilità calcolato in base alla formula standard, uguale per tutte le compagnie di assicurazione, è pari alla somma dei seguenti elementi10:

𝑆𝐶𝑅 = 𝐵𝑆𝐶𝑅 + 𝑆𝐶𝑅𝑂𝑃+ 𝐴𝑑𝑗 Indicando con:

 BSCR = il Requisito Patrimoniale di Solvibilità di base;

 𝑆𝐶𝑅𝑂𝑃 = il Requisito Patrimoniale per il rischio operativo;

 Adj = l’aggiustamento da apportare all’SCR per la capacità di assorbimento delle perdite delle riserve tecniche e delle imposte differite.

Il BSCR è scomposto in 6 moduli, a loro volta suddivisi in sottomoduli secondo il seguente schema:

9

L’EIOPA è responsabile per lo sviluppo del modello standard.

10L'impresa può utilizzare un calcolo semplificato per uno specifico sottomodulo o modulo di rischio

quando sia giustificato dalla natura, dalla portata e dalla complessità dei rischi cui è esposta e quando l’applicazione del calcolo standardizzato non risulti proporzionata. Per ulteriori dettagli cfr. l'art. 46-decies del Codice delle Assicurazioni Private.

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15 BSCR viene calcolato come segue:

𝐵𝑆𝐶𝑅 = √∑ 𝐶𝑜𝑟𝑟𝑖,𝑗× 𝑆𝐶𝑅𝑖 × 𝑆𝐶𝑅𝑗 𝑖,𝑗

Indicando con:

 𝑆𝐶𝑅𝑖 e 𝑆𝐶𝑅𝑗 rispettivamente il modulo di rischio i e il modulo di rischio j che sostituiscono i seguenti moduli di rischio che compongono il BSCR11:

i. 𝑆𝐶𝑅𝑚𝑎𝑟𝑘𝑒𝑡 ii. 𝑆𝐶𝑅ℎ𝑒𝑎𝑙𝑡ℎ iii. 𝑆𝐶𝑅𝑑𝑒𝑓𝑎𝑢𝑙𝑡 iv. 𝑆𝐶𝑅𝑙𝑖𝑓𝑒 v. 𝑆𝐶𝑅𝑛𝑜𝑛−𝑙𝑖𝑓𝑒 11 Viene escluso il 𝑆𝐶𝑅

𝑖𝑛𝑡𝑎𝑛𝑔 in quanto rischio non correlato agli altri 5.

(18)

16

 𝐶𝑜𝑟𝑟𝑖,𝑗 il fattore di correlazione dato dalla seguente matrice di correlazione i×j:

i j Market Default Life Health Non-life

Market 1 0,25 0,25 0,25 0,25

Default 0,25 1 0,25 0,25 0,5

Life 0,25 0,25 1 0,25 0

Health 0,25 0,25 0,25 1 0

Non-life 0,25 0,5 0 0 1

Dunque, i moduli e i sottomoduli di rischio vengono aggregati attraverso determinati coefficienti di correlazione, ottenendo così un Requisito Patrimoniale di Solvibilità complessivo.

L’obiettivo di Solvency II è quello di determinare una formula in grado di analizzare la correlazione tra i diversi rischi, al fine di cogliere gli effetti derivanti dalla diversificazione e quindi di conseguenza, ridurre l’esposizione del portafoglio complessivo.

Diversamente, l'impresa può adottare un modello interno per il calcolo del Requisito Patrimoniale di Solvibilità, previa autorizzazione dell’IVASS, in coerenza con le disposizioni dell’Unione europea. In tal caso, il SCR viene determinato direttamente dalla distribuzione di probabilità prevista (probability distribution forecast) prodotta dal proprio modello interno, utilizzando la misura del VaR.

Il calcolo della distribuzione di probabilità prevista, viene effettuato avvalendosi di metodi basati su tecniche attuariali e statistiche adeguate, applicabili e pertinenti, nonché coerenti con i metodi utilizzati per calcolare le riserve tecniche.

I dati utilizzati nel calcolo della distribuzione di probabilità prevista devono essere aggiornati almeno una volta l’anno.

Inoltre, l'impresa deve dimostrare che il modello interno:

 è ampiamente utilizzato da parte dell’impresa;

 continui a riflettere in maniera appropriata il profilo di rischio dell’impresa;

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17

 sia sottoposto ad un ciclo regolare di validazione del modello, il

backtesting.

Il backtesting è un test di convalida che utilizza tecniche di validazione come lo

stress test o l’analisi di scenari. L'obiettivo del backtesting è verificare l’appropriatezza

dei risultati in termini di VaR, derivanti dal calcolo dei requisiti patrimoniali, quando si confrontano i risultati attesi con i risultati effettivi.

Sebbene il modello interno risulti più complesso rispetto alla metodologia standard, risulta essere più flessibile e in grado di fornire valore aggiunto al sistema.

La valutazione quantitativa, derivante dal calcolo del requisito patrimoniale di solvibilità, non è sufficiente a individuare e definire i rischi ai quali l’impresa è esposta. È necessario, altresì, svolgere una valutazione di tipo qualitativa, condotta nell’ambito del secondo pilastro. La valutazione qualitativa permette di:

 confermare o dare maggiore rilevanza a determinati rischi in corso;  valutare rischi che non possono essere quantificati nel primo pilastro. A tal fine, Solvency II, raccomanda alle imprese di dotarsi di un sistema di

governance, che per essere efficace deve prevedere almeno:

o un efficace sistema di gestione dei rischi che misuri, moniti, gestisca e segnali, su base continuativa, i rischi inerenti l’attività assicurativa. Il sistema di gestione dei rischi considera i rischi da includere o da escludere nel calcolo del SCR;

o un efficace sistema di controllo interno, la cui funzione è verificare che i sistemi di monitoraggio dei rischi siano correttamente integrati nell'organizzazione aziendale e che siano prese tutte le misure necessarie al fine di garantire la quantificazione e il controllo dei rischi. Il comma 3 dell’art 30-ter del CAP, prevede che l'impresa adotti processi proporzionati alla natura, alla portata e alla complessità dei rischi inerenti alla propria attività, idonei a consentire la corretta individuazione e la valutazione dei rischi a cui è o potrebbe essere esposta nel breve e nel lungo termine.

o una funzione di audit interno, il cui fine è valutare l’adeguatezza e l’efficacia del sistema di controllo interno. Nell’esercizio della sua funzione, qualora emergano criticità interviene, proponendo correttivi da adottare.

(20)

18

o una funzione attuariale è esercitata da un attuario iscritto nell’albo professionale. Tra le sue funzione, vi è quella di partecipare alla definizione dei modelli di quantificazione del rischio, nonché al calcolo del requisito patrimoniale di solvibilità.

Gli studi condotti in passato sui fallimenti assicurativi, hanno dimostrato che le cause principali di default risiedono nella scarsa gestione dei rischi e nell’inadeguatezza del capitale a fronteggiare i rischi. Motivo per cui, la direttiva Solvency II ha messo in primo piano la funzione del Risk Management.

A tal riguardo, la direttiva stabilisce che le imprese di assicurazione e riassicurazione europee devono condurre al proprio interno, la valutazione del rischio e della solvibilità, la cosiddetta ORSA (Own Risk end Solvency Assessment). Tale valutazione, essendo svolta internamente all’impresa, viene incorporata nel processo decisionale strategico dell’organizzazione. Inoltre, l’ORSA, rappresenta uno strumento di vigilanza a disposizione dei supervisori, poiché le imprese devono informare quest’ultimi dei risultati dell’ORSA.

Le imprese devono altresì redigere le seguenti relazioni, contenute nel terzo pilastro:  Solvency and Financial Condition Report (SFCR), relativa alla solvibilità e

alla condizione finanziaria. Deve contenere informazioni riguardanti la

governance, i criteri di valutazione, la gestione dei rischi e del capitale. Deve,

inoltre, essere resa nota al pubblico ed al mercato;

 Regular Supervisory Report (RSR), condotta a fini di vigilanza. Rappresenta un documento riservato e destinato all’Autorità di vigilanza.

Devono inoltre compilare il Quantitative Reporting Templates, inserendo dati di tipo quantitativo. Si tratta di moduli armonizzati a livello europeo.

“L’obiettivo del terzo pilastro della nuova regolamentazione prudenziale è anche quello di spingere le imprese a conoscere meglio se stesse attraverso l’utilizzo di una metodologia rigorosa che include ogni aspetto del business assicurativo. Questo sforzo di analisi ha già iniziato a produrre risultati operativi inducendo le aziende ‐ si evince dai report 2016 ‐ a modifiche rilevanti nella propria organizzazione aziendale e

corporate governance”12.

12 Cfr ANIA, principali risultati emersi dall’analisi ANIA sui bilanci Solvency II _ SFCR, 31 dicembre

(21)

19

CAPITOLO 2

MISURE DI RISCHIO

2.1 Variabili aleatorie

Le misure di rischio sono strettamente collegate al concetto di variabile aleatoria, anche detta, variabile casuale o stocastica.

Definizione 2.1. Una variabile aleatoria (v.a.) X è una funzione definita sullo spazio

campionario S che associa ad ogni evento o realizzazione 𝑥 ⊂ 𝑆 un unico numero reale. A seconda dell’insieme dei numeri reali che una variabile aleatoria può assumere, distinguiamo variabili aleatorie discrete e variabili aleatorie continue:

 Un v.a. discreta è definita tale se può assumere un insieme finito o numerabile di numeri reali;

 Una v.a. viene detta continua se può assumere un numero infinito non numerabile di valori in un intervallo reale.

Per una variabile aleatoria discreta X è possibile definire una funzione di probabilità come una funzione 𝑃(𝑥) che associa ad ogni realizzazione (𝑥1, 𝑥2, … , 𝑥𝑛) la rispettiva probabilità (𝑝1, 𝑝2, … , 𝑝𝑛).

Assunzione 2.1. le realizzazioni devono essere riordinate  𝑥1 < 𝑥2 < ⋯ < 𝑥𝑛 La proprietà fondamentale affinché X sia una variabile aleatoria discreta:

∑ 𝑝𝑖 = 1 𝑛

(22)

20

Tale proprietà consegue al fatto che tutti gli eventi sono mutuamente esclusivi e collettivamente esaustivi, dunque una e una sola delle realizzazioni è destinata a verificarsi.

Inoltre è possibile definire per una v.a. discreta, la funzione di ripartizione 𝐹(𝑥), la quale rappresenta la probabilità che la X assuma un valore nell’intervallo (−∞ ,x]. La funzione di ripartizione è caratterizzata dalle seguenti proprietà:

1) Funzione non decrescente, crescente a tratti. 2) lim𝑥→ −∞𝐹𝑋(𝑥) = 0

3) lim𝑥→ + ∞𝐹𝑋(𝑥) = 1

Graficamente una v.a. discreta può essere rappresentata sotto forma di istogrammi in cui, in punto centrale all’interno dell’istogramma corrisponde alle realizzazioni 𝑥𝑖 e le probabilità 𝑝𝑖 sono rappresentate dall’area dell’istogramma.

Data invece, una v.a. continua 𝑌, definita in un sottoinsieme 𝐵 ⊂ ℝ , ad essa è associata la funzione di densità 𝑓𝑌. Quest’ultima, viene utilizzata per calcolare la probabilità che la v.a. 𝑌 assuma valori in un certo intervallo.

L’assunzione più utilizzata è quella che prevede un sottoinsieme 𝐵 coincidente con l’insieme ℝ dei numeri reali, in cui la v.a. 𝑌 può assumere valori da −∞ a +∞. Questo è esattamente il caso in cui la variabile 𝑌 è Normale (o Gaussiana).

0 5 10 15 20 25 X1 X2 X3 X4 Xn-1 Xn P( X) in %

Figura 2.1. Variabile aleatoria discreta onte excel

(23)

21

Pertanto, la probabilità che 𝑌 appartenga ad un intervallo, in questo esempio [𝑎, 𝑏], si esprime con l’integrale della funzione di densità:

𝑃(𝑎 < 𝑌 < 𝑏) = ∫ 𝑓𝑌(𝑧)𝑑𝑧 𝑏

𝑎

Graficamente la probabilità è misurata dall’area della superficie evidenziata nel grafico di cui sopra. In termini di misura di rischio ci interesserà monitorare la probabilità che tale v.a. 𝑌 sia inferiore a una certa soglia. Assumiamo una soglia pari a 𝑗, allora la probabilità sarà:

𝑃(𝑌 < 𝑗) = ∫ 𝑓𝑌(𝑧)𝑑𝑧 𝑗

0

Anche per una v.a. continua è possibile definire una funzione di ripartizione 𝐹𝑌 caratterizzata dalle stesse proprietà di una funzione di ripartizione per una v.a. discreta, con l’unica differenza riguardante la prima proprietà: se per una v.a. discreta la funzione di ripartizione è costante a tratti, per una v.a. continua è crescente.

-∞ 0 a b +∞

𝑓𝑌

𝑗

(24)

22

2.2 Value at Risk

Negli ultimi trent’anni la misura di rischio più utilizzata è il VaR, il quale consente di effettuare una stima degli eventi futuri e permette di convertire in un unico numero il rischio di un portafoglio.

Dato un portafoglio di attività finanziarie, il VaR è definito come la stima della massima perdita potenziale detenendo il proprio portafoglio, in un dato intervallo temporale (holding period13), con un certo livello di confidenza.

Come quanto visto nel capitolo precedente, da Basilea per le banche e da Solvency per le imprese di assicurazione, gli intervalli di confidenza (1 − 𝛼) più comunemente utilizzati sono il 95%, il 99% e il 99,5%.

Il VaR riesce a definire la perdita massima, rispetto alla quale le banche e le compagnie di assicurazioni riconoscono di essere in grado di coprirla tramite capitale. In altre parole serve a capire se tali enti finanziari possono o no accettare il rischio di un’attività finanziaria, e una volta accettato il VaR, esso aiuta a stabilire le condizioni contrattuali da applicare alla presente attività.

Il livello di confidenza non potrà mai essere al 100% poiché in tal caso l’efficacia e l’efficienza dell’operatività di tali intermediari sarebbe compromessa.

In termini statistici, dato un livello di significatività 𝛼 є [0,1] , il VaR di una variabile aleatoria 𝑋, misura il quantile o il percentile 𝑘𝛼 tale che la probabilità che la v.a. 𝑋 assuma valori inferiori a 𝑘𝛼 è pari alla percentuale 𝛼.

13 Per Holding period si intende l’intervallo temporale convenzionale durante il quale è ragionevole

assumere che la posizione finanziaria non sia modificabile in modo sostanziale.

-∞ 0 +∞

1

𝐹𝑌

(25)

23

𝑃(𝑋 < 𝑘𝛼 ) = 𝛼

Nel caso in cui la variabile aleatoria 𝑋 sia discreta, siano (𝑥1, 𝑥2, … , 𝑥𝑛) le realizzazioni con le rispettive probabilità (𝑝1, 𝑝2, … , 𝑝𝑛), la cui ∑𝑛𝑖=1𝑝𝑖 = 1, e sotto l’assunzione che le v.a. discrete siano già ordinate (𝑥1< 𝑥2 < ⋯ < 𝑥𝑛), possiamo definire il VaR nel seguente modo:

𝑉𝑎𝑅α (𝑋) = kα tale che 𝑋𝑖∗= kα, con 𝑖∗є {1,2, … , 𝑛}

Il VaR al livello 𝛼 della v.a. 𝑋 sarà la determinazione di 𝑋𝑖∗ solo se simultaneamente si verificano le seguenti condizioni:

I. 𝑃(𝑋< 𝑋𝑖∗)≤𝛼 II. 𝑃(𝑋≤ 𝑋𝑖∗)>𝛼

Graficamente possiamo verificarlo partendo dalla sottostante rappresentazione grafica della funzione di ripartizione 𝐹𝑋.

Dato un certo livello 𝛼 il VaR in tal caso sarà pari al valore di 𝑥3 se si verificano le due condizioni:

I. 𝑃(𝑋 < 𝑥3) = 𝑝1 + 𝑝2 ≤ 𝛼 II. 𝑃(𝑋 ≤ 𝑥3) = 𝑝1 + 𝑝2+ 𝑝3 > 𝛼

Nel caso in cui 𝑌 sia una variabile aleatoria continua, definite la funzione di densità 𝑓𝑌 e la funzione di ripartizione 𝐹𝑌 ad essa associate, la 𝑃(𝑋 < 𝑘𝛼 ) = 𝛼 implica:

𝑝1

𝑝2

𝑝3

𝑝𝑛

𝑥1 𝑥2 𝑥3

𝑥4 Figura 2.4. Funzione di ripartizione

𝐹𝑋

𝐹𝑋

(26)

24

𝛼 = ∫

𝑓

𝑌

(z)dz

0

Graficamente

𝛼

è l’area della superficie che origina a sinistra di

ed è delimitata dalla funzione di densità 𝑓𝑌 e dal limite inferiore dell’asse delle ascisse.

Si tratta di una distribuzione dei prezzi Log Normale poiché in termini di misurazione di rischio si tiene conto dei prezzi delle attività finanziarie. La distribuzione Log Normale dei prezzi 𝑌 = 𝑒𝑋~ 𝐿𝑜𝑔𝑛(𝜇, 𝜎) si ottiene partendo dalla distribuzione Normale dei rendimenti 𝑋~𝑁(𝜇, 𝜎) con la stessa media e la stessa deviazione standard.

Assumendo (1 − 𝛼) = 99,5%, allora il VaR è il valore che lascia a sinistra della distribuzione, i risultati che si verificheranno con lo 0,5% di probabilità. Il VaR può essere definito sia in termini di rendimenti che in termini di perdite.

In termini di perdite, il VaR di un portafoglio è la perdita minima che esso può subire nel (1 − 𝛼)% dei casi o alternativamente, il VaR di un portafoglio è la perdita massima che esso può subire nell’𝛼% dei casi. Viceversa in termini di guadagni il VaR è il valore massimo di vendita nel (1 − 𝛼)% dei casi.

α

Figura 2.5. VaR di una variabile aleatoria continua 𝑓𝑌

(27)

25

2.3 Coerenza delle misure di rischio

L’incertezza sugli stati futuri del mondo è rappresentata dallo spazio di probabilità (Ω, ℱ, P), che è il dominio di tutte le variabili aleatorie.

Definite due variabili aleatorie 𝑋 𝑒 𝑌 appartenenti ad un insieme 𝑆 definito in ℝ, una misura di rischio 𝜌 esprime il grado di rischiosità che assumeranno tali v.a. in un istante futuro 𝑡. Una misura di rischio è coerente14

solo se soddisfa i seguenti assiomi:

I. Invarianza per traslazione

Se ad un portafoglio X viene aggiunto un guadagno certo, privo di rischio (d), allora il suo rischio diminuisce dello stesso importo.

∀𝑋 є 𝑆, ∀𝑑 є ℝ → 𝜌(𝑋 + 𝑑) = 𝜌(𝑋) − 𝑑 II. Monotonia

Se X e Y rappresentato i guadagni, e X comporta un guadagno maggiore di Y, necessariamente X sarà più rischioso di Y:

∀𝑋, ∀𝑌 є 𝑆 𝑠𝑒 𝑋 > 𝑌 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝜌(𝑋) > 𝜌(𝑌)

III. Omogeneità positiva

Moltiplicando un investimento per una quantità n, la misura di rischio sarà proporzionale all’investimento.

∀𝑋 є 𝑆 𝑒 ∀𝑛 > 0 → 𝜌(𝑋 ∗ 𝑛) = 𝑛 ∗ 𝜌(𝑋)

IV. Subadditività

Dati due portafogli X e Y, la rischiosità di un portafoglio ottenuto dalla combinazione di X e Y, deve essere inferiore o tuttalpiù uguale rispetto alla rischiosità derivante dalla somma dei due portafogli considerati singolarmente:

∀𝑋, ∀𝑌 є 𝑆 → 𝜌(𝑋 + 𝑌) ≤ 𝜌(𝑋) + 𝜌(𝑌)

Dunque se una misura di rischio soddisfa i precedenti quattro assiomi, è definita misura coerente di rischio.

2.3.1 Coerenza del VaR

Qualunque siano le variabili aleatorie X e Y il VaR soddisfa i primi tre assiomi:

14 Artzer nel 1997 ha introdotto il termine “coherent” per indicare una misura di rischio che soddisfa

(28)

26

 Invarianza per traslazione per cui:

𝑉𝑎𝑅(𝑋 + 𝑑) = 𝑉𝑎𝑅(𝑋) − 𝑑

 Monotonia:

𝑠𝑒 𝑋 < 𝑌 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝑉𝑎𝑅(𝑋) < 𝑉𝑎𝑅(𝑌)

 Omogeneità positiva:

∀𝑛 > 0 𝑣𝑎𝑙𝑒 𝑉𝑎𝑅(𝑋 ∗ 𝑛) = 𝑛 ∗ 𝑉𝑎𝑅(𝑋)

Per quanto concerne l’ultimo assioma, la subadditività, il VaR non soddisfa questa proprietà ∀𝑋 𝑒 ∀𝑌, ma solo quando la distribuzione di tali v.a. è di tipo Gaussiana. Quando la distribuzione delle v.a. non è normale, accade che combinando due portafogli il VaR anziché diminuire, aumenta, violando l’assioma di subadditività.

Possiamo affermare quindi, che di per sé il VaR non è una misura coerente perché non rispetta la subadditività. Tuttavia, in presenza di un livello di confidenza sufficientemente piccolo, il VaR può essere considerata una misura di rischio coerente.

2.3.2 Limiti del VaR

Il più grande limite del VaR è quello di non considerare l’entità delle perdite che si verificano a sinistra del livello

kα.

Yasuhiro Yamai and Toshinao Yoshiba

,

sostengono nell’articolo “Comparative analyses of Expected Shortfall and Value-at-Risk under market stress” che i metodi di stima utilizzati per il calcolo del VaR non tengono conto delle informazioni riguardanti le code della distribuzione sottostante, di conseguenza il VaR, sottovaluta la probabilità di movimenti estremi dei prezzi. Infatti, per definizione, il VaR misura solo il quantile di distribuzione e non tiene conto delle perdite estreme, oltre il livello VaR.

Se consideriamo come v.a. i rendimenti di un portafoglio di strumenti finanziari, essi non sono distribuiti secondo la distribuzione normale ma è stato dimostrato che le code delle distribuzioni di rendimento sono spesse e potrebbe accadere che in queste si verifichino ingenti perdite anche se con probabilità quasi nulla. In questi casi si parla di "tail risk", caso in cui le perdite nell’𝛼% dei casi peggiori, possono essere significative.

Questo problema può portare al fallimento della gestione del rischio. Nei grafici sottostanti si evidenzia bene tale rischio.

(29)

27

Sottovalutando le perdite oltre il livello kα, il VaR non riesce a esprimere la scelta tra due portafogli e questo può portare a pensare che i titoli con un più alto potenziale di incorrere in grandi perdite siano meno rischiosi o allo stesso modo rischiosi di quelli con un più basso potenziale di incorrere in perdite consistenti.

Ad esempio, consideriamo un portafoglio A che abbia un valore di 5000 Euro e supponiamo che nell’1% dei casi peggiori e in un orizzonte temporale fisso T la perdita massima sia di 500 euro. Dunque il VaR al 5% su questo orizzonte temporale sarebbe pari a 500 Euro.

(30)

28

Adesso consideriamo un altro portafoglio B il cui valore è pari a quello del portafoglio precedente, 5000 Euro, ma quest’ultimo a differenza del primo investe a breve termine in titoli più rischiosi, come ad esempio le opzioni. Ammettiamo che il VaR nell’1% dei casi peggiore e sullo stesso orizzonte temporale T sia ancora uguale a 100.

Secondo il VaR all’ 1% essi sono esposti allo stesso rischio.

Tuttavia, nel portafoglio A le perdite nell’1% dei casi peggiori sono tutte pari a 100 Euro, invece nel portafoglio B le perdite nell’1% dei casi peggiori non sono tutte pari a 100 Euro, ma possono variare da un minimo di 100 ad alcuni valori arbitrariamente elevati.

Inoltre nel calcolo del VaR sui portafogli finanziari influiscono diversi fattori che possono alterarne la stima, tra i quali:

 le approssimazioni introdotte per accelerare il calcolo;

 l'errore statistico sulla stima del VaR, soprattutto con livelli di probabilità molto bassi;

 la valutazione delle probabilità di mercato, facendo riferimento alla distribuzione di probabilità del VaR e alla dipendenza degli strumenti finanziari dai fattori di rischio;

 la complessità degli strumenti finanziari esposti a diversi fattori di rischio: non è possibile suddividere il calcolo del VaR in sotto-calcoli a causa della non additività del VaR sia per quanto riguarda la posizione, sia per quanto riguarda le variabili di rischio. La non additività della posizione concerne il fatto che il VaR totale di un portafoglio non è dato dalla somma di VaR parziali, di conseguenza l'aggiunta di un nuovo strumento a un portafoglio, spesso rende necessario ricalcolare il VaR per l'intero portafoglio. Invece, la non additività per le variabili di rischio riguarda ad esempio un portafoglio che dipende da più variabili di rischio, in cui il VaR non è la somma di VaR parziali;

 la dimensione del portafoglio.

Nonostante i suoi difetti, ancora oggi il VaR è considerato una misura di rischio significativa, utilizzata dal Comitato di Basilea per valutare i rischi di mercato, i rischi di credito e i rischi operativi e da Solvency per il calcolo dei requisiti patrimoniali, SCR

(31)

29

e MCR, in quanto è ritenuto uno strumento semplice da utilizzare e facilmente sottoponibile al Back-testing15.

2.4 Expected Shortfall

Dati i limiti del VaR, negli ultimi anni, si fa sempre più ricorso ad una seconda misura di rischio, ovvero l’Expected Shortfall detto anche Tail Value-at-Risk (TVaR) o

Conditional Value-at-Risk (CVaR).

Definition 2.4 (Expected Shortfall) Dato un livello di confidenza α ∈ (0, 1), l’Expected Shortfall della variabile X, rispetto alla soglia 𝑘𝛼 è pari a:

𝐸𝑆(𝑋) = 𝐸[𝑋|𝑋 ≤ 𝑘𝛼]

Misura il valore atteso delle perdite del portafoglio oltre il VaR, nell’α% peggiore dei casi. In termini di integrale può essere definito come:

𝐸𝑆(𝑋) = 1

𝛼∫ 𝑡 ∗ 𝑓𝑋(𝑡)𝑑𝑡 𝑘𝛼

0

In ambito discreto, l’ES di una variabile aleatoria X, a livello α, è pari al rapporto della somma ponderata di probabilità, tale che al numeratore la somma sia pari esattamente al valore α, diviso 𝛼: 𝐸𝑆𝛼[𝑋] = 𝑋1× 𝑃1+ 𝑋2× 𝑃2+ ⋯ + 𝑋𝑖∗× 𝑃𝑗∗ 𝛼 Con 𝑃𝑗∗ = 𝛼 − 𝑃1− 𝑃2− ⋯ − 𝑃𝑗−1∗ .

15 Il back-testing è un’attività che viene svolta periodicamente e consiste nel conteggiare il numero di

volte in cui le perdite superano il livello di VaR previsto. Si verificherà una violazione del VaR ogni qual volta la perdita è superiore a quanto previsto dal modello VaR. Il fine del back-testing è quello di valutare l’accuratezza della misura di rischio.

(32)

30

2.5 VaR e ES a confronto

Sia il VaR che l’ES sono misure di rischio definite in un determinato orizzonte temporale e associate ad un livello di probabilità prefissato.

A differenza del VaR, l’ES, è una misura di rischio coerente, in quanto soddisfa tutte e quattro gli assiomi di cui sopra. Inoltre, essendo una media, è sensibile alle dimensioni delle perdite potenziali oltre la soglia kα.

Pertanto, quando il VaR non è in grado di distinguere tra portafogli con diversa rischiosità appare come una naturale scelta, quella di ricorrere all’Expected Shortfall.

Sebbene l'ES sia una misura di rischio più adatta del VaR per la sua coerenza e sensibilità alla coda, Yasuhiro Yamai and Toshinao Yoshiba (2002), hanno riscontrano che quando la distribuzione delle perdite sottostante è una coda spessa, l’errore di stima dell’ES è maggiore rispetto a quello del VaR. Nel caso in cui la distribuzione sottostante invece, è di tipo normale, quindi ha una coda sottile, le due stime tendono ad essere uguali.

L’errore di stima dell’ES viene attribuito al fatto che quando la distribuzione presenta code spesse la probabilità di incorrere in perdite rilevanti e poco frequenti è molto alta, in quanto l’ES considera le code della distribuzione delle perdite.

Viceversa il VaR, rispetto all’ES è poco influenzato da perdite rare e di grandi dimensioni perché non considera ciò che avviene al di là della soglia in cui è definito.

Inoltre, quando la probabilità di default è bassa, le stime dell’ES variano più di quelle del VaR a causa della bassa frequenza di perdite di portafoglio e della dimensione limitata del campione. A tal riguardo Yasuhiro Yamai and Toshinao Yoshiba, procedendo tramite simulazione Monte Carlo dimostrano che aumentando la numerosità del campione l’errore di stima dell’ES diminuisce.

Inoltre è stato dimostrato che, l’ES, contrariamente al VaR, manca della proprietà dell'elicitability proprietà fondamentale per valutare la prevedibilità della misura di rischio considerata, e di robustezza intesa come la non sensibilità a errori di misurazione nella distribuzione delle perdite.

Il prof. Gneiting ha sostenuto nel 2011 che la non elicitability dell’ES rende oneroso e quasi impossibile il back-testing per l’ES. Successivamente nel 2014, Acerbi C. e Szekely B. hanno dimostrato che la non elicitability dell’ES non esclude la possibilità di

(33)

31

eseguire un back-testing efficace per ES, ritenendo che l’elicitability fosse rilevante per la scelta della misura di rischio ma non per valutare la capacità previsiva del modello. A tal riguardo, quest’ultimi propongono tre metodi per effettuare il back-testing per l’ES, mostrando che i tre metodi sono più efficienti rispetto al back-testing basato sul VAR.

Inoltre, hanno dimostrato che i risultati dell’ES si ottengono indipendentemente dalla distribuzione sottostante. In definitiva, ritengono che l’ES sia di gran lunga una misura di rischio migliore del VaR.

L’ES inoltre è una misura di rischio universale, applicabile ad ogni strumento e ad ogni tipologia di rischio.

Acerbi C. e Tasche D. nell’articolo Expected Shortfall: A Natural Coherent

Alternative to Value at Risk (2002) consigliavano ad ogni banca che ha un sistema di risk management basato sul VaR, di switchare all’ES senza che questo comporti alcuno

sforzo computazionale aggiuntivo.

Tuttavia, lo svantaggio dell’ES di non essere facilmente implementabile ha ritardato il suo utilizzo.

2.6 Shortfall Deviation Risk

Lo Shorfall Deviation Risk (SDR) è una misura di rischio introdotta nel 2015 da Marcelo Brutti Righi e Paulo Sergio Ceretta. Nell’articolo “Shortfall Deviation Risk: An alternative to risk measurement” essi dimostrano che l’SDR si ottiene combinando insieme l’Expected Shortfall, descritto nel paragrafo precedente, e lo Shortfall Deviation (SD), inteso come la variabilità di una previsione considerando i risultati estremi. Definiscono l’SDR come la perdita attesa, quando supera il VaR, penalizzata dalla dispersione16 di risultati che rappresentano perdite superiori a questa aspettativa.

Attraverso la simulazione Monte Carlo ottenuta da dati reali, evidenziano che l’SDR garantisce una maggiore protezione come misura di rischio rispetto ad ogni altra misura di rischio, anche rispetto all’ES in ragione della penalizzazione per la dispersione che attribuisce significative proprietà all’SDR.

16 Il concetto di dispersione o variabilità delle misure inteso come varianza e deviazione standard si è

(34)

32

Brutti Righi e Ceretta partono dal presupposto che due portafogli possono avere lo stesso rendimento atteso ma una differente variabilità, anche solo considerando gli eventi estremi. Questa differente variabilità potrebbe provocare perdite troppo elevate, in base alle quali l’SDR aumenta. In tal senso lo Shortfall Deviation Risk misura il valore atteso di una perdita estrema congiuntamente al suo grado di dispersione.

Essi dimostrano che l'SD è una misura di deviazione standard dei risultati che rappresentano perdite superiori alla ES, mentre l'SDR è una misura di rischio coerente.

Dato un livello di confidenza α ∈ [0, 1] definiscono il VaR, l’ES, l’SD e l’SDR nel seguente modo:  𝑉𝑎𝑅𝛼(𝑋) = − inf {𝑥: 𝐹 𝑋(𝑥) ≥ 𝛼} = −𝐹𝑋−1(𝛼) = −𝑞𝛼(𝑋).  𝐸𝑆𝛼(𝑋) = −𝐸 ℙ[𝑋|𝑋 ≤ 𝑞𝛼(𝑋)] = −𝑒𝛼(𝑋).  𝑆𝐷𝛼(𝑋) = (𝐸 ℙ[(𝑋 − 𝐸ℙ[𝑋|𝑋 ≤ 𝑒𝛼(𝑋)]2|𝑋 ≤ 𝑒𝛼(𝑋)]) 1 2.  𝑆𝐷𝑅𝛼(𝑋) = 𝐸𝑆𝛼(𝑋) + (1 − 𝛼)𝛽𝑆𝐷𝛼(𝑋), 𝛽 ≥ 0. In cui:

 𝐹𝑋−1è l’inversa della funzione di ripartizione;

 𝑞𝛼(𝑋) è il quantile della v.a. X, il quale rappresenta il VaR;

 ℙ rappresenta la misura di probabilità;

 𝐸[𝑋] è il valore atteso a livello ℙ della variabile X;

 β rappresenta il grado di avversione al rischio dell'operatore.

Brutti Righi e Ceretta sostengono e dimostrano che l’SDR è una misura di rischio coerente in quanto soddisfa la proprietà di Monotonia, Invarianza per traslazione, Omogeneità Positiva e la Subadditività.

Illustrano, nella figura sottostante, che l’SDR messo a confronto con VaR ed ES conferisce una maggiore protezione in termini di rischio, protezione che si traduce in una minore probabilità di fallimento.

Tale figura mostra la coda sinistra di un ipotetico campione X~N (0.1) ottenuto considerando α = 0.01 e β = 1.

(35)

33

Utilizzando la simulazione Monte Carlo analizzano il comportamento dell’SDR nei diversi scenari e periodi finanziari considerando l’indice S&P500 dal 1960 al 2013. Evidenziano che nei periodi di crisi finanziaria, come la famosa crisi dot.com e quella sub-prime, l’indice ha registrato bruschi movimenti di crescita e di ribasso durante i quali l’SDR ha fornito una maggiore tutela del rischio rispetto al VaR e all’ES. Essi concludono affermando che l’SDR, per le sue applicazioni in problemi reali e per le notevoli proprietà di cui gode, ha una maggiore efficacia in termini di misura di rischio, soprattutto in periodi di turbolenza finanziaria, rispetto al VaR e all’ES.

(36)

34

CAPITOLO 3

LE COPULE

3.1 Definizione di copule

Quando sono presenti più variabili aleatorie è necessario innanzitutto tenere in considerazione la relativa struttura di dipendenza.

Ipotizzando una distribuzione normale multivariata per tali v.a. non sempre porta a risultati analoghi a quelli riscontrati empiricamente. Lo strumento delle copule nasce per risolvere tali problematiche, in quanto riesce ad associare una distribuzione multivariata che si adatta meglio al comportamento delle variabili aleatorie. Le copule, forniscono delle valide alternative alle misure di dipendenza che spesso presentano numerosi limiti.

Vedremo che esse misurano bene la dipendenza di eventi estremi dunque sono uno strumento utile in ambito di Risk Management, e in particolare nel calcolo del VaR17.

Il concetto di copula è stato introdotto nel 1959 da Sklar, il quale ha messo in luce il ruolo della copula tra le funzioni di distribuzione multivariate e le funzioni di ripartizioni marginali unidimensionali.

Le copule sono divenute un indispensabile strumento per le prove di stress previste da

Basilea II e Solvency II. Poiché è possibile disporre solo di informazioni sul rischio

marginale e poche informazioni riguardanti la dipendenza, lo strumento copula è stato estremamente utile per superare le limitazioni dovute all'indisponibilità dei dati nel risk management finanziario e assicurativo.

Una copula C di dimensione d è una funzione di ripartizione di distribuzione multivariata con funzioni di ripartizioni marginali distribuite in modo uniforme nell’intervallo [0,1].

17 Nell’ambito di gestione del rischio l’indipendenza delle variabili aleatorie è poco significativa se non

(37)

35

Quando si parla di copule si fa riferimento ad un vettore aleatorio di dimensione d, di variabili aleatorie: 𝑋 = (𝑋1, 𝑋2,… , 𝑋𝑑) ∶ 𝛺 → ℝ𝑑 tale che 𝑋1, 𝑋2,… , 𝑋𝑑 siano v.a. reali.

Note le proprietà della funzione di probabilità P(x) e della funzione di ripartizione 𝐹𝑋 per le v.a. discrete e continue, e note le proprietà della funzione di densità 𝑓𝑋 per le v.a. continue, rispettivamente definite nel capitolo precedente, possiamo definire una copula nel modo seguente18:

Definizione 3.2. una copula d-dimensionale, è una funzione:

𝐶 ∶ [0,1]𝑑 → [0,1]

La funzione rispetta tre proprietà fondamentali per essere definita copula:

1. 𝐶(𝑢1,… , 𝑢𝑑) è crescente in ogni componente 𝑢𝑖 , proprietà necessaria affinché sia una funzione di distribuzione multivariata;

2. 𝐶(1, … ,1, 𝑢1,1, … , 1) = 𝑢𝑖 per ogni 𝑖 є {1, … , 𝑑}, 𝑢𝑖 є [0,1], proprietà richiesta per le distribuzioni marginali uniformi;

3. Per ogni (𝑎1, … , 𝑎𝑑), (𝑏1, … , 𝑏𝑑) є [0,1]𝑑 𝑐𝑜𝑛 𝑎𝑖 ≤ 𝑏𝑖 avremo

∑ … 2 𝑖1=1 ∑(−1)𝑖1+⋯+𝑖𝑑𝐶(𝑢 1𝑖1,… , 𝑢𝑑𝑖𝑑) ≥ 0, 2 𝑖𝑑=1

in cui 𝑢𝑗1 = 𝑎𝑗, 𝑢𝑗2 = 𝑏𝑗 per ogni 𝑗 є {1, … , 𝑑}. La presente disuguaglianza corrisponde ad un rettangolo diseguale.

Le copule possono essere definite come distribuzioni di probabilità congiunte associate ad un vettore aleatorio d-dimensionale (𝑋1, 𝑋2,… , 𝑋𝑑) , con probabilità appartenete a [u, v], e aventi distribuzioni marginali uniformi.

Teorema 3.1. (Sklar) Data una funzione di ripartizione congiunta F, di dimensione d

con marginali continui (𝐹1, … , 𝐹𝑑), allora esiste una copula 𝐶 ∶ [0,1]𝑑 → [0,1], tale che per ogni 𝑥 = (𝑥1, … , 𝑥𝑑) 𝑖𝑛 ℝ = [−∞, ∞] vale:

𝐹(𝑥1, … , 𝑥𝑑) = 𝐶(𝐹1(𝑥1), … , 𝐹𝑑(𝑥𝑑))

18 Si precisa che vengono trascurati i teoremi alla base della definizione di copule, per i quali si rimanda a

(38)

36

Se i marginali sono continui, allora C è unica. Viceversa se C è una copula e (𝐹1, … , 𝐹𝑑) sono funzioni di ripartizione unidimensionali allora l’equazione precedente è una funzione di ripartizione congiunta con marginali (𝐹1, … , 𝐹𝑑). Dunque, le funzioni di ripartizione congiunte sono formate dall’unione delle distribuzioni marginali con le copule C. In altre parole, il teorema di Sklar, consente di separare una distribuzione multivariata in d-distribuzioni univariate e nella loro copula.

3.2 Concordanza e associazione tra variabili aleatorie

Le copule essendo esse stesse delle funzioni di dipendenza, rappresentano il mezzo più efficace per misurare la dipendenza tra variabili aleatorie. Le proprietà di dipendenza e le misure di associazione sono interconnesse.

Ipotizzando due variabili aleatorie X e Y, queste sono dette associate quando non sono indipendenti, ovvero quando la funzione di ripartizione congiunta bivariata:

𝐹(𝑥, 𝑦) ≠ 𝐹1(𝑥)𝐹2(𝑦) Definendo δ una misura di dipendenza scalare allora:

 se 𝛿(𝑋, 𝑌) = 1, X e Y sono dette comonotone;

 se 𝛿(𝑋, 𝑌) = −1, X e Y sono dette contromonotone;

 se 𝛿(𝑋, 𝑌) = 𝛿(𝑌, 𝑋) è detta condizione di simmetria;

 se −1 ≤ 𝛿(𝑋, 𝑌) ≤ 1 è detta condizione di normalizzazione

 se 𝛿(𝑇(𝑋), 𝑌) = { 𝛿(𝑌, 𝑋)𝑇 è 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒 −𝛿(𝑌, 𝑋)𝑇 è 𝑑𝑒𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒

Tratteremo di seguito alcuni concetti di concordanza tra v.a., il coefficiente di correlazione lineare, e alcune misure di associazione quali la τ di Kendall, la ρ di Spearman e infine il coefficiente di Tail-Dependence.

3.2.1 Concordanza

Due variabili aleatorie X e Y sono concordanti se i valori grandi di una tendono ad essere associati ai grandi valori dell’altra, e viceversa, i piccoli valori di una con i

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