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Risposta meccanica di archi in muratura, mediante travi ad asse curvilineo deformabili anche a taglio

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Academic year: 2021

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(1)

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria

delle Costruzioni Civili

Tesi di Laurea Magistrale

Analisi della risposta

meccanica di archi in muratura,

schematizzati come travi

elastiche non lineari ad asse

curvilineo deformabili anche a

taglio

Candidato

Alessandro Mosca

Docenti

Prof. Ing. Stefano Bennati

Ing. Riccardo Barsotti

(2)

i

(3)

Indice

1 Gli archi in muratura: breve excursus storico 1

2 Relazioni cinematiche per travi ad asse curvilineo 20

3 Equazioni d'equilibrio per travi ad asse curvilineo 29

4 Un legame costitutivo elastico non lineare per elementi

mu-rari presso-inessi 33

4.1 Domini elastici non lineari . . . 35

5 Taglio e Scorrimento Angolare 53 5.1 Andamento delle tensioni tangenziali . . . 53

5.1.1 Caso particolare: trave ad asse rettilineo . . . 54

5.1.2 Caso generale (arco) . . . 66

5.2 Scorrimento angolare . . . 75

5.2.1 Scorrimento angolare nelle travi ad asse rettilineo . . . 76

5.2.2 Scorrimento angolare in generale . . . 77

6 Il Ponte Mosca di Torino 81 6.1 Analisi del ponte . . . 81

6.1.1 Descrizione . . . 81

6.1.2 Soluzione dell'arco . . . 86

6.1.3 Contributo dello scorrimento angolare . . . 100

7 Conclusioni 103 A Legami costitutivi 105 A.1 Espressioni delle derivate parziali . . . 110

B Tensioni tangenziali 113 B.1 Tensioni tangenziali nella trave ad asse rettilineo . . . 113

B.2 Tensioni tangenziali in una trave generica . . . 115

(4)

INDICE iii

C Scorrimento angolare 118

C.1 Scorrimento angolare nella trave ad asse rettilineo . . . 118

C.2 Scorrimento angolare in una trave generica . . . 119

(5)

Elenco delle gure

1.1 Falsi archi . . . 2

1.2 Ponte S.Trinita a Firenze . . . 4

1.3 Disegno della catenaria utilizzata per gli archi del Ponte S.trinita a Firenze, dall'originale . . . 4

1.4 L'arco secondo de La Hire . . . 5

1.5 L'arco secondo Baldi (dall'originale) . . . 6

1.6 L'arco secondo Fabri (dall'originale) . . . 7

1.7 L'arco secondo Couplet (dall'originale) . . . 8

1.8 L'arco secondo Couplet (dall'originale) . . . 9

1.9 L'arco secondo Couplet (dall'originale) . . . 10

1.10 Frezier (dall'originale) . . . 11

1.11 Coulomb (dall'originale) . . . 12

1.12 Ponte sul ume Ta a Pontypridd . . . 14

1.13 Analisi della sollecitazione su una porzione d'arco secondo Navier . . . 14

1.14 Costruzione graca per trovare la curva delle pressioni in un arco secondo il Méry (dall'originale) . . . 15

1.15 Tipi di collasso di un arco secondo Michon (dall'opera originale) 16 1.16 Sollecitazione di un generico solido a sezione rettangolare . . . 17

1.17 Curva delle pressioni di un arco rispettosa del criterio del terzo medio interno . . . 18

1.18 Tensioni su una sezione rettangolare all'aumentare delle sol-lecitazioni . . . 19

1.19 Collasso di un arco stabile per assottigliamento del suo spessore 19 2.1 Arco e notazioni . . . 21

2.2 Arco non deformato (verde) e arco deformato (blu) con ε = co-st., χ = 0 e γ = 0. . . 27

2.3 Arco non deformato (verde) e arco deformato (blu) con ε = 0, χ =cost. e γ = 0. . . 28

2.4 Arco non deformato (verde) e arco deformato (blu) con ε = 0, χ = 0e γ = cost. . . 28

(6)

ELENCO DELLE FIGURE v 3.1 Equilibrio di un segmento di arco . . . 29

4.1 Legame sforzo - deformazione idealizzato della muratura (sta-to di tensione monoassiale) . . . 34

4.2 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una se-zione tutta nel dominio elastico (regione E) . . . 36

4.3 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una se-zione parzialmente non lineare a compressione (regione B+) . 36

4.4 Diagramma delle tensioni in una sezione parzialmente non lineare a compressione (regione B+), schema per il calcolo

semplicato . . . 37

4.5 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una se-zione parzialmente non lineare a compressione (regione B−) . 38

4.6 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una se-zione parzialmente non lineare a trase-zione (regione D+) . . . . 39

4.7 Diagramma delle tensioni in una sezione parzialmente non li-neare a trazione (regione D+), schema per il calcolo

sempli-cato . . . 39

4.8 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una se-zione parzialmente non lineare a trase-zione (regione D−) . . . . 40

4.9 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una sezio-ne parzialmente non lisezio-neare sia a compressiosezio-ne che a traziosezio-ne (regione C+) . . . . 41

4.10 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una sezio-ne parzialmente non lisezio-neare sia a compressiosezio-ne che a traziosezio-ne (regione C−) . . . . 41

4.11 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una se-zione totalmente non lineare a compressione (regione A) . . . 42

4.12 Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una se-zione totalmente non lineare a trase-zione (regione F ) . . . 44

4.13 Domini elastici non lineari nel piano ε − χ . . . 46

4.14 Domini elastici non lineari nel piano e = ε/εc, c = χh/εc . . . 47

4.15 Graco n − c con e = ε/εc= 1, 5, 0.83, 0.33 e −0.33

rispetti-vamente . . . 48

4.16 Graco m − c con e = ε/εc= 1, 5, 0.83, 0.33 e −0.33

rispet-tivamente . . . 49

4.17 Domini elastici non lineari nel piano n − m . . . 50

4.18 Graco m − c per tre valori distinti di n . . . 52

5.1 Area di integrazione della sezione con evidenziato il versore normale al contorno dell'are di integrazione . . . 55

5.2 Diagrammi delle tensioni normali in due sezioni contigue del-l'arco e tensioni tangenziali risultanti . . . 56

(7)

ELENCO DELLE FIGURE vi 5.3 Parte della sezione da considerare nel calcolo degli integrali

con sezione in fase elastica all'estradosso . . . 58

5.4 Parte della sezione da considerare nel calcolo degli integrali con sezione non lineare a compressione all'estradosso . . . 58

5.5 Parte della sezione da considerare nel calcolo degli integrali con sezione non lineare a trazione all'estradosso . . . 59

5.6 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20 kN lungo una sezione di altezza h di una trave ad asse rettilineo in fase E . . . 59

5.7 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20 kN lungo una sezione di altezza h di una trave ad asse rettilineo in fase B+ (n = 0.8 e m = 0.05) . . . . 60

5.8 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20 kN lungo una sezione di altezza h di una trave ad asse rettilineo al conne tra la fase B+ e la fase C+ (n = 0.8 e

m = 0.0771) . . . 61 5.9 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T =

20 kN lungo una sezione di altezza h di una trave ad asse rettilineo in fase C+ (n = 0.8 e m = 0.08) . . . . 62

5.10 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20 kN lungo una sezione di altezza h di una trave ad asse rettilineo in fase C+ (n = 0.8 e m = 0.08285) . . . . 63

5.11 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20 kN lungo una sezione di altezza h di una trave ad asse rettilineo per n = 0.8 ed m compreso tra 0, 033 e 0, 08. . . 63

5.12 Stesso diagramma di gura 5.11ma con m no a 0, 0828. . . . 64

5.13 Andamento delle tensioni tangenziali massime al crescere di m (sforzo di taglio T = 20 kN, trave ad asse rettilineo, n = (1 + t)/2 = 0, 4167) . . . 64

5.14 Andamento delle tensioni tangenziali massime al crescere di m(sforzo di taglio T = 20 kN, trave ad asse rettilineo, n = 0.6) 65 5.15 Andamento delle tensioni tangenziali massime al crescere di

m(sforzo di taglio T = 20 kN, trave ad asse rettilineo, n = 0.8) 65 5.16 Andamento delle tensioni tangenziali massime al crescere di

m(sforzo di taglio T = 20 kN, trave ad asse rettilineo, n = 0.95) 66 5.17 Tensioni normali e tangenziali agenti su una prozione di arco

(simmetrica rispetto alla verticale per semplicità) . . . 67

5.18 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20kN lungo una sezione di altezza h = 30 cm di una trave ad asse rettilineo e ad asse curvilineo di raggio R = h . . . 71

5.19 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20kN lungo una sezione di altezza h = 30 cm di una trave ad asse rettilineo e ad asse curvilineo di raggio R = 150 cm . . . 71

(8)

ELENCO DELLE FIGURE vii 5.20 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T =

20kN lungo una sezione di altezza h = 30 cm di una trave ad asse rettilineo e ad asse curvilineo di raggio R = 15 m . . . . 72

5.21 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20kN lungo una sezione di altezza h = 30 cm di una trave ad asse rettilineo e ad asse curvilineo di raggio R = 1, 5 m (di. = 0, 075%) non lineare a compressione (B+) . . . . 73

5.22 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T = 20kN lungo una sezione di altezza h = 30 cm di una trave ad asse rettilineo e ad asse curvilineo di raggio R = 1, 5 m (di. = 0, 003%) non lineare a compressione e a trazione(C+) . . . 74 5.23 Andamento delle tensioni tangenziali dovute a un taglio T =

20kN lungo una sezione di altezza h = 30 cm di una trave ad asse rettilineo e ad asse curvilineo di raggio R = 1, 5 m (di. = 0, 072%) non lineare a trazione (D+) . . . 74 5.24 Scorrimento angolare generato dal taglio in una trave

(simil-mente accade in un arco) . . . 75

5.25 Andamento del fattore di taglio β in una trave ad asse retti-lineo per n = (1 + t)/2 = 0, 4167 ed m crescente . . . 77

5.26 Andamento del fattore di taglio β in una trave ad asse retti-lineo per n = 0.6 ed m crescente . . . 78

5.27 Andamento del fattore di taglio β in una trave ad asse retti-lineo per n = 0.8 ed m crescente . . . 78

5.28 Andamento del fattore di taglio β in una trave ad asse retti-lineo per n = 0.95 ed m crescente . . . 79

5.29 Andamento del fattore di taglio β all'aumentare del raggio di curvatura R rispetto all'altezza h della sezione (fase E). . . . 80

5.30 Andamento del fattore di taglio β all'aumentare del raggio di curvatura R rispetto all'altezza h della sezione (fase B+). . . 80

6.1 Il Ponte Mosca sulla Dora Riparia, a Torino. . . 82

6.2 Il Ponte Mosca di Torino, disegno di Castigliano ([7]). . . 83

6.3 Il Ponte Mosca di Torino, disegno di Castigliano ([7]). . . 83

6.4 Schematizzazione del riempimento del ponte in tre stese di carico ad andamento lineare . . . 84

6.5 Diagramma dello sforzo assiale al variare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) con i carichi della normativa vigente. 86

6.6 Diagramma dello sforzo di taglio al variare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) con i carichi della normativa vigente. 87

6.7 Diagramma del momento ettente al variare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) con i carichi della normativa vigente. 87

6.8 Andamento della curva delle pressioni all'interno dell'arco del Ponte Mosca con evidenziata la zona di non linearità a trazio-ne all'imposta all'estradosso (carichi della normativa vigente). 88

(9)

ELENCO DELLE FIGURE viii 6.9 Diagrammi delle tensioni normali all'intradosso e

all'estrados-so dell'arco del Ponte Mosca al variare dell'anomalia utilizzan-do i carichi scelti da Castigliano (curve blu e verde) e quelli previsti nella normativa vigente (curve rossa e celeste). . . 89

6.10 Spostamenti assiali delle sezioni dell'arco del Ponte Mosca (metà sinistra) al variare dell'anomalia utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella norma-tiva vigente (curva verde). . . 90

6.11 Spostamenti trasversali (pos. verso il basso) delle sezioni del-l'arco del Ponte Mosca (metà sinistra) al variare dell'anomalia utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 91

6.12 Rotazioni (pos. se orarie) delle sezioni dell'arco del Ponte Mosca (metà sinistra) al variare dell'anomalia utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 91

6.13 Confronto tra i valori dello sforzo assiale al variare dell'ano-malia su metà arco (Ponte Mosca) utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 92

6.14 Confronto tra i valori dello sforzo di taglio al variare dell'ano-malia su metà arco (Ponte Mosca) utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 92

6.15 Confronto tra i valori del momento ettente al variare dell'a-nomalia su metà arco (Ponte Mosca) utilizzando i carichi scel-ti da Casscel-tigliano (curva blu) e quelli previsscel-ti nella normascel-tiva vigente (curva verde). . . 93

6.16 Confronto tra i valori dello sforzo assiale adimensionale al va-riare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 93

6.17 Confronto tra i valori del momento ettente adimensionale al variare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 94

6.18 Diagramma del momento ettente adimensionale e dei limiti tra i vari domini elastici al variare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) con i carichi scelti da Castigliano. . . 95

6.19 Diagramma del momento ettente adimensionale e dei limiti tra i vari domini elastici al variare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) con i carichi previsti dalla normativa vigente. . 96

(10)

6.20 Particolare dell'imposta dell'arco del Ponte Mosca con eviden-ziata la c.d.p. e la zona di non linearità a trazione all'estra-dosso sia con i carichi della normativa vigente sia con quelli di Castigliano. . . 97

6.21 Confronto tra i valori della tensione tangenziale massima al variare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 98

6.22 Confronto tra i valori dello scorrimento angolare al variare dell'anomalia su metà arco (Ponte Mosca) utilizzando i ca-richi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 98

6.23 Confronto tra i valori del fattore di taglio al variare dell'ano-malia su metà arco (Ponte Mosca) utilizzando i carichi scelti da Castigliano (curva blu) e quelli previsti nella normativa vigente (curva verde). . . 99

Elenco delle tabelle

4.1 Legami costitutivi nelle varie regioni elastiche non lineari . . . 43

4.2 Legami costitutivi nelle varie regioni elastiche non lineari . . . 51

5.1 Espressioni delle altezze elastiche e dei momenti statici nelle varie regioni elastiche non lineari . . . 57

6.1 Calcolo dei carichi schematici dovuti al riempimento e ai ca-richi accidentali. . . 85

A.1 Legami costitutivi diretti nelle varie regioni elastiche non li-neari (sforzo assiale adimensionale) . . . 106

A.2 Legami costitutivi diretti nelle varie regioni elastiche non li-neari (momento ettente adimensionale) . . . 107

A.3 Legami costitutivi inversi nelle varie regioni elastiche non li-neari (deformazione assiale) . . . 108

(11)

ELENCO DELLE TABELLE x A.4 Legami costitutivi inversi nelle varie regioni elastiche non

(12)

Ringraziamenti

Approtto di questo breve spazio a mia disposizione per ringraziare tutte le persone con cui ho avuto a che fare negli anni della laurea specilistica e che mi sono state vicine aiutandomi e sopportandomi in molte occasioni.

Innanzitutto un ringraziamento speciale va ai miei relatori, il Prof. Ste-fano Bennati e l'Ing. Barsotti, per l'umanità con cui mi hanno trattato e la pazienza che hanno avuto nel guidarmi, spronarmi e nel correggere il mio lavoro; soprattutto devo ringraziarli se, dopo un momento di crisi, ho tro-vato per la tesi un argomento che mi appassiona, anche se meno consueto (ma tutt'altro che più semplice) rispetto a quelli più strettamente tecnici e progettuali.

Poi ringrazio i miei genitori, che, anche se pretendono molto e a tal pro-posito sanno essere ben fastidiosi, soprattutto in vicinanza della discussione hanno dovuto sopportare tutti i miei malumori e le mie ansie!

Un ringraziamento particolare a mia sorella Marta/Tuddu! Perchè mi mette sempre di buon umore e mi capisce più di ogni altro.

Ringrazio anche Alberto, fedele compagno di banco per tutte le medie e le superiori, perchè mi organizza sempre il sabato sera quando torno a Siena nei ne settimana... Nella speranza che quando dionderà il virus ultraresistente da lui brevettato si ricordi di me.

Un ringraziamento anche a Marco/Schicchi, per avermi portato sulla Via Della Palestra e sulla Via Del Dolore Che Fa Bene. Ma che stia attento a non esagerare!

Grazie a Francesco/Cindy per avermi organizzato le vacanze di qua-si tutte le estati da quando lo conosco! Sperando di farne ancora tante insieme...

Grazie anche a Marco Guidi e ad Alessandro Giannelli per aver condiviso le lezioni, gli esami, lo studio (?), i progetti, e anche per fortuna qualche festa dai risultati imprevedibili. A questo proposito ringrazio anche Luca Codenotti, che ormai ha scelto l'America, ma ci ha donato perle di saggezza e di comportamento (!) che dicilmente dimenticheremo.

Ringrazio Marco/Mondo, Tommaso e Annamaria per le cene con i di-scorsi assurdi in cui si niva sempre per parlare di Carolina (quindi grazie, indirettamente anche a Carolina). Insieme a loro vorrei ringraziare Andrea/Il Ragazzo Garbato, Irene e Alice e tutte le altre persone che stavano al Faedo

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ELENCO DELLE TABELLE xii insieme a me per le pizze da asporto, i biscotti, i lm, i pettegolezzi e le storielle con cui passavamo le nostre serate.

Grazie a Vincenzo/Mappheowny per essere stato un buon coinquilino anche se si è iscritto a un corso di Salsa (nessuno è perfetto), grazie anche per il Pancacao e l'Amaro del Capo!

Grazie ad Alessio/Lallero che rende divertente tutto quello che gli capita intorno! Grazie anche a Stefano/Polχ per l'amicizia che mi fa anche per-donare le sue terribili battute. Grazie anche a Mattia, Samantha, Lorenzo, Bruno e tutte le persone con cui vado a mensa centrale.

Grazie a Chiara, Carmelina e Claudia per i lm horror che niamo sempre per guardare negli uggiosi sabato sera autunnali, con grande apprezzamento soprattutto da parte delle prime due.

Grazie a Enrico/Costanzo Cattivo e Luca/Costanzo Buono, per il comu-nismo, la tirchieria ligure, le battute, le discussioni, le indecisioni e i maledetti lm di Hitchcock. E già che ci sono ringrazio anche tutti quei ragazzi e quel-le ragazze del S.Anna che mi sono stati amici e che anche nei miei periodi peggiori mi hanno trattato con gentilezza e rispetto, ma che sarebbe troppo lungo elencare qui.

Grazie a Fabio e Antonio Vellucci, che periodicamente scompaiono ma che alla ne tornano sempre (forse). Grazie anche a Enrico Matteo, per le storielle folli in cui io faccio sempre una brutta ne, e a tutti quelli che frequento o ho frequentato a Siena!

Grazie ai miei compagni di facoltà, con cui ho condiviso le gioie e i dolori degli esami.

Grazie inne alle mie zie e ai parenti di Orte; e un ringraziamento sentito a chiunque abbia cercato di insegnarmi o di darmi qualcosa.

Ma sicuramente sto dimenticando qualcuno! Ma che non si preoccupi, ringrazio anche lui, nella speranza che perdoni il mio Alzheimer precoce e la fretta con cui scrivo questi ringraziamenti.

(14)

Introduzione

Lo studio della stabilità degli archi in muratura è uno degli argomenti più antichi e aascinanti della meccanica delle strutture. Gli studiosi che nel corso della storia si sono occupati della materia hanno sviluppato, soprat-tutto a partire dal XVIII secolo, diverse teorie rivolte alla valutazione della capacità portante di un arco. Ancora oggi manca un modello univoco di stu-dio degli archi in muratura e si procede secondo approcci dierenti a seconda dello stato di conservazione del materiale, della geometria e dell'entità delle azioni.

La presente relazione mira a ssare una volta per tutte alcuni punti ri-guardanti gli archi in muratura: innanzitutto si parte dal ricavare le equazio-ni della cinematica; queste, più complesse di quelle della trave ad asse rettili-neo ma dotate di validità generale (valgono per una trave ad asse curvilirettili-neo qualunque e, al limite, anche per una ad asse rettilineo), si sono ottenute facendo semplici considerazioni geometriche e senza nulla ipotizzare circa il comportamento del materiale costituente l'arco.

Nella seconda parte invece si fanno alcune considerazioni sul materiale muratura per trarne un legame costitutivo semplicato e ottenere le equa-zioni costitutive, che legano cioè le caratteristiche delle sollecitaequa-zioni alle componenti deformative del materiale. In particolare, essendo il legame co-stitutivo non lineare a tratti, si possono avere delle sezioni a comportamento parzialmente o completamente non lineare ed altre invece intermente ancora in fase elastica a seconda dell'entità delle sollecitazioni.

Un capitolo a parte è dedicato allo studio del taglio e dello scorrimento angolare. Questo viene condotto seguendo a procedura intrapresa da Joura-wski riadattata al caso di travi rettilinee e non, con sezioni non sempre del tutto in fase elastica e presenza di sforzo assiale. Lo scorrimento angolare in particolare rappresenta un parametro importante per gli archi tozzi, ovvero a forte curvatura, e può portare alla formazione di meccanismi di collasso dell'arco.

Inne si presenta lo studio del Ponte Mosca di Torino realizzato con le for-mule e le metodologie esposte in precedenza. In più si aronta il problema del contributo delle deformazioni dovute al taglio attraverso il confronto di due diversi tipi di spostamenti trasversali, uno ottenuto per un arco deformabile estensionalmente e essionalmente, e l'altro per lo stesso arco deformabile

(15)

ELENCO DELLE TABELLE xiv solo mediante scorrimento angolare; si traggono quindi le dovute conclusioni per quanto riguarda l'incidenza del taglio in archi slanciati.

(16)

Capitolo 1

Gli archi in muratura: breve

excursus storico

L'arco costituisce un elemento centrale dell'architettura dell'uomo sin dai tempi antichi; questo in parte lo si deve alla sua ecacia estetica, laddove un semplice tramezzo sarebbe stato troppo banale o troppo poco decorativo. L'eleganza dell'arco, infatti, sia che si tratti di volte e cupole, sia che si tratti di ponti o altri tipi di infrastrutture, non si discute. Ma soprattutto, a rende-re l'arco così importante, sono state le sue proprietà statiche e meccaniche, le quali hanno permesso la costruzione di numerose opere architettonicamente e ingegneristicamente ardite che, nei migliori casi, possiamo osservare ancora oggi.

Tuttavia, nonostante gli indubbi vantaggi, la costruzione di un arco si è rivelata tutt'altro che semplice; basta infatti poco perché un arco collassi, e storicamente questo avveniva in genere senza che ne fosse ben chiaro il mo-tivo. Proprio per superare queste dicoltà è stata prodotta nei secoli tutta una manualistica riguardante le regole sulla loro costruzione; questi trattati empirici raramente però riuscivano ad indovinare le cause che spingono un arco al collasso, riducendosi spesso ad una pura enunciazione dei rapporti che dovevano sussistere tra le varie parti dell'arco anché questo fosse elegante e stabile allo stesso tempo.

Solo più recentemente gli studiosi si sono spinti ad indagare i motivi che rendono un arco più resistente di un altro; con il rinascimento i tempi furono maturi perché nascessero una serie di studi teorici sugli archi, ma è soprattutto a partire dal settecento che si hanno le prime teorie organiche e coerenti. Queste si svilupperanno poi per tutto il XIX secolo di pari passo con il progresso della tecnica, no ad approdare alla seconda metà del novecento, dove l'uso delle ultime teorie sulla plasticità dei materiali ha reso possibile gettare una nuova luce su tutto il lavoro che era stato fatto precedentemente. Il presente capitolo percorre un breve excursus storico, per rimarcare quali furono i principali passi che hanno portato allo sviluppo dell'odierna

(17)

CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 2 teoria sugli archi in muratura. Da principio l'uomo potrebbe aver mutuato l'idea dell'arco osservando la natura, in particolare certe formazioni rocciose, per poi cercare di riprodurre la forma dell'arco con i pochi mezzi tecnici a sua disposizione. I primi esempi riconducibili ad archi sono i cosiddetti falsi archi già rinvenibili nella necropoli dell'antica Ur, in Mesopotamia, e risalenti a ca. 5000 anni fa: si tratta di strutture che non possiedono il regime statico tipico dell'arco (per l'assenza di spinte orizzontali tra un elemento dell'arco e un altro) ma che si reggono per impilamento di elementi successivi leggermente aggettanti rispetto ai precedenti; la volta dell'arco viene poi chiusa tramite l'inserimento di altri conci il cui peso ricade tutto sugli elementi sottostanti (vedi gura1.1).

Figura 1.1: Falsi archi

Un notevole progresso si ha quindi con la costruzione di rudimentali ar-chi a tre cerniere, costituiti da due conci di pietra opportunamente sagomati e inframezzati da malta o mattoni. Questi ultimi elementi, ben più defor-mabili della pietra, rendevano possibile un maggiore assestamento dell'arco, permettendogli così di centrare la curva delle pressioni e aumentando la sua resistenza. In seguito il numero dei conci di pietra costituenti la volta dell'ar-co fu incrementato sia perché veniva dell'ar-così ridotta la loro lunghezza e risultava più pratico produrli e spostarli, sia perché in questo modo aumentavano i giunti e cioè gli elementi dotati di maggiore deformabilità; inoltre, maggiore era il numero dei conci, più era possibile dare all'arco una forma curva, con notevole guadagno dal punto di vista estetico.

Maestri nella costruzione di archi in muratura furono i romani; vistosi esempi sono i ponti, gli acquedotti e gli anteatri di cui abbiamo resti qua-si ovunque tra Europa meridionale, Nord Africa e Medio-oriente. Pare che fossero stati gli etruschi in primis ad aver costruito archi fatti interamente di mattoni e malta, ma sicuramente furono i romani a farne uso più ampio e diuso. Essi comunque non si discostarono mai dall'arco semicircolare (nei sotterranei del Colosseo sono presenti degli archi piatti, ma più che una

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spe-CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 3 rimentazione si tratta probabilmente di un ritorno alle origini o comunque a qualcosa di più semplice). Anche nei secoli successivi pochi furono i tentativi di modicare la forma dell'arco: nel medioevo ebbero larga diusione gli ar-chi a sesto acuto che permettevano forme più slanciate e imponenti rispetto dell'arco a tutto sesto, ed erano perciò più utili alla costruzione di grandi edici come le cattedrali.

È con il rinascimento quindi che per la prima volta vengono studiate nuove geometrie per gli archi. L'interesse nasce soprattutto dal desiderio di voler costruire ponti meno alti ma capaci di avere una campata uguale o anche maggiore rispetto a quelli costruiti con un solo arco di circonferenza. Nell'arco a tutto sesto il rapporto altezza/luce è di 1:2, tuttavia per luci maggiori tale rapporto veniva fatto arrivare a 1:3 utilizzando archi circolari ribassati; addirittura nel medioevo si arrivò al rapporto di 1:6,5 che con-traddistingue le campate del Ponte Vecchio, costruito nel 1345 a Firenze da Taddeo Gaddi (1290-1366). Ma nuove geometrie erano in grado di ridurre ulteriormente il rapporto, rendendo le rampe di accesso al ponte più corte e il ponte più pratico e adatto alle esigenze della vita urbana; vennero studiati così archi tricentrici, formati cioè da tre segmenti circolari di centro diverso, archi ellittici, archi parabolici e archi a catenaria, aventi cioè la forma che assumono una corda o una catena appese per le estremità e sottoposte al loro peso.

Un bell'esempio è costituito dal Ponte S.Trinita sempre a Firenze, pro-gettato da Bartolomeo Ammannati (1511-92) e costruito nel 1569. Qui, forse per la prima volta, il progettista ha cercato di tener conto della complessità delle azioni presenti per scegliere la forma da dare all'arco, in questo caso quella della catenaria (vedi gg. 1.2 e 1.3); così facendo in eetti la curva delle pressioni viene a trovarsi sempre all'interno dello spessore dell'arco ed esso non arriva mai al collasso.

Nei secoli seguenti nacquero i primi studi sui meccanismi di collasso degli archi e sulle loro cause, ricercate nei raporti che dovevano sussistere tra le varie parti che lo costituiscono. Alphonse de La Hire (1640-1718) nella sua opera Traité de Mecanique (1695) suddivise l'arco semicircolare in conci e si pose una delle domande fondamentali della teoria degli archi, ovvero: qual è il peso di un concio (voussoir) oltre il quale l'arco non rimane in equili-brio? Inoltre gli interessava trovare il valore della spinta orizzontale dell'arco per cui potevano essere progettati dei piedritti che non si ribaltassero. La prima dicoltà stette nella scelta delle ipotesi che La Hire doveva fare sul comportamento dei conci: egli ipotizzò che questi potessero scorrere l'uno sull'altro senza attrito. Suddivise l'arco in un concio in chiave LMFN (-gura 1.4) di peso ssato e un concio HSILMB ottenuto unendo il piedritto al primo quarto dell'arco. Il piano di separazione ML tra le due porzioni fu arbitrariamente scelto con un'inclinazione di 45◦ rispetto all'orizzontale, a

metà strada cioè tra l'imposta e la chiave dell'arco. A rottura il piedritto ruota attorno al punto H mentre il concio in chiave scorre sul piano di

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rottu-CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 4

Figura 1.2: Ponte S.Trinita a Firenze

Figura 1.3: Disegno della catenaria utilizzata per gli archi del Ponte S.trinita a Firenze, dall'originale

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 5 ra ML. La Hire trovò la soluzione del suo problema costruendo un poligono delle forze che includesse i pesi dei conci e ottenendo così il corrispondente poligono funicolare dell'arco. Questo è ssato per un arco di data forma se i conci sono lisci, pertanto, procedendo a ritroso, deducendo il poligono delle forze si può trovare il peso dei conci.

Figura 1.4: L'arco secondo de La Hire

Il metodo di La Hire fu importante per l'impiego del poligono funicolare, ma l'ipotesi dei conci lisci è raramente vericata nella realtà; egli stesso se ne accorse e nel 1712 nell'opera Sur la construction des voûtes dans les edices si pose il problema di come potesse collassare un arco reale: egli pose la spinta P agente sulla sezione LM all'intradosso e la ricavò come risultante delle forze agenti sul concio superiore. Poi scrivendo l'equazione di equilibrio alla rotazione intorno ad H del piedritto e della parte inferiore dell'arco ottenne un'espressione che gli permetteva di valutare la stabilità dell'arco.

Altri studiosi erano invece interessati all'entità dello spessore da dare all'arco per scongiurare la rottura. Bernardino Baldi (1553-1617) nel suo commento all'opera Meccaniche di Aristotele analizzò l'arco semicircolare (vedi gura1.5) stabilendo che esso crollava quando i piedritti subivano uno spostamento orizzontale di ES verso sinistra e di ET verso destra. Le parti dell'arco attaccate ad essi (FQVH e GRXP) componevano secondo lui due terzi del totale e rimanevano stabili, dato che le verticali per i loro baricentri cadevano in F e G, cioè comunque all'interno della base; questo avveniva solo a condizione che lo spessore d dell'arco fosse all'incirca il 30% del raggio all'estradosso, pertanto egli ottenne delle limitazioni da imporre a d anché ciò fosse vericato. Baldi suppose inoltre che i conci non potessero scorrere l'uno sull'altro liberamente e che a rottura i due corpi QKIV e RNMX ruo-tassero attorno ai punti Q e R rispettivamente; tale rotazione poteva essere impedita se la distanza QR era minore della somma delle distanze QI e MR.

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 6

Figura 1.5: L'arco secondo Baldi (dall'originale)

Lo studio del Baldi fu importante perché enfatizzò tre aspetti che saranno poi fondamentali nella moderna teoria degli archi in muratura, e cioè:

• La divisione dell'arco in tre parti uguali di cui due stabilmente attac-cate ai piedritti e la terza interessata dal meccanismo di collasso. • La separazione di quest'ultima in due ulteriori porzioni secondo una

linea che passa per la chiave dell'arco.

• La rotazione di questi due corpi rigidi intorno a punti situati all'intra-dosso.

Il gesuita Honoré Fabri (1607-88) nel suo trattato Physica del 1669 studiò il modello strutturale di un arco semicircolare in mattoni (vedi gura1.6).

Egli ipotizzò, semplicando, che la curva delle pressioni di un arco semi-circolare potesse essere rappresentata dai due segmenti AC e CD che inter-secano l'estradosso AICKD nei punti A, C e D, dove si comportano come cerniere (ottenendo sostanzialmente un arco a tre cerniere); la spinta oriz-zontale risulta essere in questo caso pari alla metà del peso proprio dell'arco (carico sso). Fabri determinò anche una costruzione geometrica per ot-tenere lo spessore dell'arco presso i piedritti, ovvero ND = d1, dove N è

ottenuto tracciando la semicirconferenza APN tangente al segmento CD; algebricamente si ha:

d1= N D = 0.343R

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 7

Figura 1.6: L'arco secondo Fabri (dall'originale)

d0F abri= 0.293R

Questo valore costituisce un limite inferiore per le dimensioni dell'arco: secondo Fabri archi di dimensioni maggiori erano sempre stabili, archi di dimensioni inferiori potevano essere instabili.

Tale era dunque la situazione al momento in cui Couplet pubblicò i suoi due importantissimi Mémoires (1729 e 1730) sulla spinta dell'arco. Il pri-mo a dir la verità riproponeva la teoria di La Hire basata su conci privi di attrito; pertanto fu il secondo Mémoire a costituire un contributo notevole alla teoria degli archi. Nell'introduzione infatti Couplet stabilì che in questo caso l'attrito tra i conci era tale da impedire ogni scorrimento, mentre invece non veniva oerta alcuna resistenza contro la loro separazione; egli inoltre riteneva che gli sforzi agenti sui conci fossero tali che era bassa la probabilità di provocarne la rottura per compressione. In pratica gli elementi che com-ponevano la muratura avevano resistenza a compressione innita, resistenza a trazione nulla e non scorrevano l'uno sull'altro. Nel suo lavoro compari-vano poi due metodi di analisi tipici dell'analisi limite, quello statico, in cui vengono studiate le curve di pressione, e quello cinematico, che prevede la formazione di meccanismi tramite la comparsa di cerniere.

Il primo teorema che Couplet dimostrò stabilisce che un arco non collassa se la corda di metà estradosso non taglia l'intradosso ma rimane sempre all'interno dello spessore dell'arco (vedi gura1.7). L'arco che Couplet aveva

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 8

Figura 1.7: L'arco secondo Couplet (dall'originale)

in mente ha peso proprio trascurabile ed è soggetto ad un carico concentrato agente in chiave nel punto A. Qualunque sia l'entità del carico, esso comunica direttamente con i punti B e C alle imposte, seguendo i segmenti AF B e AGC che costituiscono la curva delle pressioni. Anché l'arco collassi l'angolo \

BAC deve aprirsi, cosa possibile solo se i piedritti traslano allontanandosi, ma questo viene escluso per ipotesi.

Couplet si soermò poi sul comportamento dell'arco più sottile BAC-ODEP. Se A è caricata a sucienza, l'angolo \DAE può aprirsi e gli angoli \

ADB e [AEC chiudersi, supponendo che la massa delle porzioni BMDO e CNEP non sia suciente ad impedirne la rotazione (il collasso può quindi essere impedito se i anchi vengono caricati). Couplet notò anche che, senza carichi aggiuntivi, i punti più fragili dell'arco si trovavano a circa metà strada tra le imposte e la chiave.

Completati questi preliminari, egli arontò il suo primo problema, trovare cioè lo spessore minimo da dare ad un arco semicircolare su cui agisce solo il peso proprio. L'arco collasserebbe rompendosi in quattro pezzi collegati l'un l'altro tramite cerniere (vedi gura 1.8) posizionate nei punti R, A e F all'estradosso e T e K all'intradosso, assumendo che questi ultimi si trovassero a 45◦ dalle imposte (in questo subì forse l'inuenza di La Hire per quanto

riguarda l'individuazione dei piani di rottura). Considerando l'equilibrio dell'arco in questo stato si può trovare una sola equazione che collega lo spessore dell'arco al suo raggio, risolvendo la quale Couplet ottenne:

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 9

Figura 1.8: L'arco secondo Couplet (dall'originale)

Sempre dalla gura si può vedere che, per l'equilibrio del tratto AK dell'arco, la spinta orizzontale in A sommata al peso proprio passante per H porta ad una spinta in K pari a GK. Couplet non si accorse che GK non era tangente all'intradosso in K: il suo lavoro era infatti corretto tranne per il fatto che le cerniere all'intradosso non si formano a 45◦ dalle imposte, ma a

circa 31◦. Comunque egli si avvicinò molto allo spessore minimo dell'arco, il

cui valore corretto calcolato nella seconda metà del novecento da Heyman è (vedi [2]):

dHeyman= 0.106R

Nel suo secondo problema Couplet ripeté l'analisi precedente per un ar-co di cerchio avente un'apertura di 120◦ invece che di 180. Come terzo

problema Couplet arontò quello della determinazione del valore della spin-ta dell'arco, rielaborando la soluzione di La Hire. Rispetto a quest'ultimo abbandonò l'analisi del meccanismo di collasso, concentrandosi invece sullo studio della curva delle pressioni (vedi gura 1.9), che intraprese partendo dalla linea di mezzeria dell'arco SX. La spinta in chiave fu assunta agire oriz-zontalmente in S e il peso di metà arco fu rappresentato dalla linea LR; da queste due forze si ottiene, per somma vettoriale, la spinta agente sui piedrit-ti, rappresentata dal segmento LX. Da questo calcolo Couplet passò inne al suo quarto problema, cioè la determinazione dello spessore dei pilastri che sorreggono l'arco anché tutta la struttura sia stabile.

Il contributo di Couplet ebbe un impatto immediato sugli studi dei suoi contemporanei. Nel 1732 Danyzy ottenne la conferma sperimentale della

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 10

Figura 1.9: L'arco secondo Couplet (dall'originale)

correttezza del suo approccio. Il suo lavoro non fu pubblicato no al 1778, ma i suoi esperimenti, compiuti su archi composti da piccoli conci di gesso, furono resi noti ben prima, come si vede dai disegni basati sui suoi studi e pubblicati da Frezier nel 1737-39 (vedi gura1.10). In gura si possono vede-re diversi tipi di archi tutti sul punto di collassavede-re, e alcuni di essi mostrano esattamente lo stesso meccanismo di collasso descritto da Couplet.

Negli anni successivi il lavoro di Couplet fu lentamente dimenticato: l'in-gegnere civile Charles Auguste Coulomb nel suo famoso Essai sur une ap-plication des maximis règles et des minimis à quelques problèmes de statique relatifs à l'architecture (1773) dimostra di non conoscere tale opera. Tut-tavia egli aveva conosciuto Danyzy a Montpellier ed è probabilmente da lui che riprende l'ipotesi di attrito molto grande tra un concio e l'altro e la for-mazione di cerniere come l'unica possibilità di rottura per un arco. Nella gura1.11viene mostrata la metà di un arco mantenuta in equilibrio da una spinta in chiave H non nota a priori, ma che si immagina applicata in f e la cui direzione fg' è supposta orizzontale.

Se tale spinta è abbastanza piccola, l'intera porzione GaMm dell'arco potrebbe ruotare attorno al punto M all'intradosso; in questo caso, facendo riferimento semplicemente alla statica, si determina che il valore della spinta corrisponde a:

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 11

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 12

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 13

H = φgM M Q

Analogamente, se la spinta è abbastanza grande, la porzione GaMm po-trebbe ruotare attorno al punto m all'estradosso e il valore della spinta è dato da:

H = φg

0q

mq

Pertanto Coulomb stabilì dei limiti entro i quali doveva trovarsi il valore della spinta orizzontale anché l'equilibrio dell'arco fosse assicurato. Tutta-via egli non determinò la posizione della sezione critica Mm, ma considerò varie sezioni e per ognuna dimostrò che i valori massimi e minimi della spinta H erano quelli precedentemente riportati.

Il lavoro di Coulomb fornisce una completa base teorica per l'analisi degli archi, tuttavia anche questo per lungo tempo non fu noto alla gran parte delle persone che operavano nel settore della progettazione e della costruzione di archi: basti pensare che in un volume del 1810 indirizzato agli ingegneri di Ponts et Chaussées ancora non vi si fa cenno. Lamé e Clapeyron, che successivamente si sarebbero distinti in più campi, quando nel 1823, giovani uciali dell'esercito, furono incaricati di studiare la cattedrale di St. Isaac di S.Pietroburgo per assicurarne la stabilità della cupola, dovettero reinventare da capo l'intera teoria di Coulomb, dato che non la conoscevano. Fu solo con le Leçons pubblicate da Navier nel 1833 per Ponts et Chaussées che la teoria sugli archi iniziò ad essere insegnata nelle università ed essere così di dominio pubblico.

Per tutto il settecento (e gran parte dell'ottocento) la costruzione di archi e ponti fu sempre dominata dall'uso di leggi empiriche basate più sull'espe-rienza che su teorie elaborate e calcoli matematici; questo anche al prezzo di dover procedere faticosamente per tentativi, come accadde per esempio a William Edwards, mastro costruttore gallese, che ricevette nel 1746 l'inca-rico di costruire un ponte sul ume Ta presso Pontypridd. Egli progettò diversi ponti, ma per ben tre volte questi collassarono durante la costruzione o subito dopo; solo al quarto tentativo (e circa dieci anni dopo) egli riuscì a costruire un ponte stabile, ad una solo arcata e dal prolo molto slanciato (vedi gura 1.12) quale si può ancora ammirare oggi.

Con Navier venivano invece denitivamente poste le basi della teoria del-l'elasticità che aprì la possibilità di uno studio analitico degli archi. Nel suo lavoro, di straordinaria importanza e tuttora valido, egli assunse per la prima volta che i materiali impiegati avessero un comportamento elastico lineare, almeno no al raggiungimento dei limiti di resistenza: i rapporti tra gli sforzi applicati e le deformazioni ottenute erano infatti delle costanti. Egli introdusse nello studio degli archi l'analisi degli sforzi e determinò i moduli

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 14

Figura 1.12: Ponte sul ume Ta a Pontypridd

elastici di vari materiali, ipotizzando un diagramma triangolare delle pres-sioni agenti su ogni sezione, almeno no al raggiungimento della resistenza limite del materiale (vedi gura 1.13). Egli portò avanti la regola del terzo medio interno, che verrà descritta nel II capitolo, utile per posizionare la curva delle pressioni all'interno di un arco.

Figura 1.13: Analisi della sollecitazione su una porzione d'arco secondo Navier

Parallelamente al lavoro di Navier si sviluppò lo studio delle curve di pressione, portato avanti in Francia dal Méry, che in una pubblicazione del 1840 espone un metodo per trovare queste ipotetiche curve in un dato arco. Anché la stabilità dell'arco sia garantita, anche per il Méry la curva delle pressioni deve essere tutta compresa nel terzo medio interno dell'arco, e tan-gente a questo all'estradosso in chiave e alle imposte, e all'intradosso presso i giunti di rottura posti a circa 30◦ dalle imposte. Egli inventò anche una

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 15 costruzione graca per trovare il valore dello sforzo normale in ogni sezione che oggi ci appare ridondante e macchinosa, ma che all'epoca riscosse il fa-vore dei tecnici dell'epoca per la sua estrema semplicità e per la conseguente rapidità nell'applicazione.

Figura 1.14: Costruzione graca per trovare la curva delle pressioni in un arco secondo il Méry (dall'originale)

Sempre intorno alla metà dell'ottocento Michon (vedi [6]) individua otto meccanismi di rottura per un arco (gura 1.15), quattro per un arco semi-circolare e altrettanti per uno ogivale. Si osserva che in alcuni casi (I, II) il collasso avviene esclusivamente in seguito alla formazione di cerniere pla-stiche, in altri (V, VI) solo per scorrimento, mentre nei restanti si hanno meccanismi misti.

A metà del novecento invece Heyman conduce uno studio in cui coniuga le teorie di Mery e Navier con i più recenti studi sull'analisi imite delle strutture ([2]). Mentre per l'arco a tre cerniere la curva delle pressioni è univocamente determinata dai carichi applicati e dal dover obbligatoriamente passare per le

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 16

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 17 tre cerniere, per l'arco reale non possiedo dei punti all'interno delle sezioni in cui la c.d.p. deve passare; posso però ricavarmi un intervallo entro cui la curva delle pressioni deve passare in ogni sezione anché questa risulti tutta compressa. Assumendo che le tensioni normali siano distribuite secondo la legge di Navier, se l'eccentricità è minore di d/6, cioè la normale cade entro i limiti del cosiddetto terzo medio interno, tutta la sezione sarà soggetta a compressione; stessa cosa accade se l'eccentricità è proprio d/6 e quindi la normale passa proprio ad una distanza pari a d/3 dal bordo della sezione: in questo caso però presso il bordo opposto della sezione le pressioni si annullano (vedi gura1.16). Inne se l'eccentricità è maggiore di d/6, ovvero la spinta cade fuori dal terzo medio interno, solo una parte della sezione è sottoposta a compressione; il resto sarebbe soggetto a trazione, ma se la malta che collega i mattoni non ore alcuna resistenza a questo tipo di sollecitazioni i conci cominciano a separarsi. Nel caso limite in cui la resistenza a compressione sia innita, se la spinta passa per il bordo della sezione, i mattoni si toccano tra loro solo in questo punto e si ha il collasso dell'intera struttura.

Figura 1.16: Sollecitazione di un generico solido a sezione rettangolare

In pratica le spinte che agiscono tra un concio e l'altro devono sempre trovarsi all'interno di un'area ben delimitata, il cosiddetto nocciolo centrale d'inerzia della sezione; quindi si delinea per tutta la lunghezza dell'arco un'area in cui deve per forza essere compresa la curva delle pressioni anché tutti i conci siano soggetti soltanto a compressione: tale area, seguendo la regola del terzo medio interno, è costituita da un arco più sottile situato al centro dell'arco iniziale, avente la sua stessa forma ma spessore pari ad 1/3 di quello originario (vedi gura1.17).

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 18

Figura 1.17: Curva delle pressioni di un arco rispettosa del criterio del terzo medio interno

all'interno del terzo centrale dell'arco. Si dice allora che l'arco è dotato di un coeciente di sicurezza pari a 3: infatti lo spessore dell'arco è pari a 3 volte quello dell'arco di spessore minimo sempre in grado di contenere la curva delle pressioni. Tutto questo ragionamento è basato sulla validità della regola del terzo medio interno che deriva dalla teoria dell'elasticità; nella realtà Heyman stesso aerma che il comportamento della muratura non è proprio elastico lineare, ma lineare a tratti, per cui spesso basta avere un coeciente di sicurezza circa pari a 2, cosa che permette di costruire archi più sottili e slanciati. Infatti la capacità portante di una sezione di una generica trave non viene raggiunta quando le tensioni raggiungono il valore limite solo agli estremi (caso (b) di g. 1.18, raggiungimento della non linearità), ma quando lo raggiungono in tutta la sezione della trave (caso (d) di g. 1.18, completamente non lineare).

Il resto della sua analisi Heyman la conduce considerando il meccanismo di collasso solo attraverso la formazione di cerniere plastiche (meccanismo I della gura 1.15) trascurando cioè il contributo del taglio; inoltre egli con-sidera la muratura un materiale innitamente resistente a compressione e con resistenza a trazione nulla. Alla ne il suo scopo è quello di determina-re lo spessodetermina-re dell'arco al collasso; lo spessodetermina-re eettivo fratto quest'ultimo dà un numero che egli usa come coeciente di sicurezza per ottenere come indicatore del livello di stabilità dell'arco.

Nella seguente trattazione esamineremo invece il caso più generale pos-sibile, sempre partendo da un legame costitutivo di tipo elastico lineare a tratti, tenendo conto sia delle limitazioni delle tensioni a trazione e a com-pressione, sia della presenza del taglio che porta all'attivazione di meccanismi di scorrimento.

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CAPITOLO 1. BREVE EXCURSUS STORICO 19

Figura 1.18: Tensioni su una sezione rettangolare all'aumentare delle sollecitazio-ni

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Capitolo 2

Relazioni cinematiche per travi

ad asse curvilineo

L'obiettivo del presente capitolo è quello di determinare le espressioni analitiche delle relazioni cinematiche che, nel caso di travi ad asse curvilineo, legano gli spostamenti dei punti della linea d'asse dell'arco e la rotazione delle sezioni trasversali alle misure di deformazione. La ricerca di dette relazioni sarà condotta ragionando solamente per via geometrica, non facendo quindi alcuna ipotesi sulla risposta meccanica del materiale di cui è formata la trave. Per semplicità, limitiamo la nostra attenzione al caso in cui la linea d'asse della trave sia interamente contenuta in un piano; inoltre, assumiamo che detto piano sia di simmetria sia per la sezione trasversale della trave, sia per il sistema delle azioni esterne. Sulla linea d'asse ssiamo un'ascissa curvilinea s, che individua la posizione di ciascun punto rispetto a quello scelto come origine; il raggio locale di curvatura R, costante nel caso di archi circolari, sarà in generale una funzione di s. Per motivi di simmetria, gli spostamenti e le deformazioni al di fuori del piano che contiene la linea d'asse sono dunque nulli.

Scegliamo di descrivere gli spostamenti della linea d'asse dell'arco me-diante due componenti, u e v, rispettivamente in direzione tangente e orto-gonale alla linea d'asse; indichiamo inoltre con ϕ la rotazione della sezione trasversale, positiva se in senso orario.

Denita l'ascissa curvilinea s lungo l'asse dell'arco, posso posizionare in sun sistema di riferimento locale denito dai versori n(s) e t(s); il sistema di riferimento assoluto x − y è invece sso nell'origine, per cui i versori i e j non dipendono da s.

Osservando la gura 2.1, in cui le grandezze con l'asterisco si riferiscono alla congurazione variata, posso allora dire che:

OP = x(s) = x(s)i + y(s)j P P∗= u(s) = u(s)t(s) + v(s)n(s)

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CAPITOLO 2. RELAZIONI CINEMATICHE 21

Figura 2.1: Arco e notazioni

OP∗ = x∗(s) = x(s) + u(s)

indicando con x il vettore posizione iniziale, con u il vettore spostamento e con x∗ il vettore posizione nella congurazione deformata.

Preso un segmentino innitesimo P Q = ds lungo la linea d'asse e chiama-to P∗Q= dsla sua deformata, posso asserire che la deformazione assiale

vale:

ε = ds

− ds

ds

Per quanto riguarda la curvatura si ha semplicemente che: χ = −dϕ

ds

Se inoltre chiamo α l'angolo di cui ruota l'asse tangente, ovvero l'angolo tra t∗ e t, posso dire che lo scorrimento angolare vale:

γ = α − ϕ

L'equazione della curvatura è già nella sua forma ultima; si noti che essa non dipende dagli spostamenti né quindi dalla loro grandezza. Con una notazione più compatta posso scrivere:

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CAPITOLO 2. RELAZIONI CINEMATICHE 22 Analizziamo ora la deformazione assiale ε: posso vedere la quantità ds∗

come:

ds∗= P∗Q∗ = OQ∗− OP∗ ovvero:

ds∗= x(s + ds) + u(s + ds) − x(s) − u(s)

Sapendo che x(s + ds) = x(s) + x,sdse analogamente u(s + ds) = u(s) +

u,sds arrivo ad ottenere la seguente espressione:

ds∗= x,sds + u,sds (2.1) Ora si sa che:

x,s = t

u,s = u,st + ut,s+ v,sn + vn,s

e, supponendo che l'arco abbia raggio locale R = R(s): t,s= 1

Rn n,s = −1

Rt

Sostituendo le relazioni precedenti nella2.1, si ottiene:

ds∗ = dst + u,st + u Rn + v,sn − v Rt  = dsh1 + u,s− v R  t +u R + v,s  ni A me serve la quantità scalare ds∗= ds· ds, per cui:

ds∗ = ds r  1 + u,s− v R 2 +u R + v,s 2 Allora la deformazione assiale vale:

ε = ds ∗ ds − 1 = r  1 + u,s− v R 2 +u R + v,s 2 − 1 (2.2) Si può ottenere un'equazione più semplice nel caso in cui gli spostamenti u e v e le loro derivate siano piccoli rispetto a R; in tal caso, svolgendo i quadrati nella2.2e trascurando i termini quadratici ottengo:

ε ≈ r 1 + 2u,s− 2 v R − 1 ≈ 1 + u,s− v R − 1 = u,s− v R

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CAPITOLO 2. RELAZIONI CINEMATICHE 23 Vediamo ora il caso dello scorrimento angolare:

γ = α − ϕ

Per la denizione di prodotto vettoriale posso denire α nel seguente modo:

sin α = kt∗× tk

t∗ = x∗,s

Ora conviene considerare il seguente cambiamento di derivate: x∗,s∗ = x∗,s ds ds∗ = x ∗ ,s 1 1 + ε per cui: t∗ = x,s+ u,s 1 1 + ε = h 1 + u,s− v R  t + u R + v,s  n i 1 1 + ε Il prodotto vettoriale mi dà: t∗× t =u R + v,s  1 1 + εk e inne posso scrivere:

γ = arcsin  u R + v,s  1 1 + ε  − ϕ (2.3)

Svolgendo l'arcoseno in serie di Taylor si ha:

γ = +∞ X k=0  −12 k  (−1)k u R+ v,s 2k+1 2k + 1 1 1 + ε− ϕ

Anche in questo caso posso ottenere un'espressione molto più semplice per γ ipotizzando che gli spostamenti siano piccoli; tale ipotesi comporta il confondere l'angolo α con il suo seno (ovvero trascurare i termini della serie di Taylor superiori al primo) e inoltre, siccome ε << 1, lo trascuro.

γ ≈u R + v,s  1 1 + ε− ϕ ≈ u R + v,s  − ϕ (2.4) Riassumendo, per spostamenti arbitrari:

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CAPITOLO 2. RELAZIONI CINEMATICHE 24 ε = r  1 + u,s− v R 2 + u R + v,s 2 − 1 χ = −ϕ,s γ = arcsin  u R + v,s  1 1 + ε  − ϕ Mentre per piccoli spostamenti:

ε = u,s− v R χ = −ϕ,s γ = u R + v,s− ϕ

Dato che stiamo esaminando il caso di arco a raggio costante, può anche essere utile utilizzare come riferimento l'angolo θ di apertura dell'arco al posto dell'ascissa curvilinea s, sapendo che:

ds = R · dθ

Se indico con l'apice la derivazione rispetto a θ, posso scrivere:

ε = u 0− v R χ = −ϕ 0 R γ = u + v 0 R − ϕ

Può essere interessante osservare l'eetto su un arco di una singola com-ponente deformativa separatamente dalle altre: per farlo basta imporre che due componenti per volta siano uguali a zero e la terza sia costante e risolvere il sistema.

Ad esempio, se voglio osservare l'inuenza della sola deformazione assiale:            u,s− v R = ε −ϕ,s = 0 u R + v,s− ϕ = 0

Nel caso in cui u0 = 0, v0 = 0 e ϕ0 = 0, la seconda equazione fornisce

ϕ = 0su tutto l'arco. La terza equazione diventa: u

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CAPITOLO 2. RELAZIONI CINEMATICHE 25 Derivandola rispetto a s si ha:

u,s = −Rv,ss

e sostituendo quest'ultima nella prima ottengo il seguente sistema:          −Rv,ss− v R = ε ϕ = 0 u = −Rv,s

o anche, derivando rispetto a θ invece che a s:            −v 00+ v R = ε ϕ = 0 u = −v0

Risolvendo tale sistema di equazioni dierenziali con le condizioni al contorno già dette, si ha:

u = Rε sin θ v = Rε (cos θ − 1) ϕ = 0

Se invece voglio osservare l'inuenza della sola curvatura:            u,s− v R = 0 −ϕ,s = χ u R + v,s− ϕ = 0 Dalla prima equazione ottengo:

v = Ru,s

Derivandola rispetto a s si ha:

v,s= Ru,ss

e sostituendo quest'ultima nella terza: ϕ = u

(41)

CAPITOLO 2. RELAZIONI CINEMATICHE 26 Derivando quest'ultima rispetto a s e sostituendola nella seconda, ottengo il seguente sistema:            v = Ru,s −Ru,sss− u,s R = χ ϕ = Ru,ss+ u R o anche, derivando rispetto a θ invece che a s:

             v = u0 −u 000+ u0 R2 = χ ϕ = u 00+ u R

Risolvendo tale sistema di equazioni dierenziali (con u0 = 0, v0 = 0e

ϕ0 = 0), si ha:

u = R2χ (sin θ − θ) v = R2χ (cos θ − 1) ϕ = −Rχθ

Inne, se voglio osservare l'inuenza del solo scorrimento angolare:            u,s− v R = 0 −ϕ,s = 0 u R + v,s− ϕ = γ

Nel caso in cui u0 = 0, v0 = 0 e ϕ0 = 0, la seconda equazione fornisce

ϕ = 0su tutto l'arco. La prima equazione diventa: v = Ru,s

Derivandola rispetto a s e sostituendola nella terza ottengo il seguente sistema:            v = Ru,s ϕ = 0 Ru,ss+ u R = γ

(42)

CAPITOLO 2. RELAZIONI CINEMATICHE 27 o anche, derivando rispetto a θ invece che a s:

           v = u0 ϕ = 0 u00+ u R = γ

Risolvendo tale sistema di equazioni dierenziali con le condizioni al contorno già dette, si ha:

u = Rγ (1 − cos θ) v = Rγ sin θ ϕ = 0

Nelle gure 2.2-2.4 sono riportati degli esempi di deformate di un arco dovute ad una sola delle componenti deformative per volta, ottenuti utiliz-zando le espressioni trovate poc'anzi di u, v e ϕ; si noti in particolare che in gura2.4, in cui è presente solo lo scorrimento angolare, le sezioni riman-gono parallele a se stesse durante la deformazione e pertanto viene meno l'ortogonalità rispetto all'asse, come ci si aspettava.

Figura 2.2: Arco non deformato (verde) e arco deformato (blu) con ε = cost., χ = 0e γ = 0.

(43)

CAPITOLO 2. RELAZIONI CINEMATICHE 28

Figura 2.3: Arco non deformato (verde) e arco deformato (blu) con ε = 0, χ =cost. e γ = 0.

Figura 2.4: Arco non deformato (verde) e arco deformato (blu) con ε = 0, χ = 0 e γ = cost.

(44)

Capitolo 3

Equazioni d'equilibrio per travi

ad asse curvilineo

In questo capitolo si vogliono trovare le equazioni di equilibrio per una trave di curvatura qualsiasi e soggetta ad azioni assiali, trasversali e coppie uniformemente distribuite. Immaginiamo di prendere un segmento simme-trico di arco di raggio R insistente su un angolo al centro ϕ (vedi gura

3.1) soggetto a carichi trasversali p, carichi longitudinali q e coppie m tutti uniformamente distribuiti sulla parte di arco considerata; per l'equilibrio in direzione orizzontale, verticale e alla rotazione si ha rspettivamente:

Figura 3.1: Equilibrio di un segmento di arco

(45)

CAPITOLO 3. EQUAZIONI DI EQUILIBRIO 30 (N2− N1) cos ϕ 2 − (T2+ T1) sin ϕ 2 + Z ϕ 2 −ϕ2 q cos ϕR∗dϕ − Z ϕ 2 −ϕ2 p sin ϕR∗dϕ = 0 (T2− T1) cos ϕ 2 + (N2+ N1) sin ϕ 2 + Z ϕ 2 −ϕ 2 q sin ϕR∗dϕ + Z ϕ 2 −ϕ 2 p cos ϕR∗dϕ = 0 M2− M1+ Z ϕ 2 −ϕ 2 mR∗dϕ − (N2− N1)R − Z ϕ 2 −ϕ 2 qR∗2dϕ = 0

ove compare il raggio di curvatura nale R∗ in generale diverso da quello

iniziale R a causa della deformazione impressa dai carichi; svolgendo gli integrali si ottiene: (N2− N1) cos ϕ 2 − (T2+ T1) sin ϕ 2 + 2qR ∗sinϕ 2 = 0 (T2− T1) cos ϕ 2 + (N2+ N1) sin ϕ 2 + 2pR ∗ sinϕ 2 = 0 M2− M1+ mR∗ϕ − (N2− N1)R − qR∗2ϕ = 0

Immaginando ora che il segmentino di arco considerato sia molto piccolo, l'angolo al centro sarà un innitesimo dϕ, per cui:

N2 = N + dN N1 = N T2 = T + dT T1 = T M2= M + dM M1= M cosdϕ 2 ≈ 1 sindϕ 2 ≈ dϕ 2

(46)

CAPITOLO 3. EQUAZIONI DI EQUILIBRIO 31 Per piccoli spostamenti inoltre il raggio di curvatura iniziale e nale coincidono, per cui si ha:

(N + dN − N ) − (T + dT + T )dϕ 2 + 2qR dϕ 2 = 0 (T + dT − T ) + (N + dN + N )dϕ 2 + 2pR dϕ 2 = 0 M + dM − M + mRdϕ − (N + dN − N )R − qR2dϕ = 0 ovvero, semplicando: dN − T dϕ − dTdϕ 2 + qRdϕ = 0 dT + N dϕ + dNdϕ 2 + pRdϕ = 0 dM + mRdϕ − dN · R − qR2dϕ = 0

Ricordando che ds = Rdϕ e trascurando i termini di ordine superiore al primo si ottiene: dN −T Rds + q · ds = 0 dT +N Rds + p · ds = 0 dM + m · ds − dN · R − qR · ds = 0 Dividendo per ds ho:

dN ds = T R − q dT ds = − N R − p dM ds = −m + dN ds R + qR Sostituendo la prima equazione nella terza si ha:

(47)

CAPITOLO 3. EQUAZIONI DI EQUILIBRIO 32

dM

ds = −m + T

RR − qR + qR

Per cui in denitiva le equazioni di equilibrio sono quelle riportate nelle formule 3.1-3.3. dN ds = T R − q (3.1) dT ds = − N R − p (3.2) dM ds = T − m (3.3)

Essendo i carichi distribuiti costanti, è facile trovare una soluzione del sistema di equazioni dierenziali costituito dalle 3.1-3.3; derivando la 3.2

rispetto ad s e sostituendola nella3.1 si ottiene la seguente equazione die-renziale: d2T ds2 + T R2 = q R (3.4)

la cui soluzione risulta del tipo: T = A cos s

R + B sin s R + Rq Dalla3.2 e dalla3.3si ottengono invece le seguenti:

N = −RdT ds − Rp = A sin s R − B cos s R − Rp M = Z T ds + C = RA sin s R − RB cos s R + Rqs − ms + C

Immaginando che le condizioni al bordo siano del tipo T (0) = T0, N(0) =

N0 e M(0) = M0 e che l'altro estremo sia libero, le c.d.s. risultano:

T = (T0− Rq) cos s R − (N0+ Rp) sin s R + Rq N = (T0− Rq) sin s R+ (N0+ Rp) cos s R − Rp M = R (T0− Rq) sin s R+ R (N0+ Rp) cos s R+ Rqs − ms + M0− RN0− R 2p

(48)

Capitolo 4

Un legame costitutivo elastico

non lineare per elementi murari

presso-inessi

Lo studio della risposta meccanica di elementi in muratura si presenta, sin da subito, come un tema complesso, caratterizzato da una serie di pro-blematiche. Per prima cosa, la muratura è formata da un insieme di elementi lapidei o di laterizio (blocchi, pietre, mattoni) posti direttamente a contatto gli uni con gli altri, oppure legati insieme da giunti di malta. L'eterogeneità della muratura e Ie rilevanti dierenze che si riscontrano tra le caratteristiche meccaniche dei materiali che la costituiscono, fanno si che la muratura sia caratterizzata generalmente da:

• anisotropia: il comportamento varia fortemente a seconda della dire-zione in cui agisce lo sforzo;

• disomogeneità: il comportamento varia anche da punto a punto, a seconda della tessitura muraria, della forma e delle dimensioni degli elementi componenti;

• asimmetria: la risposta a sollecitazioni di compressione è nettamente diversa da quella a trazione;

Tutte queste caratteristiche originano una non linearità di comportamen-to sia a trazione che a compressione sia per i blocchi che per la malta e quindi per la muratura nel suo insieme. Di seguito si vuole però usare una trat-tazione semplicata della muratura studiandola come un continuo e senza tener conto dell'anisotropia1; il legame costitutivo viene schematizzato come

elastico non lineare e il legame sforzo-deformazione in uno stato di tensione monoassiale è rappresentato dalla spezzata di gura4.1.

1ciò risulta più veritiero nel caso degli archi in quanto essi possono essere trattati come

oggetti piani e quindi non soggetti ad azioni o a meccanismi di collasso fuori dal piano.

(49)

CAPITOLO 4. LEGAME ELASTICO NON LINEARE 34

Figura 4.1: Legame sforzo - deformazione idealizzato della muratura (stato di tensione monoassiale)

(50)

CAPITOLO 4. LEGAME ELASTICO NON LINEARE 35 Il legame è lineare nché le tensioni non rimangono comprese tra σc e

σt, rispettivamente le tensioni resistenti a compressione e a trazione, mentre

al di fuori la deformazione cresce a tensione costante; detto E il modulo di Young, abbiamo: σ =    σc per ε ≤ εc Eε per εc≤ ε ≤ εt σt per ε ≥ εt

in cui σc = Eεc e σt = Eεt. Si osservi che il materiale risulta molto

più resistente a compressione che a trazione, ovvero |σc| > σt, come

eet-tivamente si evince sperimentalmente (in alcuni casi è addirittura prudente trascurare la resistenza a trazione).

Fino ad ora la trattazione era valida per un qualunque elemento in mu-ratura; da qui in poi si tratterà invece il caso degli archi, ovvero di elementi-trave ad asse curvilineo. A causa del legame costitutivo non lineare in una data sezione quindi si possono avere, a seconda del grado di sollecitazione dell'elemento, zone non lineari all'intradosso o all'estradosso, a trazione o a compressione. Facendo l'ipotesi che le sezioni si mantengano piane, per in-tegrazione dalle tensioni normali si ottengono lo sforzo assiale e il momento ettente nei vari casi, riportati qui di seguito.

4.1 Domini elastici non lineari

Il caso classico trattato dalla Scienza delle Costruzioni è quello per cui tutta la sezione si trova in fase elastica; nei diagrammi deformazione assiale-curvatura o sforzo assiale-momento ettente indicheremo con E tale regione dello spazio. Com'è ben noto si ha:

N = EAε

M = EJ χ

in cui ε rappresenta la deformazione assiale e χ la curvatura; i diagrammi delle deformazioni e delle tensioni sono riportati per completezza in gura

4.2.

Considerando una sezione rettangolare di larghezza unitaria e altezza h, e volendo utilizzare delle c.d.s. adimensionalizzate, si ottiene:

n = N σch = Ehε Ehεc = ε εc m = − M σch2 = − Eh 3χ 12Eh2ε c = − χh 12εc

(51)

CAPITOLO 4. LEGAME ELASTICO NON LINEARE 36

Figura 4.2: Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una sezione tutta nel dominio elastico (regione E)

Se, per amor di sintesi, chiamo e = ε/εc e c = χh/εc, le precedenti

diventano:

n = e

m = − c 12

Nel caso in cui la tensione di compressione raggiunga la resistenza del materiale σc ma in nessun punto si sia raggiunta la resistenza a trazione σt,

la sezione è parzialmente non lineare a compressione; nei diagrammi ε-χ o n-m indicheremo tale regione con B.

Per il diagramma delle tensioni mostrato in gura 4.2 risulta ovvio che a raggiungere per prime le tensioni limite siano le estremità della sezione; se la curvatura è positiva, il graco delle tensioni sarà quello riportato in gura

4.3e le bre compresse si troveranno all'estradosso; pertanto è all'estradosso che le tensioni entreranno in zona non lineare (regione B+).

Figura 4.3: Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una sezione parzialmente non lineare a compressione (regione B+)

La lunghezza y1, che indica la quota della zona di non linearità rispetto

(52)

CAPITOLO 4. LEGAME ELASTICO NON LINEARE 37

y1=

ε − εc

χ

Invece di svolgere gli integrali si può vedere il diagramma delle tensioni come composto da una parte uniforme pari alla tensione limite di compres-sione (negativa) più una ad andamento lineare (e positiva), come mostrato in gura4.4.

Figura 4.4: Diagramma delle tensioni in una sezione parzialmente non lineare a compressione (regione B+), schema per il calcolo semplicato

In questo modo N, che è la risultante delle tensioni, sarà dato dalla somma delle aree (con segno) del rettangolo e del triangolo:

N = σch + 1 2(σe− σc)  h 2 + y1 

Sostituendo nella precedente σe= E(ε + χh/2), σc= Eεce l'espressione

di y1, si ottiene: N = E εh 2 + χh2 8 + εch 2 + (ε − εc)2 2χ  Volendo lo sforzo assiale adimensionalizzato come prima:

n = 1 2 ε εc +1 8 χh εc +1 2 + 1 2 εc χh  ε εc − 1 2 ovvero: n = e 2 + c 8+ 1 2+ (e − 1)2 2c

Per quanto rigurada il momento, si vede che è dato solo dal triangolo di gura 4.4, dato che il rettangolo ha braccio nullo rispetto all'asse della sezione, per cui:

M = 1 2(σe− σc)  h 2 + y1   2 3  h 2 + y1  − y1 

(53)

CAPITOLO 4. LEGAME ELASTICO NON LINEARE 38 Facendo tutte le dovute sostituzioni e semplicazioni si ottiene (in forma adimensionale): m = −e 8− c 24 + 1 8 + (e − 1)3 6c2

Nel caso invece la curvatura sia negativa, le bre compresse si troveranno all'intradosso; quando si esce dalla zona lineare si entra nella regione B−, in

cui si hanno i diagrammi delle tensioni e delle deformazioni di gura4.5.

Figura 4.5: Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una sezione parzialmente non lineare a compressione (regione B−)

La lunghezza y1 stavolta vale:

y1=

εc− ε

χ

Calcolando N ed M come in precedenza arrivo ad ottenere:

n = e 2 − c 8+ 1 2− (e − 1)2 2c m = e 8 − c 24 − 1 8 − (e − 1)3 6c2

Qualora si raggiunga invece per prima la resistenza a trazione del mate-riale ma non quella a compressione, si dice che la sezione è parzialmente non lineare a trazione e si trova nella regione D.

Anche stavolta devo distinguere due casi: deformazione a curvatura po-sitiva (D+, bre tese all'intradosso) o a curvatura negativa (D, bre tese

all'estradosso); nel primo caso i diagrammi delle deformazioni e delle tensioni sono riportati in gura 4.6.

La lunghezza y2, che indica la quota della zona di non linearità rispetto

all'asse dell'arco (passante per il punto medio della sezione) vale: y2 =

εt− ε

(54)

CAPITOLO 4. LEGAME ELASTICO NON LINEARE 39

Figura 4.6: Diagrammi delle deformazioni e delle tensioni lungo una sezione parzialmente non lineare a trazione (regione D+)

Anche in questo caso invece di svolgere gli integrali conviene scomporre il diagramma delle tensioni in un rettangolo positivo più un triangolo negativo, come mostrato in gura4.7.

Figura 4.7: Diagramma delle tensioni in una sezione parzialmente non lineare a trazione (regione D+), schema per il calcolo semplicato

In questo modo N, che è la risultante delle tensioni, sarà dato dalla somma delle aree (con segno) del rettangolo e del triangolo:

N = σth + 1 2(σe− σt)  h 2 + y2 

Sostituendo nella precedente σe= E(ε − χh/2), σt= Eεt e l'espressione

di y2, e semplicando come sopra si ottiene:

n = e 2 − c 8 + t 2− (t − e)2 2c Idem per il momento:

M = −1 2(σe− σt)  h 2 + y2   2 3  h 2 + y2  − y2 

Figura

Figura 1.3: Disegno della catenaria utilizzata per gli archi del Ponte S.trinita a Firenze, dall'originale
Figura 1.14: Costruzione graca per trovare la curva delle pressioni in un arco secondo il Méry (dall'originale)
Figura 1.17: Curva delle pressioni di un arco rispettosa del criterio del terzo medio interno
Figura 1.18: Tensioni su una sezione rettangolare all'aumentare delle sollecitazio- sollecitazio-ni
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