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Gli investimenti esteri nel diritto del commercio internazionale

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione ……….………..4

Capitolo I: Gli investimenti esteri: nozioni e problematiche giuridiche ……….………..7

1.1 Cenni storici ed evoluzione ………7

1.2 La nozione di investimento ………...10

1.2.1 La nozione economica ………..…10

1.2.2 La difficoltà di individuare una nozione giuridica di investimento……… ………..11

1.3 La nozione di investitore ………13

1.4 La tutela dei diritti dell’investitore ………....15

1.4.1 Il principio del trattamento giusto ed equo ……….17

1.4.2 La tutela dei diritti fondamentali e la responsabilità dell’investitore ………..19

1.5 Condizioni e limiti di esercizio del potere di espropriazione dello Stato………..22

1.5.1 La distinzione tra espropriazione e nazionalizzazione ….25 Capitolo II: Lo sviluppo dei meccanismi di governance in materia di commercio internazionale ……….…..27

2.1 L’Accordo GATT del 1947……….27

2.1.1 La Carta de L’Avana e la prevista istituzione dell’Organizzazione internazionale per il commercio…………..29

2.1.2 Gli obiettivi, i principi ispiratori, le deroghe e le eccezioni previste nell’accordo GATT……….……….32

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2.3 La nascita e l’evoluzione dell’OMC ……….39

2.3.1 Funzioni, principi e obiettivi dell’OMC ………..……40

2.3.2 La struttura organizzativa dell’OMC ………...43

2.3.3 I meccanismi di risoluzione delle controversie ………..….45

2.3.4 Segui: Configurabilità di una actio popularis? …………....49

2.4 La crisi dell’OMC e del sistema multilaterale ……….51

Capitolo III: Gli attori internazionali nel settore degli investimenti………...54

3.1 Le parti degli accordi internazionali: le imprese e gli Stati …54 3.1.1 Segue: la configurabilità di interessi contrapposti in capo alle parti coinvolte ……….56

3.2 Le organizzazioni non governative ………..58

3.3 Le principali Istituzioni internazionali attive nel settore degli investimenti esteri ……….60

3.4 Segue: Le Organizzazioni internazionali a carattere regionale……….………61

3.5 Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ………65

3.5.1 Segue: Origini e struttura ..………..……..65

3.5.2 Il ruolo di assistenza finanziaria ….………..71

3.5.3 Le fonti di finanziamento ………73

3.6 Il gruppo della Banca Mondiale ………...76

3.6.1 Segue: origine, struttura e attività della BM nel settore degli investimenti ………..……….…76

3.6.2 Le Istituzioni componenti il gruppo ….……….80

Capitolo IV: Gli strumenti internazionali di tutela garantiti a favore dell’investitore straniero …………..………..81

4.1 Le origini e le condizioni di utilizzo dello strumento della protezione diplomatica a tutela degli investitori stranieri ….…..81

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4.2 Il ruolo svolto dal tribunale ICSID nell’ambito delle

controversie relative agli investimenti stranieri ………..………..86

4.2.1 Gli aspetti istituzionali, procedurali e la legge applicabile in relazione alla soluzione delle controversie………87

4.2.2 I requisiti necessari per l’attivazione della procedura di fronte al Centro………..90

4.2.3 L’esecuzione delle sentenze emesse dai tribunali ICSID e motivi di annullamento………..91

4.3 L’attività della MIGA dalle origini fino ai giorni nostri ……….92

4.3.1 I requisiti rationae materiae: l’investimento………...93

4.3.2 I requisiti rationae personae: l’investitore………94

4.3.3 Le tipologie di rischi assicurati dalla MIGA...………95

4.3.4 L’istituto della surroga e la soluzione delle controversie...………97

Conclusioni ………...99

Bibliografia ………102

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Introduzione

Nello scenario delle relazioni internazionali contemporanee si è assistito alla diffusione del fenomeno della globalizzazione. Riportando la definizione utilizzata dall’OCSE, possiamo definire la globalizzazione come un “processo in cui i mercati e la produzione effettuata nei diversi Stati diventano sempre più dipendenti tra di loro a seguito dello scambio di beni e servizi e del movimento di capitale e tecnologia”.

La globalizzazione così intesa è passata attraverso varie tappe, a partire in particolare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, momento in cui si è assistito alla necessità di strutturare un nuovo sistema economico-finanziario e commerciale.

In questo contesto di rinnovata spinta verso una forma di cooperazione tra gli Stati, gli investimenti privati stranieri ne rappresentano un ulteriore slancio, ricoprendo una funzione fondamentale non solo in ambito economico ma anche giuridico-politico.

Benchè le prime forme di investimenti privati stranieri risalissero ad epoche passate, è come vedremo nei capitoli a seguire, con la Seconda Guerra Mondiale e in particolare con gli Accordi di Bretton Woods che si assiste alla volontà e alla necessità di protezione di tali strumenti attraverso appositi trattati internazionali.

Accanto alle Istituzioni internazionali istituite a seguito degli Accordi di Bretton Woods, la BM e il FMI, è utile ripercorrere le tappe che hanno portato all’istituzione dell’OMC, Organizzazione sostitutiva del GATT, avente l’obiettivo di riduzione e abbattimento delle barriere tariffarie per una maggiore liberalizzazione del commercio internazionale.

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Contestualmente alle esigenze di tutela iniziò a farsi spazio anche la necessità di individuare e definire il concetto di investimento straniero.

Gli investimenti stranieri, a tal proposito, rivestono un fattore di crescita non soltanto nazionale ma anche internazionale in relazione allo Stato ospitante l’investimento.

Come vedremo nei capitoli a seguire è possibile individuare una pluralità di definizioni dell’investimento a seconda dell’ambito di riferimento, le quali possono essere oltre che giuridiche anche di natura economica.

La definizione di investimento non può essere inquadrata e definita solamente nell’ambito del diritto ma deve essere estesa anche all’ambito economico, in quanto gli investimenti hanno alla loro base una forte componente economica derivante dall’attività degli operatori.

Attraverso il diritto si è voluto tutelare un’attività che seppur nata in un contesto economico, da qualche anno a questa parte si è annessa al concetto di globalizzazione.

Se in ambito economico non si pongono particolari problematiche, è con riferimento alla nozione giuridica che si incontrano particolari difficoltà, dovute principalmente dall’assenza di una definizione univoca nelle fonti di diritto internazionale e dalla pluralità invece delle definizioni contenute nei singoli trattati bilaterali.

Al fine di ricostruire la nozione di investimento non possiamo poi dimenticare, nell’ultimo capitolo, il ruolo svolto in tal senso dall’istituto della protezione diplomatica fino ad arrivare agli importanti passi in avanti compiuti in seno alla Convenzione di Washington e alla Convenzione di Seul, al termine delle quali videro la luce rispettivamente l’ICSID, finalizzata alla protezione degli investimenti stranieri attraverso procedure di arbitrato e

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conciliazione e la MIGA, l’ultima delle Istituzione delle Organizzazioni internazionali facenti parte del Gruppo della BM e perseguente finalità di sviluppo e promozione degli investimenti stranieri in PVS.

Questo elaborato si propone di ripercorrere le varie tappe che hanno portato allo sviluppo del settore del commercio internazionale relativo agli investimenti stranieri dai primi tentativi di accordi fino ad oggi, con una sempre maggiore attenzione alle delicate tematiche della tutela dei diritti fondamentali e dell’ambiente attraverso una politica di sviluppo sostenibile.

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CAPITOLO I: Gli investimenti esteri: nozioni e

problematiche giuridiche

1.1 Cenni storici ed evoluzione

In passato, le relazioni economiche e finanziarie tra Stati hanno oscillato tra forme di protezionismo, politiche volte quindi a proteggere le attività nazionali ostacolando la libera concorrenza di Stati esteri, e forme di liberismo, politiche imperniate sulla libertà sia nel mercato sia nella concorrenza.

Forme di liberismo si sono avute in particolare dalla seconda metà del XIX secolo fino alla Prima Guerra Mondiale, con una generale astensione degli Stati a disciplinare il settore economico commerciale lasciando “carta bianca” alle regole vigenti del mercato.

Terminato questo periodo si è assistito ad un graduale e forte ingresso di forme protezionistiche, con i governi degli Stati che realizzarono un intervento nell’economia non solo nazionale ma anche nei rapporti con gli altri Stati.

Nel periodo successivo a questo forte impatto protezionistico e in particolare successivamente alla Seconda Guerra Mondiale, fino ai giorni nostri, le relazioni economiche sono tornate ad essere disciplinate da correnti liberistiche, seppur nelle forme del liberismo garantito.

Tale liberismo permette agli Stati di muoversi liberamente nel mercato, con la presenza però di un controllo da parte delle istituzioni e organizzazioni internazionali adibite a ciò, volte a disciplinare regole di condotta dei flussi generati dalle parti. In questo rinnovato clima si va ad inserire il primo prototipo di accordo bilaterale in materia di investimenti. Tale accordo fu concluso tra Germania e Pakistan nel 1959, avente come

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obiettivo quello di tutelare la proprietà privata dell’investitore da eventuali aggressioni o requisizioni dello Stato ospitante1.

L’intensificarsi nella seconda parte del Novecento dello sviluppo e apertura degli Stati al settore relativo agli investimenti a portato ad un maggiore interesse e intervento della normativa internazionale, la quale ha predisposto una disciplina ancora più dettagliata dei rapporti tra investitori stranieri e Stati ospitanti, rispetto ai primi esempi di trattati bilaterali.

Le relazioni economiche ispirate al liberismo, seppur garantito, ha messo in luce però una frattura esistente tra i paesi ad economia di mercato e i paesi ad economia socialista.

Con la dissoluzione dell’URSS questa frattura si è risanata, portando alla realizzazione di una comunità in cui rivestono una posizione particolare i Paesi in via di sviluppo (PVS), i quali sin dai primi anni di indipendenza necessitavano di un sostegno della ex-madrepatria che ne comportava una loro subordinazione non solo politica ma anche economica.

I PVS presero coscienza delle loro esigenze, mettendo a nudo insufficienze del diritto internazionale tradizionale, in quanto non realmente universale. Questa presa di coscienza è stata riconosciuta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite attraverso l’adozione di dichiarazioni di principi in materia.

Tra tali dichiarazioni, significativa è quella relativa all’instaurazione del Nuovo Ordine Economico2, avente l’obiettivo

di ricostruire e rivedere le regole poste alla base dell’ordine economico internazionale per basarlo sui nuovi principi cardine delle relazioni commerciali, quali quelli dell’equità e dell’uguaglianza, nonché della cooperazione tra gli Stati.

1 Bruni Emilia, Ministero Dello Sviluppo Economico – D.G. per la Politica

Commerciale Internazionale, L’evoluzione del diritto degli investimenti, breve

prospettiva storica, p. 90.

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Questa necessità di universalità del settore ha portato ad una disciplina degli investimenti non solo attraverso disposizioni interne adottate dai singoli Stati ma anche attraverso norme consuetudinarie internazionali e accordi.

Va detto che ad oggi non esiste una regolamentazione multilaterale in materia. Un tentativo in tal senso era stato fatto nel 1998 dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)3.

Da tale tentativo fallito si è aperta la strada allo sviluppo di trattati bilaterali (BITs) e regionali4.

Un ruolo di supplenza ulteriore è stato svolto anche dalla giurisprudenza arbitrale, che ha portato ad una universalizzazione dell’arbitrato quale strumento di risoluzione delle controversie sorte tra investitore straniero e Stato ospitante5.

L’elenco degli accordi bilaterali è sempre più crescente, specialmente negli ultimi anni. Tutti questi accordi hanno come predecessori i Trattati di Amicizia, Commercio e Navigazione, che furono stipulati tra l’800 e il ‘9006.

Comunque, da meno di 100 accordi negli anni Sessanta, si è passati a circa 170 negli anni Settanta, circa 400 negli anni Ottanta a circa 2000 alla fine degli anni Novanta7.

Possiamo concludere che questo aumento progressivo del numero di accordi bilaterali è principalmente dovuto allo stato di incertezza del diritto internazionale consuetudinario ed è volto a diminuirne tale grado d’incertezza.

3 V. Capitolo III, par. 3.4 4 V. Capitolo III, par. 3.2.1

5 FALZEA, GROSSI, CHELI, Enciclopedia del diritto, Vol 4, Giuffrè, 2011. 6 V. Trattato tra Francia e Stati Uniti del 6 febbraio del 1778.

7 GIARDINA, Gli accordi bilaterali sugli investimenti e l’accordo nordamericano di libero scambio, in Enciclopedia degli Idrocarburi, 2007, p. 540.

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10 1.2 La nozione di investimento

1.2.1 La nozione economica

Dal punto di vista economico non vi è un’unica definizione di investimento.

La definizione subisce, infatti, delle variazioni dovute all’ambito in cui l’investimento si va a collocare.

In generale, possiamo definire l’investimento come l’attività finanziaria di un soggetto, qualificato come investitore, volta ad accrescere la propria ricchezza attraverso l’impiego di determinate risorse.

L’investimento così definito si compone di quattro elementi: a) il capitale iniziale, il quale è formato dai risparmi oppure da crediti ottenuti da istituti preposti a tale servizio, quali le banche; b) le tempistiche per il recupero del capitale iniziale, valutate in relazione al rapporto intercorrente tra il fattore tempo e il fattore denaro; poichè una tempistica lunga può portare ad una contrazione del guadagno o comunque sia ad un aumento del livello di incertezza sull’eventualità del recupero stesso; c) il guadagno, che consiste in un profitto economico o utile; d) il rendimento, che corrisponde al tasso d’interesse e cioè al rapporto fra incremento di valore dell’investimento e valore iniziale; e) infine il rischio finanziario, con cui si intende la probabilità di ottenere un rendimento più basso su un investimento rispetto a quello atteso, come nel caso dei titoli azionari, i quali sono contraddisti da un rischio finanziario piuttosto alto.

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1.2.2 La difficoltà di individuare una nozione giuridica d’investimento

Se dal punto di vista economico assistiamo ad una pluralità di definizioni, dal punto di vista giuridico, nel diritto internazionale manca una definizione universalmente accettata di investimento. A tal proposito è stato sottolineato in dottrina che “si fa ricorso ad una nozione ampia di investimento, tesa a ricomprendere l’insieme dei capitali, beni strumentali o servizi, immessi da privati, persone fisiche o giuridiche, nel territorio di uno Stato diverso da quello di cui essi hanno la nazionalità”8.

Questa lacuna è stata in parte colmata dai trattati internazionali9,

i quali danno però una definizione frammentata.

Tra i trattati, in particolare, possiamo fare riferimento da un lato alle posizioni delle Convenzioni di Washington e di Seul, rispettivamente costitutive dell’ICSID e della MIGA10 e dall’altro

alla Banca Mondiale (BM).

Nella Convenzione di Washington si assiste ad una forte elasticità, della nozione di investimento, tale da lasciare un ampio margine di discrezionalità alle parti dell’accordo di indicare i beni e le attività che potranno rientrare ogni volta nella suddetta categoria.

Nella Convenzione di Seul, nonostante anche qui non vi sia una definizione precisa, si assiste però ad una delimitazione dell’investimento, dal momento in cui vengono indicati i beni e le attività garantiti dalla MIGA; attività che devono necessariamente perseguire finalità produttive ben precise e destinate ad apportare benefici, sia all’investitore straniero attraverso il profitto generato

8 V. SCISO, Appunti di diritto internazionale dell’economia, Giappichelli

Editore, Terza edizione, Torino, 2017.

9 Cfr. NAFTA, il quale offre una definizione di investimento all’art. 1139. 10 V. CAP. IV

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dall’investimento, sia allo Stato ospitante relativamente allo sviluppo del paese.

Per quanto riguarda la posizione della BM, quest’ultima nelle proprie Guidelines11 manca totalmente di dare una definizione di

investimento. In questo clima di assenza totale di definizione si sono verificati scontri tra due fazioni di Stati in merito a tale questione. Da un lato gli Stati capitanati dagli Stati Uniti, che propendevano per una definizione elastica onnicomprensiva sia degli investimenti diretti che di portafoglio; dall’altro gli Stati asiatici, i quali propendevano per una definizione ristretta soltanto agli investimenti diretti.

In merito alla definizione di investimento, oltre ai trattati internazionali, è intervenuta anche la giurisprudenza arbitrale. In tale direzione possiamo fare riferimento al test Salini, il quale nell’ambito dell’arbitrato ICSID dà una nozione di investimento, che per essere qualificato come tale deve rispondere a quattro parametri: a) apporto di denaro e/o capitali; b) durata dell’operazione; c) rischio dell’investitore; d) contributo allo sviluppo del paese ospitante.

Per la verità l’ultimo di questi parametri è tutt’ora controverso, a tal punto che molti tribunali hanno utilizzato solo i primi tre parametri ai fini della qualificazione dell’investimento12.

A livello nazionale, invece, ogni accordo bilaterale concluso dall‘Italia prevede una definizione di investimento. A titolo esemplificativo andiamo a vedere il disegno di legge n° 1956, Ratifica ed esecuzione dell‘accordo tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo del Turkmenistan sulla

11 Le Guidelines on the Treatment of Foreign Direct Investment sono 5 ed

ognuna ha il proprio oggetto: la prima riguarda l’ambito di applicazione; la seconda riguarda l’ammissione degli investimenti esteri; la terza il trattamento degli investimenti; la quarta riguarda le espropriazioni; la quinta concerne la risoluzione delle eventuali controversie.

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promozione e protezione degli investimenti fatto a Roma il 25 novembre 200913.

Possiamo quindi affermare che tutt‘oggi, nell’ambito del diritto internazionale consuetudinario, manchi una definizione organica di investimento.

1.3 La nozione di investitore

Come nel caso della nozione di investimento, non esiste una definizione organica di investitore.

Possiamo iniziare distinguendo tra persone fisiche e persone giuridiche, in quanto entrambe possono assumere tale qualità. Per quanto riguarda le persone fisiche, la qualità di investitore può essere assunta attraverso il requisito della cittadinanza; permettendo così, di includere nel concetto di investitore, tutti quei privati, cittadini di uno Stato parte del trattato, che realizzano investimenti nel territorio dell’altro Stato contraente.

Nell’ipotesi in cui l’investitore abbia la doppia cittadinanza, sia quindi cittadino di entrambi gli Stati parte dell’accordo, prevale il criterio del genuine link14, e cioè la cittadinanza dello Stato con il

quale risulti collegato l‘investitore.

Nel caso delle persone giuridiche, per potersi applicare il regime degli accordi bilaterali è necessario che la persona giuridica abbia la nazionalità dello Stato secondo le cui leggi, la società risulta

13 In tale accordo viene data una definizione di investimento, quale: ”Per

investimento si intende ogni tipo di bene investito, tra cui diritti di proprietà su beni mobili e immobili, compresi diritti reali di garanzia su beni di terzi quando essi possano costituire oggetto di investimento, azioni, obbligazioni, quote di partecipazione, crediti finanziari, diritti di proprietà intellettuale, diritti attribuiti per legge, per contratto o in virtù di licenze e concessioni rilasciate in base alla legislazione nazionale per l‘esercizio di attività economiche”.

14 Cfr. Corte internazionale di giustizia, caso Nottebohm (Liechtenstein v.

Guatemala), sul legame effettivo Stato – genuine link; in cui il Liechtenstein chiedeva che il Guatemala fosse costretto a riconoscere Friedrich Nottebohm suo cittadino.

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14 costituita.

Inoltre, nel caso delle persone giuridiche si può fare riferimento sia a criteri formali che sostanziali. Tra i criteri formali, presi in considerazione, vi sono il luogo di costituzione della società e quello della sede sociale (sulla base di questi criteri vige il principio di nazionalità).

Tuttavia sono molti i BITs che fanno ricorso al criterio sostanziale del controllo in base al quale, possono usufruire della tutela accordata dal BIT, le società il cui capitale è controllato in maggioranza da azionisti che siano cittadini di uno Stato contraente, anche quando risultano costituite secondo le leggi dell’altro Stato parte dell’accordo.

Sul punto però è intervenuta la Corte Internazionale di giustizia, la quale ha ritenuto più opportuni i criteri formali nel disciplinare la posizione delle persone giuridiche in vesti di investitori stranieri. Definito così l’ambito attinente alla nozione di investitore, sappiamo che l’ammissione degli investimenti esteri rientra nella più ampia tematica dell’ammissione e del trattamento degli stranieri e dei loro beni.

In proposito il diritto internazionale riconosce sul punto ampia libertà agli Stati di disciplinare la relativa regolamentazione; tale libertà è estesa anche all‘ambito degli investimenti stranieri. Questa libertà non è però assoluta, in quanto può essere limitata attraverso la previsione di eventuali obblighi derivanti dal diritto internazionale consuetudinario.

A tal proposito possiamo citare le cosiddette “norme di stabilimento“, le quali in virtù della loro previsione in trattati, garantiscono il diritto per gli investitori di entrambi gli Stati

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contraenti di stabilirsi e svolgere attività all’interno del territorio dell‘altra parte15.

Ciò significa che il diritto internazionale riconosce libertà agli Stati in merito alle condizioni di accesso degli investitori ma tutto ciò deve avvenire in conformità ad eventuali standard minimi pattuiti a livello consuetudinario.

1.4 La tutela dei diritti dell‘investitore

Il problema del trattamento degli investimenti esteri va ricondotto nel più ampio ambito relativo al trattamento degli stranieri e dei loro beni.

Dal punto di vista del trattamento degli stranieri, sono due i principi di diritto internazionale che possiamo affrontare.

Il primo principio prevede che lo Stato non possa imporre prestazioni allo straniero che non si giustifichino con un sufficiente attacco, dello stesso o dei suoi beni, con la comunità territoriale dello Stato ospitante.

Il secondo sancisce invece l’obbligo di protezione da parte dello Stato ospitante, il quale deve predisporre a tal fine, misure idonee a prevenire e reprimere le offese contro la persona e i beni dello straniero16.

Tuttavia, pur in presenza di queste norme internazionali, manca una determinazione precisa e concreta dei comportamenti che debbono essere imposti allo Stato ospitante.

Viene così utilizzato il principio dello standard minimo internazionale, il quale viene però ritenuto insufficiente come

15 Sull’arg. V. Comunicato stampa ”Trasporto aereo: la Commissione apre

procedure di infrazione nei confronti di Francia, Germania, Austria e Finlandia relative agli accordi stipulati con la Russia per il sorvolo della Siberia” del 28 ottobre 2010.

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strumento di tutela a fronte dei rischi ai quali è esposto l‘investitore straniero.

Questa situazione ha portato ad un aumento considerevole di accordi bilaterali i quali, accanto allo standard minimo internazionale, prevedono altri obblighi specifici a tutela dell’investimento e dell’investitore.

Tali obblighi riguardano: a) il trattamento non discriminatorio; b) il trattamento nazionale; c) il trattamento della nazione più favorita; d) il trattamento giusto ed equo.

Analizzeremo tutti questi obblighi, soffermandoci in particolare sul punto relativo al trattamento giusto ed equo.

Questi criteri hanno trovato anche una loro disciplina all‘interno di un‘organizzazione internazionale, la World Trade Organization17

(WTO),la quale gestisce una pluralità di accordi18.

Passando in rassegna i vari criteri, per: a) trattamento non discriminatorio si intende un criterio “negativo“ che impone un obbligo di non fare allo Stato ospitante, un obbligo cioè di non adottare misure discriminatorie nei confronti degli investitori stranieri. Rappresenta quindi il principio cardine, il quale si articola in due sotto-criteri, quello interno che prende il nome di trattamento nazionale e quello esterno che prende il nome di trattamento della nazione più favorita; b) trattamento nazionale si intende il criterio per cui lo Stato ospitante si impegna a garantire, agli investimenti esteri effettuati nel proprio territorio, un trattamento non diverso da quello garantito agli investimenti nazionali; tuttavia affinchè lo straniero possa beneficiarne è necessario che si trovi in situazioni analoghe a quelle relative all‘investitore nazionale; c) trattamento della nazione più favorita,

17 Organizzazione internazionale a cui è demandata la funzione di disciplina e

liberalizzazione del commercio internazionale; istituita in origine per colmare le lacune emerse nel sistema del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT).

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il quale comporta che agli investitori di uno dei due Stati contraenti venga concesso un trattamento non meno favorevole rispetto a quello che l‘altra parte concede o concederà, nello stesso ambito di riferimento, ad uno Stato terzo19.

1.4.1 Il principio del trattamento giusto ed equo

Un particolare approfondimento merita l’obbligo di trattamento equo e giusto al quale abbiamo già fatto riferimento nel precedente paragrafo.

Lo standard del trattamento giusto ed equo è una clausola ricorrente nei trattati bilaterali di investimento. Si tratta perlopiù di una formula piuttosto generica, il cui contenuto è tutt’altro che chiaro e definito.

Diversi accordi bilaterali mettono in relazione il ”Fair and Equitable Treatment” (FET) con i principi del trattamento nazionale e del trattamento della nazione più favorita i quali garantiscono, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’eguaglianza giuridica rispettivamente tra investitori stranieri e nazionali e tra investitori stranieri appartenenti ad uno degli Stati contraenti e quelli di uno Stato terzo20.

Proprio per il fatto di essere di fronte ad una clausola generica, svolge un ruolo chiarificatore la giurisprudenza arbitrale. Grazie alla giurisprudenza arbitrale, il giudice partendo da un principio generale del diritto internazionale ne ricava una regola da applicare al caso concreto, e attraverso una prassi uniforme quella regola si stabilizza andando a confluire all’interno del FET. Per dare maggiore chiarezza in merito al trattamento giusto ed

19 SCISO, Appunti di diritto internazionale dell’economia, Giappichelli Editore,

Terza edizione, Torino, 2017.

20 V. The Argentinian – Spain BIT, ”Agreement for the Reciprocal Promotion

and Protection of Investments between the Kingdom of Spain and the Argentine Republic“ all‘art. 4.

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equo, viene fatto ricorso a tre elementi ritenuti necessari per poterlo definire.

Questi elementi sono il “Due Process”, il principio di proporzionalità e il principio delle legittime aspettative.

Per quanto riguarda l‘ultimo di questi elementi il principio delle legittime aspettative, si intende la protezione dell‘affidamento riposto dall‘investitore straniero nella condotta dello Stato ospitante.

L‘affidamento può trovare la propria ragion d‘essere o nel contratto, in un atto legislativo o in delle promesse della Pubblica Amministrazione.

A tal proposito si veda il caso Italia - Athena Investments, in cui l’Italia ha violato la Carta dell’Energia sotto il profilo delle legittime aspettative.

In tale caso si afferma che "l’Italia dovrà pagare un risarcimento pari a 7,4 milioni di euro a causa del taglio degli incentivi al fotovoltaico deciso dal governo italiano nel 2015. Lo ha stabilito la Camera di Commercio di Stoccolma sulla scorta del trattato sulla Carta dell’Energia; a beneficiarne sarà Athena Investments che deteneva, con la società Greentech Energy Systems, nel nostro paese impianti fotovoltaici per una capacità installata totale di 31 MW”21.

L’elemento relativo al Due Process si basa sulla possibilità per l‘investitore di accedere alla giustizia in caso di lesione di un proprio diritto, di veder garantito un processo equo, e di poter partecipare ai procedimenti amministrativi riguardanti il proprio investimento.

Il principio di proporzionalità invece ha come oggetto quello delle

21 e – gazzette.it, Il taglio degli incentivi al fotovoltaico ci costerà oltre 7 milioni.

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misure di pubblico interesse suscettibili di incidere in maniera negativa sui diritti dell‘investitore.

Queste misure di pubblico interesse devono corrispondere a determinati parametri per non incorrere in una violazione del diritto dell‘investitore.

Parametri che sono quelli dell‘adeguatezza e della necessità della misura.

1.4.2 La tutela dei diritti fondamentali e la responsabilità dell’impresa straniera

Una questione particolarmente delicata attiene all’esigenza di conciliare business e rispetto dei diritti umani fondamentali. Questa tematica, relativa alla tutela dei diritti umani fondamentali, è sempre più al centro negli ultimi anni dell‘attenzione del diritto internazionale.

Le imprese, così come gli Stati, sono oggi chiamate ad identificare e affrontare i rischi relativi ad eventuali conseguenze, sull‘ambiente e sui diritti, derivanti dalle rispettive condotte. Negli ultimi anni si è così assistito ad una più larga applicazione dei diritti umani, per tutelare l‘individuo non più solo da un comportamento illecito dello Stato, ma anche se tale comportamento è proveniente dall‘impresa.

A tal proposito il professore John Ruggie nel 2005, dopo essere stato nominato dall‘allora segretario generale delle Nazioni Unite elaborò i cosiddetti Guiding Principles, al cui interno si trovano indicati i doveri e gli obblighi degli Stati e delle imprese, in tema di tutela dei diritti.

Questi principi riguardano: a) l‘obbligo degli Stati di proteggere i diritti umani (”States must protect against human rights abuse within their territory and/or jurisdiction by third parties, including

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business enterprises. This requires taking appropriate steps to prevent, investigate, punish and redress such abuse through effective policies, legislation, regulation and adjudication”); b) la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani (”Business enterprises should respect human rights. This means that they should avoid infringing on the human rights of others and should address adverse human rights impacts with which they are involved“); c) la necessità di garantire l‘accesso ai rimedi giurisdizionali da parte delle vittime degli abusi (”As part of their duty to protect against business related human rights abuse, States must take appropriate steps to ensure, through judicial, administrative, legislative or other appropriate means, that when such abuses occur within their territory and/or jurisdiction those affected have access to effective remedy“)22.

I tre principi, oltre a definire gli obblighi dei soggetti coinvolti, definiscono anche le policy che devono essere adottate dagli Stati e dalle imprese, come ad esempio la Responsabilità sociale dell‘impresa, la tutela dei lavoratori ecc.

Nel corso degli ultimi anni si è avuta un‘attenzione crescente anche per la cosiddetta “sostenibilità sociale“, che corrisponde al diritto degli individui alla salute e ad un ambiente salubre. Relativamente alla sostenibilità sociale possiamo far riferimento alla Comunicazione UE n° 681 del 2011 con cui l‘ Unione Europea ha posto in essere una strategia in materia di responsabilità sociale dell‘impresa.

Responsabilità sociale (RSI), che in passato veniva definita dalla Commissione europea come “l‘integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti

22 V. Guiding Principles On Business And Human Rights, on Implementing the

United Nations ”Protect, Respect and Remedy“ Framework, United Nations, New York and Geneva, 2011.

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21 interessate“.

Nell‘ambito della Comunicazione UE del 2011, la Commissione diede vita ad una nuova definizione del concetto di responsabilità sociale, quale “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società“.

Per le imprese un aiuto alla comprensione dei principi in materia è fornito anche dai principi riconosciuti sul tema a livello internazionale23.

L‘esigenza che soggiace a questo intervento del diritto internazionale è quella di bilanciare da un lato l‘interesse dell‘impresa a massimizzare i profitti, dall‘altro quella di garantire la protezione dei diritti fondamentali oltre che dell‘ambiente. A tal proposito, un intervento volto a redigere norme relative alla responsabilità delle imprese multinazionali in merito al rispetto dei diritti e delle regole sull‘ambiente, si è avuto attraverso le cosiddette Norms, elaborate da una commissione interna delle Nazioni Unite.

Le Norms, pur non avendo carattere vincolante, disciplinano un elenco di obblighi, posti a carico delle imprese, volti a tutelare i diritti in questione: a) il diritto ad un trattamento equo, b) il diritto alla sicurezza personale, c) il diritto del lavoratore, d) la protezione dei consumatori e dell‘ambiente.

A) il diritto ad un trattamento equo impone alle imprese di non porre in essere condotte discriminatorie, nei confronti dei lavoratori, basate sulla razza, il colore, il sesso, la lingue e le opinioni politiche; b) il diritto alla sicurezza personale impone alle imprese di non porre in essere crimini contro l‘umanità, crimini di guerra e atti di tortura; c) il diritto del lavoratore impone alle imprese di garantire ottime condizioni di lavoro in conformità al

23 A tal proposito Cfr. i 10 Principi delle “United Nations Global Compact”,

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diritto internazionale e nazionale in materia, nonchè di assicurare il diritto di associazione e la libertà sindacale; d) infine, per quanto riguarda la protezione dei consumatori, le imprese devono garantire una adeguata qualità dei beni e servizi offerti; mentre in materia ambientale, le imprese devono porre in essere una valutazione dei possibili rischi, per la salute della popolazione e la tutela dell‘ambiente, delle iniziative economiche svolte24.

1.5 Condizioni e limiti di esercizio del potere di espropriazione dello Stato

Il tema relativo al potere espropriativo dello Stato ha fatto il suo ingresso nell‘ambito del diritto internazionale a partire dal XX secolo come risposta alle tante nazionalizzazioni operate dai vari paesi, quali la Russia e il Messico, che andavano a costituire una sorta di possibile contrasto tra lo Stato ospitante e lo Stato a cui apparteneva l’investitore straniero.

Nell’ambito dell’espropriazione, la problematica più urgente era costituita dall‘indennizzo a favore dell‘investitore che avesse subito l‘espropriazione.

Le problematiche non riguardano il diritto alla corresponsione dell‘indennizzo, ma la sua quantificazione, che fu oggetto di controversia tra Stati ospitanti e Stati nazionali degli investitori. Secondo questi ultimi l‘indennizzo corrisposto deve rispondere ai criteri elaborati nel 1938 dall‘allora Segretario generale di Stato americano Cordell hull, il quale fu il primo a provare a disciplinare le modalità, in una nota rivolta al Ministro degli Esteri messicano, il quale aveva espropriato le proprietà fondiarie di cittadini

24SCISO, Appunti di diritto internazionale dell‘economia, Giappichelli Editore,

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23 americani25.

Secondo Cordell Hull, l‘indennizzo doveva essere “pronto, adeguato ed effettivo (Prompt, adequate and effective) e cioè doveva essere immediatamente successivo all‘espropriazione dei beni, corrispondere al loro valore e versato in moneta convertibile26.

Questa definizione di indennizzo di Hull è stata accolta anche nelle Guidelines della Banca Mondiale (BM), in particolare quella relativa alla quarta.

La quarta Guidelines affronta il difficile tema delle espropriazioni disposte dallo Stato ospitante nei confronti dell‘investitore straniero27.

In proposito utilizza criteri già usati in passato, come quelli utilizzati da Cordell Hull, specificandosi che lo Stato ospitante può procedere a espropriazione o misure analoghe solo se vi ravvisi un motivo di pubblico interesse e dietro appropriato indennizzo, cioè “adequate, effective and prompt“.

La quarta Guidelines indica anche le caratteristiche che l‘indennizzo deve possedere per essere definito come appropriato.

L‘indennizzo è adeguato se corrisponde al prezzo di mercato del bene espropriabile; è effettivo se viene corrisposto in moneta convertibile; è pronto se viene pagato immediatamente all‘espropriazione.

La Guidelines disciplina anche il caso in cui l‘investitore abbia violato le norme interne dello Stato ospitante. In tal caso,

25 HACKWORT, Digest of International Law, Vol 3, Washington, USGPO,

1942.

26 RONZITTI, Introduzione al Diritto Internazionale, Giappichelli, V edizione,

2016.

27 V. World Bank, Guidelines on the Treatment of Foreign Direct Investments

alla quarta Guideline relativa a ”Expropriation and Unilateral Alterations Or Termination Of Contracts”.

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24

quest‘ultimo può procedere all‘espropriazione anche senza pagare l‘indennizzo o pagarlo in misura ridotta28.

La formula Hull, oltre che nella quarta Guidelines, trova riscontro anche nel Progetto di accordo multilaterale degli investimenti dell‘OCSE.

La definizione di indennizzo data da Hull, e ripresa sia dall‘OCSE che dalla Banca Mondiale, è stata invece non accolta dagli Stati ospitanti, i quali non hanno mai contestato l‘obbligo di versamento di un indennizzo, ma che questi dovesse essere corrisposto tenendo conto delle norme interne dello Stato ospitante e delle sue capacità economiche finanziarie.

Questa concezione di indennizzo in tema di potere espropriativo dello Stato ospitante è stata fatta propria anche dalla Carta dei diritti e doveri economici degli Stati29.

Si può quindi affermare che sebbene contestata, la formula Hull, è stata inserita in numerosi accordi bilaterali ed anche multilaterali come all‘interno dell‘Accordo Nordamericano per il Libero Scambio (NAFTA) all‘art.111030.

Possiamo concludere che esiste un diritto dello Stato ospitante ad espropriare i beni dell‘investitore straniero poichè gode di una sovranità sulle risorse naturali e sulle attività economiche, e purchè rispetti determinate condizioni di legittimità, e limiti quali la necessità di perseguire un pubblico interesse, la non discriminatorietà della misura e il pagamento di un indennizzo.

28 SCISO, Appunti di diritto internazionale dell’economia, Giappichelli Editore,

Terza edizione, Torino, 2017.

29 V. Art. 2, par. 2, lett. C della Carta dei diritti e doveri economici degli Stati. 30 Article 1110: Expropriation and Compensation, ”No Party may directly or

indirectly nationalize or expropriate an investment of an investor of another Party in its territory or take a measure tantamount to nationalization or expropriation of such an investment, except: a) for a public purpose; b) on a non-discriminatory basis; c) in accordance with due process of law and Article 1105; and d) on payement of compensation in accordance with paragraphs 2 through 6.

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25

1.5.1 La distinzione tra espropriazione e nazionalizzazione Definita la disciplina del diritto/potere espropriativo dello Stato, affrontiamo ora il tema riguardante le differenze tra l‘espropriazione e la nazionalizzazione.

Abbiamo osservato che l’espropriazione è una misura riguardante uno specifico investimento.

La nazionalizzazione è invece un provvedimento solitamente di carattere legislativo volto a trasferire in mano pubblica un intero settore produttivo.

Come nel caso dell‘espropriazione, lo Stato per procedere alla nazionalizzazione dell‘investimento estero necessita, oltre che delle condizioni del pubblico interesse e della non discriminatorietà del provvedimento anche l‘obbligo di pagamento di un indennizzo.

Ed è in quest‘ultima condizione che si ha una differenziazione tra espropriazione e nazionalizzazione.

Come abbiamo visto nell‘espropriazione, l‘indennizzo deve essere “pronto, effettivo e adeguato“, volto quindi a coprire il valore effettivo del bene; nel caso della nazionalizzazione l‘indennizzo deve essere “equo“, viene quindi calcolato tenendo conto delle condizioni economiche e finanziarie del paese ospitante e dell‘eventuale arricchimento senza causa dell‘investitore.

Strumenti volti a tutelare i privati da eventuali rischi e ingerenze sono previsti dalla Convenzione di Washington e dalla Convenzione di Seul istitutiva della MIGA.

In questo contesto si va ad inserire anche il problema relativo alle espropriazioni indirette, vale a dire misure adottate dallo Stato ospitante che, pur non avendo carattere ablativo, limitano il godimento dei diritti di proprietà da parte dell‘investitore straniero.

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Resta da chiedersi quale sia l‘elemento discriminante tra una misura esecutiva indiretta lecita ed una illecita.

La misura espropriativa indiretta è considerata lecita solo se adottata nel rispetto delle condizioni previste nell‘accordo, tra cui ovviamente la corresponsione dell‘indennizzo pari al valore di mercato del bene.

La misura espropriativa indiretta illecita è invece quella adottata in violazione dei requisiti convenzionali31.

A tal proposito, per chiarire le differenze tra una misura espropriativa indiretta lecita da una illecita, si può riportare il caso Philip Morris V Uruguay del 2006, in cui il gigante del tabacco elvetico-statunitense Philip Morris aveva avviato un arbitrato ICSID nei confronti dell‘Uruguay, il quale si sarebbe reso colpevole di aver introdotto una normativa costituente una forma di espropriazione indiretta del suo marchio.

L‘Uruguay, da parte sua, al fine di contrastare il tabagismo nel proprio paese aveva introdotto una normativa in virtù della quale i pacchetti di sigaretta dovevano essere coperti da avvisi relativi ai rischi legati al fumo per la salute.

Il tribunale ha stabilito la prevalenza, sulla base del test di proporzionalità, delle ragioni dell‘Uruguay affermando la proporzionalità tra la restrizione dei diritti di godimento del marchio e l‘interesse pubblico perseguito.

31 A tal proposito si veda REISMAN, SLOANE, Indirect Expropriation and its valuation in the Bit Generation, nella parte relativa al punto in cui si afferma

”The BIT generation therefore appreciates, more than its FCN predecessor, that foreign investments may be expropriated indirectly through measures tantamount to expropriation or nationalization”.

(27)

27

CAPITOLO 2: Lo sviluppo di meccanismi di

governance in materia di commercio internazionale

2.1 L’Accordo GATT del 1947

Il GATT rappresenta il punto di partenza del processo di liberalizzazione iniziato nell’economia moderna.

Sembrerebbe così che a partire dal GATT si sia assistito ad una crescita inesorabile del commercio liberalizzato, ma in realtà questa crescita ha subito vari scossoni dovuti principalmente al periodo storico di riferimento e alle politiche dei singoli governi degli Stati interessati.

Infatti, nel capitolo precedente, abbiamo osservato che si è assistito a veri e propri cicli in ambito economico commerciale, caratterizzati dall’assenza di un sistema univoco e omogeneo volto a disciplinarne il relativo settore.

Si è passati così dal liberismo, della seconda metà del XIX secolo, al protezionismo tipico del periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Il primo progetto, in tal senso, volto a dare una regolamentazione e disciplina al settore del commercio risale alla fine del secondo dopoguerra.

Questo progetto prese forma in virtù degli Accordi di Bretton Woods, in cui gli Stati partecipanti si riunirono per dare vita ad un ordine economico internazionale, diretto a favorire la crescita economica mondiale e a prevenire il ricorso a misure protezionistiche, spesso usate in passato.

Alla base della conclusione degli Accordi di Bretton Woods del 1944 vi erano alcune circostanze, di cui la più importante era la necessità degli Stati di superare gli effetti negativi della Grande

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Depressione, durante la quale le barriere commerciali portarono al disastro economico.

Il sistema così delineato nel 1944, a seguito della conclusione degli Accordi di Bretton Woods, fu efficace nel realizzare gli obiettivi comuni degli Stati fino all’inizio degli anni 70 per poi crollare definitivamente in virtù degli impegni sempre più esigenti. Tali Accordi rivestono, comunque, la loro importanza nell’ambito economico commerciale mondiale per la creazione di tre istituzioni internazionali operanti su diversi settori dell’economia: il Fondo Monetario Internazionale, che ha la finalità di promuovere la stabilità economica e finanziaria; il gruppo della Banca Mondiale, che ha come scopo quello della riduzione della povertà e la promozione di uno sviluppo sostenibile; e l’Organizzazione internazionale per il commercio (ITO)32, la quale

peraltro non venne effettivamente creata.

Venne così adottato il GATT, il quale, una volta tramontata la possibilità di istituire l’ITO33, cominciò ad avere una propria

rilevanza, gettando basi solide per una regolamentazione degli scambi internazionali34.

In particolare, l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT, General Agreement On Tariffs and Trade) è un trattato internazionale, firmato a Ginevra il 30 ottobre 1947, da 23 paesi primi firmatari, per la realizzazione di un sistema di relazioni commerciali volto a favorire la liberalizzazione del commercio internazionale; viste soprattutto le politiche protezionistiche adottate da taluni Stati, ostacolanti la libera circolazione senza barriere.

32 V. Par. 2.1.1

33 In quanto gli Stati Uniti si rifiutarono di ratificare l’adesione per via del

mutamento di approccio da multilaterale a bilaterale, con gli altri Stati che non andarono oltre vista l’assenza della nazione egemone sia dal punto di vista economico che politico.

34 SINAGRA, BARGIACCHI, Lezioni di Diritto Internazionale Pubblico, Giuffrè,

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L’accordo, nella sua funzione originaria, mirava così a realizzare un compromesso tra la necessità di una liberalizzazione del mercato e la garanzia di una minima autonomia degli Stati a disciplinarne il settore35.

Nonostante l’accordo non raggiunse il numero di ratifiche necessarie per la sua entrata in vigore36, un numero crescente di

Stati ha deciso di aderirvi, passando così da accordo “provvisorio” ad accordo “definitivo”.

Fu proprio la mancata entrata in vigore il punto debole dell’accordo, in quanto gli Stati firmatari che decisero di applicarlo in via provvisoria nei rapporti con altri Stati, non potevano in caso di violazione, invocare la responsabilità da fatto illecito poichè non sanzionabile secondo le regole tradizionali internazionali.

2.1.1 La Carta de L’Avana e la prevista istituzione dell’Organizzazione internazionale per il commercio

Abbiamo osservato, nel paragrafo precedente, che l‘Organizzazione internazionale per il commercio, che doveva essere istituita a seguito degli Accordi di Bretton Woods, non fu mai creata effettivamente.

Nonostante questo, la sua istituzione venne ribadita anche nell‘accordo raggiunto a L‘Avana nel 1948 e firmato da molti degli Stati partecipanti alla Conferenza sul commercio e l‘occupazione37.

35 Vedi presenza nell’accordo della clausola Grandfather, la quale permetteva

agli Stati di applicare il GATT solo ”nella misura non incompatibile con la legislazione vigente”.

36 A tal proposito vedi Art. XXVI, par. 6 del GATT, il quale prevedeva l’entrata

in vigore dello stesso solo nel caso in cui fosse stato ratificato dall‘85% dei Paesi firmatari; circostanza appunto mai verificatasi.

37 Sul punto vedi i lavori della United Nations Conference on Trade and

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30

Tale Conferenza si concluse con la stesura dello Statuto, noto come Carta de L‘Avana.

La Carta era composta da 106 articoli, suddivisi in nove capitoli. Di questi capitoli, la maggior parte riguardavano tematiche più generali rispetto a quella del commercio internazionale, spaziando in particolare dallo sviluppo economico fino ad arrivare alla promozione della concorrenza.

Il capitolo che ci interessa è il IV, quello relativo al commercio internazionale, con cui si imponeva alle parti contraenti comportamenti obbligati, volti al rispetto dei principi cardine dello Statuto, quali il trattamento nazionale e quello della nazione più favorita38.

Per questi motivi, il contenuto della Carta viene da più parti ritenuto simile al contenuto del Reciprocal Trade Agreements Act del 1934, trattato in base al quale gli Stati Uniti concludevano accordi bilaterali nel periodo successivo alla Grande Depressione (1930 in poi) con altri Stati, in particolare quelli dell‘America Latina39.

Per quanto riguarda i profili organizzativi dell‘ITO, la struttura è tipicamente triadica, costituita cioè da una Conferenza, composta dai delegati degli Stati membri, un Consiglio esecutivo ed un Segretariato, organo prevalentemente amministrativo con a capo un Direttore generale.

Abbiamo accennato precedentemente al fatto che la Carta de L‘Avana non entrò in vigore.

La sua mancata entrata in vigore dipese dalla mancata adesione degli Stati Uniti, per via di un mutamento di orientamento in merito alla stipula di accordi, da multilaterale a bilaterale.

38 La Carta de L’Avana, anche se non entrata in vigore, mostra qui tutta la sua

rilevanza in quanto i principi ivi contenuti andranno poi a confluire nel GATT.

39 SCISO, Appunti di diritto internazionale dell’economia, Giappichelli Editore,

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Gli Stati Uniti non ratificarono l‘accordo, inoltre, a causa di una frattura che si era creata con la Gran Bretagna, considerata insieme agli Stati Uniti, come le due maggiori potenze egemoniche.

La frattura si era verificata a seguito della richiesta degli Stati Uniti alla Gran Bretagna di ridurre i vantaggi accordati da quest‘ultima ai Paesi del Commonwealth, in virtù del rispetto del principio sancito nell‘accordo della nazione più favorita.

Dal canto suo, la Gran Bretagna era sì disposta a ridurre alcuni dei vantaggi tariffari accordati, senza però voler andare a rivedere alcuni dei benefici riguardanti le merci provenienti dai Paesi del Commonwealth40, temendo di compromettere il recupero delle

economie delle ex colonie da poco affrancate dalla Gran Bretagna, e bisognose di un supporto economico e commerciale della ex madrepatria.

Tuttavia, nonostante il fallimento dell‘istituzione, nel corso della Conferenza gli Stati Uniti riuscirono a convincere altri Stati partecipanti, sul mantenimento del Capitolo IV della Carta de L’Avana, relativo alla liberalizzazione del commercio internazionale, per poter così iniziare e sostenere una ripresa economica globale senza barriere e ostacoli di tipo tariffario e/o doganale.

Da questo fallimento, si giunse alla stipula del GATT nel 1947.

40 Sulla base del principio di reciprocità per cui gli Stati, nei loro accordi, si

scambiano concessioni su determinate materie e trattamenti; la reciprocità sottende a varie esigenze tra cui quelle di uguaglianza e uniformità di comportamento.

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32

2.1.2 Gli obiettivi, i principi ispiratori, le deroghe e le eccezioni previste nell’accordo GATT

L‘accordo GATT, in origine, come abbiamo detto, era stato pensato come “provvisorio“ in attesa della ratifica della Carta de L‘Avana, ratifica mai avvenuta.

Col tempo ha iniziato a guadagnare sempre più autonomia e ad acquistare ”definitività”.

L’obiettivo principale era quello, appunto, di favorire lo sviluppo del commercio internazionale attraverso la liberalizzazione degli scambi41.

L’obiettivo dell’Accordo viene affermato nel preambolo del GATT, obiettivo consistente “nella riduzione sostanziale delle tariffe doganali42 e delle altre barriere commerciali, come pure

l‘eliminazione del trattamento discriminatorio in materia di commercio internazionale.

Dal preambolo si raccolgono così i principi ispiratori alla base dell‘accordo; tali principi sono il principio di reciprocità e quello di non discriminazione.

Secondo il principio di reciprocità gli impegni assunti dagli Stati dovevano risultare reciprocamente vantaggiosi.

Più impegnativa è la qualificazione del principio di non discriminazione, già accennato nel Capitolo I.

Infatti, con riferimento a tale principio, si assiste ad una biforcazione: da un lato abbiamo la discriminazione De Jure, con cui si vietano agli Stati trattamenti discriminatori sulle merci in virtù della loro origine e/o destinazione; dall‘altro abbiamo la discriminazione De Facto, con cui si vietano regimi che

41 Liberalizzazione limitata però solamente allo scambio delle merci, lasciando

così fuori altri importanti settori commerciali, che verranno disciplinati solo a partire dall’accordo istitutivo dell’OMC.

42 La tariffa doganale è un onere finanziario imposto sui prodotti al momento

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33

favoriscono determinati Stati partner commerciali rispetto ad altri. Dal principio di non discriminazione si ricavano poi due ulteriori clausole, quelle della nazione più favorita e quella del trattamento nazionale.

Sulla base della clausola della nazione più favorita43, i benefici e

i privilegi accordati sulle merci, da uno Stato parte ad un altro Stato parte, si estendevano anche a tutti gli altri Stati parti del GATT.

Sulla base, invece, della clausola del trattamento nazionale44, si

stabiliva che le merci provenienti dall‘estero dovevano ricevere all‘interno di ogni Stato parte lo stesso trattamento riservato dallo stesso alla merce nazionale equivalente.

Accanto ai principi, all‘interno dell‘accordo vi si ritrovano anche deroghe ed eccezioni rispetto ad essi.

Le motivazioni dietro alla previsione di eccezioni sono sottese a difficoltà tali, nella bilancia di pagamenti di uno Stato parte, da giustificare l‘esistenza di zone di integrazione economica regionale45.

Queste zone di integrazione erano consentite così dal GATT, all’art. XXIV in deroga al principio del trattamento della nazione favorita, purchè venisse garantita la liberalizzazione degli scambi (obiettivo fondante del GATT), ed evitando al contempo eventuali presenze di barriere protezionistiche verso gli Stati terzi. L‘art. XXIV del GATT è oggi considerato obsoleto, in quanto non

43 Art. 1 dell’accordo: ”Tutti i vantaggi, favori, privilegi o immunità, concessi da

una Parte contraente a un prodotto originario da ogni altro Paese, o a esso destinato, saranno estesi, immediatamente e senza condizioni, a tutti i prodotti congeneri, originari del territorio di ogni altra Parte contraente, o a esso destinati“.

44 Art. 3 dell’accordo: ”I prodotti del territorio di qualsiasi Parte contraente,

importati sul territorio di qualsiasi altra parte, non saranno gravati, direttamente o indirettamente, di tasse o altre imposizioni interne di qualunque natura, più elevate di quelle che gravino, direttamente o indirettamente, i prodotti nazionali congeneri”.

45 SCISO, Appunti di Diritto Internazionale, Giappichelli Editore, Terza

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34

in grado di cogliere la molteplicità delle tipologie di zone di integrazione economica, nè tantomeno la pluralità di regionalismi economici.

Il regionalismo economico viene oggi compreso e regolato all‘interno dell‘art. XXIV del GATT del 1994, dell‘art. V del GATS46

e nell‘enabling clause47 relativa agli accordi facilitati tra i PVS.

Anche qui si assiste però ad una frammentazione della relativa regolamentazione48.

Ulteriori deroghe ai principi fondamentali si trovano inserite agli artt. XX - XXI, relative rispettivamente alle misure che gli Stati parte potevano adottare a difesa di valori quali la salute, la morale o il patrimonio culturale e alle misure adottabili in relazione agli adempimenti degli obblighi di pace e sicurezza mondiale stabiliti nell‘ambito dell‘Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

2.2 Gli Uruguay Rounds e la Conferenza di Marrakech

Il GATT del 1947 si è evoluto nel tempo fino ad arrivare alla versione aggiornata del 1994.

Questa evoluzione cinquantennale è passata attraverso una serie di negoziati, detti Rounds, che hanno portato allo sviluppo delle regole originarie.

46Article V: Economic Integration ”This Agreement shall not prevent any of its

Members from being a party to or entering into an agreement liberalizing trade in services between or among the parties to such an agreement, provided that such an agreement: a) has substantial sectoral coverage, and b) provides for the absence or elimination of substantially all discrimination, in the sense of article XVII, between or among the parties, in the sectors covered under subparagraph (a).

47A tal proposito SCISO in Appunti di Diritto Internazionale dell‘economia

afferma che ”questo sistema di preferenza generalizzata in favore dei PVS si deve all’iniziativa dell’UNCTAD, ed è consistente nella concessione da parte degli Stati industrializzati, senza reciprocità e senza discriminazione, di esenzioni o riduzioni tariffarie per singoli prodotti, specificamente indicati dal Paese concedente provenienti da singoli PVS“.

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Alla conclusione di questi negoziati, venivano stipulati dagli Stati interessati accordi indipendenti rispetto al GATT; però le possibilità di modifiche unite ad ulteriori difficoltà spinsero gli Stati a concludere ulteriori accordi separati, detti Codici.

I Rounds stipulati dal 48 al 93 sono otto, e si sono conclusi nell’ambito del GATT, con l‘adozione dell‘Uruguay Round; in merito ai Rounds è necessario fare due precisazioni: la prima riguarda il contenuto dei negoziati, in quanto i primi avevano ad oggetto soltanto tariffe doganali delle merci49; la seconda riguarda

l‘aumento del numero degli Stati partecipanti ai negoziati50.

49 A tal proposito bisognerà attendere il Kennedy Round per assistere ad un

allargamento del contenuto dei negoziati, visto l‘inserimento anche delle misure antidumping.

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Tabella 3.1. - La serie dei Rounds del GATT51

N.ro Anni Luogo/Nome Paesi

Partecipanti Contenuto del negoziato 1 1947 Ginevra 23 Tariffe 2 1949 Annecy 13 Tariffe 3 1951 Torquay 38 Tariffe 4 1956 Ginevra 26 Tariffe 5 1960 - 1961 Ginevra (Dillon Round) 26 Tariffe 6 1964 - 1967 Ginevra (Kennedy Round) 62 Tariffe e misure antidumpin g 7 1973 - 1979 Ginevra (Tokyo Round) 102 Tariffe – Misure non tariffarie – Accordi Multilaterali 8 1986 - 1993 Ginevra (Uruguay Round) 123 Tariffe – Misure non tariffarie – Regole – Servizi – Accordi plurilaterali – etc.

A partire dal quinto si hanno importanti novità.

Il Dillon Round riveste la sua importanza in quanto compare sulla scena, delle relazioni commerciali mondiali, la Comunità Economica Europea (CEE); il Kennedy Round la cui importanza si nota per l’introduzione delle cosiddette barriere non tariffarie e per le misure Antidumping52, inoltre ci fu un punto di svolta anche

a favore dei PVS, ai quali venne riconosciuta la possibilità, nei rapporti con i Paesi industrializzati, di non applicazione del

51 Fonte: Focus WTO n. 31 – MAGGIO 1998 – PAG. 2.

52 Misure varate nei confronti di importazioni effettuate sul mercato comunitario

da parte di imprese di Paesi terzi che vendono prodotti a prezzi inferiori al prezzo di vendita sul mercato d’origine della merce.

(37)

37

principio di non discriminazione; il Tokyo Round, il quale portò ad una riduzione delle barriere tariffarie e all‘istituzione di cinque codici di comportamento relativi ai dazi.

Questi accordi adottati al termine dei vari negoziati risultavano vincolanti solo per gli Stati che vi aderivano; senonchè sulla base del principio della nazione più favorita ne arrivavano a beneficiare anche gli Stati che non vi avessero aderito, dando luogo al cosiddetto fenomeno del free-riding.

Tra questi negoziati, sicuramente quello più importante fu l‘Uruguay Round, l'ultimo Round organizzato nell‘ambito del GATT, il quale portò ad una regolamentazione più omogenea del commercio internazionale, estendendolo anche a settori fino ad allora non trattati, quali il commercio di beni e servizi e dei diritti di proprietà intellettuale costituendo un nuovo sforzo teso a estendere il sistema multilaterale53.

Il negoziato venne approvato a Ginevra nel 1993, e soltanto un anno dopo venne sottoposto a Marrakech all‘attenzione degli Stati a seguito della convocazione di una Conferenza.

L‘atto finale della Conferenza prevedeva la nascita dell‘Organizzazione mondiale del commercio (OMC) insieme all’approvazione di accordi multilaterali e plurilaterali54.

Inoltre nel corso dei negoziati vennero modificati alcuni articoli del GATT riguardanti la previsione di eccezioni al principio di consolidamento delle tariffe e la loro applicazione non discriminatoria nei rapporti tra gli Stati.

In proposito tre sono gli accordi che ci interessano: 1) l’Accordo sulle misure anti-dumping, in base al quale un paese può introdurre un ulteriore dazio all’importazione delle merci, nel caso

53 Estendendo la normativa multilaterale, oltre che alle merci, a ulteriori settori

non disciplinati nell‘ accordo del 1947 quali quello dell‘agricoltura e i tessili.

54 Di questi accordi, solamente quelli multilaterali sono vincolanti per gli Stati

(38)

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in cui dimostri la sussistenza del dumping55 e del danno arrecato

ai produttori nazionali; 2) l’Accordo sui sussidi e le misure compensative, con cui si prevede che un Paese possa applicare dazi compensativi sul prodotto importato, ritenuto lesivo della posizione dei produttori nazionali; 3) l’Accordo sulle misure di salvaguardia, il quale prevede la possibilità per i produttori nazionali di richiedere al proprio Stato di imporre restrizioni temporanee alle importazioni, in caso di danni all’industria nazionale derivanti da un eventuale aumento delle importazioni. Uno dei principali risultati raggiunti nell’ambito dell’Uruguay Round fu l’Accordo sull‘agricoltura, settore che come abbiamo visto fu a lungo tenuto fuori dalla liberalizzazione degli scambi. Nello specifico sono tre i pilastri dell’accordo che consistono in: a) accesso al mercato attraverso la semplificazione delle barriere previste sull’importazione dei prodotti agricoli; b) graduale riduzione dei sussidi all’esportazione; e c) sostegno alle produzioni agricole.

Fu subito però evidente, che l’accordo non era in grado di portare in tempi rapidi ad una liberalizzazione del commercio agricolo. Nonostante questo è necessario riconoscere l’indubbia importanza dell’accordo in termini di apertura delle relazioni internazionali in campo agricolo, e di apertura della strada verso nuove negoziazioni in futuro.

55 Vendita all’estero di una merce a prezzi inferiori a quelli praticati sul

(39)

39

2.3 La nascita e l’evoluzione dell‘OMC

Con la firma dell‘Atto finale della Conferenza di Marrakech è stata creata l‘Organizzazione mondiale del commercio (OMC), nota anche come World Trade Organization (WTO).

L‘OMC ha rappresentato, a seguito dei vari accordi che si sono susseguiti nel tempo, un progresso istituzionale nella disciplina dei rapporti commerciali internazionali.

Un progresso istituzionale dettato anche dal fatto di essere qualificata come Organizzazione internazionale.

Elemento questo che la diversifica dal GATT del 194756.

L’accordo GATT, comunque, è stato incorporato e affiancato al GATs e al TRIPs all‘interno dell‘OMC.

L‘OMC è entrata in vigore il 1 gennaio del 1995 ed ha sede a Ginevra.

Il relativo accordo che ha portato alla sua nascita è affiancato, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, da ulteriori accordi multilaterali relativi ai tre settori di intervento da parte dell‘organizzazione.

Questi accordi multilaterali sono: a) l‘Accordo sul commercio delle merci (GATT 94)57, il quale incorpora le disposizioni contenute nel

GATT 47 ad eccezione di quelle istituzionali; b) l‘Accordo sul commercio dei servizi (GATS), il quale rappresenta il primo accordo multilaterale in tema di liberalizzazione del mercato dei servizi su scala globale58; c) l‘Accordo sugli aspetti commerciali

sulla proprietà intellettuale (TRIPs), grazie a cui tutti gli aspetti legati alla proprietà intellettuale vengono inseriti per la prima volta

56 Costituisce però parte integrante dell’OMG in materia di commercio

internazionale di beni.

57 Accordo i cui obiettivi sono quelli di sviluppo sostenibile, crescita

economica dei PVS e le conclusioni di accordi volti alla riduzione delle tariffe ostacolanti gli scambi.

58 Cfr. Con gli accordi seppur lacunosi, stipulati in materia nell’ambito

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