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Sintesi di nuovi potenziali inibitori della tirosina chinasi a struttura chinazolonica quali agenti antitumorali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FARMACIA

TESI DI LAUREA

SINTESI DI NUOVI POTENZIALI INIBITORI DELLA TIROSINA CHINASI A STRUTTURA CHINAZOLONICA QUALI AGENTI ANTITUMORALI

Relatori: Candidato:

Dott.ssa Silvia Salerno Francesco Serafini

Anno accademico 2019/2020

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INDICE

CAPITOLO 1: IL TUMORE ... 1

Il tumore ... 1

Epidemiologia Mondo e Italia ... 1

Incidenza ... 1

Mortalità ... 3

Sopravvivenza ... 4

Il ciclo cellulare ... 5

Il controllo del ciclo cellulare ... 7

Fattori che influenzano il ciclo cellulare ... 8

Via PI3K/Akt/mTOR ... 8

Via Ras-Raf-MAPK ... 10

Cancerogenesi ... 12

Geni oncogeni e oncosoppressori ... 13

Caratteristiche delle cellule tumorali ... 15

Classificazione dei tumori ... 26

Cause del cancro ... 28

Fattori di rischio esogeni: stili di vita ... 28

Fattori di rischio esogeni: fattori ambientali ... 32

Fattori endogeni ... 34

CAPITOLO 2: LE TIROSINA CHINASI ... 36

Tirosina chinasi recettoriali ... 37

Tirosina chinasi recettoriali (RTKs) implicate nel cancro ... 39

ErbB ... 39

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PDGFR ... 44

Met ... 45

c-Kit ... 46

FGFR ... 47

Tirosina chinasi non recettoriali (NRTK) ... 48

Src ... 48

Abl ... 49

CAPITOLO 3: LA TERAPIA ANTITUMORALE ... 50

Dalla chemioterapia classica alla strategia multitarget ... 50

Inibitori di tirosina chinasi nella terapia antitumorale ... 54

TKIs: meccanismo d’azione ... 54

I TKI in clinica ... 58

TKIs più comunemente utilizzati ... 59

CAPITOLO 4: INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE ... 63

CAPITOLO 5: PARTE SPERIMENTALE ... 86

BIBLIOGRAFIA ... 95

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1

CAPITOLO 1: IL TUMORE

Il tumore

La parola “cancro” non identifica una singola malattia, ma bensì un insieme eterogeneo di patologie, molto diverse tra loro sia per i sintomi, sia per la localizzazione, che per i tessuti e gli organi coinvolti, ma possiedono tutte almeno una caratteristica comune, ossia, un’abnorme e incontrollata crescita cellulare che sfugge ai normali meccanismi di controllo[1].

Quando si parla di queste patologie vengono frequentemente usati tre termini: “neoplasia”, “tumore” e “cancro”.

Con “neoplasia” (dal greco νέος, nèos, «nuovo», e πλάσις, plásis, «formazione») si intende una neoformazione di cellule che cresce in sostituzione di un preesistente tessuto in modo diverso da quello fisiologico. Una neoplasia può essere benigna o maligna a seconda delle sue caratteristiche[1, 2].

Il termine “tumore” trae origine dall’etimologia della parola, cioè tumor = rigonfiamento, e considera lo sviluppo della neoplasia in una massa di cellule che al tatto appare come un rigonfiamento.

Con “cancro” si intende invece una neoplasia maligna che tende quindi a infiltrarsi in tutto l’organismo per mezzo delle metastasi[1].

Epidemiologia Mondo e Italia

Incidenza

Ad oggi il cancro si conferma come la seconda causa di mortalità nel mondo, in particolare per persone di età compresa tra i 30 e 69 anni costituisce la primaria causa di morte[3]. Nel 2020 si sono registrati 19292789 di nuovi casi in tutto il mondo[4] e in Italia sono stati diagnosticati circa 382670 casi di nuove neoplasie maligne, di cui

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199469 negli uomini e 183201 nelle donne, come riportato dall’ ECIS[5] (European Cancer Information System), valori che non si discostando molto dalle previsioni statistiche effettuate[4, 6].

In figura 1 è illustrata una parte dei grafici dell’IARC[4] relativi ai casi di tumore nel 2020 nel mondo.

Figura 1: nuovi casi di tumore nel 2020 [4]

Nel 2020 in Italia si è osservata una differenza tra i casi di tumori nel genere maschile e femminile. Il tumore della prostata è la più frequente neoplasia diagnosticata negli uomini: 36074 nuove diagnosi che rappresentano il 18,5% di tutti i tumori maschili. Seguono il tumore del polmone 14,2%, del colon-retto 12,8% e della vescica 11,3%. Tra le donne, è sempre il tumore della mammella la neoplasia più frequente, con 54.976 nuove diagnosi stimate per il 2020 che rappresenta il 30,1% di tutti i tumori femminili. Le altre neoplasie più frequenti nelle donne sono i tumori del colon-retto (12,6%), del polmone (7,4%), della tiroide (4,8%) e dell’endometrio (5,5%).[4, 7, 8, 9]

L’incidenza dei tumori non varia solamente in base al genere, ma anche in base all’età, negli uomini sotto i 50 anni il più frequente è il tumore al testicolo (12%), mentre nella

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classe 50-69 anni e negli ultrasettantenni, il tumore più frequente è quello della prostata (22% e 20%, rispettivamente). Nelle donne, è il cancro alla mammella la neoplasia più frequente in tutte le classi di età (anche se con percentuali diverse: 41% nelle giovani sotto i 50 anni e 22% nelle donne di 70 o più anni). [7]

Mortalità

Per quanto riguarda la mortalità per tumore nel 2020, si sono registrati 9958133 morti complessivi nel mondo , dove un 18% è rappresentato dal tumore al polmone, 9,4% al colon-retto, 8,3% al fegato, 7,7% allo stomaco e 6,9% al seno [4].

Figura 2: Mortalità stimata per sesso e tipologia di tumore nel 2020 in Italia [5]

Come illustrato in figura 2, le stime per l’Italia effettate dall’ ECIS (European Cancer

Information System) indicano una situazione più o meno simile: nel 2020 si stimano

173469 morti per tumore suddivise in 77694 nel sesso femminile e 95775 in quello maschile. [5]In particolare di questi valori per sesso maschile, il 23,8% è attribuibile al cancro al polmone, il 12,3% al colon-retto, il 7,2% alla prostata [8], il 7% al fegato e il

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6,5% al pancreas. [5] Mentre nel sesso femminile spicca il tumore al seno che occupa il 16,3% di casi [9], segue il tumore al polmone con un valore di 13,9%, al colon-retto 12,8%, al pancreas 8,6% e allo stomaco con un valore di 4,5%. [5]

Sopravvivenza

Parlare di sopravvivenza nel caso di tumori è abbastanza complesso poiché spesso ci sono delle recidive; il tumore una volta tolto, può ritornare, magari in un altra sede, oppure non essere completamente eliminato e quindi si parla in genere di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di tumore. Nell’ultimo decennio si è visto che l’analisi della sopravvivenza e del rischio cumulativo di morte hanno consentito di misurare un “tempo per la guarigione”, in termini di riduzione progressiva del rischio di morte fino a ritornare a quello della popolazione generale.[10]

Dai dati riportati dal Registro Tumori italiani e da uno studio su Lancet Oncology, si evince che i tumori con il più alto tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla scoperta sono quei tipi per cui si hanno delle metodiche diagnostiche tempestive ed efficaci e trattamenti efficienti e sono il tumore al testicolo e il linfoma di Hodgkin.[11, 12] Segue il tumore alla mammella che ha registrato un aumento delle percentuali di sopravvivenza a 5 anni grazie alle metodiche di diagnostica sempre più accurate e organizzate.[13]

I tassi di mortalità per il tumore al colon-retto hanno mostrato una riduzione lineare sia negli uomini che nelle donne, e sono diminuiti rispettivamente da 41,1 a 39,2 e da 24,6 a 23,1 per 100.000 persone.[14].

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Il ciclo cellulare

Il ciclo cellulare è quella serie di eventi che si succedono all’interno della cellula con lo scopo di duplicarsi, ottenendo due cellule figlie a partire da una singola unità. Viene diviso in fasi in cui si verificano dei processi necessari alla corretta duplicazione; inoltre la suddivisione in fasi facilita anche il controllo. Un’alterazione del controllo del ciclo cellulare può sfociare nella generazione di una cellula tumorale.[15]

Fasi

Sono rappresentate dalla figura 3 che illustra in modo molto schematico la progressione tra le fasi: G0, G1, S, G2, M.

Figura 3: Rappresentazione schematica del ciclo cellulare [16]

Fase G0: Costituisce una fase di “riposo”, o meglio detta, fase di quiescenza fuori dal

ciclo cellulare, durante la quale la cellula provvede a svolgere tutte le funzioni necessarie alla sua omeostasi come approvvigionamento di nutrienti, produzione proteine, ecc.[17]

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Questa fase di riposo può essere reversibile, e si parla di cellule quiescenti, oppure irreversibile, e si parla di cellule senescenti[18] o differenziate.[17]

Fase G1: È la fase in cui la cellula mette in atto un gran numero di processi biosintetici,

aumenta il numero di organelli e aumentano le sue dimensioni. Dalla fase G1 la cellula ha tre opzioni: entrare in fase G0 e procedere con la differenziazione, proseguire il ciclo ed entrare nella fase S, oppure entrare in fase G0 reversibile.

Nella fase G1 è presente un punto di restrizione o checkpoint G1/S governato da cicline che controlla il passaggio alla Fase S solo se ci sono le condizioni giuste. [15]

Fase S: Se superato il punto di restrizione in fase G1, inizia la duplicazione del DNA:

ogni cromosoma viene duplicato con i suoi cromatidi fratelli. In questo momento si ha il doppio dei cromosomi normalmente presenti, la sintesi proteica è ridotta al minimo, eccezion fatta per la sintesi degli istoni, necessari per il corretto funzionamento del nuovo DNA che dovrà essere impacchettato con i nucleosomi. [19]

Fase G2: In questa fase si ha una ripresa della crescita cellulare in preparazione della

mitosi, si ha intensa attività di sintesi proteica fino ad ottenere un duplicato di tutte le strutture cellulari. Inoltre, in G2 è presente un altro checkpoint che analizza il danno al DNA che eventualmente si è potuto creare in seguito alla replicazione dei cromosomi; questo processo è governato dalla proteina p53, che individua il danno e attiva i meccanismi di riparazione del DNA. Il passaggio alla successiva fase M avviene in seguito al raggiungimento di un livello prestabilito di complesso ciclina B1/CDK1 attivo. [20]

Fase M: È la fase in cui la cellula promuove la segregazione dei cromosomi identici in

due nuclei, è composta da 5 fasi che si susseguono l’una con l’altra e sono: profase, prometafase, metafase, anafase, telofase. Durante il processo di mitosi, i cromosomi omologhi vengono divisi e trasportati ai due poli della cellula per mezzo dei

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microtubuli. Infine, la mitosi termina con la citodieresi, un anello muscolare circolare si stringe in modo tale da strozzare la cellula e dividerla in due cellule uguali con approssimativamente lo stesso numero di organelli, e lo stesso patrimonio genetico. Errori nel processo di mitosi possono portare all’apoptosi oppure allo sviluppo di forme tumorali. [15]

Il controllo del ciclo cellulare

Il ciclo cellulare è finemente regolato da vari fattori, si possono identificare 3

checkpoint che devono essere superati affinché la cellula ultimi la replicazione.

Checkpoint G1: in questo momento la cellula effettua un controllo della sua

situazione. Essa controlla se la fase di sintesi è andata a buon fine, se sono stati sintetizzati abbastanza elementi, se c’è la presenza di fattori di crescita e se non sono presenti danni al DNA. Da qui poi ha due strade: entrare nella fase G0 oppure proseguire verso la fase S. La transizione da G1 a S è governata dall’alternanza dei livelli di cicline e dalle chinasi dipendenti da cicline, chiamate CDK. Le cicline sono codificate in specifici geni. E2F rappresenta un gruppo di fattori di trascrizione in grado di agire su un tratto di DNA e promuoverne la trascrizione, in particolare, dà il via per la sintesi delle cicline, per i regolatori dei punti di controllo e proteine di riparazione del DNA.

Rb (proteina del retinoblastoma) è legato a E2F e funge da repressore. Il suo distacco si avrà solo in seguito a fosforilazione da parte dei complessi ciclina D: CDK-4/6 e successivamente da ciclina E: CDK-2 che rappresenta il punto di restrizione tardivo in G1. [21]

Checkpoint in G2: controlla che si sia duplicato tutto, il DNA, così come gli organelli:

se è tutto corretto si passa in fase M. Questa fase è governata dalle Cicline B che sono prodotte in maniera lenta e costante dall’inizio della fase G1, fino ad arrivare al punto

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in cui si associa alla sua CDK formando il MPF, (o fattore di promozione della maturazione) il quale, fosforila altri substrati e promuove il passaggio in fase M. [21]

Checkpoint in M: tra anafase e metafase è posto un controllo che valuta il corretto

allineamento dei cromosomi. [21]

Fattori che influenzano il ciclo cellulare

Fisiologicamente le cellule ricevono stimoli esterni per sapere quando proliferare o meno. Mutazioni a carico di geni che codificano per le proteine coinvolte in queste vie, spesso sono alla base del tumore. Tra le principali vie biochimiche che regolano la proliferazione troviamo: la via PI3K/Akt/mTOR e la via Sos/Ras/Raf/MAPK.

Via PI3K/Akt/mTOR

La via PI3K/Akt/mTOR (figura 4) prevede l’attivazione della PI3K attraverso un segnale extracellulare che interagisce con un recettore transmembrana RTK (receptor

tyrosine-kinase), il quale, possiede un dominio intracellulare tirosin-chinasico in grado

di attivare, tramite fosforilazione della subunità p85, la PI3K. Una volta attivata, fosforilerà a sua volta il lipide di membrana inositolo, generando fosfatidil-inositolo trifosfato (PIP3), fosfatidil-(3,4)-difosfato e fosfatidil- fosfatidil-inositolo-(3,4,5)-trifosfato (PtdIns(3,4,5)P3). Il PtdIns(3,4,5)P3 è in grado di attivare altre proteine, tra cui: Akt e PDK-1 (chinasi dipendente da fosfatidil-inositolo). La PDK-1 attivata va a fosforilare a sua volta Akt. Le proteine Akt sono delle serina/treonina chinasi, ne esistono di 3 tipi, Akt 1 e 2 sono ubiquitarie, mentre Akt 3 si trova abbondante in cervello, rene e cuore. [22]

Akt per svolgere la sua funzione deve essere ulteriormente fosforilata, e qui interviene mTORC2 che viene a sua volta attivato da stimoli esterni. Akt ora può fosforilare diversi substrati andando a inibire il segnale a valle, i bersagli sono: GSK3 (glicogeno

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sintasi chinasi 3), Forkhead box O (FOXO) per i fattori di trascrizione, BAD, inoltre con la sua azione di fosforilazione, va ad inibire l’apoptosi e stimola la progressione del ciclo cellulare. [22]

Akt attiva indirettamente mTORC1, regolatore della crescita e del metabolismo, attraverso la fosforilazione e conseguente inibizione della TSC 1/2 (tuberous sclerosis

complex 1/2). In particolare il complesso TSC1-TSC2 è un regolatore negativo di

mTORC1, è una proteina GAP (GTPase-Activating Protein) che esercita la sua attività nei confronti di RAS Rheb, (omologo RAS arricchito nel cervello), una piccola proteina G che, nella sua forma legata al GTP, funge da attivatore di mTORC1. La maggior parte dei segnali che regolano mTORC1 convergono verso il complesso TSC1-TSC2, in modo tale che, condizioni di crescita scadenti, attivano il complesso, mentre, condizioni che promuovono la crescita, lo inibiscono, con conseguente inibizione o attivazione di mTORC1, rispettivamente [22], come illustrato in figura 4.

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mTORC1 integra più segnali derivanti dall'ambiente extracellulare (fattori di crescita, nutrienti e fonti di energia) e da cambiamenti metabolici intracellulari, regolando in modo coordinato la crescita, la proliferazione, la sopravvivenza e il metabolismo delle cellule. In particolare, mTOR stimola la crescita e la proliferazione cellulare promuovendo una varietà di processi anabolici attraverso la promozione della trascrizione di specifici geni, inclusa la biosintesi di proteine, lipidi e organelli, e limitando i processi catabolici come l'autofagia. [22]

L’estinzione del segnale avviene ad opera della stessa mTORC1, che una volta fosforilata, inibisce tramite un meccanismo a feedback negativo l’azione di PI3K, e da PTEN. PTEN (phosfatase and tensin homolog) è una fosfatasi che agisce andando a rimuovere un gruppo fosfato dal PIP3 rendendolo difosfato e non più in grado di attivare PI3K. [22]

Da diversi studi si è visto che questa cascata chinasica risulta iperattivata in numerose forme tumorali, tra cui il cancro al polmone non a piccole cellule (NSCLC). [22]

Via Ras-Raf-MAPK

Un’altra via coinvolta nella stimolazione della proliferazione è quella della Ras-Raf-MAPK (figura 5). Anche in questo caso abbiamo uno stimolo esterno che si traduce nella cellula in uno stimolo proliferativo. Ad esempio, un fattore di crescita come il TGFα, interagisce con il recettore tirosin-chinasico EGFR. Questo è in grado di autofosforilarsi sui residui di tirosina e, così facendo, si attiva. I residui di tirosina fosforilati possono legare la proteina di ancoraggio GRB2 tramite i suoi domini di riconoscimento SH2; successivamente, GRB2 può legare, attraverso i domini SH3, il fattore di scambio della guanina SOS. La formazione del complesso GRB2, SOS, EGFR fosforilato, attiva SOS che promuove la rimozione di GDP da RAS. La proteina RAS viene attivata anche attraverso diversi stimoli esterni ed è il centro di numerose vie di segnalazione intracellulare che hanno, a valle, una modifica dell’espressione genica.[24]

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Il suo funzionamento prevede che essa sia attivata quando lega il GTP, e disattivata quando lega il GDP. Il segnale infine si estingue tramite un’attività autocatalitica ad opera di una subunità della stessa proteina che idrolizza il legame fosfodiesterico ottenendo GDP e quindi inattivando la Ras.

Il complesso precedentemente detto attiva la Ras togliendo GDP e permettendole di legare il GTP, questa ora è libera di fosforilare altri substrati tra cui la proteina RAF, la quale viene attivata e fosforila a sua volta la MEK. MEK attivata fosforila la MAPK, la quale trasloca nel nucleo e fosforila fattori di trascrizione (tra cui il fattore di trascrizione per il gene c-myc, un noto oncogene) e altre chinasi, così facendo li attiva e spinge la cellula a trascrivere e sintetizzare nuove proteine; inoltre stimola la sopravvivenza e inibisce l’apoptosi. [25, 24] Ma non solo, perché l’attivazione di MAPK è coinvolta anche nella regolazione del ciclo cellulare, infatti è un segnale necessario al fine di far produrre ciclina D nella fase G1 dando quella spinta necessaria a superare il punto di restrizione. [25]

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Cancerogenesi

Il cancro è una malattia genetica. Si riscontrano più mutazioni a carico del DNA che ne fanno acquisire caratteristiche peculiari come proliferazione incontrollata, inibizione della morte cellulare programmata, invasione tissutale e metastasi, ecc. Queste mutazioni sono causate da agenti esterni come il fumo di tabacco, oppure, possono essere ereditarie, ma non è sufficiente una singola mutazione affinché una cellula diventi tumorale. Bensì è necessario che più mutazioni si accumulino su quei geni che regolano i processi di crescita, proliferazione e morte cellulare, i meccanismi di riparazione del DNA e le strategie di fuga dal sistema immunitario. [1]

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Questi geni si possono raggruppare in due grandi gruppi: gli oncogeni, che regolano la crescita, e gli oncosoppressori, che proteggono il DNA da mutazioni e frenano la crescita. Inoltre, sono presenti altri geni che, se alterati, contribuiscono alla trasformazione tumorale e sono: geni coinvolti nel processo di apoptosi e i geni implicati nei meccanismi di replicazione del DNA. [27]

Spiegare come si passa dall’avere una cellula normale ad una cellula tumorale è un processo lungo e complesso, in quanto sono necessari più eventi mutageni a carico del DNA, inoltre il corpo tenta sempre di correggere gli errori e nei casi più gravi addirittura elimina la cellula “malata”. Quando però tutti questi meccanismi falliscono, si ha un accumulo di mutazioni e la formazione di una cellula tumorale. [27] Una visione d’insieme di questo processo è rappresentato nella figura 6.

Geni oncogeni e oncosoppressori

Oncogeni

Il corrispettivo “sano” di un oncogene è il proto-oncogene. Esso rappresenta una famiglia di più geni che sono normalmente implicati nella regolazione di meccanismi fisiologici quali: proliferazione, sopravvivenza e differenziazione: Inoltre regolano l’angiogenesi e la migrazione cellulare, tutte caratteristiche che si trovano mutate nei tumori. [27] Un proto-oncogene può essere un fattore di crescita (EGF, PDGF), un recettore per un fattore di crescita (EGFR, VEGFR), proteine che regolano il ciclo cellulare (cicline), proteine che regolano la trascrizione di altri geni e proteine implicate nella trasduzione del segnale (Ras). Nei tumori i proto-oncogeni subiscono delle mutazioni, che ne modificano la loro espressione, e li trasformano in oncogeni. Molto spesso si verifica una sovra-espressione di quel gene con aumento di produzione di una certa proteina, oppure un’amplificazione, oppure l’attivazione costitutiva, cioè si produce una proteina che è sempre attiva anche in assenza di stimoli esterni [28].

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Altri esempi di proto-oncogeni che, se mutati si trasformano in oncogeni, sono: ErbB,

c-myc, bcl-2, tutti coinvolti in processi di regolazione di crescita, sopravvivenza e

inibizione dell’apoptosi.[28]

Oncosoppressori

Gli oncosoppressori sono geni che codificano per fattori con diverse funzioni: • Regolazione del ciclo cellulare;

• Inibizione della proliferazione incontrollata; • Riparazione del DNA danneggiato;

• Adesione cellulare;

• Stimolazione dell’apoptosi delle cellule danneggiate. [27]

Da diversi studi si è visto che l’alterazione della proteina Rb, con funzione di controllo della replicazione, è presente anche in altre forme tumorali oltre al retinoblastoma, come il carcinoma della vescica, della mammella e del polmone; questo sta a indicare che il tumore necessita di eliminare questo controllo negativo per poter proliferare [29]. Un altro oncosoppressore di notevole importanza è la proteina p53, codificata dal gene

p53. Essa riveste notevole importanza nel controllo del DNA, in quanto, in seguito a

danni al genoma, accumulo di nucleotidi e livelli di nutrienti non ottimali, vengono attivati dei fattori di trascrizione che promuovono la trascrizione del gene p53. Può indurre l’apoptosi oppure può interrompere l'ulteriore progressione del ciclo cellulare fino a quando queste condizioni non saranno normalizzate[29, 30].

Nelle cellule tumorali è stato osservato che si ha spesso una delezione delle sequenze di DNA che codificano per questo tipo di proteine, oppure delle mutazioni inattivanti, cioè che non eliminano del tutto la sintesi della proteina, ma la alterano a tal punto da non essere più funzionale.

Altri esempi di oncosoppressori sono: la proteina PTEN che spegne il segnale della via PI3K/Akt/mTOR tramite la sua azione fosfatasica, il BCL2 regolatore dell’apoptosi, BRAF che regola il ciclo cellulare.[27][29]

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Caratteristiche delle cellule tumorali

Nel 2000[31]sono state descritte 6 caratteristiche fondamentali delle cellule tumorali, chiamati “hallmarks of cancer”, utili per differenziarle e identificarle.

Queste sono:

• Promozione del segnale proliferativo; • Insensibilità ai segnali anti-crescita;

• Resistenza alla morte cellulare programmata; • Potenziale replicativo illimitato;

• Attivazione dell’angiogenesi; • Invasione cellulare e metastasi.

Alla luce delle nuove scoperte in campo oncologico, nel 2011[32], sono state aggiunte altre 4 caratteristiche:

• Riprogrammazione del metabolismo energetico

• Mancata eliminazione da parte del sistema immunitario • Instabilità genomica e mutazione

• Promozione dell’infiammazione

Promozione segnale proliferativo

Nelle cellule sono presenti: fattori di crescita (GF), che promuovono la proliferazione (quindi promuovono il passaggio da una fase all’altra del ciclo cellulare) e la differenziazione, e fattori che la inibiscono. Il corretto equilibrio di entrambi fa sì che la cellula si riproduca in maniera dipendente dalle necessità del tessuto in cui è situata. Questi fattori vanno a legarsi a recettori presenti a livello della membrana, spesso recettori tirosin-chinasici, oppure recettori intracellulari, e da qui si attivano una o più vie di segnalazione intracellulare che avranno come effetto a valle quello di stimolare la crescita, la replicazione e la sopravvivenza della cellula.[32]

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L’acquisizione di un’autonomia nella produzione di fattori di crescita e l’indipendenza da essi è la prima caratteristica di una cellula tumorale, si ha una modifica a livello dei geni, che può portare ad una sovraespressione dei recettori coinvolti nella promozione della crescita cellulare, con conseguente up-regulation degli stessi. Questo causa una maggiore responsività della cellula agli stimoli esterni, una singola molecola di GF che prima produceva un certo effetto, ora ne produrrà molto di più. Ad esempio, il recettore EGFR/erbB, risulta maggiormente espresso nel caso di tumori al seno, cervello e stomaco, il recettore HER2/neu risulta sovra-espresso nel tumore allo stomaco e al seno. [31]

A causa di mutazioni a carico del DNA, riescono ad autoprodursi quei fattori di crescita necessari allo stimolo proliferativo, eliminando del tutto l’intermediario delle altre cellule. Un esempio ne sono il PDGF (Platelet-Derived Growth Factor) e il TGFα (Transforming Growth Factor α) che si trovano rispettivamente nel glioblastoma e nel sarcoma.[31]

Un’altra mutazione è l’attivazione costitutiva dalla proteina Ras, che funziona anche quando non lega il GTP.[25] Questa mutazione si riscontra in un gran numero di tumori. In particolare si è visto che, mutazioni a carico della proteina Ras, si sono ritrovate in circa il 40% dei melanomi.[32] Il tutto si traduce in un continuo stimolo verso la duplicazione e differenziazione, ossia, una delle caratteristiche tipiche del tumore.

Insensibilità ai segnali anti-crescita

In un tessuto sano, ci dovranno essere dei segnali che contrastano l’azione dei fattori di crescita precedentemente detti, ed operano per mantenere l'omeostasi dei tessuti. Questi includono: inibitori della crescita solubili, inibitori fissi localizzati nella matrice extracellulare e sulle superfici delle cellule vicine. Questi segnali inibitori vengono ricevuti da specifici recettori di superficie che trasdurranno il segnale. Hanno la capacità di bloccare la proliferazione mediante due meccanismi distinti: si forzano le

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cellule a passare in fase G0, da cui potranno uscirne quando i segnali extracellulari lo consentiranno, oppure, possono essere indotte a rinunciare in modo permanente al loro potenziale proliferativo[31].

Le cellule tumorali devono eludere questi segnali antiproliferativi se vogliono replicarsi indiscriminatamente. A livello molecolare, quasi tutti i segnali antiproliferativi vengono incanalati attraverso la proteina del retinoblastoma (pRb) e i suoi due “parenti”, p107 e p130.

Nei tumori si hanno spesso mutazioni a carico dei geni implicati in questa via e, se viene modificata la fosforilazione/defosforilazione di pRb, si va a liberare E2F dalla sua inibizione, che può trascolare nel nucleo, e svolgere il suo “lavoro” di promotore della trascrizione favorendo la replicazione[31].

Un ‘altra molecola importante è il TGFβ (Transforming Growth Factor β) che agisce in diversi modi, i più ancora sfuggenti, ma di certo si sa che previene la fosforilazione che inattiva pRb. Nello specifico, TGFβ provoca la sintesi delle proteine p15INK4A/B e p21, che bloccano i complessi ciclina: CDK responsabili della fosforilazione di pRb [33]. In alcuni tumori si ha la perdita di reattività al TGFβ mediante down-regulation dei suoi recettori, mentre altri mostrano recettori mutanti e disfunzionali. In più, in alcuni tumori si posso riscontrare mutazioni o addirittura delezioni di quei geni che codificano per le proteine regolatorie del ciclo cellulare, come ad esempio, mutazioni a carico dei geni che codificano per pRb producono una proteina mutata a tal punto da impedirle di svolgere la sua naturale funzione[32].

Resistenza alla morte cellulare programmata

La morte cellulare programmata o anche chiamata apoptosi funge da barriera naturale allo sviluppo del cancro[34, 35]. Lo studio delle vie di segnalazione che governano l’apoptosi, ha rivelato come questo fenomeno sia il risultato della sommatoria degli stimoli proapoptotici (ad es. danno al DNA) e antiapoptotici (ad es. crescita cellulare);

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se sono maggiori i pro-apoptotici allora verrà indotta l’apoptosi, altrimenti la cellula continuerà a proliferare.

Il meccanismo apoptotico è composto da regolatori a monte e da effettori a valle; i regolatori, a loro volta, sono divisi in due vie principali, una che riceve ed elabora input extracellulari che inducono la morte (via estrinseca), e l'altro che riceve ed elabora tutte le informazione origine intracellulare (via intrinseca). Viene attivata una cascata di caspasi che faranno in modo che la cellula sia progressivamente “smontata” e “consumata” sia da cellule vicine che da fagociti[34].

Attualmente, il programma apoptotico intrinseco è più ampiamente implicato come barriera alla patogenesi del cancro[32]. Infatti, come dimostrano da molte ricerche, si è rivelato come l'apoptosi sia attenuata in quei tumori che riescono a progredire verso stati di alta neoplasia e resistenza alla terapia[34, 36].

Le cellule tumorali sviluppano una grande varietà di strategie per limitare o aggirare l'apoptosi. Il più comune è la perdita della funzione dell’oncosoppressore TP53, che lo elimina dalle vie che inducono l'apoptosi e la cellula accumula mutazioni fino a diventare tumorale. In alternativa, i tumori possono aumentare l'espressione dei regolatori anti-apoptotici (Bcl-2, Bcl-xL) o dei segnali di sopravvivenza (Igf1 / 2), diminuendo l’espressione dei fattori pro-apoptotici o impedendo alla via estrinseca, attivata dal ligando, di innescare il fenomeno apoptotico a causa di modifiche nelle proteine di trasduzione del segnale[34, 37].

Inibizione da contatto e sua evasione

Decine di anni di ricerca hanno evidenziato che le cellule cooperano per semplice contatto tra di loro al fine di bloccare un’ulteriore crescita cellulare, producono infatti monostrati cellulari confluenti, ma tale "inibizione da contatto" non viene osservata nelle colture di cellule tumorali[38, 32].

Un meccanismo coinvolge il prodotto del gene NF2, a lungo implicato come soppressore del tumore, poiché la sua perdita innesca una forma di neurofibromatosi.

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Merlin, il prodotto del gene NF2, garantisce l'inibizione da contatto attraverso l'accoppiamento di molecole di adesione della superficie cellulare (ad esempio, E-caderina) alle tirosina chinasi del recettore transmembrana (ad esempio per l’EGFR). In tal modo, Merlin rafforza l'adesività delle giunzioni cellula-cellula mediati dalla caderina. Inoltre, “mascherando” i recettori dei fattori di crescita, Merlin limita la loro capacità di attivare la via proliferativa in modo efficiente[39].

Acquisizione della capacità replicativa illimitata

Quasi tutte le cellule, ad eccezione delle cellule staminali, possiedono un potenziale replicativo limitato, hanno cioè un numero di replicazioni ben definito, oltre il quale intervengono dei meccanismi che inducono la morte cellulare[31].

I tumori per crescere devono superare questa barriera, infatti, la maggior parte di cellule cancerose propagate in coltura sembra essere immortale, suggerendo che il potenziale replicativo illimitato è una caratteristica fenotipica che è stata acquisita in vivo durante la progressione del tumore, ed è essenziale per la loro crescita[40].

L’accorciamento dei telomeri è il maggior responsabile della limitata capacità replicativa delle cellule sane. I telomeri proteggono le estremità dei cromosomi e si accorciano progressivamente replicazione dopo replicazione, perdendo infine la capacità di proteggere le estremità del DNA cromosomico. Questo fenomeno è chiamato senescenza [41]. L'accorciamento dei telomeri è stato denominato da Hayflick un “replicometro”[40], una specie di contatore, che determina il potenziale replicativo limitato delle cellule normali e rappresenta “uno scoglio” da superare per la cancerogenesi[32].

La telomerasi, una DNA polimerasi specializzata, aggiunge segmenti di nucleotidi ripetitivi alle estremità del DNA telomerico, è quasi assente nelle cellule non “immortali”, ma è espressa a livelli significativi nella stragrande maggioranza (∼90%) delle cellule che hanno acquisito questa caratteristica, comprese le cellule tumorali.

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Prolungando il DNA telomerico, la telomerasi è in grado di contrastare la progressiva erosione dei telomeri che altrimenti si verificherebbe in sua assenza[31].

Attivazione angiogenesi

I tumori richiedono sostentamento sotto forma di nutrienti e ossigeno, nonché la capacità di eliminare rifiuti metabolici e anidride carbonica. La neo vascolarizzazione associata al tumore, generata dal processo di angiogenesi, risponde a queste esigenze. Nella vita adulta è attiva solo transitoriamente, ma, al contrario, durante la progressione del tumore, un "interruttore angiogenico" è quasi sempre attivo e rimane attivo, facendo sì che il sistema vascolare crei continuamente nuovi vasi in modo tale da aiutare a sostenere l'espansione della neoplasia[42]. Il controllo di questo sistema è affidato a molecole che inducono o inibiscono l'angiogenesi, tra i più conosciuti induttori e inibitori dell'angiogenesi troviamo, rispettivamente, il fattore di crescita endoteliale vascolare A (VEGF-A) e la trombospondina 1 (TSP-1). Il gene VEGF-A codifica per ligandi coinvolti nella crescita di nuovi vasi sanguigni durante lo sviluppo embrionale e postnatale, nella sopravvivenza omeostatica delle cellule endoteliali sia in situazioni fisiologiche, che patologiche nell'adulto. La segnalazione del VEGF può essere sovraregolata sia dall'ipossia che dalla segnalazione di un oncogene. TSP-1 costituisce il fattore che frena l’angiogenesi, lega i recettori transmembrana espressi dalle cellule endoteliali e darà luogo a una cascata inibitoria che contrasta gli stimoli pro-angiogenici[32].

La neo vascolarizzazione del tumore ha caratteristiche ben precise e distinguibili dalla vascolarizzazione delle cellule sane, infatti presenta:

• Germinazione capillare precoce;

• Ramificazione convoluta ed eccessiva dei vasi; • Vasi distorti e ingranditi;

• Flusso sanguigno irregolare; • Microemorragia;

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• Mancanza di tenuta dei vasi;

• Livelli anormali di proliferazione delle cellule endoteliali e apoptosi[43, 44]. Inoltre, l’angiogenesi è indotta dal tumore anche durante le prime fasi della malattia, già a partire dai tumori microscopici, contrariamente a quanto si pensava prima, cioè che intervenisse solo in seguito alla formazione di tumori macroscopici [32].

Attivazione invasione cellulare e metastasi

Il processo di invasione e metastasi a più steps è stato schematizzato come una sequenza di passaggi, denominati “cascata invasione-metastasi” [45], questa rappresentazione prevede dei cambiamenti biologici delle cellule in successione:

1. Trasformazione cellulare; 2. Angiogenesi;

3. Acquisizione di motilità e infiltrazione da parte delle cellule tumorali nei vasi sanguigni e linfatici vicini;

4. Formazione di aggregati tra cellule tumorali, piastrine e linfociti che hanno lo scopo di neutralizzarle; vanno invece a proteggerle dall’attacco del sistema immunitario e a favorirne l’adesione all’endotelio capillare;

5. Trasporto delle cellule tumorali attraverso i sistemi linfatico ed ematico; 6. Le cellule tumorali arrestano il loro viaggio molto spesso nei capillari, dove il

flusso ematico è più lento e le pareti dei vasi più vicine;

7. Si ha il processo chiamato extravasation, cioè il passaggio delle cellule tumorali dal sangue al parenchima. Questo viene aiutato anche dalle piastrine che producono molecole di adesione per l’endotelio capillare e dai linfociti che, producendo chemochine e molecole infiammatorie aumentano la permabilità capillare, favoriscono questo processo;

8. Se si ha una risposta positiva da parte del microambiente qui presente, cioè presenza di fattori di crescita, nutrienti, spazio per crescere, si innesca la

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proliferazione cellulare, e successivamente l’angiogenesi per aumentare l’intake di nutrienti;

9. Formazione di piccoli noduli di cellule cancerose dette micrometastasi

10. Crescita di micrometastasi in tumori macroscopici (fase di colonizzazione) che successivamente possono dare origine a nuove metastasi.[45, 46]

Una strategia molto accreditata per promuovere l’invasione dei tessuti è quella denominata "transizione epiteliale-mesenchimale" (EMT). Può risultare attivata in modo transitorio o stabile, e in misura diversa dalle cellule di carcinoma durante il corso di invasione e metastasi. Si ha una variazione dell’espressione genica e, in particolare, si ha: perdita di giunzioni aderenti, conversione da morfologia poligonale a una sottile/fibroblastica, espressione di enzimi degradanti la matrice (ad esempio metalloproteinasi), aumento della motilità e accresciuta resistenza all'apoptosi ed, inoltre, si può avere inibizione dell’espressione della E-caderina [32] (coinvolta nell’adesione cellula-cellula e nel cancro [47]). Il risultato è una degradazione della matrice unita a una forma più “snella” e mobile in grado di infiltrarsi nei tessuti già demoliti. L'espressione di fattori di trascrizione induttori di EMT è stata osservata in alcuni tipi di tumori non intestinali, come sarcomi e tumori neuroectodermici[32]. Già nel 1889 Paget pubblicò un articolo su Lancet nel quale esponeva la teoria di “seme e suolo” (seed and soil). Questa teoria enunciava che, come una seme riesce a germogliare in un determinato terreno, anche le cellule tumorali proliferano in uno specifico tessuto[48].

Questa teoria risulta ancora valida. Successive ricerche hanno cercato di spiegare meglio per quali motivi una cellula tumorale preferisca un distretto o un altro, e si è visto che questo è governato da 2 fattori: il microambiente dell’organo bersaglio e l’interazione tra le cellule tumorali e quelle endoteliali che determinano dove le metastasi si svilupperanno. Infatti, aderiranno preferenzialmente alla rete capillare del proprio organo bersaglio[46].

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Instabilità del genoma e mutazione

L’acquisizione delle caratteristiche prima discusse dipendono principalmente da alterazioni nel genoma delle cellule neoplastiche. Alcuni fenotipi tumorali acquisiscono un vantaggio selettivo rispetto agli altri, consentendo loro di crescere e occupare un tessuto. Di conseguenza, la progressione del tumore a più steps può essere rappresentata come un susseguirsi di espansioni clonali, ciascuna delle quali è innescata dall'acquisizione casuale di un fenotipo mutante. Alcune caratteristiche possono essere acquisite non solo tramite mutazioni del DNA, ma anche in seguito a modificazioni epigenetiche come la metilazione del DNA e le modificazioni istoniche, le quali, non influenzano direttamente la disposizione dei nucleotidi, ma vanno a colpire la regolazione dell’espressione genica[32].

Per acquisire quel pattern di geni necessari alla cancerogenesi, le cellule tumorali devono mutare il loro DNA. Questo è ottenuto attraverso una maggiore sensibilità agli agenti mutageni e attraverso una rottura in uno o più punti del meccanismo di mantenimento genomico. Inoltre, è acuito dal fatto che i sistemi di sorveglianza che monitorano l’integrità del DNA sono spesso compromessi, come ad esempio, una modifica genetica a carico della proteina TP53 che la rende incapace di svolgere la sua azione, impedisce alla cellula di rilevare mutazioni e indurre apoptosi o senescenza. Anche la perdita di DNA telomerico influisce; infatti genera instabilità associata a amplificazione e delezione di segmenti cromosomici. Quindi, da questo punto di vista, la telomerasi svolge un ruolo peculiare perché da una parte aiuta a impedire l’instabilità genomica rigenerando il DNA telomerico, ma dall’altra fornisce alle cellule un potenziale replicativo illimitato.

Questo fa concludere che vengano selezionate cellule tali per cui il genoma è più instabile, perché più capace di accumulare mutazioni, in modo tale da accelerare lo sviluppo delle lesioni precancerose in tumori veri e propri[32].

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Una caratteristica abilitante: infiammazione che promuove il tumore

Storicamente si pensava che la presenza di cellule del sistema immunitario nelle cellule cancerose e il loro rilascio di molecole avesse il solo scopo di combattere il tumore, come se fosse un qualcosa di esterno. In effetti, questa affermazione non è del tutto sbagliata, perché il tumore cerca di eludere il controllo del sistema immunitario, dal quale altrimenti ne sarebbe schiacciato[32]. Successive scoperte hanno dimostrato che la risposta immunitaria associata al tumore ha un effetto paradosso, cioè che va sostenere la cancerogenesi e la progressione verso cellule maligne aiutandole ad acquisire i tratti distintivi[49]. L’infiammazione infatti va a indurre un effetto positivo sul microambiente tumorale in quanto fornisce un gran numero di citochine, fattori di sopravvivenza che inibiscono l’apoptosi, provoca il rilascio nella matrice extracellulare di enzimi che la modificano (ad es. metalloproteinasi) facilitando: angiogenesi, invasione dei tessuti e metastasi, oltre a segnali che promuovono l’EMT. In genere si tratta di un’infiammazione cronica causata da infezioni virali o malattie autoimmuni, dove le cellule, costantemente attivate, producono mediatori in continuazione con l’intento di proteggere l’organismo, ma invano, in quanto, a lungo andare favoriranno la cancerogenesi. In più, le cellule infiammatorie, possono rilasciare specie reattive dell’ossigeno, i cosiddetti ROS (Reactive Oxygen Species), i quali sono molto conosciuti per la loro attività mutagena. Così facendo accelera la transizione da cellula normale a cellula tumorale[49].

In quanto tale, l'infiammazione può essere considerata una caratteristica abilitante perché dà il suo contributo all’acquisizione dei tratti delle neoplasie maligne, ma non una caratteristica propria del tumore[32].

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Riprogrammazione del metabolismo energetico

L’ accrescimento cronico e spesso incontrollato che caratterizza la malattia neoplastica coinvolge non solo alterazioni a livello della proliferazione, ma anche alterazioni del metabolismo energetico, al fine di fornire la giusta energia per la crescita e la divisione cellulare. In condizioni aerobiche, il glucosio viene convertito in ATP attraverso la glicolisi, il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa, mentre, in condizioni anaerobiche, è favorita la glicolisi, e relativamente poco piruvato viene inviato ai mitocondri che impiegano ossigeno [32]. Otto Warburg osservò per primo una caratteristica anomala del metabolismo energetico delle cellule tumorali: anche in presenza di ossigeno, le cellule tumorali riescono a riprogrammare il loro metabolismo del glucosio, limitandolo in gran parte alla glicolisi, che porta a uno stato definito "glicolisi aerobica"[50, 51].

Da un punto di vista di resa percentuale sarebbe molto svantaggioso rispetto a un meccanismo classico, ma le cellule tumorali sono in grado, in seguito alle mutazioni accumulate, di aumentare notevolmente l’intake di glucosio grazie, in parte, a un’iperespressione dei trasportatori del glucosio GLUT1. In effetti, l'assorbimento e l'utilizzo del glucosio notevolmente aumentati, sono stati documentati in molti tipi di tumori umani, semplicemente valutando l’assorbimento del glucosio in modo non invasivo tramite tomografia a emissione di positroni (PET) impiegando un analogo radiomarcato del glucosio (18F-fluorodeossiglucosio). Questa dipendenza dalla glicolisi può essere ulteriormente accentuata nelle condizioni ipossiche in cui operano molti tumori: il sistema di risposta all'ipossia agisce in modo pleiotropico per sovra-esprimere i trasportatori del glucosio e molteplici enzimi della via glicolitica[32].

Mancata eliminazione da parte del sistema immunitario

Un ultimo aspetto da tenere in considerazione è la risposta immunitaria dell’organismo; questa è responsabile del riconoscimento e eliminazione di cellule diverse da quelle

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“normali”, comprese quelle tumorali, quindi secondo questa logica, il tumore deve trovare delle strategia per evitare il sistema immunitario. Le prove di questa teoria si sono viste in pazienti immunodepressi, come ad esempio i malati di HIV, i quali sviluppavano molto più facilmente il cancro. In particolare una carenza di linfociti T citotossici CD8+, linfociti T helper o natural killer predispone alla formazione di una neoplasia. Queste cellule riconoscono i tumori e li attaccano in modo da eliminarli, ma solo se riescono a riconoscerli in maniera adeguata, tramite proteine di superficie o altri segnalatori. In più, durante le continue replicazioni, i cloni molto immunogenici verranno eliminati in breve tempo, mentre verranno selezionate quelle popolazioni in grado di dare una minore risposta immunitaria, le quali progrediranno. Inoltre, si è visto che i tumori producono fattori in grado di sopprimere il sistema immunitario, per esempio, possono paralizzare gli infiltrati di linfociti T e cellule natural killer attraverso la produzione di TGF-β o mediatori immunosoppressivi. Questa rappresenta un’ulteriore barriera da superare per la cancerogenesi[32].

Classificazione dei tumori

Esistono numerosi modi per classificare un tumore, in base al sito di origine, al tipo di tessuto, al grado e la classificazione TNM[52].

- In base al sito di origine: vengono classificate così quelle forme tumorali che hanno origine in uno specifico distretto dell’organismo, degli esempi sono: cancro al seno, cancro al polmone, cancro alla vescica, cancro al fegato, ecc [52].

- La classificazione in base al tipo di tessuto è più dettagliata e fornisce maggiori informazioni sulla natura delle cellule tumorali,; questo tipo di classificazione viene fatta solo in seguito ad una biopsia della presunta massa tumorale. Sulla base di questa classificazione i tumori si dividono in:

1. Carcinoma: origina dalle cellule epiteliali ed è il più diffuso rappresentando circa l’80-90% di tutte le forme tumorali. Il motivo della sua grande diffusione è dovuto alla vasta abbondanza di cellule epiteliali. Si dividono principalmente

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in due grossi tipi, l’adenocarcinoma che si sviluppa in un organo o una ghiandola, oppure il carcinoma spino cellulare che origina dall’epitelio squamoso. Esempi sono il carcinoma al polmone, carcinoma al seno;

2. Sarcoma: origina da cellule del tessuto connettivo, dal tessuto muscolare, ossa e cartilagini. Esempi sono: osteosarcoma che coinvolge le ossa e condrosarcoma che coinvolge le cartilagini;

3. Mieloma: trae origine da una mutazione a carico delle plasmacellule, ossia quelle cellule che sono deputate alla produzione di anticorpi;

4. Leucemia: origina da una proliferazione incontrollata di cellule staminali, non differenziate, presenti nel midollo spinale. Esempi sono la leucemia mieloide acuta o cronica e la leucemia linfatica, linfoide, linfocitaria acuta o cronica; 5. Linfomi: vengono coinvolti i linfonodi o le ghiandole del sistema linfatico. A

differenza di mieloma e leucemia questo è un tumore solido. Si differenzia in linfoma di Hogdkin se deriva dai linfociti B, oppure linfoma non Hogdkin se deriva da linfociti T e B[52, 53].

- Classificazione in base al grado: vengono classificate le cellule tumorali in base al loro grado di differenziazione, meno sono differenziate rispetto alle cellule del tessuto in cui sono, più alto è il grado, viene utilizzato un numero da 1 a 4[52]. - Classificazione TNM: è una tra la più usate in clinica per valutare e classificare un

tumore solido. Da questa prima valutazione, si può effettuare una prima diagnosi, fornire una prognosi ed eventualmente, scegliere il tipo di terapia più adatta. Tiene conto di tre parametri T, N e M.

• T = tumor sta a indicare la dimensione del tumore espressa con numeri che vanno da 1 per piccolo a 4 per grande. Può essere usata anche la denominazione “is” nel caso si tratti si un tumore in situ.

• N = nodes, sta a indicare il coinvolgimento dei linfonodi vicini al tumore: viene usato un numero da zero, quando non è coinvolto nessun linfonodo, a tre, quando sono coinvolti più linfonodi.

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• M = metastasis, indica la presenza o meno di metastasi: viene usato un numero che può essere o uno, quando è presente almeno una metastasi, oppure zero, quando sono assenti[54, 52].

Cause del cancro

Il cancro non è dovuto ad una causa semplice e ben determinabile. Nella maggior parte dei casi si può risalire a determinati fattori di rischio che aumentano la probabilità di svilupparlo, ma, in alcuni casi, si manifesta anche in assenza di essi.

Sono stati definiti fattori di rischio esogeni che includono: stili di vita, contatto con sostanze pericolose, esposizione ad agenti potenzialmente tossici, ecc. che possono essere eliminati o limitati; ed i fattori di rischio endogeni che non possono essere eliminati, in quanto insiti nell’organismo.

Fattori di rischio esogeni: stili di vita

Fumo di sigaretta. Il fumo di sigaretta è uno dei più conosciuti fattori di rischio per il

cancro ed il più combattuto; contiene più di 8000 composti, inclusi più di 70 agenti cancerogeni. In particolare, si sono identificati: nitrosammine specifiche del tabacco, idrocarburi policiclici aromatici e ammine aromatiche[3]. Si ritiene che molti di questi causino il cancro inducendo danni al DNA[55]. Il meccanismo molecolare che porta allo sviluppo del cancro è anch’esso complesso. Da uno studio che analizza i casi di cancro correlato con il fumo di sigaretta negli ultimi 50 anni e riunisce i risultati di altri precedenti studi, si è visto come i composti cancerogeni e tossici risultanti dalla combustione del tabacco vengano in qualche modo attivati metabolicamente dall’organismo ed eliminati. Ma quando i sistemi sono alterati, oppure già impegnati, queste molecole attivate formano gli addotti del DNA. La loro abbondante presenza è già di per sé indicativa di un’eventuale trasformazione neoplastica, in quanto sono

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fondamentali nel processo di cancerogenesi poiché possono causare errori di lettura durante la replicazione del DNA[55].

Il fumo di sigaretta è implicato nella cancerogenesi di circa 17 tipi di tumori, tra cui il più comune che è il carcinoma polmonare, perché tessuto più esposto e più soggetto a sviluppare questa patologia, ma coinvolge anche altri tessuti distanti dal polmone[56].

Consumo di alcol. Quando si parla di consumo di alcol, ci si riferisce al consumo di

etanolo, sottoforma di bevande alcoliche; anche se al loro interno sono presenti numerose sostanze cancerogene. La classificazione IARC ha inserito l’alcol etilico nel gruppo 1 dei cancerogeni anche se i meccanismi secondo il quale causa il cancro non sono ancora del tutto chiariti. Si pensa che il principale meccanismo cancerogenico sia dovuto proprio al suo metabolismo. L’etanolo, nell’organismo, è convertito in acetaldeide dall’enzima alcol deidrogenasi nel fegato e, successivamente, trasformato in acido acetico attraverso l’azione dell’enzima aldeide deidrogenasi. Un’inibizione della seconda tappa provoca un accumulo di aldeide che è dannosa per il DNA. L’etanolo è stato ipotizzato che abbia un’azione di aumento di radicali liberi attraverso la conversione di pro-cancerogeni con via metabolica dell’etanolo, in più causerebbe: perossidazione lipidica, produzione di prostaglandine proinfiammatorie, alterazione della via del IGF-1 (Insulin-like Growth Factor 1)[3]. A livello del fegato provoca una continua stimolazione che si traduce in infiammazione e inoltre, a livello delle cellule epiteliali del colon, rallenta la loro guarigione oltre a scatenarne una risposta infiammatoria[57].

Da uno studio[58] pubblicato sul British Medical Journal, si cerca di trovare un nesso di causalità tra l’abuso di alcol e lo sviluppo del cancro, è emerso che su 109118 uomini e 254870 donne di età compresa tra 37 e 70 anni, il 10% e il 3%, rispettivamente, dell'incidenza del cancro totale, era attribuibile al consumo precedente e/o attuale di alcol. Per tumori le cifre sono del 44% e del 25% per il tratto aerodigestivo superiore, del 33% e del 18% per il fegato, 17 % e 4% per il cancro del colon-retto per uomini e donne, rispettivamente, e 5,0% per il cancro al seno.

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Un’altra azione degna di nota dell’etanolo è la sua capacità di agire come solvente per la penetrazione nell’organismo di altri cancerogeni, in particolare dei cancerogeni contenuti nei fumo di sigaretta. Un’abitudine molto comune è accostare l’assunzione di alcol al fumo di sigaretta, questo mix crea un effetto sinergico perché l’etanolo causa esso stesso il tumore a bocca e gola e inoltre promuove l’ingresso delle sostanze dannose per l’organismo prodotte dalla combustione del tabacco, che sono implicate anch’esse nella genesi del tumore a bocca e gola[57].

Dieta e nutrizione. La nutrizione influisce sullo sviluppo del cancro; il consumo

smodato di determinate tipologie di cibi può favorire l’insorgenza di alcune forme tumorali.

Nel corso degli anni sono state fatte numerose scoperte e ricerche a riguardo del potenziale cancerogeno degli alimenti, ma la maggior vanno prese con le dovute cautele. Rimane accertato il fatto che si favorisca la comparsa della malattia assumendo sostanze potenzialmente cancerogene, come quelle prodotte dalla carne rossa, specialmente se lavorata, e privando l’organismo di fattori protettivi come: le fibre contenute nella frutta e nella verdura, oppure vitamine e minerali contenuti nei prodotti della terra. Nel 2015 AIRC ha inserito le carni lavorate tra le sostanze che possono causare il cancro ed è stato dimostrato che hanno un ruolo importante in circa il 13-14% di tutti i casi registrati di tumore al colon-retto. Questa loro cancerogeneicità è dovuta alle sostanze in esse contenute, come i conservanti, e al processo a cui sono state sottoposte come: essiccazione, fermentazione, affumicatura, ecc. al solo scopo di migliorarne sapore e conservazione[59].

Inoltre è stato visto che anche il metodo di cottura può influire sull’insorgenza del cancro, in particolare quelle cotture dove si ha la carbonizzazione di varie molecole come proteine, grassi e carboidrati; la combustione del legno stesso è responsabile della liberazione di sottoprodotti tossici come idrocarburi policiclici aromatici, acroleina, acrilamide, ecc[59, 3]. Dobbiamo inoltre considerare che i classici problemi legati

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all’alimentazione come sovrappeso e obesità sono strettamente correlati all’insorgenza di diversi tipi di cancro come quello al colon, al seno, all’endometrio e alla cistifellea.

Sedentarietà. L’abitudine a muoversi poco e trascurare l’esercizio fisico è sempre più

diffusa al giorno d’oggi, oltre a lavori che prevedono una lunga immobilità. È scientificamente provato che una regolare attività fisica aiuti la motilità intestinale, promuovendo il transito di quelle sostanze dannose che altrimenti entrerebbero in contatto per lungo tempo con le pareti dell’intestino provocando danni a esso, inoltre aiuta a diminuire la quantità di insulina nel sangue, quindi un modo di combattere quei tumori insulino-sensibili; va a ridurre tutti quei mediatori dell’infiammazione e favorisce la lipogenesi. Questo sta a indicare come la sedentarietà possa effettivamente aumentare la probabilità di insorgenza della patologia. I tumori più direttamente correlati con la sedentarietà sono: il tumore al colon, al seno e all’utero[3, 60].

Luce solare e radiazioni ultraviolette. I raggi ultravioletti sono di gran lunga le

radiazioni a cui l’uomo è più esposto durante l’arco della sua vita. Si è visto da numerosi studi che un’esposizione prolungata può determinare l’insorgenza di diverse forme di cancro alla pelle. La radiazione ultravioletta è classificata in 3 tipi: UVA (lunghezza d’onda 315–400 nm), UVB (280–315 nm), e UVC (100–280 nm); gli UVB e gli UVA sono i diretti responsabili dell’abbronzatura, dell’ustione e dei danni alla pelle[3]. Se la dose di raggi UV a cui si è esposti supera una certa soglia, iniziano a verificarsi dei danni e gli UVB sono i maggiori implicati nella cancerogenesi perché inducono lesioni al DNA che causano mutazioni; si ha infiammazione e, nello specifico l’ustione, che funge da promotore per la cancerogenesi. L’accumulo di queste lesioni al DNA contribuisce allo sviluppo di mutazioni e di conseguenza del cancro alla pelle, inoltre, con le radiazioni si formano dei dimeri di pirimidine sul DNA che rivestono un ruolo nell’immunosoppressione. In aggiunta, le radiazioni UV inducono la produzione e l’aumento di ROS causando un danno da stress ossidativo a carico del DNA che sfocia in un’alterazione di uno o più geni[3, 61].

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I tumori causati da una prolungata e ripetuta esposizione solare sono i melanomi che sono tra i più aggressivi e letali se non diagnosticati in tempo ed anche il carcinoma basocellulare e il carcinoma spinocellulare[3].

Fattori di rischio esogeni: fattori ambientali

Radiazioni ionizzanti. Sono caratterizzate dalla diffusione di onde elettromagnetiche

o particelle subatomiche (come nel caso delle particelle alfa e beta emesse da materiali radioattivi). Le radiazioni ionizzanti sono i raggi X, i raggi γ, le particelle α e β e una piccola porzione di raggi UV. Rappresentano quelle a maggiore energia perché hanno la capacità di modificare la struttura atomica rimuovendo elettroni che ruotano attorno al nucleo conferendo all’atomo una carica (da qui il nome ionizzanti). Per questa loro peculiarità sono considerate le più pericolose per le cellule umane. Sono considerate un fattore di rischio riconosciuto e appurato per ogni forma di tumore, perché vanno a colpire direttamente il DNA rompendo i filamenti o inducendo cambiamenti nella sua struttura; in più, possono alterare l’ambiente cellulare circostante provocando un aumento di radicali liberi che a loro volta possono danneggiare il DNA[62]. C’è da dire che possono passare anche diversi anni tra l’esposizione e l’insorgere della malattia, questo perché la cellula stessa tenta di riparare il danno tramite i sistemi di riparazione o inducendo l’apoptosi, ma quando sfugge al controllo, viene replicato l’errore e si ha una mutazione; l’accumulo di mutazioni determinerà poi la trasformazione neoplastica. Ogni organo ha la sua sensibilità alle radiazioni ed i più colpiti sono in genere la tiroide e il midollo osseo che possono dare origine ad alcune forme di leucemie e il cancro alla tiroide. Per lo sviluppo di tumori solidi si richiedono in genere diversi decenni, mentre le leucemie sono quelle a più rapida insorgenza. Le più comuni forme tumorali sono i tumori del sangue, tra cui la leucemia mieloide acuta. [3, 61]

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Inquinanti atmosferici. Oltre ad essere causa di numerose malattie dell’apparato

respiratorio, come asma e infezioni bronchiali, gli inquinanti atmosferici sono implicati nella cancerogenesi. Per molti anni si è indagato circa il nesso di causalità tra tumori e inquinamento atmosferico e nel 2013 lo IARC ha incluso l’inquinamento outdoor e il particolato nell’elenco dei cancerogeni certi per l’uomo.[63] Questa decisione è stata presa in seguito a studi effettuati su migliaia di persone per anni incrociando i dati sull’esposizione all’inquinamento, i livelli di particolato nelle zone di residenza con i dati sulle malattie tumorali. Si è visto che un buon numero di casi tumore al polmone si verificavano in persone esposte al particolato (anche chiamate polveri sottili). Queste sono particelle con un diametro inferiore a 10 μm (PM10), e alla sua frazione di polveri più fini (PM2,5). Questi studi hanno messo in luce che il particolato è concausa di circa il 29% delle morti per tumore al polmone, inoltre, in seguito a uno studio, si è dimostrato che si ha un aumento di incidenza di tumore al polmone in chi è più esposto al PM2,5, anche quando i suoi livelli sono sotto i limiti consentiti per legge.[3, 60, 64]

Agenti chimici. La possibilità di sviluppare il cancro in seguito all’esposizione a questi

agenti si è dedotta dall’aumento di nuove diagnosi di tumore in specifiche categorie di lavoratori esposti maggiormente a queste sostanze, e dipende da: tipo di sostanza, entità della dose, frequenza, periodo e modalità dell’esposizione, durata, condizioni di salute e la propria genetica e l’eventuale esposizione ad altre sostanze potenzialmente cancerogene. [65] Alcuni tra i più conosciuti agenti chimici cancerogeni sono: il benzene, contenuto in alcuni solventi e nel fumo di sigaretta. Esso aumenta il rischio di leucemia. Le diossine, prodotte durante i processi produttivi, si accumulano nell’ambiente e negli alimenti; alcuni pesticidi; il cloruro di vinile; gli idrocarburi aromatici policiclici che si trovano in cibi cotti alla griglia, nel fumo di sigaretta, nei gas di scarico delle auto, nel fumo prodotto da camino e stufa e sono implicati nello sviluppo di cancro alla pelle e all’apparato urinario. Queste e altre sostanze cancerogene sono state elencate e discussi nel dettaglio i meccanismi tossici e mutageni in una revisione pubblicata dal IARC. [66]Un discorso a parte meriterebbe l’amianto,

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le cui fibre, in seguito alla sua lavorazione, vanno ad annidarsi all’interno degli alveoli, precisamente nei macrofagi alveolari, e scateneranno una risposta infiammatoria che a lungo andare cronicizzerà e fornirà la base per molti tipi di BPCO e per il mesotelioma pleurico, un tipo di tumore caratteristico dell’esposizione alle fibre di amianto.[65]

Ormoni. Gli ormoni all’interno dell’organismo svolgono molteplici funzioni, tra cui

una di esse, è la regolazione della proliferazione cellulare e, proprio per questa ragione, la loro produzione è finemente regolata. Un’eccessiva concentrazione di ormoni nel sangue può favorire l’insorgere di tumori al seno o alla prostata. Un aumento di ormoni può essere dovuto all’assunzione volontaria di farmaci regolarmente prescritti dal medico; a stili di vita come il sovrappeso che favorisce un eccesso di estrogeni, all’obesità, che favorisce la liberazione di insulina e di altri ormoni simili che possono agire come fattori di crescita. Gli ormoni spesso sono alla base di molti tumori come quello al seno, o alla prostata. Non è inusuale infatti l’utilizzo in terapia di antagonisti degli estrogeni come il tamoxifene, che ha la funzione di proteggere dal tumore al seno ormono-sensibile. Inoltre, un’alterazione degli ormoni è implicata nell’insorgenza del tumore della cervice uterina e del tumore al seno.[67, 68]

Fattori endogeni

Età. L’invecchiamento costituisce uno dei principali fattori di rischio per il cancro, non

è un caso che la maggior parte dei tumori siano diagnosticati in tarda età. Questo è dovuto in parte all’aumento dell’età media della popolazione e in parte al lento e costante invecchiamento delle cellule; inoltre si ha a disposizione un tempo maggiore sul quale i cancerogeni possono agire e dare mutazioni.[60]

Fattori ereditari. In alcuni casi di tumore si parla di familiarità e non di ereditarietà,

cioè non si trasmette la malattia vera e propria attraverso i geni, ma si ha un’aumentata predisposizione a svilupparla. È infatti possibile ereditare un gene mutato che rende

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poi la cellula più incline a sviluppare la malattia; un esempio sono le mutazioni a carico dei geni BRCA, i quali predispongono l’individuo allo sviluppo del tumore al seno o all’ovaio nelle donne, e del tumore alla prostata nell’uomo.[60]

Agenti infettivi. Alcuni agenti infettivi sono in grado di indurre delle trasformazioni

nelle cellule che infettano tali da renderle cellule cancerose. Alcune specie di virus possiedono un enzima chiamato trascrittasi inversa, che è in grado di convertire l’RNA virale in DNA che verrà successivamente inserito nel genoma cellulare. Questo processo spesso si verifica in sequenze non codificanti ed è del tutto innocuo per la cellula, ma può causare problematiche ben più gravi nel caso in cui venga inserito in geni che codificano, ad esempio, per le proteine regolatrici del ciclo cellulare, oppure, per la produzione di fattori di crescita, per geni implicati nella riproduzione, ecc. In questo caso può generare delle mutazioni che, se reiterate, portano la cellula a evolvere in stato canceroso. Ma anche batteri e parassiti riescono a indurre delle modificazioni cellulari[69], l’helicobacter pylori è responsabile di 810000 nuovi casi di cancro nel 2018, di cui l’89% dei tumori gastrici non del cardias (760000 casi), il 74% dei linfomi gastrici non Hodgkin (22000 casi) e il 29% di tumori gastrici del cardias nell'Asia orientale (36000 casi). Un altro esempio è il papillomavirus umano HPV (Human

Papilloma Virus) responsabile del cancro alla cervice (circa 570000 casi nel mondo) e

del cancro orofaringeo e anogenitale, oltre ad essere la causa di numerose malattie sessualmente trasmissibili. Altri agenti infettivi cancerogeni sono: il virus dell’epatite B e C e il virus di Epstein-Barr.[3, 70]

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CAPITOLO 2: LE TIROSINA CHINASI

Le tirosina chinasi fanno parte di quel grandissimo gruppo di proteine estremamente diffuso nel corpo umano che sono le chinasi. Le chinasi sono implicate in numerose vie di segnalazione intracellulare, permettono l’attivazione o l’inibizione di specifiche proteine che porteranno a valle un certo effetto, nello specifico, sono una famiglia di proteine deputate alla fosforilazione di altre molecole organiche.

La fosforilazione è il processo di trasferimento di un gruppo fosfato da una molecola, di solito ATP, ma esistono chinasi che sfruttano il GTP, detta donatrice, ad un substrato specifico. Questo processo funge da “segnale” per molte proteine che, se fosforilate, sono attive e in grado di catalizzare delle reazioni, mentre quando defosforilate sono inattive, o viceversa. L’estinzione di tale segnale è operato dalle fosfatasi che effettuano l’operazione inversa, vanno cioè a togliere un gruppo fosfato attraverso una reazione di idrolisi.

Esistono chinasi che fosforilano lipidi, carboidrati, nucleotidi e singoli amminoacidi, in quest’ultima categoria si collocano le tirosina chinasi e le serina/treonina chinasi. [71]

La tirosina chinasi è una famiglia di enzimi che catalizza la fosforilazione di residui di tirosina specifici nelle proteine bersaglio facendo uso di ATP; nello specifico è in grado rompere il legame tra il fosfato γ e il fosfato β presente nell’ATP al fine di trasferirlo su un residuo di tirosina. Le tirosina chinasi rivestono un ruolo molto importante nella progressione neoplastica in quanto implicate nelle vie che promuovono la differenziazione e proliferazione cellulare, inibiscono l’apoptosi, favoriscono la sopravvivenza, e si trovano molto spesso alterate nei tumori.

Nel genoma umano ne esistono 90 tipi diversi e possono essere suddivise in due grandi famiglie[72, 73]:

• Tirosina chinasi recettoriali (RTK): di cui vi fanno parte 58 tipi. Sono proteine transmembrana che possiedono un dominio extracellulare e uno intracellulare, localizzate sulla membrana cellulare. Sono raggruppate in 20 famiglie: ErbB,

Riferimenti

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