• Non ci sono risultati.

I villaggi operai dal paternalismo alle company town

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I villaggi operai dal paternalismo alle company town"

Copied!
39
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Introduzione ... 2

1 Capitolo: il paternalismo ottocentesco ... 5

1.1 Modelli europei ... 5

1.2 Il paternalismo organico: Crespi ... 9

1.3 Un caso atipico: Larderello ... 11

1.4 Campione sul Garda: un "oasi nel deserto" ... 13

1.5 Il villaggio operaio di Collegno ... 15

II Capitolo: La fase dell'industrializzazione (1900-1930) ... 18

2.1 Dal villaggio aziendale alla città ... 18

2.2 Rosignano Solvay ... 19

2.3 I villaggi minerari in Toscana ... 20

2.4 Le miniere della Sardegna ... 22

III Capitolo: La fabbrica totale (1930-1940) ... 25

3.1 Il neopaternalismo e il welfare aziendale ... 25

3.2 Torviscosa: un esempio di ingerenza fascista ... 26

3.3 Lo sviluppo delle company town: Dalmine ... 30

3.4 Il caso Fiat ... 32

3.5 L'Ansaldo a Genova ... 35

Conclusione ... 37

(2)

Introduzione

Il villaggio operaio è costituito da "una serie, talora differenziata, di abitazioni costruite dall'imprenditore e destinate ai lavoratori della fabbrica"1. Accanto alle case esistono dei servizi sociali, sportivi, ricreativi, in modo che gli operai si trovino a loro agio e possano riprendersi in relax dalle fatiche del loro lavoro. In genere queste strutture sorgono vicine al luogo di lavoro, e date in affitto mediante delle rate mensili detratte direttamente dallo stipendio. Per la tipologia delle case esistono diverse possibilità, dalla semplice casetta dell'operaio alla villetta degli impiegati, sino alla casa padronale, e ripropongono le diversità di status lavorativo all'interno dell'azienda. Ciuffetti individua cinque fasi che accompagnao la creazione del Welfare state: una fase paleotecnica che precede l'industrializzazione (colonia borbonica di San Leucio, Larderello, Ginori e Follonica) collocabile tra la metà del '700 e quella dell'800; il protopaternalismo (Schio, Collegno, Marzotto); la fase dell'industrializzazione vera e propria, collocabile negli anni a cavallo tra la fine del'Ottocento e l'inizio del XX secolo, alla quale risalgono le prime città industriali; la fase dei villaggi di miniera; la fase del fascismo e del neopaternalismo, con la nascita della fabbrica totale e del Welfare aziendale, fase che non terminerà con la caduta del regime ma proseguirà nel corso degli anni Cinquanta, con la politica di costruzione di case popolari da parte del governo guidato dalla Democrazia Cristiana.

Dare le casa agli operai non è un tema esclusivo dell'industrializzazione moderna ma, se è vero che questo fenomeno si addensa nel corso dell'Ottocento, abbiamo altresì casi risalenti al '600 e al '700, come le manifatture reali di Saint Gobain, ma abbiamo anche casi di cui è difficile accertare l'origine, perchè sfuggono all'indagine. Il primo è relativo alle gualchiere, macchinari di legno utilizzati per la lavorazione della lana. Essi si trovavano sulle sponde del fiume Arno nella zona di Pontassieve, a Remole. Erano stati costruiti, intorno al 1326, degli edifici in muratura, con dei "camerotti", alloggi per i lavoratori. La loro creazione all'esterno della città rispondeva alla volontà da parte dell'impreditore di sfuggire al sistema di tassazione che regolava il lavoro in città e l'andamento delle corporazioni. Queste hanno funzionato fino al XX secolo e sono tuttora abitate da quattro famiglie, mentre i camerotti sono stati trasformati in magazzini. L'altro esempio preindustriale, risaente agli inizi del Seicento, è quello di Forni di Suvereto dove, accanto al complesso siderurgico vennero

1 Cfr. C. Torti, "Dar casa a chi lavora: villaggie quartieri operai in Italia dal Medioevo a oggi", in A. Nesti (a cura di), "I villaggi operai", in "Ricerche Storiche", anno XXXIX, n. 1, gennaio-aprile 2009, p. 239.

(3)

costruite delle strutture abitative2. Si trattava di un lavoro stagionale, nel periodo che andava

da ottobre a giugno, e veniva a crearsi un vero e proprio borgo con persone giunte da lontano per partecipare alla produzione, tagliando gli alberi del bosco, trasportando carbone, fornendo i propri servizi da fabbro, da fornaio o da cappellano. Come testimoniato da A. Nesti, le abitazioni degli operai erano disposte di fronte al forno, costruite in genere sopra il carbonile o l'argano. Era un piccolo e completo vilaggio, con abitazioni e servizi, più fornito di molti villaggi di campagna dell'epoca. I due esempi sopracitati, inducono la Torti a ritenere possibile che situazioni simili fossero diffuse in attività di questo tipo, e che il binomio casa-lavoro non fosse un fenomeno eccezionale.

A San Leucio, Ferdinando IV di Borbone organizzò una piccola cittadina attorno al setificio, a partire dal 1750. L'obiettivo era quello di far apprendere ai giovani del luogo l'arte della tessitura e venne così costituita, nel 1778, su progetto dell'architetto Collecini, la Real Colonia di San Leucio, alla base della quale uno statuto che stabiliva le leggi per la comunità. Le abitazioni furono progettate tenendo presenti le regole urbanistiche dell'epoca e dotate di acqua corrente e servizi igienici. Le donne ricevevano una dote dal re per sposare membri della colonia e, a disposizione di tutti, vi era una cassa comune, dove ognuno versava una parte dei propri guadagni. Uomini e donne godevano di una totale parità, e vigevano l'uguaglianza e la meritocrazia. L'esperimento era all'avanguardia, ma l'idea della città di Ferdinandopoli non venne mai realizzata, anche se ha influenzato gli imprenditori dei secoli successivi.

La tesi cercherà di descrivere le varie fasi già accennate afrrontando nello specifico alcuni case studies che, più di altri, sembravano esemplari nel tentativo di offrire una quadro generale del fenomeno attraverso l'evoluzione delle sue caratteristiche. La Toscana ha rivestito un ruolo importante in tal senso, e qui sono riportati gli esempi di Larderello, di Rosignano e dei villaggi minerari. La regione è stata un "una fucina per i villaggi operai,e tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, se ne realizzano davvero molti"3. Limitandoci alla sola provincia di Pisa non possiamo non ricordare gli esempi della Piaggio, della Saint Gobain, della Richard Ginori e dell'azienda tessile Marzotto (già Pontecorvo). Non erano solo le grandi aziende a fornire abitazioni ai propri dipendenti, abbiamo gli esempi della fornace Donati a Porta a mare, ora distrutta, la fabbrica di ceramiche Corradini nel quartiere San Michele, o la Crastan a Pontedera. La tesi ha preso in esame anche esempi di altre regioni,

2 Ivi, p. 242. 3 Ivi, p. 247.

(4)

Lombardia, Veneto, Sardegna, restando legata alle dinamiche che hanno accompagnato lo sviluppo del fenomeno. Particolare importanza è rivestita dalla figura degli imprenditori, i quali hanno spesso partecipato in prima persona alla progettazione stessa delle planimetrie dei villaggi e dell'organizzazione dei servizi sociali, ricreativi, sportivi, ecc. Essi facevano spesso riferimento alle teorie del socialismo di Fourier e Owen, rimanendo però legati ad un paternalismo che rispondeva più a obiettivi di controllo sui dipendenti che a ideologie utopistiche. L'imprenditore diventava così un punto di riferimento quasi paterno per i lavoratori, i quali, nella maggior parte dei casi, nutrivano sentimenti di affetto sia nei suoi confronti che in quelli dell'azienda.

(5)

1 Capitolo: il paternalismo ottocentesco

1.1 Modelli europei

Il paternalismo è un'ideologia ottocentesca che si riferisce al filantropismo utopico di Owen e Fourier, e rende possibile il superamento della conflittualità tra industriali e operai attraverso forme di conciliazione, come la concessione di benefici, di beni materiali di prima necessità, di opere sociali come le casse mutue o il dopolavoro. Il socialismo utopistico era una filosofia che si prefiggeva di superare le contraddzioni tra la classe operaia e padronale derivanti dalla rivoluzione industriale. Esso si prefiggeva l'affratellamento e il superamento di ogni differenza sociale, ma ebbe vita breve, e sostanizalmente fallimentare, per quanto le idee principali vengano recuperate dagli imprenditori per essere utilizzate nell'ambito dell'ideologia del paternalismo.

È il caso di notare che prevalgono le esigenze di controllo e di consenso, perseguite attraverso una forte accentuazione dell'individualità, in contrapposizione alle forme di socialità e di solidarietà di classe, caratteristiche fondamentali del pensiero filantropico e utopistico. Infatti la tipologia edilizia prevalente nel XIX secolo in tutti i villaggi aziendali europei è quella della casa unifamiliare o plurifamiliare ma con ingressi differenti. L'operaio viene così costretto a ripiegarsi sulla proprietà familiare, viene educato all'individualismo, dimenticando la propria condizione sociale. Le gerarchie tipiche del lavoro vengono rinforzate ed esportate al di fuori dei confini della fabbrica, riproponendosi anche nella vita privata. Le case più modeste sono adibite ad abitazioni per gli operai, mentre le più grandi, lussuose e maggiormente curate sono destinate ai dirigenti. La villa dell'imprenditore assume l'aspetto di un castello vero e proprio. La fabbrica viene vista come una grande famiglia, in cui l'imprenditore riveste il ruolo del padre autoritario ma benevolo verso i propri figli-operai, i quali devono dimostrarsi obbedienti nei suoi confronti. A Valdagno, tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, Gaetano Marzotto non esitava nel picchiare di persona i propri operai ritenuti colpevoli di negligenza oppure nel licenziarli se rei di simpatizzare con il socialismo4. Il villaggio appare così un universo autonomo dove domina assoluta la volontà dell'imprenditore e la sua libertà di iniziativa, sia per esercitare la propria leadership sia per

4 Cfr. A. Ciuffetti, "Casa e lavoro. Dal paternalismo aziendale alle "comunità globali": villaggi e quartieri

(6)

allontanare le tensioni sociali, tipiche delle realtà caotiche delle città industriali e degli effetti negativi dell'urbanizzazione. La struttura stessa del villaggio è architettata in maniera ordinata, dove dominano la pulizia e la trasparenza. Il lento sviluppo del paternalismo in Italia coincide con la costruzione dello Stato sociale, con le prime forme di tutela garantite dal governo nei confronti dei lavoratori; il villaggio operaio diventa quindi un ulteriore strumento per arginare la diffusione delle idee socialiste.

Gli imprenditori italiani che realizzano degli interventi sociali a favore degli operai fanno riferimento alle strutture urbanistiche di alcuni importanti insediamenti sorti in Europa nel corso del XIX secolo: i centri di Noisiel e Mulhouse in Francia, i quartieri operai costruiti dai Krupp ad Essen in Germania o il villaggio di Saltaire in Inghilterra di Titus Salt (uno dei primi esempi di villaggio aziendale). La politica paternalistica guida i Krupp nella costruzione dei loro villaggi, mentre grandi complessi industriali e residenziali come quello del Creusot, in Francia, non portano un impronta di paternalismo sistematico. In ogni caso la questione della casa operaia si presenta in primo piano in tutta l'Europa, assumendo un valore di carattere politico. Nel 1851, a Londra, si tiene la prima grande esposizione internazionale, che tratta l'argomento della casa operaia. Nel 1889, a Parigi, si discute sulle abitazioni a buon mercato, e si riflette per la prima volta sulle regole da rispettare nella costruzione delle case popolari. Le case devono sempre essere dotate di cucina e servizi igienici, mentre l'affitto dovrebbe essere proporzionato al salario percepito. I Congressi sono costantemente seguiti da inchieste e da un abbondante serie di pubblicazioni in merito, che interessano anche l'Italia. Vengono indicati i livelli medi da rispettare per garantire uno standard minimo di benessere, per tenere bassi i prezzi, con affitti sostenibili dagli operai.

I primi insediamenti operai inglesi compaiono in una fase protoindustriale. Già nel 1769 è l'industriale delle ceramiche Wedgwood a dotare la sua manifattura di case per i lavoratori ad Hanley. Richard Arkwright costruisce, nel 1780, il primo vero villaggio operaio inglese, quello di New Lanark. A far diventare famoso questo piccolo centro di produzione di cotone è Robert Owen, ispirato dall'ideologia cooperativa e dal socialismo utopistico. Egli apporta importanti cambiamenti sia per ciò che riguarda il lavoro in fabbrica, con la riduzione dell'orario di lavoro, sia nell'ambiente abitativo, con la costruzione di asili e scuole elementari a favore della scolarizzazione infantile, la fornitura di generi alimentari e di consumo a basso costo, la creazione di un centro a carattere ricreativo ed educativo e di una scuola serale per adulti. Si sostuiscono i capannoni utilizzati fino a quel momento come dormitori con nuove

(7)

abitazioni a schiera: grandi edifici nella maggior parte dei casi di quattro piani. Nel corso dell'Ottocento è in Gran Bretagna che nasce il maggior numero di villaggi operai (industrial villages), specialmente nel settore tessile del West Riding, nello Yorkshire. In questa zona cresce l'importante insediamento di Saltaire, per volontà della famiglia Salt, nei pressi di Bradford. Titus Salt è tra i maggiori sostenitori delle riforme sociali, è infatti vicino ad Edwin Chadwick, ispettore della commissione sui poveri che denunciò le tristi condizioni di vita delle città industriali. Dello stesso parere Edward Akroyd, che realizza, nei pressi di Halifax, un insediamento di oltre cento abitazioni, le quali possono essere acquistate dagli operai attraverso un finanziamento concesso da una Builiding Society. Nonostante le simpatie operaie Titus Salt realizza fondamentali criteri di zonizzazione, per quanto riguarda la tipologia delle abitazioni che risultano così divise e ripropongono gli stessi criteri di distinzione tra operai e dirigenti presenti nelle fabbriche. Tra il 1860 e il 1880 l'insediamento di Saltaire viene completato con la costruzione di chiese, scuole, infermierie, lavanderie, biblioteche e di altre importanti strutture pubbliche, avendo raggiunto una popolazione di circa 4.400 persone. Salt arriva ad ottenere una grande partecipazione da parte dei lavoratori, neutralizzando ogni simpatia socialista.

In Francia, ispirato dalle idee di Fourier, l'imprenditore Godin, realizza a Guise, tra il 1859 e il 1870, un familistère, un complesso costituito da un fabbricato centrale di quattro piani, sede delle abitazioni private (il Palais Social), e di alcuni edifici isolati, riservati ai servizi pubblici. Il Palais Social era composto da tre edifici dotati di spazi interni, uniti tra loro mediante gallerie coperte. L'industria funziona secondo delle regole corporative e gli operai partecipano alla divisione degli utili. Nel Paese la costruzione di villaggi operai si concentra attorno a tre aree principali: nei dipartimenti del Pas de Calais e del Nord, nella zona di Mulhouse, in Alsazia, e nel dipartimento dellla Saȏne et Loire, in Borgogna. Nel dipartimento del nord si tratta di villaggi collegati alle miniere di carbone, all'interno delle quali viene adottata la tipologia della "caserma d'affitto", un enorme palazzone a più piani entro cui trovano posto numerosi operai. Le abitazioni monofamigliari compaiono soltanto nella seconda metà dell'Ottocento, disposte lungo le principali strade di collegamento tra i siti minerari e i centri abitati, oppure a scacchiera. La città francese all'interno della quale si concentra il maggior numero di villaggi operai nel corso dell'Ottocento è Mulhouse, costruita per volontà dell'associazione degli industriali locali. I primi 32 alloggi monofamiliari vengono realizzati nel 1835 da Andrè Koechlin, imprenditore e sindaco della città. Nonostante risulti

(8)

molto schematico, il quartiere rimane pur sempre un intervento teso a risolvere il sovraffollamento urbano, e mira a combattere l'inquinamento e il disordine. Un'altro importante quartiere con abitazioni monofamiliari dotate di giardino viene realizzato nel 1853-54 dall'imprenditore tessile Jean Dolfus, imprenditore tessile, che fonda la Société

Mulhousienne des Citèes ouvriers, al cui finanziamento partecipa anche lo Stato. Lo stile

architetonico utilizzato è quello a pavillon, successivamente definito mulhousienne. In genere sono case mono o bifamiliari, ma il dato che bisogna sottolineare è che l'imprenditore lascia agli operai la possibilità di riscattare la propria abitazione. Nel 1867, ciò avveniva per il 90% delle case.

Un vero e proprio villaggio operaio è quello realizzato intorno al grande complesso siderurgico di Le Creusot. Nei primi decenni dell'Ottocento il complesso si sviluppa fino ad assumere i connotati di una vera e propria città, con varie tipologie di quartieri. Le Creusot passerà così dai 1.300 abitanti del 1826 ai 35.000 del 1911. Nel primo periodo la città si espande senza un piano urbanistico, ma assume i connotati di un grande dormitorio, i cui palazzi non differiscono dalle "caserme d'affitto" del Pas de Calais. Le cosiddette citées sorgono tra il 1860 e il 1885, sono composte da abitazioni perlopiù monofamigliari realizzate secondo uno schema geometrico. Nei decenni successivi la crescita della città avviene ampliando i quartieri già costruiti, le abitazioni sono accompagnate da tutte le strutture necessarie alla vita collettiva, dalle scuole ai servizi sanitari, ma i quartieri operai continuano a essere separati fisicamente da quelli dei dirigenti e degli impiegati. In base alla matrice etnica e alla provenienza dei lavoratori la classe operaia rimane divisa al suo interno. Gli italiani occupano il quartiere di Guide, i polacchi quello di Perouse. Si sviluppa una politica creditizia per incoraggiare la proprietà diretta delle abitazioni. Nel complesso, sia nelle realizzazioni urbanistiche, sia nella struttura dei srvizi, la struttura industriale si sovrappone all'amministrazione pubblica. L'incarico di sindaco della città rimane alla famiglia Schneider per tutto il corso dell'Ottocento. Il principale punto di riferimento per gli insediamenti tessili italiani è Ville Menier a Noisiel sur Marne, nel bacino di Parigi. Il villaggio appartiene a Emile Menier, industriale del cioccolato. Esso si si sviluppa intorno ad una piazza, nella quale si affacciano gli edifici più importanti e sono situate le principlai attività: le botteghe alimentari, i magazzini, il refettorio, due case albergo per gli operai celibi, l'ambulatorio medico e le scuole. All'inizio del Novecento il villaggio conta, complessivamente, 312 alloggi, ed è in grado di opsitare oltre 1500 persone. Ogni casa è dotata di giardino, è isolata,

(9)

e ha due alloggi indipendenti. A differenza degli altri villaggi gli alloggi vengono dati in affitto, senza possibilità di riscatto.

Anche in Germania i villaggi operai sono particolarmente numerosi. L'esperienza originale più significativa è, nel corso dell'Ottocento, quella realizzata dalla famiglia Krupp ad Essen, nel bacino della Ruhr. Le "colonie operaie" realizzate da Albert Krupp arrivano ad ospitare 46.000 persone nel 1910, compresi i famigliari dei lavoratori. In questo caso è più corretto parlare di quartiere operaio piuttosto che di villaggio, perchè sorge nei pressi della città, distaccandosi dall'impostazione più diffusa a livello europeo. I Krupp preferiscono il grande casamento a più piani, con un numero variabile da venti a quaranta alloggi. I quartieri di Essen crescono molto diversi tra loro, sempre disposti lontani uno dall'altro per evitare la "pericolosa" concentrazione di operai. I primi ad essere stati realizzati erano semplici casermoni adibiti a scopo prettamente abitativo, mentre quello di Kronenberg (1872-1874) ha ampi spazi alberati, una piazza, un parco, utili ai fini della vita sociale e comunitaria. Tale caratteristica sarà presente in tutti i quartieri costruiti successivamente, facendo di quello di Kronenberg un modello esemplare per ciò che riguarda la nuova attenzione dedicata dalla famiglia industriale alle esigenze dei suoi lavoratori. Il risultato migliore sarà quello di Margaretenhohe, caratterizzato dalla varietà urbanistica, dalla presenza di numerosi servizi sociali e dalla presenza di abitazioni in maggioranza monofamiliari. I Krupp prestano particolari attenzioni verso la previdenza e l'assistenza dei loro operai, costruendo numerosi ospedali, ospizi e strutture per il tempo libero, oltre ad un sistema di assicurazioni contro le malattie. Attraverso una rete capillare di informazioni e di ispettori, essi controllano ogni settore della città, vigilando costantemente anche sul tempo libero dei loro operai.

1.2 Il paternalismo organico: Crespi

La tipologia abitativa dei villaggi europei analizzati finora serve da modello anche per gli insediamenti industriali italiani, in particolare per quelli presenti nel settentrione, specializzati nella lavorazione dei tessuti. Il villaggio di Nuova Schio, ad esempio, si presenta come uno dei maggiori complessi industriali della penisola italiana, nella cui costruzione si presenta un chiaro riferimento al modello abitativo di Mulhouse. Un altro caso di paternalismo italiano si riscontra nella costruzione del vilaggio di Crespi d'Adda, quindici chilomnetri a sud di Bergamo, voluta dall'imprenditore Cristoforo Benigno Crespi per ospitare

(10)

gli operai del suo nuovo cotonificio. L'iniziativa parte contemporaneamente alla creazione dello stabilimento ed ha inizio nel 1878, per poi terminare intorno al 1890, quando vengono realizzate le prime villette mono e bifamiliari. Esse sono opportunamente isolate e poste ad intervalli regolari, sempre dotate di un orto-giardino. Quest'ultimo ha una funzione centrale nella vita del villaggio, la sua corretta tenuta è costantemente verificata dalla direzione dell'azienda, esso infatti è il principale strumento per annullare le tensioni sociali e il logorio del lavoro di fabbrica, impegnandoli nel tempo libero, onde evitare l'uso di alcolici nelle osterie5. L'adozione delle tipologie architettoniche è dovuta ad un soggiorno in Inghilterra del figlio di Cristoforo, Silvio, direttore generale dello stabilimento, recatosi oltremanica per visitare direttamente i villaggi inglesi e conoscere l'esempio della villetta mono e bifamiliare dotata di orto. Per gli operai la prigione è trattenuta direttamente dal salario. A fine secolo ha luogo la realizzazione dei tre simboli architettonici del potere della famiglia Crespi: il castello residenziale, un cimitero e una chiesa. Essa diventa sin da subito punto di attrazione, la messa domneicale è obbligatoria per tutti i lavoratori e riveste un ruolo di primaria importanza per la dimostrazione pubblica del potere imprenditoriale. Tutte le feste religiose sono celebrate con solennità e impegno, coinvolgendo l'intero villaggio; il cappellano stesso rappresenta la volontà dei Crespi. La crescita definitiva del complesso avviene nel 1925, che precede di pochi anni la cessione delle attività produttive. Vengono costruiti impianti sportivi, ampliati gli stabilimenti industriali, e costruiti nuove ville signorili in stile liberty. Anche in questo caso le diverse costruzioni abitative rispecchiano la gerarchia di fabbrica, con le ville migliori destinate ai dirigenti, poi quelle degli impiegati e infine, le semplici abitazioni degli operai, che variano dal palazzone alla modesta villetta. Ciò che accomuna queste varie tipologie è l'aspetto cromatico, infatti le costruzioni sono tutte in laterizio e intonacate di bianco, offrendo un senso di armonia all'intero abitato. Esso si ispira alle esperienze di Noisiel e Essen, e dal punto di vista edilizio anche a Mulhouse. Il potere di controllo dell'imprenditore è totalizzante, tutto è architettonicamente predisposto affinchè esso venga esercitato e fa di Crespi d'Adda un esempio ideale di villaggio operaio. È Crespi stesso che paga gli stipendi degli insegnanti dell'asilo e della scuola elementare costruiti all'interno dell'impianto, estendendo così questo controllo anche alle fasce di età più giovani.

5 Ibid, p.35.

(11)

1.3 Un caso atipico: Larderello

Il caso di Larderello presenta due aspetti particolari di interesse nell'ambito dei villaggi operai. Primo perchè si sviluppa in un settore diverso da quello tessile dell'Italia del Nord, secondo perchè nasce in un'epoca piuttosto precoce, nella seconda metà del XIX secolo, in periodo granducale, nelle vicinanze di Montecerboli, in Val di Cecina, Toscana. Questa manifattura venne creata per lo sfruttamento dell'acido borico, e presenta molti tratti in comune ai villaggi minerari della Toscana, e in particolare, della Sardegna, dove la miniera costituisce un'importantissima fonte di ricchezza. Il caso sembra collocarsi all'interno di un contesto semplicemente più ampio rispetto al paternalismo di fine secolo; infatti, quest'esperienza rimanda ad altri significativi percorsi manifatturieri che si sviluppano in Italia in periodi di gran lunga precedenti alla sua effettiva trasformazione in paese industrializzato. Il riferimento è quello alla colonia operia di San Leucio, nei pressi di Caserta, nata intorno alla filanda borbonica alla fine del Settecento per volontà dei sovrani borbonici, e venne dichiarata Real Colonia da Ferdinando IV. Intorno agli stabilimenti sorgono i due quartieri di San Ferdinando e di San Carlo, nei quali vengono ospitati tutti gli operai, in due

(12)

lunghe file di abitazioni a schiera. Il loro carattere sociale precorre il modello delle case operaie del secolo successivo.

Come i villaggi minerari, Larderello sorge in una posizione isolata, in seguito alla scoperta dei "lagoni" di Montecerboli, contenenti acido borico. L'attività estrattiva incomincia solo nel 1818, su iniziativa di Francecso de Larderel, imprenditore francese giunto in Italia sotto la dominazione napoleonica. Egli istituisce un'apposita società con alcuni suoi connazionali; nel 1835 ne diventa l'unico proprietario e procede alla fondazione del primo villaggio operaio, contemporaneamente alle altre esperienze di primi villaggi operai toscani, come a Follonica, dove nel 1830 viene fondata una città siderurgica, sede dell'imperiale amministrazione delle miniere di Rio, dove si fonde la pirite proveniente dall'Isola d'Elba. Il villaggio aziendale viene costruito nel momento in cui si registra una considerevole trasformazione negli assetti produttivi dello stabilimento. L'impresa di Larderello registra una sensibile crescita in quell'epoca, dovuta all'apertura dei mercati europei per l'acido borico, elemento importante per numerosi procedimenti industriali (tintoria, conceria, ceramica, ecc.). Nel 1846, in onore di de Larderel, il paese di Montecerboli prende il nome di Larderello. Il villaggio è costituito da diversi dormitori e case costruite secondo la tipologia "in linea". Gli operai, distribuiti nei diversi impianti, sono più di mille, divisi in sette villaggi e più di 60 edifici plurifamiliari. Il paese di Larderello viene percepito dai lavoratori/abitanti come un oasi di benessere sociale rispetto ai territori circostanti, poveri ed arretrati. Il centro abitato si sviluppa intorno alla piazza principale, piazza Leopolda, delimitata dagli insediamenti industriali e dalla chiesa, dagli uffici e dalle residenze dei dirigenti. Durante le feste che qui si celebrano si manifesta il paternalismo dell'imprenditore francese, la sua influenza quale "padrone" dello stabilimento. Egli esercita il potere in maniera autoritaria, assume solamente manodopera maschile, ma garantisce il salario minimo e la pensione agli invalidi. Nello stesso tempo, per arginare le crisi sociali, egli introduce nelle sue comunità delle forme di malthusianesimo, al fine di controllare l'intera popolazione: per sposarsi è necessario il consenso dell'imprenditore, onde evitare che nel villaggio entrino delle famiglie estranee, provenienti dalle comunità vicine, e per controllare meglio le famiglie che lavorano nella fabbrica. L'attività industriale della famiglia de Larderel prosegue fino agli ultimi anni dell'800, quando, dopo una fase di declino, essa conosce un nuovo slancio grazie all'impegno profuso ai vertici dell'azienda da Piero Ginori Conti, marito di Adriana de Larderel. Dopo la nascita del villaggio non si registrano più altri interventi di carattere urbanistico.

(13)

1.4 Campione sul Garda: un "oasi nel deserto"

Come Larderello, il villaggio operaio di Campione sul Garda sorge in un luogo fortemente isolato, in una piccola penisola sul lago, dove era attiva, sin dagli ultimi decenni del Settecento, una filanda, successivamente chiusa. La ditta appartiene al marchese Archetti che, intorno al 1730, sempre a Campione, costruisce un sontuoso palazzo. La fabbrica si sviluppa per volontà di Giacomo Feltrinelli, contemporaneamente alla realizzazione del suo stabilimento per la filatura del cotone, e rappresenta uno degli esempi più significativi sul modello della "fabbrica totale". Feltrinelli comincia le sue attività economiche come mercante di legno e di carbone vegetale, con un grande magazzino posto a Desenzano. Alla fine del secolo egli possiede una considerevole fortuna che gli consente di aprire una banca privata e di intervenire in importanti operazioni industriali, come la fondazione della società Edison. La posizione dell'opificio è determinata dal sopraddetto corso d'acqua, di considerevole portata, e alla disponibilità di manodopera d'origine contadina proveniente dall'Alto Garda, dal bresciano e dal veronese. Nel 1896 Feltrinelli acquista la villa Archetti e procede a costruire nelle vicinanze la fabbrica del cotone. Lo stabilimento, l'anno successivo, risulta già realizzato per metà, mentre per alloggiare i lavoratori nella stessa area, ma con una netta separazione, si edifica il primo nucleo del futuro villaggio operaio, necessario per legare alla fabbrica la forza lavoro. Esso viene completato nel Novecento con la costruzione di enormi edifici a tre piani, in grado di ospitare numerose famiglie. La scelta di questa tipologia a caserma rispetto al modello della casetta isolata, è imposta dalle caratteristiche dell'area, mancando lo spazio sufficiente per dar vita ad un insediamento estensivo. Alcuni fabbricati operai vengono realizzati su spazi sottratti all'acqua del lago. Nei pressi della fabbrica che ingloba anche l'antica villa degli Archetti e ora è sede della direzione, si realizzano una chiesa e un dormitorio, con annesso refettorio, destinato ad ospitare gli operai nubili e gestito da suore salesiane. Vicino alla chiesa, nel 1930, trovano collocazione anche un teatro, ed una scuola di musica, che offre un significativo svago alla popolazione operaia. Tutte le abitazioni per gli operai, edificate secondo la tipologia "a caserma", con ballatoio e con servizi igienici in comune, sul modello dei palazzoni di Crespi d'Adda, si concentrano invece nel settore nord del villaggio, oltre il torrente, ben separate dal resto dell'insediamento. A soli due anni dall'inizio della costruzione del villaggio Campione sul Garda risulta abitato da circa 730 persone, nella maggior parte in famiglie, disposte nel settore nord, e per un terzo lavoratrici nubili residenti nel dormitorio. A pochi anni di distanza la quota dei lavoratori raggiunge le

(14)

mille unità, di cui la quasi totalità risiede nel villaggio e solo in pochi all'esterno. L'elevata concentrazione di persone in unoi spazio così ristretto pone non pochi problemi di ordine pubblico, data la monotonia della vita cui sono costretti. Il problema viene affronatto alloggiando le ragazze nubili nei dormitori sotto il controllo delle suore, e aprendo un'osteria per la componente maschile, e provvedendo alla presenza stabile all'interno del villaggio di una prostituta. Feltrinelli chiama Vittorio Olcese a dirigere lo stabilimento e il relativo villaggio. Egli era una figura carismatica e centrale nell'applicazione concreta all'interno dell'insediamento, del paternalismo di fabbrica. La sua esperienza è particolarmente vasta e completa, era stato infatti assistente di filatura per cinque anni nel cotonificio della famiglia Crespi, a Capriate d'Adda. Questa esperienza gli permette di vivere in prima persona gli equilibri sociali alla base della vita di quel villaggi, e dopo la permanenza in altre aziende, porterà tutto il suo bagaglio di conoscenze a Campione. Egli non svolge soltanto una mansione tecnica ma collabora anche alla progettazione di alcune strutture, rimanendo alla guida dello stabilimento sino al 1905, anno in cui si trasferisce nel cotonificio Turati, in Valcamonica. Il modello di guida paternalistica esercitato da Olcese è imperniato sul ruolo della famiglia e sulla ritualità dei comportamenti, soprattutto per quanto riguarda i riti religiosi, al fine di armonizzare la vita sociale e di incrementare così la produttività. Tale sistema funziona anche a causa dell'isolamento del paese, almeno fino agli anni trenta del Novecento. I collegamenti con l'esterno sono dovuti alla corsa giornalera di un piroscafo, e l'unico ufficio postale del villaggio è ospitato nel palazzo della direzione dela fabbrica. Chi vuole spedire una lettera o un telegramma deve rivolgersi allo stesso Olcese, che estende la sua autorità in tutti gli ambiti della vita dei suoi lavoratori. Come in tutti i villaggi operai il vero controllo sociale è determinato dalla casa e dallo spaccio sociale. Le abitazioni non sono riscattabili e l'affitto costituisce un ulteriore controllo sulle famiglie, rafforzando il legame con la ditta. Lo spaccio è posto nel palazzo della direzione, dove i lavoratori trovano tutti i generi di prima necessità di cui hanno bisogno; il sistema utilizzato, quello del truck sistem, provoca un vero e proprio indebitamento costante nei confronti dell'azienda.

Uno dei pochi momenti che rompono la monotonia della vita quotidiana del paese è la festa del patrono, Sant'Ercolano. In questa occasione la comunità ritrova la propria sintonia in una dimensione collettiva, e diventa un ulteriore occasione per riconoscere l'autorità del direttore della fabbrica. Il controllo si applica fin dai primi anni dell'infanzia attraverso l'educazione scolastica dei fanciulli del paese, sottoposti agli insegnamenti di una suora

(15)

salesiana. L'obiettivo è quello di plasmare moralmente i giovani alunni, creando i futuri operai. Nel 1901 il prefetto impose l'apertura di una scuola pubblica cui la fabbrica si oppose con decisione, minacciando gli operai di licenziamento e di perdita della casa nel caso in cui avessero mandato li i propri figli. L'azienda riesce ad avere la meglio e fa chiudere la scuola comunale. Quello che si verifica a Campione prima dello scoppio della prima guerra mondiale è una specie di paternalismo "organico", che si chiude con la crisi del settore cotoniero e i primi scioperi operai. Il cotonificio entra in crisi, anche grazie all'ingresso delle idee socialiste e delle prime rivendicazioni dei lavoratori. Nei primi anni di guerra la filatura di Campione sul Garda procede alla fusione con la ditta di Francesco Turati, il cui direttore è Vittorio Olcese, che fa il suo ritorno nello stabilimento di Feltrinelli. Nel 1929, l'assemblea dei soci attribuirà alla nuova azienda il nome di Cotonificio Vittorio Olcese, dando così inizio ad una nuova fase.

(16)

Tra il 1990 e il 1911 viene costruito un importante villaggio operaio a Collegno, vicino Torino, dall'imprenditore svizzero Napoleone Leumann. Il padre Isacco lavorava come capo tessitore in un'impresa sita a Voghera e appartenente alla famiglia Tettamanzi, dopo aver rilevato la ditta la trasferisce in Piemonte nel 1875. La famiglia Leumann investe il proprio denaro in Italia come tanti imprenditori stranieri facevano in quel periodo. La scelta di Collegno è dovuta alla presenza, nella zona, di numerosi corsi d'acqua, e al basso prezzo dei terreni. Dal momento che l'amministrazione urbana del capoluogo piemontese si dimostra incapace di gestire la crescita economica e urbanistica del capoluogo, la scelta dei Leumann assume particolare importanza. Al momento della nascita dello stabilimento gli operai sono 104 e al termine della sua costruzione, nel 1911, il villaggio arriva ad ospitare la metà degli oltre 1500 dipendenti, mentre il numero degli operai, nello stesso arco temporale, sale da 80 a 1100. In quegli anni si ha un ampio sviluppo del dibattito europeo sui villaggi operai e Napoleone vi partecipa attivamente, prendendo atto delle diverse soluzioni ai problemi di edilizia e di abitazioni a costi contenuti. Questo bagaglio di conoscenze gli sarà utile per partecipare direttamente, insieme all'architetto Fenoglio, alla progettazione e alla costruzione del suo villaggio, prendendo ad esempio l'insediamento dei Menier a Noisiel. Esso si presenta con una perfetta omogeneità di forme e di colori, tranne la palazzina destinata agli impiegati, il gruppo degli edifici del convitto, tutti gli altri fabbricati sono dotati al massimo di due piani. Leggermente isolate dalle altre si trovano le altre infrastrutture di carattere pubblico e aziendale. Ogni casa possiede una latrina esterna, mentre un edificio a parte ospita i bagni e le docce. Gli alloggi vengono dati agli operai secondo i meriti acquisiti sul lavoro e la dimensione del nucleo familiare. Come nel caso del villaggio dei Crespi ogni singola abitazione è dotata di un orto-giardino, il quale viene controllato dalla ditta e per la cui cura vengono banditi dei premi annuali. Gli operai passano il tempo nella cura dell'orto, ed evitano così l'aggregazione a fini politici con gli altri operai e gli atteggiamenti contrari al quieto vivere. Particolarmente curati sono i settori dell'assistenza sociale e della previdenza: durante i primi anni del Novecento il villaggio viene dotato di due casse pensioni, una per gli operai e una per gli impiegati, di una cassa puerpere e di un fondo nuziale. Anche il tempo libero ha un ruolo importante e vengono costruiti uno sport-club e un teatro-cinema, mentre Amalia Cerruti, moglie di Napoleone, apre una scuola per massaie. Le scuole elementari così come altre istituzioni sociali, servono anche al controllo sociale, a partire sin dalla prima infanzia. L'imprenditore affida il controllo dell'educazione scolastica ad un uomo di fiducia, sul cui

(17)

operato vigila in prima persona. Particolare importanza viene riservata all'unità familiare; al capofamiglia, infatti, viene attribuito l'incarico di istruire i figli in nome della continuità lavorativa, trasmettendo loro le conoscenze acquisite nella fabbrica, rendendo così più veloce e sicura l'introduzione nelle nuove leve nell'azienda. Il fine di Napoleone Leumann di preservare la stabilità sociale all'interno del suo stabilimento avviene tramite il rafforzamento dei gruppi operai di carattere moderato, avitando così forme di associazionismo più aggressive.

(18)

II Capitolo: La fase dell'industrializzazione (1900-1930)

2.1 Dal villaggio aziendale alla città

All'inizio del Novecento il paternalismo che ha caratterizzato la fase industriale dell'Ottocento incomincia a declinare, non riuscendo più a contenere le proteste sindacali. Un caso esemplare si verifica a Crespi d'Adda nel 1920, quando l'impreditore Silvio Benigno, durante una manifestazione dei suoi dipendenti, viene ostacolato dai dimostranti al momento di prendere la parola e, rifugiatosi in auto, preso a sassate dalla folla in tumulto. Le stesse problematiche si verificano anche nell'Italia centrale, come nella Larderello dei Ginori Conti, dove si verifica la prima manifestazione operaia dalla nascita del villaggio il 27 maggio 1920. Questa fase di scontri e rivendicazioni avrà termine solo con l'avvento del fascismo nel 1922, quando la pace sociale viene imposta con l'uso della forza. Nonostante i tempi siano mutati, esistono ancora degli imprenditori decisi a investire nella costruzione di villaggi operai, in special modo nell'Italia settentrionale. Un esempio è quello del Lanificio Bocci, a Soci, attrono al quale viene costruito un piccolo villaggio aziendale, operazione che ha termine per le conseguenze negative della crisi economica del 1929; a Serravalle Sesia, la Cartiera Italiana, costruisce numerose case operaie; stesso dicasi per Mathi Canavese, dove sorgono abitazioni per i lavoratori attrono allo stabilimento del Cotonificio Piemontese. E proprio il Piemonte è la regione in cui si concentrrano il maggior numero di esperienze in tal senso, soprattutto grazie all'influenza esercitata da Napoleone Leumann ( vicepresidente della Cartiera Italiana, mentre i figli erano i fondatori del Cotonificio).

Numerosi sono gli imprenditori che continuano a investire in questo settore edilizio, in special modo coloro i quali, detentori del potere aziendale, sentono la necessità di un dovere morale attribuitogli dalla comunità. Lo spirito paternalistico esce fuori dalle mura dell'azienda e investe quartieri e intere città, trasformandosi in vera e propria filantropia. Anche in questo caso però gli imprenditori sono spinti dall'esigenza concreta di tenere sotto controllo le diverse forme di devianza, la povertà ed eventuali disordini. Non basta affrontare la problematica di una ristretta categoria di forza lavoro, ma si rende necessario tener conto della esigenze della maggior parte della popolazione urbana, garantendo un'offerta di servizi universalemente accessibili. Prendiamo come esempio la città di Torino, nella quale è attivo Napoleone Leumann, presidente della Casa Benefica per giovani derelitti, direttore del Regio Ospizio di Carità, consigliere dell'Istituto medico pedagogico per Fanciulli Deficienti,

(19)

vicepresidente del Patronato scolastico centrale e fondatore della colonia profilattica di Rivoli, coadiuvato in molti casi dalla moglie Amalia. Restando in ambito piemontese, possiamo fare l'ulteriore esempio della città di Alessandria, nella quale l'imprenditore Giuseppe Borsalino, proprietario di un cappellificio e del relativo villaggio operaio, oltre alla promozione di forme di assistenza diretta ai propri dipendenti, si dedica al sostegno finanziario agli enti assistenziali della città.

2.2 Rosignano Solvay

Città industriale è quella di Rosignano Marittima, situata sulla costa toscana, edificata dalla multinazionale belga Solvay, specializzata nella produzione della soda. Essa è un ulteriore esempio di rapporto diretto tra il controllo sociale e la dominazione territoriale. Ernest Solvay, uno dei due fratelli fondatori dell'azienda, è un'importante figura di imprenditore filantropo, legato alle idee del positivismo e del socialismo. La costruzione dello stabilimento a sud di Livorno inizia attorno al 1913. La linea ferroviaria Livorno-Roma, completata nel 1910, è di importanza strategica per l'azienda, così come le miniere di calcare dell'Acquabona e di San Carlo e le saline di Ponteginori. Per l'estrazione del sodio è indispensabile la soluzione salina. Data la mancanza di abitazioni nei pressi del centro industriale viene intrapresa la realizzazione di un villaggio a partire dal 1919. la Solvay risulta proprietaria di numerosi villaggi operai in tutta Europa e non esita ad esportarne il modello e la visione paternalistica. Si può vedere benissimo con il villaggio di Rosignano, dove si percepisce l'influsso delle varie esperienze costruttive della Solvay in giro per l'Europa. Possiede strade ampie e dritte, alberate, con numerose zone di verde e casette in cotto. La parte cresciuta spontanemanete al di fuori del controllo dell'azienda si presenta invece con l'aspetto di una urbanizzazione caotica. Lo sviluppo dell'insediamento è posto a nord della fabbrica per evitare la nocività dei gas di scarico e denota una rigida zonizzazione. Per gli operai è riservato il settore tra la ferrovia e il mare, mentre agli impiegati è riservato il posto oltre la linea ferroviaria. Gli alloggi dei dirigenti sorgono nelle immediate vicinanze della direzione aziendale. Le tipologie edilizie vengono distinte attraverso una progressione numerica che rispecchia la gerarchia di fabbrica. L'abitazione del direttore ha il numero uno, le villette degli ingegneri il due e il tre, gli impiegati possiedono i modelli dal quattro all'otto, agli operai spettano le case del tipo nove, piccoli edifici con quattro appartamenti articolati su due piani. Le prime case erano già state costruite intorno al 1914, ma è nel 1919 che vengono

(20)

realizzati la mensa, i magazzini e gli uffici della direzione, seguiti negli anni successivi dai dormitori per gli operai pendolari, dal refettorio, dalle scuole elementari, dagli asili, dall'ospedale, dalla foresteria, dalla chiesa e dal cinema-teatro, inaugurato nel 1928.

Ai dipendenti le abitazioni vengono assegnate gratuitamente per tutto il periodo in cui essi lavorano all'interno dell'azienda, oltre alla possibilità di affittare dei terreni coltivabili. Gli spazi verdi dell'insediamento richiamano il modello delle città-giardino inglesi. Come nei casi di Terni e Piombino, l'azienda si sostituisce completamente all'amministrazione comunale. Il comune di Rosignano è sin da subito incapace di gestire la realtà abitativa, rimanendo in posizione subordinata rispetto all'azienda. Oltre a realizzare tutte le opere di urbanizzazione primaria e secondaria concede alla Solvay l'esenzione per cinque anni dalle imposte. La zona dove sorge il villaggio registra nel 1921 già 1300 abitanti, mentre dieci anni prima era praticamente disabitata. Nel 1936, quando assume definitivamente il nome di Rosignano Solvay, gli abitanti sono 4.317. nelle vicinanze delle cave e delle saline la Solvay realizza, seppur in maniera ridotta, delle abitazioni e delle strutture sociali. Essa provvede a costruire anche strutture per il tempo libero e la vita sportiva, cercando di mantenere sempre la distinzione tra gli operai e la classe impiegatizia. Puntuali previdenze sono previste in caso di malattia e di infortunio, la giornata lavorativa è di otto ore e le ferie sono pagate, dimostrando l'attenzione dei dirigenti verso le politiche assistenziali.

2.3 I villaggi minerari in Toscana

I villaggi di miniera rispondono a delle esigenze di natura prettamente territoriale rispetto al paternalismo di fine Ottocento. Essi sorgono nei primi decenni del XX secolo, per la necessità di accogliere i lavoratori in insediamenti abitativi che sorgono vicio alle miniere e alle relative industrie, quasi sempre ubicate in aree rurali e isolate, incapaci di accogliere i lavoratori. Accanto al bisogno di costruire le case operaie vi era il bisogno di raccogliere il consenso sociale dei loro abitanti, ma questo obiettivo si realizzerà solo negli anni Trenta del Novecento, quando l'ideologia del fascismo incontrerà quella delle grandi imprese, come la Società Montecatini. Quest'ultima arriva a gestire numerosi villaggi minerari nell'Italia centrale, situati alcuni in provincia di Ancona, altri in quella di Grosseto. Il ruolo della Toscana riveste una notevole importanza nell'ambito del settore minerario italiano, come

(21)

confermato dall'esempio dell'Ilva, che costruisce varie case a San Giovanni Valdarno per gli operai delle vicine miniere di lignite, la cui presenza aveva portato all'apertura delle ferriere negli anni settanta e ottanta dell'Ottocento.

La Società Montecatini accresce la sua importanza in modo deifnitivo con la fusione avvenuta nel 1910 con l'Unione Italiana Piriti. Le commesse aumentano in modo cospicuo con lo scoppio della prima guerra mondiale, soprattutto quelle rigurdanti l'acido solforico e il rame, il primo necessario per la fabbricazione degli esplosivi e il secondo per i proiettili di grosso calibro. Grazie a ciò l'azienda riorganizza le sue miniere di pirite e procede al rinnovamento degli impianti, mentre un forte sviluppo è rilevato dagli stabilimenti presenti in Maremma, con l'aumento dell'estrazione della torba e della lignite. L'operazione più importante è ancora una volta legata all'acido solforico, ed è quella relativa all'assorbimento, nel 1917, della Società Miniere Solfuree Trezza Albani Romagna. In questo modo arriva a controllare circa metà della produzione nazionale di zolfo, e a possedere tutti gli stabilimenti siti in Romagna e nelle Marche. Nel dopoguerra la Montecatini sviluppa il suo settore chimico accorpandosi con l'Unione Concimi di Milano e la Società Colla e Concimi di Roma, le due maggiori aziende produttrici di perfosfati.

Per quanto riguarda la costruzione delle case operaie la Montecatini comincia a pianificare seriamente questo settore, necessario al rafforzamento dei suoi siti minerari, in seguito al controllo delle miniere toscane e marchigiane. La Montecatini in un primo momento non opera nell'ambito di un concetto paternalista, perchè il suo scopo è semplicemente quello di fornire case ai suoi operai. Anzi, dove possibile, essa rafforza i servizi di trasporto dalle vicine località dove risiedono i minatori. Un esempio è quello della miniera di lignite di Ribolla, il cui insediamento cresce secondo una tipologia diversa da quelle degli altri siti, perchè gli operai, non trovando abitazioni, sono costretti a cercar casa nei piccoli comuni nelle vicinanze (Tatti, Montemassi e Roccatederighi)6. La stessa dinamica accompagna anche gli stabilimenti del Montefeltro, nelle Marche. In breve tempo questi borghi giungono alla saturazione, costringendo i nuovi avventori a costruire le proprie abitazioni al di fuori delle mura medievali. Sono casi di edilizia improvvisata e al più fatiscente, che portano questi piccoli paesini rurali a sperimentare precarie condizioni igienico-sanitarie, come nelle città industrializzate. Con l'aumento della produzione dovuto alla guerra, la società è costretta a far fronte all'incremento della manodopera, e ad iniziare

(22)

una pianificazione organica di siti abitabili. La Montecatini, per far fronte all'arrivo dei nuovi lavoratori nella maniera più veloce e semplice concede gratuitamente gli alloggi agli operai. A Ribolla, tra il 1920 e il 1921, risultano edificate una cinquantina di case, ospitanti 160 famiglie, mentre altri cinquecento operai sono sistemati in appositi dormitori; vi sono inoltre lo spaccio aziendale, la scuola, un'ambulatroio e altre strutture di carattere pubblico ma, dal momento che lo spazio residenziale e quello minerario si confondono veiene a crearsi un insediamento privo di un preciso tracciato urbano. Questa è una caratteristica comune a tutti gli intereventi edilizi della società, che si presentano perciò sempre diversi in base alle caratteristiche delle singole località. Dal momento che gli operai non si concentrano in unica località viene meno il controllo su di loro da parte dell'azienda, recuperato però grazie alle attività assistenziali e a quelle ricreative. La mancanza di una visione dedicata alla costruzione di un villaggio organizzato fa si che le abitazioni sorgano in maniera caotica e disfunzionale. Simbolicamente la funzione di centro è svolta dall'edificio che accoglie le strutture dei servizi sociali e quelle del dopolavoro (nate sotto il fascismo).

In Toscana, tranne nel caso di Gavorrano, la distanza dei centri abitati da quelli minerari obbliga la Montecatini a pianificare più organicamente i suoi impianti abitativi, portando alla nascita di villaggi veri e propri. La Società mette insieme un articolato piano di edilizia sociale durante il fascismo, in particolare nelle aree minerarie.

2.4 Le miniere della Sardegna

È la Sardegna la regione con l'esperienza più significativa in tal senso, per la rilevanza che questo settore riveste nell'ambito della sua economia, in special modo per alcune aree come l'Iglesiente e il Sulcis. All'inizio del secolo gli addetti al settore in tutta l'isola sono circa sedicimila, quasi tutti concentrati nel sud-ovest. In riferimento all'ambiente, i singoli villaggi operai sono frutto di una specifica organizzazione aziendale imposta dall'esterno e determinano la formazione di distinti habitat minerari, in base alle diverse forme di localizzazione, alle gerarchie spaziali, alle tipologie edilizie adottate. Le miniere di zinco situate vicino a Campo Romano, a Campo Pisano, a Monteponi e San Giovanni, nei pressi di Iglesias, sono estremamente indicative in questo senso. La tipologia di questi insediamenti nella fase di massima espansione della produttività della fine dell'Ottocento, sono caratterizzate dai "cameroni", con servizi in comune per gli operai celibi e i capannoni per i

(23)

lavoratori sposati, i fabbricati destinati agli uffici, alla mensa e allo spaccio, la chiesa e l'infermieria. Queste strutture architettoniche sono realizzate spesso in economia, con condizioni igieniche e sanitarie disastrose, in contrasto con il paesaggio rurale circostante. Le famiglie dei lavoratori sono spesso alloggiate dentro delle vere e proprie capanne. Solo i dirigenti abitano in strutture più curate delle altre e spesso, in prossimità del sito mineraio, si costruisce anche la villa del direttore, destinataria delle stesse cure che contraddistinguono quelle dei villaggi tessili dell'Italia settentrionale. Soltanto quando le famiglie sono più stabili si costruiscono delle abitazioni vere e proprie, realizzate secondo il modello "in linea" e a due piani. A Monteponi, nel 1865, viene costruita, in posizione dominante, Villa Bellavista, in base al progetto dell'ingegner Pellegrini, direttore stesso dell'azienda. Essa è destinata ad accogliere sia il direttore quanto gli uffici amministrativi. Altro esempio è quello di Montevecchio, dove la palazzina del direttore viene costruita nel 1877, e ospita anche la chiesa del villaggio.

Se i villaggi sono posti nelle vicinanze di città abitate, è diverso il rapporto sociale che si instaura tra gli operai, dal momento che essi non sono più obbligati a vivere secondo i modelli e la abitudini dell'insediamento imposti dalle aziende, ma possono avere un maggior numero di contatti e relazioni con il mondo esterno. In questi casi si verifica un processo di integrazione che porta il villaggio a perdere, del tutto o in parte, la sua autonomia mentre la direszione vede ridimensionata la sua capacità di controllo su tutti i momenti di vita dei lavoratori durante la loro giornata. In definitiva la città si pone come fonte di servizi in grado di elevare anche il tenore di vita degli operai. Iglesias si configura così, durante il passare degli anni, come centro di servizi per il settore terziario. Non è univoco il rapporto che si instaura tra la città e il villaggio operaio: quest'ultimo porta un'aria di emancipazione in quei settori rurali della campagna sarda, grazie alle dinamiche proprie del movimento sindacale.

L'Argentiera è uno fra i più tipici villaggi minerari sardi. Il giacimento fu scoperto nel 1865 e il suo controllo è gestito da numerose aziende col trascorrere del tempo. Nel 1889 subentra la Società di Correboi, grazie alla quale l'Argentiera si trasforma da semplice luogo di lavoro a villaggio operaio, per la volontà dei nuovi acquirenti di allocare gli operai in loco. I primi 23 alloggi nascono alla fine del XIX secolo, nei pressi dell'imbocco delle miniere. Si tratta, in questa prima fase, di semplici dormitori. Nel 1908, nella località di Cala Onano, viene costruito un quartiere di sette edifici posti a scacchiera,per un totale di 28 appartamenti, più la chiesa e la scuola. Sono comode casette in arenaria, migliori dei vecchi cameroni. Il

(24)

nuovo quartiere, per la sua caratteristica abitativa, è riservato agli operai maggiormnete legati all'azienda, creando una categoria di operai privilegiati. Le strutture non coprono il fabbisogno di tutti i lavoratori, alcuni dei quali sono costretti a rivolgersi a privati ai quali versano affitti molto cari. A differenza dell'Iglesiente, dove gli operai sfuggono a queste dinamiche costruendo autonomamente le proprie abitazioni, nell'Argentiera la Correboi possiede tutti i terreni circostanti e non concede tale privilegio ai propri dipendenti.

Il tempo libero degli operai è generalmente dedicato alla cura dell'orto e degli animali da cortile, oltre ad attività come la caccia e la pesca. Nel corso degli anni Venti la dirigenza costruisce anche un cinema. Il villaggio viene così a configurarsi come un "oasi di benessere" rispetto al territorio circostante della Nurra, caratterizzato da povertà e arretratezza. A controllare la vita all'interno del villaggio minerario c'è la figura del direttore, che si configura come un governatore autoritario. L'attivismo dei dirigenti riguarda soprattutto le attività assistenziali e tutti gli operai vengono assicurati contro gli infortuni presso la Cassa Nazionale di Assicurazione e il Sindacato infortuni di Iglesias. Non mancano però episodi che minano la pace sociale, come risse e violenze. Un dirigente "reo" di privilegiare i lavoratori che provengono dall'esterno dell'isola, a discapito di quelli locali, si salva miracolosamente da un agguato. Questi conflitti rivelano la debolezza intrinseca del sistema stabilitosi, con una buona parte di lavoratori ancora residenti all'esterno del villaggio, la libertà di passaggio per i venditori ambulanti di vino, ecc. L'abuso d'alcool costiuticse la costante preoccupazione per l'azienda e causa il susseguirsi di frequenti risse. L'attività riprende vigore nel 1924 dopo una leggera crisi del settore, con il passaggio alla società franco-belga Pennaroya, e negli anni trenta, caratterizzati dalla politica dell'autarchia, avrà un ulteriore slancio, così come l'intero settore minerario. Un esempio significativo di villaggio dell'entroterra è quello di Gonnesa, realizzato con ampie strade rettilinee e case dotate di cortili. Esso nasce nel 1774 come colonia agricola, e ha la sua massima espansione alla metà dell'Ottocento, grazie alla vicinanza delle miniere del Sulcis. Il numero degli abitanti sale costantemente nel tempo e pre venire incontro alle necessità di urbanizzazione si costruiscono case anche all'interno dei cortili, fino a saturare ogni spazio abitabile. In ogni caso, sia che si tratti di centri minerari originari o di recente costruzione, essi sono soggetti di interesse da parte dei minatori, perchè costituiscono una fonte di servizi sociali e assistenziali. La loro durata è però legata indissolubilmente alla produttività della miniera. Esaurite le risorse e terminata l'attività estrattiva, essi decadono e restano disabitati.

(25)

III Capitolo: La fabbrica totale (1930-1940)

3.1 Il neopaternalismo e il welfare aziendale

La prima guerra mondiale non ha contribuito ad un grosso cambiamento degli assetti organizzativi della fabbrica, infatti la militarizzazione degli operai minimizza le problematiche lavorative. È con il fascismo e con il modello economico corporativo che prendono forma i primi provvedimenti assistenziali direttamente gestiti dalle aziende al fine di contrastare le rivendicazioni operaie. In tal senso riveste un ruolo di primo piano l'Organizzazione Nazionale Dopolavoro, nata nel 1925 per gestire il tempo libero delle masse popolari. È il regime stesso che invita le aziende ad applicare sempre più il "welfare aziendale", e di farsi carico dell'assistenza diretta agli operai. Lo stesso Mussolini indica ai dirigenti d'azienda l'atteggiamento da seguire alla riscoperta del paternalismo ottocentesco in una dimensione innovativa, che non contrasti solo la conflittualità dei lavoratori, ma anche le organizzazioni di sinistra e quelle della chiesa, affiancando la costruzione dello Stato sociale del regime. Questo neopaternalismo contribuisce al rafforzamento dell'unione tra gli obiettivi dei vertici dell'imprenditoria italiana e quelli del partito fascista, con questi ultimi interessati direttamente a contrastare la conflittualità operaia ai fini della produttività nazionale. La gestione delle fabbriche e le singole strategie economiche rimangono di esclusivo dominio dei dirigenti, lasciando loro ampi margini d'autonomia sulle decisioni da prendere, in special modo durante la fase di ristrutturazione delle aziende che si differenzia dal taylorismo, mettendo in primo piano il ruolo dell'individuo. La diffusione dei circoli del dopolavoro avviene anche grazie alle numerose iscrizioni, favorite dal fatto che precise disposizioni governative lasciavano ai dirigenti la possibilità di iscrivere gratuitamente tutti i loro dipendenti, prelevando la quota d'iscrizione dalle buste paga. Il tempo libero dei lavoratori e delle loro famiglie era così occupato da numerose attività ricreative e culturali, come spettacoli teatrali, cinematografici, gite. La distinzione tra vita privata e vita lavorativa si fa sempre più labile, all'interno di un'organizzazione delle attività produttive che rimanda al modello della "fabbrica totale"7. Nel 1936, nel 40% delle aziende con più di cento addetti, è presente il dopolavoro, speso accompagnato da numerosi altri interventi di stampo previdenziale e assistenziale, come l'organizzazione di colonie marine e montane o il rifornimento di beni annonari. È ormai diffusa l'idea che il miglioramento delle condizioni di

(26)

vita dei lavoratori possano portare all'aumento della produttività delle aziende, così che l'intera nazione ne goda i benefici in chiave prettamente organicista. I programmi varati in ambito sociale sono applicati per lo scopo di migliorare l'immagine dell'azienda, in maniera inedita rispetto al passato, grazie alle innovazioni nel campo della propaganda, prima fra tutte la fotografia. Un esempio caratteristico in tal senso è quella della fabbrica di Gaetano Marzotto sita a Valdagno, anch'essa dotata di un villaggio per i lavoratori, costruito tra il 1927 e il 1937, in pieno periodo fascista. L'imprenditore, per amplificare il nome della sua ditta, pubblica senza indugi dei depliant illustrati che riguardano sia la produzione dello stabilimento che le opere sociali, gli apparati assistenziali e i circoli dopolavoro adottati al suo interno, distribuendoli nelle mostre e nei congressi nazionali e internazionali. Questa è, a tutti gli effetti, una precisa strategia pubblicitaria, che fa ricorso anche all'utilizzo del cinema per raggiungere il suo obiettivo. Queste dinamiche, presenti in molte aziende, come alla Dalmine, arrivano a occupare molto spazio all'interno della vita dei villaggi, ben oltre la loro efficacia. L'attenzione è concentrata sulle "offerte" che la dirigenza garantisce ai propri operai, sul loro tenore di vita e sulle regole di convivenza.

3.2 Torviscosa: un esempio di ingerenza fascista

Lo stabilimento della SNIA Viscosa nasce nel 1925-26 ad Abbadia di Stura, con annesso villaggio operaio, ma entra ben presto in una crisi produttiva legata ad operazioni sbagliate dell'amministratore Riccardo Gualino. La fabbrica si riprende nel corso degli anni Trenta grazie al nuovo amministratore Franco Marinotti, uomo di grande e collaudata esperienza che arriverà a ricoprire il ruolo di presidente. L'espansione è dovuta all'assorbimento di altre aziende, l'incremento del capitale sociale e l'individuazione di nuove fibre tessili artificiali e porta alla creazione di un nuovo stabilimento tra il 1937 e il 1938. Esso viene costruito a Torviscosa, nei pressi di Torre di Zuino, zona depressa e scarsamente popolata del Friuli, e diventerà in breve tempo il simbolo non solo del successo dell'azienda ma anche di quello delle politiche economiche e sociali del fascismo. La decisione sul luogo in cui costruire è infatti presa da Marinotti insieme allo stesso Mussolini, tenendo conto sia della necessità di risollevare l'economia locale sia di sfruttare alcuni punti strategici, come la rpesenza di linee ferroviarie e stradali e quella di zone ricche d'acqua da bonificare.

(27)

L'autarchia imposta dal regime rende necessario l'incremento della produzione di cellulosa, materia prima per la fabbricazione delle fibre tessili. L'innovazione risiede nell'utilizzo della cosiddetta "canna gentile" al posto delle solite conifere, procedimento che permette una maggiore produzione annua di cellulosa.

Lo stabilimento era nato per collegare i settori dell'agricoltura e dell'industria, fattore rispecchiato anche dall'aspetto del villaggio. Esso presenta caratteristiche strutturali analoghe a quelli del XIX secolo, ma si ha una profonda commistione tra l'organizzazione della vita sociale e di quella lavorativa che rispecchia le linee guida dettate dal regime. La spesa per gli interventi edificativi è controbilanciata da un corrispettivo abbassamento dei salari. La costruzione della fabbrica, del centro urbano e dei relativi servizi avviene in brevissimo tempo, nel giro di un anno. L'inaugurazione avviene il 21 settembre del 1938, con la presenza del duce e nel giro di due anni Torviscosa diventa un vero e proprio comune. Il controllo esercitato da Marinotti all'interno dell'insediamento è totale (le idee fasciste sono presenti solo attraverso la sua intermediazione), e rimarrà tale anche con la caduta del regime e negli anni della ricostruzione. Negli anni in cui Umberto I è re d'Italia Marinotti arriva persino a diventare conte di Torviscosa. È il pieno artefice di quella politica che fa dello stabilimento un modello di villaggio operaio integrato, basato sui valori della famiglia, sull'attaccamento alla

(28)

fabbrica e sulla totale eliminazione della conflittualità, il cui risultato è l'identificazione totale tra i lavoratori e la fabbrica. Il suo paternalismo si configura come un rapporto molto stretto intessuto con gli operai, che resiste al passare del tempo e trova riscontro nella gratitudine riservatagli dai lavoratori.

I provvedimenti in campo assistenziale adottati negli anni Trenta coincidono con quelli imposti dal regime a livello nazionale. Vengono stabiliti premi per la natalità e per la nuzialità, distribuite borse di studio e organizzate colonie marine e montane. Con lo scoppio della guerra e l'occupazione tedesca il presidente non esita a rilasciare dischiarazioni fasulle in favore dei propri dipendenti, evitando così la loro deportazione e salvaguardando la fabbrica. Ciò porterà al suo arresto, avvenuto nel 1944, ma nello stesso anno riesce a fuggire in Svizzera e collabora con la Resistenza alla liberazione dell'Italia. Nel 1945 lo stabilimento viene bombardato dagli alleati e gli operai trasferiti nell'annessa azienda agricola ancora in attività. Ripreso il suo incarico ai vertici dell'azienda Marinotti procede alla ricostruzione e all'ampliamento del complesso industriale nei primi anni cinquanta. Nel 1951 viene fondata l'Associazione Primi di Torviscosa, che assomma le maestranze che sin dal 1938 lavorano li, rinforzando l'unione tra gli operai e tra questi e la Società.

Il villaggio assume i connotati di una città-giardino, con un ampia piazza e un lungo viale alberato posti di fronte all'ingresso della fabbrica; molta attenzione è dedicata allo sport

(29)

e al tempo libero, sono realizzati una piscina, un campo da calcio con la pista dell'atletica leggera, campi da tennis e per le bocce. In piazza sono invece concentrati i servizi ricreativi, come il dopolavoro, il teatro, il cinema e il ristoro. Questo tipo di disposizione permette uno stretto collegamento tra lo spazio della fabbrica e quello residenziale, distribuito su due nuclei ben distinti in base al solito criterio di zonizzazione. Il primo nucelo si sviluppa intorno alla piazza con appartamenti di due piani riservati agli impiegati. Più a sud troviamo invece il quartiere riservato agli operai con palazzine a schiera o in linea, tutte di due piani. Queste dispongono sul retro di uno spazio privato da utilizzare come orto-giardino, ricalcando un modello già utilizzato in moltissimi altri casi. A completare il villaggio le ville dei dirigenti e gli edifici che accolgono la foresteria, la mensa e gli spacci8. L'autore di questo progetto è l'architetto De Min, che gestisce anche la costruzione dei fabbricati e dei borghi rurali che accolgono i salariati agricoli impegnati nella coltivazione della canna. Qui utilizza lo schema tipico della casa bifamiliare friulana, con porticato e scale esterne. L'ampio programma edilizio e assistenziale non salvaguarderà l'azienda dal rischio di scioperi e vertenze sindacali, messe in atto nel corso degli anni quaranta contro la tipologia contrattuale scelta dalla SNIA Viscosa e il pericolo di licenziamenti.

8 Ibid, p. 121.

(30)

3.3 Lo sviluppo delle company town: Dalmine

Un caso del tutto particolare sulla via che conduce dal paternalismo ottocentesco alla "fabbrica totale" è rappresentato dalla Società Dalmine, nata nel 1906 con capitali italiani e tedeschi e la denominazione di Società Anonima Tubi Mannesmann. Dopo la crisi legata alla riconversione post-bellica, nel 1920 viene fondata un anuova impresa, denominata Società Anonima Stabilimenti di Dalmine. Lo stabilimento sorse in una zona rurale nei pressi di Bergamo, a Sabbio, nel 1907. La scelta dei terreni per la costruzione della fabbrica dipende dall'abbondanza della manodopera presente in loco, di acqua necessaria agli impianti e dal basso costo dei terreni. L'azienda è titolare del brevetto per la laminazione dei tubi in acciaio senza saldatura e passa, nei primi anni Trenta, sotto il controllo dello Stato. Negli anni del fascismo il villaggio costruito per ospitare gli operai conosce un rapido sviluppo, anche riguardo all'offerta di servizi assistenziali e ricreativi. Gli enti pubblici locali sono favorevoli ad eliminare le tasse sulle materie prime nei confronti dell'azienda e si prodigano nell'allacciarla alla linea tramviaria di Bergamo, agevolandone le possibilità di investimenti.

Riferimenti

Documenti correlati

Matteo Jessoula professore Scienze Politiche Università Milano (Curatore del Volume RPS) Camilla Gaiaschi ricercatrice – Centro Genders Università di Milano. Franco Martini

a crisi economica, la sua natu- ra, le sue cause, le sue connes- sioni con i sistemi di welfare e le indicazioni che emergono per le politiche sociali e, più specifica- mente, per

Sia Salt, sia Lever, sia Cadbury, fondatori rispettivamente di Saltaire, Port Sunlight e Bourneville, sono, infatti, convinti che un ordinato assetto socio-spaziale dei

Nella prima e seconda tipologia, si possono far rientrare i casi delle Company Town, categoria anglosassone corrispondente ai nostri villaggi operai 2 , perché in

© Paul Sharp and Cambridge University Press.. ECONOMY AND POLITICS AT THE CLOSE OF THE 19 TH

Esercizio 5 Date le due rette r e s , tracciare il loro grafico su carta millimetrata e determinare le coordi- nate del punto d’intersezione I sia graficamente

  In questo lavoro, dopo aver definito i principi del welfare state, si vuole approfondire il pensiero dei padri fondatori delle politiche sociali, ovvero, docenti e autori

In fase progettuale viene stilato un abaco, con un modulo in grado di sintetizzare le due metà dell'area di progetto: quella del paesaggio agricolo palestinese e le