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Impatto del peso uterino in pazienti sottoposte ad isterectomia robotica: outcomes chirurgici e clinici

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia _____________________________________________________________________________

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CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

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Impatto del peso uterino in pazienti sottoposte ad isterectomia

robotica: outcomes chirurgici e clinici”

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CANDIDATO RELATORE

Virginia Viti Dot.ssa Maria Giovanna Salerno

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ANNO ACCADEMICO 2016/2017

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1. INDICE

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1. Indice pag. 2 2. Riassunto pag. 3 3. Definizione e classificazione pag. 5

4. Epidemiologia pag. 6 5. Fattori di rischio pag. 8

6. Istologia e patogenesi pag. 12 7. Clinica pag. 17 8. Diagnosi pag. 21 9. Trattamento pag. 26 10. Complicanze pag. 41 11. Chirurgia robotica: modalità e vantaggi pag. 43 12. Outcomes clinici e chirurgici in pazienti sottoposte

ad isterectomia robotica (TRH) pag. 48 13. Bibliografia pag. 74

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2. RIASSUNTO

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L’isterectomia totale è l’intervento chirurgico più praticato in ambito di patologia uterina benigna, tra le principali indicazioni all’intervento figura anche la patologia fibromatosa uterina. Attualmente la ACOG raccomanda di praticare l’isterectomia per via vaginale, quando questa non sia fattibile l’isterectomia per via laparoscopica. L’impiego della chirurgia robotica (TRH) nella patologia ginecologica complessa, tra cui figura anche la fibromatosi uterina, potrebbe apportare benefici in termini di outcomes clinici e chirurgici per le pazienti ma anche e so-prattuto di tempi di apprendimento della tecnica chirurgica per l’ope-ratore. In questa sede viene descritta la tecnica chirurgica standardiz-zata utilizstandardiz-zata per il trattamento di donne che avessero come indica-zione al trattamento una diagnosi di fibromatosi/leiomioma/menorra-gie o edenomiosi/endometriosi e dolore pelvico associato. A seguito dell’analisi di dati ricavati dalle cartelle cliniche delle suddette, previa acquisizione del consenso, è stato valutato l’impatto del peso uterino nel determinare l’insorgenza di una serie di eventi empirici. Lo scopo è quello di individuare un pool di pazienti in cui le condizioni pre-chi-rurgiche possano porre un’indicazione all’esecuzione dell’intervento per via robotica piuttosto che con le usuali tecniche raccomandate, in modo che le pazienti possano beneficiare a pieno di tutti i vantaggi che la tecnica chirurgica fornisce. Nell’analisi statistica le pazienti sono state suddivise in due classi in base al peso uterino < o > di 600g. La durata complessiva dell’intervento è stato valutato come valore critico e la sola variabile capace di influenzarla è il peso uterino

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(p= 0,003), probabilmente per la necessità di eseguire la morcellazio-ne (p=0,001) per via vaginale, mentre i tempi di consolle risultano in-variati indipendentemente dall’entità del peso dell’organo.

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LEIOMIOMA UTERINO

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3. DEFINIZIONE

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Tumore benigno della muscolatura uterina a componente monoclona-le. La International federation of Gynecology and Obstretics (FIGO) classifica i leiomiomi a seconda della loro o localizzazione:

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Immagine 1: Classificazione leiomioma uterino

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-Intramurale (tipo 3,4,5): si sviluppano nel contesto dello strato mu-scolare dell’organo fino distorcerne la forma, alcune volte si estendo-no dal versante sotto-sieroso al sotto-mucoso (1);

-Sottomucoso (tipo 0,1,2): sempre protrudente nel lume dell’organo. In base al grado di estrinsecazione nella cavità endometriale si defini-sce mima sottomucoso di tipo 0 se è completamente accolto nella ca-vità; tipo 1 se protrude >50% nella cavità, tipo 2 se protrude < del 50% (1);

-Sottosieroso (tipo 6,7): sessile o peduncolato e può svilupparsi entro il legamento largo (1).

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4. EPIDEMIOLOGIA

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Immagine 2: Epidemiologia del leiomioma uterino. Immagine tratta da “Epi-demiology of Uterine Fibrinoids: From Menarche to Menopause“

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Il leiomioma uterino è la neoplasia benigna più diffusa nel sesso fem-minile insorgente tipicamente durante la fase riproduttiva della vita. L’incidenza nella popolazione generale è di difficile determinazione a causa di pochi studi longitudinali condotti al riguardo, inoltre i pochi dati in letteratura sono ricavati da studi condotti esclusivamente su donne sintomatiche mentre una buona parte rimane asintomatica an-che per tutta la vita. Si stima comunque an-che l’incidenza approssimati-va sia di 9,2 casi ogni 100.000 abitanti l’anno ( Nurses’ Health Study II). Nelle donne di colore l’incidenza sembrerebbe dalle 2 alle 3 volte superiore (2) (tali dati sono stati ricavati a seguito di diagnosi fatte mediante ecografie o isterectomia).

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Dal medesimo studio è stato evidenziato un aumento progressivo del-l’incidenza della neoplasia con al progredire dell’età: tra i 25 e i 29 anni si hanno tassi di incidenza di 3,3/100.000/anno mentre sono rag-giunti picchi di 16/100.000/anno nelle donne tra i 40 e i 44 anni. In linea generale si può affermare che:

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- la prevalenza del leiomioma uterino incrementa col progredire del-l’età fin tanto che la donna si trova nella fase fertile della sua vita;

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- non ci sono casi riportati di leiomioma in età pre-puberale e sporadi-ci sono i casi di leiomioma diagnosticato in età puberale;

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- la maggior parte dei leiomiomi subisce una regressione parziale o completa dopo la menopausa (1).

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5. FATTORI DI RISCHIO

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Etnia - il fattore razziale gioca sicuramente un ruolo rilevante nella

genesi del leiomioma uterino, di fatti si stima che un leiomioma clini-camente significativo, definito come malattia che determini ingrandi-mento dell’utero di entità paragonabile o superiore all’organo gravidi-co alla nona settimana di gestazione o la presenza di una neoforma-zione delle dimensioni superiori a 4 cm di diametro, sia presente in ca. il 50% delle donne di etnia Africana nel periodo di transizione verso la menopausa contro il 35% nelle donne bianche. Tuttavia sembra che i noti fattori genetici e ambientali che determinano le maggiori diffe-renze in queste due sotto-popolazioni, non siano così determinanti quando si tratta di predisposizione a sviluppare leiomioma. Non solo l’incidenza ma anche la storia naturale della malattia appare differen-te, nelle donne nere infatti si osserva sia un’età più precoce di insor-genza, circa 4-6 anni prima, sia una manifestazione clinica più preco-ce: si stima che tale condizione divenga clinicamente significativa a partire dai 25 anni nelle donne di colore e a partire dai 35 anni nelle donne di etnia caucasica. Di conseguenza anche il numero di isterec-tomie eseguite per il trattamento di uteri voluminosi è ben più elevato in queste donne.

Le isterectomie inoltre vengono eseguiti anche in epoca più precoce, in donne con uteri mediamente più grossi e con anemia al momento della diagnosi più severa.

In ultimo si ritiene che il rischio sia aumentato anche nelle donne di provenienza dall’America latina rispetto alla popolazione europea,

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mentre le donne asiatiche hanno un rischio legato all’etnia comparabi-le con comparabi-le donne di razza bianca (1).

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Fattoti endocrini e riproduttivi - il leiomioma risulta essere

respon-sivo alla modulazione dei livelli ormonali di estrogeni e progesterone, in particolare tende ad accrescersi in caso di sovraesposizione ormo-nale e può regredire parzialmente a seconda di cosa viene sommini-strato e in che modalità al fine di ridurre la stimolazione ormonale. Quanto detto tuttavia non implica che tali ormoni siano direttamente correlati con la genesi del leiomioma ma piuttosto con la progressione (1). Mentre però i livelli circolanti di ormoni sessuali non sono signi-ficativamente diversi in donne con e senza leiomioma uterino, le con-centrazioni dei medesimi ormoni a livello del tessuto del leiomioma sono invece più alte. Un fattore che può giustificare tale dato è il livel-lo di attività dell’enzima aromatasi che converte normalmente una quota di androgeni in estrogeni agendo a livello dei tessuti periferici: sia l’enzima che i recettori specifici per gli ormoni sessuali sono so-vra-espressi a livello del leiomioma uterino rispetto al miometrio (2).

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Gravidanza - avere una o più gravidanze di durata superiore alle 20

settimane riduce il rischio di sviluppo di leiomioma (1).

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Menarca - donne che hanno avuto il primo ciclo ovarico prima dei 10

anni, quindi un menarca precoce, tendono a sviluppare più spesso e prima leiomiomi. Questo dato spiegherebbe in parte anche la

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maggio-re incidenza nelle donne di etnia Africana in cui il menarca è notoria-mente più precoce rispetto alle donne bianche (1).

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Fattori ormonali e contraccezione - l’uso di metodi contraccettivi

orali o trans-vaginale non sembra implicare un accrescimento di miomi né la terapia è controindicata in donne che già hanno un leio-mioma nella propria storia anamnestica. Nei casi in cui sia condotta una terapia anti-concezionale a base di soli derivati progestinici e que-sti siano usati per tempi piuttosto lunghi, sembra addirittura che il trat-tamento assuma un ruolo protettivo, al contrario quando tale terapia viene assunta dopo una gravidanza sembrerebbe ostacolare la naturale regressione di un eventuale leiomioma pre-esistente.

Altri fattori ormonali potenzialmente coinvolti sembrerebbero poter derivare da un’esposizione a sostanze esogene capaci di influenzare il normale equilibrio ormonale dell’organismo, alcuni esempi: dietilsil-bestrolo (analogo estreogenico), ftalati, bisfenoloA sembrano correlare con un aumento del rischio di sviluppare leiomioma, di contro compo-sti come il clomifene, usato per compo-stimolare l’ovulazione in donne che si sottoporranno alla fecondazione medicalmente assistita, non sembrano aumentare tale rischio, anzi donne che rispondono maggiormente al trattamento sembrano acquisire un fattore protettivo in tal senso (1).

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Obesità - al riguardo ci sono dati piuttosto discordanti probabilmente

perché molti sono i co-fattori potenzialmente coinvolti per cui non c’è un’opinione univoca al riguardo ancora oggi (1).

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Dieta - il consumo di carne rossa sembra correlare con un aumentato

rischio di sviluppo di leiomioma, al contrario una dieta ricca di verdu-re fungeverdu-rebbe da fattoverdu-re protettivo così come una dieta a basso conte-nuto di zuccheri e a dosi sufficientemente alte di vitamina A. Un ruolo interessante è quello della vitamina D la quale sembra essere più spes-so carente in donne con fibromatosi uterina e in particolare i livelli sierici sono più spesso carenti nelle donne nere che notoriamente sof-frono di più di tale condizione (1).

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Alcol - il rischio sembrerebbe più alto specialmente con il consumo di

birra (1).

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Fumo - probabilmente attraverso un effetto inibitorio intrinseco

sul-l’enzima aromatasi, il fumo fungerebbe da fattore protettivo (1).

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6. ISTOLOGIA E PATOGENESI

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La patogenesi del leiomioma uterino non è ad oggi ancora completa-mente conosciuta, numerosi sono i fattori sia di natura genetica che ambientale che possono avere un ruolo nell’insorgenza e nella pro-gressione del leiomioma. Inoltre di per sé il leiomioma è una malattia assai eterogenea che può aver avuto eziologia diversa nelle varie pa-zienti. In tutti i casi comunque sembra esservi una struttura e una fun-zione dell’endometrio che mostra alterazioni anatomiche specifiche sia sul piano ghiandolare che vascolare.

Il leiomioma è tipicamente formato da un espansione monoclonale di cellule muscolari lische che compongono lo strato muscolare dell’ute-ro, immerse in una abbondante matrice extracellulare prevalentemente proteica. Il leiomioma risulta delimitato in periferia da una pseudo-capsula derivata dalla compressione del tessuto sano circostante e da cui proviene l'apporto vascolare alla lesione stessa (3).

Ne esistono alcune varianti istologiche:

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- atipico

- ad elevata attività mitotica - cellulato

- epitelioide - emorragico - mixoide (4).

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In definitiva due son le fasi che caratterizzano la storia evolutiva del leiomioma:

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1) trasformazione delle cellule muscolari in miociti anomali e sovra-proliferanti;

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2) crescita degli stessi elementi a livelli tali da divenire una o più en-tità clinicamente rilevanti e manifesti.

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Il primo di questi processi sembra in realtà un evento assai comune da riscontrare, specie se indagato a livello microscopico; la fase successi-va è invece più successi-variabile e deriverebbe dall’espansione di una singola cellula muscolare. Essendo la crescita l’elemento più facilmente rile-vabile, oggi la maggioranza degli approcci terapeutici medici sono pensati per avere un impatto maggiore su questa fase piuttosto che sul-la precedente trasformazione, evento invece difficilmente individuabi-le (3).

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6.1 GENETICA

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Il 60% dei leiomiomi mostra un’alterazione uniforme del cariotipo, ad un fenotipo macroscopico piuttosto ricorrente nelle varie pazienti, possono invece corrispondere molti e variabili genotipi sottostanti. Alcune comuni alterazioni genetiche vedono coinvolti geni quali MED12, REST, mTOR, cromotripsina (in passato ritenuto coinvolto nei processi neoplastici maligni dell’utero piuttosto che nei benigni), e

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alterazioni cromosomiche a carico dei cromosomi 12 e 14. Ciò che più è rilevante è che c’è un’evidente discordanza tra le modifiche geneti-che ritrovate nei leiomiomi piuttosto geneti-che nei leiomiosarcomi a dimo-strare che le due neoplasie derivano da due differenti linee patogeneti-che e non vi è possibilità di evoluzione da una forma benigna ad una maligna. Sono possibili solo due eccezioni a quanto detto ed entrambe sono giustificate dal coinvolgimento del cromosoma 1 che determina una sindrome familiare caratterizzata da leiomiomi uterini, leimiomi cutanei e una forma aggressiva di carcinoma renale papillare (3).

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6.2 RUOLO DEGLI ORMONI STEROIDEI

La relazione tra valori ormonali e patogenesi del leiomioma è piutto-sto complessa. Sembrerebbe che i tempi, le dosi e la via di esposizione a tali ormoni sia capace di avere differenti influenze in senso evoluti-vo o regressievoluti-vo del leiomioma: se pur durante la gravidanza e in caso di somministrazione di terapia sostitutiva si abbiano livelli piuttosto alti di ormoni estro-progestinici, questi due eventi correlerebbero in-vece con un minor rischio di progressione del leiomioma. L’altro aspetto interessante riguarda il pattern di responsività agli ormoni che è differente nel leiomioma rispetto al miometrio normale ed in en-trambi i tessuti questo varia a seconda della fase del ciclo. Ad esempio il leiomioma mostrerebbe lo stesso pattern di risposta ormonale che l’utero possiede nei confronti degli estrogeni e del progesterone du-rante la gravidanza. Una terapia medica a base di fattori che azzerano

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tali influenze ormonali comporterebbe l’eliminazione di questa diffe-renza di responsività tra leiomioma e miometrio.

Un secondo determinante della sensibilità ormonale dei leiomiomi sarebbe la sovra-espressione dell’enzima aromatasi che normalmente converte gli androgeni in estrogeni a livello dei singoli tessuti.

In ultimo vi sarebbe anche una concomitante sovra-espressione dei recettori ormonali rispetto al miometrio fisiologico.

Altrettanto importante è il ruolo del progesterone, non tanto nel pro-muovere la crescita cellulare quanto nell’inibire i normali processi apoptotici (3).

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6.3 ANORMALITA’ VASCOLARI

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Come accennato anche la vascolarizzazione del leiomioma differisce dalla normale architettura presente nel miometrio adiacente, sono in-fatti presenti sia arteriole soprannumerarie che venule, entrambe appa-iono inoltre evidentemente dilatate. L’aspetto della vascolarizzazione ricorda quello di un qualsiasi altro letto capillare di neo-formazione che rappresenti il risultato di una risposta compensatoria ad uno sti-molo ipossico: questo aspetto ha portato a supporre che la formazione dell’intero leiomioma possa in realtà essere la risposta ad uno stimolo ipossico cronico che si verrebbe ad instaurare durante le contrazioni uterine che compaiono durante il ciclo mestruale, esattamente come una placca aterosclerotica induce meccanismi di compenso e adatta-mento all’ipossia attraverso l’apertura di circoli collaterali e

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neoan-giogenesi. Forse non è un caso che il rischio cardio-vascolare sia più elevato in media nelle donne con fibromatosi uterina (3).

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6.4 FATTORI FIBROTICI

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La matrice extracellulare è ben rappresentata nel leiomioma, il colla-gene che la compone però mostra anch’esso delle alterazioni, partico-larmente a carico dell’isoforma del collagene 1 e 2 e delle dermatotro-pine che legano le molecole tra di loro, le stesse proteine che sembra-no coinvolte nel processo di cicatrizzazione e che sarebbero responsa-bili della formazione di cheliodi. Proprio i cheloidi sono di più fre-quente riscontro nei soggetti di etnia Africana, gli stessi in cui il leio-mioma è un evento di più frequente riscontro.

Altri fattori pro-fibrotici risultano disregolati come il TGF-beta e GM-CSF, inoltre un analogo del TGF-beta normalmente espresso dall’en-dometrio solo nella fase luetica del ciclo, appare presente nel leio-mioma per l’intera durata complessiva del ciclo uterino (3).

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CLINICA

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La maggioranza dei leiomiomi sono piccoli e asintomatici, qualora divenisse una condizione clinicamente degna di nota in genere questo è un evento da correlare al numero (singoli o multipli), dimensione e sede di insorgenza del leiomioma. Per quanto concerne le dimensioni queste sono descritte paragonandole a quelle raggiunte dall’utero du-rante le varie settimane di gravidanza.

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Il leiomioma si può rendere manifesto mediante tre classi di sintomi:

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- sanguinamento prolungato e/o abbondante durante e dopo il periodo mestruale (meno-metrorragia);

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- sintomi correlati a “effetto massa”;

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- disfunzione della funzione riproduttiva.

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Di questi quelli più frequentemente lamentati dalle pazienti sono in genere i sintomi correlati con l’alterazione della fase mestruale duran-te la quale si generano flussi abbondanti e dolore particolarmenduran-te im-portante. Il sanguinamento si rende a sua volta responsabile di possibi-li sintomi riconducibipossibi-li all’anemia da perdita e le sue dirette conse-guenze: astenia marcata e talvolta invalidante, pallore, coilonichia, fragilità degli annessi cutanei etc. Nello specifico i tipi di leiomioma più frequentemente correlati con il verificarsi di sanguinamenti ab-bondanti sono il sottotipo sottomucoso e in minor quota il cervicale e l’ intramucoso, tali sintomi sembrerebbero in parte correlati ad anoma-lie specifiche della vascolarizzazione rilevabili sia a livello microsco-pico che macroscomicrosco-pico.

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Anche il dolore sembra essere percepito più intenso del normale, spe-cie durante la fase mestruale ma in taluni casi anche con episodi inter-mestruali, in particolar modo quando il leiomioma si trova in sede an-teriore o localizzato sul fondo uterino. Non sembrerebbe invece che il numero e le dimensioni siano particolarmente rilevanti in tal senso.

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I sintomi legati ad un effetto massa sono meno frequenti, per lo più riconducibili all’aumento sostanzioso del volume e/o del peso uterino che possono essere raggiunti in alcuni casi e alla forma irregolare as-sunta dall’organo come diretta conseguenza: questo aspetto comporta anche particolari difficoltà durante un eventuale intervento chirurgico, in particolare durante la fase di individuazione degli ureteri, punto cruciale onde evitare complicanze iatrogene.

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Lo spettro di sintomi correlati ad un effetto massa sono:

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senso di pesantezza e tensione pelvica

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dolore lombare

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sintomi urinari quali urgenza, pollachiuria, difficoltà allo svuota-mento vescicale (specie quando è presente un grosso leiomioma anteriore o in sede posteriore che sospinge in avanti l’intero orga-no)

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idronefrosi da compressione degli sbocchi ureterali (più spesso pre-sente a destra e con leiomiomi > 6 cm in uteri di dimensione

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para-!

La paziente può inoltre lamentare costipazione in conseguenza della compressione esercitata a livello intestinale.

Uteri particolarmente voluminosi infine possono esercitare effetto compressivo anche sui vasi venosi confluenti nella vena cava inferio-re, in questo modo si genera stasi del flusso ematico che a sua volta è causa di incremento del rischio trombotico in queste pazienti.

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Un altro tipo di evento non infrequente è la degenerazione del leio-mioma che in genere si rende clinicamente manifesta con dolore pel-vico, febbre o febbricola, sensazione di tensione alla palpazione pro-fonda, elevata conta leucocitaria ai test di laboratorio. Di norma questi eventi sono auto-limitanti e si risolvono nell’arco di pochi giorni o settimane, l’unica terapia consigliata è a base di FANS a scopo anal-gesico e antinfiammatorio.

In genere la presentazione clinica è di per sé molto suggestiva di de-generazione e basta un semplice esame ecografico per confermare il sospetto clinico.

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Talvolta il dolore ricorrente può essere l’unico elemento clinico pre-sente ma se rilevante, invalidante e non gestibile farmacologicamente, costituisce da solo un’ indicazione chirurgica, se così fosse si deve prima escludere qualsiasi altra possibile fonte di dolore come l’endo-metriosi, coliche renali, o tbc genito-urinaria (rara).

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E’ stata proposta una possibile correlazione tra la malattia fibromatosa dell’utero ed infertilità della donna, in effetti risulterebbero tassi mag-giori di difficoltà di concepimento e qualora questo vada a buon fine sussisterebbero comunque risichi maggiori di aborto spontaneo e complicanze durante la gravidanza e il parto.

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Altri possibili presentazioni cliniche sono ben più rare e sono ad esempio il prolasso del leiomioma e/o effetti endocrini derivati dalla sintesi e secrezione di EPO, rPTH, PRL (1).

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DIAGNOSI

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8.1 ANAMNESI: un buon percorso diagnostico prevede sempre la

raccolta di una adeguata storia anamnestica, nello specifico caso si deve interrogare la paziente riguardo i propri cicli mestruali, la loro durata, tipo di flusso etc. Altrettanto importante è andare ad escludere una possibile gravidanza o altre possibili condizioni che giustifichino i disturbi riportati, ponendo particolare attenzione nell’escludere la pre-senza di endometriosi e di iperplasia endometriale.

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Le donne che riportano il dolore come sintomo prevalente o comun-que rilevante in genere riferiscono una sintomatologia con caratteri riferibili ad un dolore di tipo cronico, raramente vengono descritti epi-sodi acuti di dolore a meno che non si verifichino eventi rari come la torsione o la degenerazione del leiomioma.

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Altrettanto importante è chiedere specificatamente alla paziente al ri-guardo di eventuali sintomi da compressione d’organo o di problemi di fertilità, la donna può non riferire tali elementi spontaneamente per-ché non ritiene tali disturbi correlati al sintomo principalmente lamen-tato.

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Ogni altro fattore di rischio correlabile con la fibromatosi uterina deve essere specificatamente indagato (1).

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8.2 ESAME OBIETTIVO: l’ipotesi di una fibromatosi uterina viene

poi rafforzato attraverso una valutazione obiettiva diretta della pelvi e dei genitali. Di norma l’analisi anatomo-patologica non viene eseguita preventivamente a meno che non vi sia il sospetto di una patologia maligna ab-inizio.

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I reperti obiettivi indagati attraverso l’esplorazione bi-manuale della pelvi e spesso riscontrati sono:

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utero aumentato di volume, benché le forme sottomucosali o intra-murali spesso non determinano un incremento realmente percepibi-le;

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- mantenimento della mobilità dell’organo, un utero fisso deve far pensare ad un processo infiammatorio con esiti di tipo aderenziale o a malattie di natura maligna;

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contorni irregolari;

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- la posizione del fondo uterino dovrebbe sempre essere indagata at-traverso la medesima manovra.

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La dimensione dell’organo viene riportata in termini di altezza rag-giunta dal fondo uterino rispetto a quella che raggiungerebbe un utero gravidico al progredire delle settimane di gestazione: un utero alla do-dicesima settimana giunge fino al di sopra della sinfisi pubica, alla sedicesima settimana è palpabile nel punto posto a metà tra la sinfisi e

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l’ombelico, alla ventesima settimana è percepibile a livello ombelica-le.

Raramente attraverso l’esplorazione per mezzo dello speculum vagi-nale si può rivelare un prolasso del leiomioma, in tal caso sarebbe co-munque facilmente distinguibile da processi di altra natura in base a l’ aspetto e la consistenza duro-lignea, l’esame anatomo-patologico confermerà eventualmente tale supposizione.

Eventualmente fosse presente un leiomioma cervicale, la cervice ap-parirebbe marcatamente allargata all’esplorazione vaginale (1).

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8.3 ESAMI DI LABORATORIO: la rilevanza dei dati di laboratorio

è presente qualora si sia verificato un profuso sanguinamento o nel caso in cui questo si protragga nel tempo. In tal caso verranno rilevati e valutati in termini di gravità gli indici di anemizzazione: conta eri-trocitaria, emoglobina, ematocrito, MCV, indice reticolocitario, side-remia etc (1).

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8.4 IMAGING: a tutte le pazienti che siano sintomatiche, con uno

qualsiasi dei sintomi riportati precedentemente, viene fatta una eco-grafia trans-addominale e trans-pelvica, l’indagine di prima scelta. Al-tre indagini di secondo e terzo livello possono rendersi necessarie in caso di dubbio diagnostico o qualora si programmasse un intervento chirurgico.

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In linea generale si procede con:

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- ecografia pelvica e trans-vaginale che è dotata di una maggiore sen-sibilità specie per l’identificazione di leiomiomi in uteri più piccoli di un utero gravidico alla decima settimana. Il tipico aspetto ecografico del leiomioma è descritto come un’area ipoecogena dai contorni regolari e ben delimitati. Se sono rilevabili focus di calcifi-cazione, visualizzate come aree iperecogene, queste vengono inter-pretate come segni di pregressa degenerazione ed a seguito di tale evento la dimensione del leiomioma tende in genere a diminuire. Ogni volta vi siano in anamnesi o all’esame obiettivo informazioni riconducibili a compressioni d’organo, l’ecografia dovrà andare a valutare anche l’integrità degli organi limitrofi in primis del rene ricercando segni di pielo-dilatazione;

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- valutazione della cavità pelvica che può essere eseguita sempre tramite ecografia ma associata all’immissione di soluzione salina (sonoisterografia), questa tecnica permette di identificare anche leiomiomi sottomucosali e intramurali che protrudono all’interno della cavità generando aree di minus. Tali prestazioni vengono ese-guite specie quando sia previsto un intervento per via endoscopica o si voglia valutare l’influenza del leiomioma su eventuali problemi di fertilità;

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- isteroscopia: permette la completa valutazione del leiomioma per quanto riguarda l’ entità di protrusione in cavità uterina, tuttavia non

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ci permette di stimare il grado di estensione sul versante contro-cav-itario.

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- RM: sensibile nel distinguere un leiomioma da una adenomiosi (tu-mori benigni ghiandolari nel contesto della muscolatura uterina). A causa degli elevati costi viene impiegata solo in vista di un interven-to chirurgico come planning pre-operainterven-torio. Ha un ruolo anche nella diagnosi differenziale tra leiomioma e leiomiosarcoma (1).

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9. TRATTAMENTO

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La prima miomectomia fu eseguita nel 1838 da Chelms in una pazien-te in cui fu diagnosticata erroneamenpazien-te in fase pre-chirurgica una mas-sa ovarica. Per i successivi due secoli, la chirurgia rimase il trattamen-to principale del leiomioma uterino e della fibromatrattamen-tosi mentre la tera-pia medica era assai limitata. L’ampliamento della conoscenza riguar-do le modalità di accrescimento del leiomioma uterino e del suo svi-luppo anche a livello molecolare, è risultato determinante nel trovare nuove strategie terapeutiche che includessero anche trattamenti farma-cologici (5).

Trattandosi di una patologia di natura benigna nella maggior parte dei casi, qualora venissero occasionalmente diagnosticati uno o più leio-miomi uterini e questi non determino sintomi né intacchino la qualità di vita della paziente, non vi sono indicazioni a particolari procedure terapeutiche neanche di natura profilattica volta a ridurre il rischio di eventuali complicanze future. L’unica indicazione al trattamento profi-lattico sussiste nella donna con problemi di fertilità e con segni di idronefrosi riconducibili all’incremento di volume o all’alterata mor-fologia dell’utero.

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Quando invece vi siano le indicazioni al trattamento, medico e/o chi-rurgico, il primo scopo è quello di controllare i sintomi tipici che sono anche la principale fonte di malessere per la paziente. Il tipo di inter-vento è strettamente variabile e dipendente dallo specifico caso.

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I principali determinanti che influenzano la scelta sono:

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- tipo e severità dei sintomi

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- dimensioni del leiomioma

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- localizzazione

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- età

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- pianificazione di future gravidanze e precedente storia ostetrica.

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Il mantenimento di un regime di “sorveglianza” può essere una valida opzione per tutte le donne asintomatiche: si procede con una valuta-zione ecografia di conferma per accertarsi che si tratti effettivamente di una massa pelvica di natura uterina e benigna e non di origine ova-rica, dopo di che viene fatto un controllo ecografico annuale e ad eventuali cambiamenti della condizione di base seguono le opportune ulteriori valutazioni e considerazioni terapeutiche (6).

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9.1 TERAPIA MEDICA

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Data l’elevata prevalenza sia del leiomioma che dell’impiego di pre-parazioni a base di ormoni per scopi contraccettivi, risulta complesso isolare i reali effetti di una terapia ormonale nel condizionare la storia naturale del leiomioma. Alcuni dati suggerirebbero una particolare efficacia nei casi in cui il sanguinamento sia il solo sintomo o comun-que comun-quello a prevalere nel quadro clinico complessivo. Benché i bene-fici siano evidenti nei trattamenti di durata di almeno un anno, i

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falli-menti delle terapie a lungo termine sono piuttosto comuni, fino a do-ver usufruire di trattamento chirurgico come ultima opzione terapeuti-ca.

Comunemente la terapia ormonale combinata, estro-progestinica, usualmente impiegata a scopo anti-concezionale viene anche prescritta per il controllo dei sintomi emorragici legati al ciclo ma il reale bene-ficio sul leiomioma non è così evidente, specie sui sintomi la cui in-tensità è direttamente correlabile con le dimensioni e con l’effetto massa. Inoltre, come già descritto, la relazione tra contraccettivi e leiomioma è molto complessa e non è chiaro quanto la terapia abbia un ruolo protettivo piuttosto che favorente l’insorgenza del tumore (6).

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Le possibili alternative terapeutiche sono:

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Dispositivi intra-uterini medicati con levonorgestrel

Attualmente il controllo dell’emorragia e la contraccezione sono le

principali indicazioni per il loro impiego e non è chiaro quanto sia ef-ficace nel controllo del sanguinamento dovuto alla presenza di un leiomioma. Inoltre in caso di presenza di leiomioma voluminoso, l’uso del dispositivo intra-uterino sarebbe controindicato (6).

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- Progestinici (pillole ed iniezioni)

Sebbene il progesterone di per sé sia un ormone stimolante la prolifer-azione dei miociti (o meglio un inibitorie della loro apoptosi), l’uso di preparati a scopo anti-concezionale sembrerebbe indurre una certa atrofia sull’endometrio così da poter controllare il sanguinamento.

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Potrebbero essere impiegabili nella donna che avesse anche intenzione di usare il farmaco a scopo anti-concezionale (6).

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Agonisti delle Gonadotropine

Attualmente si tratta del trattamento più efficace nella gestione del

leiomioma uterino, anche se la durata del trattamento non dovrebbe superare i 6 mesi. Questi farmaci inducono inizialmente una stimola-zione dell’asse ipofisi-gonadi, successivamente si raggiunge la com-pleta soppressione della secrezione ipofisaria di gonadotropine (ipo-gonadismo ipogonadotropo iatrogeno) riproducendo così un quadro non dissimile dalla menopausa. Molte donne sviluppano amenorrea, mostrano riduzione del volume uterino e miglioramento dei sintomi a prescindere da quale sia la loro natura, dopo 3 mesi di trattamento. Tuttavia la terapia non è priva di effetti collaterali: colpi di calore, di-sturbi del sonno, didi-sturbi dell’umore, atrofia e disconfort vaginale, mialgie ed altralgia. L’effetto avverso più importante tuttavia è l’ost-eopenia/osteoporosi indotta dal calo estrogenico per quanto questo sia di grado minore rispetto a quella sviluppata da donne che fanno un analogo trattamento per la gestione di una endometriosi, probabilmen-te perché l’età in cui viene cominciata la probabilmen-terapia nelle donne con leio-mioma uterino è più avanzata e perciò meno determinante. Qualora sussistesse comunque la volontà di controllare tali effetti si può pensa-re di co-somministrapensa-re basse dosi di estrogeni combinati con progesti-nici al fine di mantenere l’amenorrea e la riduzione del volume del tumore ma limitando o prevenendo in taluni casi gli effetti avversi

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del-la terapia, specie l’osteoporosi. Vengono usualmente impiegati 0,625 mg di estrogeno e 2,5 mg di medrossiprogesterone acetato.

Un altro aspetto negativo è che i sintomi e il volume uterino tendono a incrementare nuovamente a seguito di eventuale interruzione della te-rapia. Non c'è consenso al momento attuale al loro utilizzo come trat-tamento pre-chirurgico in quanto, seppur riducendo il tasso di sangui-namento intra-operatorio, renderebbero l'esecuzione dell'intervento più difficoltoso (6).

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- Antagonisti delle gonadotropine

Effetti simili sono raggiunti con l’impiego di farmaci che vadano a competere con i recettori delle gonadotropine situati sulla ade-noipofisi. Questi farmaci hanno il vantaggio di indurre l’effetto ter-apeutico in brevi tempi e senza spiccati effetti avversi tipici invece dei farmaci agonisti. Nonostante i vantaggi, non si tratta attualmente di una terapia usata nella pratica clinica per la gestione del leiomioma soprattutto per la scarsa compliance della paziente al trattamento dato che prevede iniezioni giornaliere. Il principale impiego attuale è nel-l’ambito della stimolazione ovarica in vista di fecondazioni medical-mente assistite dal momento che prevedono regimi terapeutici di breve durata (6).

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- Modulatori del recettore progestinico (PRMs)

L’impiego generale di questi farmaci sta aumentando nella pratica clinica ma non è ancora un farmaco approvato per la gestione del leiomioma uterino secondo quanto affermato dalla FDA, nonostante i

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suoi scarsi effetti avversi e la disponibilità di preparazioni orali. Non è inoltre chiaro quale sia l’effetto reale sull’endometrio. Alcuni esempi di modulatori del recettore progestinico sono:

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1) ULIPRISTAL ACETATO, è un modulatore del recettore progestini-co che inibisce l’ovulazione pur esercitando scarsi effetti sui livelli di estrogeni sierici. Attualmente è approvato in regime pre-operatorio negli stati europei dati i suoi effetti positivi nel controllo della metror-ragia (effetto ottenuto in tempi più brevi rispetto all’impiego degli agonisti delle GnRH) e sul volume del leiomioma (se pur di minore entità rispetto ai primi). (6)

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2) MIFEPRISTONE, un altro modulatore recettoriale che ha mostrato efficacia comparabile agli agonisti delle GnRH anche quando impie-gato a basse dosi. La recidiva dei sintomi dopo interruzione del trat-tamento compare in tempi piuttosto lunghi quindi con un impatto si-gnificativo sulla qualità della vita delle pazienti. Tuttavia, come l’uli-pristal, non è un farmaco approvato dalla FDA per la gestione del leiomioma per mancanza di disponibilità di preparazioni adeguate (6).

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Gli studi di anatomia patologica hanno identificato uno specifico pat-tern di modificazioni a carico dell’endometrio che si instaura con l’uso dei PRMs, si tratterebbe di una dilatazione a carico delle ghiandole endometriali che non ha niente a che vedere con l’iperplasia endome-triale dalla quale derivano i potenziale carcinomi endometriali di tipo 1. La dilatazione ghiandolare produce comunque un ispessimento

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del-l’endometrio identificabile all’esame ecografico che dovrebbe quindi essere posta in diagnosi differenziale con l’iperplasia. Questo è un ef-fetto da tener presente e di cui la paziente deve essere informata ogni qual volta vi siano impieghi di PRMs per periodi superiori ai tre mesi. In rari casi si assiste anche ad una ricomparsa del sanguinamento do-vuto all’ispessimento farmaco indotto, specie qualora il trattamento duri più di 4 mesi (6).

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In una review pubblicata a Marzo 2016 sono riportati i risultati deriva-ti da una ampia metanalisi che ha raccolto daderiva-ti noderiva-ti in letteratura rica-vati da studi condotti sia in vivo che in vitro riguardo tutti i possibili approcci medici alla patologia fibromatosa dell’utero sia che avessero scopi preventivi, di gestione della malattia asintomatica o di gestione della malattia sintomatica (5).

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Da questo studio è emerso che:

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sostanze come vitamina D, curcuma, estratti di tè verde sono natu-rali supplementi che potrebbero avere un ruolo nella prevenzione ancora, comunque, da sottoporre ad ulteriori studi (5);

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per l’eventuale prevenzione, indicata in casi limitati, l’impiego di medrossiprogesterone (DMPA) e delle terapie contraccettive com-binate (COCs) sono valide alternative per le donne che desiderino condurre anche una terapia contraccettiva. Il DMPA ridurrebbe l’incidenza del leiomioma uterino del 50%, i COCs potrebbero

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ave-studi, i dati preliminari ci dicono che potrebbero produrre una ridu-zione del rischio fino al 57% (5);

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per i leiomiomi asintomatici gli inibitori dell’aromatasi (AI) sono capaci di provocare la riduzione del volume del leiomioma e gli ef-fetti avversi sono scarsi se i trattamenti vengono condotti per tre mesi. Sono stati valutati anche i possibili effetti di preparazioni a base di erbe Cinesi la cui efficacia però deve essere ulteriormente indagata (5);

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per i leiomiomi sintomatici sono stati raggiunti risultati soddisfacen-ti con l’impiego di modulatori seletsoddisfacen-tivi del recettore progessoddisfacen-tinico (SPRMs) capaci di indurre amenorrea e riduzione delle dimensioni del leiomioma fino al 57%. Infine per la gestione pre-operatoria l’impiego di GnRh agonisti è approvato dalla FDA anche se l’uso può essere limitato dagli effetti avversi e i costi elevati, per questo il limite massimo di impiego temporale è di sei mesi. L’ampliamento dei tempi di terapia rappresenta un uso off-label che può essere co-munque proposto alle pazienti che abbiano avuto un buon tasso di risposta. Oggi comunque i GnRh antagonisti rappresentano una va-lida alternativa dagli effetti terapeutici comparabili ma più imme-diati (5).

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9.2 CHIRURGIA

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L’isterectomia, ovvero l’asportazione dell’utero, è tra gli interventi più praticati in ambito ginecologico. Le principali indicazioni per patolo-gia benigna sono:

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fibromatosi uterina

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adenomiosi

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endometriosi

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masse ovariche benigne

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- prolasso genitale (7).

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Le indicazioni all’isterectomia in caso di fibromatosi uterina sono:

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- Menometrorragie recidivanti non responsive ad altri trattamenti;

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- Fallimento di altre linee terapeutiche meno invasive (emboliz-zazione, ablazione endometriale);

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- Anemozzazione e/o sintomatologia da compressione (dolore, idroureteronefrosi) (6).

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Immagine 3: utero fibromatoso

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In prospettiva di un approccio di tipo interventistico, esistono comun-que delle alternative all’intervento radicale qualora sussistessero le indicazioni, tra queste vi sono l’embolizzazione dell’arteria uterina, ablazione endometriale, miomectomia, miolisi.

Non esiste un’unica tecnica chirurgica adatta ad ogni caso di fibroma-tosi uterina a partire dalla via di accesso chirurgico, la cui scelta deve essere compiuta valutando la clinica e le co-morbilità della paziente e discutendo con essa le varie alternative disponibili.

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Le tecniche ad oggi disponibili comprendono:

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- Isterectomia vaginale

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- Isterectomia addominale

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- Isterectomia totalmente laparoscopica (TLH)/ vaginale laparoscopi-camente assistita (LAVH)

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- Isterectomia laparoscopica roboticamente assistita (TRH) (7).

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Inoltre l’intervento può provvedere una rimozione totale o sub-totale, ovvero con conservazione della cervice uterina dell’organo. La rimo-zione parziale dell’utero ha limitati vantaggi rispetto alla isterectomia totale, in particolare non c’è nessuna differenza né sulla funzione ses-suale, né sull’incidenza di stipsi o incontinenza. Se pur risulta un mi-nor tasso di perdite ematiche, il numero di trasfusione è analogo. Ri-sulterebbero diminuiti solo i tempi operatori, in particolare quando l’intervento è eseguito per via laparoscopica. In corso della medesima seduta operatoria sono eventualmente eseguite annessiectomia mono/ bilaterale o salpingectomia mono/bilaterale (7).

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9.3 ANNESSIECTOMIA BILATERALE DURANTE L’ISTEREC-TOMIA

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La principale motivazione per cui viene proposta tale procedura in as-sociazione all’isterectomia è il rischio di sviluppo di carcinoma ovari-co. L’ACOG Practice Bulletin del 2008 raccomanda l’annessiectomia

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bilaterale profilattica associata all’isterectomia in tutte le pazienti in post menopausa (per il rischio aumentato di sviluppo di carcinoma ovarico dopo la menopausa) e nelle pazienti portatrici di mutazione BRCA1, BRCA2 e HNPCC (Sindrome di Lynch), non appena com-pletata l’età del concepimento. (7)

In donne con endometriosi, PID, dolore pelvico cronico e altre co-morbilità ginecologiche si dovrebbe valutare il rischio di una possibile seconda chirurgia sugli annessi coi benefici, soprattutto cardiovascola-ri, che la conservazione ovarica garantisce. Il rischio di una successiva annessiectomia in queste pazienti è stato stimato tra 0,89% e 5,5%. (7).

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9.4 SALPINGECTOMIA PROFILATTICA

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Questo intervento non ha alcun impatto sulla mortalità peri-operatoria a prescindere dalla via chirurgica scelta, al contrario apporterebbe be-nefici nella prevenzione del cancro ovarico che secondo le ultime co-noscenze deriverebbe dall’impianto di cellule provenienti da sedi limi-trofe nel contesto dell’apparato genitale femminile, tra cui l’epitelio cilindrico delle salpingi, e impiantatosi secondariamente nell’ovaio. I dati disponibili riguardo gli interventi eseguiti per via vaginale non sono però sufficienti per trarre le medesime considerazioni suddette (7).

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9.5 ISTERECTOMIA: VIA CHIRURGICA

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Riguardo la scelta della via di esecuzione, la ACOG (America College of Obstetricians and Gynecologists) raccomanda la via vaginale come prima scelta per i suoi ormai documentati vantaggi e relativi minori tassi di complicanze (8). E’ ormai noto che l’intervento eseguito per via vaginale comporti per la paziente una ripresa più rapida delle nor-mali attività, minori tempi di degenza postoperatori, minor incidenza di febbre e infezioni, minori rischi di complicanze a carico delle vie urinarie, mentre in termini più generici si hanno tempi operatori più brevi e costi ridotti. Qualora la via vaginale non sia fattibile a causa delle dimensioni dell’utero (>12 cm o >280 g) o per la presenza di estese aderenze (sindrome aderenziale), o ancora per patologia pelvica associata e vagina angusta, ad oggi viene praticata la via laparoscopica come seconda scelta. Questa tecnica conserva ancora dei vantaggi in termini di complicanze per la paziente ma a fronte di costi maggiori e tempi operatori più lunghi. Tuttavia non tutte le pazienti sono candi-dabili ad un intervento in laparoscopia, le principali controindicazioni sono: la co-morbilità cardio-polmonare che rende impossibile il rag-giungimento di uno stato soddisfacente di pneumoperitoneo, sospetto di malignità, in caso sia prevista la morcellazione dell’utero durante l’intervento (8) (9).

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Anche la vagina angusta rappresenta una controindicazione relativa (in rapporto alle dimensioni uterine) all’isterectomia mininvasiva, ri-chiedendo sempre una minilaparotomia per l’estrazione del

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pezzo.-Possibili alternative alla morcellazione sono la mini-lapartomia e la morcellazione in endobag che comunque è di difficile esecuzione, è infatti necessario che l’operatore sia sufficientemente esperto e co-munque non sono disponibili dati riguardo l’outcome effettivo (10). Alla luce di quanto detto fino ad ora si evince che le dimensioni uteri-ne siano fra i fattori che più limitano la attuabilità dell’operaziouteri-ne per via vaginale, non esiste in realtà un limite preciso di dimensioni che rappresenti un cut-off valido per tutte le pazienti, in genere si pone come limite generico la dimensione di un utero paragonabile a quello di una gravidanza alla sedicesima settimana circa. Tuttavia si ritiene che talvolta la praticabilità dell’intervento sia condizionata dalla forma dell’utero piuttosto che dalla sua grandezza, se le procedure intra-ope-ratorie previste di legatura bilaterale della arteria uterina e l’accesso allo spazio peritoneale sia anteriormente che posteriormente all’utero sono consentiti, allora qualsiasi utero a prescindere dalle dimensioni nette può essere rimosso attraverso la via trans-vaginale (11).

In ultimo per quanto riguarda la via classica laparotomica, sicuramen-te questa comporta il verificarsi di sanguinamenti più abbondanti e frequenti, rischi infettivi più elevati, tempi post-operatori di degenza e di recupero delle normali attività più lunghi ed inoltre costi e tempi operatori più importanti. Tuttavia questa tecnica può ancora rendersi necessaria specie quando sussiste una patologia aderenziale pelvica particolarmente estesa e grave o in base al tipo di comorbilità presente (carcinoma ovarico piuttosto che endometriosi ad esempio) (11). In conclusione quando sia prevista una isterectomia, numerosi sono i fattori di cui si deve tener di conto per scegliere la via di accesso

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chi-rurgico più appropriata per la singola paziente e tra questi figurano sia fattori legati alla paziente sia dipendenti dall’operatore e dalla sua per-sonale esperienza e tipo di formazione.

Tra i fattori legati alla paziente si deve tener di conto in primis delle co-morbilità: un approccio trans-vaginale infatti non permette una completa esplorazione e valutazione dell’intera cavità addominale, in questi casi si preferisce eseguire quanto meno una laparoscopia esplo-rativa e in base all’esito decidere riguardo la via di accesso più indica-ta (11).

Nulliparità, precedente cesareo, obesità non sono ritenute controindi-cazioni alla via trans-vaginale (11).

I fattori dipendenti dall’operatore possono esser migliorati in ottica di aumentare il numero di interventi eseguiti per via trans-vaginale, que-sto può essere fatto fornendo opportune linee guida al personale sani-tario (11).

I risultati derivati dall’impiego della chirurgia per l’utero voluminoso indicano un impatto assai significativo sulla qualità di vita delle pa-zienti in tutti gli ambiti. Nel 96% dei casi le papa-zienti riferiscono la completa risoluzione dei sintomi, chi non ha avuto completo beneficio risultava avere in APR comorbilità psichiatrica a carattere depressivo. L’isterectomia sembra comportare una anticipazione della menopausa anche qualora venissero mantenute le gonadi, tale effetto non è com-pletamente compreso ad oggi, potrebbe però essere correlato ad un’al-terazione del flusso ovarico che deriva dalla manipolazione della va-scolarizzazione uterina durante l’intervento (11).

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10. COMPLICANZE

Le più comuni complicanze associate all’isterectomia sono:

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- Emorragie

- Disturbi vescicali e/o ureterali - Infezioni (11)

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Le tecniche chirurgiche sempre più accurate e sempre meno invasive hanno comportato un notevole decremento del tasso di incidenza delle suddette complicanze, le più comuni rimangono quelle correlate al tratto urinario, specialmente a carico dell’uretere. E’ doveroso sottoli-neare che le alterazioni dell’anatomia e dei rapporti che si vengono a generare in contesto di fibromatosi uterina, rendono il processo di in-dividuazione e isolamento degli ureteri, step chirurgico fondamentale, assai più complesso.

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Immagine 4: anatomia topografica degli organi pelvici. Immagine tratta da Nettar

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11.

CHIRURGIA ROBOTICA: MODALITA’ E VANTAGGI

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La chirurgia robotica nasce con l’intento di fornire prestazioni chirur-giche urgenti a distanza, come tecnica di telemedicina. In particolare fu pensata per essere impiegata in ambito bellico quando non vi fosse sufficiente tempo per portare il paziente presso centri ospedalieri ade-guati.

Successivamente cominciò ad essere impiegata anche negli interventi in elezione e come primo ambito fu applicata in chirurgia urologica: ad oggi la chirurgia robotica trova numerosi ambiti di applicazione tra cui la chirurgia ginecologica.

La chirurgia robotica è stata introdotta nel 2005 dalla Food and Drug Administration con l’approvazione del sistema robotico da Vinci Sy-stem (Intuitive Surgical Inc., Sunnyvale, CA, USA). (12) Il sistema Da Vinci è il sistema attualmente più diffusamente utilizzato, dotato di quattro porte di accesso, una di visualizzazione e tre strumentali, (13).

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Immagine 5: da Vinci xi system

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Le componenti del sistema sono tre:

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- Console chirurgica: da questa postazione il chirurgo ha pieno con-trollo degli strumenti che riproducono in tempo assolutamente reale i movimenti compiuti dall’operatore sul paziente. Dalla postazione il primo operatore ha pieno controllo e consapevolezza della po-sizione della camera e degli strumenti. Il sistema è programmato per entrare in fase di stand-by ogni volta che il chirurgo allontana il capo dal sistema di visualizzazione 3D e si riattiva automaticamente non appena vi si avvicini di nuovo.

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- Carrello con bracci meccanici: questi sono chiamati “endo-wrist” dal momento che sono progettati per riprodurre tutti i gradi di movimento, angolari e lineari, che possiede il polso umano. Ai bracci vengono applicati diverse tipologie di strumenti in base al tipo di intervento. I bracci sono inoltre progettati in modo tale da annullare il tremore fisiologico dell’arto umano garantendo così la massima precisione di lavoro.

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- Torre su cui sono presenti numerosi dispositivi tra cui il sistema di visualizzazione ad alto grado di magnificazione (13).

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I principali vantaggi derivati dalla chirurgia robotica sono:

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- Miglior risultato estetico

- Minore dolore post-operatorio e quindi anche uso di minor quantità di farmaci sedativi del dolore

- Minor tasso di complicanze tra cui le infezioni e laparocele - Più rapida curva di apprendimento rispetto alla laparoscopia

- Minor tempo di degenza post-chirurgico con rapido ritorno alle at-tività di vita quotidiane

- Il chirurgo riceve un’immagine tridimensionale fedele alla realtà anatomica del soggetto, è letteralmente immerso nel campo operato-rio

- Viene annullato automaticamente il tremore fisiologico trasmesso dall’operatore alla strumentazione, cosa che nella laparoscopia è

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accentuata al massimo proprio all’apice degli strumenti (effetto ful-cro).

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Ad oggi la tecnica robotica non rappresenta lo standard terapeutico per l’istere-ctomia principalmente a causa degli elevati costi.

Nel 2015 la Committee Opinion dell’American Congress of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) riconferma ciò che aveva già decretato nel 2009 e cioè che l’approccio vaginale debba preferirsi in caso di isterectomia per patologia benigna, in considerazione dei bassi costi e dei vantaggi ben documentati in ter-mini di outcomes e complicanze.(8) (9) (14).

Quando la via vaginale è controindicata l’ACOG propone come approccio alter-nativo la laparoscopia (8) (9) al fine di evitare la morbilità indotta dalla via lapa-rotomica.(15)

Ma la laparoscopia richiede spesso grande abilità ed esperienza che solo un lun-go training può garantire. In termini clinici, considerando casi di patologia beni-gna complessi come uteri voluminosi, gravi quadri aderenziali e pazienti obese, ciò si traduce in tempi operatori prolungati e, nei casi più complessi, anche in maggiori perdite ematiche intraoperatorie, nonché in una maggior percentuale di conversioni a laparotomia.

Come conseguenza, tale tecnica, in caso di patologie benigne complesse, viene espletata solo nei centri di riferimento dotati di grossi volumi pazienti, mentre negli ospedali minori tali patologie vengono affrontate prevalentemente per via laparotomica.

La diffusione della chirurgia robotica, benché più costosa, in considerazione del-la rapida curva di apprendimento dovuta all’intuitività dei gesti chirurgici,

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po-trebbe però offrire ad un crescente numero di pazienti la via mininvasiva anche per queste patologie complesse.

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12. OUTCOMES CLINICI E CHIRURGICI IN PAZIENTI SOTTOPOSTE AD ISTERECTOMIA ROBOTICA (TRH)

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A fronte di quanto esposto sino ad ora, sono stati raccolti presso l’ AOUP Pisana, previa sottoscrizione di consenso informato per la ge-stione dei dati, gli specifici dati ricavati da cartelle cliniche di pazienti sottoposte ad isterectomia robotica per fibromatosi uterina presso il reparto di Ginecologia e Ostetricia 2: lo scopo è quello di descrivere la tecnica chirurgica dell’isterectomia robotica eseguita nel Centro ope-rativo suddetto e di valutarne la fattibilità e gli outcomes in caso di patologia benigna complessa come gli uteri voluminosi.

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12.1 ISTERECTOMIA ROBOTICA IN FIBROMATOSI UTERINA

12.1.1 Materiale e metodi

Lo scopo dello studio è quello di validare una tecnica di chirurgia ro-botica da impiegare nei casi di patologia ginecologica complessa come la fibromatosi uterina. 102 pazienti con un utero di dimensioni superiori a quelle di un utero gravido alla dodicesima settimana, sono state sottoposte ad isterectomia nel periodo da Giugno 2014 a Dicem-bre 2016 presso il reparto di Ginecologia e Ostertricia 2, ospedale Santa Chiara, Pisa, Italia. Tra queste, 65 pazienti avevano peso uterino superiore a 600 g, tale valore è stato scelto considerando il peso me-diano ottenuto mediante analisi statistica dei dati. Tutte le pazienti avevano una diagnosi clinica, confermata poi con le usuali tecniche di

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imaging, di fibromatosi uterina e hanno ricevuto un trattamento che prevedesse una singola seduta operatoria.

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I criteri di inclusione sono nello studio sono:

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• peso uterino > 600g

• pazienti che necessitassero di una isterectomia totale con salp-ingectomia mono o bilaterale ed eventualmente ovarectomia mono o bilaterale nella stessa seduta

• assenza di necessità di ulteriori procedure concomitanti • valutazione pre-chirurgica negativa per segni di malignità.

Basandosi sull'esperienza maturata dal centro e dai suoi operatori che eseguono tali interventi periodicamente, si è potuto evincere che l’ist-erectomia robotica impiegata per il trattamento di malattie complesse richiede alcune accortezze ulteriori: appropriati strumenti, attento po-sizionamento dei trocar, side-docking-cart ed una tecnica chirurgica standard.

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12.1.2 Strumenti ed attrezzatura

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• Dispositivo anti-scivolamento, utilizzato per evitare lo sposta-mento della paziente quando viene posta in posizione di Tren-delemburg (16) (17) in genere mantenuta per tutta la durata dell'intervento. In particolare in questa sede viene utilizzato il

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Pink Pad , ovvero un sistema dotato di un imbottitura che stia a contatto con la schiena della paziente per tutto il suo decorso dotato di una cinghia che fornisce un ulteriore mezzo di fissità a livello del torace. (18)

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Immagine 6: dispositivo anti-scivolamento paziente “Pink Pad”.

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• Manipolatore uterino, di importanza fondamentale nell’isterec-tomia mininvasiva, permettendo la mobilizzazione uterina sia nei movimenti di lateralità che di anti e retro-versione per facil-itare gli steps chirurgici. Inoltre permette di aumentare la dis-tanza tra l’utero, vescica, gli ureteri ed il retto riducendo il ris-chio di lesioni a queste strutture. In fine lo strumento guida la colpotomia e può essere usato per estrarre il pezzo anatomico attraverso la vagina quando le dimensioni dell'organo lo con-sentano. Nel nostro caso viene routinariamente utilizzato il manipolatore uterino di Hohl, composto da:

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− una coppetta in ceramica (valva circolare) che ospita la cervice uterina a posizionamento avvenuto, esponendo i fornici du-rante la colpotomia e riducendo la fuoriscita di CO2 dall’ad-dome durante tale tempo .

− un attacco a spirale che fissa saldamente il manipolo al canale cervicale, permettendo ampi gradi di mobilizzazione anche in caso di uteri voluminosi.

− Un puntale di dimensioni variabili in base alla lunghezza del cavità uterina che si articola con l’attacco a spirale

− Un’asta del manipolatore che si articola sull’altra estremità della spirale e su cui scorre la coppetta in ceramica.

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Immagine 7: manipolatore uterino di Hohl

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• Ottica 30° up/down , un sistema di visualizzazione che perme-tte di eseguire movimenti angolari fornendo così campi di vi-sualizzazione non altrimenti raggiungibili. Nel caso di utero grosso in particolare i campi chirurgici sono estremamente ristretti ed è quindi essenziale utilizzare un visualizzatore che fornisca un ampio campo di veduta in modo da compiere tutti i passaggi in modo sicuro e in tempi ragionevolmente brevi. In più il sistema Da Vinci permette di ribaltare il visualizzatore (su e giù) amplificando ancora di più il campo di visualiz-zazione sul piano verticale.

• Strumenti “Endo-wrist “ per chirurgia robotica, dotati cioè di ampi gradi di movimento simili a quelli eseguiti dalle artico-lazioni. In particolare per l'intervento sono impiegati un forcipe fenestrato bipolare, forbici curve monopolari, porta aghi.

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Immagine 8: illustrazione funzionamento dello strumento Endo-wrist. Immag-ine tratta da T.T. Higuchi and M.T. Gettmann, capitolo 2.

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• Sistema di aspirazione il quale faciliti la rimozione dei fumi generati durante l'operazione, l’insufflazione e stabilisca un controllo in tempo reale della pressione endoaddominale. In-oltre questo sistema riduce la necessità di pulire periodica-mente il sistema di visualizzazione riducendo così i tempi per le varie procedure.

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• Kit per la morcellazione.

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12.1.3 Preparazione all’intervento

Nel momento in cui il paziente viene posizionato sul letto operatorio dovrebbero essere intraprese alcune manovre anti-scivolamento in modo da non far spostare la paziente quando verrà messa in posizione di Trendelemburg. (16)(18). Prima che qualsiasi procedura anestesio-logica sia effettuata, la paziente viene messa in posizione litotomica mediante il supporto di staffe di Allen (Allen medical System, acton, MA), dopo di che ci si deve accertare insieme ad essa che non vi siano punti in cui si avverta dolore o senso di trazione.

A seguito della procedura di intubazione anestesiologica endotrachea-le, le braccia vengono fissate ai lati del dispositivo Pink-Pad.

Sotto effetto dell’anestesia viene eseguita una prima valutazione me-diante visita ginecologica bi-manuale ponendo particolare attenzione alla forma e alla mobilità dell’utero e alla posizione del fondo uterino rispetto all'ombelico: questa fase permette di pianificare un posizio-namento degli accessi chirurgici sicuro e funzionale e di scegliere il manipolatore uterino con la coppa che meglio si adatta alle dimensioni

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della cervice, ne sono disponibili tre grandezze. L'addome della pa-ziente viene successivamente preparato secondo le usuali procedure di sterilizzazione del campo operatorio. La vescica deve essere svuotata per mezzo del catetere di Foley, lo stomaco a sua volta viene evacuato mediante un sondino oro o naso-gastrico. Non è prevista alcuna pro-cedura di purga come preparazione all'intervento.

Il manipolatore uterino viene a questo punto posizionato con attenzio-ne previa misurazioattenzio-ne della distanza fondo-cervice. Dopo avvitamento nel canale della spirale si posiziona la coppetta che scorrerà sull’asta del manipolatore adattandosi alle dimensioni del collo uterino.

Una profilassi antibiotica viene somministrata 60’ prima dell’interven-to usualmente a base di cefazolina 2g ev.

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12.1.4 Posizionamento degli accessi chirurgici

La prima procedura da eseguire è l'induzione dello stato di pneumope-ritoneo la quale viene eseguita mediante l'utilizzo di ago di Verres. Questo viene applicato là dove verrà successivamente posizionata l'ottica, poco distante dalla cicatrice ombelicale, in seguito si posizio-neranno gli altri trocar per mezzo dei quali verranno inseriti i restanti strumenti, il posizionamento non prevede utilizzo di lame se non per una piccola incisione della cute nei punti di repere.

La pressione endoaddominale viene mantenuta a valori di 15 mmHg fino al termine del posizionamento di tutte le porte di accesso alla ca-vità addominale, una volta terminata questa fase la pressione viene portata al valore di 10 mmHg e mantenuta per tutto l'intervento secodo

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quanto riportato dalle linee guida della EAES (European Association for Endoscopic Surgery) (19).

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Gli accessi previsti sono:

- un trocar di 8 o 12 mm di diametro ( in base al tipo di sistema robo-tica utilizzato) a circa 2 cm dalla linea mediana su l’ emilato destro in modo da non coinvolgere il legamento falciforme del fegato e a circa 3-5 cm al di sopra dell’ombelico a seconda di dove si trova il fondo uterino. Si tratta dell'accesso utilizzato per l’ ottica;

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2 trocar rispettivamente di 8 mm posti bilateralmente distanti ca. 10 cm l’uno dall’altro;

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un trocar accessorio di 11 mm (SurgiQuest, Milford, CT, USA) nel quadrante superiore sinistro nel punto di Palmer per assicurare uno pneumoperitoneo stabile e una costante rimozione dei fumi generati dagli strumenti.

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Immagine 9: sedi di posizionamento dei trocars per intervento di isterectomia “robotic assisted”.

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Nel caso in cui la paziente avesse in anamnesi un precedente interven-to di chirurgia addominale e vi fossero evidenze di aderenze periom-belicali, lo pneumoperitoneo e la prima porta di accesso vengono po-sizionate nel punto di Palmer che è normalmente privo di esiti fibrotici in modo da ridurre il rischio di generare danni al grande intestino. Il punto di Palmer è posto circa due dita al disotto dell’arcata costale sinistra lungo la linea mediana.

A questo punto la cavità addominale viene attentamente esplorata per andare a confermare la praticabilità dell’operazione e per escludere ogni eventuale lesione provocata durante la procedura di accesso peri-toneale. Terminata questa operazione la paziente può essere messa nella posizione di Trendelemburg.

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Immagine 10: posizione Litotomica con inclinamento del lettino secondo posi-zione di Trendelemburg. Immagine tratta da “Atlante della chirurgia pelvica”

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