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Rapporto tra Moral Disengagement e tratti di personalità Callous-Unemotional in adolescenti con disturbo da comportamento dirompente: implicazioni per il trattamento

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA


Dipartimento di patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute

Tesi di Laurea

Rapporto tra Moral Disengagement e tratti di personalità

Callous - Unemotional in adolescenti con disturbo da

comportamento dirompente: implicazioni per il trattamento

Relatore:
 Candidato:

Dott. Pietro Muratori Dott.ssa Sara Picchi

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INDICE

ABSTRACT ... 5

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO 1 DISTURBI COMPORTAMENTO DIROMPENTE, DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI E DELLA CONDOTTA ... 8

1.1 Disturbo Oppositivo Provocatorio ... 8

1.2 Disturbo della Condotta ... 10

1.3 Altri disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta ... 12

1.4 Fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta ... 13

CAPITOLO 2 TRATTI DI PERSONALITÁ CALLOUS-UNEMOTIONAL ... 16

2.1 Tratti Callous-Unemotional: descrizione ... 16

2.2 Tratti Callous-Unemotional: fattori di rischio ... 16

2.3 Tratti Callous-Unemotional: trattamento ... 20

2.4 Tratti di personalità Callous-Unemotional e morale ... 26

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CAPITOLO 3 LO STUDIO SPERIMENTALE ... 33 3.1 Lo studio ... 33 3.1.1 Metodo ... 34 3.1.1.1 Partecipanti e procedure ... 34 3.1.1.2 Strumenti di misura ... 36

3.1.1.3 Analisi dei dati ... 37

3.1.2 Risultati ... 38

3.1.3 Discussione ... 39

3.2 Implicazioni per il trattamento ... 40

APPENDICE A ... 51

BIBLIOGRAFIA ... 59

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ABSTRACT

I disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta sono i motivi che più frequentemente portano bambini e adolescenti a rivolgersi ai servizi ambulatoriali Italiani di salute mentale. Tali disturbi comprendono condizioni che comportano problemi di autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti, manifestandosi attraverso condotte che violano i diritti degli altri e/o mettono l’individuo in contrasto significativo con le norme sociali o le figure che rappresentano l’autorità. L’espressione meno favorevole, a livello prognostico, di questi comportamenti in età evolutiva si ha quando i giovani manifestano tratti di personalità Callous-Unemotional (CU). A questi tratti si vanno a collegare specifici deficit morali, sia riguardanti la componente affettiva che quella cognitiva della moralità. Il Moral Disengagement fa riferimento appunto a quest’ultima componente e ai processi di tipo cognitivo. Da ciò, arriviamo dunque ad ipotizzare l’esistenza di un legame, nel corso dello sviluppo, tra tratti CU e il MD in bambini e adolescenti con disturbi da comportamento dirompente. La relazione tra queste due dimensioni è stata indagata nello studio sperimentale riportato nel presente elaborato, condotto su un campione clinico di adolescenti (N=90) con diagnosi di disturbo da comportamento dirompente. Le analisi statistiche condotte hanno supportato una soluzione a tre cluster, dimostrando che il Cluster A, corrispondete al 29% del campione totale, si compone di adolescenti caratterizzati da livelli molto elevati di MD e livelli elevati di CU, i quali presentano anche elevati livelli di comportamento esternalizzante, rappresentando così il profilo più compromesso. Nonostante alcuni limiti, il presente studio risulta essere un valido punto da cui partire per costruire degli interventi su misura che inducano una diminuzione del MD e del conseguente peso dei tratti CU sulla prognosi negativa. I trattamenti psicoterapici scelti per raggiungere questo scopo sono la ristrutturazione cognitiva e un conseguente lavoro sui meccanismi di disimpegno morale, un intervento per aumentare la forza di volontà e la pratica del Tai Chi Chuan. Queste terapie possono essere condotte sia in setting individuale, che di gruppo ed è importante che siano inseriti all’interno di un approccio multidimensionale e multi-sistemico, in cui si vada a lavorare non solo sul giovane paziente, ma anche sui genitori, sul contesto familiare e, quando necessario, anche sulla scuola.

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INTRODUZIONE

I disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta in età evolutiva sono un fenomeno molto frequente (Frigerio et al., 2010; Steiner e Remsing, 2007). Tali disturbi vanno a formare un gruppo di bambini e adolescenti estremamente eterogeneo. Infatti, negli ultimi anni, gli specialisti del settore hanno individuato un particolare sottotipo di minori con disturbo della condotta, i quali presentano tratti di personalità Callous-Unemotional (CU). Questi bambini mostrano caratteristiche peculiari, come scarsa empatia e scarso interesse per le emozioni altrui, un’apparente freddezza emotiva rivolta agli altri o alle proprie attività, atteggiamenti manipolatori, mancanza di colpa o rimorso, superficialità e anaffettività (Frick e White, 2008; Frick, 2012; Muratori e Lambruschi, 2013). A questi tratti, così come ai problemi esternalizzanti, si vanno inoltre a collegare specifici deficit morali, sia riguardanti la componente affettiva che quella cognitiva della moralità (Fragkaki, Cima e Meesters, 2016). Il Moral Disengagement fa riferimento appunto a quest’ultima componente e a quei processi di tipo cognitivo attraverso i quali il paziente tende a spiegare e “normalizzare” il proprio comportamento aggressivo e le conseguenze negative di esso in una luce moralmente e socialmente accettabile (Bandura, 1991). Si pensa dunque che queste due dimensioni, MD e tratti CU, nei bambini e adolescenti con disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta, siano associate nel corso dello sviluppo e che, combinandosi tra loro possano aggravare la prognosi, in particolar modo quando entrambe le caratteristiche si manifestano con severità e livelli molto alti (Shulman et al., 2011; DeLisi et al., 2014; Gini et al., 2014; Muratori et al., 2016; Pardini et al., 2007; Hyde et al. 2010; Paciello, Fida, Tramontano, Colli e Cerniglia, 2013; Moll et al., 2007). Partendo da questo presupposto, sembra legittimo domandarsi se i classici programmi di intervento siano efficaci anche per coloro che presentano tratti di personalità CU o MD e, soprattutto, se sia necessario ideare programmi indirizzati a questi ragazzi o almeno implementare quelli già esistenti. Lo scopo del presente elaborato è appunto quello di identificare e delineare una forma di trattamento che determini una diminuzione del MD e del conseguente peso dei tratti CU sulla prognosi. A tal proposito, verranno inizialmente presentati i disturbi del comportamento tipici dell’età evolutiva e successivamente

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l’attenzione verrà spostata sui tratti di personalità CU, loro caratteristiche, cause e implicazioni cliniche; verrà poi analizzata la loro relazione con la morale ed in particolar modo con il Moral Disengagement. Il terzo capitolo sarà dedicato alla descrizione dello studio clinico, a cui io stessa ho partecipato e da cui appunto partiranno le mie inferenze sul trattamento.

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1 DISTURBI DA COMPORTAMENTO DIROMPENTE, DEL

CONTROLLO DEGLI IMPULSI E DELLA CONDOTTA

Nel DSM 5, il disturbo oppositivo provocatorio e della condotta appartengono alla categoria dei Disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta insieme al disturbo esplosivo intermittente, il disturbo antisociale di personalità, la piromania, la cleptomania e ai disturbi del comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta con altra specificazione e senza specificazione (APA, 2013). Tali disturbi risultano essere i motivi che più frequentemente portano bambini e adolescenti a rivolgersi ai servizi ambulatoriali di salute mentale sia in Italia (Frigerio et al., 2006), che in altri paesi (Steiner e Remsing, 2007) e comprendono condizioni che comportano problemi di autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti, manifestandosi attraverso condotte che violano i diritti degli altri e/o mettono l’individuo in contrasto significativo con le norme sociali o le figure che rappresentano l’autorità (APA, 2013). Questi comportamenti possono andare dall’infastidire e discutere continuamente con gli adulti, fino a vere e proprie condotte antisociali, quali furto, vandalismo e reati contro le persone (Muratori et al., 2016). Tali condotte riguardano un ampio spettro di problemi ma, essendo altamente correlate tra loro, pochi soggetti manifestano un solo tipo di comportamento aggressivo senza mostrarne altri (Frick et al., 1993).

1.1 Disturbo oppositivo provocatorio

Il bambino con Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) solitamente presenta livelli alti di rabbia persistente ed evolutivamente inappropriata, uno stato basale caratterizzato da irritabilità e comportamenti provocatori e oppositori spesso acontestuali, senza neppure un manifesto scopo; a ciò conseguono menomazioni dell’adattamento e del funzionamento sociale. Il disturbo oppositivo provocatorio ha esordio intorno ai 6-8 anni (Muratori et al., 2016) e, come riportato nel DSM 5, una prevalenza che oscilla tra 1% e 11%, con una stima media di circa 3,3% (APA, 2013). La prevalenza del disturbo è costante nei vari paesi, indipendentemente dalle diversità

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di razza ed etnia. In età infantile, sembra essere più frequente nei maschi che nelle femmine (1,4:1), anche se questa predominanza maschile non è sempre riscontrata nei campioni di adolescenti e/o di adulti (APA, 2013). La caratteristica essenziale del disturbo oppositivo provocatorio è il suo pattern frequente e persistente di umore collerico/irritabile, di comportamento polemico, provocatorio o vendicativo. Talvolta, gli individui con questo disturbo possono mostrarne le caratteristiche comportamentali senza manifestare problemi di umore negativo. Inoltre, i sintomi del DOP possono essere limitati ad un unico ambiente: la propria casa. Ciò nonostante gli individui con tale problema possono comunque risultare notevolmente compromessi nel loro funzionamento sociale. Il DOP è caratterizzato da una sintomatologia riguardante la componente emozionale che, in età successive, può determinare l’insorgenza di disturbi dell’umore, e da manifestazioni di tipo comportamentale che invece appaiono essere predittori di quadri clinici caratterizzati da violazioni di regole, impulsività, condotte vendicative o comportamenti mirati a nuocere gli altri, ancor più se pari (Stringaris e Goodman, 2009). Molti articoli hanno mostrato come si possano identificare anche forme precoci del DOP, con insorgenza in età prescolare e che, in una percentuale elevata (80%) tendono a mantenersi stabili nei tre anni seguenti la prima diagnosi (Keenan, Danis e Hill, 2010). Questo dato è confermato anche dal Great Smoky Mountain Study (Copeland, Shanaham e Costello, 2009) in cui la diagnosi di DOP, effettuata in età scolare o adolescenziale, risulta essere un fattore predittivo per disturbi affettivi in età adulta. I primi sintomi del DOP appaiono solitamente durante l’età prescolare e raramente oltre la prima adolescenza e le manifestazioni del disturbo appaiono coerenti durante lo sviluppo. Molti dei comportamenti associati al disturbo oppositivo provocatorio sono più frequenti durante il periodo prescolare e nell’adolescenza: è particolarmente importante dunque, durante questi periodi dello sviluppo, valutare la frequenza e l’intensità di tali comportamenti rispetto ai livelli considerati normali, prima di decidere se questi siano sintomi del disturbo oppositivo provocatorio. Spesso il DOP precede lo sviluppo di un disturbo della condotta (DC), ma ciò non accade in tutti i casi. I sintomi di provocatorietà, polemica e vendicatività aumentano il rischio di DC, mentre quelli riguardanti l’umore collerico/irritabile comportano il rischio di disturbi dell’umore (APA, 2013). Un disturbo oppositivo provocatorio che persiste durante lo sviluppo

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può dar vita a problemi come conflitti con genitori, insegnanti, supervisori, coetanei e partner affettivi, i quali potrebbero sfociare in danni significativi non solo nell’adattamento emotivo e sociale, ma anche in quello scolastico e lavorativo dell’individuo (APA, 2013).

1.2 Disturbo della Condotta

Se il disturbo oppositivo provocatorio viene diagnosticato in base alla presenza di una modalità persistente di comportamento ostile e appunto provocatorio, la diagnosi di Disturbo della Condotta (DC) prevede la presenza di un pattern di comportamenti marcatamente dissociali (Muratori et al., 2016). Il disturbo della condotta è infatti un modello di comportamento maladattivo dei bambini, caratterizzato da una serie di disagi antisociali, tra cui aggressività fisica, inganno, violazione dei diritti e di proprietà degli altri (Lahey, Loeber, Frick, Quay e Grimm, 1992). È generalmente considerato un grave disturbo infantile, nonché precursore primario del comportamento antisociale in età adulta (Kazdin, 1987a; Robins, Tipp e Pryzbeck, 1991). La prevalenza di questo disturbo, secondo il DSM 5 (APA, 2013), va dal 2% a oltre il 10% con una media del 4%. Queste percentuali, che sembrano essere abbastanza coerenti tra i vari paesi, aumentano dall’infanzia all’adolescenza e sono più elevate tra i maschi che tra le femmine. Le manifestazioni del disturbo della condotta sono però differenti nei maschi e nelle femmine: mentre i primi tendono a mostrare un’aggressività sia fisica che relazionale, le altre manifestano un’aggressività relazionale maggiore e, con maggiore probabilità, ricorreranno alla menzogna, ad assenze a scuola, a fughe e, nel peggiore dei casi, all’abuso di sostanze e alla prostituzione (APA, 2013). In generale, i soggetti con disturbo della condotta sono accomunati da: comportamento prepotente, minacce, intimidazioni, colluttazioni fisiche, crudeltà con le persone e/o con gli animali, uso di armi, rubare o distruggere proprietà altrui, appiccare il fuoco, trascorre fuori di casa la notte, fuggire di casa, marinare la scuola e mentire per ottenere vantaggi. Sono stati previsti tre sottotipi di disturbo della condotta in base all’età dell’esordio del disturbo. L’esordio viene stimato con maggior accuratezza attraverso informazioni fornite sia dal giovane, sia dal caregiver; le stime sono spesso in ritardo di due anni rispetto all’esordio vero e

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proprio. I sottotipi possono manifestarsi in forma lieve, moderata o grave. Quando non vi sono informazioni sufficienti per determinare l’età di esordio, viene assegnato il sottotipo con esordio non specificato. Nel disturbo con esordio nell’infanzia, gli individui sono di solito maschi. L’esordio del disturbo della condotta può verificarsi anche in età prescolare, ma i primi sintomi significativi emergono solitamente tra la media infanzia e la media adolescenza, probabilmente preceduti da un disturbo oppositivo provocatorio. Rara è l’insorgenza dopo i 16 anni di età. Il decorso del disturbo è variabile: il disturbo con esordio nell’adolescenza e con sintomi scarsi può regredire con l’età, permettendo all’individuo di raggiungere da adulto un adattamento sociale e lavorativo adeguato. Un esordio precoce può invece determinare una prognosi peggiore e predire un maggior rischio di comportamenti criminali e disturbi correlati all’abuso di sostanze. (APA, 2013).Ai fini del nostro studio, risulta poi molto importante prendere in considerazione lo specificatore “con emozioni prosociali limitate” per il DC. Secondo il DSM 5 è possibile assegnare tale specificatore se un individuo ha mostrato in modo persistente e in diversi tipi di relazione e ambienti, almeno due fra le seguenti caratteristiche: mancanza di rimorso o senso di colpa, insensibilità e mancanza di empatia, indifferenza per i risultati e affettività superficiale o anaffettività. Queste caratteristiche fanno parte dei cosiddetti tratti di personalità

Callous-Unemotional (CU).

La distinzione tra il disturbo oppositivo provocatorio e della condotta, nella pratica clinica, non è sempre facile: queste due modalità espressive sintomatologiche costituiscono spesso un continuum evolutivo e condividono fattori di rischio sia individuali, che familiari. Si tratta comunque di disturbi relativamente stabili, che comportano un significativo peggioramento del funzionamento del minore in diversi ambiti di vita: scolastico (scarso rendimento, deficit attentivo, fallimento scolastico, espulsione), familiare (conflittualità verbale, aggressività fisica, fughe) e sociale (emarginazione, ingresso in gruppi dissociali) (Loeber, Burke, Lahey, Winters e Zera, 2000; APA, 2004). I bambini che presentano tali difficolta sono a rischio per lo sviluppo futuro di abuso di sostanze, difficolta occupazionali, problemi familiari e di coppia e comportamenti violenti che potrebbero spaziare dall’aggressività verbale fino a veri e propri reati contro cose o persone (Muratori et al., 2016).

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1.3 Altri disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta

Nel DSM 5, nella categoria diagnostica dei Disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta, oltre ai disturbi oppositivo provocatorio e della condotta precedentemente descritti in maniera approfondita, troviamo anche i seguenti disturbi:

- Disturbo esplosivo intermittente

Il disturbo esplosivo intermittente è caratterizzato dall’incapacità dell’individuo di controllare il comportamento aggressivo e impulsivo in risposta a qualcosa che viene vissuto soggettivamente come una provocazione, ma che normalmente non scatenerebbe un’esplosione di aggressività. Le esplosioni di aggressività non sono premeditate e strumentali, ma impulsive (e/o generate dalla rabbia). Si scatenano rapidamente e sono prive di prodromi. Tali esplosioni hanno una durata inferiore ai 30 minuti e si verificano in risposta a una provocazione di scarsa entità da parte di un familiare, o un amico (APA, 2013).

- Disturbo antisociale di personalità

Il disturbo antisociale di personalità è presente sia in questa categoria diagnostica, che nella categoria dei disturbi di personalità. Tale disturbo di personalità si caratterizza di un pattern comportamentale che tende a violare i diritti degli altri e le regole sociali principali. Gli individui con questo disturbo manifestano generalmente un comportamento caotico e scarsamente in sintonia con le richieste della società, dimostrandosi spesso disonesti e manipolativi, impulsivi e indifferenti, aggressivi ed irritabili. Essi non provano senso di colpa ed empatia, pertanto non riescono a mettersi nei panni di un altro, verso il quale sanno essere cinici e sprezzanti. I pazienti con questa problematica sono inoltre soliti mettere in pericolo la propria incolumità. La prognosi del disturbo antisociale di personalità è spesso infausta, poiché assente è la consapevolezza di malattia e nulle sono le possibilità di trattamento farmacologico e/o psicoterapeutico, considerando che gli individui non ne riconoscono la necessità (APA, 2013).

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- Piromania e Cleptomania

La piromania e la cleptomania sono diagnosi, utilizzate meno comunemente, caratterizzate da scarso controllo degli impulsi relativi a specifici comportamenti (dar fuoco o rubare) messi in atto per alleviare la tensione interiore (APA, 2013).

- Disturbo del comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta con altra specificazione e senza specificazione

Queste sono due categorie diagnostiche applicabili alle condizioni in cui i sintomi di un disturbo della condotta, di un disturbo oppositivo provocatorio o di un altro dei disturbi del comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta sono presenti, ma il numero dei sintomi non raggiunge la soglia diagnostica per uno qualsiasi dei disturbi sopra citati, nonostante venga comunque riscontrata una compromissione clinicamente significativa (APA, 2013).

Per i criteri diagnostici dei “Disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta” tratti dal DSM 5 si rimanda all’APPENDICE A.

1.4 Fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta

In letteratura sono presenti numerose ipotesi eziopatogenetiche per lo sviluppo dei disturbi da comportamento dirompente (Krol, Norton e De Bruyn, 2004), ma - come ormai è ben noto - la psicopatologia dello sviluppo (Cicchetti e Cohen, 2006; DeKlyen e Greenberg, 2008) pone l’accento sul concetto di multifattorialità nella determinazione di qualsivoglia problematica. In età evolutiva, sia lo sviluppo normale che quello patologico si costruiscono a partire dall’intreccio e dall’equilibrio tra fattori predisponenti e fattori protettivi di vario tipo e appartenenti ad ambiti diversi (Lambruschi e Muratori, 2013). Ciò vale ovviamente anche per i disturbi da comportamento dirompente e tra i numerosi fattori rischio troviamo innanzitutto

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particolari profili neurobiologici (Viding e McCrory, 2011), complicanze neonatali e ovviamente fattori genetici. Tra questi ultimi troviamo, ad esempio, particolari mutazioni dei geni 5-HTTLPR (geni che determinano una ridotta attività dell’amigdala) (Sadeh et al., 2010), di quelli adibiti al controllo della produzione della MAO-A (Caspi et al., 2002) e anomalie relative al pool di geni che regola il controllo dell’ossitocina (COMT, Beitchman et al., 2012). Concorrono nella costituzione della base neurobiologica delle differenze individuali, degli stili di risposta alle difficoltà della vita e dei tratti di personalità dell’individuo anche il temperamento (Muratori e Lambruschi, 2013), i deficit dei meccanismi di regolazione emotiva e del controllo inibitorio e i pattern d’attaccamento (Dodge e Pettit, 2003; Frick e Morris, 2004). In particolar modo l’attaccamento disorganizzato (in età prescolare), il quale correla significativamente con alti livelli di ostilità e di aggressività (Lyons-Ruth, Zoll, Connel, e Grunebaum, 1989; Shaw, Vondra, Hommerding, Keenan e Dunn, 1994; Shaw, Gilliom e Giovannelli, 2000) ed ha un ruolo molto importante nel dare inizio al ciclo coercitivo in cui l’assertività genitoriale scatena l’oppositività dei bambini (Muratori et al., 2010). In ogni caso, la presenza di un pattern di attaccamento sicuro o insicuro non garantisce l’assenza dei disturbi del comportamento (Kochanska, Philibert e Barry, 2009). Tra i fattori predisponenti l’insorgenza di disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta troviamo inoltre altre variabili connesse al contesto familiare, come: un clima domestico conflittuale, genitori incapaci di utilizzare strategie educative adeguate (Bowlby, 1988; Anderson et al., 2003; Emiliani, Melotti e Palareti, 1998), interazioni coercitive caratterizzate da un atteggiamento punitivo e rigido, mancanza di coinvolgimento affettivo, padri con tratti di personalità antisociale e madri con sintomi depressivi (Pfinner, Mc Burnett, Rathouz e Judice, 2005). Alti tassi di conflittualità di coppia possono influenzare lo sviluppo di comportamenti aggressivi nei figli, poiché un genitore aggressivo verso il/la partner offre un modello di risoluzione delle problematiche interpersonali attraverso la violenza e da tale modello il figlio può apprendere. Inoltre, un genitore di questa tipologia è anche maggiormente portato ad usare un atteggiamento educativo punitivo e rigido, che spesso assume le caratteristiche di abuso fisico e che, come dimostrato da alcuni studi, risulta strettamente correlato all’insorgenza dei disturbi da comportamento dirompente con

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marcata componente aggressiva (Vitiello e Stoff 1997). Un atteggiamento inconsistente, incoerente e trascurante correla maggiormente ai disturbi da comportamento dirompente con una componente prevalentemente delinquenziale (Loeber et al., 2000). Queste difficoltà “affettive” possono essere inoltre aggravate dalle difficoltà economiche e da uno status sociale basso (Reyno e McGrath, 2006). Nello studio dei fattori di rischio per lo sviluppo delle problematiche comportamentali nei bambini e negli adolescenti, sono stati esaminati, quindi, una varietà di fattori sia contestuali che personali che possono associarsi con la condotta aggressiva (Krol et al., 2004; Matthys e Lochman, 2010). Sono però pochi gli studi che finora si sono impegnati ad analizzare un particolare tipo di fattori di rischio personale, nonché i processi cognitivi-morali. Tali processi corrispondono a meccanismi psicologici, tramite i quali le esperienze di vita sono immagazzinate e rappresentate internamente per guidare il nostro stesso comportamento (Dodge e Godwin, 2013). Per Arsenio, Adams e Gold (2009) le cognizioni morali potrebbero essere correlate a gravi problematiche comportamentali, condotte aggressive e inosservanza delle regole e, non a caso, il cambiamento nelle cognizioni morali risulta focus principale di quei programmi di trattamento volti alla riduzione del comportamento delinquenziale e aggressivo nei giovani (Kim e Jurg Gerber, 2012). In linea con queste ricerche, possiamo credere che l’atteggiamento mentale teso a promuovere comportamenti aggressivi e di violazione di regole, possa identificarsi nel cosiddetto Moral Disengagement (MD) e che tali condotte possano essere regolate e mantenute da particolari processi cognitivi: i meccanismi di disimpegno morale (Bandura, 1991; Patrick e Gibbs, 2011). In fine, possiamo anche prendere in considerazione un ulteriore fattore che va a rendere maggiormente negativa la prognosi dei disturbi della condotta: la presenza di tratti di personalità Callous-Unemotional, di cui successivamente descriveremo le caratteristiche, i fattori di rischio e di cui andremo ad analizzare la relazione con il MD.

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2 TRATTI DI PERSONALITÁ CALLOUS-UNEMOTIONAL

2.1 Tratti Callous-Unemotional: descrizione

L’espressione meno favorevole, a livello prognostico, dei comportamenti delinquenziali e aggressivi in età evolutiva si ha quando i giovani manifestano tratti di personalità Callous-Unemotional (CU) (Muratori e Lambruschi, 2013): il 4% degli individui con disturbo della condotta mostra questi tratti di personalità, determinando appunto una prognosi negativa anche causata dalla scarsa risposta ai trattamenti (Frick, 2012). I tratti CU sono un gruppo di caratteristiche affettive e interpersonali; rappresentano una dimensione della psicopatia nell’adulto, ma - nonostante vadano a manifestarsi con modalità diverse - sono individuabili anche in età infantile e adolescenza (Frick e White, 2008). I bambini con disturbo della condotta o disturbo oppositivo provocatorio e tratti di personalità Callous-Unemotional mostrano in generale scarsa empatia e scarso interesse per le emozioni altrui, un’apparente freddezza emotiva rivolta agli altri o alle proprie attività, atteggiamenti manipolatori, mancanza di colpa o rimorso, superficialità e anaffettività (Muratori e Lambruschi, 2013).

2.2 Tratti Callous-Unemotional: fattori di rischio

Dal punto di vista eziopatogenetico, numerose sono le teorie che spiegano lo sviluppo di questo tratto di personalità in età evolutiva. Alcuni studi condotti sui gemelli, ad esempio, mostrano come alla base dell’insorgenza dei tratti CU vi sia una significativa ereditarietà, la quale arriva addirittura ad incidere fino al 78% (Viding, Frick e Plomin, 2007).

I tratti di personalità CU sembrano essere generati e mantenuti da diversi fattori genetici, talvolta sovrapponibili a quelli che influenzano anche i disturbi del comportamento dirompente. Gli studi di genetica molecolare di Pellegrini e Pietrini (2010) ipotizzano la presenza di una correlazione positiva fra tratti CU e alcune modificazioni genetiche delle mono-ammino-ossidasi-A (MAO-A), delle catecol-O-metiltransferasi (COMT) e del trasportatore della serotonina (5HTT), dimostrando

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inoltre che nei soggetti portatori del gene a bassa attività per la codifica delle monoammino-ossidasi-A si ha una maggiore sensibilità alle esperienze sociali ed emotive negative e aggressività aumentata in risposta alle provocazioni. Così come gli individui con l’allele short per la codifica del trasportatore della serotonina, i quali risultano essere più predisposti a mettere in atto comportamenti impulsivi e violenti. Per quanto riguarda i tratti CU nello specifico, alcuni studiosi hanno evidenziato il ruolo svolto dall’allele lungo del gene per la codifica del trasportatore della serotonina (Sadeh et al., 2010), il quale si associa ad una bassa attivazione dell’amigdala (Munafo, Brown e Hariri, 2008). Ciò però rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di caratteristiche Callous-Unemotional perlopiù in individui con basso status socio-economico, cresciuti in ambienti svantaggiati.

Kahn, Frick e Findling (2012) invitano comunque i clinici alla cautela prima di formulare la diagnosi di tratti di personalità CU in età evolutiva: l’ancora scarsa affidabilità degli strumenti determina un rischio di falsi positivi molto alto. Inoltre, il tratto di personalità non è sempre stabile nel tempo e la sua presenza in uno specifico momento della vita del giovane può essere anche determinata da specifici eventi ambientali in atto. Kumsta, Sonuga-Barke e Rutter (2012) evidenziano come questi tratti di personalità siano correlati ad esperienze di privazione intense e precoci, mentre Fontaine, Moffit e Viding (2011) legano i tratti CU ad un forte caos nell’ambiente familiare in età prescolare, determinata dal cambiamento continuo delle figure di riferimento, oppure dalla caoticità nel contesto abitativo. In tutto ciò, l’influenza del parenting sembra essere poco rilevante (Viding, Jones e Frick, 2008). La presenza di tratti di personalità CU (stabili dalla prima infanzia all’adolescenza) sembra essere indipendente dalle caratteristiche dello stile genitoriale, ma al contrario pare che la presenza di questi tratti di personalità del figlio tenda a modificare la responsività genitoriale (Muratori e Lambruschi, 2013). Ovviamente un alto livello di coinvolgimento relazionale tra genitori e figli con tale problematica potrà andare a modulare positivamente gli effetti dei tratti CU sul comportamento del bambino (Pardini, Lochman e Powell, 2007).

Anche il temperamento fearless (caratterizzato da una scarsa sensibilità alla punizione, all’attivazione ansiosa in generale e ai segnali di distress) o low temperamental fear (ipo-attivato) costituiscono basi biologiche in grado di rendere l’individuo

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maggiormente vulnerabile allo sviluppo di tratti di personalità CU e, di conseguenza, di comportamenti delinquenziali e aggressività proattiva. Ciò accade perché i bambini fearless esperiscono bassi livelli di deviation anxiety, la quale sta normalmente alla base dello sviluppo dei meccanismi che hanno la funzione di inibire i cattivi comportamenti, anche in assenza degli agenti punenti: gli individui con temperamento fearless non provano dunque tutte quelle sensazioni spiacevoli che generalmente seguono un comportamento inadeguato o una punizione (Muratori e Lambruschi, 2013).

I giovani con queste caratteristiche temperamentali tendono anche a ricercare la novità intraprendendo spesso attività pericolose, e manifestano una bassa attivazione fisiologica quando si trovano in situazioni non familiari e di fronte a persone sconosciute (Frick, Ray, Thornton e Kahn, 2014).

Di conseguenza, l’individuo con questo profilo temperamentale, per raggiungere un livello di attivazione ottimale, ha bisogno di una maggiore stimolazione effettiva da parte del genitore, il quale però non sempre riesce a garantire. In risposta alla mancata stimolazione affettiva ottimale del genitore, il bambino potrà sviluppare schemi comportamentali poco interattivi, caratterizzati da un basso livello di attivazione emotiva; il bambino mostra un’apparente autosufficienza che però non attrae e motiva il genitore, facendolo a sua volta ritirare dalla relazione. In questo modo, si crea una diade poco propensa all’interazione e quindi, con la comparsa di nuovi compiti evolutivi, il bambino avrà - prima di tutto - difficoltà ad appoggiarsi al genitore per gestire i momenti di tensione emotiva. Anche gli interventi educativi genitoriali si andranno a scontrare con la tendenza temperamentale del bambino, la quale lo farà apparire poco responsivo ai limiti imposti dai genitori. Questi ultimi di conseguenza ricorreranno all’uso di metodi educativi sempre più duri e severi, nella ricerca di un qualche tipo di risposta da parte del figlio. Infine, (in contesti familiari tipici) sembra che l’insensibilità del minore alla punizione porti i genitori ad uno stile educativo incoerente ed aggressivo (Dadds e Salmon, 2003): il comportamento genitoriale è modellato, con il tempo, dalle caratteristiche biologico-temperamentali dei figli (Dazzi e Madeddu, 2009). Ad esempio, in età prescolare, questo profilo temperamentale è correlato a un’educazione rigida e punitiva da parte della madre. Barker e colleghi (2011) sostengono inoltre che tale processo interattivo sia legato alla comparsa di

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diversi comportamenti anche in base al sesso del bambino: nei maschi si nota insensibilità alle punizioni che il genitore spesso utilizza per modellarne il comportamento, mentre nelle femmine avremo comportamenti audaci e privi di inibizione nei confronti delle novità. Invece, in adolescenza, si ha una diminuzione del monitoraggio e dell’interesse del genitore per le attività del figlio, probabilmente provocato da una perdita di motivazione e senso di efficacia (Munoz, Pakalniskiene e Frick, 2011).

Possiamo ipotizzare, in linea di massima, che esistano almeno due differenti traiettorie di sviluppo che portano alla comparsa di comportamenti aggressivi delinquenziali associati ai tratti CU: uno ha alla propria base la componente ereditaria; l’altro presenta anche un apprendimento mediato dal contesto ambientale e familiare. In questo ultimo caso, un bambino apprende in modo implicito che l’aggressività e la sottomissione dell’altro sono i comportamenti più adatti da mettere in atto per raggiungere i propri scopi e per regolare le difficoltà interpersonali.

Un comportamento genitoriale caratterizzato da mancanza di controllo dei genitori verso i figli pedice, secondo lo studio Hawes e colleghi (2011), un incremento dei livelli dei tratti CU nei figli. Mentre alti livelli di coinvolgimento genitoriale e di pratiche genitoriali positive, come l’uso di rinforzi, lodi e manifesto interesse potrebbe determinare un decremento di questi tratti di personalità, prevalentemente nei maschi. Tale teoria è stata, in parte, dimostrata anche da uno studio di Muratori e colleghi (2016) condotto su 126 bambini italiani con diagnosi di disturbo da comportamento dirompente (disturbo oppositivo provocatorio o disturbo della condotta), con lo scopo di esaminare le componenti della genitorialità e quali fossero associate longitudinalmente ai tratti CU. I partecipanti, tutti di 9-10 anni di età all'inizio dello studio, sono stati seguiti fino all'età di 11-12 anni utilizzando sia strumenti di misura rivolti al genitore (Alabama Parenting Questionnaire e Child Behavior Check List), sia scale per i bambini (Inventory of Callous-Unemotional Traits).

In disaccordo con i risultati di Hawes e colleghi (2011) non si è riscontrata alcuna correlazione tra uno stile genitoriale negativo e tratti CU. Al contrario, sono stati notati effetti reciproci tra parenting positivo e CU e, come si è visto precedentemente, livelli più alti di parenting positivo predicono livelli inferiori di tratti CU. La dimensione

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positiva della genitorialità potrebbe essere addirittura necessaria per il trattamento dei bambini con disturbi dirompenti con tratti CU più elevati.

Indipendentemente da tutto ciò, lo sviluppo dei tratti CU pare anche connesso al cosiddetto attaccamento disorganizzato (Bohlin, Eninger, Brocki e Thorell, 2012).

2.3 Tratti Callous-Unemotional: trattamento

Il trattamento dei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta in bambini e adolescenti con tratti di personalità Callous-Unemotional è stato oggetto di numerose speculazioni, anche perché i giovani con tali caratteristiche sembrano essere poco responsivi alle terapie psicosociali (Herpers, Rommelse, Bons, Buitelaar e Scheepers, 2012). Di conseguenza, individuare un trattamento adatto a questi giovani pazienti rappresenta una vera e propria sfida per gli specialisti del settore. Nonostante ciò, la letteratura riferita a questo campo è ancora sorprendentemente limitata e i risultati emersi dagli studi condotti sono spesso contrastanti, poiché essi mutano inevitabilmente in relazione a numerose variabili. Gli elaborati redatti sino ad oggi si concentrano prevalentemente sulla valutazione di programmi di parent training, classici o modificati, i quali però sembrano inefficaci per affrontare i deficit di elaborazione emotiva e di risposta empatica nei bambini con tratti CU. I ricercatori hanno dunque cercato di implementare il programma di intervento per questi tratti di personalità, progettando nuovi trattamenti specificatamente indirizzati a individui con tali caratteristiche.

In generale, sembra però che alcuni interventi applicati sugli individui con disturbi del comportamento portino benefici anche in presenza di tratti CU (Blair, 2013).

Ad esempio, uno studio di Muratori e colleghi ha dimostrato che il Coping Power Program, uno specifico programma di intervento per la gestione della rabbia e dell’aggressività, classicamente utilizzato per la prevenzione e il trattamento dei disturbi del comportamento in età evolutiva, ha un effetto specifico sui tratti di personalità CU, favorendone la regressione. Il Coping Power Program è un intervento multidimensionale di stampo cognitivo-comportamentale e fa riferimento al “Contextual Social-Cognitive Model” di Lochman e Wells (2002). Vengono utilizzate tecniche cognitivo-comportamentali e attività volte al potenziamento di varie abilità,

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anche mediante l’uso del role playing e l’interazione con altri pazienti in un setting di gruppo. Il Coping Power Program prevede una componente per bambini (tra i 7 e i 14 anni) e una per i genitori. La parte dedicata al bambino si svolge attraverso sessioni di gruppo e si concentra su:

- auto regolazione emotiva (aiutare i bambini a riconoscere e modulare la rabbia,

sia mediante discussioni di gruppo che con esercizi strutturati);

- perspective taking (migliorare le abilità di riferire adeguatamente i pensieri e

le intenzioni altrui, e di aumentare le capacità di comprensione degli stati emotivi altrui);

- problem solving (aiutare i bambini a risolvere adeguatamente i loro conflitti

interpersonali attraverso l’allenamento a generare un maggior numero di possibilità di risoluzione del problema, valutarne le conseguenze positive e negative e solo allora decidere quale soluzione intraprendere);

- capacità di resistere alla pressione dei pari e stabilire relazioni positive con i

coetanei.

La componente per i bambini prevede un totale di 32 sessioni a cadenza settimanale della durata di circa 60 minuti, a cui vanno aggiunti circa 20 minuti di free time. Ciascuna sessione prevede il raggiungimento di uno o più obiettivi, i quali possono essere raggiunti in più incontri. Inoltre vengono organizzati dei brevi colloqui individuali con ogni membro del gruppo, per favorire la generalizzazione delle abilità apprese, per permettere di applicare tali abilità ai problemi specifici del singolo bambino e per favorire una migliore alleanza terapeutica.

Essendo il Coping Power Program un modello di trattamento applicabile anche su ragazzi di 13-14 anni di età e quindi già adolescenti, si è cercato di verificare la sua efficacia anche su questa popolazione specifica di pazienti. Se, da un lato, con gli adolescenti sembra essere molto indicato e fruttuoso l’utilizzo del setting di gruppo, dall’altro, il modulo sul riconoscimento delle emozioni e sulle tecniche di autocotrollo risulta spesso quello a cui i ragazzi aderiscono con maggiori difficoltà. Difficoltà causate probabilmente dall’aspetto direttivo insito nelle attività di questo modulo e dal

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fatto che sia il terapeuta ad insegnare queste tecniche. Per facilitare la partecipazione e l’apprendimento delle tecniche di autocontrollo e riconoscimento delle emozioni può essere utile inserire una maggiore competizione tra i pazienti, nelle prove in cui si vanno a sperimentare queste tecniche. La regolazione del comportamento in adolescenti con disturbo da comportamento dirompente può essere migliorata intervenendo prima di tutto sulla modulazione delle reazioni emotive e sul sistema autonomo di regolazione del comportamento mediato dal senso morale. In adolescenza, il livello morale più maturo - denominato “post-convenzionale” nella teoria di Kohlberg (1976) - dovrebbe essere stato già raggiunto e quindi l’individuo dovrebbe già sapere che le leggi morali vanno rispettate, sia per garantire i diritti individuali che i valori universali. Raggiungere tale stadio implica dunque aver acquisito un primitivo sistema di valori e una sorta di coscienza etica, che guidi il comportamento. Nello specifico, il sistema di regolazione morale, attraverso il quale la persona monitora e regola il proprio agire, opera attraverso tre sottofunzioni:

1. Osservazione della condotta; 2. Valutazione della condotta;

3. Autoreazione emotiva (Paciello, Fida, Tramontano, Lupinetti e Caprara, 2008).

L’osservazione si realizza attraverso l’attenzione selettiva nei confronti di alcuni aspetti del comportamento, fornendo le informazioni necessarie per confrontare la condotta con i propri standard interni e valutarla anche in relazione ai diversi contesti. Le autoreazioni emotive rappresentano invece l’esito dei processi valutativi. Percepire discrepanze negative tra criteri interni e la condotta genera sentimenti di colpa, rimorso e disapprovazione; mentre percepire convergenze positive genera sentimenti di soddisfazione, orgoglio e stima di sé (Kochanska, 2002). In quest’ottica, il gruppo terapeutico modula gli standard interni confrontandoli con quelli di altri e le attività previste nel modulo sul perspective taking facilitano l’inserimento dei punti di vista altrui nelle considerazioni sul contesto in cui prende forma comportamento, favorendo l’insorgenza di una forma il senso di colpa altruistico, basato sulla consapevolezza che il comportamento negativo può provocare nell’altro emozioni altrettanto negative.

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Anche il modulo sulla pressione dei pari e le abilità di rifiuto aiuta l’adolescente nella formazione di un sé morale adattato, ma libero da condizionamenti ambientali (Muratori e Lambruschi, 2013). Come accade con i bambini, la parte di trattamento che lavora sul contesto familiare, dovrebbe essere applicata anche ai genitori degli adolescenti.

La componente per il genitore prevede anch’essa delle sessioni svolte in gruppo e si focalizza su: gestione dello stress, relazione con il figlio e regole educative. Tale parte prevede 14 sessioni della durata di 60-90 minuti, le quali sono condotte ogni 2-3 settimane circa e in parallelo con il programma dei bambini. Il parent training si svolge in gruppo, consentendo ai genitori di condividere la propria esperienza con altri per permettere loro di sentirsi meno soli.

È importante porre attenzione anche sugli interventi di parent training in generale, poiché numerosi sono gli studi che dimostrano la loro efficacia sulla riduzione dell’impatto dei tratti CU dato che, come riportato nel paragrafo precedente, il comportamento genitoriale influenza e viene condizionato a sua volta dalla presenza nel giovane di questi specifici tratti di personalità antisociale. Infatti, un comportamento genitoriale caratterizzato da mancanza di controllo verso i figli pedice, secondo lo studio Hawes e colleghi (2011), un incremento dei livelli dei tratti CU nei bambini. Mentre alti livelli di coinvolgimento genitoriale e di parenting positivo, come l’uso di rinforzi, lodi e interesse manifesto, determinano un decremento di questi tratti di personalità, prevalentemente nei maschi (Hawes et al., 2011; Muratori et al., 2016). Tali dati sembrano correlare con il livello di tratti Callous-Unemotional, evidenziando come elevati tratti CU presentino minore responsività al trattamento.

È importante, tuttavia, che uno stile genitoriale positivo non vada ad inficiare su quelle strategie che hanno lo scopo di gestire e limitare i comportamenti negativi, come ad esempio il time out. Utilizzare interventi basati esclusivamente sulla promozione della genitorialità positiva e del calore relazionale rischia addirittura di essere controproducente: i genitori che non sono dotati di strategie valide per definire i limiti del comportamento dei propri figli possono essere a rischio di sviluppare pratiche di genitorialità sempre più negative, le quali a loro volta possono determinare un incremento della gravità dei tratti Callous-Unemotional dei figli.

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Come affermato precedentemente, i risultati non sempre soddisfacenti hanno indotto alcuni studiosi a modificare e/o implementare i trattamenti già esistenti, in modo da adattarli alle caratteristiche uniche degli individui con tratti di personalità CU. Dadds e colleghi (2012) hanno unito l’intervento di parent training “Family Intervention for Child Conduct Problems”, con un training per il riconoscimento delle emozioni: l’ Emotion-Recognition-Training (ERT), dimostrando che l’unione dei due interventi può produrre significativi miglioramenti nelle abilità empatiche e nelle problematiche comportamentali dei bambini e adolescenti con tratti di personalità CU, grazie all’aumento del coinvolgimento emotivo tra genitori e figli (Hawes, Prince e Dadds, 2014).

In questo approccio, la formazione dei genitori mira al consolidamento di strategie di parenting, con lo scopo di ridurre i problemi di condotta infantile di migliorare le relazioni genitore-figlio. L’ERT consiste invece in un programma di Mind Reading (Baron-Cohen, Golan, Wheelwright e Hill, 2004), originariamente creato per educare i bambini con autismo a identificare e interpretare con precisione le diverse espressioni emotive in contesti interpersonali. Utilizzando questo software, costituito da tre componenti principali (Emotion Library, Learning Center e Game Zone), i pazienti possono esplorare centinaia di emozioni, eseguite da persone diverse. Gli studi dimostrano che l’ERT può produrre significativi miglioramenti sull’empatia dei ragazzi con disturbi del comportamento e tratti CU (Dadds, Cauchi, Wimalaweera, Hawes e Brennan, 2012) e la sua associazione con il parent training “Family Intervention for Child Conduct Problems” sembra aumentare il contatto visivo reciproco tra genitori e figli (Hawes et al., 2014), andando a migliorarne la relazione. Si è visto inoltre che il miglioramento dei deficit dei processi di contatto visivo potrebbe aumentare l’efficacia dei programmi di parent training. Ciò risulta possibile grazie a tre meccanismi: primariamente nel breve termine, l’aumento del contatto visivo tra genitore e figlio migliorerebbe la qualità della loro relazione. In secondo luogo, questo porterebbe il bambino a prestare maggiore attenzione agli aspetti emozionali delle istruzioni del genitore, inducendolo ad accettare i limiti imposti. Infine, nel lungo termine, questi cambiamenti indurrebbero delle modificazioni nella produzione di neuropeptidi e nelle connessioni sinaptiche, facilitando la regolarizzazione dei sistemi alterati nei bambini con tratti Callous-Unemotional.

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Sempre il gruppo di ricerca di Hawes e colleghi (2014) ha sviluppato un ulteriore intervento: l’Emotional Engagement (EE). L’EE comprende una serie di interazioni in vivo fra genitore e bambino, le quali hanno lo scopo di accrescere il contatto visivo reciproco. Anche questo trattamento dovrebbe associarsi ad un programma di parent training.

Tra i trattamenti specificatamente indirizzati ad individui con tratti CU troviamo inoltre il modulo CARES (Coaching and Rewarding Emotional Skills): un breve programma di training emozionale progettato per stimolare e migliorare l'empatia nell'elaborazione di emozioni negative e facilitare lo sviluppo emotivo in bambini anche molto piccoli (3.5-8 anni), con livelli non normativi di tratti CU. Il modulo CARES, il quale dovrebbe essere applicato immediatamente dopo la conclusione del parent training, vuole migliorare prima di tutto il riconoscimento, l'etichettatura e la comprensione delle emozioni in riferimento al contesto, insegnando di conseguenza il comportamento prosociale ed empatico (attraverso modellamento, role playing e rinforzo positivo). In secondo luogo, vuole aumentare la tolleranza alla frustrazione del bambino per ridurre così l'incidenza dei comportamenti aggressivi.

Infine, un altro trattamento utilizzato è il Mental Models, i cui obiettivi sono quelli di ridurre i tratti CU, elicitare emozioni positive nei ragazzi e aumentare l’adesione e la partecipazione al trattamento stesso. L’intervento è formato da un totale di 12 sessioni di gruppo e prevede una combinazione di tecniche motivazionali, un training di impronta cognitivo-comportamentale e istruzioni sulle emozioni positive. I ragazzi vengono motivati a partecipare attivamente alle sessioni di modo da poter aumentare le possibilità di ottenere benefici dal trattamento stesso. Sono previsti esercizi per promuovere la proliferazione di emozioni positive e per favorire interazioni positive tra i membri del gruppo, attraverso l’utilizzo di simulazioni mentali. I risultati dello studio hanno dimostrato un aumento delle emozioni positive esperite dai ragazzi con il progredire del trattamento, associate ad un aumento delle speranze per il loro futuro. Questo intervento ha portato, in conclusione, ad un calo delle caratteristiche “psicopatiche” dei ragazzi, i quali si sono dimostrati sempre più consapevoli dei loro problemi, più motivati a partecipare, più tolleranti e rispettosi verso gli altri (Salekin, Tippey e Allen, 2012).

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vari studi hanno dimostrato che persino bambini e adolescenti con tratti di personalità Callous-Unemotional possono trarre benefici da alcuni trattamenti. È comunque necessario proseguire con le ricerche per identificare target specifici e di conseguenza per arrivare a realizzare dei trattamenti capaci di ridurre i gravi deficit di questi giovani pazienti, favorendo la gestione delle emozioni, trovando metodi alternativi per motivare questi individui tendenzialmente poco sensibili alle punizioni e potenziando i comportamenti empatici e prosociali. È indispensabile, quindi, adattare i trattamenti alle caratteristiche degli individui a cui sono rivolti.

2.4 Tratti di personalità Callous-Unemotional e morale

La moralità è una componente centrale del comportamento sociale umano. Dal punto di vista psicologico possiamo descrivere la moralità come una ampia conoscenza che comprende differenti abilità; e possiamo assumere che diversi fattori biologici, individuali e ambientali promuovano il tipico sviluppo morale. Studi precedenti hanno suggerito che la moralità include almeno due importanti componenti: moralità cognitiva, come un individuo pensa riguardo alle regole della condotta etica, e moralità affettiva, come un individuo si sente di fronte ai problemi morali. La moralità cognitiva comprende la capacità di dare giudizi morali, mentre la moralità affettiva descrive le emozioni che possono indirizzare il comportamento dell’individuo senza un ragionevole processo morale, solo basandosi sulle emozioni morali: colpa, vergogna e empatia. Entrambe queste due componenti giocano un ruolo importante nel determinare come un individuo agisca in situazioni morali.

Deficit morali sono stati collegati ai tratti CU e ai problemi esternalizzanti, ma queste associazioni risultano ancora poco chiare per quanto riguarda la condotta antisociale nell'adolescenza. Alcune evidenze, suggeriscono che in maschi giovani i tratti CU e i problemi esternalizzanti sono associati a giudizi morali affettivi, ma non cognitivi. In un lavoro di Fragkaki, Cima e Meesters (2016) si sono studiate queste associazioni su un campione di 277 adolescenti, arrivando a quattro importanti risultati:

1. i tratti CU sono fortemente correlati a deficit di giudizio morale affettivo, ma non cognitivo e quindi, gli adolescenti analizzati mostrano capacità

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nell’identificazione di emozioni morali appropriate negli altri, ma non sperimentano emozioni spiacevoli e negative quando si immaginano a commettere atti antisociali;

2. i problemi di esternalizzazione sono associati a deficit sia nei giudizi morali affettivi e cognitivi, anche se la correlazione con la componente affettiva della morale è notevolmente più forte;

3. forti deficit della moralità affettiva e un rapporto più debole con la moralità cognitiva sono stati trovati negli individui di sesso maschile;

4. i ragazzi con tratti CU hanno mostrato più alti livelli di felicità nella morale affettiva.

Anche se lo sviluppo morale è stato costantemente associato al comportamento antisociale in risposta ai dilemmi morali, la ricerca sulle emozioni morali in risposta agli atti antisociali è ancora limitata. Lo studio di Fagkaki et al. (2016) ha colmato questo divario e ha rivelato che gli adolescenti con elevati tratti CU possono identificare le emozioni morali appropriate negli altri, ma sperimentano emozioni positive, come felicità e eccitazione, e non negative e spiacevoli quando si immaginano a commettere atti antisociali. Al contrario, gli adolescenti con disturbi estrernalizzanti e i ragazzi hanno riportato emozioni “morali” negative e devianti sia negli altri, che in loro stessi. Questa differenza sottolinea la natura distintiva dei tratti CU e la necessità di intervenire maggiormente su misura. Questo studio contribuisce in misura significativa alle nostre conoscenze sui meccanismi e sulle emozioni “morali” sottostati al comportamento antisociale e delinquenziale, con implicazioni cruciali per la teoria, per la pratica clinica, nonché per il sistema della giustizia penale. Nel complesso, la letteratura recente ha suggerito che i bambini più a rischio di perseverare nel comportamento dirompente sono principalmente caratterizzati, a livello individuale, da difficoltà legate sia alla componente affettiva della morale (mancanza di empatia e di colpa), che alla cognizione morale (giudizio morale e responsabilità personale deboli). All'interno di un contesto di psicologia della personalità, mentre il primo si riferisce a processi affettivi che permettono di stabilire rapporti autentici e empatici con gli altri, il secondo fa riferimento a processi cognitivi che permettono di regolare il comportamento morale nelle interazioni sociali. Data la

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rilevanza di entrambi questi processi in relazione al funzionamento e al decision making morale, è indispensabile indagare sulla loro interazione per meglio capire come la struttura della personalità “immorale” possa emergere durante lo sviluppo.

2.5 Tratti di personalità Callous-Unemotional e Moral Disengagement

Esamineremo dunque la relazione fra i tratti Callous-Unemotional (CU) e il Moral Disengagement (MD), dimensioni individuali ben note e legate ai comportamenti aggressivi, rispettivamente associati ai processi affettivi e cognitivi conseguenti al funzionamento morale.

Come abbiamo già precedentemente descritto, i tratti CU determinano mancanza di empatia e di colpa, così come emozioni superficiali (Frick e Marsee, 2006) e probabilmente sono dovuti al temperamento (caratterizzato da mancanza di paura, insensibilità alle punizioni, bassa reattività a segnali di sofferenza in altri) che interferisce con lo sviluppo della coscienza morale (Frick e Viding, 2009). In particolar modo, sono gli adolescenti con diagnosi di disturbo da comportamento dirompete e alti tratti CU ad essere manipolativi e non empatici con le loro vittime, arrivando ad usare la violenza in modo proattivo e strumentale al raggiungimento dei propri obbiettivi e benefici sociali o materiali senza manifestare rimorso alcuno (Frick e Marsee, 2006). A causa di queste caratteristiche, rappresentano il sottogruppo di giovani più fortemente a rischio di sviluppare e mantenere condotte criminali per il resto della vita (Gill e Stickle, 2015).

Con MD si fa rifermento invece a tutti quei meccanismi cognitivi e sociali rivolti a normalizzare e razionalizzare i comportamenti antisociali, nocivi e dannosi che sono messi in atto per raggiungere un obiettivo desiderato. Esso si fonda su processi cognitivi e morali attraverso cui gli individui tendono a spiegarsi il proprio comportamento aggressivo e le sue conseguenze negative, in una luce socialmente e moralmente più favorevole.

Tale costrutto fu introdotto da Bandura (1991) per spiegare i meccanismi sottostanti ai comportamenti aggressivi ed è radicato nella teoria della Moral Agency (1991). Questa teoria afferma che la conoscenza delle regole morali non è una condizione sufficiente per garantire la messa in atto di un comportamento coerente con queste regole. Infatti,

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gli individui possono mettere a tacere il proprio controllo morale, reinterpretando il significato dei comportamenti dannosi, minimizzando la responsabilità personale per gli atti antisociali, ignorando le conseguenze dannose derivanti da comportamenti dannosi e incolpando la vittima. Similmente alle regole morali, anche questi meccanismi possono essere imparati e rinforzati durante lo sviluppo, attraverso l’osservazione dell’interazione sociale altrui e attraverso l'esperienza diretta dell'individuo con l’altro (Muratori et al., 2016). Soprattutto durante l'adolescenza, lo sviluppo del MD pare essere influenzato, dalle interazioni tra le caratteristiche individuali e il contesto sociale nel quale è inserito l'individuo (Fontaine, Fida, Paciello, Tisak e Caprara, 2012; Hyde, Shaw e Moilanen, 2010).

Il MD, come descritto bene da Hymel e colleghi (2010), spesso si concentra su quattro categorie, che sono state teoricamente e empiricamente suddivise in otto meccanismi. Ognuna di queste categorie permette agli individui di comportarsi male, evitando però una normale percezione negativa di sé stessi, sia durante che dopo l'atto. Attraverso questi meccanismi possono essere disattivate le auto-sanzioni ed evitate le reazioni affettive auto-valutative, in modo da potersi impegnare in condotte dannose pur preservando i propri ideali e principi morali (Bandura, 1991).

Gli otto meccanismi attraverso i quali agisce il disimpegno morale sono:

- Giustificazione morale: ha come scopo rendere socialmente accettabile una condotta disumana e spietata. Per farlo e, per mettere di conseguenza in ombra la brutalità del comportamento compiuto, il soggetto fa appello a fini superiori ed opera una ricostruzione cognitiva, raffigurandoselo come se avesse uno scopo morale;

- Etichettatura eufemistica: si descrive una condotta riprovevole, attraverso l’utilizzo di un linguaggio eufemistico, che andando ad attenuare il carico espressivo e producendo una distorsione concettuale, può consentire di ridimensionare la dolorosità delle conseguenze dell’azione compiuta. In tal modo gli individui si disimpegnano dai loro standard morali e si liberano dal senso di colpa, perché i comportamenti ingiuriosi sono resi più innocui e accettabili;

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- Confronto vantaggioso: in tale meccanismo, l’individuo opera mediante paragone e confronto tra la propria condotta negativa e esempi di comportamento peggiori e ancora più immorali, in modo da banalizzarla. Più immorale è il comportamento in contrasto, più è probabile che il comportamento distruttivo in questione sembrerà meno negativo: per contrasto, avremo il ridimensionamento della valenza immorale del proprio comportamento;

- Dislocamento di responsabilità: tale meccanismo porta le persone a vedere le proprie azioni come responsabilità di un terzo esterno, ad esempio di un’autorità. È un modo per distorcere i fatti: non essendo i veri agenti delle proprie azioni, si salvano dall'autocondanna e non si sentono personalmente responsabili per gli effetti causati dalle proprie azioni;

- Diffusione di responsabilità: accade in un gruppo di persone e consiste nel sentire una minore responsabilità, poiché anche gli altri componenti del gruppo sono allo stesso modo responsabili nell'agire. Le azioni collettive forniscono infatti l'anonimato e consentono di conseguenza un indebolimento del controllo morale; - Distorsione delle conseguenze dannose: si vanno a trascurare, o sviare le

conseguenze dannose delle proprie azioni, andando ad ignorare o minimizzare del tutto la serietà di esse. In questo modo si disattiva così l'autocensura. Le persone sono più inclini a minimizzare gli effetti soprattutto quando agiscono da sole; - Attribuzione di colpa: quando l’azione è determinata da una provocazione

precedente, si va a giustificarla prendendosela con gli “avversari”, o con le circostanze. L’altro dunque non è soltanto un avversario, ma è considerato anche colui che ha dato inizio alla violenza e ci si convince che l’offesa arrecata alla vittima sia da lei pienamente meritata. Gli individui cambiano la loro percezione della vittima, assegnando ad essa la colpa per aver provocato l'aggressione o disumanizzandola, in qualche modo. Questo ultimo meccanismo è stato ulteriormente definito come disumanizzazione animalistica, o meccanica;

- Disumanizzazione: tramite questo processo, si vanno a negare umanità, attributi o sentimenti umani a una persona o un particolare gruppo di persone. La vittima non

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è più vista come una persona con sentimenti, speranze e preoccupazioni, ma viene oggettivato come subumano, e paragonata a un oggetto inanimato: ciò frena il nascere e lo svilupparsi del senso interiore d’angoscia di fronte alla sofferenza di essa.

Questi meccanismi possono essere fatti risalire ad una variabile latente comune che rende le persone più o meno inclini ad usarli (Bandura, Barbaranelli, Caprara e Pastorelli, 1996; Bandura, Caprara, Barbaranelli, Pastorelli e Regalia, 2001; Gini, Pozzoli e Hymel, 2014).

La letteratura più recente ha dimostrato il potere predittivo dei meccanismi di MD sul conseguente sviluppo di carriere criminali e dunque si è posta molta attenzione sulla sua associazione a condotte antisociali in adolescenti (Bandura et al., 2001; Cardwell et al., 2015; Fontaine et al., 2012; Gini et al., 2014; Hyde et al., 2010; Menesini et al., 2003; Mulder, Brand, Bullens e Van Marle, 2011; Pelton, Gound, Forehand e Brody, 2004; Shulman, Cauffman, Piquero e Fagan, 2011).

Gran parte della ricerca sul disimpegno morale ha esaminato bambini e adolescenti e ha trovato una relazione positiva significativa tra coloro che esibiscono il MD e hanno comportamenti aggressivi (Gini, Pozzoli e Hymel, 2014). Negli studi che esaminano il bullismo giovanile, il disimpegno morale è emerso come un significativo predittore del comportamento aggressivo (Obermann, 2011). Inoltre, i ricercatori hanno mostrato associazioni tra MD e cyberbullismo, truffe nel campo dei videogiochi e comportamenti avversi in altri ambiti sperimentali (Robson e Witenberg, 2013; Gabbiadini, Riva, Andrighetto, Volpato e Bushman, 2014).

Kiriakidis (2008) ha suggerito che il MD influenza la delinquenza in modo superiore della maggior parte delle caratteristiche sociali, familiari e di stile di vita. Altri ricercatori lo hanno esaminato in campioni di adolescenti e giovani adulti, andando a dimostrare che il MD va a mediare il rapporto con i pari, i comportamenti criminali successivi, la ruminazione ostile e la violenza (Fontaine et al., 2012).

Studi recenti hanno suggerito una possibile relazione tra CU e MD per spiegare un comportamento aggressivo e distruttivo, ma i risultati sono preliminari e non conclusivi. Infatti gli studiosi hanno suggerito diverse ipotesi: il MD può mediare la relazione tra CU e disturbi esternalizzanti (Shulman et al., 2011); il MD può mediare

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questa relazione solo quando i tratti psicopatici sono bassi (DeLisi et al. 2014); il MD può moderare piuttosto che mediare questa relazione (Gini et al. 2014). Secondo uno studio longitudinale condotto da Muratori e colleghi (2016) su un campione di 55 adolescenti con disturbo da comportamento dirompente e distruttivo, MD e CU possono invece influenzarsi reciprocamente nel tempo: più elevati saranno i tratti CU alla base, più gli adolescenti tenderanno ad essere moralmente disimpegnati un anno dopo, e viceversa. Inoltre, alcune differenze nei risultati di questi studi possono essere dovuti alla popolazione specifica esaminata e alle tipologie di comportamento aggressivo e antisociale indagato (Risser e Eckert, 2016).

Ad oggi, la relazione tra CU e MD è ancora controversa, pertanto sarebbe opportuno approfondirla in modo da comprendere come i processi affettivi, radicati in dimensioni temperamentali, e processi cognitivi, appresi durante le interazioni sociali, possano influenzarsi l’un l’altro durante lo sviluppo e contribuire congiuntamente ad aumentare il rischio di una nuova struttura antisociale di personalità. In più, ciò spiegherebbe il modo in cui i processi affettivi e cognitivi catturati da queste due dimensioni operano all'interno del sistema di autoregolazione morale.

L'ipotesi che queste due dimensioni possano essere associate nel corso dello sviluppo risultano essere effettivamente coerenti con le evidenze di studi clinici e di sviluppo che hanno esaminato separatamente CU e MD. Da una parte, i tratti di personalità CU sono associati alla percezione dell'aggressione come un mezzo accettabile per interagire con l'altro e con la minimizzazione delle conseguenze dannose (Pardini et al. 2007). Dall’altra, l'attivazione del MD consente agli individui di agire con comportamenti riprovevoli, evitando il rimorso e il senso di colpa (Bandura, 1991); tale attivazione è promossa da una scarsa empatia per gli altri (Hyde et al. 2010; Paciello, Fida, Tramontano, Colli e Cerniglia, 2013). In più, un potenziale supporto per l'interrelazione tra CU e MD deriva anche dagli studi neuroscientifici e ricerche di neuroimaging (Moll et al., 2007).

In termini di valore aggiunto teorico, l'esame del rapporto tra CU e MD potrebbe essere utile per definire un quadro teorico più ampio, che vada ad analizzare l'interazione tra i processi affettivi e cognitivi per capire come funziona il sistema morale interno di quei giovani con un rischio maggiore di seguire percorsi criminali e lo sviluppo di quei disturbi antisociali, che sarebbero poi difficili da trattare in età adulta.

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3 LO STUDIO SPERIMENTALE

Nel presente capitolo verrà descritto lo studio sperimentale a cui io stessa ho partecipato e all’interno del quale ho avuto la possibilità di assistere alla somministrazione dei questionari, di apprenderne le proprietà, inserirne i dati e di osservare inoltre un gruppo terapeutico basato sul Coping Power Program. Proprio da tale studio deriveranno poi le successive inferenze sul trattamento dei tratti CU e del MD. Infatti i risultati di questo lavoro potrebbero portare ad un miglioramento, prima di tutto, nella classificazione descrittiva del profilo morale degli adolescenti con disturbo da comportamento dirompente, e di conseguenza aiuterebbero anche nella costruzione di interventi rivolti agli specifici Cluster, in modo particolare indirizzati a quello formato da giovani con elevati tratti di personalità Callous-Unemotional e di Moral Disegagement. Il mio scopo sarà dunque quello di identificare una forma di trattamento che determini la diminuzione del MD e, di conseguenza, del peso dei tratti CU sulla prognosi negativa.

3.1 Lo studio

Bambini e adolescenti che mostrano uno sviluppo morale atipico, potrebbero mostrare anche una condotta dannosa e, nel peggiore dei casi, arrivare alla diagnosi di disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta che, come precedentemente affermato, sono seri disordini mentali associati a problemi sociali, emotivi e comportamentali con un grande costo per la comunità (Kolko et al., 2009). Partendo da questa considerazione, nello studio seguente abbiamo osservato se i due fattori di rischio morali possano inficiare sulla gravità dei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta. Per rispondere a questa domanda, abbiamo applicato un approccio personalizzato, orientato alla persona, per disaggregare le varianti dei disturbi da comportamento dirompente, basate sulle configurazioni dei tratti Callous-Unemotional, nonché segnali di rischio per uno sviluppo atipico della moralità affettiva, e del Moral Disengagement, fattore di rischio invece per lo sviluppo atipico della moralità cognitiva.

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