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Struttura e forma delle castella della Valleriana

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Academic year: 2021

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ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE

FIRENZE

2014

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L’UNIVERSO

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Pubblicazione bimestrale registrata presso il Tribu nale di Firenze (n. 32 del 15 luglio 1948). Periodico di proprietà del Ministero della Difesa

Fotolito: Officine IGM - Firenze, chiuso in redazione ed approvato per la stampa il 26 maggio 2014

TUTTI I DIRITTI DI RIPRODUZIONE

RISERVATI ISSN:0042-0409

Rivista insignita di medaglia d’oro dalla Società Geografica Italia na nel 1999 e del

«Premio Giorgio Valussi» dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia nel 2002

Direttore responsabile

Gen. B. Giovanni PETROSINO

Redazione

Funz. Alessandra Cristofari, Anita Panci, Giovanni Casini, Adele Monaco, Maria Letizia Compagnone, Mauro Marrani, Andrea Lucarini, Laura Guidi, Fabrizio Paoletti

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Rilevare e progettare nel contesto storico. Un caso di studio:

la Valleriana e le sue dieci castella A. MERLO, G. LAVORATTI, F. MARI

In questo secondo saggio sono illustrate “struttura e forma delle castella della Valleriana” e vengono definite le cifre ricorrenti negli impianti urbani dei dieci insediamenti.

Qui nacque Giovanni di Boccaccino detto Boccaccio

MARCOCONTI

Questo studio storico-documentario localizza in Firenze il luogo natio di Giovanni Boccaccio, lasciando spazio anche alla

componente umana di uno fra i maggiori narratori italiani e europei del XIV secolo.

Il viaggio in oriente del frate fiorentino Giovanni de’ Marignolli

IRENEMALFATTO

Trattasi del lungo viaggio svolto dall’ultimo dei francescani per recarsi a Pechino pochi anni prima della definitiva caduta dell’impero mongolo, in pieno XIV secolo.

Il complesso gnomonico di Hong Kong SIMONEBARTOLINI

Quattro secoli dopo il viaggio di Matteo Ricci in Cina, un italiano ha realizzato a Hong Kong un insieme di orologi solari e quadranti astronomici.

Anzio

MARIALUISAFELICI

L'antica cittadina di Antium, già descritta da Plinio nella Naturalis Historia, è presentata nelle sue millenarie vicissitudini storico-geografiche. Le divisioni agrarie romane nell’alto Lazio. Le centurie di Vulci

MAURORISTORI

Questa ulteriore ricerca, volta ad individuare quel che resta delle centuriazioni territoriali, si incentra sull’alto Lazio, nell’area compresa fra il litorale tirrenico di Pescia Romana e Montalto di Castro ed il Lago di Bolsena.

L’Universo

Marzo - Aprile 2014 nº 2 ANNO XCIV

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Primo piano

Mostra Una volta nella vita. Tesori dagli archivi e dalle

biblioteche di Firenze, 28 gennaio - 27 aprile 2014, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze,

Alessandra Cristofari

In copertina:

la ‘fontana gnomonica’ del parco di Nan Lian Garden e, nel retro copertina, veduta dall’alto della stessa fontana (fotografie di Simone Bartolini).

Grandi Viaggi

Itinerari di Ludovico de Varthema,

Maurizio Maggini

Notizie

Festival dei bambini, Firenze

dal 4 al 6 aprile 2014, Letizia Compagnone

Mostra fotografica Dalla Terra Alla Luna di Giovanni

Casini, Firenze, 21 novembre - 31 maggio 2014

Libri

M. CASPRINI, I Finestrini del Vino, Firenze, Cooperativa

Italia Nova Greve in Chianti, 2005, Giulia Maria Alagia

A. CURTI, Geografia del calcio, ed. Dedalo, Roma, 2010,

Michele Pavolini

Strumenti

I cannocchiali da ricognizione, a tubo unico, a più tubi e da allineamento dell’IGM,

Emilio Borchi, Renzo Macii

Geofilatelia

Israele, 1986

Esposizione Filatelica Nazionale di Netanya,

Antonio Coppola

ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE FIRENZE 2014 MARZO - APRI LE L’U NIV ER SO 2 AN NO XCI V - N ° 2 € 5,00 L’UNIVERSO

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Prossimamente

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eleventh and twelfth centuries. Their erection, however, was never accidental and the two parameters that had the most influence in this choice are the road system to and from Modena and the political and religious boundaries.

Only in some cases the settlements, as well as serve as a simple military outposts, we-re used as a permanent we-residence for a local lord and their militias. In both situations, the first houses soon amounted around these "poles". There was the need to equip the new villages of a series of urban structures, including a first set of walls in non-perisha-ble material.

From the relation that the topography has with the dynamics within the tissue between residences and special building (fortress/church, town hall/church), construction and routes, and finally, between buildings and defenses/offensive derive urban forms easily recognizable, which still characterize the centers of Valleriana.

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1.

Caratteri strutturali e identitari del paesaggio

3. Tipologie e caratteri dell’architettura

4. Metodi e strumenti per il rilevamento

5. Epigrafi, simboli e segni dei lapicidii

6. Conservazione e valorizzazione

Rilevare e progettare nel contesto storico.

Un caso di studio:

la Valleriana e le sue dieci castella

1

.

Caratteri strutturali e identitari del paesaggio

2

.

Struttura e forma delle castella

Alessandro Merlo - Gaia Lavoratti - Fabrizio Mari

3. Tipologie e caratteri dell’architettura

4. Metodi e strumenti per il rilevamento

5. Epigrafi, simboli e segni dei lapicidii

6. Conservazione e valorizzazione

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Introduzione

Conoscenza, tutela e valorizzazione del paesaggio della Valleriana

Nell’anno accademico 2011/2012 l’allora Facoltà di Architettura di Firenze, oggi DiDA, introdusse all’interno della propria offerta formativa (Delibera del C.d.F. del 16/09/2011) i Seminari Tematici “in sostituzione degli insegnamenti unicamente finalizzati alla libera scel-ta da parte degli studenti”. Fortemente caldeggiascel-ta dal professor Saverio Mecca, l’iniziativa immise di fatto un modello educativo alternativo a quello abituale: studenti e docenti aveva-no la possibilità di cimentarsi assieme su un tema di ricerca comune, acquisendo i primi un metodo di apprendimento ed un approccio alle problematiche della ricerca che difficilmen-te si riescono ad otdifficilmen-tenere nei corsi istituzionali e verificando i secondi la bontà dei lori studi in itinere su di un campione privilegiato, dinamico nel suo essere ed in grado, se ben condot-to, di apportare dati originali alla ricerca stessa.

Quello stesso anno un Seminario Tematico dal titolo “Rilevare e progettare nel contesto storico” è stato da me promosso ed attivato con l’appoggio della prof.ssa Giuseppina Carla Romby e del prof. Riccardo Butini. L’idea era quella di far compiere ad un gruppo limitato di allievi del IV e del V anno un’esperienza sullo stesso tema di ricerca che da anni vede impe-gnato un gruppo di studiosi nell’indagine dei dieci insediamenti altomedievali (le cosiddette castella) presenti nella Valleriana. Per secoli polmone agricolo-pastorale della città di Pescia e dal Cinquecento anche “distretto industriale” serico e cartario, questo territorio ha patito al-l’inizio del Novecento, come molte altre realtà italiane, l’imperioso cambio di rotta imposto nel settore produttivo da un’economia di larga scala, la quale ha sancito il declino non solo di quelle manifatture che non hanno saputo adeguarsi, ma anche delle realtà urbane ad esse legate che progressivamente hanno perso i propri abitanti. La mancanza di studi puntuali su-gli insediamenti antropici da una parte e l’esigenza di promuovere interventi urgenti di riqua-lificazione e valorizzazione dall’altra, sono i principali fattori che hanno determinato l’atti-vazione del Seminario, nella convinzione che solo la sinergia di saperi diversi può concorre-re efficacemente al raggiungimento di esiti nuovi ed insperati.

Ciascuno dei sei numeri dell’Universo in uscita nel 2014 ospita un inserto con i risultati più rilevanti raggiunti nei primi due anni di attività. Ciascun articolo tratta di un aspetto di-verso della ricerca: nel primo “Caratteri strutturali e identitari del paesaggio della Valleriana” Emanuela Morelli ed Alessandro Merlo descrivono i principali connotati della montagna pe-sciatina, utilizzando gli strumenti tipici dell’analisi paesaggistica; nel secondo “Struttura e for-ma delle castella della Valleriana” Alessandro Merlo, Gaia Lavoratti e Fabrizio Mari defini-scono le cifre ricorrenti negli impianti urbani dei dieci insediamenti; nel terzo “Tipologie e caratteri dell’architettura delle castella della Valleriana” Giuseppina Carla Romby illustra le possibili riverberazioni che i principali cantieri toscani del XII e XIII secolo hanno avuto in quest’area, mettendo in evidenza le tecniche costruttive impiegate, le tipologie architettoni-che ricorrenti ed i linguaggi in uso all’epoca. Il quarto inserto “Metodi e strumenti per il rile-vamento delle castella della Valleriana”, a firma di Alessandro Merlo ed Andrea Aliperta, prende in esame gli strumenti e i metodi che sono stati utilizzati per il rilevo digitale dell’am-biente urbano di tre delle dieci castella e per la restituzione 3D degli stessi con tecniche di modellazione reality-based. Con il quinto articolo “Epigrafi, simboli e segni dei lapicidi nel-le castella della Valnel-leriana” Cinzia Jenel-lencovich mostra come nel-le pietre, se correttamente inter-rogate, siano in grado di fornire un contributo sostanziale alla ricerca storica. Il sesto ed ulti-mo inserto “Conservazione e valorizzazione delle castella della Valleriana” vede impegnati Riccardo Butini, Stefania Franceschi, Paola Gallo e Leonardo Germani nella definizione del-le strategie progettuali più idonee per salvaguardare il patrimonio architettonico esistente e sopperire a quelle deficienze strutturali che oggi connotano i paesi dell’organismo territoria-le in esame.

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Il sistema territoriale della Valleriana.

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La Valleriana

I parametri che concorrono alla definizione di un organismo territoriale sono molteplici, cambiano al variare del punto di vista con il quale un’area viene inda-gata, sono strettamente legati ad un intorno temporale ed ammettono l’istituzione di sottoambiti. Ai fini del presente studio, il termine Valleriana qualifica una porzio-ne di territorio posta all’estremo sud-occidentale del distretto dei monti pistoiesi, la quale, a partire dal secolo XI, è stata teatro di vicende religiose, politiche ed econo-miche che hanno contribuito alla formazione di una specifica identità.

Dal punto di vista geografico, i limiti della Valleriana circoscrivono di fatto il ba-cino imbrifero del Torrente Pescia Maggiore, includendo al loro interno anche la valle della Pescia di Calamecca, i cui centri però hanno risentito solo marginalmen-te delle dinamiche descritmarginalmen-te nel seguito del marginalmen-testo e, pertanto, è stato rimarginalmen-tenuto oppor-tuno escluderli, in prima analisi, dal presente studio. Gli abitati presi in esame (Medicina, Pietrabuona, Fibbialla, Aramo, San Quirico, Castelvecchio, Stiappa, Pontito, Sorana e Vellano) sono quindi gli stessi ai più noti come le ‘dieci castella’ della Svizzera Pesciatina (locuzione, quest’ultima, coniata nella prima metà dell’Ottocento per la descrizione dell’area in analisi e tradizionalmente attribuita al-l’economista svizzero Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi).

In seguito alla conquista di Lucca (avvenuta dopo il 572) da parte di Alboino e l’elezione della città a capitale della marca di Tuscia, il territorio della Valleriana accolse numerose tribù longobarde, che si stabilirono in tutta l’area in studio, ricon-ducendo le valli e le realtà demografiche che in esse si erano sviluppate (o che si sa-rebbero formate nei secoli successivi) entro la circoscrizione civile ed ecclesiastica lucchese, dove rimarranno fino alla metà del secolo XIV per ciò che concerne le vi-cende secolari, e fino al 1519 – quando la chiesa di Santa Maria di Pescia fu eleva-ta a prepositura direteleva-tamente collegaeleva-ta a Roma – per le vicende religiose.

Nel corso del secolo XIII, i Lucchesi, che avevano ottenuto nuovamente il domi-nio sulla Valleriana e la Valdinievole, dopo che Federico II di Svevia le aveva riuni-te in un’unica vicaria sotto il controllo del casriuni-tellano di San Miniato, si trovarono a contrastare il desiderio di numerosi centri, precocemente costituitisi in comuni ru-rali, di svincolarsi dalla crescente influenza della città del Serchio. Si aprì per que-ste terre un periodo di estrema tensione; la serie di scontri che ne derivarono, vide-ro inizialmente Lucca avversare alcuni castelli riunitisi in leghe (nel 1202 e nel 1281) sotto la protezione dell’autorità imperiale e successivamente impedire, sem-pre negli stessi territori, l’avanzata di Firenze, impegnata ad unificare i centri della regione sotto il suo governo. La città gigliata avrà ragione su Pietrabuona, Sorana, Vellano e Castelvecchio; tutti gli altri centri resteranno lucchesi.

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Gli odierni centri abitati della Valleriana devono quindi i loro caratteri proprio dal fatto di appartenere a quella che è stata per lungo tempo una ‘terra di confine’. La loro facies, rimasta inalterata fino ai nostri giorni e leggibile negli impianti urba-ni, così come nelle architetture, si è costituita proprio grazie alle contaminazioni av-venute tra il XIII ed il XVI secolo tra i paesi soggetti a Lucca e quelli gravitanti nel-l’orbita fiorentina.

A questo intervallo temporale si riferiscono le analisi svolte sui singoli centri da parte degli studenti del Seminario Tematico “Rilevare e progettare nel contesto sto-rico”. La scarsa letteratura esistente sui castelli e l’altrettanto povera documentazio-ne di archivio che li riguarda, se da una parte ha reso difficoltosa la ricostruziodocumentazio-ne delle fasi di formazione e trasformazione dei centri abitati, dall’altra ha obbligato gli allievi a formulare ipotesi (ed in quanto tali in attesa di essere suffragate da ulterio-ri studi) sulla base della lettura morfologica dei tessuti edilizi, sull’analisi diretta del-le evidenze materiali e mediante comparazione con altre realtà regionali maggior-mente indagate. In alcuni casi non è stato possibile reperire notizie sull’esistenza o meno di un edificio che fungesse da residenza della famiglia comitale a cui era sog-getto l’insediamento, né su quella delle tipiche strutture urbane che caratterizzava-no gli abitati durante il basso medioevo, quali il palazzo del Comune, la fonte o la cisterna pubblica e il forno. Di soli tre insediamenti (Aramo, Pietrabuona e Sorana), oggetto di studio dal 2007 del gruppo di ricerca coordinato dal prof. Merlo, le infor-mazioni sono risultate sufficientemente complete da poter descrivere con un certo grado di attendibilità le vicende accorse a questi centri durante i secoli.

Le castella

Castrum e Castellum hanno […] parecchie accezioni e possono indicare ora un inse-diamento fortificato a carattere esclusivamente guerriero, ora un centro demico forni-to di cinta muraria e di apparati fortificativi, ora un recinforni-to adibiforni-to a deposiforni-to di derra-te alimentari e di beni di vario tipo e usato a livello circostanziale come luogo di con-centramento e di rifugio, ora infine la dimora fortificata e costituente un segno visibile di autorità, prestigio e potere giurisdizionale nella quale risiedeva un personaggio do-tato di autorità nell’area della quale il castello stesso era centro

(FRANCOCARDINI).

Risale ai secoli XI e XII la costruzione dei primi nuclei fortificati della Valleriana da parte di famiglie comitali – legate all’imperatore, al vescovo lucchese o per ini-ziativa diretta di quest’ultimo – che intendevano aumentare il controllo su questa parte di territorio. Non è dato sapere se questi luoghi fossero già in precedenza fre-quentati o abitati stabilmente.

La loro erezione, comunque, non fu mai casuale ed uno dei parametri che mag-giormente dovettero influire in tale scelta è quello legato al sistema della viabilità. In Valdinievole esisteva, e in alcuni tratti esiste ancora, una fitta rete di strade seconda-rie che, diramandosi da quella che viene definita Cassia-Clodia – un percorso che

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Particolari della Carta d’Italia, F. 105 IV NE, Villa Basìlica, scala 1:25 000, serie 25V, Firenze, IGM, a sinistra l’edizione del 1887, a destra quella del 1954.

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collegava la piana di Pistoia a quella di Lucca –, avevano la funzione di unire i centri di valle con quelli di montagna, favorendo lo sviluppo di realtà insediative di alta col-lina. Tra i numerosi percorsi che si dirigevano verso nord, due in particolare ricopri-vano una certa importanza. Il primo, che transitava alla sinistra del Pescia di Pescia, passando per Sant’Allucio e Sant’Erasmo, venne prolungato, nel corso del X e XII se-colo, fino a collegare i castra di Vellano, Serra Pistoiese e Margine di Momigno, per raggiungere poi, attraverso il passo di Porretta, la città di Bologna, da cui la denomi-nazione di ‘Via Bolognese’. Il secondo asse costeggiava la riva destra del Pescia di Pescia, sempre in direzione nord, così da spingersi sino a Pietrabuona; in epoca alto-medievale, una volta arrivato al Ponte San Giovanni (poco sopra Pietrabuona), si bi-forcava entrando nel territorio di Val di Torbola. Un ramo del tragitto risaliva la valle e, passando per Aramo, raggiungeva San Quirico, Pieve di Castelvecchio, Stiappa e Pontito nella Valle Arriana, arrivando a Lucchio e in Val di Lima attraverso il Passo di Croce a Veglia; un’altra diramazione proseguiva sulla destra idrografica del Pescia di Pescia e, passando per Vellano, si ricongiungeva alla sopracitata ‘Via Bolognese’.

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Solo in alcuni casi i nuclei incastellati servirono da residenza stabile di un signo-re locale e delle proprie milizie; negli altri continuarono ancora per decenni a ser-vire come semplici avamposti militari. In entrambe le situazioni si attestarono ben presto attorno a questi ‘poli’ le prime abitazioni. Si manifestò pertanto la necessità di dotare gli erigendi centri demici di una serie di strutture urbane a servizio della collettività, prima tra le quali una cerchia di mura in materiale non deperibile.

L’impianto urbano ed il tessuto edilizio si conformano sia alla morfologia del ter-reno sia all’andamento del percorso che li ha generati. In questo particolare ambi-to geografico sono riscontrabili tre tipologie insediative: i castelli che sorgono sulla sommità del rilievo, quelli posti su un’area pianeggiante alla testata di un crinale e, infine, i nuclei che si sviluppano interamente su un versante. Dal rapporto che l’o-rografia intrattiene con le dinamiche che vengono ad instaurarsi all’interno del tes-suto tra residenze ed edilizia speciale (rocca/chiesa, palazzo comunale/chiesa), tra edilizia e percorsi e, infine, tra edilizia e apparato difensivo/offensivo, derivano for-me urbane ben riconoscibili, che ancora oggi connotano i centri della Valleriana: ‘anulari’ per i castelli su acrocoro, ‘a semicerchio’ per quelli di testata ed ‘a venta-glio’ per i borghi sulle pendici dei rilievi.

Il castello di Pontito.

Nella pagina a lato: particolari della Carta d’Italia, F. 105 I NO, Marliana, serie 25V, scala

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Medicina

Il paese di Medicina si colloca «nella parte meridionale del monte Battifolle, tra la Pescia minore, o di Collodi, che scende alla sua destra, e la Pescia maggiore, che scorre alla sua sinistra, in mezzo ad un’estesa selva di castagni e sull’erta strada mu-lattiera che guida a Vellano» (Emanuele Repetti), sulla sommità di un rilievo che ha origine dalle pendici del Monte Telegrafo, ad una quota di poco superiore ai 500 metri s.l.m.

La prima fonte scritta ove compare il toponimo «Medicina» è una pergamena del 989. La mancanza di fonti documentarie ed i pochi resti attribuibili al castello ori-ginario (fattori antropici, quali demolizioni e ristrutturazioni, o naturali, come i ter-remoti, hanno pesantemente modificato la primitiva conformazione di questa par-te dell’insediamento) non hanno consentito di ipotizzarne l’assetto iniziale.

Il paese ha la forma caratteristica di un abitato posto su un acrocoro, con il nu-cleo più antico nella posizione più elevata e il tessuto edilizio che, secondo il mi-gliore orientamento, degrada sulla collina. Quest’ultimo sembra essersi generato dalla somma di distinte parti, presumibilmente delle corti, successivamente unite a formare una struttura di tipo radiocentrico.

Alcuni elementi della prima cinta muraria, ascrivibile al XII secolo, sono ancora leggibili nei paramenti di alcune case in prossimità della nuova chiesa.

Studenti degli A. A. 2011-2012 e 2012-2013 che hanno preso parte al seminario tematico ed ai quali si devono le indagini sui castelli e la redazione dei relativi elaborati grafici:

Medicina (Campolucci Justin Linton, Corridori Marco, Dazzi Alessandro,

Francesconi Giulia, Laghi Sofia), Pietrabuona (Borghi Massimiliano), Fibbialla (Basile Sara, Campolucci Justin Linton, Corridori Marco, Dazzi Alessandro, Ronzini Valentina), Aramo (Cecchi Lorenzo, Campolucci Justin Linton, Corridori Marco, Dazzi Alessandro, Valdarnini Martina), San Quirico (Notarnicola Michela, Occhipinti Laura, Russo Isabella, Sangiovanni Marianna),

Castelevecchio (Donato Erika, Gira Carlo, Oresti Debora, Staccioli Eleonora,

Volpi Michela), Stiappa (Luconi Laura, Marinelli Fabrizio), Pontito (Bertacchi Gianna, Moriani Giulio), Sorana (Gaia Lavoratti), Vellano (Lazzari Giulia, Luci Angela, Marsico Angela, Minotti Rosa Maria).

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Il castello, che nonostante le numerose traversie rimase sempre nell’orbita luc-chese, dopo il breve periodo in cui passò nelle mani dei Fiorentini (a seguito della pace di San Miniato del 1343) venne sottoposto da parte della città del Serchio ad una serie di opere volte a potenziarne il sistema difensivo.

La realizzazione della seconda cinta muraria, costituita dalle stesse case che for-mavano il borgo e da alcune torrette a pianta circolare in prossimità dei punti mag-giormente vulnerabili (ne rimane solo una in prossimità della porta Alta), potrebbe verosimilmente risalire a questo periodo. Il muro di cinta è formato da conci di are-naria squadrati a mazzetta, misti a spezzoni più piccoli e grossolanamente sbozza-ti, apparecchiati in filari non omogenei ma con ricorsi orizzontali.

Due porte si aprivano in questo circuito difensivo: la Porta Alta situata a nord (del-la quale non rimane traccia) e (del-la Porta Bassa a sud. Quest’ultima è formata da un dop-pio arco a tutto sesto realizzato con conci di arenaria, appoggiato su mensole sago-mate grossolanamente.

anno XCIV (2014) n. 2

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Antica torre circolare del secondo circuito murario.

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Gli stipiti sono costituiti anch’essi da conci molto grandi sempre di arenaria, lavorati con maggior pre-cisione; all’interno si notano ancora due perni in fer-ro, nei quali erano probabilmente adagiate le due an-te di un portone a batan-tenan-te. Si conservano, inoltre, gli alloggi dei pali lignei necessari per serrare la porta. Ad una fase molto recente si deve la realizzazione della garitta che sovrasta il manufatto, costruita in sti-le neo-medievasti-le nel corso del XIX secolo.

Dell’antico edificio chiesastico situato fuori del paese, nella zona dell’attuale cimitero, non si hanno notizie certe; venne elevato a pieve nel XIV secolo, cadde in disuso probabilmente durante il Cinquecento – nel momento in cui venne edificata la nuova chiesa dei Santi Martino e Sisto (su un pre-cedente oratorio dedicato a San Rocco) nel cuore del paese –, fu quasi completamente demolita a metà Ottocento ed oggi ne rimangono solo alcuni lacerti.

Il campanile della nuova chiesa presenta un paramento murario in conci di pietra squadrati, più antichi rispetto a quelli con i quali è realizzato l’edificio religioso, circostanza che ha fatto supporre il suo originario uso come torre di avvistamento.

Numerose cappelle e tabernacoli sono dislocati lungo i percorsi principali di ac-cesso al castello; sull’antica mulattiera che porta al Monte Telegrafo si trova, ad esempio, l’oratorio di Sant’Anna risalente alla fine del XV secolo.

La tipologia edilizia maggiormente utilizzata è la casa a schiera con uno o due accessi rivolti sul fronte strada. Dall’analisi della dimensione e della forma di que-sti ultimi è possibile ipotizzare quali fossero i percorsi principali: Via Montale, ad esempio, presenta una serie di portali di un certo pregio che costituivano (e costi-tuiscono ancora) l’accesso principale alle relative abitazioni, mentre Via del Crociale è caratterizzata da portali di modeste dimensioni, oggi tamponati, sovra-stati da grandi arcate, la cui presenza fa supporre che vi fossero botteghe al piano terra, connotando tale percorso come via commerciale.

L’altezza dei fabbricati è diversa a seconda del dislivello del terreno sul quale si colloca l’edificio: quelli che poggiano sulla seconda cerchia di mura (Via Andreucci e Via del Ramo) hanno tre piani fuori terra, con accesso dal livello della strada su-periore ed un piano contro terra con accesso dal livello inferiore.

Le abitazioni che prospettano la Piazza di San Martino, erette su una zona piut-tosto pianeggiante, presentano tre piani su tutti i fronti, mentre le costruzioni che si attestano sulle vie Nardini e del Crociale, che collegano tra loro i percorsi anulari, hanno un solo accesso rivolto verso la strada principale ed un’altezza che varia dai tre ai quattro piani.

Porta Bassa a Sud dell'abitato di Medicina.

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Le costruzioni sono realizzate prevalentemente in pietra (pochi sono i fronti in-tonacati, generalmente ascrivibili al XX secolo) e presentano dimensioni piuttosto contenute, legate alla luce dei solai in legno di castagno. Il rapporto tra l’altezza de-gli edifici e la larghezza del percorso genera spazi piuttosto angusti; le ampie zone d’ombra se da una parte contribuiscono a determinare un reflusso di aria fredda es-senziale per il raffrescamento estivo, dall’altra limitano il passaggio della luce nei mesi invernali.

Contribuiscono a caratterizzare lo spazio urbano di Medicina una serie di aie pensili, ovvero terrazze sopraelevate, usate in passato per l’essiccazione dei prodot-ti agricoli.

Nel corso del 1700, a seguito di un considerevole sviluppo demografico, l’inse-diamento si accrebbe al di fuori delle mura, sviluppandosi lungo la direttrice per Villa Basilica e su quella per Pietrabuona.

Del palazzo comunale non si hanno notizie; alcuni caratteri presenti nel fabbri-cato situato nella sommità del paese alla destra della chiesa potrebbero indicare che qui vi fosse un edificio con loggia al piano terreno e accesso al piano superiore me-diante una scala esterna, secondo una delle tipologie più diffuse dei palazzi pubbli-ci toscani.

Dall’analisi dei registri del catasto leopoldino si evince inoltre la presenza di un pozzo, di due fonti, di un lavatoio (in

prossi-mità del fosso di Pezzano e di una falda ac-quifera che passa sotto il paese) e di alcuni edifici a carattere produttivo (un forno, alcu-ni metati e depositi per la legna), oltre alle aie pensili cui si è già accennato. Oggi non è più possibile riconoscere questi manufatti e re-stano a testimoniare la loro presenza alcuni toponimi, come la Via del Forno Vecchio e l’Aia del Pievano.

La parte sommitale del paese, in partico-lare la zona che dalla porta a nord si estende fino alla chiesa di San Martino, è stata ogget-to di numerosi interventi che ne hanno sna-turato in parte i caratteri. Dell’edilizia otto-centesca non commisurata alle dimensioni delle preesistenze e contrassegnata da una serie di rimandi all’architettura rinascimenta-le (soprattutto negli architravi e negli archi-volti) fronteggia, ad esempio, Piazza San Martino.

Edificio con loggia, ipotizzabile come palazzo pubblico.

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Pietrabuona

Pietrabuona sorge su uno sperone roccioso affacciato sulla valle del Pescia Maggiore, sulla testata del medesimo crinale sul quale si è sviluppato l’abitato di Medicina, ma ad una quota più bassa, che si aggira intorno ai 150 metri s.l.m. Il più meridionale tra le dieci castella della Valleriana, il borgo fortificato si colloca in po-sizione strategica per il controllo del fondovalle e della viabilità ad esso associata, costituendo di fatto la ‘porta’ dell’intero sistema insediativo montano.

Il toponimo Petra Bovula deriva con ogni probabilità da Bovulo, ricordato nei documenti d’archivio già a partire dal 798, in riferimento al territorio a nord dell’a-bitato di Pescia. Circa il significato del termine ad oggi la spiegazione più accredi-tata risulta essere quella che, partendo dal significato di ‘bova’, inteso come ‘frana’, intravede nel nome dell’insediamento una notazione relativa all’area particolar-mente soggetta a smottamenti sulla quale sorge.

Il primo incastellamento di Pietrabuona, promosso dal vescovo di Lucca Pietro II e ricordato in una serie di contratti datati al 914, ebbe scarso successo, tanto che l’a-bitato venne rapidamente abbandonato entro i cinquanta anni dalla costruzione. Successivamente rifondato (a distanza di circa due secoli), si sviluppò inizialmente sul-la quota più alta di una terrazza affacciata sulsul-la valle sottostante, secondo un percor-so matrice nato dalla prosecuzione della viabilità discendente dal crinale, per poi

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ampliarsi alle quote inferiori lungo un percorso anulare. La forma allungata in direzio-ne nord-sud segue pertanto l’orografia del terreno, i cui versanti estremamente scosce-si hanno consentito una più tarda espanscosce-sione (a partire dal XVIII secolo) soltanto lun-go la sella a settentrione dell’abitato più antico o molto più a valle, lunlun-go le rive del Torrente Pescia, dove si sono sviluppati piccoli borghi legati al sistema delle cartiere. Analogamente a quanto accaduto per molti altri centri della Valleriana, Pietrabuona si costituì libero comune nel corso del XIII secolo. L’antico edificio pub-blico con la sua torre venne realizzato al centro del più antico tessuto insediativo, con il fronte principale sulla piazzetta del Bicciuccolo, sulla quale si apriva in ogine la loggia, successivamente tamponata, formata da due grandi arcate ancora ri-conoscibili sulle pareti meridionale ed occidentale del palazzo. Il paramento in mu-ratura pseudo-isodoma in blocchi squadrati e sbozzati, bucato da aperture ad arco al primo piano e da piccole finestre architravate al secondo, è caratterizzato, ana-logamente al resto del tessuto urbano, dalla pratica del ricollocamento di alcune pietre dalla forma articolata e con differente trattamento superficiale.

Sebbene alcuni allineamenti del tessuto urbano suggeriscano il passaggio di un ipo-tetico primo circuito difensivo nella parte sommitale dell’insediamento, non esistono tracce materiali certe che ne testimonino la posizione. Lacerti più o meno conservati si hanno soltanto della cerchia muraria trecentesca, della quale sono rimaste in piedi, tra l’altro, la Porta Bolognese a nord e metà di uno stipite della Porta Fiorentina a sud. Di quest’ultimo sistema fortificato si conserva inoltre la rocca settentrionale, in luogo del-l’antica chiesa di San Matteo (della quale sono ancora visibili l’abside e la parete meri-dionale), sulle rovine della quale la dominante fiorentina, in seguito alla conquista del castello avvenuta definitivamente nel 1371, realizzò un’imponente torre difensiva a controllo del percorso di accesso all’abitato. L’ori -ginario edificio religioso – in pie-tre squadrate di arenaria, opera di una maestranza qualificata, con finestre formate da stipiti ed archi monolitici e due portali romanici caratterizzati da architravi fissati su mensole scolpite e coronati da lunette ad arco – e la successiva torre – dal paramento murario a bozze più piccole ed irregolari – oggi convivono, accomunati dal medesimo stato di degrado ed ab-bandono.

Il palazzo pubblico.

A lato, a sinistra:

la rocca e la Porta Bolognese;

a destra: l'Oratorio di San Michele

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All’interno del tessuto più antico l’Oratorio di San Michele in Bicciuccolo assolse le funzioni religiose del castello in seguito alla trasformazione della Chiesa di San Matteo in rocca. L’edificio, ad aula unica trapezoidale con abside a ferro di cavallo, è realizzato in pietre squadrate di minor pregio rispetto a quelle del luogo di culto più antico. La torre campanaria ad esso adiacente, la cui base risulta ben più antica (seco-li XII-XIII) delle porzioni murarie superiori, in pietre squadrate grossolane legate da malta di calce, faceva probabilmente parte dell’originario palatium a controllo dell’a-bitato originario.

La tipologia edilizia prevalente è la casa a schiera o pseudo-schiera. La partico-lare conformazione orografica del sito ha consentito l’addossamento delle stecche residenziali più antiche, con accesso da Via del Campanile e Via delle Scalette, a quelle della prima espansione, con accesso su Via della Ruga (ad eccezione del trat-to nord-orientale), mediante la condivisione o il raddoppio del muro di spina o, co-me nel caso della sezione più co-meridionale di Via del Campanile, con la realizzazio-ne di uno stretto chiasso (largo meno di un metro) che consentisse comunque l’a-pertura di finestre. All’interno del tessuto urbano si riconoscono comunque alcune residenze destinate a ceti sociali più elevati, come l’edificio posto all’angolo nord-occidentale di Via della Ruga, oggi interamente intonacato e recante, sul concio in chiave dell’arco a tutto sesto del portale in arenaria macigno, lo stemma nobiliare della famiglia fiorentina dei Salviati.

La chiesa ottocentesca, dedicata ai Santi Matteo e Colombano, edificata a croce greca immediatamente fuori da Porta Bolognese tra il 1846 ed il 1848, resta anco-ra oggi un’enorme fuori scala affacciata su Piazza di Castello. I fronti austeri privi di ornamento risultano caratterizzati unicamente dalle ampie aperture lucifere semi-circolari e dallo spoglio portale della facciata.

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L’analisi del Catasto Leopoldino ha inoltre evidenziato la presenza di due doga-ne; la prima, detta ‘dell’Arco Vecchio’, identificabile nel primo edificio in pietra del fronte orientale della Piazza di Castello, controllava l’accesso all’abitato e, con es-so, il transito di merci da e per la montagna lungo il collegamento con Medicina; la seconda, localizzata all’interno del Borgo La Croce, eretta agli inizi dell’Ottocento in sostituzione di una struttura preesistente, sorvegliava il passaggio sulla viabilità di fondovalle.

Fibbialla

Fibbialla sorge sulla testata di un crinale che diparte perpendicolarmente dal confine occidentale della Valleriana. Il paese si affaccia sulla Val di Torbola e, nono -stante la sua limitata altitudine (di poco superiore ai 400 metri s.l.m.), gode di un’ot-tima visuale sul territorio circostante.

Il percorso, che insiste sullo spartiacque che discende dal crinale del Monte Battifolle, costituisce la spina portante (o matrice) dell’abitato, terminando in asse con l’edificio indicato dalla toponomastica come ‘rocca’. Più in basso, una via di mezzacosta, che lambisce il lato orientale del primitivo nucleo, conduce a Medicina se percorsa verso sud ed a San Quirico ed Aramo se presa nella direzio-ne opposta. Un terzo percorso collegava Fibbialla con il molino del Galluzzi, un opificio (attestato per la prima volta nel 1438) posto in prossimità del Torrente Torbolino, ricongiungendosi poi alla mulattiera per Medicina.

La morfologia dell’insediamento deriva direttamente dalla conformazione del ri-lievo; il primo nucleo si posiziona infatti sulla parte terminale del crinale assumendo

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il caratteristico andamento ‘a semicerchio’. L’espansione successiva si dispone in-vece più in basso, in prossimità di un’area pianeggiante. Il settore semicircolare pre-senta, soprattutto nei prospetti verso valle, cortine murarie piuttosto elevate (tre/quattro piani fuori terra) con funzione difensiva, dotate di poche e piccole aper-ture; il borgo extra moenia (secoli XV-XVIII) è invece formato perlopiù da edifici ad uno o due livelli.

Le strade interne al centro abitato, sia quelle in piano sia quelle in pendenza, so-no strette e lastricate in pietra o ciottoli; quando attraversaso-no corpi edilizi queste ul-time sono coperte a volta.

Gli spazi collettivi del paese sono due: la piazzetta detta ‘del forno’, chiusa fino a pochi decenni fa su tutti e quattro i lati (oggi gli edifici sul lato a monte non sono più presenti) nella zona sommitale, e la piazza della chiesa, situata ad una quota in-termedia tra il primo nucleo e la successiva espansione.

Il castello è sempre rimasto marginale alle vicende politico-militari dell’area. Tra le scarse notizie che lo riguardano sono da annoverare quella relativa all’aggrega-zione di Fibbialla alla vicaria di Villa Basilica nel 1339 (assieme a Lucchio, Battifolle, San Quirico, Aramo, Medicina e Collodi) allo scopo di costituire una li-nea comune in grado di difendere i territori lucchesi dall’avanzata fiorentina, il bre-ve periodo (1429-1441) in cui il castello passò sotto il dominio di Firenze e la par-tecipazione ad uno scontro tra Firenze e Lucca svoltosi a Medicina nel 1502.

Le prime attestazioni di un edificio in Fibbialla sono relative alla chiesa di San Michele Arcangelo (IX secolo), mentre risalgono al 988 quelle che documentano la contemporanea presenza della chiesa (ricordata come dipendente dalla pieve di

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Sistema dei percorsi.

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San Tommaso di Arriana) e della rocca, un ridotto fortificato con funzione difensi-va. Tale struttura, profondamente trasformata nel corso dei secoli, è stata individua-ta nella parte più alindividua-ta del paese, caratterizzaindividua-ta ancora oggi dal toponimo ‘rocca’. Il paramento murario è costituito da blocchi spaccati di pietra arenaria disposti a fila-retto, con filari di dimensioni piuttosto omogenei; le aperture sono poche e di di-mensioni ridotte. Nella parte più alta si notano numerose mensole ed alcuni ele-menti lapidei sporgenti dotati di fori, probabilmente per l’alloggiamento di appara-ti lignei a sporgere.

La posizione del primitivo edificio di culto potrebbe non essere la stessa dell’at-tuale chiesa, che risulta marginale sia rispetto alla rocca sia al percorso matrice. L’edificio ha subito molte modifiche, in particolare nel XII secolo, quando fu ingran-dito/ricostruito in forme romaniche, e nel XV secolo, momento in cui assunse la for-ma e le dimensioni attuali. Il for-materiale prevalente è la pietra arenaria locale, for-ma so-no presenti anche laterizi negli ampliamenti più tardi. La parte basamentale (più an-tica) presenta pietre squadrate in ricorsi orizzontali di altezza variabile tra i 15 e i 35 cm, con nastrino spesso visibile e finitura superficiale raffinata. Gli ampliamenti suc-cessivi, invece, presentano una muratura in pietre spaccate disposte in filari non sempre orizzontali e continui e prive di lavorazione superficiale; in alcuni punti (tamponature di finestre, stipiti di aperture) sono presenti elementi in laterizio.

Il nucleo più antico di Fibbialla si sviluppa attorno alla rocca, ai lati del percor-so matrice, occupando lo spazio del terrazzamento naturale.

Il tracciato delle mura, probabilmente del XIII secolo, è riconoscibile oggi solo in pochi tratti; le parti mancanti sono ipotizzabili seguendo gli allineamenti degli edifici esistenti. Il circuito murario è rammentato tra le opere difensive che Paolo

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Guinigi (signore di Lucca dal 1400 al 1430) voleva fossero sempre tenute in buono stato. La cortina è in bozze di arenaria locale, di pezzatura variabile, disposte in fi-lari orizzontali di diverse dimensioni, spianate in maniera grossolana con uno stru-mento a punta singola.

Maggiore cura si nota invece nei cantonali dell’unica porta di accesso al castel-lo, realizzata in blocchi squadrati lavorati a ‘buccia d’arancia’. L’architrave, sago-mato con una forma che si avvicina al triangolo, appoggia su due mensole anch’es-se sagomate di forma trapezoidale. Questo tipo di apertura è frutto di modifiche ap-portate, forse in seguito a crolli, dai restauri ottocenteschi; sembra infatti che in ori-gine fosse con doppio arco, soluzione che si ritrova in altre castella (un esempio che sembra particolarmente affine è la porta di Stiappa). All’interno del varco si posso-no ancora vedere i cardini di pietra e la guardiola che si apriva nello spazio tra l’ar-co più esterno e quello più interno. Come la rocca, anche questa porzione di cinta muraria ha subito restauri molto pesanti nel corso dell’Ottocento; la ristilatura dei giunti, in particolare, rende difficilmente leggibile l’apparato murario originale.

Porta di accesso al castello di Fibbialla (a sinistra); la Chiesa di San Michele (a destra).

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Non si hanno notizie, né evidenze materiali, dell’esistenza di una seconda cer-chia muraria; è, infatti, probabile che al momento in cui è stato edificato il borgo più a valle non vi fosse più la necessità di erigere un circuito difensivo.

Nessuna informazione neppure sul palazzo comunale che, presumibilmente, non venne mai eretto.

Aramo

Sul crinale che separa la Val di Forfora dalla Val di Torbola, ad un’altitudine di circa 413 metri s.l.m., si trova il castello di Aramo. Seppur ricordato sin dall’VIII se-colo e collocato in un’area che è stata per lunghi periodi teatro di scontri tra Lucca e Firenze, Aramo compare con molta parsimonia sia nelle fonti documentarie diret-te a caratdiret-tere archivistico sia nelle pagine di storiografia locale.

La tipologia insediativa è una variante di quella propriamente detta ‘di testata’ di crinale: lo spartiacque continua a costituire il percorso matrice ma, a differenza del tipo più comune, gli edifici speciali, eretti nella posizione più elevata, anticipano l’abitato che si dipana lungo i versanti. Il punto più alto del rilievo ospita, infatti, una torre altomedievale.

La peculiare posizione geografica al centro della Valleriana, i ripidi versanti che connotano il promontorio sul quale poggia e che lo rendono difficilmente espugna-bile e l’ottima visibilità, non solo rispetto alle altre castella, ma soprattutto verso la pianura pesciatina ed in particolare in direzione della fortezza di Montecarlo, de-vono aver fatto di Aramo un presidio militare prima che un centro demico.

A supporto di tale ipotesi viene in aiuto la toponomastica; il termine Aramo, in-fatti, è il risultato del composto germanico harja haimamo, cioè ‘postazione milita-re’, rintracciabile anche nell’etimo di altri nomi riferiti a località site nei territori di Pistoia, di Pontremoli e nel Valdarno superiore, ove certa è la presenza di insedia-menti longobardi.

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Il passaggio del limes bizantino in prossimità di quest’area ha indotto gli studio-si ad ipotizzare che in Aramo vi fosse un insediamento militare provvisto di struttu-re atte all’alloggio dei soldati, dotate di una torstruttu-re di avvistamento ricollegabile al-l’attuale campanile (sebbene modificato e riadattato nel corso dei secoli).

Dal testamento del vescovo lucchese Peredeo, redatto il 16 febbraio 778, si evin-ce la presenza ad Aramo di una struttura che doveva albergare le truppe, collocata nei pressi della Chiesa di San Frediano, edificata nel 762 per volere dello stesso ve-scovo. Queste strutture, delle quali oggi non rimane traccia, sorsero probabilmente in prossimità della torre, forse in adiacenza ad essa.

Il primo documento che attesta ad Aramo la presenza di un abitato risale al 988, quando il vescovo Isalfredo allivella o infeuda ai figli di Gottifredo dei signori da Maona la Pieve San Tommaso di Arriana, con tutti i suoi beni e le sue decime. Nell’elenco delle trentadue villae, cioè degli insediamenti di notevole densità fa-centi parte della Plebs Sancti Thomae de Arriani, si trova anche Aramo.

Aramo non è mai stata sede di una signoria e questo è riscontrabile anche nella struttura del castello, dove non è presente un’area signorile privata.

Nei secoli successivi si perdono le tracce del piccolo paese, che pare scompari-re dalla documentazione superstite. All’interno dello statuto di Lucca del 1308 Aramo è censito come comune rurale della vicaria di Valleriana ed è amministrato da un podestà che risiede a Medicina; tale fatto esclude la presenza in Aramo di un eventuale palazzo comunale. Ad Aramo, pertanto, è presumibile che non vi siano emergenze architettoniche legate alle forme di potere tipiche del basso medioevo.

Evoluzione storica

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La costruzione delle mura è ascrivibile ai primi decenni del XIV secolo, periodo nel quale le mire espansionistiche fiorentine interessarono tutta la Valleriana. Circa la loro consistenza, sul versante orientale, la cui pendenza rendeva impossibile un eventuale assedio, le mura erano costituite da un fronte di case con aperture ai pia-ni terrepia-ni estremamente ridotte ed in forma di feritoie (lo stesso si verifica per le mu-ra di Pontito); su quello occidentale e in quello settentrionale vi doveva invece es-sere una cortina isolata.

Notizie più dettagliate circa la configurazione del castello sono molto più tarde e vengono offerte dalle pagine dello statuto di questo comune compilato nel 1572, giunto sino a noi grazie ad una copia del 1779.

Dai capitoli si evince l’esistenza di una cinta muraria, che era vietato forare o bucare (della cui estensione e direzione non si hanno informazioni), e di almeno tre porte.

Le successive aggiunte, risalenti agli ultimi anni del XVIII secolo, citano una ci-sterna, che doveva rimanere sempre piena di acqua, nella piazza del comune.

Dal resoconto di una visita pastorale del 1621, che descrive la Chiesa di San Frediano, con la canonica ed il campanile, si evince, come testimonia anche il

Catasto Leopoldino, che la chiesa e la canonica erano, a differenza della

configura-zione attuale, due edifici distinti e separati da uno stretto passaggio voltato, che con-duceva ad una porta del circuito murario.

Altra importante informazione ricavabile da questo resoconto fa riferimento al-la data di costruzione dell’attuale campanile, avvenuta nel 1601.

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La conformazione originaria della Chiesa di San Frediano era sicuramente dissi-mile rispetto a quella attuale, che può essere fatta risalire al XVII secolo: la pianta a croce latina è costituita da un unica navata, formata da quattro campate e da un transetto costituito da due cappelle. Il presbiterio, pari a mezza campata, si presen-ta come continuazione della navapresen-ta. Il bianco delle pareti intonacate viene scandi-to da lesene che, da terra, salgono fino al cornicione dal quale si impostano le vol-te a crociera della copertura.

All’ingresso del paese si trova il piccolo Oratorio di Santa Maria Vergine, iden-tificato nelle fonti con il nome di «Immagine della Madonna di Aramo». La chieset-ta, visitata dal vescovo di Lucca Alessandro Guidiccioni per la prima volta il 24 giu-gno 1621, fu eretta in tempi antichi in onore dell’immagine della Beata Vergine di-pinta nella volta della cappella addossata alle mura del castello, che la tradizione vuole dispensatrice di grazie. La chiesa è ad unica navata composta da quattro cam-pate coronate da volte a crociera.

L’edificato all’interno del perimetro murario sembra disporsi su un asse che col-lega Piazza San Frediano all’attuale Piazza del Castello. Qui è presente una casa, forse di proprietà del castellano, o semplicemente di un ricco abitante di Aramo, le cui strutture si distinguono per essere di maggiore qualità tecnica rispetto alle altre presenti nel paese. Da questo asse si diramavano percorsi di collegamento in dire-zione est-ovest, che con il tempo sono stati occupati dai vani scala delle abitazioni. Dall’analisi del Catasto Leopoldino del 1824 è possibile riconoscere l’amplia-mento del tessuto edilizio nell’area meridionale del centro abitato e lo sviluppo di un ulteriore anello, che circoscrive la zona sud-occidentale dell’acrocoro.

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San Quirico

Il castello di San Quirico sorge sul versante orientale del Monte Battifolle, ad ovest del Torrente Pescia di Pontito, ad un’altitudine compresa tra i 530 e i 540 me-tri s.l.m. La morfologia urbana è quella tipica di un insediamento di mezzacosta: l’a-bitato, che si sviluppa al di sotto del suo elemento generatore (la rocca), poggia sul versante della collina. Il paese gode di un’ottima visibilità sulla Valle del Pescia di Pontito e sulla maggior parte dei castelli della Valleriana: Castelvecchio, Sorana, Aramo, Vellano, Fibbialla, Pietrabuona e Pontito.

Il percorso che ha generato l’insediamento è quello che da Fibbialla conduce a Castelvecchio; un ulteriore sentiero diparte in direzione del crinale principale e con-duce a Collodi. Gli edifici emergenti che qualificano il castello sono la Chiesa dei Santi Quirico e Giulitta e la rocca. Della prima, ubicata alla base dell’attuale inse-diamento, si hanno notizie già alla fine del IX secolo. Della seconda, successiva al-l’edificio chiesastico e posta nel punto orograficamente più elevato del paese, se ne ipotizzano i resti nel basamento di una residenza privata.

Non è dato sapere se il primo nucleo demico si sia formato attorno all’edificio religioso oppure sia più tardo ed ascrivibile all’erezione della rocca. Resta di fatto che la prima cerchia di mura cingeva quest’ultima lasciando fuori la chiesa, che fu invece racchiusa nell’ultimo allargamento del circuito risalente al XVI secolo. Tra la prima e l’ultima fortificazione è lecito supporre l’esistenza di un ampliamento inter-medio della cinta, che in ogni caso lasciava ancora fuori l’edificio religioso. La più recente appendice delle mura è caratterizzata da strutture turriformi ad impianto cir-colare ed esagonale. Lungo il perimetro dell’intera cerchia si possono ancora indi-viduare due porte di accesso all’insediamento ubicate a nord-est e a sud-ovest ed appartenenti al circuito murario intermedio.

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All’interno del tessuto urbano l’asse che congiunge la chiesa alla rocca si inter-seca con il percorso di collegamento che attraversa le due porte, dando origine al-l’attuale piazza del paese, in prossimità della quale si apriva presumibilmente la ter-za porta appartenente al circuito intermedio, oggi inserita nelle cortine murarie. L’edilizia si dispone su terrazzamenti progressivamente digradanti, uniti dall’asse rocca-chiesa, insediato lungo i suoi margini.

Le abitazioni sono realizzate prevalentemente in pietra e si sviluppano general-mente in altezza, tanto da rendere le vie interne al castello, già di dimensioni

Porzione del circuito difensivo.

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ridotte, poco soleggiate. In alcuni casi gli edifici mostrano ancora il loro impianto originario con l’ingresso principale posto al primo piano raggiungibile tramite una scala esterna.

L’espansione più recente dell’abitato è avvenuta lungo la mulattiera per Fibbialla, sul percorso di controcrinale sintetico adiacente alla porta sud.

Il primo documento nel quale viene menzionata la Chiesa di San Quirico risale all’880. Nel 1407 la chiesa ebbe il privilegio del fonte battesimale. Nel 1718, una volta eretta a pieve, le furono annesse le chiese di Stiappa e Pontito.

Alcuni lacerti inseriti nel paramento murario attestano l’origine romanica dell’e-dificio, come le imposte dei portali sulla parete nord della navata e la tessitura mura-ria della parte inferiore della navata e dei transetti, realizzata con pietre di arenamura-ria disposte a filaretto perfettamente rifilate e spianate a subbia. L’attuale conformazio-ne dell’edificio risale all’inizio del XVI secolo, come attesta un’iscrizioconformazio-ne riportata sull’ala destra del transetto (A.D.M.CCCCC).

Nella visita pastorale del 1880 è riportata la descrizione della chiesa e dei suoi annessi: «a lato destro l’oratorio di San Sebastiano, a lato sinistro la sagrestia e l’o-ratorio di Santa Maria Maddalena, a lato destro un’ampia stanza, luogo anticamen-te per uso di cimianticamen-tero e tombe, al anticamen-termine sorge l’alta e più bella torre delle campa-ne che sia campa-nella Valleriana». La presenza di questa ampia stanza è attestata anche da un disegno del castello di San Quirico datato tra il XVI e il XVII secolo e conser-vato nell’Archivio di Stato di Lucca, nel quale compaiono, oltre alla chiesa, le forti-ficazioni del castello.

Nel libro dei beni della chiesa, conservato nell’archivio parrocchiale, è conte-nuto un ulteriore disegno (ascrivibile all’anno 1700) della facciata della chiesa, ove compare un nuovo elemento: un corpo di fabbrica che congiungeva la chiesa al campanile, dov’era posto il fonte battesimale. Oltre al battistero, oggi è scomparso anche l’ampio vano utilizzato come cimitero ‘a tombe’, esistente ancora nel 1880.

Dal disegno del 1700 si evince che la navata della chiesa era più bassa rispetto al transetto retrostante, come confermato dalla differenza di materiale con il quale è stata elevata l’aula e dalla presenza di mensole di pietra serena di epoca romani-ca, tipicamente pistoiesi, che un tempo coronavano il sottogronda e oggi costitui-scono la linea di demarcazione tra le due diverse murature. Le pietre di imposta del fianco sinistro della chiesa, che presentano motivi antropomorfi, zoomorfi e geome-trici, sono databili tra il XII ed il XIII secolo.

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La facciata dell’edificio religioso si presentava, nella prima ricostruzione del 1500, priva di finestre, con una sola apertura centrale, presumibilmente ovale, co-me indicherebbe la traccia della tamponatura visibile sulla muratura attuale.

All’inizio del XX secolo è attestata una serie di interventi al campanile ed alla chiesa, a seguito dei quali i due edifici sarebbero stati separati e la facciata di que-st’ultima interamente stonacata.

Sempre ai restauri del 1909 è imputabile la modifica della copertura a padiglio-ne della chiesa, sostituita dal coronamento merlato (come attesta una fotografia del-la chiesa e del campanile prima dei del-lavori). La torre campanaria, a pianta quadrata, è caratterizzata dalla presenza di bifore sormontate da una cella campanaria con monofore. Murato sul corpo scala vi è un frammento di lastra tombale in marmo bianco scolpito a bassorilievo, raffigurante una salma giacente a braccia conserte con la testa poggiata sul cuscino, proveniente probabilmente dall’antico pavimen-to della stanza ad uso cimitero ‘a pavimen-tombe’. La data presente nell’iscrizione è leggibi-le solo in parte (14...). L’ultimo intervento registrato per la torre campanaria risaleggibi-le al 1985 quando, in seguito ad un fulmine abbattutosi sulla stessa, vennero decisi dal-la Soprintendenza interventi di ripristino dei merli e il rafforzamento degli archi del-le bifore.

Del Palazzo del Comune, documentato da un disegno del XVII secolo, non si co-nosce l’esatta ubicazione; doveva essere posto sotto la piazza principale e nelle vi-cinanze della chiesa, in quella zona ancora oggi conosciuta come ‘Sottocomune’. Dall’analisi di un portale, la cui fattura richiama quella di altri manufatti pubblici medievali presenti in Valleriana, è stato ipotizzato che si trovasse in corrisponden-za della porta sud-ovest.

La torre campanaria della Chiesa di San Quirico.

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Tre sono le confraternite note a San Quirico. La Confraternita dell’Immacolata Concezione fu istituita nel 1589 ed ha il suo oratorio, eretto nel 1600, di fronte alla chiesa. L’oratorio di San Quiricino è stato costruito nel 1606 in sua prossimità. Altre due confraternite, una dedicata a Santa Maria Maddalena e l’altra a San Sebastiano, hanno gli oratori addossati all’abside della chiesa stessa. La nascita della Confraternita di Santa Maria Maddalena rimanda a un’azione militare del 22 luglio 1539 (giorno in cui si ricorda la santa), quando gli abitanti di San Quirico riusciro-no a difendere vittoriosamente il castello dalle milizie fiorentine. Sull’origine della Confraternita di San Sebastiano non si hanno notizie certe; l’oratorio fu invece co-struito nel 1607.

Castelvecchio

Il paese di Castelvecchio, disposto sulla parte terminale di un crinale seconda-rio che discende dal versante occidentale del Monte Battifolle, nella Valleriana set-tentrionale, è un insediamento di testata di crinale su acrocoro: l’abitato ha infatti occupato progressivamente l’intera superficie di un promontorio. Facilmente difen-dibile grazie alla peculiare conformazione orografica dell’area su cui sorge e all’ot-tima visibilità verso la maggior parte degli altri paesi, è stato al centro delle princi-pali vicende politico-militari della Valdinievole fino al XVI secolo.

Ritenuto di vitale importanza da Lucca perché confinante con il territorio fioren-tino, Castelvecchio restò sotto il dominio della ‘Città del Volto Santo’ fino alla me-tà del XIV secolo.

Nel periodo compreso tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, infat-ti, a seguito dei numerosi conflitti tra Firenze e Lucca, i borghi della Valleriana pas-sarono più volte dall’una all’altra fazione. Solo nel 1429 il paese si sottopose defi-nitivamente a Firenze e da quel momento la storia di Castelvecchio non si distinse

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più per particolari episodi bellici, se non per brevi dispute in materia di confine con la vicina San Quirico.

Il paese è caratterizzato da un primitivo nucleo con al centro la rocca, situata nella parte più elevata dell’altura, e si è sviluppato nei secoli successivi in modo con-centrico. L’espansione extra moenia avvenne lungo il percorso di crinale, che col-lega il nucleo fortificato (455 metri s.l.m.) alla Pieve dei Santi Tommaso e Ansano (472 metri s.l.m.), distanti tra loro 350 metri.

La Pieve Arriana e il borgo castellano costituiscono due entità a sé stanti, che hanno influenzato la storia della Valleriana in modi e tempi differenti.

La pieve, documentata a partire dal 879, rimase fino alla metà del XV secolo a capo di una giurisdizione religiosa di un certo rilievo, alla quale fecero capo le chie-se di Pontito, Stiappa, San Quirico, Sorana, Lignana, Aramo, Fibbialla e Medicina. Dopo il passaggio sotto la diocesi di Pistoia prima (1440) e di Pescia dopo (1519), il piviere di San Tommaso e Ansano, così come quello dei Santi Sisto e Martino, per-se gran parte delle sue funzioni liturgiche e di controllo territoriale. La rocca, inve-ce, fungeva da presidio politico/militare di un’area attraversata da due importanti arterie di comunicazione, che consentivano di raggiungere l’una la val di Lima e l’altra la valle del Reno.

La pieve è a tre navate triabsidate, con cripta sotto il presbiterio e copertura a ca-priate lignee. Stilisticamente fa riferimento alle architetture romaniche di area lom-barda. Il paramento murario è composto da blocchi in arenaria macigno, di proba-bile provenienza dalle vicine cave (Cava della Rave che parla, Cava del Pucci, Cava di San Rocchino), ed è caratterizzato da un apparato di tipo pseudo-isodomo, a cor-si paralleli ed orizzontali di varia altezza. I conci sono di forma rettangolare, lavo-rati con gradina, riquadlavo-rati a scalpello piano e contornati da un nastrino. Nel XIX secolo, a seguito di un incendio, la pieve venne pesantemente rimaneggiata.

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Distante alcuni metri dall’edificio religioso si trova la torre campanaria, anch’es-sa costituita da blocchi di pietra arenaria, con forma massiccia e quasi priva di aper-ture. È possibile che l’originaria struttura fosse organizzata su due livelli, l’ultimo dei quali composto da quattro pilastri ed un vano aperto ospitante la campana. Successivamente, la torre sarebbe stata rialzata tamponando questo livello ed ag-giungendone un altro, caratterizzato su ciascun fronte da una bifora.

La rocca, ascrivibile ai secoli X-XI, era posta al centro dell’insediamento, nella zona più alta chiamata ‘la torre’. Si tratta di un corpo turrito massiccio a base qua-drata, poggiante su roccia viva e caratterizzato da grandi blocchi sbozzati in pietra arenaria, di forma parallelepipeda con un nastrino di grande dimensione.

La lettura del tessuto edilizio suggerisce la possibile presenza di una primitiva cinta muraria a difesa della rocca, anche se non è possibile stabilirne con esattezza né l’andamento né le caratteristiche.

La più antica cerchia difensiva documentata venne realizzata nel XIII secolo, a pro-tezione dell’abitato che si era formato attorno alla primitiva emergenza, lungo quella che è oggi la Via del Cassero. I resti delle mura duecentesche sono visibili per un pic-colo tratto lungo Via Piana, in prossimità dell’unica porta di accesso al primo nucleo abitato (non è da escludere che un ulteriore accesso fosse posizionato verso nord-est, segnando l’inizio del percorso che da Castelvecchio si dirigeva verso Stiappa e Pontito).

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La differenza di quota tra Via Piana e Via del Cassero (esistente, ad esempio, anche a Sorana) viene superata attraverso una doppia rampa; è presumibile che in origine tale rampa fosse amovibile, consentendo una migliore difesa della porta urbica. Quest’ultima è caratterizzata da un apparato in pietra arenaria con conci di varia di-mensione, squadrati e lavorati con strumenti a punta singola, forse una subbia. L’arco è a sesto ribassato con conci disposti in modo radiale; il concio di chiave ha forma a cuneo e all’imposta sono presenti mensole decorate con modanature.

Nel XV secolo, con la conquista di Castelvecchio da parte dei fiorentini, si assi-stette ad un nuovo impulso edilizio, con la conseguente costruzione di un secondo sistema difensivo. Di tale cerchia muraria è pervenuta, seppur molto rimaneggiata, la porta di accesso, costituita da conci in pietra serena squadrati, lavorati con una subbia, e contrassegnata da un architrave monolitico anch’esso in pietra serena (non è da escludersi però che originariamente vi fosse un archivolto). La cortina muraria è chiaramente visibile nei pressi della fontana su Piazza di Castelvecchio ed è com-posta da pietre sbozzate di varia dimensione. Altri resti sono dislocati anche lungo Via di Sotto e Via per Pontito.

Venuta meno la sua funzione militare, l’abitato del castello si espanse extra

moe-nia, attestando piccoli raggruppamenti di case rurali lungo i percorsi principali. A

seguito delle mutate esigenze della nuova società rurale e del decadimento della Pieve Arriana, una nuova chiesa dedicata a San Giovanni Battista (databile attorno al XVIII secolo) venne costruita all’interno del castello, lungo il percorso delle mu-ra quattrocentesche (Via Piana). L’accesso all’edificio non avviene dal fronte che

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prospetta il percorso, bensì lateralmente; all’interno sono presenti tre navate prive di abside, coperte da un tetto a falde sorretto da capriate lignee. Le campate sono scandite da pilastri al primo livello e da lesene al secondo. Sul fianco nord dell’edi-ficio si colloca la torre campanaria, originariamente appartenente alla seconda cer-chia muraria.

Dall’apertura archivoltata alla base della torre si accede all’Oratorio del SS. Rosario, collocato esattamente al di sotto della Chiesa di San Giovanni Battista; si tratta di un piccolo vano risalente alla fine del XVI secolo, completamente decora-to, lungo le pareti e nel soffitdecora-to, da un ciclo di affreschi narranti i misteri del Rosario e la passione di Cristo. L’ambiente, cui si accede scendendo tre scalini, riceve luce dalle due monofore poste ai lati dell’altare, che si affacciano sul versante del pro-montorio che guarda a sud verso Pescia. Nel XVII secolo era sede della Compagnia del Corpus Christi e del SS. Rosario.

Alla destra dell’oratorio, sempre al di sotto della Chiesa di San Giovanni Battista, un ulteriore piccolo ambiente fungeva probabilmente da sede di un’altra compa-gnia locale, con tutta probabilità dedicata a San Rocco, come testimonia un affre-sco raffigurante il santo a fianco della Madonna col Bambino.

La residenza dei Conti Garzoni, signori di Castelvecchio nella seconda metà del XIV secolo, è indicata dalla tradizione popolare in un edificio presente in Via San Vincenzo. Sulla facciata principale è presente uno stemma lapideo della famiglia comitale di dubbia autenticità, poiché privo di usure e collocato in alto in una po-sizione inusuale. Osservando l’apparato murario è possibile riconoscere sul lato de-stro, nella parte bassa, i resti di un manufatto più antico. Addossata al fabbricato odierno si trova una cappella decorata con uno stemma raffigurante un leone ram-pante ed un’iscrizione che recita «Vince set Bartol Casini fecerant in MDCCCII». Altri stemmi ascrivibili a famiglie fiorentine, tra le quali i Peruzzi, sono apposti sui fronti di alcuni edifici fortemente manomessi.

Non sono state invece riscontrate tracce di una struttura ascrivibile ad un palaz-zo comunale.

Fuori dalla cinta muraria, in prossimità di un crocevia tra il percorso provenien-te dalla pieve e le due strade che dal paese si diramano l’una verso Stiappa e l’altra verso Sorana, si trova la Cappella della Madonna del Latte, databile intorno al XVII secolo. Ospitava in origine l’omonimo affresco, ora non più esistente, ed è possibi-le che si trattasse di una delpossibi-le tappe di un percorso processionapossibi-le possibi-legato all’attività liturgica dell’intera Valle Arriana. L’architettura è caratterizzata da un impianto a forma quadrangolare coperto da un tetto in legno e laterizio, con un paramento mu-rario in pietra di varia pezzatura spaccata, sbozzata e rigata con una gradina, con inserti in laterizio.

Immediatamente fuori dalla Porta Fiorentina, addossata alle mura quattrocente-sche, è collocata una fonte, della quale si hanno notizie certe a partire dal 1678.

Dall’analisi del catasto del 1824 si evince che, sul percorso che dalla sommità del versante scende verso San Quirico per poi dirigersi alla pieve di Castelvecchio, si trova una dogana di terza categoria. Tale notizia conferma l’importanza del bor-go come tappa di una complessa rete di commercio che dalla Valleriana si diparti-va verso la Valle della Lima.

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Stiappa

Il Castello di Stiappa è posto a mezzacosta, sulle pendici del crinale che separa la Valle della Pescia di Collodi da quella della Pescia di Pontito. L’insediamento pre-senta una conformazione ‘a ventaglio’, che si adatta all’orografia esistente median-te median-terrazze che assecondano l’andamento delle curve di livello. La sua forma è, inol-tre, condizionata dalla presenza di due corsi d’acqua che delimitano l’insediamen-to rispettivamente a settentrione ed a meridione.

Il tessuto edilizio si at-testa sia sui percorsi anula-ri sia su quelli che rapida-mente salgono verso la sommità del paese, dove è situata la Chiesa di Santa Maria.

Il primo cerchio di mu-ra, così come accade a Pontito, racchiudeva l’edi-ficio religioso. Da una visi-ta pastorale avvenuvisi-ta nel 1647 sappiamo che la chiesa versava in pessime condizioni ed è probabile che per tale motivo venne adibito a sede parrocchia-le un oratorio già presente all’interno dell’abitato.

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Il castello di Stiappa.

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Pontito

Pontito, documentato nelle carte lucchesi fin dal 900 (il paese, denominato «ad puntito», viene citato come possedimento della Pieve di San Tommaso), è il castello più a settentrione della Valleriana e sorge sul versante di un colle a quota 749 metri s.l.m. Tipico insediamento di mezzacosta, l’abitato deve la sua forma ‘a ventaglio’ al-la contemporanea presenza del percorso di controcrinale sintetico che si trova alal-la sua base e di quello che collega in pendenza la rocca alle numerose terrazze su cui si attestano gli edifici. Quest’ultima si trova in posizione dominante, sia per ragioni difensive sia per avere una visuale migliore sulla valle; dell’edificio rimangono solo alcuni lacerti ed è presumibile che fosse circondato da una cerchia difensiva, cui sembrano appartenere i resti di tozze murature erose e sommerse dalla vegetazione. Nel caso di Pontito, a differenza dei vicini castelli, anche la chiesa è inclusa dentro il perimetro delle prime mura. Si tratta della chiesa bassomedievale dedica-ta ai SS. Andrea e Lucia, fiancheggiadedica-ta da una massiccia torre campanaria di fog-gia romanica.

In questa cerchia muraria si aprono quattro porte, rispettivamente chiamate: di sopra, di sotto, Michelina e Luca. Da Porta di Sotto e Porta San Luca (oggi distrutta) si snodava il percorso di mezzacosta che dal fondovalle conduceva al Passo di Croce a Veglia.

Il paese è organizzato su diversi livelli che seguono le curve altimetriche, con strade a settori circolari sempre più larghi man mano che si scende verso il basso.

Del vecchio palazzo comunale non resta più alcuna traccia; al suo posto vi è og-gi una civile abitazione, all’interno della quale alcune incisioni su pietra potrebbe-ro rimandare all’antica funzione.

Numerosi sono gli stemmi gentilizi apposti sui fronti delle abitazioni, a testimo-nianza di una realtà sociale ed economica ben più articolata di quella odierna.

Ai secoli XVIII e XIX risalgono le fonti pubbliche, poste sul percorso che fiancheggia il castello e ricavate da enormi blocchi di pietra arenaria, lavorati a scalpello per formare va-sche monolitiche. Neoclassiche nel-lo stile, tali opere sono state realizza-te, secondo la tradizione, durante il corso del l’Ottocento.

Ai piedi ed alla testa del paese, infine, vi sono due piccoli oratori, il primo dedicato alla Ma donna delle Grazie e il secondo alla Madonna del Soccorso.

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Sorana

L’abitato di Sorana si colloca in posizione strategica alla testata del crinale che separa il Torrente Pescia di Pontito dal Pescia di Vellano, a controllo del ponte co-struito alla confluenza dei due corsi d’acqua. L’affaccio sulle due valli, ad una quo-ta di circa 400 metri s.l.m., consente un’ampia visuale sul sistema insediativo circo-stante e sui percorsi di lungofiume, facendo dell’abitato un importante punto di av-vistamento.

Ricordata per la prima volta in un documento del 938, Sorana sembra derivare il nome dall’appellativo del suo originario sistema fortificato, la Rocca Sovrana, edi-ficato con orientamento nord-est/sud-ovest sull’acrocoro al termine del percorso di crinale discendente dal Monte Lignana.

Il nucleo insediativo più antico si formò all’interno del primo circuito murario, di forma pressoché rettangolare, lungo il percorso di spina uscente dalla rocca. Le espansioni successive, avvenute su percorsi anulari a quote via via più basse,

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Scorcio dell’abitato di Sorana e, a destra, la torre divenuta campanile della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo.

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