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L'UTILIZZO DI VIBRAZIONI FOCALI NELL'ESERCIZIO DI RINFORZO MUSCOLARE

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Academic year: 2021

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1 DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE DELLE ATTIVITÀ MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

L’UTILIZZO DI VIBRAZIONI FOCALI

NELL’ESERCIZIO DI RINFORZO MUSCOLARE

ANNO ACCADEMICO 2019-2020 CANDIDATO:

GIULIA DEL SOLDATO

RELATORE:

CHIAR.

MO

PROF. CARMELO

CHISARI

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3

Indice

1. Abstract ... 5 2. Introduzione ... 6 2.1 Il muscolo: generalità ... 6 2.2 Il quadricipite femorale ... 11 3. Le vibrazioni meccaniche ... 15 3.1 Il fenomeno vibratorio ... 15

3.2 Sensibilità vibratoria e recettori specializzati ... 16

3.3 Tipi di vibrazione ... 19

o 3.3.1 Whole Body Vibration (WBV) ... 20

o 3.3.2 Focal Vibration (FV) ... 20

o 3.3.3 Modulazione degli effetti della stimolazione vibratoria ... 22

o 3.3.4 Effetti della vibrazione su plasticità e controllo motorio ... 22

3.4 Applicazioni cliniche della terapia vibratoria focale ... 23

4. Il rinforzo muscolare ... 24

4.1 Approcci tradizionali nell’allenamento della forza ... 25

4.2 L’effetto dell’allenamento della forza sul sistema neuromuscolare .... 25

4.3 Metodi di allenamento della forza ... 26

4.4 Test della forza ... 32

o 4.4.1 Test di forza massimale... 32

o 4.4.2 Test di forza rapida ... 33

o 4.4.3 Test di forza resistente ... 35

o 4.4.4 Metodiche strumentali per valutare la contrazione muscolare ... 35

5. Efficacia dell’applicazione delle vibrazioni focali nel rinforzo muscolare del quadricipite femorale: revisione della letteratura ... 36

5.1 Frequenza vibratoria nel range 8-60 Hz ... 36

5.2 Frequenza vibratoria a 100 Hz ... 38

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6. Risultati ... 41

6.1 Caratteristiche delle popolazioni di studio ... 41

6.2 Protocolli di trattamento ... 41

6.3 Misure di Outcome ... 42

6.4 Effetti delle FV sulla forza muscolare... 42

7. Discussione ... 45

8. Conclusioni ... 48

9. Bibliografia ... 49

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1. Abstract

Le vibrazioni focali sono considerate una metodica emergente per il potenziamento dell’allenamento di rinforzo muscolare.

Questa revisione della letteratura, analizza l’efficacia dello stimolo vibratorio nel training di rinforzo del quadricipite femorale, nei soggetti sani.

La nostra ricerca ha incluso studi che valutavano gli effetti delle Focal Vibrations (FV) sulla forza muscolare in adulti sani e che utilizzavano come gruppo di controllo vibrazione sham, training di rinforzo convenzionale o nessun intervento. Gli studi che utilizzavano Whole Body Vibration (WBV) sono stati esclusi. I criteri di eleggibilità hanno identificato 8 studi per un totale di 155 soggetti sottoposti a FV.

Il risultato principale che emerge dagli studi esaminati, è che l’utilizzo di vibrazioni focali, nei protocolli di rinforzo muscolare, è in grado di incrementare l’espressione di forza del muscolo quadricipite femorale. Il limite principale di questa revisione era la grande eterogeneità degli studi analizzati in termini di criteri di inclusione, numerosità della popolazione di studio e caratteristiche dei protocolli sperimentali.

Ulteriori studi sono necessari per chiarire i meccanismi neurofisiologici alla base del miglioramento della performance motoria e per definire protocolli di stimolazione personalizzati e più efficaci nel training di rinforzo del quadricipite femorale e di altri distretti muscolari.

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2. Introduzione

2.1 Il muscolo: generalità

Il muscolo scheletrico è un elemento dell’apparato locomotore deputato al movimento dei segmenti corporei ed è composto prevalentemente da tessuto muscolare striato, un tessuto biologico con capacità contrattile volontaria.

Le funzioni principali del muscolo scheletrico sono: garantire la locomozione e proteggere le strutture osteo-articolari consentendo una funzione di sostegno. Inoltre esso provvede a sostenere il peso dei visceri, proteggendoli da traumi esterni (muscoli della parete dell’addome), al controllo volontario della defecazione e della minzione (muscoli sfinteri striati dell’ano e dell’uretra) e svolge un ruolo chiave nella respirazione (diaframma). L’insieme dei muscoli scheletrici costituisce l’apparato muscolare che, unito alle articolazioni e allo scheletro, fa parte dell’apparato locomotore. L’apparato muscolare scheletrico è complesso, con un elevato numero di elementi dalla forma molto variabile, la cui disposizione, spesso stratificata, deve permettere un lavoro sinergico e coordinato. Il tessuto muscolare rappresenta un importante costituente della massa corporea: nell’adulto l’insieme di tutti i muscoli scheletrici ne rappresenta circa il 40%, superando in termini di peso e volume ogni altro apparato [1].

I muscoli scheletrici sono classificabili in base a differenti caratteristiche macroscopiche che includono: la forma [muscoli lunghi (es. m. quadricipite femorale), muscoli larghi (es. m. grande dorsale), muscoli corti (es. mm. Paravertebrali), muscoli circolari (es. sfinteri)]; l’azione svolta (muscoli flessori, estensori, ecc.); la sede di inserzione (cutanea o sottocutanea per i muscoli pellicciai , ossea o a livello di guaine muscolari per i muscoli scheletrici o profondi; il numero di punti di origine, o capi (bicipite, tricipite, quadricipite).

A livello cellulare si riconoscono i miociti, con una forma fusata, che sono costituiti da una membrana cellulare, detta sarcolemma, e da un nucleo cilindrico situato all’interno del citoplasma. Il citoplasma, detto anche sarcoplasma, contiene migliaia di miofibrille, ognuna delle quali è composta da circa 1500 filamenti di miosina e 3000 di actina. L’unità strutturale e funzionale della miofibrilla è il sarcomero, che rappresenta la più piccola unità in grado di contrarsi; i vari sarcomeri si susseguono in serie uno dopo l’altro nella miofibrilla. Questa organizzazione strutturale appare al microscopio elettronico come un’alternanza di bande più chiare, corrispondenti all’actina, e bande scure, contenenti miosina [Fig.1].

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7 Lo scorrimento delle bande di actina e miosina è responsabile dell’accorciamento dei sarcomeri, della miofibrilla e, quindi, della contrazione muscolare La contrazione avviene sotto il controllo degli impulsi nervosi dei motoneuroni del Sistema Nervoso Centrale (SNC).

Si riconoscono motoneuroni corticali (superiori), originanti dall’area motoria primaria, e motoneuroni spinali (inferiori), situati nel corno anteriore del midollo spinale. Si definisce unità motoria (UM) l’associazione tra il motoneurone inferiore e l’insieme delle fibre muscolari da esso innervate [2]. L’UM è quindi caratterizzata dal soma del motoneurone, situato nel midollo spinale, dall’assone, che raggiunge il muscolo target percorrendo la radice motoria del nervo spinale, dalla giunzione neuromuscolare (placca motrice), che attiva la contrazione muscolare e dalle fibre muscolari. [Fig. 2]. Le UM differiscono per il numero di fibre muscolari innervate dal singolo motoneurone: minore è il numero di fibre sotto il controllo di un singolo motoneurone, più fine sarà il controllo motorio di quel distretto; per contro, UM molto grandi produrranno contrazioni di ampi volumi di muscolo scheletrico.

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8 Ogni muscolo è composto

da due tipi di fibre classificate in fibre rosse (tipo I), specializzate nella contrazione lenta e che garantiscono resistenza, e fibre bianche (di tipo IIa e IIb) a contrazione rapida che esprimono velocità [1].

Le fibre rosse di tipo I sono coinvolte in azioni muscolari di lunga durata sfruttando un tipo

di metabolismo prevalentemente aerobico. Dal punto di vista strutturale: sono più sottili di quelle bianche, sono dotate di un maggior numero di mitocondri per le funzioni metaboliche e sono più vascolarizzate.

Le fibre bianche di tipo IIb sono caratterizzate da contrazione rapida ed elevata

affaticabilità, vengono reclutate per azioni muscolari rapide ed intense. Queste fibre non contengono mitocondri e hanno una bassa densità del letto capillare, il loro metabolismo è prevalentemente di tipo anaerobico.

Figura 2:

rappresentazione della via motoria discendente e dell’unità motoria.

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Le fibre di tipo IIa hanno una velocità di contrazione leggermente inferiore rispetto alle fibre

bianche di tipo IIb, ma sono dotate di una maggior resistenza alla fatica in quanto possono utilizzare un metabolismo di tipo aerobico per la presenza di mitocondri. Sono conosciute anche come fibre intermedie ovvero come punto di passaggio tra le fibre veloci e quelle lente. Il metabolismo che possiedono è di tipo anaerobico prolungata.

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10 Oltre al tessuto muscolare scheletrico se ne riconoscono altre due tipologie [Fig.4]:

Tessuto muscolare striato cardiaco: costituisce la componente muscolare del cuore,

responsabile della continua e ritmica attività cardiaca. È formato da fibre muscolari striate, molto simili microscopicamente ai miociti del muscolo scheletrico. La differenza principale consiste nel fatto che l’attività contrattile di questo tessuto non è sotto il controllo volontario; la contrazione dei cardiomiociti dipende dall’automatismo intrinseco di queste cellule e risponde alla modulazione del sistema nervoso vegetativo.

Tessuto muscolare liscio: Il tessuto muscolare liscio riveste le pareti degli organi

preposti alle funzioni vegetative: i vasi sanguigni, l’albero bronchiale ed organi cavi dell’apparato digerente e urinario. A livello microscopico è caratterizzato dall’assenza di striature trasversali mentre, macroscopicamente, ha un aspetto più chiaro rispetto a quello della muscolatura striata. La sua contrazione avviene in maniera involontaria e lenta, è sotto il controllo di stimolazione nervosa autonoma, ormonale o farmacologica.

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2.2 Il quadricipite femorale

Il quadricipite femorale è il muscolo più voluminoso dell’arto inferiore, circonda il femore ventralmente, medialmente e lateralmente ed occupa la regione anteriore della coscia. È costituito da quattro ventri, ognuno dei quali presenta una propria origine (o capo, come suggerisce il suo nome). L’inserzione distale è comune ed avviene in parte a livello della rotula ed in parte sulla tuberosità tibiale, dove termina con il tendine rotuleo. I quattro capi sono: il retto femorale anteriore, che risale fino al bacino; il vasto mediale e laterale, così chiamati per le loro dimensioni considerevoli; il vasto intermedio, in uno strato più profondo, ricoperto dal retto femorale e compreso tra i due vasti laterali. Negli ultimi anni è stata scoperta la presenza di un quinto fascio muscolare appartenente al quadricipite femorale ovvero il tensore del vasto intermedio. Quest’ultimo si trova tra il vasto intermedio ed il vasto laterale e sembra avere una funzione importante nel bilanciamento della patella [3].

Il muscolo retto del femore occupa la parte anteriore e mediana della coscia, prossimalmente possiede due inserzioni distinte: la prima sulla spina iliaca antero-inferiore con un tendine diretto, e l’altra originante dalla parte più alta del contorno della cavità dell’acetabolo, con un’espansione fibrotendinea che costituisce il tendine riflesso. La sua azione si applica su due articolazioni: contribuisce alla flessione della coscia sul bacino e permette l’estensione del ginocchio, in cooperazione con gli altri ventri del quadricipite [Fig.5].

Figura 5: origine ed inserzione del muscolo retto del

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12 Il muscolo vasto laterale forma una massa larga e appiattita applicata sulla faccia laterale della diafisi femorale. Origina dalla faccia laterale del grande trocantere, dalla tuberosità glutea e dalla parte superiore del labbro laterale della linea aspra della diafisi femorale. Cooperando con gli altri ventri del quadricipite, questo muscolo permette l’estensione del ginocchio [Fig.6].

Il muscolo vasto mediale è più spesso e meno largo del precedente, origina dal labbro mediale della linea aspra della diafisi femorale e sulla linea rugosa, posta sulla faccia posteriore del femore che unisce la linea aspra al piccolo trocantere. La sua azione, coordinata con quella degli altri ventri quadricipitali, permette l’estensione del ginocchio e stabilizza, in parte, l’articolazione del ginocchio [Fig.7].

Figura 6: origine ed inserzione del muscolo vasto

laterale

Figura 7: origine ed inserzione del muscolo vasto

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13 Il muscolo vasto intermedio giace sulla faccia anteriore e laterale della diafisi femorale. È situato tra il vasto mediale ed il vasto laterale, da cui è ricoperto in gran parte. Origina sul labbro laterale della linea aspra, dove confonde le sue fibre con quelle del vasto laterale, quindi si inserisce nei ¾ prossimali delle facce anteriore e laterale di femore. I fasci si portano sulla faccia profonda di una larga lamina tendinea che si fonde in gran parte lungo il suo margine mediale con il muscolo vasto mediale. La sua azione contribuisce, insieme agli altri ventri del quadricipite, all’estensione del ginocchio [Fig.8].

Le quattro porzioni del muscolo quadricipite convergono distalmente verso la faccia anteriore del ginocchio pur rimanendo strutturalmente distinte. Infatti il tendine rotuleo si compone di tre lamine sovrapposte:

- lamina superficiale formata dal tendine del muscolo retto del femore;

- lamina intermedia dovuta alla fusione dei due muscoli vasti, mediale e laterale; - lamina profonda costituita dal tendine del muscolo vasto intermedio.

Il tendine del muscolo retto del femore termina in parte sul polo superiore della rotula ed in parte si continua distalmente nel legamento rotuleo. I muscoli vasto mediale e laterale convergono verso la regione anteriore del ginocchio, trovando inserzione sul contorno mediale e laterale della rotula; le fibre più superficiali oltrepassano la rotula prolungandosi in basso fino a fondersi con il legamento rotuleo, che trova inserzione sulla tuberosità tibiale.

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14 Globalmente l’azione del muscolo quadricipite femorale è quella di estendere la gamba sulla coscia. Essa è determinante durante la deambulazione, la corsa ed altre attività motore complesse come salire le scale, saltare e alzarsi dalla posizione seduta.

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3. Le vibrazioni meccaniche

3.1 Il fenomeno vibratorio

Le vibrazioni si definiscono come oscillazioni meccaniche generate da onde di pressione che si tramettono attraverso corpi solido-elastici. L’oscillazione, intesa come movimento che un punto mobile compie per tornare alla posizione iniziale, produce una vibrazione che si caratterizza principalmente per due parametri: frequenza e ampiezza.

La frequenza, misurata in Hertz (Hz), fa riferimento al numero di cicli oscillatori completi compiuti nell’unità di tempo, mentre l’ampiezza definisce l’entità della variazione e si può esprimere sia come unità di forza (Newton o Kg) che come unità di grandezza dello spostamento (Millimetri o sue frazioni) [4]. Tradizionalmente, la trasmissione di vibrazioni meccaniche alle strutture corporee, specialmente in ambito professionale, veniva considerata un meccanismo lesivo in grado di determinare severi quadri patologici a carico dei segmenti esposti. Negli ultimi anni, invece, numerosi gruppi di ricerca hanno messo in evidenza gli effetti benefici e le applicazioni terapeutiche della vibrazione meccanica, favorendone un crescente utilizzo in ambito clinico. Nonostante l’ampia diversificazione delle applicazioni della terapia vibratoria, permane la necessità di definire dei protocolli standardizzati in grado di produrre effetti terapeutici riproducibili e persistenti nel tempo.

Figura 9: Parametri descrittivi dell’oscillazione meccanica che produce la

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3.2 Sensibilità vibratoria e recettori specializzati

La percezione dello stimolo vibratorio coinvolge i meccanorecettori, definiti come strutture recettoriali localizzate in varie sedi anatomiche (cute, muscolo, periostio, capsule e legamenti articolari), sensibili a varie tipologie di stimolazioni meccaniche. Oltre che per la localizzazione anatomica e sensibilità a diversi pattern di stimolazione, i meccanorecettori differiscono per il tipo di innervazione e per le capacità di adattamento allo stimolo. Nell’uomo la stimolazione vibratoria viene recepita da molteplici meccanorecettori cutanei e sottocutanei. Tali recettori sono classicamente distinti in base alla frequenza di vibrazione attivante: i recettori del Merkel sono maggiormente responsivi a vibrazione di bassa frequenza (5-15 Hz); i corpuscoli del Meissner sono sensibili a stimoli con frequenze intermedie (20-50 Hz) mentre i corpuscoli del Pacini rispondono a stimoli ad alta frequenza (60-400 Hz) [4].

Mountcastle et al. [5], tramite la caratterizzazione di modelli animali, hanno ulteriormente arricchito la classificazione dei meccanocettori vibratori mediante la suddivisione in tre gruppi, tra loro distinguibili in base al tipo di terminazione nervosa, all’area del campo recettoriale e alla risposta di adattamento allo stimolo. Le tre classi di meccanorecettori così individuate sono:

1. Meccanorecettori ad adattamento rapido (Fast Adaptation-1, FA-1): localizzati a livello dermico, sono sensibili al movimento e corrispondono ai corpuscoli di Meissner.

2. Meccanocettori ad adattamento rapido di tipo due (Fast Adaptation-2, FA-2): corrispondono ai corpuscoli del Pacini, localizzati nel tessuto sottocutaneo, particolarmente a livello del palmo delle mani della pianta dei piedi, ma anche in altre strutture (periostio, fasce e tendini). Presentano massima risposta alle frequenze di 250 Hz.

3. Meccanorecettori ad adattamento lento SA-1(Slow Adaptation-1, SA-1): anch’essi a sede dermica sono recettivi sia nei confronti del movimento che dell’intensità dello stimolo meccanico a cui sono sottoposti; corrispondono ai dischi di Merkel [Fig.10].

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17 Nel pool dei recettori che rispondono alla sensibilità vibratoria troviamo anche i fusi neuromuscolari (FNM) e gli organi tendinei del Golgi (OTG), recettori propriocettivi specializzati. Entrambe le tipologie di meccanocettori presentano innervazione sensitiva costituita da fibre mielinizzate di grande calibro (Ia di Loyd).

I FNM sono recettori sensibili allo stiramento e sono localizzati all’interno del muscolo striato-volontario, posti in parallelo alle fibre muscolari. In condizioni di riposo, i FNM trasmettono informazioni riguardo lo stato di stiramento del muscolo, comunicando, quindi, il senso di posizione del relativo segmento corporeo al SNC. A livello del midollo spinale tali fibre afferenti (dalla periferia al midollo) contraggono sinapsi direttamente con i motoneuroni deputati all’innervazione dello stesso muscolo in senso efferente (dal midollo alla periferia). Durante il movimento il fuso si allunga e si accorcia insieme al muscolo determinando un aumento della frequenza degli impulsi afferenti. Questi segnali vengono rielaborati a livello del midollo spinale, causando la contrazione riflessa del muscolo e preservandolo dal danno determinato da un suo eccessivo stiramento. Tale meccanismo involontario riflesso è denominato riflesso da stiramento o riflesso miotatico [Fig. 11]. Contemporaneamente, le fibre sensoriali afferenti prendono connessione con interneuroni inibitori deputati al temporaneo “silenziamento” dei motoneuroni dei muscoli antagonisti, inibendone la contrazione [6].

Figura 10: rappresentazione dei meccanocettori

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18 Gli OTG sono localizzati a livello della giunzione tra il tendine ed il ventre muscolare e la loro funzione è quella di essere sensibili allo stato di tensione sviluppato sui tendini dai muscoli in contrazione, così da mettere in atto un meccanismo protettivo di emergenza mediante il cosiddetto riflesso miotatico inverso [Fig.12]. Durante la contrazione muscolare gli OTG registrano il grado di tensione del tendine innescando, in caso di rilevamento di un carico eccessivo, l’immediato rilasciamento muscolare che protegge le fibre tendinee da potenziali danni [6].

Figura 11: riflesso miotatico, espletato dai fusi neuromuscolari, che fornisce

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19 Sebbene i FNM e gli OTG non possano essere considerati primariamente meccanocettori deputati alla sensibilità vibratoria, queste strutture mostrano una risposta alla stimolazione vibratoria meccanica provocata dalla ritmica oscillazione della lunghezza della fibra muscolare esposta allo stimolo vibratorio. Bianconi et al. [7] hanno dimostrato che i FNM e gli OTG sono attivabili in modo differenziato mediante vibrazione meccanica focale. Quando la vibrazione è applicata al muscolo, o al suo tendine, l’oscillazione imposta dal vibratore si traduce in oscillazioni di lunghezza delle fibre muscolari e in oscillazioni di tensione delle fibrille tendinee secondarie ai piccoli allungamenti-accorciamenti delle fibre muscolari.

3.3 Tipi di vibrazione

I diversi protocolli di applicazione dello stimolo vibratorio differiscono per una serie di parametri che includono: la frequenza e l’ampiezza di vibrazione, la durata della stimolazione, la condizione di attività o riposo del soggetto e la superficie corporea a cui viene applicato lo stimolo meccanico vibratorio. Quest’ultima variabile ci permette di distinguere i protocolli di vibrazione in due macro-categorie:

● Whole Body Vibration (WBV) che consiste nella somministrazione generalizzata di vibrazioni all’intero organismo;

● Focal Vibration (FV) in cui le vibrazioni vengono applicate su determinati distretti corporei.

Figura 12: riflesso miotatico inverso, espletato dagli organi tendinei del

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3.3.1. Whole Body Vibration (WBV)

La WBV è una sollecitazione di tipo meccanico ad oscillazioni verticali, ritmiche e costanti nel tempo, che viene applicata a tutto il corpo tramite specifici dispositivi, rappresentati da pedane vibranti. Durante questo tipo di stimolazione, la risposta dei sistemi biologici dipende in primo luogo dalla frequenza e dall’ampiezza delle vibrazioni trasmesse dalla pedana, ma anche da una moltitudine di altri fattori quali, ad esempio, la postura e lo stato di tensione muscolare del soggetto. Infatti, l’applicazione di una vibrazione ad un corpo rettilineo o incurvato può influenzare il punto in cui la vibrazione risulta più intensa mentre lo stato di tensione e rigidità muscolare può modificare la propagazione dell’oscillazione meccanica [8,9]

. Il meccanismo di azione della WBV è stato correlato all’attivazione del riflesso tonico da vibrazione (TVR) [10] ed al potenziamento della contrazione muscolare [11]. Il TVR è una contrazione riflessa indotta dalla stimolazione dei tendini o dei muscoli, riscontrabile anche per le FV. Inoltre, la WBV si basa sulla sensibilità alla stimolazione vibratoria tridimensionale, infatti, quando il soggetto è posizionato su una piattaforma vibrante si ha una stimolazione generalizzata dei fusi neuromuscolari. La contrazione muscolare è ripetitivamente stimolata e, in tal modo, la WBV stimola alternativamente il rilassamento e la contrazione delle fibre muscolari conducendo ad un miglioramento della coordinazione neuromotoria e, quindi, della performance neuromuscolare [12]. Il principale limite della WBV è l’impossibilità di circoscrivere gli effetti dello stimolo vibratorio ad uno specifico distretto muscolare. Inoltre, alcuni autori hanno evidenziato possibili effetti collaterali della WBV, in particolare a carico delle strutture della colonna vertebrale, responsabili dell’insorgenza di quadri di lombosciatalgia[13,14].

3.3.2. Focal Vibration (FV)

Le FV si differenziano dalla WBV in quanto applicate in modo localizzato e selettivo sui singoli distretti muscolari. L’applicazione delle FV avviene mediante un’apparecchiatura che attraverso appositi trasduttori, applica lo stimolo vibratorio in maniera localizzata e non invasiva. I trasduttori possono essere a calotta emisferica [Fig.13], ultrapiatti o manuali.

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21 I risultati di uno studio sperimentale condotto da R. Bianconi et al. [15] dimostrano come la FV sia in grado di attivare selettivamente e linearmente afferenze dei FNM o degli OTG, a seconda delle caratteristiche dello stimolo. Quando la vibrazione è applicata al ventre muscolare o al tendine, le oscillazioni si propagano nelle fibre muscolari in termini di modificazioni ritmiche nella lunghezza rilevate dai FNM. Nelle fibrille tendinee, invece, gli OTG registrano le modificazioni di tensione. Le afferenze al SNC provenienti da entrambi questi meccanocettori presentano le medesime proprietà fondamentali del sistema sensitivo: l’ampiezza del segnale influenza il numero di fibre coinvolte nello stimolo, i treni di potenziali d’azione legati al ciclo allungamento-accorciamento sono proporzionali alla frequenza di stimolo dove, a frequenza più alta corrisponde una frequenza di potenziali d’azione più elevata. Ulteriori evidenze [16]

, suggeriscono come la vibrazione focale sia in grado di stimolare, attraverso il TVR, un’intensa risposta del sistema neuromuscolare traducibile in una forte contrazione muscolare attivata tramite il meccanismo funzionale del ciclo di allungamento-accorciamento. Nel caso della FV, oltre all’attivazione in modo non invasivo dei FNM e OTG, si è evidenziato che, a determinate caratteristiche di frequenza ed ampiezza, questi recettori generano scariche di potenziali d’azione fedeli alla frequenza di vibrazione applicata [17,18], questo fenomeno è noto come “driving” ed è particolarmente marcato a frequenze intorno ai 100Hz. Pertanto, tramite la modulazione dei parametri della vibrazione, è possibile sia selezionare le afferenze attivate, sia determinare la frequenza dei potenziali d’azione inviati al SNC.

Figura 13: Applicazione vibrazione focale tramite trasduttore a calotta

emisferica posto sul distretto muscolare del quadricipite femorale e fissato con fascia elastica.

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3.3.3. Modulazione degli effetti della stimolazione vibratoria

Ulteriori studi, condotti più recentemente [19] da diversi gruppi di ricerca, si sono focalizzati sulla definizione dei parametri vibratori più importanti nel modificare in modo persistente e complesso il controllo e la performance motoria. Le vibrazioni a cui siamo sottoposti quotidianamente non sono mai “pure”, ma sono una sommatoria di frequenze molto diverse. Numerosi autori hanno evidenziato come [18], la vibrazione utilizzata per scopi terapeutici debba essere un segnale puro, cioè costituito da un’unica frequenza in grado di dar luogo al fenomeno del “driving”, dove la frequenza dell’afferenza è guidata dalla frequenza della vibrazione. Nonostante studi neurofisiologici abbiano dimostrato come la frequenza ottimale di stimolazione delle fibre Ia dei FMN si aggiri intorno ai 100 Hz [20,21], in ambito di ricerca, sono state testate frequenze superiori o inferiori con lo scopo di definire i valori più adatti allo scopo terapeutico desiderato [22-24]. Nell’ambito della riabilitazione dello sportivo è stato osservato come, l’applicazione di un FV a bassa ampiezza (< 0,1 mm), a 100 Hz, per 10 minuti consecutivi, 3 volte al giorno, per 3 giorni consecutivi sia in grado di indurre modifiche importanti e persistenti nella performance motoria [25]. Un ulteriore studio condotto da Pamukoff et al. [26] ha evidenziato come, nell’esercizio di rinforzo muscolare del quadricipite, l’applicazione di una FV a 30 Hz aumenti la forza del muscolo interessato, durante una massima contrazione volontaria, rispetto all’applicazione di una FV a 60 Hz.

3.3.4 Gli effetti della vibrazione sulla plasticità e sul controllo motorio

La FV appare in grado di modificare l’eccitabilità corticale dell’area motrice primaria, sia durante la vibrazione che dopo la fine dello stimolo [27-29]. Robuste evidenze supportano l’ipotesi che le FV siano in grado di attivare afferenze fusali, in particolare quelle di tipo Ia, potenziando i circuiti neuronali preposti al controllo motorio. In particolare, la stimolazione protratta con FV applicata su un muscolo in contrazione volontaria sarebbe in grado di promuovere meccanismi di plasticità sinaptica come la Long Term Potentiation (LTP), un potenziamento a lungo termine di specifici network neuronali. In particolare, Fattorini et al. ha suggerito che la stimolazione meccanica dei muscoli interessati possa agire direttamente sul sistema nervoso, inducendo cambiamenti persistenti delle prestazioni motorie [25].

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3.4 Applicazioni cliniche della terapia vibratoria focale

L’applicazione di stimoli vibratori viene utilizzata in molteplici ambiti clinici che includono, ad esempio la neuroriabilitazione, la riabilitazione ortopedica nel periodo peri-operatorio ed in vari ambiti della medicina dello sport. In particolare, gli effetti terapeutici che possono essere sfruttati nel contesto riabilitativo e sportivo sono: il miglioramento della propriocezione, dell’equilibrio e della coordinazione motoria; il mantenimento del tono e del trofismo muscolare oltre che l’incremento della resistenza fisica e il controllo del dolore.

In ambito neuroriabilitativo le FV hanno trovato importanti applicazioni nel trattamento della spasticità, in virtù della capacità di attivare meccanismi neuromodulatori a livello spinale e corticale che, abbinati al trattamento riabilitativo convenzionale, possono portare a risultati molto soddisfacenti in pazienti con lesione del sistema nervoso centrale [30]. Inoltre, attraverso la stimolazione delle fibre Ia dei fusi neuromuscolari e il conseguente aumento del tono muscolare, le vibrazioni hanno trovato applicazione anche nel trattamento dell’ipotrofia muscolare [31].

Nel muscolo dello sportivo l’utilizzo di FV induce un miglioramento dell’attività delle fibre muscolari di tipo I e II, concomitante a quello della performance motoria con minor sviluppo di fatica muscolare [25]. Associando al trattamento vibratorio un opportuno allenamento, è possibile far perdurare nel tempo gli effetti delle vibrazioni mentre, tramite la selezione delle frequenze di stimolazione, è possibile migliorare il recupero neuro-muscolare post affaticamento. Grazie alle modificazioni indotte a livello del SNC soprasegmentario, la vibrazione è in grado di migliorare l’output motorio durante l’attivazione volontaria attraverso una miglior organizzazione funzionale modificando l’ordine di reclutamento delle fibre muscolari. La modificazione del pattern di reclutamento delle fibre muscolari consentirebbe, quindi, di ottenere un significativo miglioramento delle performance atletiche.

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4. Il rinforzo muscolare

Per rinforzo muscolare si intende, in senso lato, un’attività volta all’incremento delle prestazioni motorie, più nello specifico, ci riferiamo all’incremento della forza massimale, all’aumento della resistenza alla fatica ed al miglioramento del tono della muscolatura posturale.

La forza sviluppata da un muscolo esprime la sua capacità di opporsi ad una resistenza meccanica e dipende dalla massa muscolare e dal numero di fibre coinvolte nella sua contrazione. L’incremento della forza muscolare dipende dall’intensità e dal tipo di allenamento svolto, il quale va a determinare un miglioramento dell’efficienza del controllo motorio da parte del SNC, oltre che dall’aumento della massa muscolare. L’aumento di quest’ultima è dovuto ad un fenomeno detto ipertrofia, con un incremento del volume delle fibre muscolari tramite un aumento del numero delle miofibrille, questo fenomeno si ottiene tramite un’intensa e prolungata attività di allenamento. Al contrario, un muscolo non utilizzato o sottoposto a contrazioni deboli riduce le sue dimensioni, trasformandosi in un muscolo ipotrofico o atrofico.

Le tre principali tipologie di forza sono:

La forza massimale: rappresenta la massima forza possibile che il sistema

neuromuscolare ha la possibilità di esprimere in una massima contrazione volontaria. Tale forza dipende da tre componenti: il fisiologico diametro trasverso del muscolo, la coordinazione intramuscolare (cioè quella tra le fibre interne al muscolo) e la coordinazione intermuscolare (cioè la coordinazione tra i muscoli che lavorano insieme in un dato movimento).

La forza rapida: rappresenta la capacità del sistema motorio di eseguire una

contrazione alla massima velocità. Tale forza dipende dal tipo di fibre muscolari attivate e dalla loro capacità contrattile, cioè dalla grandezza del diametro trasverso delle fibre muscolari a contrazione rapida IIb necessarie per movimenti eseguiti alla massima velocità.

La forza resistente o resistenza: rappresenta la capacità di un muscolo di resistere ad

un carico di lavoro protratto nel tempo. Le fibre maggiormente reclutate in questo tipo di lavoro sono quelle a contrazione lenta di tipo I.

(25)

25

4.1 Approcci tradizionali nell’allenamento della forza

L’allenamento della forza, o strenght training, rappresenta quella grande categoria di allenamenti fisici anaerobici in cui i muscoli esercitano la propria attività contro un carico esterno. Lo “strength training” viene erroneamente identificato con l’allenamento che si esegue tramite l’utilizzo di manubri e bilancieri ma, questi attrezzi, rappresentano solo alcuni tra quelli che possono essere utilizzati a questo scopo. Infatti, nello strength training comprendiamo anche l’utilizzo di macchine isotoniche, di cavi alla “poliercolina”, di bande elastiche ed esercizi a corpo libero, in cui non viene utilizzato nessun sovraccarico esterno ma viene sfruttato il solo peso corporeo.

4.2 L’effetto dell’allenamento della forza sul sistema neuromuscolare

Gli effetti dello strenght training sul sistema neuromuscolare sono molteplici:

 Ottimizzazione della coordinazione intra ed intermuscolare: l’incremento iniziale della forza espressa nel gesto atletico va esclusivamente attribuito al miglioramento della prestazione coordinativa quindi, a parità di massa o sezione muscolare, l’atleta che svilupperà più forza sarà quello che presenterà una miglior coordinazione intra ed intermuscolare;

 Miglioramento della coordinazione intramuscolare: questo parametro dipende da un aumento del reclutamento simultaneo di unità motorie, le quali diventano più efficienti;

 Miglioramento della coordinazione intermuscolare: l’incremento del rendimento coordinativo intermuscolare si spiega con un miglioramento dell’azione coordinata dei gruppi muscolari interessati nel movimento. Un soggetto allenato non soltanto utilizza muscoli agonisti e antagonisti in modo più efficiente ma li attiva in modo più adeguato al carico di lavoro;

 Aumento delle riserve di energia o degli enzimi del metabolismo anaerobico all’interno del tessuto muscolare: a seconda del tipo di allenamento fatto si ottiene un aumento del creatinfosfato di circa il 20-75%;

 Ipertrofia: la forza contrattile del singolo muscolo dipende, oltre che dalla quantità di fibre contemporaneamente attive, dall’area della sua sezione trasversale. Un muscolo striato esprime, in media, dai 30 ai 100 Newton per cm quadrato, di

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26 conseguenza se il diametro trasverso aumenta, aumenta anche la forza. L’ipertrofia si produce per aumento di dimensioni di ogni singola fibra muscolare e per incremento ed ampliamento del diametro delle miofibrille. Nel caso dell’attività prolungata con carichi che superano l’80% della forza massimale individuale, tutti i tipi di fibre muscolari sono soggetti nella stessa misura ad un allenamento che produce ipertrofia.

4.3 Metodi di allenamento della forza

Esistono vari tipi di contrazione muscolare implicate nell’esercizio di rinforzo:

Contrazioni muscolari dinamiche: isotoniche, isocinetiche, auxotoniche e

pliometriche

Contrazioni muscolari statiche: isometriche

La contrazione isotonica, cioè a tensione costante, si verifica quando un muscolo si accorcia spostando un carico che rimane costante per tutta la durata del periodo di accorciamento. La contrazione isocinetica si ha quando il muscolo sviluppa il massimo sforzo per tutta l’ampiezza del movimento, accorciandosi a velocità costante; tale contrazione si ottiene solo mediante macchine specifiche definite isocinetiche. La contrazione

auxotonica si ha quando la tensione sviluppata aumenta progressivamente con

l’accorciamento muscolare. La contrazione pliometrica è una contrazione concentrica esplosiva, immediatamente preceduta da contrazione eccentrica; viene sfruttata l’energia accumulatasi nelle strutture elastiche del muscolo nella precedente fase eccentrica. La

contrazione isometrica si ha quando il muscolo si contrae senza modificare la sua lunghezza.

Nell’allenamento della forza troviamo forme miste di tensione muscolare, per cui possiamo dividere i vari metodi di allenamento in due grandi categorie:

 Allenamento dinamico o auxotonico della forza

 Allenamento statico o isometrico della forza

L’allenamento dinamico della forza comprende due differenti modalità: si suddivide in allenamento dinamico positivo, definito anche concentrico, e allenamento dinamico

(27)

27 Nell’allenamento dinamico positivo lo sviluppo della forza è accompagnato da un accorciamento del muscolo, questa metodica permette un miglioramento della coordinazione neuromuscolare, di allenare maggiormente la forza massimale, la forza rapida e quella resistente, in particolare quando vengano usate resistenze da scarse a medie ed un elevato numero di ripetizioni, in modo da non rendere eccessivo il carico fisico e psichico.

Le diverse metodiche utilizzate per l’allenamento dinamico positivo sono:

1. Metodi classici americani:

a) La superserie: la superserie per gli antagonisti prevede di allenare prima

l’agonista e immediatamente dopo l’antagonista; la pausa tra i due esercizi serve esclusivamente a cambiare esercizio. Nella superserie per gli agonisti, lo stesso gruppo muscolare è sollecitato per due volte attraverso due serie consecutive di esercizi diversi.

b) Le serie brucianti: eseguire (scegliendo un sovraccarico di peso che permetta al

massimo dieci ripetizioni) dieci ripetizioni di un determinato esercizio fino ad esaurimento, seguito da cinque ripetizioni di movimenti parziali dello stesso esercizio.

c) Le serie forzate: dopo una serie massimale di dieci ripetizioni, si eseguono

tre-quattro ripetizioni dello stesso esercizio ricorrendo all’aiuto di un compagno, che sostiene il movimento fino a quando è possibile continuare a ripeterlo.

Figura 14: gli effetti della contrazione concentrica ed

eccentrica sull’attivazione, il reclutamento ed il carico di lavoro delle fibre muscolari.

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28 d) Le serie di super-pompaggio: eseguire quindici-diciotto serie dello stesso

esercizio. In ogni serie, si eseguono da due a tre ripetizioni con sovraccarico massimo con una pausa di solo quindici secondi tra le serie.

e) Metodo della progressione raddoppiata o doppia: viene eseguito in due parti;

nella prima il sovraccarico resta immutato, ma viene aumentato il numero delle ripetizioni, nella seconda diminuisce il numero di ripetizioni ed aumenta il carico.

2. Metodo del contrasto: si propone di fornire stimoli di forza opposti

completamente nuovi, quindi estranei all’organismo, attraverso l’alternanza di pesi leggeri e pesanti oppure combinando la ripetizione di impegni di forza massimali, di resistenza alla forza e impegni esplosivi di forza rapida.

3. Metodo del carico decrescente: i carichi massimi sono realizzati a partire dalla

condizione di riposo, mentre quelli sub-massimali sono svolti in condizioni che vanno da quelle di pre-affaticamento a quelle di completo esaurimento della muscolatura. In questo modo viene posta l’enfasi sul miglioramento della coordinazione intramuscolare.

4. Metodo concentrico nella sua forma pura: allena la capacità di massima

attivazione coordinata dell’atleta. Esercizi concentrici puri possono essere la corsa a balzi in salita o sui gradoni oppure l’esercizio di piegamento ed estensione (lenta o esplosiva) su un solo arto inferiore.

Nell’allenamento dinamico negativo troviamo in primo piano esercizi di arresto o ricezione del peso del proprio corpo o di sovraccarichi massimali (fino a circa il 120% della massima capacità di forza individuale). Per prepararsi all’esecuzione di un allenamento eccentrico con carichi pesanti, il soggetto dovrebbe esercitarsi a frenare il proprio peso corporeo con esercizi dinamici negativi e, solo successivamente, lavorare con carichi progressivamente crescenti. La caduta in basso serve ad allenare la componente elastica della muscolatura. Gli esercizi eccentrici possono essere svolti a corpo libero, con attrezzatura ausiliaria (anche macchine speciali per la forza), con l’esercizio svolto su particolari terreni, con partner e con bande elastiche. Il lavoro eccentrico (con ciclo allungamento-accorciamento) è particolarmente adatto ad allenare selettivamente le fibre di tipo II. Nelle contrazioni eccentriche, a parità di sviluppo della forza, viene reclutato un numero minore di unità motorie e queste ultime sono più sollecitate rispetto a quanto non avviene nelle contrazioni concentriche.

Come per quello concentrico, i metodi di allenamento eccentrico prevedono una serie di varianti che mostrano una pluralità di effetti diversi dipendenti dalle modalità di

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29 esecuzione. L’allenamento eccentrico dovrebbe sempre essere accompagnato da quello concentrico.

1. Combinazione eccentrico-concentrica:

Metodo “120-80”: questo metodo, estremamente efficace per il miglioramento della

forza massimale, prevede l’utilizzo di un sovraccarico sovramassimale (20-30% sopra il massimale) in modalità eccentrica per una ripetizione, al termine della quale il sovraccarico viene ridotto all’80%. A questo punto viene eseguita la ripetizione in modo concentrico. Ad esempio: in un esercizio di “lento avanti” con bilanciere, il bilanciere viene prima abbassato con un sovraccarico al 120% del massimale, un partner rimuove pesi fino a raggiungere un sovraccarico pari all’80%, facendo eseguire successivamente il sollevamento del bilanciere. Cinque ripetizioni per tre/quattro serie producono un incremento immediato della forza.

2. Combinazione eccentrico-isometrico:

a) Metodo statico-eccentrico: considerando l’esercizio dell’esempio precedente, l’atleta

abbassa eccentricamente un sovraccarico e, durante l’esecuzione, si inseriscono una o più pause nelle quali si tiene il peso fermo isometricamente (2-3 secondi di stop). Una serie prevede sei ripetizioni con un sovraccarico al 50-70% del massimale. Si eseguono sei serie. Si consiglia di alternare questo esercizio con impegni di forza esplosiva concentrici (sempre 6x6 con carico al 40%).

b) Metodo dell’isometria totale combinata con impegno eccentrico di forza: un carico di

circa l’80% del massimale viene tenuto in una posizione significativa fino all’affaticamento.

Nell’allenamento statico, o isometrico, della forza il lavoro fisico è uguale a zero, non si producono né una contrazione né un allungamento, come invece avviene nell’allenamento dinamico, ma solo uno sviluppo di tensione. Per raggiungere un ottimale livello di efficacia nel miglioramento della forza massima, di quella rapida o di quella resistente, il metodo isometrico, nelle sue varie forme di seguito elencate, non deve essere mai utilizzato isolatamente, bensì deve essere collegato con un successivo allenamento pliometrico, concentrico o eccentrico. Tra le metodiche isometriche per lo sviluppo della forza possiamo distinguere:

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30

1. Allenamento senza sovraccarichi: il corpo viene mantenuto in una determinata

posizione facendo sì che il gruppo muscolare scelto resti contratto isometricamente per la durata dell’esercizio.

2. Allenamento con sovraccarico: uguale al precedente ma l’intensità del carico è

aumentata dai sovraccarichi (esempio: disco, bilanciere, partner, giubbotto zavorrato, sacco di sabbia, ecc.).

Figura 15: esercizio di squat isometrico al muro con fitball, per allenare la forza del

quadricipite femorale.

Figura 16: esercizio di plank isometrico con aggiunta di sovraccarico (disco di

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31 L’esercizio isometrico con sovraccarico può essere ulteriormente distinto a seconda dell’intensità del carico:

a. Isometria massimale: viene esercitata una spinta massimale contro una resistenza costante (MVIC), per un periodo che va da 4 a 6 secondi. Ha come obiettivo lo sviluppo della forza massimale;

b. Isometria totale: il sovraccarico, di intensità scelta, viene mantenuto in posizioni

angolari fino ad un affaticamento muscolare completo. Tale condizione sviluppa un’intensa attivazione muscolare che rappresenta un notevole stimolo ipertrofizzante.

c. Metodo statico-dinamico: risulta da una combinazione con un allenamento

dinamico, eccentrico o concentrico; durante l’esecuzione di una sequenza di movimento si inserisce una pausa isometrica della durata di due-tre secondi, dopo la quale si prosegue nell’esecuzione dinamica del movimento.

In conclusione, possiamo affermare che: per il miglioramento della forza massimale vengono utilizzati metodi caratterizzati da un carico di lavoro di intensità elevata ed un periodo sufficientemente prolungato di tensione. Inoltre, l’allenamento della forza massimale stesso svolge un ruolo importante anche nell’allenamento della forza resistente: infatti se il peso del sovraccarico è elevato, maggiore del 50% della forza massimale individuale, questo influirà sul numero delle ripetizioni possibili, ovvero sulla resistenza. Poiché in ogni lavoro muscolare di intensità elevata l’energia utilizzata si acquisisce esclusivamente per via anaerobica, la forza contrattile di un muscolo con grande sezione trasversale richiede un minor carico delle singole fibre, consentendo in tal modo una maggiore durata della contrazione.

La forza rapida, invece, dipende principalmente dalla coordinazione intramuscolare, dalla rapidità di contrazione e dalla forza contrattile delle fibre attivate; per allenare la coordinazione intramuscolare servono impegni di forza massimali dinamici, ottenuti attraverso forme di allenamento eccentrico e pliometrico.

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32

4.4 Misura della forza

I test per la misurazione della forza sono utilizzati per valutare i progressi ottenuti con il processo di allenamento. Essi vengono distinti in test eseguiti in laboratorio e test da campo; questi ultimi sono molto diffusi nella pratica sportiva grazie alla loro semplicità di esecuzione, al loro legame con la pratica e per la grande utilità nel determinare la prestazione attuale e il monitoraggio dell’allenamento. Nei test da campo, le capacità di forza vengono rilevate in una condizione simile a quella reale, per contro, però, i risultati possono mostrare errori notevoli poiché ciò che si rileva è la somma di più capacità motorie. Nei test da laboratorio si possono quantificare le capacità di forza in condizioni standard, attraverso l’utilizzo di attrezzature tecniche che possono isolare e caratterizzare un singolo movimento o distretto; sono pertanto precise e caratterizzate da riproducibilità.

4.4.1 Test di forza massimale

I test per la valutazione della forza massimale possono essere statici o dinamici. In quelli statici l’effetto della coordinazione tra i muscoli non influenza la valutazione; la misurazione si realizza con apparecchiature isocinetiche o dinamometri isometrici (esempio: il dinamometro manuale per la valutazione della grip strength o forza di presa), dove viene esercitata una forza massima contro una resistenza che non può essere superata. In quelli dinamici, l’influenza della coordinazione intermuscolare aumenta con la complessità e la velocità di esecuzione dell’esercizio, così la forza massimale viene valutata durante azioni concentriche o eccentriche.

La misurazione della massima forza concentrica avviene determinando un parametro denominato “1-RM”, ovvero la singola ripetizione massimale. Per testare l’1-RM l’esecutore svolge, con un carico leggero, dieci ripetizioni dell’esercizio, come riscaldamento; nelle serie successive il carico viene incrementato progressivamente, eseguendo per ognuna di queste una sola ripetizione. L’incremento avviene fino a quando non viene trovato il carico massimo che consente l’esecuzione di una singola ripetizione seguita da esaurimento. Nella valutazione degli arti inferiori essa può essere eseguita o attraverso esecuzione di squat per gli arti superiori si può eseguire l’esercizio distensioni

su panca (attraverso l’utilizzo del bilanciere olimpionico si valuta la forza dei muscoli

pettorali e degli estensori delle braccia) o tramite specifiche macchine per il rilevamento della 1-RM (dinamometri isocinetici). Le apparecchiature isocinetiche permettono di misurare, durante l’esecuzione, la massima forza dinamica dei relativi gruppi muscolari

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33 espressa sia in modalità concentrica che in modalità eccentrica, valutando il risultato attraverso un software.

La valutazione tramite le apparecchiature isocinetiche [Fig.17] controllate da un motore può avvalersi di sovraccarichi superiori anche al 150% dell’1-RM.

4.4.2 Test di forza rapida

I test per la misurazione della forza rapida possono essere dinamici o statici. Quest’ultimi, mediante l’utilizzo di analisi strumentale (dinamometro, apparecchiatura isocinetica), rilevano una curva forza-tempo durante una contrazione isometrica esplosiva contro una resistenza fissa. I metodi dinamici prevedono che il soggetto imponga un’accelerazione ad un sovraccarico attraverso una contrazione muscolare esplosiva e la curva forza-tempo viene ricavata attraverso sensori di forza. La valutazione della forza rapida dinamica può essere realizzata anche in modo indiretto, attraverso test di salto, tiro, lancio e sprint in campo.

Esistono metodi semplici per rilevare la forza rapida dinamica quali le misurazioni cronometriche e le misurazioni della lunghezza.

Figura 17: dinamometro isocinetico per la valutazione della forza

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34 Nelle misurazioni cronometriche si valuta il tempo necessario ad eseguire un determinato numero di ripetizioni alla massima frequenza con un carico costante, da scarso a medio (fino al 60-70% dell’1-RM). Il metodo indiretto con misurazioni di lunghezze/altezze, determina la forza rapida attraverso la misurazione dell’entità di un salto, che permette di rilevare la forza rapida verticale od orizzontale. Il jump and reach

test viene eseguito attraverso un salto in alto a piedi uniti da fermo e può essere testato in

modo semplice in campo o in palestra [Fig.18]; la forza di salto orizzontale può essere valutata con il test del salto in lungo da fermo [Fig.19].

Figura 18: esecuzione del test “jump and reach”

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35

4.4.3 Test di forza resistente

La forza resistente può essere misurata con metodo “in campo” attraverso la valutazione del numero di ripetizioni eseguibili con un sovraccarico definito oppure, variando il sovraccarico a parità di ripetizioni.

I metodi di misurazione strumentale della forza resistente si avvalgono anch’essi del dinamometro isocinetico. La misurazione della forza resistente statica può essere eseguita attraverso un lavoro isometrico che comporti il mantenimento di una determinata posizione angolare per un tempo prefissato. Il tempo di esercizio risulta indice di forza resistente.

La misura della forza resistente dinamica avviene, invece, mediante la rilevazione selettiva della resistenza all’esercizio concentrico ed eccentrico.

Nell’ambito dei test motori sportivi, la misurazione della forza resistente statica è concettualmente analoga alla valutazione di tipo strumentale. Viene misurata la durata massima per la quale il soggetto è in grado di mantenere un sovraccarico o opposizione definiti. Per la misurazione della forza resistente dinamica possiamo utilizzare macchine per l’allenamento, determinando il numero massimo di ripetizioni che possono essere eseguite con un determinato sovraccarico rapportato alla forza massimale.

4.4.4 Metodiche strumentali per valutare la contrazione muscolare

L‘elettromiografia di superficie (sEMG) valuta il segnale elettrico prodotto dall’attività dell’UM. Attraverso dei sensori apposti sulla superficie cutanea si può misurare l’intensità dell’attivazione (misurata in millivolts mV), la quale è indice del numero di UM reclutate, e la frequenza di scarica delle unità motorie poste in prossimità dell’elettrodo registrante.

Le metodiche di rinforzo muscolare, parallelamente all’aumento della forza, apportano un incremento dell’attività elettromiografica che dimostra come vi sia un aumento del numero delle unità motorie reclutate.

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36

5. Efficacia dell’applicazione delle vibrazioni focali nel rinforzo

muscolare del quadricipite femorale: revisione della letteratura

Negli ultimi decenni, è stata esplorata la possibilità che le FV rappresentino una stimolazione sensitiva periferica in grado di indurre modificazioni persistenti del sistema motorio, accompagnate da un miglioramento delle prestazioni fisiche. Nel soggetto sano ed in particolare nell’atleta, è stato ipotizzato che l’utilizzo di FV possa essere, in affiancamento all’allenamento tradizionale, un metodo idoneo per incrementare l’efficacia dei del training di rinforzo muscolare. La letteratura scientifica ha esaminato differenti protocolli di applicazione, al fine di individuare i parametri di stimolazione maggiormente efficaci e non lesivi sul tessuto muscolare. Gli effetti modulatori sul SNC delle FV sono stati dimostrati da diversi Autori [23,24]

, suggerendo che gli effetti a lungo termine dipendano in primo luogo dall’uso di specifiche frequenze e tempi di applicazione definiti. Inoltre, dalla letteratura esaminata, si rileva un generale accordo nell’attribuire gli effetti a lungo termine di potenziamento delle performance motorie a modifiche a livello del SNC, piuttosto che a cambiamenti di tipo vascolare o metabolico localizzati all’interno del muscolo.

Di seguito, una selezione della letteratura sui protocolli per il rinforzo del quadricipite femorale, distinti in base alla frequenza dello stimolo vibratorio.

5.1 Frequenza vibratoria nel range 8-60 Hz

Couto BP. et al.[32] hanno confrontato gli effetti della FV a 8 e 26 Hz sull’espressione di forza degli arti inferiori. Lo studio prendeva in esame 55 volontari di sesso maschile, non attivi a livello motorio, divisi in 4 gruppi: il primo eseguiva un training isometrico senza vibrazioni, il secondo ed il terzo venivano sottoposti a FV (a 8 Hz e 26 Hz rispettivamente) durante contrazione isometrica e il quarto, di controllo, non eseguiva nessun protocollo di attività. La performance degli arti inferiori è stata valutata attraverso la MVC, lo “squat jump” (SJ), dove il volontario, da una posizione di semi accosciata (circa 90 gradi), cercava di saltare il più in alto possibile ricadendo sullo stesso posto, il “counter movement jump” (CMJ), dove il soggetto effettuava un salto verticale dopo un contro movimento verso il basso, i salti multipli verticali ed un test di corsa veloce. I test venivano eseguiti prima e dopo 4 settimane dal termine della stimolazione. I risultati mostravano un significativo aumento della MVC nel gruppo 8 Hz e 26 Hz, rispetto al gruppo isometrico ed ai controlli. Le perfomance di SJ e

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37 CMJ incrementavano a seguito di FV a 8 Hz e 26 Hz, mentre la velocità di corsa ed il salto multiplo verticale non subivano variazioni in nessuno dei 4 gruppi. Non venivano riscontrate differenze significative in nessuno degli outcome nei pazienti trattati con 8 o 26 Hz. Gli Autori sostenevano che la FV a 8 Hz e 26 Hz, applicata agli arti inferiori per 4 settimane, incrementava l’espressione di forza rapida e resistente.

Otadi K. et al.[33] hanno valutato gli effetti della FV a 30 Hz sull’espressione di forza e sull’affaticamento muscolare del quadricipite. Lo studio prendeva in esame 30 soggetti sani di sesso maschile, non attivi a livello motorio, divisi in 2 gruppi: il primo riceveva la stimolazione vibratoria a 30 Hz ed al secondo, di controllo, veniva applicata una falsa vibrazione. La performance degli arti inferiori era valutata attraverso la MVC mentre una rilevazione EMG veniva utilizzata per osservare l’affaticamento muscolare. Prima del test, entrambi i gruppi svolgevano un riscaldamento di 5 minuti al cicloergometro. Al primo gruppo è stato chiesto di effettuare una MVIC del quadricipite, fino al raggiungimento della fatica, e la FV veniva applicata per 2 minuti, 30 secondi dopo il completamento delle misurazioni pre-intervento. MVC veniva rilevata prima e immediatamente dopo la FV. Il picco di forza del quadricipite veniva misurato durante l’induzione dell’affaticamento muscolare. La fatica veniva valutata come una riduzione della produzione di forza ≥ del 50% rispetto alla forza generata prima dello stimolo. I risultati mostravano un incremento significativo della MVC nel gruppo trattato con FV, non riscontrabile nel gruppo di controllo. I cambiamenti della MVC mostravano una differenza significativa tra i due gruppi alla fine dell’attività di affaticamento, ma non all’inizio. Il gruppo FV impiegava più tempo a raggiungere l’affaticamento muscolare, suggerendo che il reclutamento di fibre muscolari di tipo I è stato superiore a quello del gruppo di controllo.

Pamukoff DN. et al.[26] hanno confrontato gli effetti della FV a 30 e 60 Hz sull’espressione di forza del quadricipite femorale. Lo studio ha preso in esame 20 volontari che praticavano attività motoria a scopo ricreativo, divisi in 3 gruppi: il primo ed il secondo gruppo venivano sottoposti a una singola applicazione di FV (a 30 Hz e 60 Hz rispettivamente) concomitante alla contrazione isometrica del quadricipite mentre il terzo gruppo, di controllo, eseguiva il medesimo esercizio di squat isometrico in assenza di stimolazione vibratoria. La valutazione basale e post-allenamento con dinamometro isocinetico includeva la misurazione del picco di forza contrattile e della velocità di sviluppo del picco durante una massima contrazione

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38 isometrica volontaria, misurazione associata ad una registrazione elettromiografica di superficie. Le valutazioni post-allenamento venivano eseguite al termine dalla seduta di allenamento e dopo 5, 15 e 30 minuti. Nel gruppo a 30 Hz è stato osservato un aumento statisticamente significativo del picco di forza, rispetto al gruppo a 60 Hz ed ai controlli. Nel medesimo gruppo si verificava, inoltre, un aumento significativamente maggiore dell’ampiezza media del segnale sEMG sia al termine che a 5 minuti dal trattamento. In tutti e tre i gruppi non sono stati osservati incrementi significativi nella velocità di picco, né sono state riscontrate, tra i gruppi, differenze significative a 15 e 30 minuti. Dai risultati di questo studio si può concludere che una singola applicazione di FV a 30 Hz, in concomitanza alla contrazione isometrica, è in grado di determinare un aumento a breve termine del picco di forza.

5.2 Frequenza vibratoria a 100 Hz

Fattorini L. et al.[25] hanno preso in esame 21 adulti sani suddivisi in 3 gruppi: il primo gruppo (VC) riceveva la FV a 100 Hz durante una contrazione isometrica del quadricipite femorale pari al 20% della MVC, il secondo (VR) riceveva la medesima applicazione di FV in condizioni di rilassamento muscolare mentre un terzo gruppo di controllo non riceveva alcun tipo di trattamento. Nei gruppi di trattamento le FV venivano applicate al quadricipite femorale di sinistra per sessioni di 10 minuti ripetute 3 volte al giorno per 3 giornate consecutive. Il protocollo sperimentale prevedeva una sessione valutativa pre-stimolatoria costituita da test isometrici ed isotonici, eseguiti in 2 giorni separati e una valutazione post-stimolatoria, a distanza di 15 giorni. Nel gruppo sottoposto alle FV durante contrazione muscolare la valutazione prevedeva anche un test isocinetico. Nella prova isometrica, l’analisi dello sviluppo di forza durante il test MCV mostrava un incremento statisticamente significativo nel gruppo VC rispetto a VR e al gruppo di controllo. Alle prove isotoniche, nel gruppo VC si è osservato un significativo aumento delle prestazioni, cioè un incremento del numero di ripetizioni di estensione della gamba, mentre nei gruppi VR e nei controlli non si sono riscontrate significative variazioni delle funzioni motorie. Nel test isocinetico, eseguito solo da VC, il tempo trascorso per raggiungere il massimo picco di forza si riduceva significativamente dopo la stimolazione. Il disegno dello studio consentiva di apprezzare la persistenza dei cambiamenti di performance motoria a distanza di 15 giorni dalla somministrazione dello stimolo vibratorio. Gli Autori ipotizzavano che l’incremento dello

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39 sviluppo di forza possa rappresentare la conseguenza di una miglior stabilizzazione dell’articolazione del ginocchio, secondaria al miglioramento nell’elaborazione delle informazioni propriocettive e del controllo motorio.

Brunetti O. et al.[34] hanno preso in esame 18 giocatrici di pallavolo, appartenenti allo stesso team senior di livello regionale, divise in 3 gruppi: il primo (VC) riceveva la FV a 100 Hz durante la contrazione del quadricipite, il secondo (VR) riceveva la medesima applicazione di FV in condizioni di rilassamento muscolare mentre un terzo gruppo di controllo (NV) riceveva un falso stimolo vibratorio. Nei gruppi di trattamento, le FV venivano applicate bilateralmente ai quadricipiti in 3 sessioni da 10 minuti ciascuna, per 3 giorni consecutivi. Il potere esplosivo e reattivo delle gambe veniva valutato 1 giorno prima e 1, 30, 240 giorno dopo l’intervento. Il gruppo VC mostrava un incremento significativo della potenza esplosiva e reattiva delle gambe, rispettivamente del 16% e del 9% ad 1 giorno, del 19% e dell’11% a 30 giorni e del 26% e 13% a 240 giorni dal termine del trattamento con FV. Questi effetti sulla performance non erano, invece, rilevabili in VR e NV.

Lo studio di Saggini R. et al.[35] esplorava l’applicazione di FV a 100Hz anche in soggetti con ipotrofia del quadricipite femorale con lo scopo di aumentare la forza e la capacità di lavoro muscolare. Sono state reclutate 20 volontarie con ipotrofia rilevabile alla misurazione centimetrica a 20 cm dal polo superiore della rotula. Il campione di studio veniva randomizzato in 2 gruppi di trattamento: il gruppo A riceveva 10 sessioni di allenamento con FV a 100 Hz durante l’esercizio di leg-extension dell’arto destro al dinamometro isocinetico, mentre il gruppo B svolgeva, nel medesimo numero di sedute, l’esercizio di potenziamento muscolare senza l’applicazione vibratoria. Al termine dei cicli di lavoro, il test isocinetico mostrava, nel gruppo A, un aumento del picco di forza del 97% ed i medesimi risultati significativi si ritrovavano anche nel lavoro totale compiuto. Inoltre, lo studio rilevava a livello dell’arto controlaterale un miglioramento statisticamente significativo del picco di forza e del lavoro totale solo nel gruppo trattato con stimolazione vibratoria suggerendo quindi la presenza di meccanismi di adattamento neuromotori a livello del SNC.

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5.3 Frequenza vibratoria a 300 Hz

Lo studio randomizzato controllato, condotto da Iodice et al.[19], ha preso in esame 36 studenti universitari, divisi in 3 gruppi: il primo gruppo sottoposto a stimolazione vibratoria a 300 Hz in assenza di contrazione muscolare, il secondo gruppo che svolgeva un allenamento di rinforzo muscolare e un terzo gruppo di controllo che non riceveva alcun intervento. La FV veniva applicata al quadricipite e ad altri 3 muscoli dell’arto inferiore per 30 minuti, 3 volte a settimana, per 4 settimane. Il protocollo di rinforzo muscolare prevedeva un esercizio di leg-extension (6 serie da 10 ripetizioni con 2 minuti di recupero) da eseguire 3 volte a settimana per 1 mese. Tutti i soggetti inclusi venivano sottoposti al test di MVIC ed al test isocinetico prima del training oltre che a 4 e a 8 settimane dal completamento del protocollo. La MVIC veniva misurata attraverso l’utilizzo di una comune macchina da leg-extension, ed ogni soggetto eseguiva 3 MVIC ciascuna della durata di 5 secondi; il valore più alto delle 3 prove veniva preso come valore di forza MVIC. La valutazione isocinetica utilizzava un sistema di rilevamento ottico (Optojump) che permetteva la misurazione dei tempi di volo e di contatto durante l’esecuzione di contrazioni eccentriche e concentriche del quadricipite. I risultati mostravano un incremento significativo della MVIC nel gruppo trattato con vibrazioni, rispetto agli altri gruppi. Nella valutazione a 2 mesi, le misurazioni indicavano che il miglioramento della performance motoria era mantenuto. Nel test isocinetico il gruppo trattato con vibrazioni registrava un incremento nella forza del quadricipite con un aumento del picco di forza di circa il 41% dopo il trattamento e di circa il 33% dopo 1 ora, superiore rispetto al training di resistenza tradizionale.

Feltroni L. et al.[36] hanno comparato gli effetti di FV a 300 Hz e 80Hz su 27 volontari sani, divisi in 3 gruppi: un gruppo di controllo non trattato e due gruppi trattati con 80 e 300 Hz frequenze rispettivamente. La FV veniva applicata al quadricipite rilassato, 1 volta al giorno per 30 minuti, per 5 giorni consecutivi. Il picco di forza del quadricipite era misurato durante una MVIC al dinamometro isocinetico, prima e dopo il trattamento (ogni sette giorni per un “follow up” di 4 settimane). I risultati mostravano un incremento significativo della forza muscolare in entrambi i gruppi trattati con FV a 80 e 300 Hz, ma non nel gruppo di controllo. L’analisi statistica non rilevava alcuna differenza statisticamente significativa tra il gruppo trattatto con vibrazione a 300 Hz e a 80 Hz. Nei soggetti trattati con FV l’aumento del picco di forza si manteneva fino a 4 settimane dal termine della stimolazione vibratoria suggerendo il probabile coinvolgimento di cambiamenti plastici del sistema motorio.

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