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Storia di Giovanni Comisso: "l'intelligenza della felicita'". Per un'analisi di "Capricci italiani" e di "Un gatto attraversa la strada"

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INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I. Informazioni propedeutiche

1. Biografia e bibliografia di Giovanni Comisso 2. Le influenze letterarie

3. Il rapporto con il Veneto e i suoi autori 4. La critica comissiana

CAPITOLO II. L’opera di Comisso

1. Comisso poeta e giornalista 2. Comisso narratore

3. Il materiale inedito e la sua importanza

CAPITOLO III. La «poetica dei sentimenti»: Un gatto attraversa la strada e Capricci italiani

Premessa

1. Presentazione delle opere 2. Temi e motivi

3. Lo stile e la lingua 4. La fortuna di Comisso

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Non devo diventare uno scrittore alla moda. Devo essere sempre consistente, anche se non si occupano di me.

INTRODUZIONE

Lo scopo di questa tesi consiste nel mettere in risalto l’autenticità. La sensibilità senza tempo e senza storia, senza schieramenti politici non fa scalpore, ha pochi rivali. La bellezza di questo stile risiede precisamente nell’anomalia di scrivere per il gusto di farlo e per far emergere l’istinto. L’atipicità ha celato col tempo il barlume di ideologia di cui è intrisa la narrativa dell’autore in questione.

Giovanni Comisso è uno scrittore del primo Novecento italiano, un autore minore. Non ha attecchito il suo narrare e il raccontare se stesso agli altri. Non ha fatto scalpore la sua libertà da ogni regola, da ogni filone letterario. Di fronte al foglio bianco c’è stato solo lui, il suo essere eccentrico, gli uomini che l’hanno circondato, cosa gli hanno trasmesso, su cosa è cresciuto. La sua vita ha fatto i conti con due Guerre Mondiali, alla prima delle quali ha partecipato attivamente. Non un parere politico, non una costatazione

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sulle scelte diplomatiche delle potenze mondiali. Ha fatto i conti con cosa hanno trasmesso le personalità che lo hanno circondato in guerra. Ha preteso dalla letteratura la libertà. Comisso è stato un uomo privo di schemi, congetture e pregiudizi.

Ci vantiamo molto, in età contemporanea, di essere riusciti a liberarci dai tanti “–ismi”, che si sa, hanno avuto aspetti perlopiù negativi: c’è stato un piccolo miglioramento. Credo ci sia ancora qualcos’altro che ci costringe alla chiusura, mentre dovremmo ricercare la sfaccettatura comissiana che è in noi.

Le opere prese in analisi all’interno della seguente trattazione fanno parte delle “silenziose” opere premiate di Giovanni Comisso. “Silenziose” in quanto la vittoria del premio Viareggio per Capricci italiani (1952) e del premio Strega per Un gatto attraversa la strada (1955) non ha conferito allo scrittore (di altri romanzi e raccolte) una memoria degna del suo talento. La sua arte si è sempre evoluta in sordina, facendo di Comisso un caso isolato.

Il periodo storico-letterario in cui emerge l’autore è uno dei più importanti della storia contemporanea: nato a cavallo tra Otto e Novecento, è stato testimone di due Guerre Mondiali ed infine di un’Italia alle prese con la rinascita dettata dal boom economico degli anni Sessanta. Lo scenario storico nel quale nasce Giovanni Comisso è quello di un’Italia in lento processo di industrializzazione e di riforma del lavoro da parte di Giolitti; iniziano le migrazioni dal Mezzogiorno verso il Nord della penisola e si instaura una

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politica coloniale volta alla conquista della Libia e in seguito dell’Africa Orientale. La Grande Guerra, l’ascesa del fascismo ed il Secondo Conflitto mondiale sono eventi che hanno condizionato inevitabilmente l’ambiente culturale del tempo.

La letteratura contemporanea a Giovanni Comisso abbraccia autori quali Luigi Pirandello e Italo Svevo, rinnovatori delle regole del testo teatrale l’uno e del romanzo il secondo, i Crepuscolari come Gozzano, i Vociani Rebora, Sbarbaro e Campana, il Futurismo di Marinetti. A livello europeo, intanto, Bertold Brecht traccia nuovi fondamenti di teoria teatrale, e poco prima i fratelli Lumière inventano la settima arte, il cinema. Anche sotto il regime fascista il confronto letterario è stato vivace. Nonostante gli intellettuali Luigi Pirandello e Giuseppe Ungaretti avessero sottoscritto il manifesto degli intellettuali fascisti, la loro poetica si è rivelata apolitica e priva di ogni forma di compromesso col regime a loro contemporaneo. Benedetto Croce, filosofo idealista e antifascista, si è rivelato l’unico che non abbia subito nessuna censura dal regime. Comisso, invece, pur non essendosi mai schierato, ha subito la censura per alcuni scritti definiti «amorali», come

Gioco d’infanzia (1965).

Facendo un passo indietro, il neorealismo che ha caratterizzato buona parte del Novecento italiano, ha la sua matrice ne Gli Indifferenti di Moravia (1929); prerogativa degli intellettuali di quell’epoca era di far trapelare la

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realtà cruda e annoiata dell’uomo primonovecentesco. Il concetto e l’intento dell’intellettuale, maturato dopo la Seconda Guerra Mondiale e dopo la Resistenza, si è evoluto e ha fatto del Neorealismo un veicolo per la critica dei costumi e per un rinnovamento della società.

Il secondo dopoguerra è perciò contraddistinto da una “letteratura di resistenza” di Beppe Fenoglio, Vasco Pratolini, Carlo Cassola e dallo sbandamento dell’intellettuale provato dalle vicende storiche, vedi Alberto Moravia, Cesare Pavese e Leonardo Sciascia. Non sono da dimenticare Primo Levi e la sua testimonianza da sopravvissuto e Ignazio Silone, rappresentante della questione sul divario sociale tra Nord e Sud.

È in questo ambiente culturale che nascono la «poetica dei sentimenti» e le raccolte di racconti comissiani Capricci Italiani e Un gatto attraversa la

strada, all’interno dei quali protagonisti sono gli scenari di vita dell’autore

stesso, i personaggi che lo hanno ispirato istintivamente, scorci di vita, sua e altrui, che hanno attivato il meccanismo della fantasia. Il cono di luce puntato su questi attimi vitali non fa intravedere alcuna opinione di Comisso, nessuna critica verso la fede religiosa, verso gli schieramenti politici, verso la guerra vissuta e le sue conseguenze. Solo pura arte di narrare, di raccontarsi.

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CAPITOLO I - Informazioni propedeutiche

1. Biografia e bibliografia di Giovanni Comisso

La vita di Giovanni Comisso è fondamentale perché depositaria di gran parte della sua opera narrativa: è stato il contributo più indispensabile per la stesura dei suoi testi letterari.

Giovanni Comisso nacque a Treviso il 3 ottobre 1895, in una casa sul fiume Cagnan1. La sua famiglia di estrazione borghese si conformava al perbenismo cittadino, che l’autore tollerava malvolentieri e il suo carattere insofferente cozzava con il conformismo e con le convenzioni di cui era intrisa la quotidianità familiare. Il padre Antonio, proveniente anch’egli da una famiglia borghese, aveva conseguito un apprendistato a Praga ed aveva intrapreso un proficuo commercio di granaglie e concimi. Giovanni lo perse all’età di trentadue anni. La madre Claudia Salsa, sorella del più famoso Tommaso Salsa (generale delle spedizioni coloniali italiane), borghese ed aristocratica, ebbe un saldissimo rapporto col figlio Giovanni, trattato fino alla senilità con estrema cura. Durante l’infanzia si rivelò uno scolaro attento e brillante.

1 Il materiale biografico di riferimento per questo lavoro fa capo alle seguenti trattazioni:

N. NALDINI, Appunti per la biografia di Giovanni Comisso, in G. PULLINI (a cura di),

Giovanni Comisso, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1983;

N. NALDINI, Vita di Giovanni Comisso, Torino, Einaudi, 1985;

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Diversamente si può dire del periodo adolescenziale, in cui la scuola e soprattutto la matematica gli diventavano sempre più odiose.

In un flashback riportato nel Gioco d’infanzia si può notare come per Comisso non ci sia un reale interesse nel narrare le vicende puerili, o meglio: l’infanzia cui allude Comisso nell’opera risulta essere tardiva e carica, piuttosto, di una spiccata curiosità sessuale. L’esplicito riferimento alle esperienze sensoriali vissute rimarca la predilezione di Comisso per questo tema. L’infantile spudoratezza di Comisso ci conduce ad alcuni passi scabrosi, ovviamente emendati dalla censura:

Un giorno passeggiando per la città, sotto alla stessa ombrella, questo suo cugino (Comisso si rappresenta in terza persona) gli indicò il taglio d’una pietra per dove passava dell’acqua piovana e gli disse che il sesso della donna ha la stessa forma di quel taglio. L’acqua vi scorreva dentro gorgogliando, lo stupore venne sopraffatto dall’orrore, tutta un’impressione di freddo e d’impassibile lo convinse.

Il passo proposto e rifiutato nel 1932 è la prova di come le memorie di Comisso non offrano tenere suggestioni, ma espliciti riferimenti e delucidazioni circa la sfera sessuale.

Nel 1913 fece il suo primo incontro con Arturo Martini, scultore trevigiano più grande di Giovanni di sei anni. L’idea di libertà che Comisso maturava, veniva alimentata dall’artista Martini elogiatore dei versi di poeti decadenti, quali Rimbaud e Baudelaire. Martini incitava Comisso a “sacrificare” la rigida impostazione borghese per un ideale di vita libero da schemi. Non solo, Martini è stato il primo a visionare i suoi scritti acerbi, e ne esaltava il

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contenuto e lo stile. Tuttavia fonte di ispirazione per Comisso fu maggiormente l’ascolto dei versi dei bohèmiens, oltre alle opere di D’Annunzio. Tuttavia se da una parte nello stile di Comisso si evince uno spirito combattivo ed eroico, come poteva essere l’ideologia dannunziana, dall’altra parte si discosta da essa, nonostante molti critici gliela abbiano assegnata: l’autore sosteneva di prediligere la letteratura d’avanguardia, ma scindendosi dal filone estetico dannunziano e rafforzando il suo pensiero libertario e apolitico2. Infatti ammetteva:

Il futurismo è una vera fortuna […] Io non leggo Victor Hugo e simili […]; se io dovessi scrivere dei drammi come quelli di D’Annunzio mi taglierei le dita per non scriverli.

Io non ammetto che un solo partito: l’anarchia, il futurismo ad oltranza.

Questa propensione che contraddistingue Comisso non lo spingerà però verso movimenti culturali e correnti letterarie specifiche, non militerà mai in nessun partito politico, né professerà alcun credo religioso. L’animo anarchico e libero saranno caratteri peculiari della personalità e della prosa di Giovanni Comisso.

Nel 1914 partì volontario per il servizio militare a Firenze, dove venne arruolato nel terzo genio telegrafisti. In un secondo momento fu trasferito in Friuli e la sua ferma militare fissata per un anno venne prorogata per altri due,

2 Tale considerazione è frutto della ricerca di Rossana Esposito tra gli articoli, gli appunti,

i carteggi di Giovanni Comisso, materiale non catalogato del “Fondo Comisso” e fruibile presso la Biblioteca Comunale di Treviso.

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fino al termine del Conflitto Mondiale. Comisso accettò di buon grado l’incarico di soldato, sebbene il suo impiego riguardasse l’ambito delle telecomunicazioni. Anche quell’esperienza poteva essere intesa come spinta alla vita, al nuovo. Sosteneva:

Costretto tra la vigilanza di una famiglia borghese e tra le limitazioni di una vita d’una piccola città di provincia, accolsi la Grande Guerra con la gioia di liberare non tanto Trento e Trieste, ma me stesso verso la vita che vale la pena di essere goduta in pieno3.

L’esperienza bellica viene narrata in particolar modo nei suoi Giorni di

guerra (1930), formula diaristica attraverso la quale rievoca la visione più

intima della guerra, puntando sulle proprie avventure e non su avvenimenti che segnarono, poi, un’intera epoca. L’impegno militare contraddistinse il primo contatto con luoghi e personalità diversi dall’ambiente trevigiano, e nella maggior parte delle sue opere, incluse quelle qui analizzate Capricci

italiani (1952) e Un gatto attraversa la strada (1954), si ritrovano a mo’ di

costante dei flash sulla parentesi bellica. Le sensazioni del giovane Comisso sfociavano nella curiosità e nella ricerca della novità, per cui tutto ciò che lo circondava e che si trasformava in parola scritta faceva trasparire uno spiccato entusiasmo.

Poi finivo un po’ fuori del paese coi compagni che trovavo per vedere il tramonto sulla pianura seduti sui mucchi di ghiaia della strada con qualche ragazzetto che ci veniva dietro, come di quelli che ci sono in tutti i paesi e che ci insegnava nel suo dialetto i nomi delle parti amorose dell’uomo e della donna; questi ragazzetti ci pigliavano gusto a stare con noi e poi finivano a metterci le mani dentro i pantaloni e cercare le cose che loro ancora non

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avevano e noi si lasciava fare, tanto sarebbe stato triste la sera mettersi a pensare sopra a quello che ci preparava rapidamente l’avvenire.

Alberto si distese contro la sponda della terra franata e si lasciò stringere. Vedeva sul prato al di là delle acacie passare delle figure lontane e sentiva al suo orecchio il respiro caldo dell’altro. Poi si sciolsero e il soldato aveva detto: “Abbiamo risparmiato una donna”. Era ripassato dall’altra parte del canale, si era rivestito e se n’era andato salutandolo e sorridendogli. Alberto era rimasto oltre il tramonto del sole a camminare tra i campi abbandonati, mentre sul Carso il cannone si faceva sentire più intenso. Ancora era ritornato nel pomeriggio successivo lungo il canale, era rientrato nel fosso, aveva riguardato il prato dallo stesso posto tenendo il petto contro la terra franata. Aveva atteso di rivedere quel soldato, ma non lo rivide più. Egli non aveva osservato di che reparto fosse e stentava a ricordare l’aspetto del suo volto. Non lo rivide più. E per molti anni, anche dopo la guerra, come sentiva finire l’estate gli ritornava il desiderio di quel luogo, di quel canale e di quelle acacie ingiallite, le corse dei soldati ignudi inseguiti dai cani felici e il fondo asciutto di quel fosso, e lo sconosciuto.

Che siano state reali o frutto della sua immaginazione o desideri taciuti, le vicende narrate nei due passi censurati rispettivamente dai Giorni di guerra e dal Gioco d’infanzia rimandano alla tematica erotica e all’intenzionale confessione di omosessualità da parte dell’autore; nella fattispecie, il secondo brano risulta essere un caso del tutto isolato e di conseguenza cassato, giacché negli altri lavori le allusioni alle sue inclinazioni sono state velate dalla discrezione.

Nel 1916 Comisso divenne ciclista per la fureria ed in seguito caporale e dovendo giungere fino al fronte austriaco, i suoi incarichi divennero più rischiosi. In quella primavera uscì il fascicolo di Poesie, stampate da Arturo Martini, ma malgrado la stroncatura di Giuseppe De Robertis su «La Voce», Comisso non abbandonò la passione per le liriche e per i simbolisti francesi. Dopo un corso a Udine per allievo ufficiale nel 1917, venne trasferito sull’alto Isonzo e nello stesso periodo prese parte agli scontri sul Monte Grappa. Nei

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suoi racconti e diari, si ritrovano spesso le suggestioni delle zone da lui frequentate, in particolare molti scenari di guerra.

Una volta terminata la guerra, Comisso si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Padova e gli fu concesso di spostarsi nella capitale, per seguire un corso speciale unicamente per studenti sotto le armi. Roma fu per lui una benedizione: dimentico degli impegni accademici, si dedicò perlopiù al vagabondaggio e alla conoscenza di numerosi letterati. In primis fu amico di Arturo Onofri, poeta e scrittore, che gradì il volumetto di liriche e lo indirizzò verso la lettura di Petrarca, Leopardi e Pascoli. Non solo, a casa di Onofri incontrò Armando Spadini, Giorgio De Chirico e soprattutto Filippo De Pisis, non ancora pittore, personalità che catturò l’attenzione di Comisso e con cui instaurò un rapporto profondo e duraturo. A tale legame Comisso dedicherà un’intera opera, Mio sodalizio con De Pisis (1954), come omaggio all’amico, ormai malato, ripercorrendo la loro vita insieme, rimarcando l’amore di entrambi per la vita e per l’arte4. Nel giugno del 1919 prese parte all’impresa di Fiume dove ebbe modo di conoscere un’altra personalità che segnò la sua vita, Guido Keller, “segretario d’azione” di D’Annunzio. Dall’avventura fiumana Comisso trasse una spinta vitale verso i suoi progetti di vita e di scrittura: iniziò a scrivere Giorni di guerra,

Solstizio metafisico (custodito nel “fondo Comisso” a Treviso) e tra il 1919 e

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il 1921 iniziò a dedicarsi alla stesura di Il porto dell’amore, Il delitto di Fausto

Diamante, Storia di un patrimonio. Grazie alla frequentazione di alcuni suoi

amici di Chioggia conosciuti nell’esperienza fiumana, Comisso si imbarcò per la prima volta sul veliero Il Gioiello, evento che contribuì alla realizzazione di

Gente di mare.

Nel 1923 intraprese la carriera da giornalista scrivendo per «Camicia nera», testata fascista di Treviso e per la quale tessé le lodi dell’Italia con tono “sermocinante”. L’anno seguente riuscì a laurearsi in Giurisprudenza presso l’Ateneo senese con una tesi sul diritto d’autore: la sua propensione verso la letteratura lo allontanò definitivamente dalla professione forense. Continuò perciò il suo errare con i marinai chioggiotti per l’Adriatico:

“ […] Questo mio errare è stato lo schema prestabilito del mio continuo muovermi per tutta la vita da un paese all’altro pur avendo il desiderio di stare fermo”.5

Le mie stagioni è il diario-chiave della dualità di Comisso di restare o

andare via e tale ambivalenza sarà sempre protagonista dei suoi pensieri e dei suoi scritti.

Dopo l’esperienza al vento dell’adriatico, intraprese la carriera letteraria collaborando con numerose riviste, quali «La Tribuna», «L’eco del Piave», «Pegaso», «Solaria», «La Fiera Letteraria».

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Il 1926 fu per Comisso “l’anno della liberazione”: si trasferì a Milano e ricoprì l’incarico di consulente presso la libreria della galleria d’arte fondata da Enrico Somaré. Il trasferimento gli portò una ventata di aria nuova, lontano dalla provincia trevigiana, soprattutto perché fece la conoscenza di Leo Longanesi, Giacomo Debenedetti, Eugenio Montale. Fu quest’ultimo ad avere l’idea di una versione francese de Il porto dell’amore: nel 1927, lo propose a Valéry Larbaud col titolo Au vent de l’Adriatique. Ma «i libri di Comisso non saranno tradotti all’estero, proprio per la loro dimensione tutta italiana, legata particolarmente ai paesaggi e alla terra veneta, che lo stesso scrittore riconosceva come principale caratteristica della sua narrativa»6.

Dopo il breve soggiorno a Parigi con De Pisis, rientrò in Italia ma fu costretto ad abbandonare il lavoro a Milano e rientrare a Treviso per la morte del padre. Dal 1928 privilegiò la sua carriera da giornalista dando luogo a una fase intensa di viaggi. Grazie alla collaborazione con testate giornalistiche quali «Il Resto del Carlino» di Bologna e «La Gazzetta del Popolo», egli elaborò in primis un ricco reportage sulla Sicilia per poi spingersi verso il Nord Europa e il Nord Africa. Intanto, Gente di mare acquisiva pareri positivi dalla critica tanto da ottenere il Premio Bagutta e in quell’occasione Comisso diede inizio a un’intensa amicizia con Umberto Saba, anch’egli in gara per il concorso letterario. L’anno seguente fu la volta dell’Estremo Oriente,

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esperienza da cui nasceranno il resoconto giornalistico Cina e Giappone, il diario Amori d’Oriente e il racconto Gioco d’infanzia, che uscirà solo nel 1965.

In merito alla già accennata ambivalenza tra il condurre un’esistenza frenetica o una vita tranquilla e appartata, fu in questo periodo che prese la decisione di acquistare un podere nella località periferica di Treviso, Conche di Zero Branco. Considerato un locus amœnus, l’ambiente campagnolo fu dagli anni ‘30 la sua principale aspirazione. In quegli anni vengono pubblicati i due scritti Il delitto di Fausto Diamante e Storia di un patrimonio, sui i quali la critica si pronunciò poco.

Da questi primi cenni biografici sembra atipico il rapporto che ebbe con gli uomini della sua vita e tanto più con le donne. In particolare, in un soggiorno a Cortina ebbe il piacere di conoscere una giovane donna, Rachele, credendola la donna della sua vita: programmi di vita futura insieme e quant’altro vennero repentinamente cancellati dalla volubilità della sua indole e dall’incapacità di coltivare rapporti amorosi duraturi. L’esuberanza e gli stimoli alla vita che caratterizzavano Comisso avrebbero fatto dell’immaginata vita matrimoniale un duro carcere. Era ambiguo soprattutto il rapporto che aveva con le donne: probabilmente non era del tutto conscio della sua omosessualità, nonostante il palese interesse verso quella gioventù fresca scoperta nei «giorni di guerra».

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Tuttavia venne meno anche l’euforia per la vita campagnola che aveva tanto desiderato, sicché per svagarsi venne raggiunto dal nipote sedicenne, Bruno. L’amicizia di Bruno fu utile per il superamento dell’errore narcisistico di Comisso: avviene in questo periodo la crisi degli istinti, che generò l’allontanamento dal suo egoismo e il tramutarsi degli istinti in elemento passionale.

La messa in crisi dei vecchi valori lo destinò a una nuova fase che egli definì della maturità. Sono gli anni in cui si espresse con Un inganno d’amore, dove in un gioco di specchi appare sovrapposta la figura di Rachele e di Bruno e in cui l’autore si riscopre vittima degli inganni amorosi; fu inoltre il periodo de I due compagni e L’italiano errante per l’Italia, concluso quest’ultimo nel 1937 e ricco di elaborati su itinerari di viaggio. A tal proposito, dal 1938 Leo Longanesi gli affidò l’esperienza di alcuni viaggi da narrare nei reportage dell’editoriale «Omnibus»: Comisso accetterà di partire per la Libia, dove non avrebbe sofferto il cambiamento climatico e dove sarebbe sfuggito all’inverno veneto7. Al ritorno, il suo peregrinare continuò nel Meridione d’Italia.

Nel 1940 si legò alla personalità di Guido Bottegal, poeta emergente e linea guida per lo sviluppo della nuova poetica. Reduce da quella degli istinti, intensificò la nuova «poetica dei sentimenti», fase che prese vigore a partire dal 1943. A sostegno di uno svecchiamento della letteratura italiana, ancora

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un po’ troppo dannunziana, Comisso elaborò una dichiarazione di poetica moderna e neoromantica all’interno del volumetto I sentimenti nell’arte (Il Tridente, 1945) volto ad affermare che “il sentimento” sarà pietra d’angolo per la sua arte futura.

È questa pertanto la fase su cui insisterà il mio lavoro di tesi: Un gatto

attraversa la strada, una delle due raccolte prese in analisi in questa

trattazione, contiene tre racconti-manifesto del nuovo stile di Comisso:

L’affittacamere, Il ritorno di Elvira e Il boia, che l’autore pubblicò insieme al

suddetto libello I sentimenti nell’arte. Tuttavia, il passaggio dalla giovinezza alla maturità venne segnato dalla morte di Guido per mano dei partigiani e in virtù di ciò produsse i romanzi Capriccio e illusione e Gioventù che muore. La seconda guerra mondiale si era conclusa e Comisso come per il primo conflitto non espresse alcuna forma di opinione se non quella di raccontare delle vite e delle persone che l’avevano vissuta, o meglio, subìta. Proseguì comunque con quello che non era il suo mestiere, il giornalista, e lavorò al contempo a nuovi progetti letterari, quali Viaggi Felici e Le mie stagioni (1949 e 1951). Grazie alla nuova poetica, nel 1952 e nel 1955 si aggiudicò il Premio Viareggio per la raccolta di racconti Capricci italiani e il Premio Strega per

Un gatto attraversa la strada: un successo perlopiù temporaneo e che

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contemporanei, come Montale8, e delle generazioni successive (Pasolini, Parise, Arbasino, Zanzotto, Cibotto).

Due eventi portarono alla produzione dei diari Mio sodalizio con De Pisis e La mia casa di campagna, ovvero la morte dell’amico e della madre. Rievocò da una parte le tappe fondamentali dell’amicizia col pittore e dall’altra il nido materno che sapeva di casa, metafora di stabilità e protezione. Ciò nonostante, non mancarono le trasferte volute dalle testate giornalistiche («Il Giorno», «Il gazzettino», «Il Mondo») per le quali lavorò negli anni ’50 esclusivamente per motivazioni economiche. Alla fine degli anni ‘50 curò la traduzione dell’autobiografia di G. Casanova, edita da Longanesi.

Gli anni ’60 furono per Comisso l’inizio del declino dovuto in primis ad un disturbo permanente dell’occhio sinistro e in seguito alla consapevolezza della vecchiaia che incombeva. Si aprì un periodo di profonda riflessione e studio del pensiero junghiano e dell’inconscio collettivo. Le produzioni letterarie cui Comisso si dedicava tra un viaggio giornalistico e l’altro si discostarono anche dalla «poetica dei sentimenti» alimentata negli ultimi

8 “Ho cambiato casa tante volte nella mia vita. Non erano della stessa dimensione queste

case e spesso si trovavano in città diverse. I libri, a migliaia, sempre furono vittime di questi traslochi. Impietoso in ogni occasione, io che avevo libri fino nella stanza da bagno, li regalavo, li gettavo via. Anche di recente ho cambiato casa. E l’altra sera, andato in biblioteca, ho voluto rendermi conto dell’ultima decimazione prendendo a caso uno dei libri rimasti. Aveva una copertina gialla, sbiadita. Apertolo vidi che era un Comisso. Eppure non ricordavo con piena coscienza di questa scelta, ma ne ero comunque rallegrato. Presi allora un altro scaffale, e ancora mi trovai in mano un Comisso. E cosi ancora e ancora… Mi resi conto di quale stella brillante e misteriosa vegliasse sulle mie scelte… la stella Comisso”, N. NALDINI, p. 55.

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quindici anni. Nel 1960 pubblicò Satire italiane, raccolta di scritti giornalistici e racconti, e nel 1961 si accinse alla stesura de La donna del lago: si trattava di un romanzo realistico, “un romanzo di idee”9, delineato da una poetica nuova e inusuale. Varrà anche per il suo ultimo romanzo, Cribol, in cui il pensiero si affinerà e toccherà note psicologiche e religiose, mai affrontate prima.

Il superamento della «poetica dei sentimenti» e la conquista di una poetica più introspettiva e filosofica fece storcere il naso ai critici, i quali additarono Comisso come autore privo di una vera ideologia. Molti scrittori vengono proclamati come fautori di una ideologia decisa, ma spesso ristagnano in essa, quasi costretti dalla cerchia di lettori e critici a continuare a professarla. Ebbene, la scelta di Comisso sembra essere l’azione più naturale e umana: cambiare idea. Comisso scriveva ciò che sentiva, senza preoccuparsi di compiacere nessuno e regalando il suo talento così come nasceva.

Nonostante la depressione senile, gli ultimi anni della sua esistenza furono pieni di un lavorio certosino per la redazione di tutta la sua l’opera, voluta dall’editore Longanesi. Il progetto non giunse al termine nemmeno dopo la sua morte. Nel 1963 venne insignito del premio «Montefeltro» per l’opera artistica. La sua attività si protrasse fino al 1968, e intanto pubblicò i racconti di Busta chiusa e di Attraverso il tempo, suo ultimo volume. Dopo un malore

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nel settembre del 1968, Comisso venne a mancare il 21 gennaio del 1969 nella casa a Treviso fuori Porta San Tommaso, a causa di complicanze a livello polmonare. Giunse al termine l’eterna fanciullezza di un autore contraddistinto dal suo amor vitae:

[…] in quella casa Giovanni Comisso visse i suoi ultimi anni, a dettare articoli e racconti che inviava a diversi giornali che insieme gli procuravano un minimo di sopravvivenza. Nelle ore di noia apriva il suo archivio di impensabile ordine e distinzione per un uomo come lui che appariva sempre svagato e privo di calcoli. Ma in quell’archivio, come un altro personaggio di favola, egli aveva nascosto il suo tesoro di fogli manoscritti e di doni misteriosi da cui la sua memoria ogni giorno sprigionava fantasmi di amici, di amori, del tempo che era fuggito e non si sapeva come.10

Ad oggi, è dedicata all’autore l’Associazione Amici di Giovanni Comisso fondata nel 1968 grazie a un gruppo di amici dello scrittore ed ha sede a Treviso. La stessa Associazione ha dato poi origine al Premio Comisso, che nel 2019 giunge alla sua 38ª edizione. Si articola in due sezioni: una dedicata alla narrativa italiana e una seconda a un’opera biografica, di autori sia italiani che stranieri. L’attuale presidente dell’Associazione è Ennio Bianco.

2. Le influenze letterarie

La premessa indispensabile, per affrontare la sezione delle influenze e del retroterra culturale di Giovanni Comisso risiede nel fatto che l’autore non abbia prediletto dei filoni letterari specifici, ma che abbia cercato di forgiare

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uno stile a sé stante. Tuttavia la critica letteraria ha rilevato in lui dei riferimenti o somiglianze in ambito letterario, prima fra tutte il dannunzianesimo.

L’avvicinamento di Comisso alla letteratura è stato tardivo, in quanto le vicende biografiche e gli studi altalenanti non gli hanno concesso la libertà di dedicarsi alla scrittura, confinata sotto forma di appunti in taccuini e quaderni. La guerra e l’esperienza fiumana sono state la scintilla che ha acceso la volontà di richiamare i personaggi e le loro storie da quei taccuini.11 La formazione letteraria dell’autore spazia dai simbolisti francesi e dai vociani italiani alle letture di Apollinaire e Nietzsche, con l’idea di voler intraprendere una strada tutta sua. In Le mie stagioni, uno dei primi salotti letterari frequentati è stato a Roma presso la casa del poeta Arturo Onofri il quale fiero di averlo scoperto «prese a volermi subito un grande bene e mi scrisse tante lettere animandomi ad amare l’arte con fede superiore».12

Tuttavia grava sul primo Comisso l’etichetta del dannunzianesimo. Se il nostro autore è simile a D’Annunzio nella struttura delle liriche (come è simile anche alle liriche Rimbaudiane), dal punto di vista ideologico si discosta nettamente, o meglio: Comisso conosce perfettamente l’ideologia

11 Giovanni Comisso. Opere, a cura di Rolando Damiani e Nico Naldini, Milano, I

Meridiani, Mondadori, 2002.

12 G. COMISSO, Le mie stagioni, in Giovanni Comisso. Opere, a cura di Rolando Damiani

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dannunziana e, oltre a farla sua, la supera di gran lunga. Egli va ben oltre il superomismo, l’estetismo dannunziano, per vivere una prosa e una vita più semplice, benché anticonformista. Immorale sì, per il perbenismo borghese, ma mai teatrale.

Nel mio paese la mia belva non può saltare, essi ne prenderebbero paura, ed eredi di una millenaria astuzia le tenderebbero i loro lacci per farla cadere. Da tempo sapevo che gli uomini senza coraggio sono coloro che fanno le leggi e separano le cose in bene e in male, ma non credevo avrebbero potuto stabilirsi fortissimi anche contro di me13.

Libero da ogni fede, morale o orientamento politico, Comisso vive senza ipocrisie, seguace dei suoi istinti e

del «principio del piacere» che cercherà in ogni modo di far coincidere con il «principio di realtà», secondo l’ottica freudiana14.

La discendenza da D’Annunzio è pertanto parziale, tale che Falqui si esprime sulla differenza tra i due letterati come segue:

Gioia degli occhi che in Comisso par nascere e rinascere ogni qual volta posandosi sul paesaggio lo riscopre e ricrea con una leggerezza e trasparenza di colore e di suono non del tutto immediate e fortuite, e difatti filtrate e deterse attraverso la più esperta sua sensibilità. Mentre in D’Annunzio è raro non sentire, insieme al gravame della imperante bellezza, il vincolo della tradizione e il peso specifico stesso della prosa. […] E tutto, allora, nella sua pagina, nel suo periodo si semplifica, assottiglia e impoverisce15.

Vigorelli sostiene inoltre:

13 G. COMISSO, La virtù leggendaria, in Meridiani in Giovanni Comisso. Opere, a cura di

Rolando Damiani e Nico Naldini, Milano, I Meridiani, Mondadori, 2002, p. 1593.

14 R. ESPOSITO, p. 50.

15 E. FALQUI, D’annunzio e Comisso, in Novecento Letterario, Firenze, Vallecchi Editore,

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A tirare in ballo D’Annunzio, sono anni che Comisso si irrita; ma col passare degli anni credo oramai che finga d’irritarsi, e deve fargli piacere invece di poter confortare la sua scrittura allo splendore del suo maestro involontario; o se non gli fa piacere è per ragioni morali più che estetiche – ma allora se respinge d’essere dannunziano, come fa ad essere così depisisiano?16

Infatti, esiste un’altra figura nella vita di Comisso, che non lo ha direttamente influenzato coi propri scritti, ma che gli ha dato manforte per intraprendere la sua carriera di scrittore. Filippo De Pisis, conosciuto nel ’19 nel salotto letterario di Arturo Onofri, funge da stimolo indispensabile per le prose ancora acerbe di Comisso. Se De Pisis era un giovane dandy, pittore e scrittore d’avanguardia e amatore dei metafisici de Chirico e Savinio, Comisso era un giovane reduce di guerra, con una non identificata voglia di far poesia, immaturo desiderio dannunziano di vivere di quell’arte.

Tuttavia non si può di certo accostare D’Annunzio, così sontuoso, alla «febbrilità» di De Pisis, come afferma Vigorelli. Ma tali artisti hanno nello stile un’immoralità estetica comune: come se per entrambi, e di riflesso anche per Comisso, la bellezza affiorasse come unico canone di moralità. In De Pisis essa assume delle note più romantiche, tanto che anche i racconti di Un gatto

attraversa la strada di Comisso paiono contaminati dalla propensione al

sentimento, come ancora sostiene Vigorelli17. Però è anche probabile che l’allontanamento dalle dissolutezze estetiche in favore dei «sentimenti

16 G. VIGORELLI, Comisso e De Pisis, in «Fiera Letteraria», febbraio 1955. 17 Ibidem.

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nell’arte», sia un personale cambiamento di approccio alla vita, che non per forza deve essere ricondotto a un adattamento o a un’ispirazione depisisiana.

In ogni caso, sebbene i due provengano da mondi distanti, il loro sodalizio si concretizza con conversazioni e corrispondenze “metafisiche”. Comisso riesce a fondare a Fiume il movimento culturale «Yoga», di cui De Pisis indirettamente fa parte. Alla ricerca del mistero delle cose, si aggiunge una componente surreale tipica della futura pittura di De Pisis: Comisso è attratto principalmente da tale «aura metafisica».

Malgrado le strade dei due artisti non convergano ed entrambe le personalità si fortifichino in luoghi diversi, nel corso della vita c’è sempre stato il ritorno dell’uno all’altro. Ecco che prendono forma le collaborazioni del pittore col nostro in Questa è Parigi (1931), rappresentanti scorci di Parigi con dodici acquerelli. La medesima tecnica viene adottata in Gioventù che

muore (1949) e negli stessi Capricci italiani (1952).

«Preso ciascuno da una vita che ha già assunto una impostazione irrevocabile, viene a mancare lo spazio per il rapporto umano, per la frequenza fisica che accomuna abitudini e idee»18. Comincia dunque un lunghissimo carteggio le cui missive confluiranno nel Mio sodalizio con De Pisis (1954).

Comisso in un articolo del 1956 sulla corrispondenza con De Pisis:

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Possiedo circa un centinaio di sue lettere a me dirette, durante questi anni, spesso lunghissime, dettagliate, affettuose, fitte di incisi pittorici nella trama della vivacità narrativa, per finire con le ultime stanche, amare, tristissime e di poche parole fuggenti.

La questione delle influenze letterarie si infittisce col nome di André Gide, contemporaneo dell’autore, mai stato citato da Comisso, né nei suoi appunti e diari, né in interviste. Eppure lo stile di vita e la scrittura di Comisso sembrano, non ricalcare, ma continuare quella dello scrittore francese. Come G. Bosetti ha avuto modo di esprimersi sulla questione19, Gide non è mai stato amante dei discepoli che avessero seguito pedissequamente le sue orme di letterato:

Nathanaël, à présent, jette mon livre. Emancipe-t-en. Quitte moi

suggerisce a un seguace nella sua opera Les nourritures. Una visione che adotta lo stesso Comisso col seguace Giulio Pacher rammentandogli che «l’imitazione in arte è la cosa più orribile che si possa fare».

Tuttavia, Bosetti si interroga sul perché sia stato sottovalutato questo aspetto che, inoltre, ha condizionato altri letterati. La supposizione più accreditata sarebbe di natura storica: l’amoralismo gidiano si innesta in un periodo che in Italia corrisponde al ventennio nero e sarebbe stato per certo oggetto di censura. Il gidismo riconosciuto negli scritti di Comisso interessa: 1) l’aspetto tematico, nello specifico, il culto dell’infanzia idilliaca a cui si

19 G. BOSETTI, Gide e Comisso, in La linea veneta nella cultura contemporanea: Giovanni Comisso, a cura di G. PULLINI, Firenze, Olschki, 1983 (Atti Convegno 1982).

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uniscono i ricordi di scuola, il ricordo di ragazzini seminudi; 2) la struttura narrativa, sotto forma di diari, report di viaggi e autobiografie, tecniche volte alla costante ricerca di se stesso. Come altri critici sostengono, è vero che nel primo Comisso ci sia l’influenza dannunziana, però «il vitalismo, l’amore omosessuale e la libertà dei sensi […] sono anche e prima motivi gidiani»20. D’annunzio stesso era gidiano, poiché suo mediatore in Italia, perciò Comisso lo diviene ancor prima di conoscerlo. E soprattutto, qualora non avesse avuto davvero l’occasione di conoscerlo, Comisso ha frequentato letterati e traduttori che ruotavano attorno alla figura di Gide e ha frequentato i maggiori circoli culturali parigini. Non solo, la critica letteraria francese era vista di buon grado in Italia, pertanto resta l’ipotesi che il nostro non abbia voluto palesare i pilastri della sua formazione artistica.

Connessa all’amoralismo di Gide, si evince nello stile di Comisso la componente erotica, per la quale la critica ha fornito un esiguo contributo. Crémieux, critico francese e amico di Comisso, riconosce la stessa sensualità dannunziana, privata dell’estetismo ma arricchita di un erotismo velato, anche nelle situazioni più ingenue. Sarebbe paradossale credere che una personalità come quella di Crémieux non abbia riflettuto sulla vicinanza del nostro a Gide, ma, con estrema probabilità, avrà aggirato l’ostacolo della censura fascista preferendo tacere.

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Nell’Europa del dopoguerra si respira comunque un clima culturale fondato sull’analisi introspettiva, a partire da Proust, con riferimento al modello di memoria intimistica e autobiografica. Affascinato da tali generi, Comisso li fa suoi e li accosta alla letteratura di viaggio, alla stregua di Gide. Va da sé che alla produzione di ampio respiro preferisca la narrativa breve, autobiografica e diaristica.

La crisi del giovane che torna dal fronte si risolve in letteratura con l’espediente del viaggio e del porto, luoghi di slancio avventuriero, distanti dal conformismo provinciale. Combinato allo spirito di avventura, nasce in Gide e in Comisso il mito dell’Oriente. Comisso ha il ruolo di reporter di viaggi per le testate giornalistiche italiane, ma Bosetti identifica ancora una volta delle analogie con le avventure gidiane, in particolare a Biskra, città dell’Algeria.

A Biscra nel Sahara galoppai nell’oasi fiorita di gaggìe, e avevo un servo arabo che si adornava di fiori alle tempie. Alla sera andavo a vedere le Uled Nail danzare nel piccolo teatro e una giovanissima che si chiamava Beja mi teneva spesso compagnia dopo il ballo21.

Bosetti suppone che con queste parole Comisso abbia voluto omaggiare Gide, che dal canto suo aveva sviluppato una circostanza simile nelle

Nourritures terrestres con una differenza: se l’autore francese ardisce di

confessare il debole per un ragazzo, Comisso sembra ancora reticente e meno esplicito, in quanto la cultura fascista educava all’estrema virilità dell’uomo e

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denigrava l’omosessualità. È per questa ragione se Gioco d’infanzia è stato pubblicato trent’anni dopo la sua realizzazione, perché «una certa sincerità gidiana era inconcepibile nell’Italia di allora»22. È nei suoi giochi d’infanzia che emerge l’erotismo per i fanciulli, allora spezzato, riemerso a distanza di anni. Ricercare l’origine delle proprie inclinazioni nella fanciullezza è un’analisi comune ad entrambi, ciononostante Comisso va oltre le osservazioni di Gide: a partire dal gioco d’infanzia, alcuni personaggi di Comisso covano un’amoralità frammista a «patetica rassegnazione», come nei

Capricci italiani e in Un gatto attraversa la strada. I personaggi di Comisso

hanno una carica di umanità ancora più accentuata.

Tuttavia, l’Oriente di Gide non è così lontano e corrisponde all’Africa islamica; d’altra parte i personaggi di Comisso agiscono in Estremo Oriente, «prolungamento caratteristico delle suggestioni gidiane», nella fattispecie con

Amori d’Oriente. L’Oriente rappresenta la sensualità, la liberazione dei sensi,

la scoperta dell’io più intimo, attraverso il rapporto con la gente. È il luogo dell’introspezione, difficile da scoprire nel loro Occidente, in parte sotto il giogo dei dettami cattolici. Con quei viaggi ci si ricongiungeva alla personalità più segreta e a quella più perversa:

Gide è stato il primo, con l’amico Oscar Wilde, a creare un Oriente a son image, cioè ad inventare il mito di una terra e di una civiltà in cui l’omosessualità non è un peccato come […] nell’Europa puritana23.

22 G. BOSETTI, p. 226. 23 Ivi, p. 232.

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Ciò che scuote Comisso sono i corpi seminudi di giovani portatori di autenticità e primitivismo. Anzi, alla franchezza di Gide, Comisso autore e personaggio, frenato da quell’iniziale titubanza, fa l’amore con delle donne, dopo aver passato molto tempo con dei ragazzi che lo avevano provocato (transfert).

Comisso e Gide vivono l’Oriente per vivere l’omosessualità. Ma se ne

L’immoraliste il protagonista è sincero, disinibito, nell’opera di Comisso

sembra che si dia la colpa della pederastia ad una forza esterna alla volontà dell’autore-protagonista:

son ben curiose creature, riescono a render virtuosi persino i vizi24.

In definitiva, il viaggio produce inevitabilmente dei cambiamenti nell’animo di chi torna. In Gide e in Comisso è manifesto il disagio del rientro, ma la realtà lontana ha insegnato loro ad essere come si desiderava, ovunque e che l’Oriente (interiore) poteva trovarsi più vicino di quanto si potesse credere.

3. Il rapporto con il Veneto e i suoi autori

24 G. COMISSO, Amori d’Oriente, in Giovanni Comisso. Opere, a cura di Rolando

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Il Veneto rappresenta per Giovanni Comisso una realtà di partenza, di

esistenza e di ritorno. Questo perché, nonostante il suo peregrinare giovanile,

il desiderio folle di evasione e di avventurarsi lontano, il Veneto e nella fattispecie Treviso e la sua provincia, sono stati per l’autore motivo di ritorno e, ancora, fissa dimora. Come sostiene Arslan25 gli autori veneti che hanno omaggiato la propria terra si riscoprono nelle personalità di Fogazzaro, Piovene, Parise. Ma Comisso riempie la letteratura veneta di uno spessore atemporale non conosciuto fino ad allora, attraverso la riproduzione della percezione felice della vita. Le storie e i racconti che si susseguono nella sua produzione letteraria insegue costantemente il dinamismo vitale, e il substrato comune si confà a quello di una vita agreste, campagnola, i cui uomini e le cui donne sono avviluppati nella stessa dimensione atemporale.

La personalità di Comisso prende le distanze da quella di scrittori veneti come Piovene, che dal canto suo si reputa al centro di un gioco-forza di amore e odio per il cattolicesimo che ha contagiato la sua poetica. Eppure Piovene sente che nella sua arte non emerga il cattolicesimo puro, considerato eresia per l’autore, bensì una sorta di influenza dovuta all’imposizione di una «civiltà del sentimento», incline alla promozione dell’opera di bene in tutte le sue forme, una civiltà che ode l’eco dei dettami cattolici. Il realismo comissiano, invece, aderisce alla concretezza della terra ed è frutto di una civiltà

25 A. ARSLAN, Comisso e il Veneto, in Atti del Convegno “Comisso contemporaneo”, Treviso, 29-30 settembre 1989.

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«multirazziale e tollerante, capace di ironia intelligente e di umori sarcastici, attaccata alla tradizione e alla lingua che la innerva, senza chiusure e senza grettezze; senza veli ideologici, “conservatrice” nel senso di un duttile rifiuto di rinnegare la propria antica civiltà e di una grande capacità di saldarvi il meglio del nuovo».26

Comisso sembra essere perciò la proiezione di una «vitalità sensuale e avventurosa» che si divide tra tensione verso l’esterno, come evasione, e tensione verso l’interno, come attento apprezzamento del quotidiano: la casa, il piccolo podere, gli affetti. Anche il paesaggio, fecondo e materno, è l’elemento che più offre a Comisso protezione dall’ambiente esterno, ma poi si scopre motivo di fuga e, ancora, di ritorno. Il Veneto è conosciuto come terra di viandanti e mercanti ed è quello che Comisso fa nella sua vita e predispone per la sua letteratura: egli predilige «il movimento all’indietro», sulla scia del νόστος greco, riproducendo così la ciclicità degli eventi. Se si volesse accomunare il moto circolare caratteristico di Comisso ad altre figure della letteratura veneta, ci si potrebbe riferire ad autori dell’ambito del giornalismo, come Buzzati, Piovene e Parise, personalità a metà fra lo «scrittore puro e il giornalista».

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Arslan presenta un singolare paragone affermando che «se il viaggio è un’avventura romantica, la terra veneta è classicità felice»27, un binomio di cui l’arte di Comisso non si priva. Per Comisso inoltre, si (ri)conosce la propria terra anche attraverso l’allontanamento da essa, entrando in contatto col termine di paragone al di fuori del quotidiano e recuperando, al ritorno, abitudini o costumi che un tempo erano dati per scontati. Vi è un passo da Le

mie stagioni che allude al recupero delle proprie radici, attraverso cui Comisso

menziona e alterna ricordo e tempo presente, poiché il ricordo di un’esperienza che lo ha formato e arricchito è bilanciato da un presente di stabilità e radicamento:

Entro l’anno comperai una piccola terra poco distante da Treviso. Il posto era bellissimo, pure essendo in pianura, isolato nella campagna, le montagne sfumavano lontano, cineree come le Colline dell’Occidente viste da Pechino, un fiume fluiva lento come i canali d’Olanda, vi erano campi gialli di colza come a primavera attorno a Sciangai e ciliegi in fiore come sulle montagne di Nicco e prati verdi e grassi come nei dintorni di Londra. Persino una casa di contadini prospiciente alla mia era costruita a tetti sovrapposti come quelle dell’Oriente. Queste esperienze cominciarono a convincermi che tutto il mondo sta in un metro quadrato, ma sentivo anche il formarsi in me una nuova formula di vivere, senza più tanto viaggiare, per restare fermo approfondendomi dentro di me.28

I due poli spostamento/stasi, moto/quiete si contrappongono ma periodicamente si attraggono, così che la volontà di Comisso ceda a intervalli all’una o all’altra forza. La quiete dell’entroterra trevigiano lo spinge a volte all’evasione verso mete frenetiche, e talvolta verso mete quiete come la sua

27 Ivi, p. 111.

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terra, dalla quale è partito; tuttavia Comisso ribadisce: «anche se qualcuna è perennemente serena non riesce ad anteporsi alla mia».29

Arslan rammenta che il Veneto celebrato da Comisso è quello più arcaico e più profondo, scandito dai ritmi del tempo naturale, in cui la storia influisce relativamente sull’ esistenza degli uomini. È arcaico perché ignaro della storia, del tempo, di qualsiasi morale e questo si riflette nello stile dell’autore in cui prevale la semplicità e la paratassi, l’assenza di analisi psicologica, «l’alta equanime pietas verso tutti gli esseri viventi (paesaggi, persone, animali, piante)», la compresenza di un Dio indulgente che provvede e della τύχη, il Fato inteso come destino arcaico, ed infine prevale la sessualità che sprigiona vita in concomitanza a quella della gioventù fresca e virile.

Che Comisso tenga a considerarsi parte della civiltà veneta è palese, soprattutto per come si accende di fronte alla polemica sul primato dei veneti, episodio riportato da Gino Nogara ne La linea veneta nella cultura

contemporanea: Giovanni Comisso.30 In tale circostanza Comisso si altera col veneto Giorgio Bassani e per le sue considerazioni rintracciate in due numeri de L’espresso. Tali notizie riguardano lo stile letterario di alcuni autori della marca vicentina, incluso erroneamente Giovanni Comisso, trevigiano. Nel

29 G. COMISSO, Il cavallo di San Giorgio, in Il grande ozio, p. 327.

30 G. NOGARA, Giovanni Comisso: una polemichetta sul primato dei veneti, in La linea veneta nella cultura contemporanea: Giovanni Comisso, a cura di G. PULLINI, Firenze,

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numero del 2 giugno 1963 Giorgio Bassani non solo ha messo in cattiva luce i suoi conterranei, ma lo ha fatto per elevare una sua scoperta letteraria, recensendo Libera nos a Malo di Luigi Meneghello. Nogara nel saggio riporta le affermazioni di Bassani contro Fogazzaro, Piovene, Parise e Comisso, accusandoli di «putredine psicologica e morale prodottasi dalla Controriforma in provincia» e di ostentare «nel mostrare questo delirio, una sorta di compiacimento estetico, metastorico».31 Comisso si anima più degli altri autori nelle vesti di difensore del prestigio dei veneti e della verità. Apostrofandolo come «scrittore un poco untorello», Comisso inveisce contro Bassani sul Gazzettino del luglio ’63 e scrive:

[…] Nausea … Putredine psicologica … Quando è ben nota l’alta moralità religiosa e civile che ha sempre ispirato l’opera di Fogazzaro, quando si potrà discutere la politica di Piovene, ma non si può negare il suo merito letterario che non ha nulla di immorale; quando Barolini e Parise rappresentano una corrente senza dubbio assai rispettabile, e non voglio parlare di me. Io non faccio truffe letterarie, io lavoro con coscienza e onestà. […] Questa non è critica, ma invettiva irragionevole… Non sono metastorico, io, ma dentro la storia come lo dimostrano Le mie stagioni e Cribόl, si vedrà!32

Non solo, tramite le parole di Gino Nogara si desume come Comisso abbia riguardo anche per i pittori di origine veneta, atteggiandosi con amarezza nel ricordare l’occasione di una mostra su pittori trecenteschi della vicina città scaligera; egli vi aveva partecipato ma provava del risentimento per l’inclusione dell’artista Pisanello tra i pittori di origine veneta. Questo

31 Ivi, p. 278. 32 Ibidem.

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atteggiamento sembra così orientare Comisso verso un campanilismo, provincialismo, o una sorta di predilezione per la sua gente, specie se di ambito artistico-letterario. Appare singolare e anche tenera la maniera con cui difende e sostiene la sua terra, se si pensa che la stessa è motivo di oppressione e di conseguente evasione. C’è in lui un misto di patriottismo, secondo cui riconosce la «genialità veneta», misto ad esterofilia, che gli conferisce una pausa periodica da tutto ciò che richiama il senso di patria.

4. Critica comissiana

«Comisso si distingue da molti scrittori di oggi la cui opera sembra nata in funzione della critica, anzi ha valore soprattutto, nel panorama generale della cultura, per il discorso critico che si può farvi intorno. Ai critici offre pochi appigli. Non è uno scrittore ideologico, né problematico, non conia né suggerisce quelle formule o slogans che hanno preso tanta importanza da costituire per sé, indipendentemente dalle opere da cui sorgono, la storia della nostra cultura recente».33

Naldini esordisce con tali considerazioni nella prefazione all’edizione del ’54 di Un gatto attraversa la strada. L’osservazione di Naldini non si limita alla raccolta, ma abbraccia tutta l’opera di Comisso pubblicata fino ad allora

33 Prefazione di G. PIOVENE, a Un gatto attraversa la strada, Milano, Longanesi, 1964,

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ed in particolare è come se volesse additare i critici letterari di non aver compreso fino in fondo l’arte di scrivere dell’autore.

Esistono diverse motivazioni per le quali Giovanni Comisso è stato considerato non sempre all’altezza del mestiere che svolgeva. Rossana Esposito osserva che l’origine di tale fenomeno risieda nell’essere Comisso suggestionato dal probabile dannunzianesimo, risieda nella sua omosessualità, mai celata nonostante le critiche moralistiche, e risieda nell’atteggiamento «antiletterario e istintivo confuso con uno spontaneismo “nature”».

Si è discusso a lungo dell’influenza dannunziana nello stile di Comisso, in particolare dopo la pubblicazione del suo primo romanzo Il porto dell’amore. Non essendo mai stata molto generosa o audace nei confronti dell’autore, la critica del primo Comisso non ha compreso appieno il suo stile, distorcendolo e “accusando” l’autore di dannunzianesimo. Perciò ad un’esigua componente di giudizi favorevoli, come quelli di TITTA ROSA, SOLMI, PANCRAZI e MONTALE si contrappone il seguito formato da RUSSO, FALQUI, RAVEGNANI e BERTACCHINI. Sentirsi non capito e rifiutato è stata una costante nella vita di Comisso cui spesso ha dovuto far fronte.

I critici letterari schierati dalla parte di Comisso non solo ne apprezzavano il talento, ma si sono riscoperti fiduciosi in merito ad una presunta versione in lingua francese de Il porto dell’amore. Purtroppo la tiratura de Au vent de

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CRÉMIEUX e VALÉRY LARBAUD. Il motivo dell’insuccesso è da ricondurre all’impossibilità di trasporre una produzione così ricca di venetismi, il cui significato potrebbe rivelarsi snaturato nella lingua d’arrivo.

Tuttavia, non solo la critica ma anche il pubblico di lettori sembra aver accettato maggiormente la raccolta di racconti Gente di mare, opera più celebre del primo Comisso. Favorevoli ad essa riscopriamo D’ANNUNZIO, BORGESE, SAPEGNO, OJETTI, sebbene riconducessero le novelle alla prosa d’arte, prosa novecentesca a metà tra racconto e lirismo poetico.

Come accennato, i letterati sono restii ad avvalorare le produzioni del Comisso romanziere, penalizzato dall’assenza di «organicità e respiro narrativo, oltre che di prolissità».34 Tali valutazioni negative provengono dal PANCRAZI su Il delitto di Fausto Diamante, dal CONTINI su Storia di un

patrimonio e da MONTALE per I due compagni.

Esposito sostiene che a lenire il malcontento di Comisso non è stata di certo la sua stessa polemica contro la letteratura «inumana» degli scrittori degli ultimi cinquant’anni, perché in realtà i suoi romanzi si sono rivelati parimenti freddi.35 Perciò negli anni ’40 del Novecento a smorzare l’entusiasmo di Comisso hanno contribuito ROBERTAZZI e DE MICHELIS e il

34 R. ESPOSITO, p. 174.

35 Ivi, pp. 174-75; R. Esposito si riferisce alle accuse di Comisso per la letteratura

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FRATTAROLO che nella «Fiera Letteraria» accentua la dualità Comisso-viaggiatore e diarista e Comisso-prosatore (ma di novelle), soffocando l’idea del Comisso romanziere. Gli aspetti di tale dicotomia sono stati spesso sovrapposti come BOCELLI fa nel saggio Comisso o delle Avventure terrene, o SQUARCIA in Racconti di Comisso. La Esposito insiste sul contemporaneo superamento di tali concezioni alle quali sono tuttavia ancorati ACCAME BOBBIO nella monografia sull’autore e VIRDIA nella «Fiera Letteraria», sebbene, accostandosi parallelamente alla novella e al romanzo, la differenza sia manifesta. Chi ha saputo conferire invece una visione dell’opera di Comisso più omogenea e meno frammentaria è stato GIORGIO PULLINI, sapendo apprezzare l’autore anche in qualità di romanziere: Pullini rileva e valorizza una «tensione lirico-esistenziale»36, espediente utile ad ovviare alla conclamata «mancanza di durata narrativa e le innegabili cadute di tono».37

Punti di vista più recenti e nuove considerazioni sono forniti da due scrittori veneti come Comisso, ovverosia GOFFREDO PARISE e GUIDO PIOVENE. Il primo raccomanda al lettore di fruire dell’arte comissiana «da un punto di vista fisico-chimico»38 in quanto «la chimica e la fisica che regolano pensieri, emozioni e senso della storia erano più complete e compatte perché investivano in egual misura i cinque sensi».39 Il secondo invece, quasi a voler

36 Ivi, p. 177. 37 Ibidem.

38 G. PARISE, Prefazione a Diario 1951-64, Milano, Longanesi, 1969, p. 11. 39 Ibidem.

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esprimere un concetto diametralmente opposto, sostiene l’approccio psicanalitico a Comisso, che non deve considerarsi azzardato come pensiero, in quanto nell’ultimo Comisso si riscoprono novelle e romanzi la cui genesi dimora nel sogno e nella visione.

La critica moderna si è espressa in maniera innovativa anche in occasione del Convegno su Comisso del 1982, i cui atti pubblicati nel 1983 portano come titolatura La linea veneta nella cultura contemporanea. Spicca il nome di G. BOSETTI nel riconoscere l’influenza estera di Gide basata sul mito d’infanzia e dell’Oriente, in contrapposizione, anche in questa circostanza, al tema della vita contadina, tipica della tradizione italiana esposta da G. MARCHETTI. Si ritrovano interessanti considerazioni da parte di M. ISNIEGHI e A. M. MUTTERLE sul tema della Grande Guerra, ricorrente in Giorni di guerra ma riproposto costantemente in opere successive ad essa. Tra gli anni Novanta e gli anni Duemila si sono aggiunte infine le considerazioni di N. DE CILIA e G. FOFI.

Uno degli aspetti più dibattuti è la questione della lingua utilizzata da Comisso in tutta la produzione letteraria. Prima che venisse riconosciuta come peculiarità del suo stile, a Comisso veniva attribuita la pecca di essere sgrammaticato e imperfetto dal punto di vista della sintassi. L’apparente superficialità di cui si fa carico l’autore marca piuttosto la volontà di esprimersi in una lingua quanto più quotidiana e colloquiale, tale che il lettore

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non sembra che legga ma sembra che ascolti la narrazione di un racconto, quasi come fosse tramandato oralmente. Non mancano perciò, come si accennava, regionalismi veneti e tipici delle inflessioni trevigiane. Pertanto si conoscono numerose edizioni dei suoi romanzi, emendati in più occasioni. BERTACCHINI offre un saggio in merito alle revisioni dei suoi scritti in

Strutture compositive e revisioni stilistiche nei romanzi di G. Comisso in

«Otto/Novecento».

Perciò lo stile autentico e non contaminato da altri modelli letterari diviene oggetto della critica più recente, che divincola Comisso dalle sopravvivenze del dannunzianesimo e della prosa d’arte. Negli atti del Convegno dell’82 BANDINI nega ogni traccia di dannunzianesimo in Comisso, pensando che nel suo stile si presentino piuttosto note simbolistiche. Esposito chiarisce di trovarsi concorde «per quanto riguarda lo stile, in quanto se D’Annunzio tende all’espressionismo Comisso rimane più vicino all’impressionismo, meno forse per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi di alcuni romanzi che trovano la loro collocazione proprio in ambito decadente e dannunziano».40

Considerando la varietà delle critiche negative o positive che siano per il Comisso diarista o giornalista o narratore, ZANOTTO risolve nuovamente col superamento di tali considerazioni e ricerca delle interpretazioni della sua arte che siano alternative, inusuali e nuove. È per questo che nella nostra

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trattazione è stata dedicata una sezione specifica alle influenze su Comisso, in particolare venete: modelli che esprimono allo stesso modo un’apparente trasandatezza nello stile, nata espressamente per ovviare al dannunzianesimo di cui i critici credevano pervasa l’opera omnia di Comisso.

CAPITOLO II. L’opera di Giovanni Comisso

1. Comisso poeta e giornalista

L’opera di Giovanni Comisso è depositaria di molto materiale autobiografico, giornalistico, poetico. Gli unici mestieri che forse Comisso non si attribuirebbe se l’avessimo conosciuto, sono il poeta ed il giornalista per motivi differenti. È difficile definirlo poeta in quanto i suoi versi si distendono e diventano sempre più prosaici; in secondo luogo, il giornalista è il mestiere che non avrebbe voluto fare, ma ci viveva. In definitiva, il flusso di coscienza e la creatività di ogni sua storia hanno preso il sopravvento.

Non essendosi ancora scoperto narratore, il giovane Comisso sviluppa l’attitudine alla la poesia. Racchiuse in un libello, le sue prime liriche vengono

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pubblicate nel 1916 da Arturo Martini, primo ad aver dato fiducia ai versi di Comisso. Il tema paesaggistico lo accompagna sin dagli esordi, così come l’atmosfera campestre di provincia animata dalla presenza umana.

Fernando Bandini sostiene che «la presenza di figure umane provoca talvolta singolari sprezzature, che stridono nei brevi contesti dove si trovano a fianco di un linguaggio di scontata letterarietà»41, come in una lirica nell’edizione del 1916:

I grappoli d’uva dolcigna fervono d’api

che ne estraggono l’essenza squisita. Per la vigna

passa il padrone osservando e brontola.42

Nelle dodici liriche della raccolta la caratteristica delle sprezzature è accompagnata da una sorta di ermetismo di autore ancora acerbo, sulla scia di ciò che Ungaretti elaborava nel Porto sepolto del 1916. Affinato lo stile, nel 1957 ripropone un’edizione emendata dalle asprezze giovanili: nelle poesie, Comisso fa coincidere la fine del verso con la pausa sintattica, rendendo i vecchi versi «spezzettati» delle unità più distese. In merito al materiale poetico

41 F. BANDINI, Preistoria di Comisso, in La linea veneta nella cultura contemporanea: Giovanni Comisso, a cura di G. PULLINI, Firenze, Olschki, 1983 (Atti Convegno 1982),

p.60.

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di Comisso si è dibattuto a lungo, per riscoprire o meno nei suoi scritti la contaminazione dannunziana. Difficile dirlo con certezza considerando che i capisaldi del suo stile, seppur prematuro, sono i poèmes en prose dei simbolisti francesi. Arthur Rimbaud sembra essere tra i preferiti all’interno delle letture comissiane e come lui si apre alle cosiddette illuminazioni:

Le Illuminations di Arturo Rimbaud sono forse più note in Italia che in Francia, ma certo sono più capite là che qui. Pensavo intensamente a Rimbaud siccome a noi ormai Gabriele D’Annunzio dista indietro da Rimbaud quanto Numa Pompilio da Augusto.43

Bandini riporta inoltre il pensiero critico di Contini sui poèmes en prose di Comisso, affermando che le sue pagine migliori corrispondono alla sezione

Brezza della raccolta. L’ attitudine ai poèmes en prose si rivela l’«officina

giovanile» di Comisso in cui domina la struttura paratattica, definita da Contini come «impressionismo paratattico e spesso contraddittorio tra sensazione e sensazione».44

Un uomo solo cammina colle scarpe meccaniche. Nel porto una nave arriva dai lontani

continenti abitati. Siamo nella luce dell’aurora. [dalla sez.

Aurora]

È evidente la tecnica acquisita da Rimbaud inerente al susseguirsi degli elementi visivi o sensoriali, secondo cui «gli oggetti rimangono distinti e autonomi, afferrati al volo e disposti uno accanto all’altro».45

43 F. BANDINI, p. 63, da un taccuino inedito di Comisso. 44 Ivi, p. 64.

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Non solo, unito all’impressionismo paratattico si colloca uno stile perlopiù nominale tipico di alcuni componimenti giovanili, tecnica che priva la frase del sintagma verbale, come nella lirica Fine:

Gli insetti storditi d’azzurro nella conca del fiore. La nostra ansia di spiare il loro mondo ‘Il loro sole’ un fiore giallo strappato alle mie dita …

Per Bandini ha valore fondamentale anche l’espediente della frase nominale coordinata a una frase verbale, il cui valore è di causa o di tempo.

Ultime ore della notte, e si cammina per i prati coi fiori chiusi che si aprono

in odore di menta sotto ai nostri passi. [da Visita di mattina presto]

Tale elemento simbolista è presente anche in alcune liriche da Le occasioni di Montale:

Una botta di stocco nel zig zag del beccaccino

e si librano piume su uno scrimolo. [da Alla maniera di F. De P.]

Come Rimbaud, Comisso si serve dei passati remoti che «formano la luce di apparizione, o più comissianamente, l’incanto dei momenti magici del vivere».

Salutandoci con gli amici a voce forte, una lepre attraversò la strada. Sotto gli alberi i

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ricordi. Una casa si fece bianca. Alcune donne vestite di nero attesero che il cancello venisse aperto. Alla stazione i campanelli cominciavano a trillare come nei baracconi delle fiere e

le campane sul fresco del prato ci ridestarono

momenti dimenticati. [Distacco]

Come Bandini riflette, l’utilizzo del passato remoto è quel tempo verbale che nei giornali del tempo di Comisso riportava argomentazioni del giorno o dei giorni precedenti. Allora l’intento di Comisso, come quello di Rimbaud, è quello di lasciare le liriche come fossero cronaca, seppur particolare e misteriosa. Oltre all’uso del passato remoto, vi è nella poesia di Comisso un espediente costante e che si può rilevare nella futura prosa, ovverosia l’elemento che accende in Comisso la scintilla della scrittura, l’avvenimento anche semplice e banale che interrompe un’abitudine e ne introduce un’altra, più interessante e che fa riflettere. O ancora, un momento degno di essere riprodotto per iscritto per essere riletto a distanza di tempo ed essere rievocato con la stessa emozione.

La stesura dei poèmes en prose di Brezza è databile dal 1919 fino al 1922, di poco precedente alla prima opera in prosa, Il porto dell’amore. Non è in questo scritto che si rilevano le caratteristiche dello stile successivo alle liriche, bensì a partire dalle opere posteriori alla prima composizione in prosa: si tratta di Gente di mare e di tutti i lavori in cui ricorrono i temi della strada,

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