e Un gatto attraversa la strada
2. Temi e mot
Se nelle prime produzioni i temi e i motivi sono caratterizzati da una serie di «infiniti programmatici» che per l’autore fungono da «imperativi categorici», vedere, sentire, divertirsi, gioire94, il passaggio dalla fase
giovanile a quella matura vede anche il passaggio dall’importanza del paesaggio a quella del personaggio. Si materializza così nell’autore un profondo bisogno di quiete e di assecondare l’idea di un ozio sereno, in cui poter realizzare i propri libri.
«Nei suoi scritti egli non ritrae più la superficie e i panorami delle cose, ma cerca di risollevare tra le pietre il germoglio dell’uomo»95, accorgendosi pertanto dell’esistenza dell’altro. Comisso interrompe l’abitudine dell’intellettuale degli anni ’50 che ha il «terrore di cadere nei sentimenti e
93 Ivi, p. VIII.
94 R. ESPOSITO, p. 158. 95 Ivi, p. 161.
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cerca di impegnarsi nella polemica sociale seguendo il filone cosiddetto dell’engagement»96, a vantaggio di una visione romantica della letteratura. Egli rispecchia l’uomo comune, immerso nella natura, nella semplicità e in «un mondo concreto, verificabile quotidianamente con i propri sensi»97. Comisso rappresenta l’antieroe di quegli anni, nonché l’antintellettuale. La vita e la narrativa di Comisso paiono progredire in parallelo a quelle degli altri, in maniera totalmente anticonformista e astorica.
Nonostante la continua ricerca della vitalità di un tempo, nelle due raccolte98 l’autore si imbatte in tematiche mai affrontate nelle precedenti opere; nello specifico, alcuni racconti dei Capricci e del Gatto sono caratterizzati da una forte componente malinconica intervallata da momenti di intensa solitudine. È il sentimento che si evince particolarmente dai racconti
Al mare e L’alpino solitario del Gatto:
Aveva lungamente atteso quel giorno. L’inverno era stato interminabile, la neve non si scioglieva più e la primavera piovosa e incerta risentiva più dell’inverno che dell’estate imminente. Infine quando il sole ebbe ripreso la sua potenza, era ripartito per il mare che non rivedeva da due anni. Aveva sofferto in questo tempo, aveva creduto nell’amore, e quando dopo lotte e gelosie era riescito a essere veramente sicuro della donna amata, questa gli era morta. Morta: tutta l’illusione che si era creata su questa donna era svanita, era scoppiata come una bolla di sapone, tutte le belle iridescenze non si vedevano più e disteso sulla punto del molo col grande cielo luminoso sopra il mare scintillante nelle piccole onde pensava che tutto quel cielo era come un’enorme bolla di sapone ad avvolgere la terra, la
96 Ivi, p. 162. 97 Ibidem.
98 Il campione di racconti scelti per Capricci italiani comprende: Quanto è triste la nostra Italia, Serata a Fermo, Il trentesimo morto in battaglia, Le esperienze di Alceste, La polizza dei combattenti, Balletto a Vicenza, Sempre emigrare.
Per Un gatto attraversa la strada, invece: Al mare, L’alpino solitario, Due soldati di
regioni lontane, Ossessione d’estate, Una giornata di pioggia, La bella siciliana, Il piccolo Toni, La scultura incompiuta, I fratelli Amadio, La prova d’amore, La fortuna di Rino.
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vita, la sua vita, e che un giorno sarebbe svanito, scoppiato per ridare il buio eterno, senza fine. Non voleva più illudersi, avrebbe vissuto delle stagioni, del suo lavoro, del suo riposo, sordamente. Sulle pietre di quel molo era stato con lei al principio del loro amore. Dove stava disteso in un giorno d’estate, come quello, ella era stata distesa stretta nel suo costume da bagno a righe bianche e rosse e le ricordava amorosamente le braccia e le gambe che si brunivano al sole. Ora, la verità assoluta era questa: non esistevano che le nude ossa di lei, il suo costume da bagno lo aveva conservato e ne sentiva nel salso rappreso ancora l’odore di lei. Piangeva e le lagrime scendevano come pioggia di sudore sulle pietre subito svanendo al sole e gridò forte il nome di lei, gridò per chiamarla come avesse da risorgere da quelle acque, dove si tuffava e risorgeva scuotendo i capelli via dagli occhi, ma il suo grido si sperdeva e lo ripeteva intimidito fino a confonderlo in un lamento. Sarebbe rimasto solo, solo per sempre, e morire gli appariva dolce99.
L’incipit del primo racconto citato lascia intendere una situazione di disagio del protagonista, succube della vita: una vita che si prefigurava gioiosa e ricca d’amore. Al mare racconta l’angoscia di un uomo che per un breve lasso di tempo, sul molo, riprova la sensazione di essere presente a se stesso ed essere capìto da una figura femminile con cui instaura una conversazione, in parte piacevole, in parte nostalgica. Nei dispiaceri dell’altra egli ritrova un conforto, interrotto dall’arrivo dei cugini della donna. L’animo, prima turbato, del protagonista raggiunge la massima apertura quando viene richiamato al gioco di gruppo di quei bagnanti: è un momento di allegria e spensieratezza, purtroppo fugace, in quanto prende coscienza di essere il più vecchio e, infastidito, va via.
La sua infanzia era morta, lontana, era vecchio oramai, e la donna che lo aveva amato era svanita, non sarebbe esistita più nello scorrere ancora dei giorni100.
99 G. COMISSO, Al mare in Un gatto attraversa la strada, pp. 107-108. 100 Ivi, pp. 111-112.
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Catapultato nuovamente nel baratro, l’uomo prosegue per il suo declino come il sole che «declinava verso il mare», ma di nuovo uno spiraglio di luce:
Ho da dirle: che è un bell’uomo101.
Una delle ragazze del gruppo lo raggiunge e gli regala un complimento. L’andamento del racconto sembra essere altalenante ma preciso: malinconia – conforto – felicità – malinconia – conforto, come altalenanti sono le fasi e le sensazioni della vita.
Ne L’alpino solitario alla malinconia si alterna la solitudine di un giovane alpino, privato della sua giovinezza a causa della vita militare. Quella vita fatta di «monti solitari» aveva reso solitario anche lui, come d’altronde tutti gli alpini che, sul fare dei trent’anni sentivano «l’aspro freno» gravare sulle proprie esistenze. Comisso usa in maniera ricorrente «aspro freno», come simbolo del tempo che scorre. L’alpino rimpiange gli attimi della sua giovinezza che non ha vissuto appieno, plasmata su una sorta di solitudine e timidezza che da grande lo rendono reticente. E gli alpini
così dovevano vivere come nella solitudine a cui si erano ormai plasmati e per non sentirla ancora si ubbriacavano. […] Poi ognuno avrebbe trovato la sua donna da sposare, ma la giovinezza e i vent’anni se ne erano andati102.
101 Ibidem.
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Il racconto può avere due livelli di interpretazione in conformità alla vita reale di Comisso: 1) il ricordo di Comisso-soldato; 2) il terrore di una vita infelice dopo essere rientrato dall’esperienza bellica. Per quanto riguarda la seconda osservazione, è risaputo che Comisso ricreava dei personaggi dediti a una vita che l’autore avrebbe rifuggito; fa vivere ai personaggi le sue più grandi paure. Tra queste, quella di maturare una nostalgia e un’angoscia esistenziale come quella dell’alpino solitario. Eppure, in questa fase di mezzo della sua vita, la malinconia ha preso il sopravvento, nonostante tutto.
Il motivo della fugacità della vita e il conseguente stato malinconico sono generati dall’incalzare del tempo, presagio di vecchiaia e di morte, come afferma nel Diario 1951-1964:
Roma, 5 novembre 1951
La situazione del tempo, che misura la nostra vita e la limita, mi determina contemporaneamente due sentimenti: l’ironia e la malinconia e su questi due temi svolgo ora i miei scritti che posso classificare tra quelli della maturità103.
Se la malinconia dell’età giovanile era generata dalla noia e dall’impossibilità di fare ciò che si desiderava, quella dell’età matura prendeva forma quanto più la giovinezza veniva meno, sotto forma di nostalgia del passato. Si distingue così nei suoi racconti una sfumatura dal tono elegiaco,
103 G. COMISSO, Diario 1951-1964, a cura di N. NALDINI, Milano, Longanesi, 1969, p.
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caratterizzati «da una dimensione evocativa e di rimpianto per un’età felice che il tempo nella sua corsa inesorabile ha portato via»104.
Un caso similare è quello di Quanto è triste la nostra Italia tratto dai
Capricci e nel quale sulla nota malinconica si percepisce un sottile filo di
satira, tipica dei racconti della raccolta. Il protagonista, che narra in prima persona, è deluso da quello che le guerre mondiali hanno lasciato al popolo italiano. Egli riscontra un peggioramento della società, nell’episodio della visita alla città di Cimalsole con un amico. Comisso intende descrivere come l’Italia abbia perso la sua antica bellezza e lo dimostra nel passo in cui il protagonista riflette sulla sorte di una giovane donna:
In breve venimmo a sapere che quel bambino era suo, ma che il padre non era il fidanzato. Il mio amico le chiese di altre ragazze che erano state generose con lui, quasi tutte avevano anche esse un bambino e ora erano fidanzate e non col primo amore. La situazione era chiara: era completamente inutile andarle a ricercare, portate dalla generosa innocenza alla preoccupante maternità, erano tuttavia riuscite a mettersi a posto con un fidanzato di ripiego, tanto difficile a trovarsi e quindi non vi era alcuna probabilità volessero rischiare di perderlo105.
Maggiore è lo sconforto quando i due compagni sono in osteria, ebbri, in sintonia con un vecchio che aveva combattuto durante il primo conflitto mondiale. Presi dai ricordi e dall’emozione di vent’anni addietro, gridano «Viva l’esercito italiano! Viva l’Italia! Viva il Re!». C’è gente che ascolta le loro glorificazioni; una figura si avvicina loro minacciosa:
104 R. ESPOSITO, p. 163.
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un uomo simile sarebbe stato capace di uccidermi, anche per il gusto di uccidermi per errore e mi dava paura. Sibilava tra i denti e gli scendeva la saliva putrida dalle labbra cascanti.106
I giovani vanno via, celatamente atterriti da quell’incontro, e i pensieri della notte si trasfigurano nella morale del racconto:
alla mattina prima dell’alba mi svegliai, e nella chiarezza della mente riposata la prima idea netta fu che dovevamo subito partire da quel sinistro villaggio. Poi considerai con tristezza che l’Italia aveva perduto la sua grazie che la rendeva tanto un divino paese. […] Non si può vivere come poeti e godere il mondo nella sua naturale bellezza.107
Sembra si sia perso il grande senso di civiltà e sia nata nell’intellettuale una profonda malinconia per un tempo in cui l’amore per l’arte e per la vita era caposaldo dell’italianità. Lo conferma l’autore in un’altra novella, satirica anch’essa, dei Capricci, Serata a Fermo:
Capii che l’Italia è un paese assai difficile per fare dell’arte, non è come si suole dire dagli stranieri che l’arte in Italia sia a casa propria, in Italia può nascere l’arte, ma che gran parte degli italiani se ne interessi, questa è un’altra faccenda. Indubbiamente compresi che uno in Italia può solo considerarsi artista di vera fama il giorno in cui verrà a essere conosciuto a Fermo o in una delle tante altre cittadine simili a questa: antichissime, cerchiate da mura tutelate dal severo controllo della curia, e dove ancora la vecchia civiltà non è stata scardinata dall’irruente modernismo […]108.
«Pare davvero che Comisso, tenacemente memore di altre e diverse prove sue, non riesca a perdonare agli uomini d’oggi d’aver abdicato ad una vita di ribellione, di audacia, di freschezza»109. Una visione estremamente
106 Ivi, p. 47. 107 Ivi, p. 49.
108 G. COMISSO, Serata a Fermo in Capricci italiani, pp. 184-185.
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moderna, dato che il rammarico per un tempo passato e migliore si respira ancora nei contemporanei ambienti culturali.
Nei racconti di Comisso non manca la tematica della guerra, manifestata attraverso i ricordi bellici e di vita militare e rintracciata in parte ne L’alpino
solitario ma anche in Due soldati di regioni lontane del Gatto. I componimenti
inerenti alla guerra sono perciò i più fedeli alla storia della sua vita. Tuttavia, il contenuto della narrazione ha solo come sfondo il conflitto, poiché gli argomenti esposti rispecchiano la vita quotidiana e i sentimenti provati dagli attori sono positivi.
Nei Due soldati di regioni lontane, Salvatore «era contento di fare la vita militare», nella fattispecie perché la sua storia di guerra corrispondeva alla storia di una solida amicizia instaurata con Cesco. In questa circostanza Cesco è padre autorevole, perché gli insegna ad andare in bicicletta, mentore per avergli insegnato a leggere e scrivere, infine amico fraterno e fidato. Cesco proviene da Milano mentre Salvatore dalla provincia di Caltanissetta: il titolo «regioni lontane» non allude semplicemente alla distanza fisica delle due zone, ma anche alla disparità culturale. Le Notizie sui testi de I meridiani riportano una precisa osservazione al riguardo:
il dato autobiografico si evolve nella rappresentazione oggettiva di un’Italia precapitalistica povera e analfabeta, ma ancora saldata su un forte senso della vita. Montale ci offre un’altra definizione illuminante: “Quella sua arte che sembra negligente ma che
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casca sempre in piedi: il faux exprès raccomandato da un altro divino fanciullo: Paul Verlaine110.
Comisso denuncia e giustifica quel pezzo d’Italia arretrata: la denuncia facendo leva sulle insicurezze di Salvatore, sul suo analfabetismo e sul suo volto fosco e stropicciato dal sole che ha preso quando lavorava come pastore; ma la giustifica per il senso di gratitudine, di impegno e serietà di Salvatore a imparare le basi della convivenza quotidiana. Un autentico senso di amore fraterno, mai sdolcinato, talvolta formale (i due compagni si danno del voi), dei sentimenti che in definitiva contrastano con l’atmosfera greve della Grande Guerra.
L’intento di Comisso è infatti mostrare un aspetto della guerra atipico, in cui l’energia non viene sfruttata nelle battaglie ma per celebrare la vita. Molto tempo prima, durante la stesura di Giorni di guerra, l’autore confessa a De Pisis:
Narro la mia vita così tra il Cervantes e l’Omero, negli anni della guerra. La mia superbia ti potrà parere che tocchi le stelle ma io non so se siano invece le stelle che mi toccano. Non vi pensare là dentro: battaglie, episodi, avvenimenti… Sarà un libro elementare come l’alfabeto. La verità è questa che attualmente ò la vita militare che mi fa da Mecenate e mi stendalizza le abitudini […]111.
In ogni caso, per ritornare ai Due soldati di regioni lontane, si riconosce per certo che ci sia un riferimento alla sua esperienza al fronte. Che sia stato egli stesso Cesco, o che abbia immaginato un rapporto simile con un
110 I Meridiani, p. 1714. 111 N. NALDINI, p. 39.
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compagno, o che abbia scovato tra i suoi compagni una storia di amicizia affine a quella raccontata, non ci è dato sapere, ma di sicuro è scaturito da un momento di rivelazione quasi epifanica.
I racconti di guerra sono più ricorrenti però nei Capricci, soprattutto per quella leggera satira che sviluppa nei confronti della politica di un Paese che non riconosce. Una lettura di questo tipo la si rintraccia nel racconto Il
trentesimo morto in battaglia, dal contenuto particolarmente esilarante e
surreale. Ci si trova in una realtà parallela e in una fantomatica guerra tra due schieramenti, «Gialli contro Neri». Dall’alto della sua follia, il comandante dei Gialli non solo intende passare alla storia con uno scontro memorabile, ma
il governo dei Gialli pensò di tramandare alla storia questa battaglia facendola ripetere dalle stesse truppe, sullo stesso posto per ritrarla interamente con macchine cinematografiche. Vi furono alcuni consigli di guerra tra i generali e i registi. I generali volevano riprodurre la battaglia tale e quale, ma i registi spiegarono che la realtà è nemica del cinema. «Se cinematografiamo l’effetto vero di una cannonata», disse il capo regista, «quello che otterremo sulla pellicola sarà un effetto nullo, noi dobbiamo cinematografare falsi effetti di cannonate, provocati da piccole mine fatte scoppiare a tempo. In altre parole, una cannonata vera non è fotogenica, una falsa, sì». I generali si rassegnarono, furono quindi i registi che diressero la battaglia. Però durante lo svolgimento, per la mossa imprevidente d’un reparto sopra un terreno dove non si sapeva che vi erano le mine, vi fu un certo numero di morti: quindici morti e una quarantina di feriti. Così fu la falsa battaglia che effettivamente passò alla storia112.
In un altro episodio bellico della narrazione è presente un soldato che, scaltro, sostiene di essere stato ferito in combattimento, ma si serve di questo escamotage per sottrarsi agli scontri. Il suo compagno di branda se ne accorge
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e furioso con quell’essere meschino lo soffoca. In contemporanea si svolge l’ultima battaglia che vede i Gialli nuovamente trionfanti
con un numero di perdite mai raggiunto, ventinove morti. Quando giunse al comando l’annuncio della vittoria, il generale supremo stava osservando l’elenco delle perdite e diceva al suo aiutante: «Sembra una disdetta, pare impossibile, ventinove morti: la prima occasione di passare veramente alla storia, ma non è una cifra tonda». Un altro aiutante si fece subito avanti: «Il direttore dell’ospedaletto comunica che questa notte è stato misteriosamente ucciso un ricoverato. Non si potrebbe includerlo?». - «Ottima idea, mio aiutante, includetelo tra le perdite della battaglia. Trenta morti, questa sì che è una battaglia coi fiocchi»113.
Con quest’ultima osservazione ironica, si evidenzia il carattere fantapolitico del racconto, a mezzo del quale Comisso satireggia il fanatismo bellico e ne dipinge una caricatura bizzarra esasperando le situazioni. È un espediente pungente per schernire le scelte umane, nello specifico per sminuire le gesta eroiche o pseudo eroiche evidenziandone il senso di «ridicolo implicito», come chiarisce la Esposito114.
Un ultimo riferimento alla tematica bellica si può ricercare tra le pagine dei Capricci in La polizza dei combattenti e Le esperienze di Alceste, dove vi è «qualche riflesso delle disavventure di guerra dell’autore rivissute in immagini concrete, cariche di riverberi emotivi, col senso quasi gridato d’una finale distruzione»115. Sebbene di contenuti differenti, un motivo comune ad entrambi i racconti è la minuzia estrema con cui si svolgono gli affari
113 Ivi, pp. 33-34. 114 R. ESPOSITO, p. 93.
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burocratici che il popolo italiano si è portato dietro sin dal primo conflitto. E oggigiorno la questione non si mostra risolta bensì peggiorata. Polemica a parte, chi risente, esasperato, di tali condizioni è il comune cittadino, onesto come l’Alceste del racconto.
Per sé aveva sempre sperato di potere vivere in un mondo civile e logico che gli rendesse al minimo le occasioni di schiavitù provocate dal di fuori, perché sentiva di essere nato libero con tutta la disposizione del suo sangue e non creare vincoli ai suoi impulsi116.
Ma la pura disposizione dell’animo non basta, giacché la guerra ha fatto sì che tutti i controlli in ambito civile venissero valutati e rivalutati da organi differenti. Alceste spera in un risarcimento dei danni di guerra, dopo il bombardamento della sua casa di città, però furibondo, da persona di garbo qual è, per l’andirivieni da un ufficio all’altro decide di rinunciare al presunto rimborso.
Alceste era al di là della pazienza e non volle più sapere di risarcimento, sapeva benissimo che non sarebbe mai più arrivato, che le speranze di sua madre di rinnovare la cesta sarebbero rimaste speranze perdute, che in questo paese vivere era un ridicolo giuoco117.
Comisso rimarca l’inasprimento della società italiana, meno distesa, sospetta e incline a domande inquisitorie, proprio come l’episodio del rinnovo della patente, in cui «quel medico aveva un gusto sadico da torturatore». Così che Alceste preferì la bicicletta. Il tono con cui è scritto il racconto, uno dei
116 G. COMISSO, Le esperienze di Alceste in Capricci italiani, p. 152. 117 Ibidem.
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più lunghi, appare di rassegnazione, piuttosto che di malinconia del passato e l’abilità di Comisso risiede nel portare all’estremo e con ironia le situazioni del quotidiano.
Una costante tematica da menzionare riguarda, poi, il motivo dei viaggi