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Le politiche di investimento SRI nei fondi pensione. Un'analisi a livello nazionale ed internazionale.

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

C

ORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

B

ANCA

,

F

INANZA

A

ZIENDALE E

M

ERCATI

F

INANZIARI

Tesi di Laurea

LE POLITICHE DI INVESTIMENTO SRI

NEI FONDI PENSIONE.

UN’ANALISI A LIVELLO NAZIONALE

ED INTERNAZIONALE

R

ELATORE

:

C

ANDIDATO

:

P

ROF

.

SSA

M.C.

Q

UIRICI

N

ICOLÒ

T

OGNETTI

(2)
(3)

A tutte le volte che non sarò all’altezza,

alle mie nonne Alba e Lisetta.

(4)
(5)

I

INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO 1 - LE POLITICHE DI INVESTIMENTO DEI FONDI PENSIONE ... 5

1.1 Evoluzione del quadro normativo italiano su criteri e limiti di investimento ... 5

1.2 Uno sguardo d’insieme alla normativa internazionale su criteri e limiti di investimento ... 11

1.3 Il processo di investimento di un fondo pensione ... 14

1.4 L’asset-allocation dei fondi pensione ... 18

CAPITOLO 2 – DALLE OPPORTUNITÀ ALLE STRATEGIE D’INVESTIMENTO SRI DA PARTE DI UN FONDO PENSIONE ... 23

2.1 Caratteri introduttivi e stato dell’arte del mercato SRI ... 23

2.2 Ostacoli ed opportunità di un investimento sostenibile e responsabile ... 26

2.3 Le possibili strategie nella scelta di un approccio SRI ... 36

2.4 Integrare le strategie SRI: le opzioni strategiche per i fondi pensione ... 42

2.4.1 Caratteri introduttivi ... 42

2.4.2 Principi generali ... 44

2.4.3 Benchmark specializzati ... 46

2.4.4 Rating ESG ... 49

2.4.5 Azionariato attivo ... 50

2.5 Sulla trasparenza: il tema del non-financial information reporting ... 53

CAPITOLO 3 – I FATTORI ESG NELL’ASSET-ALLOCATION DEI FONDI PENSIONE: LO STATO DELL’ARTE A LIVELLO NAZIONALE ... 63

3.1 Il benchmark italiano presentato da Mefop-FFS ... 63

3.2 Il caso del Fondo Cometa ... 77

3.3 Il caso Fondapi ... 83

3.4 Sulle Casse di Previdenza: un modello da non seguire ... 85

CAPITOLO 4 – I FATTORI ESG NELL’ASSET-ALLOCATION DEI FONDI PENSIONE A LIVELLO INTERNAZIONALE ... 91

(6)

II

4.2 Il report sugli investimenti responsabili nei fondi pensione della Svizzera ... 97

4.3 Il benchmark RIIA per l’Australia ... 103

4.4 Il Global Investor Study 2016 di Schroders ... 109

4.5 Il caso ABP Pensioenfonds ... 112

CONCLUSIONI ... 117

Indice dei grafici ... 121

Indice delle figure e delle tabelle ... 123

Bibliografia ... 125

Sitografia ... 129

(7)

3

INTRODUZIONE

Quando parliamo di fondi pensione, in termini generali, ci riferiamo al secondo dei tre pilastri di cui si compongono i moderni sistemi previdenziali: quello della previdenza complementare. Essa, come noto, risponde al principio generale di adesione volontaria ed è quindi scelta libera del lavoratore partecipare oppure no a tale forma pensionistica previdenziale.

Prima di presentare le tappe dell’elaborato, è doveroso ricordare il ruolo fondamentale dei fondi pensione come investitori istituzionali, che è poi il gancio tra i due temi trattati, da una parte le politiche di investimento dei fondi pensione, dall’altra la finanza sostenibile e

responsabile, tema oramai piuttosto caldo negli ultimi tempi. Il fondo

pensione, proprio per la sua tipica funzione previdenziale rispetto ad altri istituti finanziari di investimento, è per natura un soggetto che trova meno ostacoli nello sposare il tema degli investimenti sostenibili e responsabili. La logica spiegazione è che la politica di investimento di un fondo pensione è una politica che risponde ad un’ottica di lungo termine, dove la caccia al rendimento nel breve periodo non è la sola variabile a cui esso deve rispondere, ma c’è discreto margine per tenere conto dell’importanza di un valore etico dell’investimento, che può portare nel lungo periodo un valore aggiunto. Il fatto che i fondi pensione manovrano ingenti masse di denaro e sono tra i maggiori investitori istituzionali del mondo, ricorda la responsabilità del contributo che essi offrono nell’indirizzo e nello sviluppo dei mercati finanziari. Se riusciranno a muoversi verso una sempre maggiore inclusione di investimenti che rispondono a criteri di sostenibilità e responsabilità sociale, potranno rappresentare il motore del cambiamento e contribuire in maniera tangibile a migliorare il nostro futuro.

L’attenzione, nell’ambito del presente elaborato, si focalizzerà sulle politiche di investimento dei fondi pensione, in primo luogo concentrandosi sui criteri e sui limiti di investimento che essi debbono rispettare. Relativamente a questa parte iniziale, si andrà a

(8)

4

vedere nel dettaglio la recente evoluzione della normativa italiana in materia, per poi passare ad inquadrare in modo più sintetico la normativa internazionale.

Successivamente, dopo aver ricordato il processo di investimento di un fondo pensione, gli attori coinvolti e le dinamiche di

asset-allocation, sarà affrontato il tema degli investimenti socialmente

responsabili, chiedendosi se effettivamente rappresentano una vera e propria opportunità di investimento per i fondi pensione, analizzando potenziali vantaggi e svantaggi della scelta ed eventuali esternalità. Dovranno essere altresì evidenziate, ancor prima di valutare l’impatto della normativa sul non-financial reporting, le possibili strategie di integrazione degli investimenti sostenibili nell’asset-allocation.

Si passerà infine ad esaminare lo stato dell’arte dell’investimento SRI 1 nei fondi pensione, sia ad un livello nazionale che

internazionale, portando alla luce anche alcuni case studies, tra i quali quello del Fondo Cometa, che rappresenta il più grande fondo pensione in Italia.

1

Per sgombrare il campo da fraintendimenti si specifica che la sigla “SRI” verrà nel corso dell’elaborato utilizzata come abbreviativo di Socially Responsible Investment, Sustainable

(9)

5

CAPITOLO 1 - LE

POLITICHE

DI

INVESTIMENTO

DEI

FONDI

PENSIONE

1.1

E

VOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO ITALIANO SU

CRITERI E LIMITI DI INVESTIMENTO

Il primo intervento normativo strutturale sul tema della previdenza complementare è il Decreto n°124 dell’aprile 1993 (Legge Amato)2,

con il quale si include la previdenza complementare nel pacchetto di riforme che rivedono l’intero funzionamento del complesso previdenziale e in particolare dei fondi pensione, visto che già alcune forme peculiari erano in vita prima di tale intervento, ma con disciplina apposita. 3 Sebbene rappresentino a questo punto

un’opzione arbitrariamente esercitabile dai lavoratori, le forme pensionistiche complementari faticano a ritagliarsi un ruolo di rilievo, almeno fino al nuovo intervento del legislatore in materia. Il Decreto n°252 del dicembre 2005 si può considerare come una vera e propria seconda riforma della previdenza complementare dopo quella iniziale degli anni ’90. Il legislatore attua una serie di modifiche che riguardano il conferimento del TFR, agevolazioni fiscali e contributive, ecc.4 Risulta importante avere in mente questo

percorso di riforma strutturale perché ricalca a grandi linee anche l’evoluzione normativa che riguarda il tema dei criteri e limiti di investimento dei fondi pensione: vi sono stati due principali interventi normativi in materia che si sono susseguiti negli anni, con il tentativo di fondo di offrire una spinta più incisiva alle forme di previdenza complementare. Il primo intervento segue la riforma strutturale del 1993: con il Decreto n°703 del 1996 venivano per la

2

Punti centrali della riforma sono: libertà di scelta del lavoratore nell’adesione al fondo pensione, contratti o accordi come fonti istitutive delle forme complementari, requisiti di accesso dettagliati per l’erogazione delle prestazioni e possibilità per l’iscritto al fondo, dopo almeno otto anni di partecipazione di ottenere un’anticipazione dei contributi accumulati per fini sanitari riconosciuti o per l’acquisto della prima casa.

3

Si intende i cosiddetti fondi preesistenti. 4

Per approfondimenti a riguardo si rimanda a: M.C.Quirici (2016), La previdenza complementare in

(10)

6

prima volta fissati criteri e limiti di investimento dei fondi pensione. L’art. 2 specifica: “il fondo pensione opera in modo che le proprie

disponibilità siano gestite in maniera sana e prudente avendo riguardo agli obiettivi di”:

diversificazione degli investimenti;

efficiente gestione del portafoglio;

diversificazione dei rischi, anche di controparte;

contenimento dei costi di transazione, gestione e funzionamento del fondo;

massimizzazione dei rendimenti netti.

Si passa poi con l’art. 3 ad elencare investimenti e operazioni consentite: titoli di debito, titoli di capitale, parti di OICVM5, quote di

fondi chiusi. I fondi pensione potevano inoltre detenere pronti contro termine, liquidità o anche strumenti derivati, nel rispetto, per quest’ ultimi, di almeno un criterio tra quelli elencati nell’art. 5:

 se generano un’esposizione al rischio finanziario equivalente a quella risultante da un acquisto a pronti degli strumenti finanziari sottostanti contratto derivato;

 se eliminano il rischio finanziario degli strumenti sottostanti il contratto derivato;

 se assicurano il valore degli strumenti sottostanti contro fluttuazioni avverse dei loro prezzi;

 se assicurano maggiore liquidità dell’investimento negli strumenti finanziari sottostanti senza comportare l’assunzione dei rischi superiori a quelli risultanti da acquisti a pronti.

Facendo un passo indietro e tornando all’art. 4 troviamo elencati i limiti agli investimenti posti in atto dall’intervento legislativo: “i

fondi pensione […] nell’investimento delle proprie disponibilità possono detenere”:

 liquidità entro il limite del 20% del patrimonio del fondo pensione;

(11)

7

 quote di fondi chiusi entro il limite totale del 20% del patrimonio del fondo pensione e del 25% del valore del fondo chiuso6.

Vi erano inoltre anche limiti di concentrazione in riguardo alla provenienza dell’emittente7: i fondi pensione potevano detenere

titoli di debito e di capitale

“[…] non negoziati in mercati regolamentati dei Paesi dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, del Canada, e del Giappone entro il limite del 50%, purché emessi da Paesi aderenti all’OCSE ovvero da soggetti ivi residenti; entro tale limite i titoli di capitale non possono superare il 10% del patrimonio ed il complesso dei titoli di debito e di capitale emessi da soggetti diversi dai Paesi aderenti all’OCSE o dagli organismi internazionali, cui aderiscono almeno uno degli Stati appartenenti all’Unione Europea, non può superare il 20% del patrimonio del fondo pensione.”;

“[…] emessi da soggetti diversi dai Paesi aderenti all’OCSE ovvero residenti in detti Paesi, entro il limite massimo del 5% del patrimonio del fondo pensione, purché negoziati in mercati regolamentari dei Paesi dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, del Canada e del Giappone.”.

Si può notare senza alcuna difficoltà come l’organizzazione della disciplina avesse un’impostazione quantitativa rispetto ai criteri e dei limiti agli investimenti dei fondi pensione, alla luce anche delle restrizioni e dei vincoli quantitativi che sono emersi in maniera sempre più incisiva nel corso degli anni sulla spinta di diversi impulsi e fattori. Di pari passo all’evoluzione normativa riguardo agli aspetti strutturali della previdenza complementare italiana, si evolve anche la disciplina sui criteri e i limiti di investimento. Il passo successivo e decisivo verso il nuovo intervento legislativo venne da

6 Dal Decreto n°124 del 1993 discusso in precedenza, si prevedeva, oltre al riconoscimento dei cosiddetti fondi preesistenti, altre due tipologie di fondi: quelli chiusi ad adesione collettiva (di natura contrattuale ed associativa) e quelli aperti a adesione individuale.

(12)

8

un documento di consultazione del 2007 8 , che rilevava

autorevolmente come “I limiti quantitativi non appaiono uno

strumento idoneo ad assicurare un contenimento efficace dell’esposizione del portafoglio ai rischi o a una sua adeguata diversificazione.”. Seguiva: “le limitazioni esistenti sulla tipologia di investimenti ammissibili possono ostacolare l’efficienza gestionale, senza necessariamente garantire, d’altro canto, una migliore protezione degli interessi degli aderenti.”. Si arrivò così al D.M. n°166

del 2014, che innova il precedente quadro normativo della politica d’investimento dei fondi pensione analizzato sopra9. La nuova

normativa, che è poi quella in vigore alla data di stesura di questo elaborato, introduce un nuovo approccio in materia, che mira a garantire una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse da parte dei fondi pensione. Il nuovo approccio è un approccio regolamentare di tipo qualitativo, che si focalizza non più su criteri e limiti esclusivamente quantitativi, ma su di una delineazione puntale della politica d’investimento e sugli obiettivi su cui si basa poi

l’asset-allocation strategica, ma anche su un adeguato assetto organizzativo

del fondo stesso. Andando ad analizzare in concreto il nuovo intervento, troviamo nell’art. 3 denominato “Criteri di gestione,

strutture organizzative e procedure” il cardine della disciplina,

ovvero il principio generale della “sana e prudente gestione” e modifica successivamente i criteri di gestione che debbono convivere con quel principio generale: “nella gestione delle loro

disponibilità i fondi pensione osservano i seguenti criteri”:

ottimizzazione della combinazione redditività-rischio del portafoglio nel suo complesso, attraverso la scelta degli strumenti migliori per qualità, liquidabilità, rendimento e livello di rischio, in coerenza con la politica di investimento adottata;

adeguata diversificazione del portafoglio finalizzata a contenere la concentrazione del rischio e la dipendenza del

8 Documento di consultazione: Disciplina dei limiti agli investimenti e dei conflitti d’interesse per i

fondi pensione, 2007, Dipartimento del Tesoro.

9

Occorre rilevare che la nuova disciplina non si applica alle forme pensionistiche complementari attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita, ovvero i PIP e ai fondi preesistenti.

(13)

9

risultato della gestione da determinati emittenti, gruppi di imprese, settori di attività e aree geografiche;

efficiente gestione finalizzata a ottimizzare i risultati, contenendo i costi di transazione, di gestione e di funzionamento in rapporto alla dimensione ed alla complessità e caratteristiche del portafoglio.

Continua con un importante esempio di approccio qualitativo: “i

fondi pensione […] adottano strategie di investimento coerenti con il profilo di rischio […] avendo come obiettivo l’equilibrio finanziario nonché la sicurezza, la redditività e la liquidabilità degli investimenti. In tale ambito i suddetti fondi pensione privilegiano gli strumenti finanziari con basso grado di rischio, anche facendo ricorso a titoli di debito emessi o garantiti da un Paese membro dell’Unione Europea, da un Paese membro dell’OCSE o da organismi internazionali di carattere pubblico di cui fanno parte uno o più Paesi membri dell’Unione Europea.”. Nel comma 3, inoltre, si lega la rinuncia a criteri

quantitativi all’adozione di un modello di comprensione, controllo e gestione di tutti i rischi all’interno della propria struttura organizzativa, che deve anche essere adeguata alla politica di investimento adottata. L’intenzione del legislatore su questo è proprio una maggiore precisione nell’ individuazione delle relative responsabilità riguardo i rischi assunti. Si ritrova anche qui il nuovo approccio qualitativo dell’impostazione adottata dal legislatore. I commi 5 e 6 si concentrano invece sul documento sulla politica di investimento, in cui si riportano i parametri di riferimento seguiti riguardo la politica adottata, la struttura organizzativa, professionale e tecnica, illustrando inoltre la loro compatibilità con la politica di investimento adottata e i relativi rischi. Detto documento deve essere comunicato alla COVIP, insieme agli aspetti etici, ambientali, sociali e di governo presi in considerazione nell’attività di investimento. Nell’art. 4 non si elencano più gli investimenti e le operazioni consentite: si può infatti detenere ogni strumento finanziario (secondo criteri e limiti indicati). Ammessi pronti contro

(14)

10

termine, prestito titoli10, liquidità e strumenti derivati. Su di essi è

previsto un altro esempio di maggiore flessibilità concessa: se prima si prevedevano una serie di precise circostanze in cui si permetteva l’investimento in tali strumenti, con la nuova normativa si prevede che “i derivati possono essere stipulati esclusivamente per finalità di

riduzione del rischio di investimento o di efficiente gestione […]. L’utilizzo di derivati è adeguatamente motivato dal fondo pensione in relazione alle proprie caratteristiche dimensionali, alla politica di investimento adottata e alle esigenze degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni pensionistiche.” Cade il limite quantitativo che era

previsto sulla liquidità detenuta, che risponde adesso solo alla coerenza con la politica di investimento e si richiede la prevalenza di strumenti negoziati in mercati regolamentati come principio di prudenza. Riguardo invece le limitazioni quantitative viene introdotto un nuovo limite del 30% delle disponibilità complessive del fondo pensione per gli investimenti in titoli non negoziati e quote di FIA11. Previsto un limite specifico sui FIA del 20% delle

disponibilità complessive del fondo pensione e del 25% del valore del FIA. Altre specificità sono previste sull’esposizione valutaria massima fissata al 30% del patrimonio del fondo12 e sui nuovi limiti

di concentrazione: un massimo del 5% del patrimonio in strumenti emessi dallo stesso soggetto13 e in azioni o quote con diritto di voto

emesse da società quotata, che diventa del 10% se non quotata. In sostanza il recente intervento legislativo fissa limiti quantitativi quasi esclusivamente per circoscrivere un margine operativo riguardo gli investimenti alternativi. Nei limiti di questo margine operativo regolamentare, si è evidentemente lasciato maggiore flessibilità nelle strategie di investimento rispetto alla precedente normativa, legando criteri e limiti di investimento prevalentemente al principio di coerenza con la politica di investimento adottata dal

10

Nel comma 2 dell’art.4 si specifica che detti strumenti si debbono giustificare con la ricerca dell’efficiente gestione di portafoglio. Inoltre si richiede che abbiano come controparte un organismo riconosciuto di compensazione e garanzia o un soggetto di primaria affidabilità sottoposto a vigilanza pubblica.

11

OICR alternativi (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio).

12 Fissata a un massimo del 66% del patrimonio del fondo pensione nel vecchio D.M. 703/1996. 13

Il limite diventa del 10% se gli strumenti sono emessi da soggetti dello stesso gruppo. Suddetto limite di concentrazione non si applica però per OICR, strumenti emessi da Paesi UE, OCSE o organismi internazionali cui aderiscono Paesi UE.

(15)

11

fondo pensione. Questo favorisce la possibilità di muoversi in un universo investibile più esteso per l’ente previdenziale, che permette a sua volta maggiore competitività e diversificazione nelle strategie di asset-allocation.

1.2

U

NO SGUARDO D

INSIEME ALLA NORMATIVA

INTERNAZIONALE SU CRITERI E LIMITI DI INVESTIMENTO

Risulta a questo punto interessante chiedersi quale siano le normative vigenti in materia al di fuori del contesto italiano. Su questo tentativo di sguardo d’insieme giunge puntualmente l’Annual

Survey of Investment Regulation of Pension Funds per l’anno 201714,

pubblicato dall’OECD, che ogni anno fa il punto della situazione sulle normative nazionali riguardo ai limiti di investimento ai fondi pensione posti in essere dal legislatore. Esso riporta tre principali tabelle, che sintetizzano rispettivamente: i limiti di portafoglio per gli investimenti dei fondi pensione in determinate categorie di attività, in determinate categorie di attività estere e in singoli emittenti o emissioni (limiti di concentrazione) per ognuna delle 75 nazioni oggetto di studio. In questo elaborato, per ovvi motivi, si riportano i regolamenti di alcune di esse, scelte in base alla loro importanza e influenza nel quadro politico internazionale. Iniziando l’analisi dall’Europa, la Francia propone un limite del 65% all’esposizione sul capitale azionario (si intende esclusi gli investimenti indiretti tramite OICR), con un limite speciale del 5% se emesso da una special purpose vehicles. Sull’immobiliare vi è un limite del 40%, mentre sono ammessi prestiti nei limiti del 10% e consentiti i depositi bancari.15 Per quanto riguarda la Germania, si fa

distinzione tra due tipologie di enti previdenziali: i cosiddetti

Pensionskassen, che godono di una minore flessibilità, con limiti del

35% per azioni quotate e il 15% per quelle non quotate (compresi gli investimenti indiretti tramite OICR), un limite del 25%

14

Le informazioni riportate su tale studio sono aggiornate a dicembre 2016.

(16)

12

sull’immobiliare, del 50% sui bonds siano essi pubblici o privati, e del 7,5% sugli investimenti alternativi. Stretti limiti riguardano anche prestiti e depositi bancari. Quasi totale libertà sulle politiche di investimento è concessa invece ai Pensionsfonds, che in sostanza debbono rispettare solo il principio di prudenza riguardo alla partecipazione nei fondi di investimento alternativi.16 La normativa

in Spagna, che riguarda sia i fondi pensione, sia i piani associativi e personali, pone un limite del 30% per i valori mobiliari non ammessi ai mercati regolamentari, così come per il settore immobiliare. Per quanto riguarda gli UCITS17 sono fissati dei

requisiti legali: il limite del 30% su di essi deve essere rispettato se l’UCITS non risponde a questi requisiti. Stesso limite vale poi sui fondi di investimento privati. Sui prestiti vi è il limite del 30%, ma non sono consentiti prestiti ai membri; sono consentiti invece i depositi bancari. La terza tabella del documento dell’OCSE riporta invece i limiti di concentrazione sugli investimenti dei fondi pensione. Sia per quanto riguarda Francia, Germania e Spagna, sia anche in generale per molti altri Paesi europei, vi è una certa frammentarietà riguardo ai singoli limiti di concentrazione, sulla quale, di seguito, non si approfondisce lo studio. Con estrema sintesi possiamo però osservare che le regolamentazioni non si discostano più di tanto rispetto alla normativa italiana che abbiamo sopra analizzato più nel dettaglio. Nel Regno Unito, ormai fuori dalla comunità europea, vi è un’estrema libertà di azione concessa agli

Occupational Pension Plans. Non si impone, in effetti, nessun limite

agli investimenti dei fondi pensione, così come in altri Paesi OCSE come l’Australia, il Belgio, il Canada, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, in particolare, ricoprono un ruolo di primo piano nel settore della previdenza complementare mondiale, visto che molti dei più grandi fondi pensione sono di origine statunitense. Come sopra accennato, non impongono particolari

16

Ognuno dei limiti imposti dal legislatore tedesco sono sulla totale esposizione alla classe di attività, quindi non solo come investimento diretto, ma anche indiretto, vale a dire attraverso gli organismi di investimento collettivo. Mentre, quando non specificato, il limite è da calcolare sul solo investimento diretto.

17

(Undertakings for Collective Investments in Transferable Securities). I fondi UCITS sono così denominati dall’UE e rappresentano gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari.

(17)

13

limiti, se non alcune imposizioni riguardo ai datori di lavoro18

nell’ottica di un maggiore rispetto del conflitto d’interesse. Anche rispetto ai limiti di concentrazione la normativa del Regno Unito e degli Stati Uniti non differisce dalla linea generale di estrema flessibilità concessa agli enti previdenziali. Infatti, per entrambe, i limiti di concentrazione sono fissati al criterio qualitativo della

diversificazione. Situazione particolare invece si afferma nel

Giappone, che è anch’esso un Paese dove i fondi pensione si impongono per la loro rilevanza, basti pensare che proprio in Giappone c’è il più grande fondo pensione del mondo, il Government

Pension Investment Fund. Il legislatore non ha deciso per limiti

percentuali diversi per ogni classe di attività ma lascia totale libertà di investimento, vietando però le partecipazioni nel settore immobiliare e i prestiti. Riguardo ai limiti di concentrazione, non si prevedono particolari criteri, anche se viene previsto un criterio qualitativo secondo cui ogni fondo pensione dovrebbe cercare di evitare la concentrazione dell’investimento su una specifica categoria di attività. Semplicemente per avere un’idea del contenuto della seconda tabella oggetto dello studio OCSE per il 2017, si può trarre un’idea generale dei limiti imposti sugli investimenti esteri. In alcuni casi si impedisce ai fondi pensione di investire all’estero in alcuni Paesi non-OCSE (Repubblica Dominicana, Egitto, India, Nigeria). Oppure sono consentiti solo in aree geografiche selezionate, come l’OCSE, i mercati regolamentati dell’UE o lo Spazio Economico Europeo. Dodici Paesi OCSE 19 consentono solo

investimenti in Paesi considerati ammissibili, ad esempio l’Islanda consente solo investimenti nell’OCSE, nei Paesi UE e nelle Isole Faroe. In generale si registra due tipi di limiti agli investimenti esteri: limiti specifici per tipo di classe di attività o restrizioni sulla quota complessiva di attività estere. Possiamo a questo punto dire di avere in mente un quadro generale sulla normativa di criteri e limiti di investimento in vigore in Europa e nelle nazioni extra-europee di maggior rilievo sul tema dei fondi pensione. Si rileva

18

Ad esempio vi sono limiti sui titoli, sul real estate e sui prestiti che coinvolgono il datore di lavoro. 19

Danimarca, Finlandia, Islanda, Israele, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna.

(18)

14

particolarmente importante tenere a mente il quadro normativo internazionale su criteri e limiti di investimento, soprattutto per poter apprezzare in misura soddisfacente il proseguo dell’elaborato.

1.3

I

L PROCESSO DI INVESTIMENTO DI UN FONDO PENSIONE

L’intero processo della previdenza complementare può essere sintetizzato nelle tre fasi tipiche di ogni schema pensionistico e non solo: raccolta dei contributi, gestione delle risorse e erogazione delle prestazioni. Nello svolgimento di questo lavoro concentreremo l’attenzione sulla seconda fase, sugli organi interni ed esterni al fondo pensione e sulle rispettive responsabilità riguardo alla gestione finanziaria, naturalmente facendo riferimento al quadro normativo italiano in materia. Il punto principale è chiarire quale soggetto gestisce di fatto il processo di investimento e quali sono i confini di manovra tra i soggetti interni del fondo pensione e gli eventuali soggetti esterni. La seguente descrizione del processo di investimento prende come riferimento primario i fondi pensione negoziali, poiché i fondi pensione aperti prevedono di norma la gestione diretta delle risorse, dando vita a un processo decisionale logicamente più semplificato. 20 Iniziando col chiarire la

composizione della struttura organizzativa del fondo pensione, si individuano tre soggetti: l’Assemblea dei soci, il Consiglio di amministrazione e il Collegio dei revisori contabili. Tra i compiti dell’Assemblea dei soci c’è, oltre a quello di nominare il Consiglio, l’approvazione dello Statuto e delle sue eventuali modifiche successive. Ecco quindi che emergono le prime responsabilità di rilievo, visto che nello Statuto si trovano tutti gli elementi che vanno poi a costituire l’intero processo di gestione delle risorse.21 Tra gli

altri, si devono specificare i criteri della gestione amministrativa del fondo: il legislatore italiano prevede, ai sensi del D.Lgs. n°252 del 5

20 I fondi pensione aperti possono essere istituiti da SGR, banche, SIM o imprese di assicurazione, che, di conseguenza, gestiscono le risorse in modo diretto.

21

Tra gli elementi definiti dallo Statuto vi sono la definizione dei requisiti di partecipazione, lo scopo del fondo stesso, le specificità riguardo la gestione finanziaria, le modalità di erogazione delle risorse.

(19)

15

dicembre 2005, che i fondi pensione possono condurre le loro politiche di investimento attraverso l’investimento indiretto, quindi passando per l’assegnazione della gestione finanziaria ad un apposito gestore tramite le convenzioni di gestione oppure attraverso l’investimento diretto che è però limitato a specifiche tipologie di investimento.22 A quanto risulta dalla prassi sinora maturata, i fondi

pensione negoziali gestiscono interamente le risorse tramite convenzioni con soggetti specializzati.23 Il modello basato sulla

figura del gestore finanziario si caratterizza per il fatto che il fondo pensione, tramite il Consiglio di amministrazione, assume la responsabilità nei confronti degli aderenti di investire le risorse finanziarie nel rispetto di una certa politica di investimento adottata, ma affida l’attuazione di essa a soggetti terzi appositamente selezionati. Riguardo al gestore finanziario, i soggetti abilitati a svolgere questo ruolo sono le SIM autorizzate a svolgere il servizio di gestione di portafogli, banche, imprese assicuratrici e SGR. Prima di entrare nel dettaglio del rapporto tra il fondo e il gestore

finanziario, si procede per tappe cercando di schematizzare le fasi

del processo di investimento di un fondo pensione e richiamando a mano a mano i soggetti coinvolti in ogni singola fase della filiera.

Fase 1 - Definizione dell’asset-allocation e della strategia di investimento

Questa fase ricade in capo all’organo di amministrazione del fondo. Come detto è infatti proprio l’organo di amministrazione che affida le risorse al gestore convenzionato e risponde del rispetto della normativa e della strategia di investimento adottata. Si decide l’offerta: la definizione dell’asset-allocation24 nel rispetto della normativa in vigore su

criteri e limiti di investimento, dei benchmark di riferimento

22

Le possibilità di investimento diretto da parte dei fondi pensione negoziali si limitano alla sottoscrizione o l’acquisizione diretta di azioni o quote di società immobiliari, nonché di quote di fondi comuni d’investimento immobiliari chiusi e mobiliari chiusi, ma per quest’ultimi, in misura non superiore al 20% del proprio patrimonio e al 25% del capitale raccolto.

23

Si veda a riguardo ABI-Forum per la finanza sostenibile (2012), Linee guida per l’integrazione dei

fattori ambientali, sociali e di governo societario nei processi di investimento delle forme pensionistiche complementari, op.cit.

24

Si rimanda un’analisi più approfondita sul tema della definizione di asset-allocation strategica da presentare al gestore finanziario alla prossima sezione (cap. 1.4).

(20)

16

dei comparti di investimento previsti dall’offerta commerciale (nel caso di offerta multi-comparto), del numero di gestori ai quali affidare tali direttive e altre specificità. Se il fondo pensione non ha la struttura professionale per redigere autonomamente con precisione questa serie di fondamentali scelte, può richiedere l’eventuale supporto di uno o più

consulenti finanziari. I soggetti coinvolti quindi in questa fase

preliminare sono il fondo pensione stesso e l’eventuale figura del consulente finanziario;

Fase 2 – Selezione del gestore finanziario

Come sopra accennato, anche la selezione del gestore abilitato è compito del CdA. Riguardo alla scelta del gestore, il legislatore ha individuato un meccanismo tale da favorire la concorrenza tra i potenziali gestori abilitati e la trasparenza sulle decisioni. Il processo di selezione avviene tramite apposito bando pubblico, così come specificatamente richiesto dalla normativa italiana e basa la decisione su criteri quali-quantitativi25 coerenti con le scelte definite durante la prima

fase. I soggetti coinvolti durante questa seconda fase sono, dunque, il fondo pensione (con l’eventuale figura anche qui del consulente finanziario) e il gestore finanziario selezionato tramite il bando;

Fase 3 – Stipula della convenzione di gestione

Questa è una fase molto delicata, poiché delinea i confini di responsabilità tra il fondo pensione e il gestore26 e il perimetro

su cui si può muovere il gestore selezionato nella conversione pratica della politica di investimento dettata dal fondo

25

Tra i criteri considerati vi sono: valutazioni in termini di solidità patrimoniale del gestore stesso, organizzazione, commissioni di gestione, esperienza sui mercati finanziari e, soprattutto, capacità di offrire servizi coerenti con le linee di investimento definite a priori.

26

Riguardo a questo è doveroso rilevare la presenza di specifiche norme riguardo alle modalità e ai criteri con cui il gestore finanziario rispetta le linee indicate dal fondo pensione. In particolare si propone un principio generale con cui il gestore deve adottare un comportamento diligente, corretto e professionale che rispetti l’interesse del fondo stesso. Vi sono poi obblighi di altra natura, come quelli informativi o in materia di separatezza contabile, oltre che l’obbligo di effettuare operazioni con frequenza non necessaria o non adeguate al patrimonio affidato in gestione.

(21)

17

pensione stesso. La convenzione di gestione definisce le linee di indirizzo dell’attività del gestore, le modalità per la loro revisione, la remunerazione, la rendicontazione, la durata del mandato, con quest’ultima che comprende anche i termini e le modalità di recesso dalla convenzione stessa. Naturalmente da parte del fondo pensione è auspicabile, per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal fondo e per garantire una buona gestione del capitale raccolto, circoscrivere in maniera più specifica possibile l’universo investibile dal gestore finanziario, così da raggiungere una certa efficienza operativa, oltre che una adeguata trasparenza da offrire agli aderenti;

Fase 4 – Selezione della banca depositaria e stipula della convenzione per l’affidamento dell’incarico

Il fondo pensione è tenuto per legge a nominare una banca

depositaria con diversi compiti ben precisi: tenere in deposito

le disponibilità liquide e gli strumenti finanziari presenti nel patrimonio del fondo pensione, eseguire le istruzioni impartite dal gestore finanziario selezionato dal fondo pensione, verificare la legittimità delle istruzioni ricevute in base ai criteri e ai limiti di investimento presenti nella normativa e nell’accordo tra fondo e gestore e, infine, controllare in occasione della valorizzazione del patrimonio la congruità dell’attivo netto destinato poi all’erogazione delle prestazioni. I soggetti coinvolti in questa fase saranno semplicemente il fondo pensione e la banca depositaria;

Fase 5 – Avvio della gestione finanziaria e monitoraggio

Concluse le fasi centrali del processo di investimento di un fondo pensione, si arriva alla fase conclusiva. Da questo momento in poi il gestore selezionato dispone gli investimenti delle risorse ricevute dal fondo in coerenza con le disposizioni pattuite nell’accordo stipulato e fornisce una rendicontazione della propria attività. Dall’altro lato, la banca depositaria svolge i propri compiti di custodia, regolamento e controllo e l’organo di amministrazione monitora l’attività del gestore

(22)

18

finanziario sulla base del rendiconto ricevuto. Da questo

momento sono dunque attivi tutti i soggetti coinvolti nella filiera: il fondo pensione, il gestore finanziario e la banca

depositaria.

Il fondo pensione può entrare in contatto operativo con altri due soggetti esterni: un gestore amministrativo e una compagnia di

assicurazione27. Riguardo al primo soggetto, il fondo pensione trova

spesso adeguato affidare tutta la gestione amministrativa ad un soggetto selezionato (outsourcing) che: provvede a tutte le esigenze contabili, amministrative e fiscali del fondo, gestisce i flussi informativi, gestisce i rapporti con gli aderenti e fornisce una rendicontazione periodica in merito ai risultati della gestione finanziaria del fondo.28 L’altro soggetto che gravita intorno al fondo

pensione è la compagnia di assicurazione: il fondo pensione può stipulare una convenzione per una polizza collettiva per la copertura dei rischi di premorienza ed invalidità permanente. Tenuto conto, in effetti, della possibile maturazione del diritto alle prestazione pensionistica (il legislatore elenca nel dettaglio gli eventi al verificarsi dei quali si matura tale diritto), il fondo pensione può avvalersi di tale copertura assicurativa.29

1.4

L’

ASSET

-

ALLOCATION DEI FONDI PENSIONE

All’interno di questa sezione dell’elaborato, dopo aver ricordato la natura dell’orizzonte d’investimento di un fondo pensione, si vuole evidenziare nel dettaglio il processo con cui esso delinea le strategie di investimento e le linee di indirizzo di asset-allocation da proporre al gestore finanziario. Il fondo pensione è una peculiare tipologia di investitore istituzionale, che differisce dagli altri non solo, come

27

M.C.Quirici (2016), La previdenza complementare in Italia. Evoluzione normativa ed

esemplificazioni pratiche, pp. 127 e segg., op.cit.

28 Per approfondimenti si veda A.Marinelli, CISL (2000), La gestione amministrativa di un fondo

pensione: le funzioni di service nella fase provvisoria e in quella definitiva.

29

Sulle convenzioni di gestioni con le compagni di assicurazione da parte dei fondi pensione si veda art.6, comma 6, D.Lgs. n°252, 2005.

(23)

19

abbiamo potuto vedere, su vincoli normativi agli investimenti e sul processo d’investimento, ma anche per la sua tipica propensione all’investimento di medio-lungo termine, che dovrebbe condurre il fondo pensione a massimizzare i rendimenti di lungo periodo. In effetti, l’intero ciclo finanziario di un fondo pensione è caratterizzato da una certa prevedibilità e stabilità dei flussi in entrata (stabiliti per contratto) e passività di medio-lungo termine, suscettibili, solo in alcuni casi, di rimborso anticipato. Queste caratteristiche di fatto influenzano l’asset-allocation strategica. Il fondo pensione, come strategia di offerta commerciale, cerca di soddisfare tutte le esigenze dei potenziali aderenti e offre solitamente una linea d’investimento

multicomparto, ovvero con più possibilità di scegliere tra diverse

strategie di investimento, ognuna con propri obiettivi e livelli di rischio e rendimento, così da poter intercettare tutte le esigenze del cliente.30 Il processo vede dapprima la definizione di obiettivi

strategici per la singola linea d’investimento. La loro definizione è frutto delle posizioni dei vari soggetti interessati. In questa fase assume perciò rilievo la differenza tra fondo aperto e fondo negoziale: nel fondo negoziale il Consiglio di amministrazione è composto in maniera paritetica dai delegati rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, che hanno quindi possibilità di definire in maniera autonoma gli obiettivi strategici delle linee d’investimento. Nei fondi aperti sono invece il gestore finanziario e i risparmiatori aderenti ad avere voce in capitolo. La fase successiva della definizione dell’asset-allocation strategica prevede la traduzione degli obiettivi strategici in obiettivi operativi: si andrà a determinare la precisa allocazione delle risorse tra classi di attività: individuato il trade-off rischio-rendimento per il singolo comparto, si detta i limiti, anche quantitativi, per ogni classe di attività. Questo andrà a diminuire l’universo investibile del gestore, che avrà poi il compito di scegliere il singolo titolo da associare alla classe di attività indicata, con l’obiettivo di fondo di offrire valore aggiunto attraverso la propria professionalità. Questa è definita

asset-allocation tattica, ed è il margine di manovra che il gestore può

30

Si offre anche la possibilità di passaggio da un comparto all’altro, ma una sola volta nell’arco di un anno, con l’obiettivo di evitare che la possibilità concessa venga sfruttata per fini speculativi.

(24)

20

effettuare, anche sul breve periodo, discostandosi temporaneamente dall’indice di riferimento concordato31, per sfruttare particolari

condizioni di mercato. Si osserva che è auspicabile non dettare vincoli troppo stringenti al gestore, per non limitare la propria professionalità e permettere il raggiungimento di un certo valore aggiunto nella propria operatività. L’asset-allocation strategica è dunque considerabile un problema di ottimo vincolato: esplicitati gli obiettivi rendimento-rischio, si passa ai possibili approcci: dal modello di Markovitz al criterio di massimizzazione dell’utilità, sui quali si rimanda ad altra sede specifici approfondimenti. A questo punto è interessante chiedersi quale, nella prassi operativa, risulta essere il risultato di tale processo di asset-allocation. Quale sia l’allocazione delle risorse tra componente azionaria e obbligazionaria, quale sia l’approccio riguardo gli investimenti alternativi e quale sia l’evoluzione temporale di possibili riassetti. Rispetto a questo tema si trova uno studio dell’OECD non troppo recente, ma che risponde a tutte queste tematiche d’interesse. Ci si riferisce al Large Pension Funds Survey 2015, in cui l’OECD prende in considerazione quasi cento tra i più grandi fondi pensione al mondo, che gestiscono 10,3 trilioni di dollari nel corso del 2014, anno in cui è stato effettuato lo studio.

Questi dati emergono da un’indagine condotta dall’OECD su esattamente 34 grandi fondi pensione, in cui si interrogano sulle loro strategie di asset-allocation per classi di attività.32 Questa è un’idea

di quale sia poi il risultato del processo di selezione delle classi di attività che un fondo pensione detiene in portafoglio. Si riporta una media semplice degli investimenti in classi di attività, che quindi risulta essere poco significativa se consideriamo le dinamiche interne di ogni singolo fondo pensione, delle restrizioni quali-quantitative cui devono porre attenzione, delle eventuali strategie

multicomparto adottate.

31

Si è soliti concordare un indice di riferimento (benchmark) per ciascuna classe di attività, con l’obiettivo di confrontare le performance raggiunte dal gestore finanziario con le performance del parametro di riferimento. Si individua un benchmark in linea con gli obiettivi operativi definiti e si definisce la possibilità per il gestore di un possibile discostamento da tale parametro.

32

In particolare i valori registrati sono una media semplice degli investimenti nelle singole classi di attività, indipendentemente dai singoli volumi di attività.

(25)

21

GRAFICO 1: HISTORICAL AVERAGE ASSET ALLOCATION OF SELECT LARGE PENSION FUNDS (2010-2014)

Fonte: elaborazione personale su dati OECD (2015), Large Pension Funds Survey.

Sebbene risulti doveroso porre queste riflessioni, i risultati che emergono dallo studio OECD ci danno comunque un ottimo riassunto del punto di arrivo e della tendenza generale di allocazione nelle diverse classi di attività.33

33

Riguardo ad eventuali considerazioni evolutive sulle modifiche nell’allocazione tra classi di attività e su altre tipologie di considerazioni sul tema, si rimanda all’intero elaborato OECD (2015), Large

Pension Funds Survey, disponibile sul sito www.oecd.org. 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 2010 2011 2012 2013 2014

Alternatives and other Unlisted infrastructure Listed equity

(26)
(27)

23

CAPITOLO

2

DALLE

OPPORTUNITÀ

ALLE

STRATEGIE

D’INVESTIMENTO

SRI

DA

PARTE

DI

UN

FONDO

PENSIONE

2.1

C

ARATTERI INTRODUTTIVI E STATO DELL

ARTE DEL

MERCATO SRI

“L’investimento sostenibile e responsabile è una strategia di

investimento orientata al medio-lungo periodo che, nella valutazione di imprese e istituzioni, integra l’analisi finanziaria con quella ambientale, sociale e di buon governo, al fine di creare valore per l’investitore e per la società nel suo complesso.”. Questa definizione di

investimento socialmente responsabile è il frutto dell’attività di un gruppo di lavoro istituito nel 2014 dal Forum per la finanza

sostenibile34 appositamente per dare una linea chiara e condivisa

sulla materia.35 Analizzandola nel dettaglio si trovano gli elementi

essenziali di questa categoria di investimenti, a partire dall’orientamento al medio-lungo periodo, che è sostanzialmente il veicolo con il quale è possibile associare la responsabilità ad una strategia di investimento. Si richiamano inoltre i fattori ambientali, sociali e di buon governo, i cosiddetti fattori ESG (Environmental,

Social, Governance), che determinano se e quanto un investimento è

sostenibile e responsabile. Infine, e questo risulta essere il punto più

34

Il Forum per la Finanza Sostenibile è un’organizzazione multistakeholder composta da operatori del mondo finanziario ed altri soggetti interessati ed è punto di riferimento sul tema della sostenibilità per il mercato italiano.

35

Non esiste una teoria univocamente riconosciuta sulla materia, poiché la teoria economica è ancora sottosviluppata in questo ambito. Si può comunque riportare per completezza un’altra definizione riconosciuta di investimento sostenibile e responsabile, presentata nello European SRI

Study 2016 dall’Eurosif, il forum europeo per gli investimenti sostenibili e responsabili: “Sustainable and responsible investment (“SRI”) is a long-term oriented investment approach, which integrates ESG factors in the research, analysis and selection process of securities within an investment portfolio. It combines fundamental analysis and engagement with an evaluation of ESG factors in order to better capture long term returns for investors, and to benefit society by influencing the behavior of companies”.

(28)

24

discusso, si parla di creazione di valore. Su questo si aprono una serie di interrogativi su cui porre attenzione: quali sono i potenziali vantaggi della scelta di investire considerando i valori ESG? Esistono dei costi da dover eventualmente sopportare? Sono, in buona sostanza, una reale opportunità d’investimento o una chimera per i fondi pensione? Prima di rispondere dettagliatamente a queste domande si misura, in questo paragrafo, quale impatto registra l’investimento SRI sulla finanza mondiale, anche per avere un’idea di quale sia stato lo sviluppo negli ultimi anni e del ruolo che è arrivato e che può arrivare ad occupare nei mercati finanziari. Differenti fattori riescono ad offrire un certo impulso a tale settore di interesse. Una prima considerazione su questo può essere fatta richiamando il contesto post crisi finanziaria ed economica del 2008: se essa rappresenta il culmine del modernismo, dell’epoca delle bolle finanziarie, della ricerca esasperata del rendimento in un’ottica di breve periodo, allora possiamo considerarla come un’opportunità di svolta, di ritorno ad una logica più tradizionale della finanza, che riprenda valori ormai quasi dimenticati: un orizzonte di più lungo periodo, una certa responsabilità sociale, solidità. Se, come spesso accade, è la crisi che porta al progresso e a nuove sfide, questo periodo può rappresentare terreno fertile per una rinnovata concezione della finanza. Un’altra considerazione di forte interesse è correlata alla Millennial Generation: un’indagine presentata nel corso del 2017 dell’American Century Investments ha interpellato un campione rappresentativo della popolazione statunitense suddiviso in tre categorie: i millennials (di età compresa tra i 18 e i 35 anni), la

generazione X (di età compresa tra i 36 anni e i 51 anni) e i baby boomers (tra i 52 anni e i 70 anni) e quello che è emerso è che ben il

54% dei millennials conosce e considera la sostenibilità nelle loro scelte di portafoglio, mentre la percentuale scende al 37% per la

generazione X e al 34% per i baby boomers. Un’altra indagine

sviluppata da Shroders Investment Management per il 2016 arriva alla medesima conclusione: la probabilità che i millennials scelgono investimenti orientati alle tematiche ESG supera del 15% la media. Il tema diventa sempre più sensibile nei giovani e acquisterà un peso sempre maggiore nei mercati finanziari. Il Global Sustainable

(29)

25

Investment Review 2016 presentato dal Global Sustainable Investment Alliance (GSIA) per l’anno 2016 misura lo stato dell’arte del mercato

SRI a livello mondiale.36 Gli investimenti SRI hanno raggiunto nel

2016 quasi 23 mila miliardi di dollari, il 26% delle masse gestite a livello professionale nel mondo. Il tasso di crescita rispetto al 2014 è stato del 25%, mentre era del 61% dal 2012 al 2014.

TABELLA 1: GROWTH OF SRI ASSETS BY REGION (2014-2016) 37

Region 2014 2016 Growth over

period Compound annual growth rate Europe $ 10775 $ 12040 11,7% 5,7% United States $ 6572 $ 8723 32,7% 15,2% Canada $ 729 $ 1086 49% 22% Australia/New Zealand $ 148 $ 516 247,5% 86,4% Asia ex Japan $ 45 $ 52 15,7% 7,6% Japan $ 7 $ 474 6689.6% 724% Total $ 18276 $ 22890 25,2% 11,9%

Fonte: elaborazione personale su dati GSIA (2016), Global Sustainable Investment Review.

36

Quello presentato dal GSIA è l’unico report al mondo che confronta i risultati degli studi di settore promossi dalle diverse organizzazioni mondiali esistenti. Esso, infatti, raggruppa e rielabora i risultati dei forum di investimento sostenibile regionali: “EUROSIF” per quanto riguarda l’Europa, “Responsible Investment Association Australasia” per la zona oceanica, “RIA Canada” per il Canada, “USSIF” per gli Stati Uniti, “JSIF” per il Giappone, “PRI” per l’Asia (escluso il Giappone).

(30)

26

TABELLA 2: PROPORTION OF SRI RELATIVE TO TOTAL MANAGED ASSETS (2014-2016) Region 2014 2016 Europe 58,8% 52,6% United States 17,9% 21,6% Canada 31,3% 37,8% Australia/New Zealand 16,6% 50,6%

Asia 0,8% (with Japan) 0,8%

Japan 3,4%

Global 30,2% 26,3%

Fonte: elaborazione personale su dati GSIA (2016), Global Sustainable Investment Review.

La conclusione a cui si giunge è che il mercato SRI offre evidenti segnali di crescita e sta diventando un tema di grande interesse per il settore retail, per gli investitori istituzionali e per i mercati finanziari in generale.

2.2

O

STACOLI ED OPPORTUNITÀ DI UN INVESTIMENTO

SOSTENIBILE E RESPONSABILE

Il punto più delicato nella tematica degli investimenti sostenibili e responsabili da parte dei fondi pensione è rappresentato da un solo interrogativo: è opportuno rivedere le proprie scelte di investimento integrando i fattori ESG nel processo di selezione titoli? Per arrivare ad una risposta è doveroso prendere in considerazioni vari aspetti che possono influenzare tale scelta. Come ricordato sopra, uno dei

driver della progressiva imposizione del mercato SRI nella finanza è

quello del sentimento condiviso del ritorno a valori più tradizionali, in contrapposizione alla spregiudicatezza sempre più esasperata mostrata dai mercati negli ultimi tempi. Se il ripensamento appare opportuno per i mercati finanziari in generale, ancora più opportuno potrebbe essere per l’ambito specifico dei fondi pensione, data la

(31)

27

tipica funzione previdenziale che li caratterizza. Il dubbio è se lo stimolo al cambiamento possa veramente rappresentare l’occasione per accogliere le sfide poste in atto dai cambiamenti a livello globale nella sfera economica, sociale e ambientale, e se i fondi pensione possono ricoprire un ruolo di primo piano in questo processo.38 Si

possono ritrovare chiari elementi di coerenza tra la definizione di investimenti socialmente responsabili e alcune caratteristiche tipiche dei fondi pensione. Un primo elemento è il richiamo di una certa finalità sociale da essi ricoperta: i fondi pensione gestiscono una enorme quantità di risorse da destinare ai mercati finanziari, ed è questo che li veste del ruolo di investitori istituzionali. Esso presuppone la responsabilità di dedicare le risorse della collettività ai bisogni da essa reclamati. Inoltre, se il tema si impone nell’opinione pubblica e l’investitore diventa sempre più informato, consapevole e preoccupato delle questioni sociali ed ambientali è allora dovere del fondo pensione intercettare questo cambiamento ed essere in grado di offrire loro questo servizio. L’educazione finanziaria è fortemente legata a quest’ultimo aspetto: se è vero che l’Italia è l’ultimo Paese in Europa per sviluppo di educazione finanziaria, è anche vero che rispetto al passato vi è una maggiore consapevolezza nell’investitore moderno e in una prospettiva futura si può ragionevolmente prevedere un suo progressivo incremento. Questo presupposto dovrebbe ricordare ai fondi pensione l’apporto fondamentale che forniscono allo sviluppo di un sistema finanziario. Per questo si richiama il concetto di finalità sociale come elemento di coerenza tra la natura dei fondi pensione da una parte e il principio “etico” degli investimenti SRI dall’altra. Associato in qualche modo a questa considerazione è il concetto di dovere fiduciario, che in maniera reciproca intercorre tra il fondo pensione e l’aderente. Esso non è il dovere di massimizzare il rendimento finanziario, o almeno non solo. Nel rapporto Fiduciary duty in the 21st century pubblicato da United Nations Global Compact, UNEP Financial Initiative e PRI si definisce cosa si intende per “fiduciary duty” e successivamente si

38

E.Fornero, C.Fugazza, 2010, Investimenti socialmente responsabili e fondi pensione: opportunità

reale o chimera?, dal quaderno Una pensione di valore. Gli investimenti responsabili nel settore della previdenza complementare in Italia., allegato alla newsletter Mefop n°41, 2010, n°17, op.cit.

(32)

28

studia la correlazione tra esso e gli investimenti sostenibili e responsabili. Per “dovere fiduciario” si intende l’insieme degli obblighi dei soggetti che amministrano un patrimonio di altri, nel loro interesse. Tra i doveri principali rientrano la lealtà, nella misura in cui essi dovrebbero agire in buona fede e nell’esclusivo interesse dei beneficiari e la prudenza, intesa come misura di competenza e coscienziosità nel mandato fiduciario. Il rapporto suggerisce che tutti gli attori coinvolti nel processo di investimento dovrebbero integrare considerazioni di tipo ambientale, sociale e di buon governo, configurandole come parte del dovere fiduciario che li lega all’investitore. Il tema si è spinto così avanti che nel Novembre 2017 la Commissione Europea, sulla pressione del HLEG39, ha lanciato una

consultazione pubblica con l’obiettivo di fornire chiarimenti legali sulla possibilità che i fattori ESG debbono essere formalmente inclusi nella definizione di dovere fiduciario. Questo punto vale in particolare per i fondi pensione e rappresenta un elemento di coerenza con il rapporto di natura previdenziale con i propri iscritti. Riguardo all’orizzonte di investimento troviamo un altro chiaro elemento di coerenza tra la finanza sostenibile e le caratteristiche tipiche dei fondi pensione. Come ricordato in una precedente sezione dell’elaborato vi è una sorta di fondamentale coincidenza tra gli orizzonti di investimento delle due aree individuate, una convergenza di interessi che favorisce la convivenza tra gli investimenti propriamente adatti ad un fondo pensione e le considerazioni ESG. Come abbiamo avuto modo di analizzare nel primo capitolo vi sono frequenti richiami all’orizzonte di lungo termine nei quadri normativi riferibili a criteri e limiti di investimento, sia direttamente che indirettamente.40 In particolare

l’analisi delle scelte ottime di portafoglio per i fondi pensione ha

39

Il gruppo di lavoro High Level Group of Expert on Sustainable Finance riunisce i massimi esperti di finanza sostenibile in Europa, ha iniziato a lavorare da Gennaio 2017 e dopo alcuni mesi ha presentato a Bruxelles il primo Interim report, con cui ha dapprima identificato gli obiettivi per il sistema finanziario europeo in materia e, facendo continuo riferimento all’orizzonte di lungo periodo, elencato sette raccomandazioni al fine di raggiungere gli obiettivi preposti. Nel corso del mese di febbraio 2018 è stato presentato il report finale del gruppo in cui si dettaglia le direttive in tema di finanza sostenibile. Il report è scaricabile dal sito https://ec.europa.eu/info/publications. 40

Si ricorda ad esempio che nel caso italiano il legislatore richiama, sebbene in modo indiretto, l’orizzonte di lungo termine raccomandando di concedere privilegio agli strumenti finanziari con basso grado di rischio.

(33)

29

gradualmente incorporato specificità come appunto l’orizzonte di lungo periodo, la prevedibilità dei rendimenti, la presenza del rischio di reddito da lavoro e del rischio di liquidità. L’intuizione legata a questo aspetto è dunque che il portafoglio ottimo per talune tipologie di investitori, come i fondi pensione, si debba discostare da quello ottimale per investitori che guardano ai mercati con un’ottica di breve periodo. Ed è proprio qui il punto in cui un’asset-allocation che tenga conto dei fattori ESG si può inserire e trovare spazio. Un altro aspetto che misura l’opportunità dei fondi pensione di modificare le proprie scelte di investimento integrando politiche SRI è quello del controllo dei rischi. Nel contesto degli investitori istituzionali ed in particolare in quello dei fondi pensione si registra uno sforzo sempre maggiore verso un incremento della considerazione del risk-management nella propria struttura organizzativa. La gestione del rischio non solo comprende tutti i rischi finanziari che sono trattati durante il processo di investimento e durante la selezione del singolo titolo su cui investire, ma include anche i cosiddetti rischi extra-finanziari. Alcune tipologie di rischio spesso trascurate sono, ad esempio, quello reputazionale, che include l’insieme di aspettative, percezioni e opinioni degli

stakeholder su onorabilità e immagine, o il rischio legale, ovvero il

rischio dell’esposizione a sanzioni derivanti da provvedimenti assunti da organi di vigilanza. Risulta ormai noto come un rischio extra-finanziario se non adeguatamente gestito può trasformarsi in rischio finanziario, per poi influenzare la convenienza economica dell’investimento effettuato. Non solo, il recupero, ad esempio, di un danno reputazionale è un processo che richiede molto tempo e che non sempre si è capaci di porre in atto. La crescente considerazione dei rischi extra-finanziari include ormai anche i rischi sociali, ambientali e di governance e ha portato a considerare l’investimento sostenibile non più come un opportunità extra-economica, magari legata a principi etici come avveniva in passato, ma come una opportunità economica. Si è arrivati a misurare la convenienza economica di un investimento SRI: la gestione dei rischi legati ai fattori ESG crea valore per gli investitori intercettando rischi di natura extra-finanziaria che possono trasformarsi in danno

(34)

30

economico e di conseguenza ledere gli interessi degli iscritti. Alla base di questa considerazione c’è il tema della Corporate Social

Responsibility: sostanzialmente si arriva allo stesso tipo di

conclusioni ma osservando il tema della responsabilità sociale dal punto di vista dell’impresa. Una gestione che integri scelte che rispettino la CSR è potenzialmente in grado di creare valore aggiunto in termini di asset intangibili per l’impresa stessa. In effetti una sana e efficace politica CSR può proteggere un’impresa dalle diverse tipologie di rischio non tipicamente finanziario.41 Elencati tutti gli

elementi di coerenza tra gli investimenti socialmente responsabili e la natura dei fondi pensione, si può concludere che esso sarebbe il soggetto ideale per veicolare questo nuovo approccio della finanza. Ma la discussione sull’opportunità o l’inopportunità sul tema SRI è però combattuta. Sebbene vi siano tutte le circostanze per giungere a tale conclusione, quando si parla di investimenti socialmente responsabili c’è da imbattersi su alcune barriere che ne ostacolano lo sviluppo. Un primo insieme di limiti all’implementazione di strategie SRI nei fondi pensione è legato a questioni organizzative. Esistono tre possibili iterazioni tra analisi finanziaria tradizionale e quella dei criteri ESG: un’analisi di sostenibilità ex-ante, ovvero prima dell’analisi finanziaria tradizionale, una ex-post, attuata solo dopo aver individuato titoli che soddisfino i criteri finanziari, ed una che prevede un processo integrato delle due analisi. Si analizzeranno nelle prossime sezioni i diversi processi organizzativi dell’implementazione di strategie SRI all’interno delle politiche d’investimento dei fondi pensione, ma, questo primo approccio, ricorda come vi possono essere alcune criticità, visto che si richiedono capacità professionali specifiche che permettano un’efficace ed efficiente operatività e la scelta di incorporarle nella propria struttura rappresenta un costo da sostenere. Per il momento si ricorda, sebbene in maniera semplicistica, come l’integrazione degli aspetti SRI all’interno del processo di investimento del fondo non sia una cosa scontata, ma richieda sforzi gestionali e talvolta

41

Per approfondimenti si rimanda ad un’analisi di vantaggi e costi dell’integrazione CSR nel governo d’impresa: Benabou R., Tirole J., 2009, Individual and corporate social responsibility, in Economica (2010), 77, 1-19.

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