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Laureta novata. L’alieniloquium nei madrigali dei «Rerum vulgarium fragmenta» (parte seconda)

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Academic year: 2021

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(1)

DIRETTO DA

L. BATTAgLIA RICCI - F. BRUNI - S. CARRAI - M. CHIESA A. DI BENEDETTO - M. POZZI

2015

LOESCHER EDITORE

(2)

zygmunt g. Baranski (University of Notre Dame), andrea CiCCarelli (Indiana University),

Jean-louis fournel (Paris VIII), alfred noe (Universität Wien),

franCisCo riCo (Universidad autónoma de Barcelona),

maria antonietta terzoli (Universität Basel).

redazione

enriCo mattioda (segretario), lorenzo BoCCa

Il «Giornale storico della letteratura italiana», fondato nel 1883 da Arturo Graf, Francesco Novati e Rodolfo Renier, e da allora pubblicato a Torino dalla Loescher,

è punto di riferimento per gli studi di Italianistica.

È presente nelle più importanti biblioteche internazionali ed è sempre valutato al livello più alto nelle classifiche delle riviste umanistiche. Si avvale della consulenza di lettori anonimi (peer review) per la valutazione dei contributi proposti per la pubblicazione.

Contributi proposti per la pubblicazione e libri da recensire debbono essere inviati a: «Giornale storico della letteratura italiana»

Loescher Editore, via Vittorio Amedeo II, 18 - 10121 Torino e-mail: gsli@loescher.it

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sono inoltre consultabili on-line, previo abbonamento, nella banca dati Periodicals Archive Online Modalità di pagamento 2015 (4 fascicoli annuali)

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Registrato al N. 571 del Registro Periodici del Tribunale di Torino

a sensi del Decreto-legge 8-2-48, N. 47. — Direttore responsabile: Arnaldo Di Benedetto. Fotocomposizione: Giorcelli & C. (Torino) - Stampa: Tipografia Gravinese (Torino)

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SOMMARIO

maria sofia lannutti, Laureta novata. L’alieniloquium nei madrigali dei

Rerum vulgarium fragmenta (II). . . . rossella lalli, Una «maniera diversa dalla prima»: Francesco Della Torre, Carlo Gualteruzzi e le Rime di Vittoria Colonna. . . VARIETÀ

maria Pia ellero, Libertà e necessità nel Decameron. Lisa, Ghismonda e le papere di Filippo Balducci. . . . maria Chiara tarsi, Una poetessa nella Milano di primo Cinquecento: Ca-milla Scarampi (e di un sonetto conteso a Veronica Gambara). . . . BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

remigiodei girolami, Dal bene comune al bene del comune. I trattati politici,

a cura di emilio Panella, introduzione di franCesCo Bruni (Mario Pozzi),

p. 452. – Sebastiano Gandolfi. Un segretario per i Farnese. Atti della giornata

di studi, Ischia di Castro, 13 aprile 2013, a cura di alfredo Cento e Paolo

ProCaCCioli (Daniele Manfredi), p. 455. – toBias leuker, Per Lorenzo Fri-zolio – testo, datazione e prima ricezione dell’ode «Ad nubes» (con un elenco delle poesie dell’autore) (Arnaldo Di Benedetto), p. 459. – elena maiolini, Claude Fauriel. Alle origini della comparatistica (Elena Sbrojavacca), p. 460. –

Carlo dionisotti-giovanni Pozzi, Una degna amicizia, buona per entrambi. Carteggio 1957-1997, a cura di ottavio Besomi (Paolo Bongrani), p. 463.

ANNUNZI, a cura di erminia ardissino, milena Contini, arnaldo di

Benedetto, maria luisa doglio, renato gendre, enriCo mattioda

Si parla di: dante alighieri. – Censimento dei commenti danteschi. – Per Mariangela Regoliosi. – J.a. Cavallo. – Bruno nel XX secolo. – Aree regionali del Barocco. – Drammi musicali di B. Ferrari. – Maraviglia del mondo. – C.

Caruso. – v. PerdiChizzi. – v. monti. – Risorgimento a memoria. – I Poemi

italici di G. Pascoli. – A. Graf e il tramonto del Positivismo. – E. Barish. –

Leonardo 1952. – d. de martino. – Inventario dei manoscritti dell’Archiginna-sio. . . . ABSTRACTS. . . . Pag. 321 » 361 » 390 » 414 » 469 » 479

(4)

FRANCO MONTANARI

VOCABOLARIO

DELLA LINGUA GRECA

teRzA eDIzIONe con Guida all’uso e versione in digitale

Le edizioni internazionali del GI

Il riconoscimento dell’alto valore scientifico del GI e il suo prestigio anche in ambito internazionale hanno avuto conferma in una straordinaria operazione editoriale – la traduzione in greco moderno, inglese e tedesco dell’opera – che si è realizzata grazie alla volontà di importanti editori in ambito acca-demico e al lavoro di qualificati team di studiosi facenti capo all’Università “Aristotele” di Salonicco, alla Harvard University sotto il patronato del Center of Hellenic Studies e alla Freie Universität Berlin.

FRANCO MONTANARI Ε Κ Δ Ο Σ Ε Ι Σ Δ Η Μ . N . Π Α Π Α Δ Η Μ Α ΣYΓΧΡΟΝΟ Λ Ε Ξ Ι Κ Ο ΤΗΣ Α Ρ Χ Α Ι Α Σ ΕΛΛΗΝΙΚΗΣ Γ Λ Ω Σ Σ Α Σ

L’edizione in lingua tedesca è in preparazione per i tipi dell’Editore Walter De Gruyter con il supporto finanziario della Stavros Niarchos Foundation.

Franco Montanari

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a cura di Antonios Rengakos, Aimilios D. Mauroudes Ed. Papadimas, 2014

Franco Montanari GE - The Brill Dictionary of Ancient Greek

English Edition edited by Madeleine Goh and Chad Schroeder Ed. Brill, 2015 (anche in versione online)

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VOCABOLARIO

DELLA LINGUA LATINA

The Brill Dictionary of Ancien Greek

Franco Montanari

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L’ALIENILOQUIUM NEI MADRIGALI DEI

RERUM VULGARIUM FRAGMENTA (*) 5. Tempo autobiografico e tempo celebrativo

Se è vero che l’amante percepisce l’immagine benefica dell’amata come effettivamente tale solo nel madrigale 106, nella successione dei quattro madrigali l’ordinamento linea-re del racconto non corrisponde all’ordinamento ideale, che vede il madrigale 106, pur anteposto al 121, specchio di una consapevolezza inedita, in continuità con la canzone 105. Il problema diventa ancora più rilevante se si considera che, no-nostante il forte contenuto simbolico, i quattro madrigali sono a tutti gli effetti parte integrante dell’autobiografia fittizia del Canzoniere.

I primi due, 52 e 54, sono separati dalla canzone politica

Spirto gentil e preceduti dalla canzone d’anniversario Nella sta-gion che ’l ciel rapido inclina (50), che colloca il momento del

racconto verso il 6 aprile 1337 (vv. 54-55 «ch’i’ son già pur crescendo in questa voglia / ben presso al decim’anno»), cele-brando l’episodio dell’innamoramento «dentro un gran dise-gno di replicati tramonti» (51). Protagonista della terza stanza della canzone 50 è un pastore, che a differenza della pastorella del madrigale 52, ferma mentre lava il suo velo nel pieno del

(*) Segue da CXCII, p. 208.

(50) Rimando in proposito a M.S. Lannutti, Polifonie verbali cit., da leggersi con M. CaraCi VeLa, Le intonazioni polifoniche de «La fiera testa che d’uman si ciba»:

pro-blemi di contestualizzazione e di esegesi, in Musica e poesia nel Trecento italiano cit., pp.

93-142; sull’attendibilità delle attribuzioni del ms. Parmense 1081, cfr. inoltre, nello stesso volume, il contributo di D. CheCChi, I versi della musica: il problema

dell’auto-rialità letteraria nel repertorio dell’Ars nova italiana, pp. 19-44.

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giorno, move il suo gregge nell’ora del tramonto, abbandonan-do il solito ambiente boschivo per rifugiarsi nell’ovile. Accanto alle fontane stanno l’erba e i faggi, che anticipano l’erbe verdi e il bel faggio del madrigale 54, a cui la stanza della canzone è le-gata anche per l’immagine finale dell’amante rimasto fuori dal gregge e costretto a seguire la voce e i passi et l’orme dell’ama-ta (escluso dalla schiera di coloro che non sono più in questo mondo, il gregge guidato da Colui che ’l mondo regge nei vv. 42-45 della canzone 105 riportati sopra).

Rvf 50

Quando vede ’l pastor calare i raggi

del gran pianeta al nido ov’egli alberga, 30 e ’nbrunir le contrade d’orïente,

drizzasi in piedi, et co l’usata verga, lassando l’erba et le fontane e i faggi,

move la schiera sua soavemente;

poi lontan da la gente 35

o casetta o spelunca di verdi frondi ingiuncha:

ivi senza pensier’ s’adagia et dorme. Ahi crudo Amor, ma tu allor più mi ’nforme

a seguir d’una fera che mi strugge, 40

la voce e i passi et l’orme,

et lei non stringi che s’appiatta et fugge.

Il destinatario della canzone 53 è con ogni probabilità Stefa-no Colonna seniore, come ripropone convincentemente Mario Martelli e come avvalora il fatto che Petrarca fu suo ospite du-rante il primo soggiorno a Roma, a cominciare dal febbraio del 1337 (52). Alcuni luoghi della prima stanza e del congedo sta-biliscono un parallelismo tra lo Spirto gentil, che richiama e

cor-regge gli erranti permettendo loro di ritrovare la strada smarrita

(v. 6 antiquo viaggio), e l’alta voce di lontano del madrigale 54,

(52) Cfr. M. MarteLLi, Sul destinatario della canzone «Spirto gentil» di Francesco

Petrarca, in «Medioevo e Rinascimento», VII, 1995, pp. 91-120. un quadro

riassun-tivo della questione in M. Santagata cit., pp. 275-76; r. Bettarini cit., pp. 274-75; g. BaLDaSSari, Unum in locum. Strategie macrotestuali nel Petrarca politico, Mila-no, LED, 2006, pp. 217-18, nota 55, nel quadro di una nuova analisi della canzone. tra le candidature profilate negli anni dagli studiosi (Cola di Rienzo, un esponente dei Colonna, Bosone da Gubbio, nominato senatore da Benedetto XII proprio nel 1337), quella di Stefano Colonna seniore, accolta da Bettarini, più dubitativamente da S. Stroppa cit., p. 107, ha dunque il vantaggio di un più diretto rapporto con l’auto-biografia fittizia.

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che induce l’amante a interrompere il suo periglioso vïaggio; tra la pellegrina d’onor degna del madrigale 54 (la clausola è già in 5, v. 11 «o d’ogni reverenza et d’onor degna») e il cavalier

ch’I-talia tutta onora (v. 100) dedicatario della canzone 53, capace

di riflessione (v. 101 pensoso) come l’amante nel madrigale. Si aggiunga che al lemma peregrinare del v. 2 corrisponde l’epite-to pellegrina del madrigale, al lemma richiamare del v. 6 il dir dell’alta voce di lontano.

Rvf 53

Spirto gentil, che quelle membra reggi dentro a le qua’ peregrinando alberga

un signor valoroso, accorto et saggio, poi che se’ giunto a l’onorata verga

colla qual Roma et suoi erranti correggi, 5 et la richiami al suo antiquo viaggio,

io parlo a te, però ch’altrove un raggio non veggio di vertù, ch’al mondo è spenta, né trovo chi di mal far si vergogni. Sopra ’l monte tarpeio, canzon, vedrai

un cavalier ch’Italia tutta honora, 100

pensoso più d’altrui che di se stesso.

Digli: un che non ti vide anchor da presso, se non come per fama huom s’innamora, dice che Roma, ognora

con gli occhi di dolor bagnati et molli, 105 ti chier mercé da tutti sette i colli.

Il madrigale 121 è anch’esso situato in un settore cruciale del racconto autobiografico. Segue il sonetto 120, risposta al “coccodrillo” del 1343 che ribadisce la presenza nel mondo dell’amante poeta, e la canzone 119 Una donna più bella assai

che ’l sole, presentazione velata della duplice natura dell’amata

(v. 106 «Canzon, chi tua ragion chiamasse obscura...») succes-siva al gruppo di dodici sonetti (107-118) posti a scandire l’an-no in cui è ambientato il Secretum, dal 6 aprile 1342 al 6 aprile 1343. È seguito dal sonetto 122, primo componimento d’anni-versario (6 aprile 1344) situato oltre l’anno del Secretum (53).

(53) I numeri 119-122 sono quindi compresi entro il 6 aprile 1344, l’anno in cui la finzione letteraria potrebbe voler collocare la stesura scritta del Secretum, avvenuta dopo il dialogo immaginario fittiziamente ambientato nell’anno precedente e di cui si fa esplicita menzione nel proemio (F. petrarCa, Secretum. Il mio segreto, a cura di E.

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Il madrigale 106 è l’ultimo tassello della porzione narrativa che è incorniciata da due sonetti d’anniversario, il 101 (6 aprile 1341) e il 107 (6 aprile 1342), e che quindi equivale all’anno successivo al momento della laurea poetica, conseguita da Pe-trarca a Roma l’8 aprile del 1341. Pezzo forte del gruppo di componimenti in essa collocati è la canzone 105, monstrum vir-tuosistico di grande densità tecnica e tematica (54), che può es-sere considerato, proprio anche per la sua posizione, manifesto di estrema perizia poetica. La canzone può dirsi preparata dai sonetti 102-104, «trittico con evocazione di eroi classici» (55).

Al di là dei legami tra i tre sonetti già evidenziati nei com-menti (56), ognuno di essi contiene un’anticipazione di luoghi della 105. Le azioni opposte di ridere e piangere di 102 (v. 4 «pianse per gli occhi fuor sì com’è scritto»; v. 7 «rise fra gente lagrimosa e mesta»), sono condensate nel secondo emistichio del v. 76 di 105 «De’ passati miei danni piango e rido». Il tema della via diritta richiamato nelle terzine di 103 (vv. 11-12 «anzi seguite là dove vi chiama / vostra fortuna dritto per la

fenzi, Milano, Mursia, 1992, p. 98: «Hoc igitur tam familiare colloquium ne forte dila-beretur, dum scriptis mandare instituo, mensuram libelli huius implevi»). L’argomento rafforza l’ipotesi di Rosanna Bettarini, secondo la quale l’altro messaggio prospettato nel congedo della canzone 119 potrebbe alludere proprio al contenuto del Secretum: «Se l’aggettivo altro [...] porta alla “chiara voce” della prosa contro la lingua di per sé oscura e ‘nuvolosa’ della poesia, pare escluso che il libro messaggero sia l’Africa (Scara-no, Chiòrboli, fenzi, Dotti, Santagata), che in esametri parla a suo modo il linguaggio delle Muse. Invece la stessa donna più bella del sole che lentamente perde fulgore al confronto dell’intatta Pulchritudo [...] chiama i temi conduttori del Secretum [...]; quel-lo stesso Secretum aperto da un’altra donna antica similmente luminosa e inafferrabile» (r. Bettarini cit., pp. 550-51).

(54) Di monstrum metrico parla M. Santagata, Per moderne carte. La biblioteca

volgare del Petrarca, Bologna, il Mulino, 1990, p. 203, con riferimento all’influenza di

Arnaut Daniel sulla canzone 105. (55) r. Bettarini cit., p. 475.

(56) M. Santagata cit., p. 483, a proposito del sonetto 103: «Il sonetto è collegato al precedente dal ricordo di due episodi storici liviani relativi ad Annibale e dalla ripresa di sintagmi quali “l’onorata testa” (102, 2), “l’onorata spada” (103, 10)»; Bettarini, pp. 478-79, sempre a proposito del sonetto 103: «Il legame intrinseco, cronologico, con Cesare, poi, è dato dalla continuità dell’exemplum di Annibale (cfr. introduzione a CII); la motivazione del montaggio con il sonetto L’aspectata virtù (CIV), si argomenta, fuori dell’‘occasione’ originaria, sia dal comune colloquio con eroi classici, sia dal tema dell’immortalità delle azioni valorose, d’armi e di poesia, con ricercate implicazioni verbali. I due sonetti si concludono infatti sul nome della fama (v. 14, CIV, 14), dando clausole interne in chiusura da un sonetto all’altro (“che vi può dar...”, v. 13, “a·llungo andar...” CIV, 13, con rima ricca a distanza nel primo emistichio quinario dell’ende-casillabo a minore)».

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strada») è insito nel v. 12 di 105 «Chi smarrita à la strada, torni indietro» (cercherò di chiarire più avanti il significato di

torna-re indietro). 104, v. 5 («Però mi dice il cor ch’io in carte scriva»)

può dirsi variato e riformulato in 105, v. 88 (terzultimo) «per cui nel cor via più che ’n carta scrivo». Va pure sottolineato che il sonetto 102 propone il motivo dell’apparenza che nasconde la realtà (Cesare che piange per nascondere l’allegria, Anni-bale che ride per sfogare il dolore), costitutivo della canzone 105, dove si individuano due livelli di significato, dove cioè, secondo la mia proposta di lettura, sotto l’apparenza di una canzone del disamore si cela la dichiarazione di un’immutata fedeltà all’amata, ferma nel mantenere il suo rifiuto (disdetto) e finalmente divenuta, come Amore, oggetto di ringraziamento e lode (v. 59 «ond’io ringratio Amore»; v. 81 «ch’i’ ne ringratio et lodo il gran disdetto») (57).

I sonetti 102-104 mettono in scena la sorte (fortuna al v. 6 di 102, e al v. 12 di 103) di personaggi storici o contempora-nei all’indomani di una contesa, da vedere in parallelo con il combattimento tra la voglia et la ragion nella chiusa del sonetto 101 (vv. 12-13 «La voglia et la ragion combattuto ànno / set-te et setset-te anni; et vincerà il migliore»). Bettarini inset-terpreta il secondo e il terzo sonetto come «astrazioni d’una milizia d’A-more che rende l’eroe non dissimile dall’amante» (58). In 102 si descrivono i sentimenti contrastanti (e dissimulati) di Cesare e Annibale (il primo ha ricevuto la testa di Pompeo, il secondo ha subito il rovinoso trattato di pace imposto dai romani ai cartaginesi nel 201 a. C.). Il sonetto 103 sprona il destinatario, Stefano Colonna il giovane, vincitore contro gli orsini a Castel Cesario il 22 maggio 1333, a far tesoro del proprio successo, valutando attentamente il pericolo di una riscossa da parte di chi è stato vinto e persistendo consapevolmente nell’impegno. Nel sonetto 104, rivolto a Pandolfo Malatesta, a cui Petrarca invia una delle ultime forme del Canzoniere, la prima quartina delinea l’esito rassicurante, degno della vertù che ha permesso di ottenerlo, di una battaglia condotta contro Amore (vv. 3-4

(57) M.S. Lannutti, Per l’interpretazione della canzone 105 cit., pp. 613 e 627. (58) r. Bettarini cit., p. 481.

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«produce or frutto, che quel fiore aguaglia / e che mia speme fa venire a riva»). Il resto del sonetto è dedicato al tema ora-ziano della letteratura monumentum aere perennius, che com-pleta l’assimilazione eroe-amante con la figura del poeta (eroe-amante-poeta) e introduce la prova virtuosistica rappresentata dalla successiva canzone 105 (vv. 5-8 «Però mi dice il cor ch’io in carte scriva / cosa, onde ’l vostro nome in pregio saglia / ché ’n nulla parte sì saldo s’intaglia / per far di marmo una persona viva»).

Secondo una linea interpretativa di grande suggestione, il tempo dell’autobiografia fittizia va visto nel suo rapporto dia-lettico con il tempo assoluto che nel Canzoniere è rappresentato dal numero complessivo dei componimenti, allusivo dell’anno liturgico (59). L’esistenza di una relazione tra i componimenti del Canzoniere e alcuni momenti salienti dell’anno liturgico è stata più volte profilata, ma in riferimento a uno o più anni storicamente determinati o a specifiche e disparate circostanze, come la data di nascita di Laura o di amici e protettori, la data dell’incoronazione poetica di Petrarca (60). Non così per la coincidenza da tempo individuata tra la canzone 264, che apre la seconda parte, e il giorno della nascita di Cristo, integrato in una struttura calendariale assoluta, anzi celebrativa, che è costituita da un temporale scandito da un preciso simbolismo, rievocazione dei momenti salienti della vita di Cristo, e da un Santorale ne varietur (61).

(59) Cfr. r. antoneLLi, «Rerum vulgarium fragmenta» di Francesco Petrarca, in

Letteratura italiana, dir. A. Asor Rosa, IV. Le opere, I. Dalle Origini al Quattrocento,

torino, Einaudi, 1992, pp. 379-471, alle pp. 406-10.

(60) Prendono in considerazione la prospettiva di una struttura calendariale i seguenti saggi: th.p. roChe Jr., The Calendrical Structure of Petrarch’s Canzoniere, in «Studies in Philology», LXXI, 1974, pp. 152-72, poi confluito in Idem, Petrarch

and the English Sonnet Sequences, New York, AMS Press, 1989, pp. 1-69; F.J. JoneS,

Laura’s Date of Birth and the Calendrical System Implicit in the Canzoniere, in

«Italiani-stica», XII, 1983, pp. 13-33; Idem, Arguments in Favour of a Calendrical Structure for

Petrarch’s Canzoniere, in «the Modern Language Review», LXXIX, 1984, pp. 579-86;

Idem, Petrarch’s Methods of Dating and Time-telling in Vat. Lat. 3196 and in his

Corre-spondance, in «the Modern Language Review», LXXX, 1985, pp. 586-93; Idem, The Hidden Calendrical Implications Behind Poem 266 of Petrarch’s Canzoniere, in «Italian

Studies», LIV, 1999, pp. 34-53; g. BianCarDi, L’ipotesi di un ordinamento calendariale

del Canzoniere petrarchesco, in questo «Giornale», CLXXII (1995), pp. 1-55.

(61) Sull’importanza della canzone 264 per l’ideologia e l’organizzazione del Can-zoniere, cfr. soprattutto M. Santagata, I frammenti dell’anima. Storia e racconto nel

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In questa struttura assoluta, il madrigale 106 corrisponde al 20 luglio, che è il giorno in cui la Chiesa celebra il dies

nata-lis del profeta Elia, figura Christi, simbolo del rispecchiamento

nella divinità e del rapimento contemplativo, posto accanto a Lia e Rachele nel congedo della canzone 206 e ritratto in

solitu-dine nel De vita solitaria (62). Il 20 luglio è anche il giorno della

nascita di Petrarca, o meglio il giorno dichiaratamente indicato da Petrarca come sua data di nascita (lo ha sottolineato di re-cente francisco Rico) (63).

Rvf 206

Per Rachel ò servito, et non per Lia; 55 né con altra saprei

viver, et sosterrei, quando ’l ciel ne rappella,

girmen con ella in sul carro de Helia.

In questa struttura assoluta, il madrigale 52 corrisponde alla domenica di Pentecoste, celebrazione della discesa dello Spiri-to SanSpiri-to sugli AposSpiri-toli e la Vergine e della nascita della Chiesa. La collocazione della successiva canzone 53, di cui ho rilevato i legami testuali con il madrigale 54, all’altezza del lunedì di Pentecoste, ovvero all’indomani del giorno in cui ha inizio la diffusione militante del cristianesimo, ci permette allora di ri-valutare da una diversa visuale il collegamento tra lo Spirto

gen-til, che governa le membra del dedicatario, identificandosi in

lui per sineddoche, e lo Spirito Santo, inteso come soffio vitale che elegge a sua dimora l’anima del cristiano, a sua volta insita

precedenti contributi sulla posizione della canzone 264 in rapporto al 25 dicembre è contenuta in g. BianCarDi cit., art. cit., pp. 1-23.

(62) Come sottolineato da Bettarini, p. 957, nel commento al congedo della can-zone 206.

(63) F. riCo, Ritratti allo specchio (Boccaccio, Petrarca), Roma-Padova, Antenore, 2012, pp. 47-61. Rico dimostra convincentemente che Petrarca fissa il 20 luglio come sua data di nascita solo nel 1366, nella senile VIII 1 rivolta a Boccaccio. osservo che la data del 20 luglio non corrisponde alla festività di s. Gerolamo (30 settembre), come sostiene Rico a p. 60, ma alla festività di s. Elia. La coincidenza tra il madrigale 106 e il 20 luglio è già stata utilizzata per proporre un’improbabile datazione al 20 luglio 1338, cfr. F.J. JoneS, Laura’s Date of Birth cit.; Idem, An Analysis of Petrarch’s Eleventh

Canzone: «Mai non vo’ più cantar com’io soleva», in «Italian Studies», XLI, 1986, pp.

24-44; Idem Arguments in Favour cit., pp. 584-85. Sul valore simbolico del 20 luglio, anche in rapporto alle Seniles, cfr. ancora M.S. Lannutti, Per l’interpretazione della

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nel corpo, infondendovi la virtù che lo guida verso il bene, o meglio verso l’agire benefico (64).

Si delinea così il profilo di più punti celebrativi di (ri)na-scita collocati nel tempo assoluto del Canzoniere, da collegare al punto celebrativo già riconosciuto come tale rappresentato dalla canzone 264, che ripropone nell’ultima stanza la dittolo-gia accorto et saggio, in rima con viaggio anche nella canzone 53, e il tema dello sviamento dalla man destra, centrale nel ma-drigale 54.

Rvf 264

or ch’i’ mi credo al tempo del partire esser vicino, o non molto da lunge, come chi ’l perder face accorto et saggio,

vo ripensando ov’io lassai ’l viaggio 120

da la man destra, ch’a buon porto aggiunge:

et da l’un lato punge

vergogna et duol che ’ndietro mi rivolve; dall’altro non m’assolve

un piacer per usanza in me sì forte 125 ch’a patteggiar n’ardisce co la morte.

L’individuazione di punti celebrativi in corrispondenza di componimenti che occupano la loro posizione definitiva sin dalla cosiddetta forma Chigi (1359-1363), per limitarci a ciò che ci è materialmente pervenuto, come nel caso di 52 e 106, lascerebbe presumere che l’idea di un ordinamento calenda-riale faccia parte del progetto iniziale e comunque sia già in atto nelle prime forme, che andrebbero considerate come stadi di un’opera in progress, destinata a raggiungere negli anni il numero di componimenti definitivo previsto dalla sua struttu-ra genestruttu-rale (65). Si tstruttu-ratta di una prospettiva impegnativa, da

(64) Cfr. r. Bettarini cit., p. 275: «il nobile spirito, che regge l’anima e le membra del “signor valoroso” destinatario della canzone (“io parlo a te”, v. 7). In trasparenza la tripar- tizione cristiana spiritus, anima e corpus». Riprendo qui le considerazioni già esposte in M.S. Lannutti, «Timor» e «fortitudo», «desiderium» e «temperantia» nei due primi

ma-drigali del Canzoniere petrarchesco, in Ragionar d’amore. Il lessico delle emozioni nella liri-ca medievale. Atti del Convegno conclusivo del PRIN 2008 «L’affettività liriliri-ca romanza:

lemmi e temi», Siena, Collegio Santa Chiara, 17-19 aprile 2013, a cura di A. Decaria e L. Leonardi, in corso di stampa presso le Edizioni del Galluzzo di firenze. L’interpretazio-ne di Spirto L’interpretazio-nell’incipit della canzoL’interpretazio-ne 53 come Spirito Santo è già stata proposta da th. p. roChe Jr. cit., The Calendrical Structure cit., p. 171, su cui si veda M. Santagata cit., p. 277.

(13)

verificare e approfondire, alternativa a quella sostenuta auto-revolmente da Santagata, cioè che la struttura calendariale sia subentrata come principio organizzativo solo nella fase finale di elaborazione del macrotesto (66).

Dei tre primi madrigali, 52 e 106 corrispondono diretta-mente a momenti significativi dell’anno liturgico, 54 parte-cipa con la canzone 53 alla celebrazione della festa di Pente-coste, rappresentata da 52. Va poi sottolineata la vicinanza materiale e ideale dei tre madrigali a tre canzoni di speciale rilevanza, la 50, unica canzone d’anniversario, la 53, una delle tre canzoni politiche, la 105, di eccezionale ermetismo e virtuosismo. Resta da valutare la posizione nella struttura calendariale del quarto madrigale, il 121, tenendo conto del fatto che Petrarca gli assegnò la sua collocazione definitiva solo nella fase finale di elaborazione del Canzoniere, come ho già ricordato.

tra gli episodi della vita Christi in cui è centrale l’idea della (ri)nascita possiamo annoverare la trasfigurazione sul monte tabor, momento del confronto dell’uomo con Dio di cui sono testimoni i profeti Mosé ed Elia, che viene celebrata il 6 ago-sto (67). Nell’ultima terzina del sonetto 122 l’amante si chiede se potrà mai conoscere il giorno in cui, conquistato il giusto equilibrio tra desiderio (quant’io vorrei) e temperanza (quanto

si convene), l’atteggiamento dell’amata potrà procurargli

pia-cere e non più sofferenza (illuminato dalla luce eterna della

caritas).

sulle varie redazioni del Canzoniere, pur nel contesto di un discorso che intende mo- tivare l’idea di un primo Canzoniere con struttura unitaria, senza suddivisione in due parti, equivalente alla cosiddetta redazione Correggio o pre-Chigi: «Per poche altre opere il concetto moderno di work in progress è più pertinente di quanto lo sia per il libro delle rime petrarchesche. Sono convinto che i Canzonieri di Petrarca siano solo due: il primo, che i moderni filologi intitolano al nome di Azzo, e l’ultimo, a cui do il nome di redazione vaticana. fra i due si interpone una nutrita serie di raccolte dalla vita effimera, fissate su carta per essere meglio controllate e superate nello stadio successivo» (pp. 151-52).

(66) Ivi, soprattutto il cap. finale, pp. 283-327. E si veda anche f.J. JoneS, Arguments

in Favour cit., pp. 586-87, a proposito dell’organizzazione calendariale come soluzione

tar-diva.

(67) La festività della trasfigurazione fu resa obbligatoria nella Chiesa latina solo nel 1457 da papa Callisto III, ma era tra le solennità liturgiche della Chiesa orientale sin dall’alto medioevo, fu istituita nell’ordine cluniacense da Pietro il Venerabile e celebrata a Roma, in S. Pietro, sin dal XII secolo.

(14)

Rvf 122

Vedrò mai il dì che pur quant’io vorrei

quel’aria dolce del bel viso adorno

piaccia a quest’occhi, et quanto si convene? 14

La domanda presuppone il madrigale 121, dove l’amante percepisce l’amata come spietata e superba tanto da chiedere ad Amore di colpirla, e trova una risposta nella visione del sonetto 123, dove l’amante si rispecchia nell’amata, che gli appare in tutta la sua benevolenza (si noti che il nesso aria dolce del bel

viso adorno di 122 anticipa l’amorosa nebbia che ricopre il dolce riso in apertura di 123). Il sonetto 123, che nell’ordinamento

calendariale corrisponde proprio al 6 agosto, potrebbe allora rappresentare la prospettiva di una trasfigurazione dell’imma-gine dell’amata nella percezione dell’amante, che può dirsi an-nunciata dall’ultima terzina di 122 (68).

Rvf 123

Quel vago impallidir che ’l dolce riso

d’un’amorosa nebbia ricoperse,

con tanta maiestade al cor s’offerse

che li si fece incontr’a mezzo ’l viso. 4 Conobbi allor sì come in paradiso

vede l’un l’altro, in tal guisa s’aperse quel pietoso penser ch’altri non scerse:

ma vidil’io, ch’altrove non m’affiso. 8 ogni angelica vista, ogni atto humile

che già mai in donna ov’amor fosse apparve,

fôra uno sdegno a lato a quel ch’i’ dico. 11 Chinava a terra il bel guardo gentile,

et tacendo dicea, come a me parve:

Chi m’allontana il mio fedele amico? 14

(68) S. Stroppa cit., p. 223: «Quella che la tradizione ha letto come ‘occasione’ − l’allontanarsi del “fedele amico” (v. 14) − è in realtà complessa meditazione sui modi della conoscenza, strettamente legata agli interrogativi del son. 122 cui il testo offre una risposta». Cfr. anche F. petrarCa, Canzoniere, a cura di P. Vecchi Galli, Milano, Rizzoli, 2012, pp. 486-87, dove si parla di «trasfigurazione angelica», oltre che di «sen-sibile percezione della reciproca pietas» che «somiglia all’affetto e all’intelligenza che le anime sante del paradiso hanno l’una dell’altra».

(15)

A suggellare il legame di 122 e 123 ancora la Commedia, i versi del XXXI canto del Paradiso che ritraggono il momento del distacco di Dante da Beatrice. Dante pensa di poter rivolgere a Beatrice le domande urgenti che la visione della candida rosa gli ha suscitato, ma si trova davanti Bernardo di Chiaravalle.

Par. XXXI

credea veder Beatrice e vidi un sene

vestito con le genti glorïose. 60 Diffuso era per li occhi e per le gene

di benigna letizia, in atto pio

quale a tenero padre si convene. 63

La benignità di Bernardo, «quale a tenero padre si con-vene», è il presupposto della chiusa del sonetto 122 (quanto

si convene), che nell’ultima terzina ripropone anche il verbo vedere e il sostantivo occhi. Mentre 123 può essere letto in

parallelo con la successiva visione di Beatrice tra i beati e con la preghiera che Dante le rivolge esprimendo la con-sapevolezza dei meriti dell’amata (v. 83 «dal tuo podere e dalla tua bontade / riconosco la grazia e la virtute») e il ri-specchiamento reciproco (v. 88 «La tua magnificenza in me custodi»).

Da quella regïon che più sù tona occhio mortale alcun tanto non dista,

qualunque in mare più giù s’abbandona, 75 quanto lì da Beatrice la mia vista;

ma nulla mi facea, ché süa effige

non discendëa a me per mezzo mista. 78 «o donna in cui la mia speranza vige,

e che soffristi per la mia salute

in inferno lasciar le tue vestige, 81 di tante cose quant’ i’ ho vedute,

dal tuo podere e da la tua bontate

riconosco la grazia e la virtute. 84 tu m’hai di servo tratto a libertate

per tutte quelle vie, per tutt’ i modi

che di ciò fare avei la potestate. 87 La tua magnificenza in me custodi,

sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,

piacente a te dal corpo si disnodi». 90 Così orai; e quella, sì lontana

come parea, sorrise e riguardommi;

(16)

È quasi superfluo sottolineare l’analogia della situazione, condensata nella seconda quartina di 123 (vv. 5-6 «Conobbi allor sì come in paradiso / vede l’un l’altro...»), che l’affinità di

maiestade al v. 3 di 123 e magnificenza al v. 88 del passo dantesco

contribuisce a definire. Non è però superfluo notare l’assonan-za tra a mezzo ’l viso in rima con m’affiso ai vv. 4 e 8 del sonetto e per mezzo mista in rima con vista nei versi che introducono la preghiera di Dante (vv. 76 : 78). Si tratta di un’assonanza fonico-ritmica, che prescinde dal significato del lemma mezzo (in Dante l’aria che si frammette tra chi guarda e l’oggetto dello sguardo, in Petrarca parte di una locuzione preposizionale: a

mezzo ‘in mezzo a’), ma che suggerisce comunque di rivedere

l’interpretazione vulgata del difficile verso, secondo la quale

viso sarebbe da intendersi ‘volto’, sarebbe cioè parte di

un’im-magine quantomeno inusuale, descritta con un enunciato che a me sembra un po’ stonato rispetto all’eleganza e alla precisione della sintassi petrarchesca: il cuore, spinto dalla maestà del pal-lore, risalirebbe in mezzo al volto dell’amante per manifestare i suoi sentimenti (69). Visto che in Dante per mezzo mista rima con vista, a cui mista si riferisce, è possibile che nel sonetto a

mezzo ’l viso valga ‘nel mezzo dello sguardo, dell’atto del

guar-dare’, interpretando viso come latinismo, in coerenza con le voci vede al v. 6, vidil’io e m’affiso al v. 8, vista al v. 9, guardo al v. 12. Del resto la voce viso ha probabilmente lo stesso valore anche nella vicina canzone 119, vv. 88-90 «Pensosa mi rispose, et così fiso / tenne il suo dolce sguardo, / ch’al cor mandò co le parole il viso» (dove viso rima con fiso, affine al m’affiso del sonetto), se s’intende che le parole dell’amata giungono fino al

cor dell’amante (al cor anche al v. 3 del sonetto) insieme al suo

intenso sguardo (‘mandò al cuore lo sguardo con le parole’), a sottolineare la reciprocità dell’accorgersi (v. 79 «allor quand’io

(69) Si vedano le parafrasi di M. Santagata cit., p. 573 «‘(cuore) che, per andare incontro a quell’impallidire, mi salì fin nel viso’, cioè ‘il mio intenso turbamento mi si dipinse nel volto’»; r. Bettarini cit., p. 571 «che il mio cuore si fece incontro a quel pallore manifestandosi con altrettanto pallore in mezzo al viso»; S. Stroppa cit., p. 224: «che: riferito a “cor”, il quale ‘si fa incontro’ all’ “impallidir” dell’amata salendo fino al “viso”: i sentimenti dell’amante si dipingono chiaramente sul suo volto»; p. VeCChi gaLLi cit., p. 487: «che il mio cuore corse ad incontrarlo in mezzo al mio viso, ricam-biandolo con il mio stesso pallore».

(17)

del suo accorger m’accorsi») (70). Senza contare che analogo significato può essere attribuito all’occorrenza di viso nell’inci-pit di 111 La donna che ’l mio cor nel viso porta (71), e nell’in-cipit del madrigale 54 Poi ch’al viso d’amor portava insegna, in quest’ultimo caso anche sulla scorta della seconda stanza della canzone di Dante E’ m’incresce di me sí duramente, dove gli occhi dell’amata, che hanno ferito il cuore dell’amante, danno

la volta con le insegne d’amor, negandosi all’amante (vv. 18-23

«ma poi che sepper di loro intelletto / che per forza di lei / m’e-ra la mente già ben tutta tolta, / con le insegne d’Amor dieder la volta, / sí che la lor vittorïosa vista / poi non si vide pur una fïata»). Possiamo allora presumere che nel pieno dell’azione visiva il vago impallidir avvolga il volto ridente dell’amata con l’amorosa nebbia rendendone più incerta la percezione fisica, e si offra al cuore coinvolgendolo e inducendolo a protendersi verso di sé (verso il volto dell’amata velato dalla nebbia). Al cul-mine di una visione che rimane imperfetta, velata dalla nebbia perché terrena (sta in questo la differenza rispetto alla visione nitida di Dante in paradiso), la percezione degli occhi (oculus

carnis) si attenua a vantaggio della percezione del cuore (oculus cordis), che permette all’amante di conoscere come non

cono-sceva (v. 5 Conobbi allor) (72).

(70) Cfr. r. Bettarini cit., p. 558: «le parole articolate (nel discorso diretto che segue nell’ultima stanza) sono intrise della potenza dello sguardo (viso) che le esprime e giungono insieme al cuore». Cfr. anche p. VeCChi gaLLi cit., p. 478. Per viso nel significato di ‘sguardo’, cfr. anche Triumphus Fame III, vv. 67-68 «Apollo ed Esculapio gli son sopra, / Chiusi, ch’ a pena il viso gli comprende».

(71) Cfr. r. Bettarini cit., p. 520, seguita da p. VeCChi gaLLi cit., p. 449; di diver-so parere M. Santagata cit., p. 522.

(72) È possibile stabilire un parallelo tra la coppia 122-123 e l’ultima stanza della canzone 129, dove l’amante, dal monte più alto verso il quale è tirato dal desiderio,

misura con gli occhi i suoi danni e ha il cuore avvolto da una nebbia non amorosa, ma dolorosa per la distanza (aria) che lo separa dal bel viso. La stanza si chiude

sull’imma-gine della speranza (forse al v. 63) che l’amata sospiri per la sua lontananza, speranza che si avvera, nella mente dell’amante, nella domanda dell’ultimo verso di 123. Sull’i-dea di speranza insita nella chiusa della stanza di 129, cfr. Praloran, art. cit., p. 143: «Dunque l’esitazione della speranza si stringe su questo sommesso recitativo [...] che si chiude con l’umilissimo: et in questo penser l’alma respira, [...] non più l’impulso di evocare e trattenere, nella potenza dell’invenzione, l’immagine di Laura, ma piuttosto l’impulso di una speranza che nasce dal continuo oscillare degli stati d’animo». Alla

dolorosa nebbia della canzone 129 (che C. ZaMpeSe, «Nebbia» nei «Rerum vulgarium

fragmenta»: Appunti per un’indagine semantica, in Uso, riuso e abuso dei testi classici, a

cura di M. Gioseffi, Milano, LED, 2010, pp. 121-50, alle pp. 137-39, mette in relazione con le perturbationes animi), è assimilabile la nebbia oscura che in 270 (v. 36) può essere dissipata da l’aura gentile (v. 31), e che in 323 (v. 68) nasconde il capo dell’amata.

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Rosanna Bettarini paragona la nebbia del sonetto alla

nu-bes che nella Bibbia è «contrassegno di divinità», come nel

«colloquio facie ad faciem di Dio con Mosé “sicut solet loqui homo ad amicum suum”, dove è associata alla maiestas

Domi-ni (2 Mac II 8 «et tunc Dominus ostendet haec, et apparebit

maiestas Domini, et nubes erit sicut ut Moysi manifestaba-tur...») (73). Ma il vago impallidir dell’incipit di 123, con la

nebbia del v. 2 e la maiestade del v. 3, possono essere messi in

rapporto anche con il mutamento del volto del Cristo trasfi-gurato e con la nubes dalla quale proviene la voce divina che ribadisce ai tre apostoli la predilezione del Padre per l’unico suo figlio.

28factum est autem post haec verba fere dies octo et adsumpsit Petrum et Iohannem et Iacobum et ascendit in montem ut oraret 29et factum est dum

oraret species vultus eius altera et vestitus eius albus refulgens 30et ecce duo viri loquebantur cum illo erant autem Moses et Helias 31visi in maiestate et dicebant excessum eius quem conpleturus erat in Hierusalem 32Petrus vero et qui cum illo gravati erant somno et evigilantes viderunt maiestatem eius et

duos viros qui stabant cum illo 33et factum est cum discederent ab illo ait Pe-trus ad Iesum praeceptor bonum est nos hic esse et faciamus tria tabernacula unum tibi et unum Mosi et unum Heliae nesciens quid diceret 34haec autem

illo loquente facta est nubes et obumbravit eos et timuerunt intrantibus illis in nubem 35et vox facta est de nube dicens hic est Filius meus electus ipsum

audite 36et dum fieret vox inventus est Iesus solus et ipsi tacuerunt et nemini dixerunt in illis diebus quicquam ex his quae viderant (Lc 9 29-36) (74).

L’impallidir è alterazione del volto ridente dell’amata che rivela all’amante la reciprocità del sentimento. È vago perché esprime l’amore (e infatti emana un’amorosa nebbia), non

tur-pis color ma color aptus amanti secondo ovidio (75). Di più,

(73) r. Bettarini cit., p. 571, e cfr. C. ZaMpeSe cit., p. 134. Da questo punto di vista, il pallore non può essere qui considerato un attributo negativo (Castelvetro, citato da Santagata, p. 573, parla addirittura di «bruttezza», che Petrarca «tempera col vago»; M. Feo, «Pallida no, ma più che neve bianca», in questo «Giornale», CLII (1975), pp. 321-61, a p. 337, citato sempre da Santagata, pp. 572-73, di «ombra, che diffondendosi sul dolce riso gli toglie splendore»).

(74) Biblia sacra cit., pp. 1625-26.

(75) oViDio, Ars amatoria, I 722-727 «Candidus in nauta turpis color: aequoris unda / Debet et a radiis sideris esse niger. / turpis et agricolae, qui vomere semper adunco / Et gravibus rastris sub Iove versat humum. / Et tibi, Palladiae petitur cui fama coronae, / Candida si fuerint corpora: turpis eris. / Palleat omnis amans! hic est color aptus amanti»; cfr. C. ZaMpeSe cit., p. 133 nota 30. Petrarca annota il v. 727 nel Virgilio Ambrosiano in margine a Ecl. II 47, con la postilla «Pallor amantium» (f. petrarCa, Le postille del Virgilio Ambrosiano, a cura di M. Baglio, A. Nebuloni testa

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il rispecchiamento esclusivo dell’amante nell’amata (v. 5 vede

l’un l’altro; v. 7 altri non scerse), grazie al quale l’amante può

discernere il pietoso penser dell’amata, la sua disposizione a prendersi cura degli altri, è figura del confronto appartato e segreto degli apostoli con la divinità incarnata in un uomo. La situazione richiama il reciproco accorgersi della vicina canzone 119, in quel caso però nel contesto di una mancata agnizio-ne, motivo di scorno: vv. 78-79 «su nel primiero scorno, / allor quand’io del suo accorger m’accorsi».

Secondo Agostino, il volto di Cristo divenuto splendente ut

fulgor solis nell’episodio della trasfigurazione è manifestazione

della divinità in un uomo; l’atto di Cristo che tende la mano agli apostoli prostrati a terra dopo aver ascoltato la voce di Dio è prefigurazione della morte del corpo che ci attende e della re-surrezione che ci permetterà di vedere Dio facie ad faciem; con la nubes, che ostacola la contemplazione, Dio intende chiarire a Pietro, allettato dall’atmosfera di serenità che aleggia sul monte e dalla prospettiva di una vita appartata, che la visione perfetta della divinità può avere luogo solo dopo la morte e che il suo posto è ora nel mondo:

tres enim secum levavit in montem Petrum et Iacobum et Ioannem et coram ipsis se transfiguravit, ita ut facies eius splenderet ut fulgor solis. Ipsi ergo erant de circumstantibus qui non visuri erant mortem donec viderent Domi-num in regno suo. Erit autem fulgor omnium in fine saeculorum. Quem ful-gorem Dominus in se monstravit. fulgebunt membra eius sicut fulsit caput. Scriptum est: transfigurabit corpus humilitatis nostrae conforme corpori gloriae suae. Ecce ipse in monte fulsit sicut sol, et nondum resurrexit. Non-dum mortem gustaverat sed in carne Deus erat et de carne nonNon-dum resusci-tata quod volebat divina potestate faciebat (Sermo 79/A 1) (76).

e M. Petoletti, pres. di G. Velli, Roma-Padova, Antenore, 2006, II, pp. 483-84; M. FioriLLa, I classici nel Canzoniere cit., p. 31).

(76) trad.: «Gesù condusse con lui tre suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovan-ni, e si trasfigurò alla loro presenza per cui il suo volto divenne splendente come la viva luce del sole. Erano dunque essi quei tali ch’erano presenti e che non avrebbero visto la morte prima di vedere il Signore nel suo regno. Alla fine del mondo però tutti avranno lo splendore che il Signore mostrò in se stesso. Le sue membra risplenderanno come risplendette il capo. Sta scritto: Trasformerà il nostro misero corpo e lo renderà simile al

suo corpo glorioso. Ecco, egli sul monte rifulse come il sole, ma non era ancora risorto.

Non era ancora morto ma pur nella carne era Dio e con la carne non ancora risorta, grazie al potere divino, compiva le azioni che voleva» (Sant’agoStino, Discorsi. testo latino dell’edizione maurina e delle edizioni postmaurine, II i, introd. di A. Vita, trad. e note di E. Gandolfo, Roma, Città Nuova, 1968, pp. 576-77).

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Dominus autem porrexit manum, et excitavit iacentes. Deinde neminem vi-derunt, nisi solum Iesum. Quid sibi hoc vult? Audistis, cum Apostolus le-geretur, quia videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad

faciem. Et linguae evacuabuntur, quando venerit illud quod modo speramus

et credimus. Quod illi ergo ad terram ceciderunt, hoc significaverunt, quod morimur: quia dictum est carni: Terra es, et in terram ibis. Quando vero eos Dominus erexit, resurrectionem significavit (Sermo 78 5) (77).

Descende, Petre: requiescere cupiebas in monte, descende, praedica ver-bum, insta opportune, importune, argue, hortare, increpa, cum omni lon-ganimitate et doctrina. Labora, desuda, patere aliqua tormenta: ut quod in candidis vestimentis Domini intellegitur, per candorem et pulchritudinem rectae operationis in caritate possideas. In laude enim caritatis, cum Apo-stolus legeretur, audivimus: Non quaerit quae sua sunt. Non quaerit quae sua sunt; quoniam donat quae possidet (Sermo 78 6) (78).

Questa esegesi mi sembra in sintonia con le terzine del so-netto 123, che attribuiscono all’amata non una natura ma una parvenza angelica (angelica vista al v. 9). L’amata è donna ter-rena e rivolge il suo sguardo verso terra (v. 12 «Chinava a terra il bel guardo gentile») (79). Al di sopra di ogni possibile circo-stanza autobiografica, la sua domanda, formulata con gli occhi, nel silenzio, reclama di tenere vicino a sé, in questo mondo, il suo fedele amico: v. 14 «Chi m’allontana il mio fedele amico?».

torniamo ora al madrigale 121. Si è visto come nell’ultima terzina il binomio pietà e vendetta sia da mettere in relazione con il concetto di una giustizia perfezionata dai valori cristiani, di una Legge in unione con Cristo, non dissimile dalla giustizia affiancata alla pietà nel visibile parlare del X canto del

Purga-(77) trad.: «Il Signore però tese loro la mano e fece rialzare i discepoli. Essi poi non videro nessuno all’infuori del solo Gesù. Che significa questo? Avete sentito quan-do si leggeva la lettera dell’Apostolo: Noi adesso vediamo Dio in confuso, come in uno

specchio, ma allora lo vedremo faccia a faccia. Cesserà inoltre il dono delle lingue,

quan-do avverrà ciò che ora speriamo e crediamo. Il fatto che i discepoli caddero bocconi a terra significa simbolicamente che moriremo, poiché è stato detto alla carne: Terra

sei e nella terra tornerai. Il fatto invece che il Signore li fece rialzare, simboleggiava la

risurrezione» (ivi, pp. 570-71).

(78) trad.: «Scendi, Pietro; desideravi riposare sul monte: scendi; predica la paro-la di Dio, insisti in ogni occasione opportuna e importuna, rimprovera, esorta, incorag-gia usando tutta la tua pazienza e la tua capacità d’insegnare. Lavora, affaticati molto, accetta anche sofferenze e supplizi affinché, mediante il candore e la bellezza delle buone opere, tu possegga nella carità ciò ch’è simboleggiato nel candore delle vesti del Signore. Poiché nell’elogio della carità, letto nella lettera dell’Apostolo, abbiamo sentito: Non cerca i propri interessi. Non cerca i propri interessi perché dona quel che possiede» (ivi, pp. 570-73).

(79) Sulla «dimensione terrena» della visione descritta nel sonetto 123 insiste S. Stroppa cit., pp. 223-24.

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torio. Proprio in questa concezione cristiana della giustizia sta

secondo Agostino il significato allegorico dell’episodio del-la trasfigurazione, dove Mosé ed Elia a colloquio con Cristo rappresentano la iustitia Dei (sol e splendor), l’attuazione della Legge (Mosé) nel confronto con Dio (Elia) (80).

Quid mirum si per candida vestimenta signatur Ecclesia, cum audiatis

Isaiam prophetam dicentem: Et si fuerint peccata vestra sicut phoenicium, tamquam nivem dealbabo? Moyses et Elias, id est, Lex et Prophetae quid valent, nisi cum Domino colloquantur? Nisi Domino perhibeant testimo-nium, quis leget Legem? quis Prophetas? Videte quam breviter hoc Apo-stolus ait: Per Legem enim cognitio peccati: nunc autem sine Lege, iustitia Dei manifestata est; ecce sol: testificata a Lege et Prophetis; ecce splendor

(Sermo 78 2) (81).

L’episodio della trasfigurazione di Cristo è visto da Agosti-no come acquisizione, raggiunta grazie al confronto con Dio, della necessità di una vita attiva condotta secondo una forma di giustizia cristianamente intesa, e in ultima analisi come mo-mento di rinascita nel mondo, in attesa della rinascita (resurre-zione) post mortem. La salita al monte diventa esperienza che permette di tornare nel mondo con una nuova consapevolezza. Protagonista di questa rinascita è secondo Agostino l’uomo parte integrante della Chiesa (Pietro), intesa come istituzione universale che opera per il bene comune nella carità («Quid mirum si per candida vestimenta signatur Ecclesia...»).

Alla luce del pensiero agostiniano, i quattro punti celebra-tivi individuati nel Canzoniere assumono un valore di com-plementarietà: la nascita della Chiesa (52, seguito da 53 e 54) e la definizione del suo ruolo nel mondo (123, preparato da 121 e 122), la (ri)nascita dell’uomo (di un uomo per tutti), nel confronto ancora imperfetto con Dio (105-106), e la nascita di

(80) In Purg. XI 37, il binomio giustizia e pietà è infatti attributo divino. (81) trad.: «Che c’è di strano se mediante il vestito bianchissimo viene simboleg-giata la Chiesa, dal momento che sentite dire dal profeta Isaia: Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, li farò diventare bianchi come neve? Che valore avrebbero Mosè ed Elia, cioè la Legge e i Profeti, se non parlassero col Signore? Se non testi-moniassero a favore del Signore, chi leggerebbe la Legge e i Profeti? Vedete quanto sinteticamente afferma ciò l’Apostolo: Per mezzo della Legge si ha solo la conoscenza del peccato. ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, ecco il sole; testimoniata dalla Legge e dai Profeti, ecco lo splendore» (Sant ’a-goStino, Discorsi cit., pp. 568-69).

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Cristo (264), che ci ha rivelato la strada per diventare capaci di quel confronto. Questi quattro punti celebrativi si aggiungono al punto celebrativo posto all’inizio assoluto dell’opera, dove l’allusione alla Passione va vista in relazione al triduo pasqua-le, culmine ed essenza dell’anno liturgico, rito unitario in cui la morte di Cristo è presupposto della sua resurrezione (82). Ri-spetto alla struttura complessiva del Canzoniere, la corrispon-denza tra l’inizio della seconda parte e il giorno della nascita di Cristo assume ulteriore spessore, rivelando un più profondo significato simbolico, se si considera che, come sappiamo, la dottrina cristiana stabilisce un rapporto di reciprocità tra il dies

Natalis di Cristo, che assume un corpo per diventare uomo, e

il dies natalis del cristiano, che nel giorno della morte si libera del corpo per ricongiungersi con Cristo. Si legga quanto scrive Agostino all’inizio del Sermo 314, dedicato al dies natalis del primo martire, che non a caso la Chiesa celebra nel giorno suc-cessivo al Natale (83).

Natalem Domini hesterna die celebravimus; servi hodie Natalem celebra-mus: sed Natalem Domini celebravimus, quo nasci dignatus est; Natalem servi celebramus, quo coronatus est. Celebravimus Natalem Domini, quo indumentum nostrae carnis accepit: Natalem servi celebramus, quo suae carnis indumentum abiecit. Natalem Domini celebravimus, quo factus est similis nobis: celebramus Natalem servi, quo factus est proximus Christo. Sicut enim Christus nascendo Stephano, ita Stephanus moriendo coniunctus est Christo (Sermo 314 1) (84).

(82) Le celebrazioni del triduo pasquale sono organizzate come un’unica liturgia. La Missa in Coena Domini non termina con il saluto (l’ite missa est), ma in silenzio; l’azione liturgica del venerdì non comincia con l’usuale saluto e con il segno della croce, e termina anch’essa senza saluto; la solenne veglia comincia in silenzio e termina con il saluto.

(83) Cfr. M. Santagata, I frammenti dell’anima cit., p. 311: «il giorno della nascita di Cristo corrisponde al testo da cui comincia la parte del libro imperniata sulle rime in morte di Laura e sulla finale redenzione dell’amante [...]; l’attesa di una possibile salvezza comincia dall’anniversario del giorno in cui il Salvatore si fece uomo».

(84) trad.: «Ieri abbiamo celebrato il Natale del Signore; oggi celebriamo il Natale del suo Servo: ma, quale Natale del Signore, abbiamo celebrato il giorno in cui si de-gnò nascere; quale Natale del Servo, celebriamo il giorno nel quale ricevette la corona. Abbiamo celebrato il Natale del Signore, in cui egli ricevette la veste della nostra carne; celebriamo il Natale del Servo, nel quale questi lasciò la sua veste di carne. Abbiamo celebrato il Natale del Signore, nel quale egli si fece simile a noi; celebriamo il Natale del Servo, nel quale questi passò accanto a Cristo. Quindi, come Cristo, per la nasci- ta, si unì a Stefano, così Stefano, con la morte, si unì a Cristo» (Sant’agoStino,

Discorsi. testo latino dell’edizione maurina e delle edizioni postmaurine, V, intr. di

A. Quacquarelli, trad., note e indici a cura di M. Recchia, Roma, Città Nuova, 1986, pp. 720-21).

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Come nel caso del madrigale 54, la posizione di 121 non corrisponde direttamente a una celebrazione significativa del- l’anno liturgico, ma è a essa vicina e ne costituice, per il con-tenuto, una sorta di controcanto. Come nel caso del madrigale 54, 121 è preceduto quasi direttamente da una canzone di spe-ciale rilevanza, la 119, sul cui valore emblematico ho già avuto modo di soffermarmi. Se il posto definitivo del madrigale nel macrotesto non fu da Petrarca individuato che nella fase finale di allestimento, è tuttavia possibile che Petrarca abbia avuto in mente di conferire una funzione strategica anche alla pre-cedente collocazione nella cosiddetta forma Malatesta, dove il madrigale si trova tra i sonetti 242 e 243, celebrativi del colle edenico abitato dall’amata (243, v. 1 «fresco, ombroso, fiorito et verde colle») affine allo scenario del madrigale (cfr. 121, v. 5 in mezzo i fiori et l’erba). Ne è indizio il fatto che di lì a poco Petrarca inserirà a distanza di poche unità il gruppo di sonet-ti 246-254, che lasciano avversonet-tire il presensonet-timento della morte dell’amata e che nella struttura calendariale sono collocati in una zona compresa nel tempo dell’Avvento (85).

Questa ulteriore possibilità di mettere in rapporto l’auto-biografia con l’anno liturgico, qui complicata dalla mobilità della data d’inizio del tempo dell’Avvento, delinea un proble-ma più generale rispetto al significato e alla funzione dei quat-tro madrigali: è lecito pensare che l’intero Canzoniere sia stato compilato tenendo sullo sfondo il complesso simbolismo del

circulum anni con il suo Santorale e che con esso si sintonizzi

il simbolismo stratificato dei testi? Alcune spie sembrerebbero andare in questa direzione, ad esempio il fatto che i primi dieci componimenti che fanno da prologo al racconto autobiografi-co autobiografi-corrispondono al triduo pasquale autobiografi-con l’ottava di Pasqua. oppure che l’annuncio drammatico della morte prematura dell’amata (267), anima eletta ch’è salita a tanta pace lasciando l’amante in guerra (268, vv. 60-61), sia collocato all’altezza del

(85) Sulla funzione del gruppo di sonetti, si veda M. Santagata, I frammenti

dell’anima cit., pp. 303-7. Dimostra alcuni richiami strutturali tra il primo e l’ultimo

sonetto del gruppo A. SoLDani, Sintassi e partizioni metriche del sonetto, in La metrica

dei «Fragmenta», a cura di M. Praloran, Roma-Padova, Antenore, 2003, pp. 383-504,

alle pp. 456-57. Per Bettarini, p. 1125, i «tristi presentimenti» avrebbero inizio solo dal sonetto 249.

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giorno dei Santi Innocenti (28 dicembre), «parvuli beati [...], nondum luctati, iam coronati» (Agostino, Sermo 373 3). tanto più che il sonetto segue la missiva rivolta al cardinale Giovan-ni Colonna (266) posta in corrispondenza del giorno di san Giovanni Evangelista (27 dicembre), l’apostolo prediletto che nell’ultima parte dell’Apocalisse annuncia la salvezza e la bea-titudine degli eletti nella Gerusalemme celeste (86). Verificare questa prospettiva è certamente impresa molto impegnativa, anche per il costante rischio di fraintendimento insito nella valutazione di un linguaggio polisemico, tanto preciso quanto difficile, che richiede da parte del lettore una totale dedizione e un grande sforzo di comprensione, secondo quanto Petrarca stesso lucidamente espone in una lettera a francesco Nelli del 9 agosto 1352:

Iuvat a paucis videri, quantoque a paucioribus videor, tanto ipse michi carior

sum. [...] Non “laboro” ut “obscurus fiam” sed ut clarus; opto enim intel-ligi sed ab habentibus intellectum, et ab his ipsis non sine studio ac mentis intentione non anxia sed iocunda [...]. Volo ego ut lector meus, quisquis sit, me unum, non filie nuptias non amice noctem non hostis insidias non vadi-monium non domum aut agrum aut thesaurum suum cogitet, et saltem dum

(86) La collocazione del sonetto in corrispondenza del dies natalis di san Giovanni Evangelista va vista anche in rapporto con la risposta di Sennuccio del Bene a nome del cardinale. Sennuccio dichiara nell’ultima terzina del suo sonetto di averlo scritto nella vigilia di san Giovanni («mei’ fondata di lui trovar colonna / non potreste in cinquant’altri san Giovanni, / la cui vigilia a scriver mi sospinsi»). In questo caso si tratterà della vigilia della festa di san Giovanni Battista, che cade il 24 giugno, nel sol-stizio d’estate, anche perché nel Santorale la festa di san Giovanni Evangelista non ha vigilia, a meno di interpretare il termine in senso generico. La circostanza evidenzia la complementarietà delle due feste nell’anno liturgico, la cui collocazione nei due solstizi è simbolo della complementarietà dei due santi omonimi, il precursore e l’evangeli-sta, che attraverso l’Apocalisse ha descritto gli effetti della Rivelazione. Non entro nel merito dell’indicazione calendariale che si ricava dall’ultima terzina del sonetto 266 e che apparentemente riporta indietro il tempo autobiografico al 1345 rispetto ai sonetti 212 e 221, che alludono al periodo compreso tra il 6 aprile 1346 e il 6 aprile 1347, rivelando un’incongruenza su cui si sofferma soprattutto Santagata, p. 1073, dove si assume quanto già sostenuto in Idem, I frammenti dell’anima cit., pp. 160-63 e 246-48. Per il valore simbolico e teologico dei tre giorni successivi al Natale (nel Martirologio di usuardo e poi nel Martirologio Romano i santi celebrati sono denominati Comites

Christi), si può vedere la lauda O novo canto di Iacopone da todi, celebrazione della

natività di Cristo, dove i tre notturni dell’ufficio del Natale sono cantati da tre cori, il primo costituito dai santi martiri, il secondo dai santi confessori, il terzo dai san-ti innocensan-ti, guidasan-ti rispetsan-tivamente da santo Stefano protomarsan-tire, da san Giovanni Evangelista e da Cristo stesso (cfr. in proposito M.S. Lannutti, Iacopone musico e

Garzo doctore. Nuove ipotesi di interpretazione, in Iacopone da Todi. Atti del XXXVII

Convegno storico internazionale, todi, 8-11 ottobre 2000, Spoleto, CISAM, 2001, pp. 337-62, alle pp. 357-60).

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legit, volo mecum sit. Si negotiis urgetur, lectionem differat; ubi ad legendum accesserit, negotiorum pondus et curam rei familiaris abiciat, inque ea que sub oculis sunt, animum intendat. Si conditio non placet, inutilibus scriptis abstineat; nolo ego pariter negotietur et studeat, nolo sine ullo labore perci-piat que sine labore non scripsi. (Fam. XIII 5 20-23) (87).

Si ha comunque l’impressione che Petrarca abbia posto in essere una selezione dei momenti dell’anno liturgico, a cui cor-risponde una modulazione del continuum narrativo e poetico, che varia per numero dei componimenti coinvolti e assorti-mento dei generi metrici e per quantità e qualità dei fattori chiamati a stabilire il collegamento tra i testi e i punti celebrati-vi, facendo dell’interazione di racconto e celebrazione quanto di più lontano da una relazione meccanica, scoperta e scontata. Potrebbe trattarsi di un’interazione visibile solo a tratti e in modo imperfetto (si noti che nel passo appena citato Petrarca usa il verbo videre nel significato di ‘capire’), come in una sorta di trasposizione nella macrostruttura del paolino rispecchia-mento in aenigmate, che coinvolge l’oculus cordis.

Sia come sia, va sottolineato che i momenti celebrativi che ho indicato, a cominciare dal momento iniziale rappresentato dal triduo pasquale, sono accomunati dall’idea di (ri)nascita, che possiamo interpretare come criterio di selezione, e conferi-scono un senso ideologico e si direbbe teologico alla struttura calendariale del Canzoniere nella sua dialettica con il racconto autobiografico. Siamo di fronte, credo, a una dialettica compa-tibile con la concezione platonico-agostiniana del tempo, se-condo la quale passato, presente e futuro coesistono e trovano senso nell’anima, la diacronia terrena rivela il suo vero valore nella sincronia immobile della divinità, dalla quale l’anima pro-viene e nella quale si rispecchia (88). Nel tempo celebrativo

(87) trad.: «Giova essere visti da pochi e quanto più sono i pochi che mi vedono, tanto più sono caro a me stesso. [...] Io non m’affatico per essere oscuro, ma chiaro; desidero infatti essere compreso, ma da chi possiede intelletto e, anche da costoro, non senza un sereno raccoglimento che sia però libero da ansiose preoccupazioni [...]. Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi a me solo [...]; e almeno fin che legge io voglio che sia con me. Se è preoccupato dai suoi affari, differisca la lettura [...]. Se non gli garbano tali condizioni, lasci perdere ciò che non fa per lui; io non voglio che studi nel momento stesso in cui si occupa d’altro; non voglio che apprenda senza fatica ciò che non senza fatica io ho scritto» (f. petrarCa, Le Familiari, a cura di u. Dotti, iii, Milano, Aragno, 2007, pp. 1834-37).

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parallelo all’autobiografia, che coincide con l’anno liturgico ed è simbolo del tempo divino, la successione degli eventi può dirsi agostinianamente superata nella contemporaneità del pre-sente eterno, spiegando l’apparente incongruenza tra la succes-sione dei componimenti, che pertiene al tempo narrativo, e il loro significato simbolico, che pertiene al tempo celebrativo. Nel tempo celebrativo parallelo all’autobiografia, la posizione di 106, dove si narra l’avvenuto rinnovamento dell’amante e dell’amata agli occhi dell’amante in una relazione di recipro-cità, prefigurato già in 105, va vista in rapporto alla funzione simbolica e assoluta del 20 luglio. Nel tempo celebrativo paral-lelo all’autobiografia, la (ri)nascita della Chiesa, rappresentata da 52 con 53 e 54, e la definizione del suo ruolo nel mondo, rappresentata da 123, con 121 e 122, come la (ri)nascita di un uomo per tutti in un giorno per tutti, sono contemporanee alla nascita di Cristo, rappresentata dalla canzone 264, e alla sua passione-resurrezione, rappresentata dai sonetti iniziali, in cui l’innamoramento è sì l’inizio di un percorso di sofferenza ma va anche interpretato alla luce del proemio, come l’aprirsi a una nuova stagione d’impegno non disgiunto dall’autocoscien-za, a un cammino che permetta a chi è indebolito nello spirito di acquisire la pienezza della virtù, senza limitazioni (2, v. 5 «Era la mia virtute al cor ristretta...»), nella speranza di trovare finalmente, dopo il pentimento, pietà e perdono.

I punti di (ri)nascita contemporanei che si individuano nel tempo celebrativo ribadiscono perdipiù aspetti portanti dell’i-deologia petrarchesca: la compresenza e compenetrazione di tema amoroso e tema politico, rappresentata dalla contiguità dei madrigali 52 e 54 con la canzone 53; la stretta connessione tra vita e opera, rappresentata dalla collocazione nell’anno del-la del-laurea poetica di 106, preceduto da 102-105, che si carica di valore morale e teologico; il rapporto tra la prospettiva scaturi-ta dal dialogo con l’alter ego Agostino nel Secretum (recolligere gli sparsa anime fragmenta) e la sua attuazione nei Rerum

vulga-rium fragmenta, rappresentata dalla collocazione subito dopo

corrisponde al tempo del «[...] mondo novo, / in etate immobile ed eterna» che gli occhi della mente riescono a scorgere nel Triumphus Eternitatis, su cui si veda M. Santagata, I frammenti dell’anima cit., pp. 316-18.

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l’anno in cui è ambientato il Secretum di 119-122, che prepa-rano 123; il profilarsi di un incerto e doloroso affrancamento dai negotia mortalia necessario alla meditatio mortis, secondo il finale del Secretum, su cui tornerò tra poco, rappresentato dalla canzone 264, preludio all’evento dirompente della morte dell’amata; l’ineluttabilità del desiderio, motore dell’esistenza umana, anch’essa dichiarata nel finale del Secretum, rappresen-tata dai sonetti 2-3, che descrivono il momento dell’innamora-mento ovvero l’origine del primo giovenile errore anticipato in apertura del proemio.

Attraverso la sottile filigrana di un linguaggio poetico stra-tificato (alieniloquium), assistiamo all’emergere di una poesia amica della teologia, secondo la ben nota enunciazione pro-grammatica che apre la lettera al fratello Gherardo sul signifi-cato allegorico della prima ecloga del Bucolicum carmen: Theologie quidem minime adversa poetica est. Miraris? parum abest quin

dicam theologiam poeticam esse de Deo: Cristum modo leonem modo

agnum modo vermem dici, quid nisi poeticum est? mille talia in Scripturis Sacris invenies que persequi longum est. Quid vero aliud parabole Salvatoris in Evangelio sonant, nisi sermonem a sensibus alinem sive, ut uno verbo ex-primam, alieniloquium, quam allegoriam usitatiori vocabulo nuncupamus?

(X 4 1-2) (89).

Assistiamo al ricongiungimento del tempo narrativo e del tem-po celebrativo nella storia esemplare, segnata da luci e ombre, di un uomo impegnato nel mondo, che aspira a farsi guidare dalla vertù.

6. Le quattro ninfe

Il madrigale 52 si chiude con l’immagine del tremore conse-guente alla folgorazione amorosa («tal che mi fece, or

quand’e-(89) trad.: «La poesia non è affatto contraria alla teologia. ti meravigli? Potrei persino dire che la poesia è la teologia che ha per oggetto Dio: non è forse linguaggio poetico quello che definisce Cristo ora leone, ora agnello, ora verme? Mille di tali esempi potresti trovare nelle Sacre Scritture, che ora sarebbe lungo enumerare. Che altro suonano le parabole del Salvatore nei Vangeli se non un discorso estraneo alla comune realtà oppure, per dirla con una parola sola, quel dire metaforico che, con termine usatissimo, definiamo allegoria?» (F. petrarCa, Le Familiari cit., II, Milano, Aragno, 2007, pp. 1406-9). Insiste sull’importanza di questa linea interpretativa, già precedentemente profilata (cfr. qui la nota 22), r. Bettarini cit., pp. XXI-XXII, con riferimento al citato passo della lettera a Gherardo e al congedo della canzone CCVI.

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