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Il lato maschile della violenza contro le donne

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Academic year: 2021

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- Introduzione ………...………...1

- Capitolo 1: Cos’e’ la violenza maschile contro le donne …...……... 2

- Capitolo 2: Il focus sugli uomini ………..6

- 2.1 Fattori coinvolti nel comportamento violento contro le donne ………...7

- Capitolo 3. Programmi di intervento per i maltrattanti ………...19

- 3.1 Tipologie di programmi di intervento sugli uomini ch agiscono violenza do-mestica ………...………..…...22

- 3.2 I centri per maltrattanti nel contesto internazionale ...………...28

- 3.3 I centri ed iniziative per gli autori i violenza nel panorama italiano ...…...34

- Capitolo 4. La ricerca ……..………...39

- 4.1 Obiettivo della ricerca …..………39

- 4.2 Partecipanti ….……….39 - 4.3 Strumenti ….……….39 - 4.4 Risultati …..………..……….41 - 4.5 Discussione ….………..73 - Conclusioni ….………...81 - Bibliografia ………...82

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INTRODUZIONE

La violenza contro le donne è un problema grave e si presenta in diverse forme, alcune più manifeste altre meno evidenti ma non per questo meno gravi.

È un fenomeno che ha le sue radici e implicazioni nella sfera privata ma anche nella so-cietà attuale in cui viviamo.

La violenza nella coppia è sempre esistita. Per molto tempo è stata ignorata perché rite-nuta un fatto privato, che riguardava solo la coppia, ma negli ultimi venti anni la lettera-tura su questo fenomeno ha iniziato ad aumentare sempre più offrendo diversi punti di lettura a riguardo.

Dall’interesse prevalente sulla donna vittima di violenza si è iniziato a dirigere l’attenzione verso gli uomini, dato che il loro comportamento, una volta interrotta la re-lazione, può continuare perseguitando la ex compagna o essere rivolto verso un’altra partner.

Per poter meglio comprendere i diversi aspetti del comportamento violento degli uomini verso le donne verrà inizialmente presentato un panorama attuale della letteratura su questo fenomeno; successivamente verrà spostato il focus sugli uomini descrivendo i possibili fattori che sono coinvolti in questo comportamento e i diversi tipi di program-mi ed interventi che sono stati istituiti sia nel contesto internazionale che in quello ita-liano per poter contrastare la violenza di genere.

Infine viene presentata una valutazione descrittiva di tre soggetti che si sono rivolti ad un centro di salute mentale, i quali hanno riportato di essere stati violenti contro la com-pagna.

Tutti i soggetti hanno compilato un questionario di personalità, il Minnesota Multipha-sic Personality Inventory (MMPI-2), i cui risultati sono stati interpretati e poi confronta-ti per idenconfronta-tificare quali disturbi sono comuni ai tre soggetconfronta-ti e in linea con la ricerca attu-ale sugli uomini che sono violenti contro le donne.

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CAPITOLO 1. COS’È LA VIOLENZA MASCHILE CONTRO LE DONNE

La violenza maschile contro le donne rappresenta un problema grave e diffuso in tutti i Paesi del mondo, anche se con forme e proporzioni diverse.13 È la maggiore preoccupa-zione di salute pubblica negli Stati Uniti e in tutto il mondo11 e la principale causa di

fe-rite non fatali per le donne che ne sono oggetto39. Ogni anno più del 20% delle donne subisce almeno un atto di aggressione fisica o sessuale dal compagno128 e un numero maggiore di donne viene vittimizzata da aggressione psicologica111,104. Infatti indagini rappresentative sulle coppie che includono casi meno gravi di aggressione, come una singola situazione di spinta o schiaffo alla propria partner, suggeriscono una percentuale tra il 15% e il 20% di violenza ogni anno da parte di un marito verso la moglie108,117,72,73. La violenza contro la partner assume diversi significati (violenza di genere, violenza domestica..) e diverse forme in cui si può manifestare (fisica, psicologica, sessuale, eco-nomica).

La violenza maschile contro le donne è spesso definita come uno specifico tipo di vio-lenza familiare o domestica, nella quale l’autore è un’attuale o ex partner intimo della vittima. Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) definisce la violenza do-mestica (Intimate Partner Violence, IPV) come “una violenza fisica, sessuale, minacce di violenza fisica/sessuale, e abuso psicologico/emotivo messo in atto da un attuale o ex coniuge, convivente, o fidanzato/a dello stesso sesso o opposto”11,19.

Johnson66 descrive tre tipi di violenza contro la partner distinti tra di loro

concettual-mente e per eziologia. Il primo tipo è il terrorismo intimo, caratterizzato da una grave aggressione fisica dell’uomo verso la donna (per esempio spingendo o spaventandola con le armi) ed una maggiore probabilità per la compagna di lesioni fisiche e provare paura del partner. Questo tipo di comportamento serve a dominare e controllare la don-na in diversi modi, compresa la violenza. Il secondo tipo è la resistenza violenta, ovvero la violenza che si presenta in risposta al comportamento violento e controllante dell’uomo (cioè il terrorismo intimo). La parte che oppone resistenza è violenta, ma non controllante. L’ultimo tipo è la violenza di coppia situazionale, contraddistinta da vio-lenza bidirezionale dove l’episodio aggressivo iniziale può essere dovuto ad una qua-lunque delle due parti coinvolte. La sua gravità varia da un livello medio a uno grave, ed in genere si presenta come risposta ad un’escalation del conflitto. Questo tipo di

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lenza non assume la forma controllante ed ha una minore probabilità di causare paura o mettere la donna in pericolo72.

È stato individuato che la violenza domestica conduce a molti problemi di salute fisica e mentale nelle parti che ne sono coinvolte15,79,20,37,135. Se da un lato la maggior parte del-la violenza entro del-la coppia si presenta con bassi livelli, una parte di essa è piuttosto gra-ve e si associa a ferite ed altri disturbi di salute fisica4, come anche ad un aumento della sintomatologia nell’ambito della salute mentale 37; da notare, che anche negli uomini che attuano la violenza si possono avere delle conseguenze di questo comportamento, come, per esempio, un aumento dei loro disturbi mentali 111,56.

Se storicamente la violenza contro la partner era ritenuta un problema privato della fa-miglia, ad oggi è considerata una preoccupazione diffusa della salute pubblica che ri-chiede l’attenzione sia dei sistemi di intervento che dei sistemi di giustizia72,122

. Non è semplicemente un problema delle donne, né un fenomeno relativo alle sole coppie “pa-tologiche” donne vittime/uomini malati-devianti, ma richiama l’attenzione sulla sfera pubblica e privata, soprattutto sulla questione maschile come presa di coscienza del permanere di una cultura patriarcale13.

Le ricerche sulla violenza domestica sono aumentate sempre più a partire dalla prima pubblicazione del Journal of Intimate Partner Violence vent’anni fa57. Molte di queste ricerche si sono focalizzate principalmente sull’agire violento dell’uomo e sulla donna come vittima, nonostante ci siano state conferme da alcuni studi che sia gli uomini che le donne effettuino un’ampia gamma di violenza emotiva e fisica, e che quindi la vio-lenza domestica bidirezionale sia più comune di quanto si creda103,116,131. Nonostante ciò molti studi si sono concentrati principalmente sulla violenza perpetrata dall’uomo e sul-la vittimizzazione delsul-la donna102.

La ricerca in questo ambito si è indirizzata nell’assumere la prospettiva di genere dirot-tando l’attenzione sulla variabile maschile del fenomeno della violenza a partire dalle relazioni di intimità, senza perdere di vista la centralità della donna. Molto spesso anche l’autore della violenza è una persona che vive nel disagio e nella sofferenza. È questo uno dei motivi per cui l’attenzione deve essere rivolta anche al maltrattante, dato il cre-scente numero di uccisioni di donne, i femminicidi, da parte di uomini legati da relazio-ni affettive alla vittima13. Lasciare immutato il disagio e il senso di impotenza di questi uomini, che possono successivamente sfociare in comportamenti violenti, è una

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minac-4

cia per il benessere dei singoli, delle famiglie ma anche della società stessa. L’Unione Europea pone l’attenzione sulla “necessità di lavorare tanto con le vittime quanto con gli aggressori al fine di responsabilizzare questi ultimi ed aiutare a modificare stereotipi e credenze radicate nella società che contribuiscono a perpetuare le condizioni che gene-rano questo tipo di violenza e l’accettazione della stessa”13,136 .

La violenza domestica è associata ad un’ampia gamma di conseguenze fisiche e mentali sia a breve che a lungo termine, in cui le donne sono più probabilmente le vittime di forme gravi di violenza fisica perpetrata dal partner, che può portare a lesioni e mor-te36,71,73,122. Le vittime presentano spesso un aumento del rischio di lesioni, disabilità, dolore cronico, artrite, mal di testa o emicrania, sintomi gastrointestinali, sanguinamen-to vaginale e infezioni trasmissibili sessualmente, uso e abuso di sostanze, disfunzioni sociali, insonnia, PTSD, ansia, disordini sociali, depressione e pensieri di suicidio11,120. I disturbi di salute mentale presenti nell’uomo sono stati associati, in diversi studi tra-sversali, all’agire violenza contro la partner, e includono la sintomatologia depressiva, l’ansia, l’ostilità, la personalità borderline, il disturbo di personalità antisociale, espe-rienze simil-psicotiche, disturbo postraumatico da stress, tentativi di suicidio79.

La violenza nelle relazioni di intimità non è un dato di fatto e neanche una malattia; non appartiene ad una minoranza, i “border line”. La violenza verso la partner non è solo una violenza fisica, ma un insieme di comportamenti che distruggono l’autostima della stessa: è un problema che riguarda la società e gli uomini nella loro normalità, abbando-nando l’immagine degli uomini violenti come eccezionalità del genere maschile. Si de-linea così l’immagine della violenza domestica come un fenomeno con caratteristiche specifiche, basata sul genere e caratterizzata da rapporti di potere e controllo sulla par-tner tramite violenze psicologiche, economiche e sessuali.

La violenza contro le donne ha effetti anche sui bambini ed è un problema della colletti-vità, in quanto le cause sono pubbliche e sociali, non individuali o psicologiche. Non c’è un profilo del maltrattante, ma gli uomini che agiscono violenza sono diversi tra loro come diversi sono i fattori che hanno portato a quel determinato comportamento violen-to.

Nella cultura patriarcale le violenze verso le donne sono sempre esistite, la novità che adesso si presenta è il riconoscere che, oltre alla violenza che colpisce donne in situa-zioni di marginalità sociale, sono in aumento i casi di violenza che sembrano nascere

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dall’incapacità, soprattutto degli uomini, di accettare e accogliere un’autonomia e una libertà che sono già entrate nella vita di molte donne. Il riconoscimento di questa auto-nomia femminile scatena “un senso di inadeguatezza e una certa difficoltà degli uomini ad accettare nel proprio quotidiano la differenza e la libertà nei rapporti con le donne […], non accettano la differenza, ovvero non accettano l’alterità della propria compa-gna”13,23

.

Per molto tempo il problema della violenza nella relazione tra i sessi è stato inquadrato come un problema di “violenza sulle donne”: la focalizzazione andava sulle donne viste come “vittime” mentre gli uomini rimanevano sullo sfondo della situazione violenta. Lentamente l’attenzione è stata orientata verso gli uomini violenti, visti come “altri” uomini , ai margini della società, provenienti da altre culture, magari più arretrate, oppu-re che non sanno “controllaoppu-re” le pulsioni, hanno una patologia o sono “disturbati” psi-cologicamente.

Recenti studi su adolescenti e giovani adulti hanno trovato percentuali di violenza con-tro la partner e vittimizzazione, sia di tipo fisico che sessuale102. In particolare, due ri-cerche hanno suggerito che disordini mentali prima dei 20 anni sono in grado di predire la violenza contro la partner negli uomini. Sebbene non tutti i maltrattanti presentino di-sordini mentali79, alcuni studi hanno identificato alcune tipologie di maltrattanti. Devo-no comunque essere sempre tenuti in considerazione i diversi fattori che possoDevo-no avere un ruolo nell’agire violenza verso la partner.

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6 CAPITOLO 2. IL FOCUS SUGLI UOMINI

La consapevolezza che bisogna intervenire sugli uomini per cercare di ridurre la violen-za di genere inizia il suo cammino alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti, con il progetto Emerge, e alla fine degli anni Ottanta in Europa. L’Italia comincia a muoversi in questa direzione solo dal 2009, forse per la difficoltà di prendere in considerazione l’idea di investire tempo e risorse per cambiare la mentalità e i comportamenti degli uomini responsabili di violenze contro le donne o forse per una mancanza di risorse (privilegiando gli investimenti a sostegno delle vittime)13.

Il consiglio d’Europa l’11 maggio 2011, a Istanbul, ha varato la Convenzione del Con-siglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica. La Convenzione di Istanbul prevede che le nazioni che la sottoscrivono dovranno adottare misure per prevenire, indagare, punire i responsabili e risarcire le vittime. È il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che fornisce un quadro completo sia come prevenzione che come contrasto per proteggere le donne dalle diverse forme di violenza. I paesi che adottano la Convenzione devono at-tuare le seguenti misure:

- Adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per istituire o sostenere programmi rivolti agli autori di atti di violenza domestica, per incoraggiarli ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali, al fine di pre-venire nuove violenze e modificare i modelli comportamentali violenti.

- Adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per istituire o sostenere programmi di trattamento per prevenire la recidiva, in particolare per reati di na-tura sessuale.

- Devono accertarsi che la sicurezza, il supporto e i diritti umani delle vittime sia-no una priorità e che tali programmi per gli autori siasia-no stabiliti ed attuati in stretto coordinamento con i servizi specializzati in sostegno alle vittime13. L’uomo violento nega di aver commesso qualcosa di male, la donna spesso nega che l’accaduto sia inaccettabile, ma introietta un senso di colpa. La rimozione della nega-zione o della minimizzanega-zione della gravità dell’atto compiuto è rilevante ed il punto di partenza di qualsiasi intervento rivolto all’uomo con comportamenti violenti.

La violenza contro le donne viene ancora spesso minimizzata, perché considerata legit-tima o negata da comportamenti e atteggiamenti sia dei singoli che della società,

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oppu-7

re per il silenzio che a lungo c’è stato (e talvolta persiste) sulla violenza di genere, ridu-cendola a fatti privati che avvengono entro la coppia.

La maggior parte degli uomini violenti o maltrattanti sono persone “normali”, che han-no una vita sociale han-normale, relazioni amicali e lavorative soddisfacenti, uomini inso-spettabili che provengono da diversi contesti socioculturali13.

La focalizzazione dell’attenzione sulla violenza ha gettato luce su aspetti che finora non erano stati valutati, poichè ritenuti fattori costitutivi dell’identità maschile. La forza e l’aggressività che si esprimono con la violenza sono stati a lungo viste come un elemen-to naturale dell’essere uomo che legittimava come naturale la differenza di potere tra i sessi. Oggi, con la crisi del modello patriarcale e il continuo riconoscimento della parità tra i sessi in diversi ambiti e situazioni, la violenza non è più legittimata. La libertà e l’autonomia che le donne hanno iniziato a praticare mostrano i legami e le dipendenze tra i sessi; la dipendenza maschile si rivela là dove era (o tuttora è) mascherata dal pote-re, autorità, senso di protezione. Infatti, la maggior parte degli atti violenti si verifica quando questo legame viene messo in discussione dalle donne: l’uomo viene “rifiutato” nel suo ruolo e questo non può essere accettato né come negazione del proprio potere né come messa in luce di una fragilità che non accetta la perdita13.

La violenza maschile è un modo di stare nelle relazioni o di fuggirle; è un comporta-mento scelto che esprime una mentalità, un modo di pensare. È una relazione di potere il cui squilibrio viene usato per svilire, manipolare, controllare una donna.

Non c’è un identikit, un profilo dell’uomo violento da fare; anzi, tentare di categorizzare gli uomini violenti consente di avere dei capri espiatori e mantenere lo squilibrio nelle relazioni di genere, senza risolvere il problema della violenza contro le donne in quanto tale.

2.1 Fattori coinvolti nel comportamento violento contro le donne

Ogni relazione in cui avviene violenza è diversa dalle altre per le caratteristiche delle parti coinvolte, per i fattori contestuali, per la frequenza. Non è possibile quindi identi-ficare “l’uomo violento”. Ogni volta che viene osservata una relazione dove si presenta violenza contro la partner devono essere valutati tutti i diversi fattori che possono aver avuto un ruolo nella messa in atto della stessa. Diverse ricerche hanno indagato le

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sibili cause e fattori di rischio che possono portare certi uomini a essere violenti contro la partner.

Situazioni di abuso infantile sono spesso state citate come fattori di rischio per successi-ve vittimizzazioni e perpetrazioni di violenza. Fang & Corso (2007)33, per esempio, hanno trovato che l’abuso sessuale infantile è un fattore predittivo della violenza contro la partner in giovani uomini, mentre Kinsfogel & Grych70 hanno identificato che l’esposizione a conflitti tra i genitori era associata a un maggiore uso di aggressioni fisi-che e verbali rivolte alla partner negli uomini del loro campione102; dallo studio di Ren-ner & Whitney (2012) 102 sui fattori di rischio per la violenza entro la coppia uni- e bidi-rezionale tra gli adulti è stato invece riscontrato che l’abuso sessuale infantile ed una bassa autostima predicono la messa in atto di violenza maschile contro la partner. Alcol

La maggior parte delle ricerche si sono concentrate sulla relazione tra violenza entro la coppia e l’uso di sostanze, prima tra tutte l’alcol. L’uso di alcol è stato associato con la messa in atto di un comportamento violento contro la partner: in diversi studi è stata ri-scontrata una relazione tra i due comportamenti, dove l’uso di alcol prima o durante un conflitto nella coppia è associato ad una maggiore violenza contro la partner. La rela-zione tra violenza domestica e il bere è un fenomeno complesso che differisce in fun-zione di altri fattori comportamentali (moderatori) come i modelli di consumo, problemi legati all’alcol e una storia passata di comportamenti aggressivi40

. I giovani adulti, come per esempio gli studenti dei college, presentano i più alti livelli di entrambi i compor-tamenti; una spiegazione potrebbe essere che gli studenti che hanno un comportamento del bere problematico e incorrono in violenza contro la partner potrebbero essere meno consapevoli della relazione tra questi due comportamenti.

La relazione tra violenza nella coppia e alcol varia se quest’ultimo è considerato come variabile causale o spuria46,74,78. Tre sono i modelli più comuni per valutare questa rela-zione: (1) il modello di relazione spuria che vede la relazione tra i due comportamenti dovuta ad altri fattori covarianti (età, status socio-economico etc..). Quando la terza va-riabile è tenuta sotto controllo, però, la relazione tra alcol e violenza rimane lo stesso

76,94,95,

; (2) modello degli effetti indiretti, per il quale l’alcol ha una relazione causale con l’aggressione, mediata da altre variabili, come il conflitto coniugale e l’insoddisfazione, ma se quest’ultima viene controllata la relazione rimane31,87 e (3) il modello degli effetti

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prossimali75 il quale ritiene che l’intossicazione da alcol faciliti l’aggressione diretta-mente attraverso gli effetti psicofarmacologici sul funzionamento cognitivo. L’intossicazione da alcol conduce ad una percezione distorta di segnali o ad un’inibizione ridotta, che può condurre all’aggressione. Secondo questo modello è ne-cessario che l’alcol sia consumato in una quantità sufficiente a produrre l’intossicazione affinché si presentino gli effetti psicofarmacologici che fanno aumentare la probabilità dell’aggressione39

.

È però da tenere in considerazione che l’alcol conduce a violenza domestica in alcune persone e non in altre. Il più recente modello a soglia39 suggerisce una varietà di fattori di rischio della personalità e della relazione che, per un certo individuo, possono aumen-tare la probabilità della violenza contro la partner quando l’uomo assume alcol. Questo modello afferma che l’alcol potrebbe avere degli effetti negli uomini con certi tratti di personalità che possono portare a differenze nella probabilità della violenza domestica non grave e grave. Gli individui con zero o pochi fattori di rischio presentano una mi-nima associazione tra uso di alcol e violenza contro la partner mentre gli effetti di disi-nibizione dovuti all’intossicazione sono bassi. Per soggetti con moderati fattori di ri-schio l’alcol potrebbe diminuire l’inibizione abbastanza da mettere probabilmente in at-to violenza non grave quando sono sotat-to l’effetat-to di alcol. Gli individui con alti livelli di fattori di rischio potrebbero presentare già problemi non gravi di aggressività, che pos-sono tradursi in violenza maggiore sotto intossicazioni da alcol39.

Conflitti nella coppia, ostilità, tratti di rabbia, aggressività, gelosia, tratti di personalità antisociale e impulsività sono stati identificati in studi precedenti come possibili mode-ratori. Come ipotizzato dal modello a soglia39 della violenza contro la partner, l’uso/ a-buso di alcol può avere impatti diversi sui soggetti e condurre a forme di diversa gravità di violenza a seconda della personalità dei soggetti, caratteristiche della relazione e gra-do di soddisfazione, conflitti di coppia e fattori situazionali39,120,32.

Un recente studio si è interessato a valutare se esiste una relazione tra uso di alcol, gam-bling e violenza contro le donne. Sia l’uso di alcol che il comportamento di gioco pato-logico (gambling) sono causati da fattori condivisi come l’impulsività e l’influenza dei pari in direzioni devianti. È possibile anche che questi due comportamenti siano legati dal fatto che l’alcol aumenta le situazioni di gambling e questo a sua volta rinforza l’uso di alcol. Altre ricerche hanno identificato in entrambi i comportamenti il coinvolgimen-to di alcuni sistemi di neurotrasmetticoinvolgimen-tori e alcune caratteristiche di personalità15. Il

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com-10

portamento di gambling è stato trovato significativamente associato con la perpetrazio-ne di violenza perpetrazio-nella relazioperpetrazio-ne, gravi violenze coniugali e abuso infantile.

Nello studio di Brasfield, et al. è stato identificato che il gambling era associato ad una maggiore aggressione sessuale, nonostante il controllo di altre variabili che potevano avere effetti su questa associazione (per esempio soddisfazione della relazione, impulsi-vità, uso di alcol)15.

Uso di sostanze

I disturbi legati all’uso di sostanze e la violenza domestica sono collegati e rappresenta-no un problema di salute pubblica127. Alcune ricerche si sono interessate alla relazione tra uso di sostanze e violenza contro la partner e sono stati valutati i modi in cui l’uso di sostanze contribuisce alla violenza, inclusa la disinibizione associata all’intossicazione da alcol, che costituisce talvolta una ragione socialmente accettabile35. Le anfetamine possono avere effetti sull’umore, inclusa irritabilità, aggressione, stati paranoidi e psico-tici, che possono essere particolarmente gravi a seconda del dosaggio e cronicità dell’uso12

. La cocaina è stata trovata fortemente associata all’uso della violenza, com-presa quella domestica, per un effetto diretto ma anche a causa di fattori individuali e contestuali che sottostanno ad entrambi i comportamenti. Nello studio di Feingold et al. tra le otto diverse categorie di sostanze indagate (nicotina, alcol, cannabis, anfetamine, allucinogeni, cocaina, oppiacei e sedativi) le dipendenze da marijuana e da allucinogeni sono i fattori che più predicono la violenza contro la partner. Questo può sorprendere perché, generalmente, l’intossicazione da marijuana diminuisce l’aggressione e l’ostilità; è probabile che chi usa marijuana differisca da chi non la usa per altri fattori di personalità che potrebbero aumentare il rischio di commettere violenza, come per e-sempio la difficoltà nel controllare la rabbia e gli impulsi violenti35. Altri autori hanno invece ipotizzato che gli effetti di disinibizione delle sostanze spesso causano compor-tamenti impulsivi che possono essere responsabili dell’associazione tra uso di sostanze e violenza nella coppia111,75.

Disturbi mentali

Un vasto numero di studi si sono interessati ad indagare se esiste una relazione tra la vi-olenza contro la donna e la presenza di disturbi mentali. Diverse ricerche hanno dimo-strato che tratti di disturbo di personalità antisociale e borderline sono associati all’agire

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gravi aggressioni fisiche, sessuali o psicologiche, ma non tutti i maltrattanti presentano disturbi psicopatologici della personalità111.

Anche i disturbi di asse I, come depressione e ansia ma non solo, possono essere legati alla violenza maschile contro la donna. Per esempio c’è un’ampia gamma di ricerche che indicano che i sintomi del disturbo postraumatico da stress è legato alla violenza domestica perpetrata dagli uomini111,8. Il disturbo postraumatico da stress (PTSD) è ca-ratterizzato da 3 distinti sintomi che consistono nel (1) rivivere l’esperienza traumatica (sottoforma di incubi o flashback), (2) comportamenti per evitare gli stimoli associati all’evento traumatico e (3) sintomi di alta attivazione (ipervigilanza e risposte di allarme esagerate). L’alta attivazione sembra giocare un ruolo importante nell’iniziare il com-portamento aggressivo ed è il sintomo che più degli altri ha un’associazione positiva con il comportamento aggressivo8. Chemtob et al. proposero un modello basato sulle lo-ro osservazioni suggerendo l’ipotesi che i soggetti esposti a un trauma che presentano sintomi del PTSD potrebbero essere inclini ad assumere un funzionamento “modalità di sopravvivenza” quando si confrontano con una minaccia percepita nel loro ambiente. La “modalità di sopravvivenza” potrebbe essere stato un modo adattivo di funzionamento durante l’evento traumatico e potrebbe essere successivamente innescato da rimandi collegati al trauma; è ritenuto un fattore che attiva processi cognitivi, comportamentali e fisiologici che preparano l’individuo a rispondere a condizioni potenzialmente minac-ciose8. Gli uomini con alti livelli di PTSD possono provare un’elevata ipervigilanza agli stimoli ambigui sociali e ambientali, rendendo più probabile una loro percezione errata di minaccia nei comportamenti delle loro compagne, soprattutto durante un conflitto di coppia. Questo errore di valutazione può risultare in un’attivazione delle strutture della rabbia, portando ad un aumento dell’attivazione, errori di attribuzione di ostilità nella partner, riduzione della capacità di prendere decisioni per identificare modi non aggres-sivi di rispondere e un rinforzo degli impulsi ad agire aggressivamente in risposta ad una minaccia percepita8.

Studi recenti hanno dimostrato che i sintomi della depressione sono in relazione con un aumento delle percentuali di fare violenza domestica tra gli uomini. Per esempio Maiuro et al81. hanno individuato che i maltrattanti hanno significativamente più sintomatologia depressiva rispetto a chi non agisce violenza contro la partner. È possibile che la violen-za serva ad aumentare il senso di autoefficacia nei maltrattanti che sono depressi o che l’irritabilità associata alla depressione possa aumentare il rischio di violenza domestica.

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La conoscenza dei meccanismi che associano la violenza contro le donne e depressione, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo di panico e fobia sociale è al momento ancora ridotta, ma è possibile sia in parte dovuto alle difficoltà di regolazione delle emozioni che si presentano in questi disturbi, come dimostrato da alcune ricerche recenti111. Disturbi di personalità

A partire dagli anni ‘70 diversi ricercatori hanno iniziato a ipotizzare che gli uomini che maltrattano, nonostante la loro eterogeneità, potrebbero essere raggruppati in base a profili di personalità109. La classificazione che ha ottenuto più successo, ed è tra le più citate in letteratura, è quella di Holtzworth-Munroe e Stuart.

In una review di studi precedenti nel 1994 questi autori hanno identificato tre sottotipi di maltrattanti: solo in famiglia, disforici/borderline e violenti in generale/antisociali. Gli autori sottolineano l’importanza di tenere in considerazione i correlati della violenza maschile, compresi i fattori storici (per esempio la violenza nella famiglia di origine o la frequentazione con delinquenti di pari età) e quelli prossimali (come un attaccamento dipendente, l’impulsività, attitudini ostili verso le donne, etc) come possibili fattori di rischio nel valutare i maltrattanti57,109,62.

I maltrattanti solo in famiglia presentano gravi violenze nella coppia ed è il meno pro-babile tra i tre sottotipi di sfociare in abuso psicologico e sessuale. Questi soggetti re-stringono la loro violenza solo ai membri della famiglia e generalmente non attuano vio-lenza fuori dalle mura di casa. Presentano poca o nessuna sintomatologia di disordine psicopatologico o disturbo di personalità113,62,82. Sono gli uomini che presentano meno fattori di rischio; la loro violenza si qualifica come risultato della combinazione di stress (personale o di coppia) e bassi fattori di rischio, che in alcune occasioni, durante un e-scalation nei conflitti di coppia, porta questi uomini all’aggressione fisica57

.

Presentano significativi deficit nelle competenze sociali e nelle situazioni di coppia, so-no meso-no positivi e più sulla difensiva nelle relazioni con le loro compagne. È probabile che in questo gruppo di maltrattanti i deficit nella comunicazione conducano ad un’escalation di conflitto senza risoluzione e sfociare in abusi verbali e violenza fisica non grave. Una possibile direzione di interventi con questo tipo di uomini è quella basa-ta sulla costruzione di competenze tradizionali o interventi di coppia109.

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I maltrattanti disforici o borderline presentano una gravità moderata di abuso della

compagna, incluso quello psicologico e sessuale. La loro violenza è prevalentemente focalizzata sulla famiglia, ma può manifestarsi anche fuori dal contesto familiare. Sono soggetti tipicamente afflitti psicologicamente, impulsivi, depressi, con umore volatile, mostrano caratteristiche di personalità borderline o schizotipica ed hanno problemi con alcol e droghe113,62,82. È stato ipotizzato che provengano da un background che com-prende l’abuso dai genitori e rifiuto ed un attaccamento ansioso, cui corrispondono di-namiche interpersonali quali la paura dell’abbandono, dipendenza dalla compagna e ge-losia82. Da ciò si può sviluppare la difficoltà in questi uomini nel formare una relazione stabile e di fiducia con una partner intima. Sono uomini molto gelosi e molto dipendenti dalle compagne, spesso con la paura di perderle; tendono a diventare impulsivi, manca-no di competenze coniugali e sociali, hanmanca-no l’attitudine ad essere ostili verso le donne e usare la violenza57,109. È stato ipotizzato che questi uomini quando affrontano un conflit-to coniugale possano sentirsi attaccati dalle loro compagne e ricorrono ad atteggiamenti di controllo e abuso fisico per esprimere il loro disagio e senso di rabbia ed ottenere il controllo della situazione. Alcuni autori ritengono che questi soggetti possono benefi-ciare di più di una terapia di desensibilizzazione sistematica o ristrutturazione cognitiva per facilitare l’accettazione e l’espressione dei sentimenti, soprattutto tristezza, angoscia e gelosia, così come di educazione sulle conseguenze dell’abuso109

.

I maltrattanti antisociali/ violenti in generale sono coinvolti in violenza al di fuori della famiglia e attività criminale ed esercitano, rispetto agli altri due gruppi, più violenza psicologica e sessuale71 . Hanno con più probabilità problemi di alcol e droghe e mo-strano caratteristiche di personalità antisociale/narcisistica o psicopatia. Con più proba-bilità partecipano a interventi di trattamento ma mostrano anche i più alti tassi di recidi-va113,62,82. Molto probabilmente sono soggetti che hanno sperimentato alti livelli di vio-lenza nella famiglia di origine con un attaccamento evitante e frequentazioni di soggetti delinquenti durante l’adolescenza. Sono impulsivi, mancano di competenze ed empatia, hanno atteggiamenti antisociali e ostili verso le donne e vedono la violenza come accet-tabile. La loro violenza domestica è considerata come una parte del loro uso generale dell’aggressione e comportamento antisociale.

Gli autori hanno poi introdotto una categoria intermedia tra quelli solo in famiglia e quelli violenti in generale, che presentano punteggi moderati di antisocialità , violenza

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domestica e violenza in generale, ed è stato identificato come l’antisociale a livelli

bas-si57,109.

Holtzworth-Munroe suggerisce di considerare tre di questi sottotipi (cioè il solo in fa-miglia, l’antisociale a bassi livelli e l’antisociale/violento in generale) come un continu-um dell’antisocialità, con quello solo in famiglia ad un livello più basso, l’antisociale al livello più alto e l’antisociale a livello basso ad una posizione intermedia71.

Alcuni studi si sono interessati a valutare se c’è una relazione tra psicopatia e la violen-za contro le donne. La psicopatia generalmente è valutata attraverso la Psychopathy Checklist-Revised (PCL-R). I delinquenti psicopatologici sono caratterizzati da insensi-bilità, un ridotto senso del rimorso, comportamento impulsivo e un fascino superficiale. Alcuni ricercatori hanno valutato la relazione tra violenza contro la partner e psicopatia usando misure di personalità self-report e hanno trovato una prevalenza di psicopatia tra i maltrattanti che va dal 15 al 30%. Swogger et al in uno studio recente hanno diretto la loro attenzione nella prospettiva di valutare l’esistenza di differenze tra i maltrattanti an-tisociali e gli altri delinquenti anan-tisociali; le caratteristiche della violenza domestica suggeriscono che i maltrattanti antisociali sono contraddistinti da un’elevata insensibili-tà e poca empatia più degli altri delinquenti antisociali, i quali rivolgono la loro violenza solo verso individui al di fuori del loro ambiente familiare125. I risultati ottenuti dal loro studio indicano un collegamento tra lo status di maltrattante antisociale e le caratteristi-che di psicopatia, suggerendo l’immagine del maltrattante antisociale come emotiva-mente freddo e calcolatore.

La violenza agita dai maltrattanti antisociali è stata per lungo tempo ritenuta come una violenza strumentale, con un assenza di attivazione fisiologica ed emotiva, trascurando il peso che hanno gli affetti nei maltrattanti antisociali. Una review recente26 suggerisce che gli individui psicopatici presentano deficit generali nel processare le emozioni ed un’empatia deficitaria sia generale che rispetto alla vittima105

. È possibile che le emo-zioni giochino un ruolo fondamentale nell’attuare violenza domestica71, tanto che da al-cune ricerche risulta che i maltrattanti antisociali sono dotati di una più dolorosa consa-pevolezza delle emozioni, soprattutto colpa e vergogna per la loro violenza71,26. Quest’ultime sono state descritte “emozioni morali”89

: il senso di colpa si riferisce al di-spiacere o rimorso per un comportamento “cattivo”, mentre la vergogna riguarda uno stato affettivo dove un soggetto esamina attentamente e critica sè stesso nel complesso piuttosto che per una specifica azione o comportamento126. Secondo Morris, quando una

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persona si sente colpevole tende ad aspettarsi una punizione e si sforza di ottenere il perdono, recuperare la relazione, ed espiare; mentre quando una persona si vergogna si aspetta di essere abbandonata e si sforza per cambiare sé stessa, nascondersi o fuggire via71. Secondo una ricerca psicoterapeutica l’esperienza di vergogna è così dolorosa che spesso volge in un proiettare la colpa, assumendo così una funzione protettiva dell’io, e facilitare la transizione di uno stile antisociale in azioni violente contro la partner70. Lo studio di Thornton & Archer suggerisce che ci sono alcuni fattori che possono predi-re la violenza contro la partner, come per esempio ppredi-resentapredi-re tratti dei cluster di perso-nalità. Il disturbo antisociale è associato a reati non violenti e comportamenti aggressivi sia dentro che fuori l’ambiente familiare; il disturbo borderline è in relazione sia con la violenza contro la partner sia con quella extrafamiliare così come per il disturbo narcisi-stico di personalità (entrambi del cluster B): i soggetti narcisistici possono inoltre reagi-re con aggreagi-ressioni se si sentono umiliati, socialmente rifiutati e se la loro autostima è contestata130.

Sempre sulla linea di un confronto tra psicopatia e violenza domestica, Huss & Lan-ghinrichsen-Rohling hanno sostenuto che esiste un sottogruppo di criminali particolar-mente violenti, cioè gli psicopatici, che esibisce caratteristiche simili a quelle ascrivibili al sottogruppo di maltrattanti antisociali/violenti in generale trovato da Holtzworth-Munroe e Stuart. In entrambe le tipologie è presente l’esibizione di violenza familiare e generale, l’attuazione di violenza più grave, l’assunzione di sostanze d’abuso, la presen-za di specifici deficit cognitivi quali un ridotto focus di attenzione, reattività fisiologica di controllo ed una minore risposta al trattamento62. In questo studio è stato evidenziato che il sottogruppo di maltrattanti antisociali attuava più abuso psicologico e sessuale verso le compagne, una maggiore violenza generalizzata e un superiore abuso fisico ri-spetto agli altri sottogruppi individuati nella ricerca; inoltre, riri-spetto al sottogruppo dei violenti solo in famiglia e di quelli borderline/disforici riportavano più gravi lesioni alle vittime, maggiore violenza fisica e una maggiore probabilità di lesioni a individui al di fuori della famiglia62.

Stili di attaccamento

I disturbi di personalità legati al bisogno di controllo degli altri (come per esempio il narcisistico e l’antisociale) e quelli legati al concetto di sé e identità (come il borderline)

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così come l’orientamento di attaccamento da adulti sono dimensioni importanti per di-stinguere i tipi di maltrattanti43,45,51,52,58,82,128,133,.

Inizialmente la teoria dell’attaccamento è stata concettualizzata per spiegare la relazione dinamica tra il bambino e il caregiver, e nel tempo è stata poi estesa allo studio delle di-namiche interpersonali nelle relazioni intime adulte54. Secondo la teoria concettualizzata da Bowlby, gli individui sviluppano un set di credenze interiorizzate su sè stessi e gli altri ( i modelli operativi interni) che regolano le loro relazioni con il/la partner82. Sono stati identificati quattro tipi principali di attaccamento adulto basati sulla valutazione che l’individuo svilupperà su di sé e gli altri :

- Sicuro: la persona prova un senso positivo di autostima con aspettative positive che gli altri lo accetteranno e si potrà fidare.

- Preoccupato: la persona prova un senso di essere non degno, accompagnato da una visione positiva degli altri.

- Spaventato: percepisce sé stesso come non meritevole e si aspetta che gli altri non lo accetteranno e non può fidarsi di loro; così, nonostante il desiderio di u-nirsi agli altri, evita l’intimità a causa delle sue aspettative di rifiuto.

- Distaccato: ha un’autostima positiva e si aspetta gli altri come persone di cui non fidarsi e inaffidabili.

Questi modelli sono stati estesi anche alle relazioni violente nella coppia: per esempio, i soggetti con attaccamento distaccato, dati i loro modelli negativi degli altri e la forte tendenza all’evitamento sono con più probabilità narcisisti e hanno minori capacità di empatia, tali da poterli rendere più propensi alla violenza nelle loro relazioni intime82. Alcuni autori hanno avanzato l’ipotesi della predominanza dei disturbi di personalità borderline e antisociale così come l’uso dell’attaccamento ansioso ed evitante nel diffe-renziare i sottogruppi di maltrattanti. Per esempio Tweed & Dutton hanno identificato due tipologie: gli impulsivi, che presentano più caratteristiche borderline e attaccamento ansiosi, e gli strumentali che riportano più violenza grave e maggiore antisocialità82,129. Waltz et al., invece, hanno individuato altre due categorie: il violento in generale che presentava alti punteggi nella valutazione dell’antisocialità e attaccamento evitante, e il

patologico che ha punteggi più alti nelle misure della personalità borderline e

attacca-mento ansioso82,133. Gottman et al. distinguono due tipi: il tipo I (antisociale) e il tipo II (borderline). Il tipo I rispetto all’altro ha punteggi significativamente più elevati sulle

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misure di caratteristiche di personalità antisociale e aggressione sadica e una ridotta fre-quenza cardiaca in risposta a violenza domestica, mentre il tipo II presenta un suo au-mento in risposta alla violenza; quest’ultimo presenta inoltre punteggi più alti sui di-sturbi di personalità dipendente. Gli autori suggeriscono che le dinamiche di attacca-mento come la paura dell’abbandono potrebbero spiegare questi fenomeni fisiologici, ed in particolare la violenza del tipo I è un meccanismo che distanzia dalla partner, risul-tando in un allontanamento emozionale, mentre nel tipo II la violenza è causata da una perdita di controllo per la paura di un abbandono, presentandosi con un aumento della frequenza cardiaca82.

Dallo studio di Mauricio e Lopez, è stato dimostrato che un attaccamento adulto di tipo spaventato espone questi soggetti a essere vulnerabili nel percepire la propria compagna come non disponibile e di conseguenza provare ansia per un abbandono, al quale ri-spondono con ostilità ed espressioni di rabbia dirette verso la compagna82,14,38,83.

È possibile che le tipologie di maltrattanti siano diverse espressioni lungo un continuum per cui, in certe situazioni e condizioni, la paura di un rifiuto o di un abbandono può aumentare in un’escalation del conflitto relazionale e trasformare un attaccamento sicu-ro verso la compagna in uno ansioso, con un aumento della violenza nella coppia82. Correlati biologici coinvolti nella violenza maschile contro le donne

Pinto, Sullivan et al. in una review del 2010 degli studi riportati in letteratura sui fattori biologici coinvolti nel fenomeno della violenza contro le donne hanno individuato quat-tro domini che sono stati principalmente esaminati e sono: le lesioni alla testa e neuro-psicologia; psicofisiologia; neurochimica, metabolismo ed endocrinologia; e la genetica. Il lavoro di questi autori suggerisce che questi domini biologici giochino un ruolo im-portante nell’eziologia della violenza contro le donne97.

Lesioni alla testa e neuropsicologia: i tassi di lesioni alla testa tra gli uomini che agiscono violenza contro la partner sono più alti rispetto alla popolazione gene-rale e le loro performance a prove neuropsicologiche che misurano le abilità verbali, le funzioni esecutive e l’attenzione è peggiore. Questi dati riflettono una disfunzione del lobo frontale, che la lesione singolarmente non è in grado di spiegare in modo esauriente. Alcuni uomini con danneggiamento esecutivo ma-nifestavano difficoltà riguardo l’impulsività, inclusa la risposta di inibizione e la sottostima del tempo. Infine alcuni studi riportavano problemi di apprendimento

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e memoria nei maltrattanti valutati nella ricerca. Le lesioni alla testa spesso han-no un effetto danhan-noso sulla relazione coniugale.

Fattori psicofisiologici: Babcock et al. suggeriscono che i maltrattanti di livello basso e grave possono presentare diversi pattern di reattività. Per esempio, una frequenza cardiaca non regolare potrebbe riflettere una più generale anormalità nella regolazione autonoma, che in alcuni maltrattanti potrebbe causare difficol-tà nella gestione delle emozioni e contribuire al loro comportamento violento.

Fattori neurochimici, metabolici ed endocrini: la riduzione dei livelli della sero-tonina e l’aumento di quelli del testosterone, individuati in alcune ricerche con uomini maltrattanti, in combinazione con la loro ridotta attività ipotalamica e la ridotta correlazione di attività tra le strutture corticali e sottocorticali coinvolte nel controllo e mediazione dell’aggressione legata alla paura, potrebbero predi-sporre questi uomini a reagire in modo eccessivo, con la violenza, a minacce reali o percepite. Alcuni autori suggeriscono che i cambiamenti nel metabolismo di serotonina e testosterone possono contribuire all’aumentata sensibilità di al-cuni uomini nel percepire gli stimoli come irritanti o minacciosi.

Fattori genetici: è plausibile che polimorfismi genetici influenzino lo sviluppo di pattern disadattivi di comportamento, inclusa la violenza domestica, attraver-so la loro influenza su fattori che mediano, come la perattraver-sonalità e la sintomatolo-gia psichiatrica. Questi fattori possono esercitare il loro effetto sulla violenza contro la partner sia attraverso il funzionamento neurochimico e morfologia del cervello sia con il temperamento. Di interesse è il fatto che alcuni di questi fat-tori sono inoltre coinvolti nell’uso e abuso di alcol, che svolgono un ruolo spes-so fondamentale nell’agire violenza contro le donne97.

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CAPITOLO 3. PROGRAMMI DI INTERVENTO PER I MALTRATTANTI

Nel 1976 a Londra è stato attuato il primo programma di trattamento formale per gli uomini che maltrattano65 in risposta ad una richiesta inaspettata di aiuto clinico da parte di uomini che agivano violenza, le cui compagne avevano ricercato protezione in asso-ciazioni di rifugi per le donne98; da allora questo tipo di programmi si sono moltiplicati e diversi paesi hanno creato degli interventi rivolti alla parte che agisce violenza. Gli Stati Uniti e il Canada offrono servizi specifici per gli uomini che maltrattano le loro compagne, molti dei quali operano secondo uno specifico standard e sono in contatto con la giustizia per i crimini di violenza domestica109. In molti stati gli uomini arrestati per violenza contro la partner sono inviati a programmi di intervento dove sono educati sull’abuso del potere e del controllo ed insegnate competenze per comunicare in modo più efficace, gestire la rabbia e risolvere i problemi nella relazione123.

I programmi di intervento per maltrattanti sono generalmente condotti in contesti di gruppo, con una durata tra le dodici e le cinquantadue settimane6,96. Il formato di gruppo è preferito perché ha una buona relazione costi- efficacia, ma anche perché favorisce un’opportunità per gli uomini di darsi consigli tra loro, condividere esperienze e sfidare attitudini e credenze maladattive in un contesto sociale simile a quello in cui probabil-mente questo comportamento è stato appreso2,99,112.

Le teorie sullo sviluppo e il cambiamento del comportamento violento nella coppia si sono sviluppate rapidamente negli ultimi trent’anni ed hanno delineato un terreno fertile di ipotesi riguardo il successo dei programmi di intervento. La maggior parte di queste teorie, che si sono sviluppate nello stesso periodo, è supportata da un ampio corpo di la-vori teorici ed empirici109 e può essere raggruppata in tre grandi gruppi riguardo la

cau-sa del comportamento aggressivo:

Teorie femministe: sono radicate nella credenza che l’abuso di una donna da parte del

proprio compagno è il risultato di una società patriarcale che direttamente e indiretta-mente permette agli uomini di dominare e controllare la propria partner1,24,62,73,84. Que-ste teorie suggeriscono che un uomo con attitudini e credenze solidali con il patriarcato abbia più probabilità di essere abusante con la partner88,106,109,114.

Come riportato in una review di Carden del 199418, l’approccio femminista ritiene che un uomo abusa della donna perché le norme culturali supportano la credenza che la vio-lenza è accettabile ed un metodo efficace di risolvere i conflitti interpersonali; perché è

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autorizzato a controllare la propria compagna e perché il suo uso della violenza non ri-ceve punizione sociale. Una maggiore uguaglianza sessuale è associata a minori casi di violenza contro la donna, come è stato individuato da analisi tra culture e stati17,50,77,115.

Teorie del sistema famiglia: vedono le difficoltà come una funzione della relazione tra

gli individui53, ripetendo e sopportando pattern di comportamento mantenuti da entram-bi i partner per preservare il sistema di equilibrio della relazione. Da questa prospettiva entrambi i membri della coppia sono visti come parte che contribuisce all’escalation di scambi ostili, coercitivi ed eventualmente abusivi, seppur in misura diversa109 . In que-ste coppie violente, le interazioni sono caratterizzate da alte percentuali di contenuti ag-gressivi, ostilità, atteggiamenti difensivi, critiche e abuso verbale e psicologi-co21,63,64,85,93,124. Secondo questi teorici la violenza nella coppia è dovuta a conflitti pro-dotti dagli stress quotidiani della vita che possono poi sfociare in conflitti ed aumentare fino alla violenza73,118.

Teorie individuali: si basano sull’ipotesi che gli uomini maltrattanti sono diversi da

quelli che non agiscono violenza sulla base di caratteristiche individuali, come le com-petenze, la personalità o lo sviluppo emotivo; studi longitudinali hanno dato conferma a questa teoria109. Una delle caratteristiche più stabili dell’individuo ampiamente studiata è l’aggressività, tanto che molti studi riportano che il maggior fattore predittivo della violenza futura è il comportamento violento passato3,41,92. La difficoltà consiste nell’individuare i meccanismi che sottolineano questa apparente continuità di violenza. Le maggiori scuole di pensiero in psicologia hanno individuato una diversa concettua-lizzazione della stabilità della violenza109:

- Teorie sui tratti di personalità: storicamente i tratti di personalità associati al comportamento abusivo erano ritenuti essere simili a quelli ascrivibili ai soggetti psicopatici. Gli uomini maltrattanti erano ritratti come rigidi, manipolativi, in-gannevoli, privi di rimorso o consapevolezza interna34,132.

- Teorie cognitivo - comportamentali/ apprendimento sociale: nell’ampia gamma di teorie, quella dell’apprendimento sociale ha avuto l’impatto più significativo sul trattamento degli uomini violenti nella coppia. Questa teoria propone che l’abuso è un comportamento appreso che può essere compreso e praticato allo stesso modo degli altri comportamenti, ovvero attraverso il rinforzo diretto e in-diretto30,80,88; un ampio corpo di letteratura documenta l’esistenza di una relazio-ne tra il vivere un abuso o l’assistere a violenza domestica da bambino e la messa

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in atto di un comportamento abusante da adulto25,67,134. I maltrattanti che presen-tano una storia di maltrattamento infantile mostrano più difficoltà nel trattamento, sono con più frequenza violenti, tendono a interrompere il trattamento e sono più a rischio di recidive3,49,110. La teoria dell’apprendimento sociale è confermata da studi che mostrano che gli uomini maltrattanti hanno fallito nello sviluppo delle competenze necessarie per la negoziazione dei conflitti interpersonali secondo modalità non violente59,109,123.

- Teoria dell’attaccamento: secondo questa teoria l’abuso è molto probabilmente il risultato di fallimenti precoci nelle relazioni genitore-bambino che sono poi inte-riorizzate nelle aspettative sulle relazioni che il bambino sviluppa ( ovvero i loro

modelli operativi del sé e degli altri) e che ripresenta nei suoi legami successivi.

Nell’età adulta sono stati identificati quattro pattern di attaccamento di base: si-curo, preoccupato, spaventato e distaccato; tutti, tranne il primo, comportano una povera regolazione degli affetti nelle relazioni e sono teoricamente collegati alla violenza nella coppia7,109,27,69. Alcuni studi, usando questionari, hanno identifica-to che gli uomini che agiscono violenza sono in modo significativo meno proba-bili di avere un attaccamento sicuro con la propria partner rispetto agli uomini non violenti27,68, dati confermati anche in altri studi dove era usata la Adult At-tacchment Interview (AAI)60. Inoltre, sono più carenti nell’elaborazione sociale e mostrano rabbia in situazioni che comportano un abbandono. Studi successivi hanno confermato i risultati sul legame tra stile d’attaccamento e violenza nella coppia, identificando due principali strutture. La prima, l’attaccamento evitante, è caratterizzata da un pervasivo disagio con le persone più strette e un forte o-rientamento verso comportamenti di eccessiva autosufficienza nelle relazioni (ovvero lo stile distaccato) o ritiro sociale (stile spaventato). La seconda dimen-sione, l’attaccamento ansioso, è caratterizzato da una bassa autostima, una paura pervasiva della reazione della compagna e dell’abbandono, e , dato il corrispon-dente livello di attaccamento evitante della persona, comportamenti di relazione altamente dipendenti (stile preoccupato) o di conflitto e disorganizzato (stile spaventato)82.

La violenza nella coppia nella nostra società sta assumendo sempre più rilevanza e molti ricercatori si sono interessati alla prospettiva di valutare se e in che modo gli interventi rivolti ai maltrattanti hanno successo nel modificare questi comportamenti.

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Babcock et al.87 ritengono che solo il 5% delle vittime ha una minore probabilità di su-bire nuovamente violenza dal compagno che è stato arrestato e indirizzato a programmi di intervento rispetto alle compagne di uomini che non hanno ricevuto un trattamento119. Sono dati allarmanti, dal momento che Gondolf43 ha dimostrato che la consulenza che riceve un uomo maltrattante è un fattore predittivo influente del possibile ritorno della donna nella relazione dopo che lascia il rifugio per donne maltrattate.

La maggior parte degli studi di valutazione dei programmi per maltrattanti si sono foca-lizzati sulle percentuali di uomini che, completato il trattamento, hanno aggredito nuo-vamente la propria compagna109. Esistono diverse spiegazioni possibili per la relativa inefficacia dei programmi di intervento per gli uomini. Una di queste potrebbe essere il fatto che gli uomini arrestati per violenza domestica e poi indirizzati a questi programmi dal sistema giudiziario potrebbero non essere motivati ad accettare la responsabilità del loro uso della violenza, oppure sentirsi “forzarti” a partecipare, minimizzando la gravità della loro violenza o negandola completamente123. Un’altra spiegazione risiede nel fatto che la maggior parte dei programmi sono standardizzati e uniformemente applicati a tut-ti gli uomini violentut-ti, tanto che i trattamentut-ti potrebbero non essere ben indirizzatut-ti verso i bisogni di un particolare membro. È stato ipotizzato che indirizzare i trattamenti per incontrare i bisogni di specifici sottotipi di uomini violenti potrebbe aumentare l’efficacia terapeutica43,107

. I professionisti hanno riconosciuto un sottotipo di maltrat-tanti che sono resistenti al trattamento e che non sono motivati a cambiare il proprio comportamento; senza una forte coercizione questi uomini tendono ad interrompere il trattamento e, come dimostrato da alcuni studi, sono più a rischio di recidive109.

La maggior parte dei programmi hanno tentato di contattare le compagne dei loro clienti per offrire o raccogliere informazioni e dare sicurezza e supporto. Le donne appaiono molto ottimiste che il trattamento promuoverà un cambiamento nei loro compagni48, tanto che le donne i cui compagni stanno partecipando ad un trattamento riportano un aumentato senso di sicurezza per una riduzione o fine del comportamento violento del compagno; per altre è legato al fatto di sapere che il comportamento del compagno è controllato o per un proprio cambiamento personale109,15.

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3.1 Tipologie di programmi di intervento sugli uomini che agiscono violenza domesti-ca

Sono definiti “interventi sui maltrattanti” e non “trattamento dei maltrattanti” nello sfor-zo di non dare categorie di patologie ai clienti e affidarne la gestione solo ai professioni-sti della salute mentale, enfatizzando invece la responsabilità di queprofessioni-sti uomini per la vi-olenza da loro agita96,99. La maggior parte dei programmi si basano sulle teorie presen-tate precedentemente ponendo l’attenzione su aspetti particolari che sottostanno alla vi-olenza agita nella coppia.

Programmi basati sulle teorie femministe: mirano alla visione che gli uomini hanno

del-le donne e la loro credenza che dovrebbero essere capaci di controllare la propria par-tner. L’intervento è qui diretto ad aiutare gli uomini ad esaminare le loro assunzioni sulle donne e le credenze patriarcali sulle relazioni, valutando in modo critico i metodi che loro usano per controllare la compagna; riconoscere che la società dovrebbe sanzio-nare queste azioni e sviluppare strategie finalizzate ad elimisanzio-nare il comportamento vio-lento123. Tra questi rientra il più comune modello di intervento per la violenza domesti-ca, conosciuto come modello Duluth, che enfatizza due temi intrecciati riguardo la vio-lenza nella coppia: 1) è un comportamento intenzionale e sistematico dell’uomo per e-sercitare potere e controllo sulla partner ed 2) è il risultato di una struttura patriarcale della società72. Il formato di questo tipo di trattamento è generalmente di gruppo com-posto da soli uomini per enfatizzare la loro unica responsabilità negli episodi di violenza domestica, nell’ottica che l’obiettivo da raggiungere è la protezione della vittima e non necessariamente la “riabilitazione” dell’uomo maltrattante99

.

Terapia congiunta: ci sono pareri discordanti sul suo utilizzo ed efficacia, basati su

al-cune assunzioni: 1) Questi modelli di terapia sottolineano la responsabilità condivisa dei partecipanti riguardo il comportamento violento: la donna assume che almeno in parte anche lei è responsabile della violenza del compagno e l’uomo può arrivare a conclude-re che lui non è pienamente colpevole del proprio comportamento aggconclude-ressivo 2) I tera-pisti che seguono questo modello incoraggiano un dialogo onesto e aperto che potrebbe facilitare il conflitto durante la sessione che può diventare violenza una volta fuori dal contesto terapeutico72,73. Risulta comunque utile in quelle coppie dove la violenza si presenta come bi-direzionale, con comportamenti aggressivi di entrambi i partner123.

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Nonostante questo dibattito, alcuni ricercatori hanno focalizzato i vantaggi di questo ti-po di intervento, quali una maggiore comprensione dei livelli e gravità della violenza grazie alle informazioni sulle situazioni di violenza da parte di entrambi i partner108; si costituisce un ambiente più sicuro per la coppia dove discutere argomenti ad alta con-flittualità e forte carica emozionale, evitando la loro discussione a casa finché non han-no entrambi sviluppato le competenze necessarie per affrontare questi temi in modo co-struttivo72,73.

Un altro possibile approccio per comprendere il cambiamento dei maltrattanti è quello basato sui modelli degli stadi di cambiamento ,i quali ipotizzano che le persone modifi-cano il loro comportamento attraverso una serie di stadi distinti e ben identificabili nella modifica del comportamento; in ogni momento un soggetto può essere in uno di questi stadi percorrendoli linearmente uno dopo l’altro o possono saltarne qualcuno in modo dinamico109.

Una possibile spiegazione degli stadi del cambiamento degli uomini violenti può essere delineata attraverso l’integrazione di diverse teorie, tra le quali il modello transteorico di Prochaska e DiClemente:

1. Negazione : è il primo passo del comportamento aggressivo dell’uomo. In que-sto stadio gli uomini evitano di prendersi la responsabilità del loro comporta-mento violento, solitamente negando o minimizzando la loro violenza o incol-pando la partner o le circostanze. Si preoccupano dei propri bisogni, tendono a percepire la donna come un “oggetto” da controllare e manipolare e vedono il cambiamento come non necessario. Un intervento in questa fase lavora sulla consapevolezza della natura dell’abuso, aiutandoli a percepire il loro ambiente diversamente e incoraggiandoli ad esprimere le emozioni109.

2. Crisi ed esplorazione di cambiamento: gli uomini in questa fase arrivano a rico-noscere che il loro comportamento passato è problematico, dubitano del loro modo attuale di interagire con la propria partner e riconoscono il danno che han-no causato a sé stessi e agli altri. Sohan-no circondati da ambivalenza, confusione e depressione, non sono ancora consapevoli di cosa e come cambiare né tantome-no sotantome-no pronti ad impegnarsi e modificare il loro comportamento violento. Due sono i cambiamenti che si presentano nel maltrattante: uno dovuto ad una crisi personale che risulta dal maltrattamento, come un arresto, e porta a sviluppare un’attitudine positiva attraverso il cambiamento; l’altro, una rivalutazione che

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fanno sui benefici e costi della violenza, ponendo un’enfasi nuova sui costi dell’abuso per loro stessi e le loro famiglie. Questa fase è centrata, quindi, prin-cipalmente sulla rivalutazione di sé stesso da parte dell’uomo109

.

3. Trasformazioni pre-cambiamento: è una fase di preparazione al cambiamento. In questa fase gli uomini “cercano” strategie di cambiamento, provando nuovi me-todi di autocontrollo e comunicazione che hanno imparato durante il trattamento. I loro piccoli miglioramenti creano un contesto che sostiene maggiormente il lo-ro cambiamento.

4. Promuovere il cambiamento: in questo stadio gli uomini comprendono piena-mente che hanno un problema e si impegnano nel processo di crescita per porre fine al comportamento violento, si assumono le responsabilità dei loro sentimen-ti e bisogni, riconoscono che la compagna è un’ensentimen-tità separata e che il sessismo è un problema sociale1,109. Gli interventi più utili in questa fase includono il con-trocondizionamento, lo sviluppo di relazioni di aiuto e la modifica del rinforzo, training sulle competenze sociali e lo sviluppo emotivo1,100.101.

5. Impegno nel monitoraggio a lungo termine e crescita: è la fase della trasforma-zione personale. Secondo Gondolf43, in questo stadio gli uomini sono in grado di pensare astrattamente riguardo le loro relazioni e il mondo sociale, e definiscono i principi e valori morali della propria condotta personale. Dall’analisi del cam-biamento nella violenza, empatia e comunicazione è stato dimostrato che l’ampiezza del cambiamento varia significativamente a seconda dello stadio in cui si trovano.

Trattamento su misura: alcuni ricercatori hanno suggerito che, data l’eterogeneità di

tipologie di maltrattanti e l’eterogeneità nell’eziologia dell’episodio violento, possono esserci bisogni diversi a seconda dei clienti; un trattamento su misura potrebbe quindi raggiungere meglio questi bisogni e aumentare l’efficacia della terapia/trattamento. È possibile raggiungere questo obiettivo attraverso una valutazione dei bisogni particolari di ogni soggetto che partecipa e determinare così l’insieme ottimale degli interventi per massimizzare i risultati123.

Terapie focalizzate sulle emozioni (EFT): mirano a modificare i pattern di interazione e

le risposte emozionali di coppie in difficoltà e favorire lo sviluppo di un legame emoti-vo sicuro109,47.

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Trattamento per l’abuso di sostanze: un’ampia ed estesa letteratura riporta l’esistenza di

un collegamento tra violenza contro la partner e l’abuso di sostanze, tanto da essere identificato come il maggior problema di salute pubblica29. Infatti, alcuni studi hanno identificato che il 92 % di tutti i maltrattanti riportano di avere usato alcol e/o droghe prima dell’episodio di violenza16

e che l’uso di alcol e droghe è uno dei maggiori fattori di rischio per la violenza contro la donna10. Molte ricerche hanno dimostrato che la maggior parte degli uomini arrestati per violenza domestica assumono alcol in modo eccessivo e sono anche quelli più a rischio di recidive dopo un trattamento per la

violenza44.73.121. Da queste evidenze si è affermata sempre più l’ipotesi che integrare l’intervento per la violenza nella coppia con un trattamento per l’uso di sostanze possa essere efficace nella riduzione degli episodi violenti119. I dati dai centri per l’abuso di alcol hanno riportato che gli interventi effettuati in questi centri producevano una ridu-zione della violenza contro la partner, anche se il trattamento non era specificatamente indirizzato verso la violenza agita nella coppia123,90,91. Generalmente i programmi per il trattamento del disturbo legato all’uso di sostanze non si interessano direttamente della violenza nella coppia, sebbene molti di loro vengano a contatto con clienti che presen-tano questo problema; questo potrebbe essere dovuto al fatto che i loro clienti hanno minori risorse (matrimonio, lavoro, reddito, alloggio) e più gravi e numerosi problemi che necessitano attenzione ( problemi di alcol e droghe, uso di sostanze e disordini di salute mentale). Alcuni programmi non ammettono ai loro trattamenti clienti che hanno agito violenza contro la partner, basandosi sulla percezione del loro personale che questi soggetti necessitino di servizi di salute mentale, che vanno oltre gli scopi dei loro pro-grammi di intervento127. La spiegazione più comune del fatto che questi programmi non trattano la violenza domestica individuati in alcuni dei loro clienti è che la prevenzione della violenza non rientra tra i loro obiettivi e che il personale non possiede le compe-tenze necessarie alla prevenzione e gestione della violenza, barriere che possono essere comunque eliminate61. Dall’altra parte, alcuni programmi di intervento per maltrattanti tengono sotto monitoraggio l’abuso di sostanze dei clienti, forse perché questo è un fat-tore che predice l’abbandono del programma.22,86,127,

Un intervento per l’abuso di sostanze è il trattamento standard TAU

(Treatment-As-Usual); data la prevalenza di violenza domestica tra gli uomini che richiedono un

trat-tamento per l’abuso di sostanze questi programmi potrebbero essere un modo per tratta-re anche la violenza contro la partner, tanto da essetratta-re un trattamento necessario, ma non sufficiente, per i pazienti che chiedono un trattamento per l’alcolismo e sono violenti

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contro la compagna, poiché sono trascurati altri fattori che potrebbero contribuire agli episodi di aggressione.72,73

Un trattamento sulla coppia per l’abuso di sostanze che ha dimostrato un efficacia clini-ca ed economiclini-ca è quello della terapia di coppia comportamentale (BCT). È un tratta-mento che coinvolge la partner fornendole competenze che promuovono la risoluzione di comuni problemi di coppia e il sostegno all’astinenza del compagno73; le sono inoltre insegnate abilità per aumentare la propria sicurezza quando si trova a fronteggiare una situazione dove la probabilità della violenza è maggiore ed enfatizzati comportamenti che riducono questo rischio quando il partner è nella fase di intossicazione (come per esempio abbandonare la situazione, evitare argomenti di discussioni conflittuali ed emo-tivamente carichi).72

Una possibile soluzione potrebbe essere allenare i programmi per l’abuso di sostanze a valutare ed identificare tra i loro clienti quelli che sono stati coinvolti in violenza dome-stica e successivamente indirizzarli a programmi di intervento più adeguati. Bennett de-scrive tre tipologie di riferimenti: 1) seriale: in questo approccio un servizio (il tratta-mento per l’abuso di sostanze) precede l’altro (l’intervento per i maltrattanti) ed ognuno è attuato da strutture distinte9; 2) parallelo: l’intervento per l’uso di sostanze e la violen-za domestica sono viste spesso come problemi indipendenti con interventi diversi; per molti direttori di questi programmi i clienti con entrambi i problemi possono essere aiu-tati partecipando a sessioni di intervento separati ma nello stesso periodo, con effetti po-sitivi nella riduzione di entrambi i comportamenti9,127; 3) integrato: entrambi i tratta-menti sono forniti nella stessa struttura, dove i clienti ricevono tutti i servizi necessari in un solo luogo; potenzialmente questi interventi possono portare a benefici economici sia alle strutture che ai loro clienti.73

Due altre tipologie di programmi integrati per l’uso di sostanze e la violenza contro la partner sono il modello integrato della violenza domestica Dade County42 e il SATU-SADV (Yale's Substance Abuse Treatment Unit's Substance Abuse-Domestic Violence28).

Il programma Dade County è un trattamento specializzato che considera i comporta-menti di abuso delle sostanze e problemi di aggressione e rabbia verso la partner come risultato del bisogno di potere e controllo; evidenze dalle ricerche suggeriscono che il trattamento integrato ottiene maggiore successo nel mantenimento della partecipazione al trattamento e una riduzione delle percentuali di aggressione successiva delle stesse vittime.73 Il SATU-SADV è un programma di intervento integrato di queste due

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