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Fibre nanocomposite di gelatina/nanoceria come scaffolds antiossidanti per la rigenerazione neuronale

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Academic year: 2021

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SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

BIOTECOLOGIE MOLECOLARI e INDUSTRIALI

Tesi di laurea magistrale

Fibre nanocomposite di gelatina/nanoceria come scaffolds antiossidanti per la

rigenerazione neuronale

RELATORI CANDIDATO

Prof. Mario Pellegrino Daniele De Pasquale

Prof. Gianni Ciofani

Dott. ssa Chiara Tonda-Turo

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Fibre nanocomposite di gelatina/nanoceria come

scaffolds antiossidanti per la rigenerazione neuronale

Riassunto

I traumi e le lesioni ai nervi periferici possono portare alla perdita di conduzione nervosa o alla mancanza di continuità assonale nei casi di assonotmesi e neurotmesi. In questi casi diventa necessario operare chirurgicamente effettuando un trapianto autologo di un nervo periferico sano, oppure innestare uno scaffold biodegradabile capace di guidare la rigenerazione assonale. L’infiammazione generata a seguito dell’impianto di scaffold può essere ridotta mediante il rilascio controllato di molecole antiossidanti.

Le nanoparticelle di ossido di cerio (nanoceria, NC) sono nanomateriali caratterizzati da proprietà antiossitanti autorigeneranti, pertanto con un’azione farmaceutica virtualmente infinita. In questo lavoro sono state studiate le caratteristiche antiossidanti e pro-rigenerative di scaffold costituiti da fibre nanometriche di gelatina caricate con NC e disposte anisotropicamente (allineate) o in modo casuale. Tale studio è stato effettuato adottando come modello neuronale in vitro le cellule di neuroblastoma umano (SH-SY5Y). I risultati sono stati confrontati con substrati di controllo e con substrati costituiti da fibre di gelatina prive di nanoceria (anche esse disposte in maniera allineata o casuale). Inizialmente, per valutare la biocompatibilità e l'effetto antiossidante degli scaffold, sono stati eseguiti rispettivamente test di metabolismo cellulare (WST-1) e misure della capacità antiossidante totale del substrato. Verificate queste due proprietà nei substrati

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compositi, è stato successivamente rilevato un significativo effetto pro-rigenerativo in termini di crescita di neuriti nelle cellule SH-SY5Y (mediante saggi di immunocitochimica e successiva acquisizione delle immagini in fluorescenza). Tali risultati sono particolarmente promettenti e aprono la strada all'impiego di strutture composite gelatina/NC nel campo dell'ingegneria tissutale neuronale.

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Prefazione

Solo alcuni tipi di lesioni ai nervi periferici possono essere riparate autonomamente, soprattutto se di dimensioni contenute; lesioni più estese sono particolarmente gravi perché possono progredire in assonotmesi e neurotmesi, portando alla perdita sensoriale o alla perdita del controllo della contrazione muscolare (Schmidt and Leach, 2003). E’ di notevole interesse riuscire ad indirizzare un accrescimento degli assoni durante la rigenerazione per evitare tali disfunzioni. Le moderne strategie di ingegneria tissutale guardano all’uso di supporti con particolari proprietà topografiche in grado di promuovere e guidare la ricrescita assonale riparando le lesioni dei nervi (Subramanian et al., 2009). Prendendo in considerazione dei lavori precedenti in cui veniva evidenziato un ruolo neuro-protettivo delle nanoparticelle di ossido di cerio (nanoceria, NC) su modelli neuronali in vitro (PC12; Ciofani et al., 2013) ed altri in cui veniva osservato il ruolo di guida assonale promosso da scaffold di gelatina costituiti da fibre allineate (Tonda Turo et

al., 2013), abbiamo voluto unire queste due importanti caratteristiche per sviluppare

innovativi scaffold nanostrutturati a topografia controllata, costituiti da fibre di gelatina contenenti NC con l’obiettivo di promuovere l’effetto sinergico (guida assonale + azione antiossidante) su un modello cellulare neuronale umano.

In questo lavoro sono stati pertanto studiati gli effetti in vitro dei substrati sulle cellule svolgendo saggi in grado di valutare la vitalità cellulare, l’accrescimento e l’orientamento assonale, ed il differenziamento delle cellule verso un fenotipo neuronale. Le strutture ottenute hanno dimostrato la promozione dell’accrescimento cellulare e assonale proteggendo dallo stress ossidativo i neuroni, ed hanno indirizzato la crescita dei neuriti, costituendo una promettente strategia alternativa ai trapianti autologhi per i nervi

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periferici. I risultati ottenuti sono pertanto molto positivi e incoraggiano al proseguimento della ricerca in questa direzione.

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Sommario

1) Introduzione pag. 6

1.1 Lesioni ai nervi periferici possono generare disfunzioni

neuropatiche pag. 6

1.2 Ingegneria tissutale:

la topologia del substrato, gli innesti artificiali attualmente

in uso in chirurgia e la crescita assonale pag. 8 1.3 La nanoceria come alternativa agli antiossidanti naturali pag. 19 1.4 Scaffold biodegradabili di gelatina per la rigenerazione

del tessuto nervoso pag.23

1.5 Obiettivo dell’esperienza di tirocinio pag. 27

2) Materiali e metodi pag. 29

2.1 Substrati pag. 29

2.2 Colture cellulari e saggi su SH-SY5Y pag. 33 2.3 Analisi delle immagini ed analisi statistiche pag. 37

3) Risultati pag. 38

3.1 Caratterizzazione dei substrati pag. 38 3.2 Colture cellulari:

protezione dalle specie ossidanti e vitalità cellulare pag. 40 3.3 Guida e accrescimento assonale pag. 43

4) Discussione pag. 48

5) Conclusioni pag. 52

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1. Introduzione

1.1 Le lesioni dei nervi periferici possono generare disfunzioni neuropatiche

Il sistema nervoso periferico comprende i nervi cranici ed i nervi spinali dal loro punto di uscita dal sistema nervoso centrale fino alle loro terminazioni; esso è costituito da 43 paia di nervi sia di tipo sensitivo e sia di tipo motorio, che connettono il sistema nervoso centrale al resto del corpo (Schmidt and Leach, 2003). Le lesioni a tali nervi in seguito ad un evento traumatico possono guarire autonomamente solo se di modesta entità; lesioni di dimensioni maggiori (assonotmesi e neurotmesi) possono essere particolarmente gravi perché progrediscono in neuromi e degenerazione walleriana dell’assone (Campell, 2008). Le lesioni dei nervi periferici possono dunque portare sia a disfunzioni motorie sia a difetti di sensibilità. L’assonotmesi è una lesione parziale del nervo, e quindi vi sono buone probabilità che la lesione venga recuperata e si ristabilisca la connessione neuronale: si è calcolato infatti che la proliferazione assonale spontanea riesca a rigenerare al massimo lesioni di circa 10-15 mm (Siemionow et al., 2010). La neurotmesi è invece un’interruzione nervosa completa, il nervo è tranciato e non vi è connessione anatomica (Seddon, 1943). Questo tipo di lesione non è recuperabile se non si interviene chirurgicamente: si assiste alla degenerazione walleriana della porzione distale dell’assone lacerato, la guaina mielinica viene trasformata in lipidi più semplici ed eliminata dai macrofagi (Chaudhry et

al., 1992). La neurotmesi può essere risolta chirurgicamente mediante l’innesto di nervi

autologhi (Siemionow and Brzezicki, 2009); questo intervento richiede però un nervo donatore che viene prelevato dallo stesso paziente da una regione anatomica differente. Oltre a dover trovare una regione di tessuto prelevabile, è inoltre necessario che la sezione di nervo abbia un diametro consono (di solito si prelevano sezioni dai nervi cutanei, con diametri ridotti) ed una compatibilità anatomica nel sito ricevente. Lo svantaggio

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principale riguarda la perdita di funzione del tessuto donatore (questo comporta un secondo intervento chirurgico che espone il sito donatore a processi infiammatori). Inoltre si possono sviluppare in seguito all’intervento chirurgico dolorosi neuromi, e si sono verificate situazioni in cui si sono resi necessari ripetuti interventi chirurgici (Brushart et

al., 1987; Brushart et al., 1988; Smahel et al., 1986). Tra le opzioni ipotizzate troviamo il il

trapianto allogenico, eseguito sfruttando un nervo donatore prelevato da cadavere (Barbour et al., 2003; Kim et al., 2004; Muir et al., 2010). Questa strategia, oltre ad esporre il paziente ad infezioni secondarie provenienti dal tessuto donatore, necessita di terapia immunosoppressiva della durata media di 18 mesi, che comporta rischi inerenti l’infezione, la proliferazione di cellule neoplastiche qualora fossero presenti, ed altri effeti sistemici indesiderati (Grand et al., 2002; Frerichs et al., 2002; Mackinnon et al., 2001). Nel corso degli anni è stato anche proposto il trapianto con innesti di nervo eterologo, proveniente da donatore animale, ma con scarsi risultati in quanto anche in questi casi è necessaria l’immunosoppressione del paziente trapiantato e la ricrescita assonale non è assicurata (Strasberg et al., 1996; Bora et al., 1987).

Le altre proposte vagliate per ottenere condotti nervosi alternativi ai trapianti autologhi sono rappresentate dai condotti costituiti da fibre muscolari scheletriche, di vene ed arterie, di tendini, etc., ma ognuna di queste scelte ha manifestato tutta una serie di problemi che hanno portato presto all'abbandono di questi approcci (Siemionow et

al.,2010). La strategia infruttuosa degli innesti naturali ha lasciato pertanto lo spazio ad

altre metodologie, incentrate in particolar modo sull’ingegneria tissutale. E’ degno di nota il vantaggio offerto dalla produzione di innesti sintetici riguardante l’infinita disponibilità di diametri e dimensioni dei condotti relativa alle esigenze chirugiche rispetto ai trapinati autologhi o eterologhi.

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1.2 Ingegneria tissutale: la topologia del substrato, gli innesti artificiali attualmente in uso in chirurgia e la crescita assonale

E’ ormai noto da numerosi studi come l’ambiente extracellulare sia in grado di condizionare il comportamento delle cellule, sia in vivo che in vitro. L’ambiente extracellulare agisce da interfaccia in grado di indirizzare verso un particolare "destino" i precursori delle cellule nervose, attivando eventi trascrizionali che portano all'adesione cellulare, alla migrazione, al differenziamento, all'allineamento ed accrescimento assonale (Von Der Mark et al., 2010).

In generale i supporti per la ricrescita dei nervi sono strutture tubulari capaci di instaurare un ponte tra i due monconi del nervo (prossimale e distale; Kehoea et al., 2010). Dopo che i monconi sono stati inseriti e riuniti da un innesto tubulare avviene il riversamento del liquido assoplasmatico, fluido ricco in proteine e fattori di crescita, all’interno di questo innesto. Nei successivi giorni viene formata una neomatrice di fibrina dalle cellule di Schwann, che funge da supporto per il popolamento da parte delle stesse cellule di Schwann, fibroblasti e macrofagi (Fu et Gordon, 1997). Le cellule di Schwann svolgono durante la ricrescita assonale un ruolo molto importante, in quanto riescono a rafforzare il potenziale di crescita assonale del moncone prossimale (mediante il fattore di crescita neuronale NGF) e producendo anche altri fattori neurotrofici. Esse hanno la capacità di sostenere la propria sopravvivenza grazie a circuiti autocrini e riescono a bloccare l’apoptosi se presenti ad alta densità (Jensen et al., 1999). Le celule di Schwann possono andare incontro a de-differenziamento e da quel momento iniziano a esprimere elevati livelli del NGF, citochine ed altri fattori neurotrofici (Taniuchi et al., 1986). Per promuovere la ricrescita assonale è fondamentale minimizzare il periodo di degenerazione walleriana; questo fenomeno è controllato da quattro variabili: la presenza delle cellule di Schwann, la secrezione di fattori neurotrofici (NTFS) sia dopo la lesione che durante la rigenerazione,

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l'esistenza di una lamina basale (un particolare tipo di matrice extracellulare che agisce come supporto per le cellule neurali) e la presenza di un moncone distale del nervo che rilascia anch’esso fattori neurotrofici. Le componenti della matrice extracellulare hanno mostrato di promuovere l’allungamento del neurite in vivo.

La ricerca sulla rigenerazione neuronale è riuscita a definire quali siano i fattori di crescita e di proliferazione a cui rispondono i neuroni e i nervi lesionati (Doolabh et al., 1996). I maggiori fattori neurotrofici coinvolti nei naturali processi di rigenerazione dei nervi sono il fattore di crescita dei nervi (NGF), il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF), il fattore neurotrofico ciliare (CNTF), fattore di crescita simile all’insulina (IGF-1), fattore di crescita gliale (GGF), tutti secreti dalle cellule di Schwann (Weber et al., 2000; Hudson et al., 2000). I macrofagi esprimono e secernono invece il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF) e l'interleuchina-1 (IL-1). Data la rilevanza d’azione che questi fattori neurotrofici riescono ad esercitare, si sono svolti studi in cui questi fattori sono stati addizionati a diversi innesti tubulari con l’obiettivo di stimolare la crescita assonale (Danielsen et al., 1986; Hudson et al., 2000; Matsumoto et al., 2000). Questi fattori sono stati associati a numerosi supporti polimerici e non, per esempio in condotti derivati da vena è stato aggiunto FGF all’interno del lume (Li et al., 2000), oppure impregnando una matrice di collagene con FGF (Midha et al., 2003), o ancora tubi siliconici intrisi di NGF (Doolabh et al., 1996), CNTF aggiunto nel lume di condotti siliconici (Chen et al., 2006), etc. Tutte queste soluzioni hanno mostrato di promuovere la ricrescita assonale, la buona ripopolazione da parte delle cellule di Schwann, e l’incremento del diametro del nervo rigenerato in vari modelli animali (Siemionow et al., 2010).

Per quanto riguarda gli stimoli fisici, sono stati sviluppati negli ultimi anni substrati per la guida assonale con precise topografie (Hoffman-Kim et al., 2010). L’ingegneria tissutale è particolarmente interessata a conoscere quali siano i materiali più indicati per la

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produzione di scaffold e quale debba essere l’organizzazione strutturale di tali scaffold. Si è osservato che supporti polimerici di fibre sub-micrometriche e nanometriche riescono a mimare la topografia della matrice extracellulare e riescono a sostenere la crescita neurale (Cao et al., 2009). Oltre a queste evidenze, si è anche scoperto come la presenza di "scanalature" allineate e "creste" superficiali siano in grado di promuovere la crescita degli assoni e la loro guida verso target desiderati (Wieringa et al., 2012; Marino et al., 2013). Ad oggi, per riparare lesioni neuronali, si tenta di inserire a livello del sito lesionato supporti polimerici che assicurino una resistenza meccanica alla trazione ed alla pressione ed instaurino un ambiente favorevole alla crescita cellulare, quindi capaci di stimolare la rigenerazione (Sinis et al., 2009; Panseri et al., 2008). Oltre a fornire la resistenza meccanica, a questi supporti per la ricrescita assonale è richiesto di stabilire un'efficace barriera contro l’instaurarsi, a livello della lesione, del tessuto fibroso e delle cellule macrofagiche, in più essi devono essere in grado di mantenere in situ quei fattori neurotrofici rilasciati dalle estremità del nervo, fattori che sono indispensabili per la rigenerazione desiderata (Kokai et al., 2009).

In questo contesto sono stati testati substrati costituiti da polimeri sintetici non biodegradabili in grado di garantire un buon supporto meccanico. Ne sono esempio gli

scaffold di polimeri siliconici (Chen et al., 2000; Wang-Bennett et al., 1990) o di alcune

tipologie di idrogeli elastomerici (Keeley et al., 1991; Yannas et al., 2004). Questi materiali artificiali presentano però lo svantaggio di stimolare la reazione da corpo estraneo, quindi il loro utilizzo è stato a poco a poco abbandonato in favore di solizioni più compatibili. Si possono riassumere con le seguenti caratteristiche le principali esigenze che deve poter soddisfare un buon supporto per la rigenerazione neuronale (Archibald et al., 1995; Wang

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Il biomateriale impiegato per la costruzione dello scaffold deve essere biocompatibile e non sviluppare la risposta infiammatoria.

 Il biomateriale deve essere biodegradabile mantenendo una struttura meccanicamente stabile durante il processo di rigenerazione e resistere allo stiramento e allo strappo da parte delle suture e deve resistere all'infiammazione dei tessuti.

Lo scaffold deve essere proporzionato alle dimensioni dei due monconi di nervo da unire ed il diametro interno del condotto deve evitare qualsiasi compressione sul nervo in rigenerazione.

 Il dispositivo deve essere flessibile e morbido in modo da impedire compressione degli assoni in rigenerazione e limitare l'infiammazione dei tessuti del sito interessato.

 Il dispositivo dovrebbe fornire un orientamento (attraverso una struttura 3D tubulare) al cono di crescita in estenzione ed eliminare la possibilità di crescita casuale.

 Il biomateriale deve essere semi-permeabile per consentire la diffusione / afflusso di ossigeno e sostanze nutritive dal liquido interstiziale al tessuto nervoso, garantendo la sopravvivenza cellulare.

 Il dispositivo deve impedire crescita interna del tessuto fibroso nel sito di lesione ed essere in grado di trattenere i fattori neurotrofici secreti dalle estremità nervose danneggiate. (studi riguardanti queste caratteristiche suggeriscono pori di dimensione compresa dall'intervallo di 5-30 μm, preferibilmente 10-20 μm).

 Il dispositivo deve soddisfare i requisiti tecnici per la produzione in serie, la sterilizzazione, la conservazione a lungo termine e la manipolazione chirurgica.

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La Food and Drug Administrations (FDA) ha approvato diversi scaffold per il recupero delle lesioni ai nervi periferici basati sia su polimeri di origine naturale e sia su polimeri sintetici, prodotti in policaprolattone, acido poliglicolico e collagene (Bill et al., 2014).

Il Salubridge TM e il SalutunnelTM sono due dispositivi medici prodotti in polivinil-alcol

(PVA) in forma di idrogel, caratterizzati da alta idrofilicità ed assenza di biodegradabilità. SalubriaTM, materiale di cui sono costituiti le due tipologie di supporti, contiene una

percentuale di acqua che è delle stesse proporzioni dell’acqua presente nei tessuti umani ed una concentrazione salina fisiologica di 0.9% NaCl. Il polimero viene termicamente cristallizzato mediante ripetuti cicli di congelamento e scongelamento della soluzione di PVA-NaCl (Stammen et al., 2001; Seal et al., 2001).

Le proprietà meccaniche e la resistenza alla biodegradabilità sono dovute ai parametri del processo di produzione di questo materiale, ad esempio i cicli di congelamento e scongelamento, la durata di questi cicli, il peso molecolare del PVA, etc. L’approccio sperimentale che riguarda la produzione di questo biomateriale è risultato vincente in quanto non fa uso di solventi organici e di reagenti tradizionali per la formazione dei legami tra le catene polimeriche di PVA, quindi non vengono introdotti agenti tossici che possono ridurre la biocompatibilità del materiale (Ku et al., 1999). Salubria TM inotre può

essere modellato in funzione della necessità anatomica perché è in forma gelatinosa prima dei cicli di congelamento e scongelamento. SalubridgeTM è una guaina che costituisce un

tubo flessibile che ha lo scopo di fornire un ambiente protettivo per la rigenerazione dei neuroni dopo la lesione. Il Salutunnel TM ha una struttura e composizione simile al

SalubridgeTM, l’unica differenza è la presenza di una fessura longitudinale che facilita le

operazioni di collocamento chirurgico, entrambi i supporti sono disponibili nelle dimensioni 2, 5, 10 mm di diametro interno e 6,35 cm di lunghezza. Associato alle buone proprietà meccaniche e alla proporzione di acqua simile alla composizione tissutale e alla

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facilità nella strilizzazione, esiste però lo svantaggio della permanenza di queste strutture non biodegradabili anche dopo la rigenerazione neuronale, che può portare alla compressione del nervo ed alla eccessiva tensione dei punti di sutura (Kehoe et al., 2011). E’ più ampia invece la categoria di scaffold riassorbibili approvati dalla FDA; i supporti commerciali NeuraGenR, NeuroflexTM, NeuroMatrixTM, NeuraWrapTM and NeuroMendTM

sono tutti prodotti in collagene di tipo I. Il collagene, polimero di origine naturale, è stato scelto per la sua elevata biocompatibilità, biodegradabilità e per la sua permeabilità alle molecole presenti in ambiente extracellulare. Grazie al trasporto diffusionale è possibile il passaggio dei gas respiratori, di sostanze nutrienti e di fattori neurotrofici (Stang et al., 2005).

NeuraGenR è un condotto tubulare semipermeabile in cui la struttura fibrillare del

collagene è mantenuta attraverso il processo di produzione; questa strutturazione microfibrillare fornisce alla struttura una buona resistenza meccanica e ne condiziona la permeabilità e la biodegradabilità. E' disponibile in due differenti lunghezze (2, 3 cm) e diversi diametri interni (1.5 - 7 mm; Archibald et al., 1991; Li et al., 1992; Li et al., 1993). Il riassorbimento del condotto tubulare NeuraGenR è comunque molto lento, e permane fino a

quattro anni dopo l’impianto (Jiang et al., 2010). Studi su modelli animali (topo e macaco) di confronto tra NeuraGenR e trapianti autologhi condotti da Archibald et al. hanno

mostrato una maggiore efficacia di NeuraGenR rispetto ai classici trapianti di nervo

autologo in termini di recupero della funzionalità motoria dopo quattro settimane dall’innesto (Archibald et al., 1991). Altri esperimenti di confronto tra NeuroGenR e

trapianto autologo condotti su nervi diversi invece non hanno mostrato differenze statisticamente significative, arrivando a concludere che NeuroGenR riesce a mimare la

rigenerazione del nervo periferico come un innesto di nervo autologo. Un altro lavoro condotto da Tyner e collaboratori ha dimostrato che la riparazione nervosa utilizzando

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NeuroGenR stimola la ricrescita neuronale in maniera lineare riducendo la ricrescita

casuale degli assoni, dimostrando inoltre come questo supporto abbia anche la capacità di ridurre i sintomi associati ai dolori neuropatici (Tyner et al., 2007). Inoltre, trial clinici svolti su pazienti hanno mostrato che NeuroGenR esercita limitate risposte avverse e limita

il dolore post-operatorio, quindi risulta un buon metodo per riconnettere le estremità dei nervi lesionati (Kehoe et al., 2011).

NeuroflexTM è un supporto tubulare flessibile (lungo 2.5 cm) di matrice semipermeabile

ideato per proporre un ambiente di crescita assonale favorevole. Ha una buona resistenza alla torsione generata dai nodi di sutura. Questo tipo di innesto sintetico è biodegradabile in quattro-otto mesi (Meek et al., 2008). NeuroMatrixTM è un dispositivo tubulare simile

NeuroflexTM ma con proprietà meccaniche leggermente diverse. Entrambi posseggono una

buona perbeabilità grazie a dei pori compresi nell’intervallo di 0.001-0.005 μm che consentono il passaggio dei nutrienti; queste dimensioni inoltre evitano la migrazione cellulare di conseguenza l’invasione del tessuto fibrotico a livello della lesione nervosa (Yuen et al., 2003).

NeuraWrapTM è sempre prodotto a partire dal collagene di tipo I ed è stato ideato per

proteggere dalla compressione il sito lesionato durante la rigenerazione, in modo da prevenire la formazione di neuromi. Ha una fessura longitudinale che consente al chirurgo di posizionare facilmente il supporto sul nervo lesionato. Questo dispositivo crea un ambiente favorevole alla riparazione nervosa e presenta una membrana esterna porosa capace di resistere meccanicamente alla compressione dei tessuti limitrofi, ed evita l’invasione e la formazione del tessuto cicatriziale; una membrana interna porosa lascia passare i nutrienti. NeuraWrapTM ha un diametro interno compreso tra 3 e 10 mm ed una

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L’ultimo supporto tubulare in collagene di tipo I approvato dalla FDA è il NeuroMentTM.

Come gli altri dispositivi viene riassorbito in quattro-otto mesi, presenta una buona resistenza meccanica, offre un ambiente favorevole di crescita ed ha una matrice semipermeabile (Li et al., 1992). E’ progettato per auto-assemblarsi attorno al nervo sottoposto ad insulto in situazioni neuropatologiche in cui il nervo non ha subito una sostanziale perdita di materiale, quindi protegge e previene la compressione sulla lesione. Gli svantaggi di tutti questi dispositivi riguardano la presenza, anche se in forma limitata, di risposta immunitaria, quindi vi è la necessità di terapia immunosoppressiva. Possono anche essere presenti delle differenze riguardanti la produzione da lotto a lotto che alterano le proprietà dei dispositivi, e quindi la riproducibilità delle performances (Hudson

et al., 2004).

Un ulteriore supporto per la ricrescita assonale approvato dalla FDA è SurgisisR Nerve Cuff,

prodotto partendo dalla denaturazione della sottomucosa dell’intestino tenue porcina. (Tian et al., 2005; Hiles et al., 2006). La materia prima deriva dall’isolamento dello strato della sottomucosa intestinale e muscolare dell’intestino tenue; questo viene trattato con soluzione ipotonica per lisare le cellule presenti e sottoposto a lavaggi per allontanare il materiale biologico da scartare. Ciò che rimane è un materiale composito di collagene, fibronectina, fattori di crescita, glicosamminoglicani, proteoglicani, e glicoproteine (Schmidt et al., 2003). SurgisisR Nerve Cuff è di forma tubulare (diametro interno 1.5 - 7

mm e lunghezza 4 cm), fornisce un buon supporto meccanico contro la compressione, instaura un ambiente favorevole per la ricrescita delle cellule di supporto e degli assoni, favorisce il differenziamento cellulare ed il rilascio di matrice extracellulare da parte delle cellule ospiti senza far registrare una risposta di rigetto (Badylak et al., 1989; Suckow et al., 1999; Zhang et al., 2003; Campodonico et al., 2004). Il principale svantaggio riguarda la natura xenogenica della matrice, infatti vi è il rischio di trasmissione di malattie infettive, in

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più è presente una certa variabilità nella natura chimico-fisica della matrice che ne modifica anche la cinetica di biodegradazione (Nair et al., 2007). Inoltre, è stata anche evidenziata una certa antigenicità che dipende dalle tecniche di lavorazione del materiale di partenza (sottomucosa dell’intestino tenue), dalla specie da cui è stato isolato il collagene, ed infine anche dal sito di impianto dello scaffold.

Passando alla categoria dei polimeri sintetici biodegradabili approvati dalla FDA, troviamo il NeurotubeR prodotto in acido poli-glicolico (PGA). Ha eccellenti proprietà meccaniche e la

sua degradabilità segue il modello “in bulk”, la sua degradazione idrolitica non è determinata da cellule o da enzimi e durante la degradazione può verificarsi un transitorio calo del pH. Le cellule, non riuscendo a neutralizzare facilmente l’abbassamento del pH, possono andare incontro a necrosi, e per questa ragione la quantità di PGA utilizzabile è limitata (Schlosshauer et al., 2006). Altri svantaggi che carratterizzano il PGA riguardano la sua scarsa solubilità in ambiente acquoso e la sua rapida degradabilità (Dellon et al., 1992). NeurotubeR è un dispositivo tubulare (2, 4, 8 mm di diametro e 2, 4 cm di lunghezza) e può

essere prodotto con una tessitura “knitted” o “woven” che conferisce una superficie corrugata. Le buone caratteristiche che offre riguardano la porosità, in grado di consentire gli scambi gassoni e di instaurare un ambiente ricco di ossigeno per la crescita assonale, la flessibilità, la corrugazione che permette la resistenza alle forze occlusive dei tessuti circostanti e la degradabilità (Wolford et al., 2003). Il NeurotubeR ha buone proprietà

meccaniche iniziali, buona biodegradabilità ed induce elevati livelli di vitalità cellulare, presentando un’efficacia comparabile con i trapianti di nervo autologo per lesioni fino a 20 mm di lunghezza (Rosson et al., 2009).

NeurolacR è un supporto prodotto in poli-L-D-lattico-co-ε caprolattone (PCL), di lunghezza

di 3 cm, ed è l’unico supporto approvato dalla FDA ad essere trasparente, caratteristica che può aiutare il chirurgo dirante la manipolazione dei nervi lesionati. Esso ha mostrato gli

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stessi effetti di recupero offerti dall’innesto autologo per lesioni che non superano i 20 mm di lunghezza. Il PCL è un polistere semicristallino con caratteristiche idrofobiche e il suo stato cristallino diminuisce al crescere del peso molecolare (Nair et al., 2007; Woodruff et

al., 2010; Chiellini et al., 2008). La degradazione si presenta sottoforma di idrolisi dei

legami alifatici-estere che può verificarsi anche enzimaticamente; il tempo richiesto per l’idrolisi è lungo, 2-3 anni (Nair et al., 2007; Meek et al. 2008). La sua co-polimerizzazione con l'acido poli-D-L-lattico accelera il tasso di degradazione del co-polimero; inoltre il tasso di degradazione può essere regolato modulando il rapporto tra i suoi monomeri (lattico ed ε-caprolattone; Stang et al., 2009). I prodotti di degradazione che ne derivano (succinato, acido butirrico, acido valerianico e acido caproico) non sono tossici e non provocano una risposta infiammatoria (Sanchez et al., 2000). NeurolacR mostra però dei difetti docuti alla

sua rigidità; inoltre è possibile utilizzare il NeurolacR solo dopo un pre-trattamento del

dispositivo in soluzione salina, mentre Meek e collaboratori hanno notato una frequente rottura dell’ago durante le operazioni di sutura a causa della rigidità del materiale: questo comporta la necessità dell’uso di un ago più spesso che lacera maggiormente i monconi della porzione distale e prossimale del nervo interrotto (Meek et al., 2008). La rigidità comporta anche al mancanza di flessibilità a livello delle giunzioni dei nervi, una volta rigenerate, le porzioni interrotte esercitano pressione sul dispositivo che tenderà a strappare il suo ancoraggio alle due porzioni. Genera infine reazioni da corpo estraneo anche abbastanza gravi, inoltre la sua degradabilità incompleta produce frammentazione del NeurolacR che stimola la produzione di neuromi ed ostacola la formazione di fibre

completamente mielinizzate (Vareja et al., 2003; Meek et al., 2009).

In generale gli scaffold sintetici hanno lo svantaggio di sviluppare una risposta infiammatoria locale che progredisce in una reazione da corpo estraneo cronica che porta ad una compressione del tessuto nervoso interessato dall’impianto, vanificando a lungo

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termine l’effetto pro-rigenerativo del supporto (Merle et al., 1989). Anche i supporti prodotti in polimeri biodegradabili stimolano una risposta immunitaria infiammatoria, però in virtù della loro proprietà di essere degradati dall'organismo ospite, l’infiammazione può avere una durata limitata. I polimeri biodegradabili offrono una serie di vantaggi aggiuntivi. Ad esempio promuovono l'adesione delle cellule di Schwann (cellule gliali del sistema nervoso periferico che rivestono gli assoni), oppure possono essere più agevolemente caricati con molecole bioattive, che vengono poi rilasciate gradualmente durante la degradazione polimerica (Siemionow et al., 2010). Si è provato ad esempio a "dopare" strutture biodegradabili con molecole ad azione antiossidanti o ad azione pro-rigenerativa, le quali, venendo rilasciate gradualmente, possono ridurre l’infiammazione con un azione prolungata nel tempo (Gerhke et al., 2015; Luo et al., 2015). Le sostanze proposte sono principalmente molecole di origine naturale come melatonina (Turgut and Kaplan, 2011; Stavisky et al., 2005; Atik et al., 2011), acetil-L-carnitina (Mc Kay Hart et al., 2002; Farahpour and Ghayour, 2014), α-tocoferolo, vitamine del gruppo B, β-carotene (Salles et al., 2007) ed estratto di propoli rossa (Barbosa et al., 2015).

Gerhke e collaboratori, come accennato in precedenza, hanno sviluppato un substrato di collagene idrolizzato, glicosamminoglicano e solfato di condroitina a cui sono stati aggiunti agenti bioattivi quali β-carotene, α-tocoferolo, vitamine del complesso B, sali di selenio, sali di zinco, sali di magnesio, sali di fosforo, acido glutammico e lecitina di soia. I substrati sono in grado di rilasciare queste sostanze antiossidanti e metaboliti, al fine di favorire il processo di riparazione del tessuto nervoso (Gerhke et al., 2015). I composti organici antiossidanti utilizzati possono favorire il processo di riparazione dei nervi tramite due possibili meccanismi d'azione: la protezione ossidativa e la fornitura di un substrato metabolico. I componenti vitaminici di β-carotene, α-tocoferolo, complesso B e calciferolo (vitamina D) hanno funzioni di protezione sia diretta che indiretta nei confronti delle

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specie reattive dell'ossigeno. Carotenoidi e tocoferoli sono i principali agenti protettivi naturali contro danni mediati dai radicali nel fegato. Il complesso B è coinvolto nella produzione di substrati metabolici collegati alla produzione di alfa-amminoacidi e acido β-acetico, che sono substrati per la formazione di proteine e ATP, che a loro volta proteggono indirettamente le cellule dall'azione di specie reattive dell'ossigeno. La vitamina D è stata associata ad un aumento della sintesi di anti-infiammatori ed ai processi di riparazione mediati da citochine (Gurlek et al., 2002). I sali inorganici di zinco e selenio, invece, fanno parte dei gruppi prostetici della superossido dismutasi (SOD), enzima che catalizza la dismutazione di superossido in ossigeno e perossido di idrogeno (Sidhu et al., 2005). Come gli stessi autori sottolineano, lo svantaggio di questi consiste nella necessità di intervenire chirurgicamente a livello del sito della lesione in tempi molto rapidi, riducendosi la possibilità di successo dell'innesto con il trascorrere del tempo. Inoltre queste molecole bioattive soffrono di una azione limitata nel tempo, esercitando una funzione che risulta poco efficace se si considera l’intera durata della ricrescita assonale.

Un'alternativa consiste nella sostituzione di molecole antiossidanti naturali con nanoparticelle inorganiche antiossidanti quali la nanoceria, capaci di mimare la funzione biologica di enzimi coinvolti nell'eliminazione di radicali liberi e che ci proteggono dallo stress ossidativo (ad esempio catalasi e superossido dismutasi) ed, allo stesso tempo, di mantenere tali attività per tempi prolungati grazie alle loro proprietà autorigeneranti.

1.3 La nanoceria come alternativa agli antiossidanti naturali

Le nanoparticelle di ossido di cerio (nanoceria, NC) sono particelle di dimensione nanometriche (comprese tra 3 e 55 nm) dalle interessanti proprietà ossido-riduttive. Due caratteristiche le rendono particolarmente rilevanti, già accennate nel paragrafo precedente: la capacità antiossidante e la capacità autorigenerante, esattamente come nel caso delle loro controparti enzimatiche (Walke et al., 2015). Il cerio che compone le

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nanoparticelle può coesistere nei suoi due stadi di ossidazione, Ce4+ e Ce3+,a livello della

superficie in concomitanza di una vacanza di atomo di ossigeno. Questi difetti cristallini sono alla base delle proprietà ossido-riduttive delle nanoparticelle (Esposito et al., 2011), e da queste originano proprio le proprietà antiossidanti della nanoceria, che sono definite in base al rapporto Ce3+/Ce4+ superficiale (Deshpande et al., 2005). In presenza di specie

molecolari ossidanti si assiste ad un cambiamento di valenza elettronica locale del cerio che è il punto cardine dell’attività catalitica della NC. Grazie a questa alternanza di stadi di ossidazione, la particella può ridurre le specie radicaliche presenti nel microambiente circostante, e quindi fungere da antiossidante "artificiale". Numerosi studi in vitro condotti in questi ultimi anni hanno mostrato il ruolo biomimetico dell’ossido di cerio nell’emulare l’azione delle SOD, riuscendo ad abbattere le specie reattive dell’ossigeno e salvaguardando il corretto funzionamento cellulare (Estevez et al., 2011).

E' stato inoltre osservato che diversi rapporti Ce3+/Ce4+ determinano comportamenti

differenti in termini di attività catalitica: nanoparticelle con forma Ce3+ preponderante

mostrano una attività simile alla SOD mentre, viceversa, se a prevalere sono le forme Ce4+

avremmo un’attività che mima quella delle catalasi mitocondriali (Wason et al., 2012 ). Al diminuire delle dimensioni delle particelle, inoltre, grazie all'aumento del rapporto superficie/volume abbiamo un'amplificazione di queste proprietà (Deshpande et al., 2005), che risultano auto-rigeneranti grazie alla reversibilità del passaggio Ce3+/Ce4+ (Karakoti et

al., 2010). Appaiono quindi chiare le potenzialità di questa nanoparticella in applicazioni

biomedicali, dal momento che le molecole di derivazione naturale deputate all’eliminazione delle specie radicaliche presentano generalmente un'attività molto limitata nel tempo. La respirazione cellulare genera durante le sue fasi ROS, e bassi livelli di ROS svolgono un ruolo importante nella fisiologia delle cellule, agendo come secondo messaggero nella trasduzione di segnali intracellulari. Un eccesso di ROS tuttavia genera reazioni che

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coinvolgono importanti componenti cellulari come il DNA, le proteine, i lipidi di membrana, portando ad importanti danni all’interno della cellula che culminano con l'apoptosi. Le patologie associate ad una eccessiva presenza di ROS intracellulare sono le più disparate, ed includono cancro, infertilità, diabete, alterazioni cardiovascolari, artrite, invecchiamento tissutale, morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson, sclerosi multipla (Uttara et al., 2009). I prodotti potenzialmente tossici che derivano della respirazione cellulare sono generalmente il perossido di idrogeno H2O2, lo ione superossido O2- ed il radicale idrossido .OH. Le cellule eucariotiche hanno a disposizione una vasta serie di enzimi in grado di

detossificarle dai ROS e mantenerle nel corretto equilibrio omeostatico; fra questi la catalasi, la glutatione perossidasi, la perossiredoxina (Karakoti et al., 2010 ; Liochev, 2013). Oltre le specie reattive dell’ossigeno lo stress ossidativo può essere generato anche da specie reattive nitriche (RNS), che anche, seppur in modo più limitato, partecipano ai meccanismi di trasduzione del segnale cellulare, nella vasodilatazione e nella risposta immunitaria (Drew, Leeuwenburgh, 2002). L’ossido nitrico (NO) può essere convertito in una forma altamente ossidante dal radicale superossido e generare il perossinitrito (NO3-)

che reagisce con DNA, proteine e lipidi alterandone la funzione. All’eccesso delle RNS sono associate patologie di tipo degenerativo, invecchiamento tissutale ed apoptosi (Wei, Lee 2002).

Sfruttando le importanti proprietà della NC in questi ultimi anni sono stati proposti nuovi approcci per trattare quelle patologie dove lo stress ossidativo gioca un ruolo preponderante. Somministrando nanoceria a cellule in cui è stato indotto un insulto ossidante, che normalmente porta all’apoptosi, si è notato un significante aumento della sopravvivenza cellulare in diverse linee cellulari (Xia et al., 2008; Clark et al., 2011; Megan

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somministrazione di nanoceria, come dimostrato nel lavoro di Dowding et al. (Dowding et

al., 2012).

Il cancro è indotto da numerose alterazioni e concause, e l’eccesso di ROS è una di queste (Reuter et al., 2011). Numerosi studi sia in vitro che in vivo hanno mostrato come la NC possa svolgere efficaci azioni contro diverse forme di cancro (Alili et al., 2012); inoltre è stato osservato sia in vitro che in vivo l’effetto anti-angiogenico ed anti-carcinogenico indotto dalle nanoparticelle di ossido di cerio in modelli murini di cancro ovarico (Giri et

al., 2013).

Per quanto riguarda il ruolo neuroprotettivo della NC, questa è stata dimostrata essere un potente mezzo di protezione in modelli di encefalo sottoposti ad ischemia. L’ischemia cerebrale e l’ipossia causata da ictus generano stress ossidativo, infiammazione, ed infine danno al tessuto cerebrale. Studi in vitro di encefali ischemici trattati con NC hanno mostrato come le nanoparticelle siano in grado di ridurre la morte cellulare grazie alla loro capacità di diminuire drasticamente i livelli dello ione superossido (Estevez et al., 2011). Un altro lavoro ha messo in evidenza l'effetto rilevante della NC anche in cellule primarie adulte, facendo registrare un incremento della durata della sopravvivenza cellulare di neuroni isolati dalla spina dorsale di ratti se coltivati in presenza di NC (Das et al., 2007). Altri studi su modelli di ratto con encefalo ischemico post-ictus hanno rivelato che la NC agisce in maniera soddisfacente anche in vivo (Kim et al., 2012).

Il morbo di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa del sistema nervoso centrale caratterizzata dalla presenza di placche di β-amiloide (agglomerati proteici che tendono a precipitare) che portano alla morte cellulare. Questa patologia è strettamente correlata a situazioni di stress ossidativo, ed allo scompenso degli equilibri tra proteine funzionali che inducono l’espressione di geni responsabili dell’apoptosi (Butterfield et al 2013).

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Modelli in vitro di morbo di Alzheimer trattati con NC hanno mostrato una risposta positiva, vedendo ridotte in maniera significativa il numero di cellule apoptotiche rispetto al controllo non trattato. E’ stato inoltre osservato come la nanoceria abbia come effetto finale la modulazione dell’espressione genica dei fattori coinvolti nel ciclo cellulare, quali BDNF e PPAR β (Dangelo et al., 2007).

La sclerosi multipla è una patologia neurodegenerativa autoimmune in cui lo stress ossidativo e l’infiammazione hanno un ruolo chiave. Si assiste ad una progressiva demielinizzazione focale che interrompe la connessione degli impulsi tra encefalo e midollo spinale (Estevez et al., 2013). Si è ipotizzato di abbassare il livello di infiammazione nei siti interessati dall’attacco delle cellule T-helper e dei macrofagi agendo sui livelli dei ROS mediante nanoceria, con conseguente diminuzione di richiamo attraverso la segnalazione mediata da citochine, riducendo così l’entità del danno alle cellule nervose (Hirst et al., 2013). In vivo, infine, è stato osservato un recupero della motilità in modelli murini affetti da sclerosi multipla trattati con NC (Decoteau et al., 2011).

Uno studio in vitro (Ciofani et al., 2013) ha mostrato come in cellule PC12 la nanoceria influisca positivamente in termini di riduzione dello stress osidativo, elongazione dei neuriti e produzione di dopammina.

Tutte le evidenze riportate confermano il grande potenziale della NC in applicazioni biomediche, in particolare per la realizzazione di sistemi attivi e "smart" in grado di proteggere le cellule in numerose condizioni patologiche e/o in medicina rigenerativa.

1.4 Scaffold biodegradabili di gelatina per la rigenerazione del tessuto nervoso

Come già accennato in precedenza, è noto che l’orientamento e lo spessore delle fibre di un substrato di crescita influenzano l’orientamento assonale, la morfologia, la proliferazione, e le funzioni neuronali (F. Yang et al., 2005 ; Christopherson et al., 2009 ; Yan Li et al., 2014) In un contesto dove la superficie topografica degli scaffold è rilevante per la crescita dei

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neuroblasti, l’electrospinning rappresenta una tecnologia vincente per ottenere strutture per ingegneria tissutale, grazie alla possibilità di controllare finemente, attraverso la variazione di parametri operativi, l'orientamento, lo spessore, la porosità ed il diametro delle fibre (Mu et al., 2014).

L’elettrofilatura (meglio conosciuta appunto con il termine inglese electrospinning) è una tecnologia che sfrutta il potenziale elettrico presente tra un augello ed una piastra metallica per generare fibre polimeriche con diametri che variano da 2 nm a qualche micrometro (Ahn et al., 2006; Lannutti et al., 2007; Hunley and Long, 2008; Reneker and Yarin, 2008). L’electrospinning è una tecnica semplice ed offre una buona versatilità per la produzione di materiali nanostrutturati (Zussman et al., 2003; He et al., 2005), e numerosi sono i lavori nel campo dell’ingegneria tissutale che sfruttano questo approccio. Nel corso degli anni sono stati testati diversi materiali polimerici associati all’electrospinning per produrre supporti per la crescita neuronale. Fra questi si possono ricordare il poli(acrilonitrile-co-metilacrilato) (Kim et al., 2008), compositi poli(ε-caprolattone)/gelatina (Alvarex-Perez et

al., 2010; Ghasemi-Mobarakeh et al., 2008), l'acido poli-L-lattico (Koh et al., 2008; Wang et al., 2010), compositi polipirrolo/poli(stirene-b-isobutilene-b-stirene) (Liu et al., 2010), il

poli(vinilidene fluoride-trifluoroetilene) (Lee et al., 2011); l'acido poli lattico-co-glicolico (Subramanian et al., 2011), ed il poli(3-idrossibutirrato) (Genchi et al., 2012).

L’electrospinning, nuovamente, è una tecnologia particolarmente interessante perché permette di ottenere strutture con dimensioni nanoscopiche e con una porosità controllata, sfruttabile per ottenere interazioni cellulari ottimali (Luu et al., 2003; Subbiah et al., 2005; Ramakrishna et al., 2006 ;Cui et al., 2006; Wu et al., 2007; Barnes et al., 2007; Welle et al., 2007; Chong et al., 2007).

L’apparato di electrospinning è costituito principalmente da tre componenti: un alimentatore che fornisce l’alta tensione, una siringa con ago a diametro variabile (filiera),

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ed una piastra metallica di raccolta o un mandrino rotante. L’alto voltaggio dirige un sottile flusso di polimero in soluzione dalla siringa al collettore, il quale presenta carica elettrostatica opposta a quella della filiera (Liang et al., 2007; Sill and Recum, 2008). Al variare di alcuni parametri quali la concentrazione del polimero in soluzione, il peso molecolare, il tipo di polimero, la viscosità della soluzione, la distanza della filiera dal collettore, il voltaggio applicato, il tipo di collettore, etc. si possono ottenere fibre dalla tessitura e dalla porosità desiderata ed orientate (Bhardwaj e Kundu, 2010; Venugopal et

al. 2008).

Il grande vantaggio offerto dalle strutture ottenute mediante electrospinning è la mimesi della matrice extracellulare, venendo ottenuti substrati ad organizzazione 3D che simulano in modo "biomimetico" l'ambiente extracellulare naturale (Rahmany and van Dyke, 2013; De Ruiter et al., 2009; Bacakova et al., 2011). I polimeri naturali biodegradabili (collagene, chitosano, alginato, elastina, fibrina, gelatina, etc.) presentano inoltre importanti proprietà quali la biocompatibilità, la bioattività, buone proprietà meccaniche e buona cinetica di degradazione (Deumens et al., 2010; Ciardelli et al., 2007; Tabesh et al., 2009 ; Cunha et al., 2011; Xu et al., 2011; Sell et al., 2010).

Il collagene è il principale componente dei tessuti connettivi, e viene sintetizzato dai fibroblasti del tessuto connettivo e dagli osteoblasti del tessuto osseo (Pachence 1996). Esistono numerosi tipi di collagene, accomunati da tre catene polipeptidiche che si assemblano in una struttura sovramolecolare a tripla elica (van der Rest and Garrone 1991). Il collagene è presente nei tessuti connettivi di pelle, tendini, ossa, ed è uno dei materiali più utilizzati in ingegneria tissutale (Ber et al., 2005). Il collagene è anche abbondantemente presente nella matrice extra-cellulare (ECM) del sistema nervoso periferico (Li X. et al., 2006; Longo et al., 1984), dove è presente sottoforma di fibre con un diametro compreso tra 50 e 500 nm (Barnes et al., 2007). L’ancoraggio, la diffusione e la

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comunicazione delle cellule con la ECM è mediata da diverse proteine e recettori di membrana. Le integrine sono l'esempio più diffuso di proteine che mediano l'interazione cellula-ECM, e si legano alla matrice formando adesioni focali in prossimità di siti di riconoscimento, presenti anche sul collagene, ad esempio caratterizzati dal tripeptide RGD (Arg-Gly-Asp) (van der Rest and Garrone 1991). Queste interazioni specifiche sono reversibili e permettono alle cellule di differenziarsi, secernere e assorbire matrice, e trasmettere segnali (Farach-Carson et al., 2007). Il collagene nei mammiferi può essere rapidamente degradato nelle sue componenti amminoacidiche da enzimi come la collagenasi e le metalloproteinasi (Weadock et al., 1996).

Dato che collagene è il principale componente della ECM appare evidente il potenziale applicativo in ingegneria tissutale di questo polimero biodegradabile, biocompatibile, e che presenta una grande versatilità di lavorazione (Lee et al., 2001). Di contro il collagene è un biomateriale difficile da sterilizzare senza che si alteri la sua struttura originaria, pertanto l’utilizzo di collagene per la produzione di scaffold da innestare in pazienti potrebbe risultare problematico, anche a causa di reazioni immunitarie avverse (Parenteau-Bareil et

al., 2010). Una valida alternativa è rappresentata dalla gelatina. (Chiono et al., 2008;

Santoro et al., 2014). Essa viene prodotta dalla denaturazione termica o dalla degradazione chimica del collagene. Per ottenere la gelatina viene disintegrata la struttura a tripla elica del collagene trasformando la struttura progenitrice in un polimero a singola elica (Kuijpers et al. 1999). La gelatina ha le stesse proprietà di biocompatibilità e biodegradabilità del collagene, ma è meno soggetta all'induzione di risposte immunitarie avverse, mantenendo però i segnali molecolari che regolano il comportamento delle cellule nella matrice extracellulare (Chiono et al., 2008; Santoro et al., 2014).

Data la rapida biodegradabilità i substrati costituiti da fibre di gelatina sono utilizzati come matrice extracellulare temporanea. In un recente lavoro di Tonda Turo et al., 2013 sono

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stati ottimizzati i parametri per la produzione di fibre di gelatina utilizzando la tecnica dell’electrospinning, partendo da una soluzione acquosa. Questa strategia consente di non utilizzare solventi organici che potrebbero influire negativamente sulle colture cellulari, se non completamente rimossi, e di ottenere fibre con appropriate porosità e dimensioni. I substrati ottenuti sono stati poi testati in termini di biocompatibilità in vitro su cellule gliali. Gnavi et al. 2015 hanno coltivato cellule di Schwann su substrati elettrofilati di gelatina costituiti da fibre allineate, mostrando come la morfologia e l’orientamento delle cellule di Schwann fosse conforme alla topografia del substrato. La possibilità di indirizzare la crescita neurale attraverso gli stimoli topografici forniti da substrati di gelatina elettrofilati rappresenta un'ottima opportunità per applicazioni in medicina rigenerativa ed ingegneria tissutale.

1.5 Obiettivo dell’esperienza di tirocinio

Alla base di questo lavoro di Tesi vi è la necessità di sviluppare un substrato che sia biocompatibile, stimolante la crescita dei neuroni, e che riesca ad essere una guida assonale. Inoltre, si è cercato di contrastare la fase infiammatoria a livello della lesione dei nervi periferici che si presenta quando viene innestato uno scaffold inserendo una componente "smart" attiva all'interno dello scaffold stesso.

Prendendo spunto dal lavoro di Ciofani et al. (2013) sullo sviluppo assonale di cellule PC12 cresciute in presenza di nanoceria, e dal lavoro di Tonda Turo et al. (2013) sulla capacità di indirizzare la crescita di cellule gliali con fibre allineate di gelatina, è stato creato uno

scaffold composito gelatina/NC. La scelta dell’electrospining per produrre i substrati

nanostrutturati ha consentito di aumentare la superficie di contatto tra substrato e cellule, così da promuovere l’instaurazione dell'adesione cellulare e la formazione di adesioni focali.

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L’obiettivo dell’esperienza di tirocinio è stato volto alla caratterizzazione del comportamento e del fenotipo di un modello di cellule neuronali, le SH-SY5Y (linea cellulare di neuroblastoma umano), cresciute sugli scaffold compositi. Dopo aver coltivato e differenziato le cellule su 5 differenti substrati (controllo, nanofibre random, nanofibre random + NC, nanofibre allineate, nanofibre allineate + NC) sono stati eseguiti tutta una serie di test biologici atti a valutare il metabolismo cellulare, la produzione di ROS, il differenziamento cellulare e la polarizzazione dell'estensione neuritica.

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2. Materiali e Metodi

2.1 Substrati

Sono stati adoperati substrati di gelatina porcina di tipo A (Sigma Aldrich), prodotti per

electrospinning dal Materials in Bionanotechnology and Biomedical Lab del Dipartimento di

Ingegneria Meccanica e Aerospaziale del Politecnico di Torino, secondo la preparazione da soluzione acquosa riportata da Gnavi et al. (2015).

Le tipologie di scaffold testate sono state quattro: costituite da fibre di gelatina random ed allineate, con e senza nanoceria (Figura 1). Le nanoparticelle sono state inglobate nelle fibre elettrofilate aggiungendo alla soluzione di gelatina 1 mg/ml di soluzione acquosa di nanoceria (diametro < 5 nm).

a)

b)

Figura 1. Acquisizioni in microscopia elettronica a scansione dei substrati elettrofilati di gelatina. a) Sono mostrate le quattro tipologie di substrati adoperati. b) Ingrandimento con tecnica HAADF

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STEM di una singola fibra nanocomposita. E’ possibile apprezzare la maggiore brillantezza delle nanoparticelle di ossido di cerio presenti dentro la fibra dalla matrice di gelatina (più scura).

Test capacità antiossidanti del substrato. Si è testata la capacità protettiva/antiossidante dei substrati contenenti la nanoceria mediante il kit commerciale

Total Antioxidant Capacity Assay kit (Sigma Aldrich). Questo saggio colorimetrico sfrutta la

conversione degli ioni rame Cu2+ a Cu+, presenti nella soluzione del kit, svolta dalle

eventuali molecole o proteine con capacità riducenti. Tale riduzione del numero di ossidazione viene sottolineata da una sonda colorimetrica che chela gli ioni rame, in questo modo si può osservare il viraggio del colore dal verde della soluzione di partenza ossidata verso il colore fucsia se si è in presenza di composti con azione antiossidante. Sono stati confrontati i substrati di gelatina privi di NC con i substrati contenenti la NC. Operativamente, un volume totale di 400 μl delle soluzioni di reazione secondo le indicazioni del kit è stato aggiunto in tubi Eppendorf da 1.5 ml dove erano presenti i substrati da testare, che presentavano un’area standardizzata di circa 0.5 cm2. Dopo 90 min

di incubazione a temperatura ambiente, l'assorbanza delle soluzioni è stata misurata ad una lunghezza d’onda di 570 nm in piastre da 96 pozzetti mediante il lettore spettrofluorimetrico Victor X3 (Perkin Elmer). I dati ottenuti, espressi come equivalenti di Trolox (un potente antiossidante analogo della vitamina E) sono stati sottoposti ad analisi statistiche con t-test.

Test citotossicità nanoceria. Si è provveduto a testare la citotossicità della NC utilizzata

per la produzione dei substrati nanocompositi in termini di proliferazione cellulare attraverso l’uso del kit commerciate Quant-iT™ PicoGreen® dsDNA assay (Molecular Probes) per la quantificazione del DNA in una soluzione. Questo test si basa su una sonda intercalante il DNA: dal momento dato che la concentrazione cellulare è direttamente

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proporzionale alla quantità di DNA rilevato dalla sonda fluorescente, è possibile determinare la concentrazione delle cellule nelle diverse condizioni sperimentali proposte. Le cellule SH-SY5Y sono state seminate in piastre da 24 pozzetti (5·103 cellule/cm2) ed

incubate con 0 (controllo), 5 e 10 μg/ml di NC. Le concentrazioni da testare sono state scelte considerando la quantità di nanoceria misurata all'interno delle fibre (circa 7 μg/cm2) considerando la situazione limite nella quale tutte le nanoparticelle possano

essere completamente rilasciate nel mezzo di coltura cellulare alla fine della degradazione degli scaffold (considerando substrati con area di circa 1 cm2 di dimensione). Dopo 1 e 5

giorni di incubazione, le cellule sono state lisate e incubate con i reagenti seguendo le istruzioni riportate dallo stesso kit. La fluorescenza è stata poi misurata in piastre da 96 pozzetti nere mediante lo spettrofluorimetro (Victor3, PerkinElmer; eccitazione 485 nm, emissione 535 nm). Per correlare l’intensità di fluorescenza misurata con numero di cellule, è stata eseguita una curva standard con cinque concentrazioni note di SH-SY5Y, riportando l'intensità di fluorescenza in funzione del numero di cellule.

Ancoraggio e preparazione del substrato. Per le successive analisi e per la coltura

cellulare i substrati elettrofilati sono stati ancorati a vetrini portaoggetti rotondi di 1 cm2 di

area superficiale, mediante un sottile strato di polidimetilsilossano (PDMS) adesivo, precedentemente disposto sulla superficie del vetrino (preparazione PDMS 40:1 PDMS/reticolante, tempo di reticolazione 6 ore a 60°C). Il PDMS (completamente reticolato) è un polimero molto versatile e ampiamente adoperato per applicazioni biologiche, adottato anche per studi a lungo termine del comportamento cellulare (Genchi

et al., 2012). Inoltre è stato testato anche su modelli di cellule neuronali a diversi rapporti

polimero/reticolante (da 1:10 a 1:100) mostrando buone capacità di crescita cellulare (Ana

et al., 2009). Il procedimento di fissaggio degli scaffold si è reso necessario al fine di

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la deformazione (Figura 2). Per gli esperimenti di coltura cellulare è stato inoltre eseguito un pretrattamento di equilibratura e sterilizzazione con terreno di coltura cellulare arricchito di pennicillina, streptomicina (composizione identica a come descritto successivamente per la preparazione del mezzo di coltura cellulare) e Amfotericina B (Sigma Aldrich). A seguito di questo pre-trattamento i substrati sono stati posizionati in pozzetti di piastre da 24 wells. Per evitare il galleggiamento del vetrino, questo è stato fissato sul fondo del pozzetto mediante 200 μl di gel di agarosio (Sigma Aldrich) al 2%, su cui è stato posato il vetrino stesso durante la fase di gelificazione. Questa strategia ha permesso, oltre a non fare "flottare" i vetrini con i substrati, di non far crescere le cellule al di sotto del substrato o ai lati del pozzetto, e quindi di ottenere analisi con minore variabilità sperimentale. Come substrati di controllo sono stati utilizzati fogli per colture cellulari in COC (cyclic olefin copolymer) da 1 cm2 (Ibidi), avvalendosi delle medesime

procedure descritte per fissare i substrati di gelatina.

Figura 2. Schematizzazione dell’organizzazione del substrato pronto per la coltura cellulare. La superficie superiore rappresenta lo scaffold di gelatina elettrofilata fatta aderire alla superficie inferiore di vetro mediante un sottile strato di PDMS.

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Test angolo di contatto. La bagnabilità dei substrati è stata caratterizzata mediante analisi

di angolo di contatto. Si è caricata una goccia di 2 μl di acqua demineralizzata su ogni substrato, replicando tre volte la misura per ogni condizione sperimentale. La strumentazione utilizzata è stata la Attension Nordtest, supportata dal software One Attension. Le immagini per l'analisi sono state acquisite 2 secondi dopo il contatto con il substrato. Data l'anisotropia dei substrati costituiti da fibre allineate, sono state effettuate analisi acquisendo le immagini sia in direzione parallela che perpendicolare all'asse delle fibre. La misurazione degli angoli di contatto è stata effettuata mediante il software di analisi di immagine ImageJ, e poi riportata in istogramma mediante Microsoft Office Excel 2007.

2.2 Coltura cellulare e saggi su SH-SY5Y

Linea cellulare e mezzi di coltura. Per testare i substrati è stata impiegata la linea di

neuroblastoma umano SH-SY5Y (ATCC CRL-2266). Le cellule sono state propagate in fiasche T75 in condizioni proliferative, mediante Dulbecco’s Modified Eagle Medium (DMEM)/F12 (Gibco) con aggiunta di siero fetale bovino 10% (FBS, Gibco), 100 U/ml penicillina (Gibco) e 100 μg/ml streptomicina (Gibco), in ambiente termostatato (37°C) ed arricchito di CO2 al 5%.

Arrivate a confluenza, le cellule sono state divise mediante procedure standard di trattamento in tripsina seguito da bloccaggio con terreno, centrifugazione e suddivisione della popolazione cellulare. Prima della semina, le cellule venivano contate mediate camera di Burker. Su ogni substrato le cellule sono state seminate ad una densità di 15000 cell/cm2

in condizioni proliferative.

Per quanto riguarda gli esperimenti di differenziamento cellulare, dopo 24 ore dalla semina in coltura in terreno proliferativo, quest'ultimo è stato sostituito con terreno differenziativo, costituito da DMEM (Gibco) con aggiunta di 1% FBS (Gibco), 10 μM acido

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trans-retinoico (Sigma Aldrich), 100 U/ml penicillina e 100 μg/ml streptomicina. Il terreno è stato sostituito dopo due giorni dall'induzione del differenziamento; al quinto giorno le colture sono state fermate e sottoposte ad analisi.

Saggio sui ROS con DCFH-DA. La misurazione dei ROS intracellulari prodotti nelle diverse

situazioni sperimentali (cellule coltivate su controllo, fibre random/allineate, con/senza nanoceria) è stata condotta in presenza ed in assenza di uno stimolo ossidativo (H2O2 100

μM per 30 minuti). I livelli di ROS prodotti dalle cellule sono stati analizzati mediante l'impiego di una sonda sensibile alle specie molecolari ossidanti, la 20,70-diclorofluoresceina diacetato (DCFH-DA, Invitrogen), in grado di produrre un segnale in fluorescenza direttamente proporzionale alla concentrazione di ROS presenti. La DCFH-DA è stata utilizzata in concentrazione 25 μM in mezzo DMEM/F12 senza rosso-fenolo (che interferirebbe con le misure) ed FBS, incubando le colture per 30 minuti a 37°C. Dopo il trattamento, è stato eseguito un lavaggio (30 minuti a 37°C) con mezzo di coltura al fine di allontanare la sonda residua. Infine è stato allontanato il mezzo e sono stati aggiunti 250 μl di acqua distillata MilliQ per procedere con la lisi cellulare, ottenuta sottoponendo le colture a 4 cicli di rapido congelamento-scongelamento. La soluzione di lisi è stata quindi analizzata mediante spettrofluorimetro (eccitazione 485 nm, emissione 535 nm; Victor3, Perkin Elmer), ponendo 60 μl di surnatante in piastre nere da 96 wells. Le letture sono state svolte in triplicato per ogni esperimento, svolto anch'esso in triplicato.

Saggio WST-1. Per i test di vitalità cellulare, le cellule sono state coltivate in terreno

proliferativo a 37°C ed analizzate a 1, 2 e 5 giorni dalla semina. Il test utilizzato è il WST-1, basato su un sale di tetrazolo, il (2-(4-iodofenil)-3-(4-nitrofenil)-5-(2,4-disulfofenil)-2H-tetrazolio (sale monosodico, BioVision). Questo saggio sfrutta prevalentemente enzimi mitocondriali (la succinato deidrogenasi) per ridurre il sale di tetrazolo (giallo-arancio) a

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formazano (violaceo). La conversione di questo composto è proporzionale all’attività metabolica cellulare e quindi alla vitalità delle cellule.

Ad ogni punto temporale è stato sostituito il mezzo proliferativo con 300 μl di mezzo proliferativo privo di rosso-fenolo e con 30 μl di WST-1. Dopo 90 minuti di incubazione a 37°C il surnatante è stato trasferito nei pozzetti di una piastra da 96-well per la lettura spettrofotometrica. Le misurazioni sono state eseguite mediante l’uso di un lettore di piastre leggendo a 450 nm (Victor3, Perkin Elmer). Gli esperimenti sono stati svolti in triplicato ed i dati (media ± deviazione standard) mostrati in grafici Excel.

Colorazione in fluorescenza delle colture in proliferazione. La colorazione delle cellule

proliferate sui substrati è stata condotta per osservarne la morfologia e la disposizione lungo le fibre di gelatina. Marcando in rosso i filamenti di actina mediante falloidina-TRITC, (Sigma) una tossina che si lega saldamente all’F-actina citoscheletrica, è stata evidenziata la morfologia cellulare. I nuclei delle cellule sono stati invece colorati mediante un intercalante del DNA, l'Höchst, che emette forte fluorescenza nel blu una volta aver interagito con gli acidi nucleici. Dopo un rapido lavaggio in PBS le cellule sono state fissate per 20 minuti con paraformaldeide (PFA) 4% in PBS a 4°C. Quindi sono stati eseguiti 3 lavaggi di 5 minuti ciascuno con PBS prima di permeabilizzare le membrane aggiungendo il detergente Triton (0.1% in PBS) per 5 minuti. Al termine della permeabilizzazione si è aggiunto siero di capra (10% in PBS) per un'ora, per bloccare gli eventuali siti di interazione aspecifica, e quindi è stata condotta l'incubazione con falloidina-TRITC (diluita 1:100 in siero di capra 10%) per 1 ora a 37°C. Quindi si è proseguito con due lavaggi in PBS, un'incubazione con Höchst (1:1000 in PBS) per 15 minuti a 37°C, ed infine due ultimi lavaggi in PBS prima dell'osservazione al microscopio.

Colorazione in immunofluorescenza delle colture in differenziamento. Al termine del

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