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Riorganizzazione del percorso formativo sul Codice Rosa: implementazione delle competenze infermieristiche attraverso la simulazione

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e

Ostetriche

Riorganizzazione del percorso formativo sul

Codice Rosa: implementazione delle

competenze infermieristiche attraverso la

simulazione

Candidato: Giulio Barra

Relatore: Dott.ssa Catia Anelli

Anno Accademico

2016-2017

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INDICE

Riassunto Pag. 3

Introduzione Pag. 4

Capitolo 1 Organizzazione regionale del codice rosa Pag. 6

1.1 Rete regionale codice rosa Pag. 6

1.2 Contesto normativo Pag. 7

1.3 Contesto regionale di riferimento Pag. 9

1.4 Rete regionale codice rosa Pag.10

1.4.1 Struttura organizzativa della rete regionale C.R. Pag.11 1.5 Codice rosa nella toscana centro: risultati della rilevazione Pag.14 1.6 L'organizzazione e la prassi dei percorsi C.R. Pag.15

1.6.1 Analisi delle connessioni tra il percorso C.R. e gli

altri servizi Pag.15

1.6.2 Le forme di collaborazione con la procura Pag.16 1.6.3 Analisi della situazione operativa Pag.17 Capitolo 2 La formazione aziendale sul percorso codice rosa Pag.19 2.1 Analisi della formazione allo stato attuale Pag.19 2.2 La formazione del personale sanitario attraverso la simulazione Pag.21 2.3 Esperienze di formazione con simulazione Pag.27

2.3.1 Fattori ostacolanti e/o favorenti lo sviluppo della formazione interprofessionale e dei programmi di simulazione Pag.29 2.3.2 Classificazione delle simulazioni Pag.30

2.4 Contesto formativo attuale Pag.31

2.4.1 Principali criticità emerse durante le attività di triage Pag.35 2.4.2 Principali criticità emerse durante le attività nella stanza

rosa

2.5 Valutazione di impatto formativo Pag.36

2.6 Fase progettuale Pag.39

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RIASSUNTO

Questa tesi cerca di analizzare l'evoluzione del percorso Codice Rosa che dalla fase progettuale avviata nel 2010 è divenuto rete regionale Codice Rosa come risultato finale degli assetti organizzativi necessari all'inserimento di questa tipologia di risposta assistenziale nel Sistema Sanitario Regionale Toscano.

Si mette in evidenza come al processo di crescita della funzione organizzativa coerente con le disposizioni della L.R. n.84 del 28/dicembre/2015 non abbia avuto seguito un'altrettanto efficace crescita dell'azione formativa.

Attraverso un'analisi retrospettiva delle procedure esistenti e della loro applicazione si evince come,pur considerando,la formazione,un punto cardine del progetto C.R. sia tuttavia necessario integrare ed implementare le competenze infermieristiche sulla tematica attraverso nuove metodologie didattiche. Inoltre appare evidente come conseguentemente sia necessario valutare l'impatto formativo sulla qualità assistenziale e misurare l’acquisizione e il mantenimento delle competenze infermieristiche nel tempo.

Si sottolinea come l'approccio formativo tradizionale finora utilizzato mostri problematiche per la parziale mancanza di collegamenti con i percorsi metodologici applicati nelle singole realtà aziendali ed una ridotta capacità di integrazione interdisciplinare.

Nello tesi rifacendosi ad una consolidata ed evidente efficacia si promuove la simulazione quale metodologia didattica piu' incline ad una formazione andragogica, finalizzandola all' acquisizione di nuove competenze sulle procedure assistenziali alle vittime di violenza.

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Introduzione

Per i professionisti sanitari definire ed affrontare il problema delle competenze è sempre stato problematico e risulta oltremodo complesso cercare di definire le competenze infermieristiche. La definizione di competenza diventa quindi oggetto di analisi e riflessioni metodologiche che implicano la contestualizzazione dell'operato del professionista ed al tempo stesso del percorso formativo dal quale la competenza scaturisce. Va sottolineato che il Patto Infermiere- Cittadino del 12 maggio 1996 ed il Codice Deontologico sottolineano come le prestazioni assistenziali debbano scaturire da competenza abilità ed umanità. Tra le competenze previste per il Laureato specialista in scienze Infermieristiche ed Ostetriche vi è certamente la definizione degli standard di competenza professionale del personale infermieristico nelle specifiche aree assistenziali, il monitoraggio delle criticità presenti nell'organizzazione e la progettazione e realizzazione di percorsi assistenziali per persone con necessità assistenziali ad elevata complessità. Questa tesi nasce dall'esigenza di valutazione dei bisogni formativi del personale infermieristico finalizzata allo sviluppo di competenze specifiche al fine di poter prendere decisioni assistenziali in coerenza con gli aspetti etici legali e deontologici legati alla complessità dei casi.

Il Codice Rosa è un codice virtuale affiancato ai codici di gravità per identificare un percorso di accoglienza al Pronto Soccorso riservato a tutte le vittime di violenza, in particolare donne bambini e persone discriminate sempre con approccio gender sensitive.

Nello studio si cerca di identificare le abilità mancanti per un agire professionale responsabile di fronte alle nuove decisioni legali deontologiche ed etiche che coinvolgono il professionista sanitario nel percorso C.R. e si cerca di descrivere il percorso formativo da intraprendere per soddisfare i bisogni formativi. Secondo Burton (1963) l'apprendimento è un cambiamento finalizzato al soddisfacimento di un bisogno che consente di seguito una migliore interazione con il proprio ambiente. La formazione in ambito sanitario non può prescindere dalla considerazione di quei processi che secondo Knowels (2005) regolano l'apprendimento dell'adulto: la

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motivazione, lo stile di apprendimento,la valorizzazione del background culturale e la riflessione critica sulle esigenze formative. Questa ipotesi tra l'altro mette in discussione la tradizione dell'obbligatorietà dei corsi di formazione. Nella formazione andragogica l'approccio all'istruzione deve essere necessariamente centrato sul discente. Infine nella tesi attraverso l'analisi del percorso C.R.. vengono prese in esame le diverse metodologie didattiche e si fa un excursus sugli aspetti formativi della simulazione in un contesto di apprendimento di nuove competenze per adulti. Attraverso gli scenari simulati si cerca di vincere le resistenze al cambiamento dettate soprattutto dalla poca conoscenza delle nuove procedure del percorso C.R. che vengono percepite da una parte degli operatori sanitari come minacce costituendo una barriera ad un'azione formativa efficace. Il clima disteso ed un atteggiamento di sostegno presente nell'apprendimento simulato dovrebbe promuovere una percezione diversa promuovendo un percorso di apprendimento più incisivo.

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Capitolo 1

ORGANIZZAZIONE REGIONALE DEL CODICE ROSA

1.1 RETE REGIONALE CODICE ROSA

La rete regionale Codice Rosa rappresenta il risultato della messa a regime degli assetti organizzativi necessari all'inserimento di questa tipologia di risposta nel sistema complessivo dell'offerta del SSR, quale evoluzione della fase progettuale avviata nel 2010.

La rete Codice Rosa è costituita da tutti i nodi che concorrono all'erogazione di risposte sanitarie in emergenza e nella successiva e tempestiva presa in carico , per le diverse tipologie di vittime di violenza, tramite percorsi specifici dedicati ai diversi target (violenza di genere, violenza a minori, violenza nei confronti di anziani ed altre fasce di popolazione vulnerabili).

Attraverso gli organismi di governo della rete Codice Rosa viene assicurata la collaborazione con i livelli istituzionali di coordinamento e la partecipazione ai gruppi tecnici già presenti o attivati successivamente in materia.

Il Progetto Codice Rosa nasce nel 2010 nell'Azienda USL 9 di Grosseto come progetto pilota con la finalità di assicurare un più efficace coordinamento tra le diverse istituzioni e competenze per dare una risposta efficace già dall'arrivo della vittima di violenza in Pronto soccorso. Il progetto prevedeva la collaborazione stretta e sinergica tra le Istituzioni, gli Enti e le Associazioni del “Privato Sociale” per lo sviluppo di azioni di prevenzione e contrasto al fenomeno della violenza ed in particolare con i Centri antiviolenza per la violenza di genere. Sono stati così costituiti gruppi operativi interforze (Azienda USL, Procura della Repubblica, Forze dell'ordine) con l'obiettivo di contribuire al tempestivo riconoscimento e all'emersione dei casi di lesioni derivanti da maltrattamenti o abusi commessi da terzi, garantendo contestualmente, nei casi previsti, la rapida attivazione degli Uffici competenti delle Procure della Repubblica.

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Procura Generale della Repubblica di Firenze, da progetto pilota il percorso CR diventa progetto regionale. Il Progetto regionale Codice Rosa, prevede percorsi di accoglienza, cura e tutela delle persone: uomini e donne, adulti e minori, vittime di maltrattamenti e abusi che, per la loro condizione particolarmente vulnerabile, più facilmente possono diventare vittime di persone violente.

Dal gennaio 2012 prende avvio la sperimentazione nelle Aziende sanitarie di Arezzo, Lucca, Prato, Viareggio e Grosseto.

Dal gennaio 2013 il progetto si estende nelle Aziende sanitarie di Pisa, Livorno, Empoli e nelle Aziende ospedaliere universitarie Careggi e Meyer.

Nel gennaio 2014 si completa la diffusione a livello regionale con l'estensione della fase sperimentale alle Aziende sanitarie di Massa e Carrara, Pistoia, Siena, Firenze ed alle Aziende ospedaliere universitarie Pisana e Senese.

1.2 CONTESTO NORMATIVO (riferimenti internazionali,europei,nazionali e regionali)

La “Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne” (CEDAW- Convention Eliminating All Forms of Discrimination Againts Women ) – adottata nel 1979 dall’Assemblea delle Nazioni Unite - rappresenta il principale testo internazionale sui diritti delle donne ed impegna gli Stati a sancire la parità di genere nelle loro legislazioni nazionali, ad adottare misure per eliminare tutte le forme di discriminazione ed a garantire alle donne efficace protezione contro le discriminazioni .

La Quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle donne (Pechino, 1995), segna un passaggio politico e culturale fondamentale, con la proclamazione dei diritti delle donne come diritti umani .

La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica firmata da 30 Stati membri l'11 maggio 2011 a Istanbul e ratificata dall’Italia il 19 giugno 2013, e' il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, ed impone di perseguire i trasgressori, ribadendo ,come una violazione dei diritti umani.,la violenza contro le donne. La Convenzione stabilisce

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un quadro normativo completo e un piano di azioni coordinate, nazionali ed internazionali, nel contrasto al fenomeno e nella presa in carico delle vittime.

Le seguenti direttive europee ed i Decreti Legislativi che le recepiscono, delineano un orizzonte preciso entro il quale si delinea la rete Codice Rosa:

 La direttiva 2011/36/UE relativa alla «prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e della protezione delle vittime» recepita nell’ordinamento italiano con il Decreto Legislativo del 4 marzo 2014 n. 24 entrato in vigore il 28 marzo 2014.

 La direttiva 2011/99/UE «reciproco riconoscimento di misure di protezione adottate a protezione delle vittime» recepita nell’ordinamento italiano con il Decreto Legislativo del 4 marzo 2014 n. 24 entrato in vigore il 28 marzo 2014.

 La direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, emanata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo, ha istituito “norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato” recepita nell’ordinamento italiano con decreto legislativo del 15 dicembre 2015.

 La legge n.119 del 15 ottobre 2013 con la quale viene approvata la- conversione, con modificazioni, del Decreto Legge n.93, emanato dal Governo il 14 agosto - recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”. L’impianto normativo di questa legge, rafforza gli interventi sanzionatori precedenti ed introduce importanti novit - anche nel rispetto dei principi contenuti nella Convenzione di Istanbul sulla prevenzione ed il contrasto della violenza domestica e di genere - adottando specifiche misure di tutela giudiziaria e di sostegno alle vittime; in particolare, si punta sulla prevenzione, sulla condanna dei colpevoli e sulla tutela processuale delle vittime ( protezione e “presa in carico”).

 Legge di Stabilità del 2016 (legge 208/2015) che, ai commi 790 e 791 dell'art.1, contiene riferimenti in materia di contrasto alla violenza e che si ispirano all’esperienza di Codice Rosa della Regione Toscana prevedendo la

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diffusione nazionale istituzionale del Codice Rosa quale “Percorso a tutela delle vittime di violenza, con la finalità di tutelare le persone vittime vulnerabili o vittime della altrui violenza, con particolare riferimento alle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti o stalking”.

 L.R. 59 del 2007 Regione Toscana “Norme contro la violenza di genere” e successiva diffusione delle linee guida allo scopo di favorire la costituzione di una rete di servizi multidisciplinari, diffusa sul territorio regionale, per il sostegno alle donne vittime di violenza, intesa come una grave violazione dei diritti umani fondamentali, che limita la libertà e la vita delle donne e che costituisce un'autentica minaccia per la salute e un ostacolo al godimento del diritto ad una cittadinanza sicura, libera e giusta (L.R. 59/2007).

1.3 CONTESTO REGIONALE DI RIFERIMENTO

L'approvazione della L.R. 84/2015 ha introdotto importanti modifiche organizzative nel SSR toscano con la riduzione da dodici Aziende Sanitarie territoriali a tre Macro Aree e l'istituzione della programmazione di Area Vasta. Di conseguenza è emersa la necessità di rielaborare e revisionare le soluzioni organizzative del Progetto Codice Rosa, in funzione dei nuovi assetti, per continuare a garantire risposte adeguate ai bisogni delle persone vittime di violenze e/o abusi.

Il modello di riferimento con il quale la maggior parte delle organizzazioni sanitarie, a livello nazionale ed internazionale, sta ridisegnando le modalità di risposta per tematiche complesse, in particolare nell'ambito dell'emergenza, è rappresentato dalle reti cliniche.

La Giunta regionale della Toscana con la DGRT 145/2016 ha previsto la costituzione delle reti cliniche tempo-dipendenti. Le reti cliniche assicurano, mediante i nodi che le compongono, tutte le tipologie di risposte sanitarie previste dai percorsi assistenziali dedicati ai diversi bisogni sanitari a cui la rete è rivolta.

In analogia con le reti tempo dipendenti di cui al D. M. 70/2015 (ictus, infarto, politrauma),è stata costituita la Rete regionale Codice Rosa come risposta assistenziale del sistema sanitario regionale, in grado di garantire, attraverso le sue articolazioni, i raccordi con gli altri livelli istituzionali e le associazioni di

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volontariato.

1.4 LA RETE REGIONALE CODICE ROSA

La metodologia del lavoro in rete, che prevede l'individuazione di gruppi multidisciplinari e multiprofessionali con mandati specifici e diversificati per le singole discipline /aree di attività, è stata ritenuta lo strumento adeguato per riorganizzare ed assicurare continuità alla positiva esperienza realizzata con il progetto regionale Codice Rosa e per continuare a contribuire all'emersione del fenomeno della violenza che negli ultimi anni ha visto un incremento sensibile di casi di femminicidi, violenze ed abusi commessi su persone adulte e su minori. Le reti clinico assistenziali costituiscono il modello organizzativo da privilegiare nelle diverse declinazioni ed ai vari livelli per il ridisegno dei servizi del Sistema sanitario Regionale. Tale attività si coniuga e raccorda con quanto approvato dal Tavolo Istituzionale di AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) nella seduta del 1° luglio 2016 che definisce la rete clinica nel modo seguente:

"la rete clinica assistenziale è un modello organizzativo che assicura la presa in carico del paziente mettendo in relazione, con modalità formalizzate e coordinate, professionisti, strutture e servizi che erogano interventi sanitari e socio sanitari di tipologia e livelli diversi nel rispetto della continuità assistenziale e dell'appropriatezza organizzativa. La rete individua i nodi e le relative connessioni definendone le regole di fuzionamento, il sistema di monitoraggio, i requisiti di qualità e sicurezza dei processi e dei percorsi di cura, di qualificazione dei professionisti e delle modalità di coinvolgimento dei cittadini".

Le attività svolte in sede progettuale dal 2010 ad oggi hanno consentito il radicamento di questa modalità di approccio, attualmente diffusa nel territorio regionale, consentendo l'identificazione degli elementi costitutivi che possano consentirne il pieno inserimento a regime come risposta assistenziale del sistema sanitario regionale. A tal fine è stato ritenuto opportuno istituire la rete regionale Codice Rosa quale modalità con la quale assicurare il coordinamento e la piena integrazione delle azioni poste in essere dalle diverse strutture delle aziende sanitarie regionali in modo da consentire un più efficace coordinamento con gli altri soggetti

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indicati al comma 1 dell'art. 3 della L.R. 59/2007 all'interno della rete complessivamente intesa.

La Rete regionale Codice Rosa si connota come una rete tempo dipendente in grado di attivare connessioni tempestive ed efficaci per fornire risposte immediate alle esigenze di cura delle persone vittime di maltrattamenti e/o abusi, per il riconoscimento e la collocazione in tempi rapidi del bisogno espresso all'interno di percorsi sanitari specifici quali: violenza di genere, maltrattamenti e/o abusi su minori, persone anziane, portatori di handicap, persone discriminate sessualmente. Gli obiettivi della rete prevedono di:

• coordinare e mettere in rete le diverse istituzioni e competenze, per fornire una risposta rapida ed efficace già dall'arrivo della vittima in pronto soccorso. • favorire il riconoscimento precoce dei casi di violenza predisponendo

efficienti percorsi dedicati

• dare continuità alle azioni successive al momento di cura erogate nelle strutture di pronto soccorso con la successiva presa in carico territoriale in base alle valutazioni sulla necessita' di tutela e protezione

• garantire omogeneità di intervento sull'intero territorio regionale. 1.4.1 Struttura organizzativa della rete regionale codice rosa

La rete regionale si articola nei seguenti livelli decisionali ed operativi che agiscono in modo sinergico e sono finalizzati ad assicurare lo sviluppo di risposte coordinate, efficaci e omogenee sull'intero territorio regionale:

1. Responsabile della Rete regionale Codice Rosa 2. Comitato regionale Codice Rosa

3. Comitato di Area Vasta Codice Rosa 4. Rete aziendale Codice Rosa

1. Responsabile della rete regionale codice rosa

Il responsabile della Rete regionale, scelto tra figure professionali in possesso di specifiche competenze in materia, ed al quale viene attribuito il coordinamento complessivo della rete, è individuato nell’ambito del Comitato Operativo di cui all’articolo 9 ter comma 4 L. R. 40/2005 e nominato con decreto del Direttore della

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Direzione Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale.

2. Comitato regionale codice rosa

Assicura la funzione strategica di coordinamento e monitoraggio della Rete regionale Codice Rosa ed è composto da:

 il responsabile della rete Codice Rosa con funzioni di coordinamento  i responsabili aziendali Codice Rosa

 il coordinatore dello Sportello GAIA (Abuso Infanzia e Adolescenza) – Meyer

 il responsabile del Centro di Riferimento Regionale Violenza – AOUC  i coordinatori dei Comitati di Area Vasta;

 i dirigenti dei settori regionali coinvolti della Direzione Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale

 i funzionari regionali della Direzione Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale competenti in materia

In particolare il Comitato assicura le seguenti funzioni:

o elabora proposte e fornisce indirizzi ai nodi della rete Codice Rosa in tema di prevenzione, assistenza e protezione delle vittime di violenza, in particolare delle fasce a rischio di maggiore vulnerabilità, mediante il Gruppo Gaia per quanto attiene le azioni rivolte ai minori;

o definisce e condivide con i responsabili delle reti aziendali Codice Rosa il piano annuale delle attività per il miglioramento continuo delle risposte erogate

o verifica con cadenza trimestrale il raggiungimento degli obiettivi e coordina le azioni e le iniziative poste in essere dalle strutture aziendali al fine di realizzare un sistema a rete in grado di promuovere e garantire lo sviluppo omogeneo del Codice Rosa su tutto il territorio regionale;

o assicura lo sviluppo di programmi di formazione “continua” di livello regionale, per promuovere l’acquisizione ed il mantenimento di competenze adeguate tra gli operatori ed i responsabili organizzativi, trattando il tema del Codice Rosa anche in un'ottica di genere;

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operatori sanitari nei confronti della violenza, al fine di garantire uniformità di approccio diagnostico, valutativo e terapeutico . Sviluppa standard organizzativi, professionali e tecnologici da integrare nel sistema di accreditamento istituzionale.

o riceve dal Comitato Tecnico Organizzativo Aziendale i dati di attività Codice Rosa e ne cura l'elaborazione a livello regionale.

o promuove l'instaurarsi di forme di collaborazione attiva con altri enti e istituzioni regionali, nazionali e internazionali per quanto sopraesposto e per sviluppare nuove progettualità in materia.

3. Comitato di area vasta rete codice rosa

Al Comitato di Area Vasta è affidata la programmazione complessiva, coerente con i bisogni dell'Area Vasta, dell'offerta sanitaria della rete, ed il monitoraggio del funzionamento della rete a livello di Area vasta. Il Comitato è costituito da:

 Direttore Sanitario AUSL  Direttore Sanitario AOU

 Direttore dei Servizi Sociali AUSL

 Responsabili AUSL e AOU Rete aziendale Codice Rosa  Direttore della programmazione di AV

Il Comitato cura la collaborazione con la Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello, nonché con gli altri Uffici giudiziari requirenti del distretto in particolare per la costruzione e condivisione delle procedure socio sanitarie Codice Rosa, in relazione agli aspetti giuridico-forensi.

Il Direttore della programmazione di Area Vasta, sentiti i Direttori Generali AUSL e AOU, nomina un responsabile scelto tra figure professionali in possesso di specifiche competenze in materia.

In particolare il Comitato di Area Vasta assicura le seguenti funzioni:

• cura la definizione e l'approvazione dei protocolli di collaborazione interaziendale

• elabora le proposte di atti programmatori di Area Vasta in recepimento degli indirizzi regionali

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• pianifica e monitora a livello di Area Vasta il buon funzionamento della rete, anche in relazione all'offerta di risposte territoriali per la presa in carico • riceve dal Comitato Tecnico Organizzativo Aziendale i dati di attività e li

monitora con cadenza trimestrale

• progetta e cura l'organizzazione di percorsi formativi interistituzionali.

4. Rete aziendale codice rosa

La rete Aziendale CR è introdotta al fine di assicurare la massima efficacia degli interventi sanitari rivolti alle vittime di violenza la Regione Toscana assicura, su tutto il territorio regionale, percorsi assistenziali integrati e pianifica le iniziative di formazione a livello Aziendale.

1.5 IL CODICE ROSA NELLA TOSCANA CENTRO: I RISULTATI DELLA RILEVAZIONE

La rilevazione dei dati relativi al percorso CR poggia su sistemi operativi diversi e presenta nodi critici che rendono complesso l’obiettivo di avere dati di lettura omogenei. Di fatto nella maggioranza dei casi la rilevazione avviene su scheda cartacea trasmessa alla Regione Toscana. Volendo tracciare il dato dell’Azienda Toscana Centro nel 2016 si registra un numero totale di 824 adulti di cui 18 abusi sessuali (il 31% del totale regionale) e un numero di 122 minori di cui 7 abusi sessuali (il 28% del totale regionale). Se a questo dato si somma anche quello dell’Azienda Ospedaliera di Careggi si raggiungono n. 1029 casi che costituiscono il 40% del totale regionale. Per i minori il dato è ancora più significativo: con le A.O. di Careggi e del Mayer si raggiungono n. 231 casi che costituiscono il 54% del totale regionale. I dati rilevati dal CR confermano il Mayer come l'ospedale con maggior numero di minori trattati sia all’interno della macroarea Toscana centro che a livello regionale. Più in generale la lettura del dato evidenzia che l’ambito territoriale della Toscana Centro contribuisce in modo incisivo all’emersione del fenomeno della violenza a livello regionale.

Il dato sull’attivazione del Servizio sociale in PS, per più ordini di fattori non è tracciato, né da chi attiva (PS) nè da chi è attivato (servizio sociale), e questo limita anche la possibilità di una lettura del processo. I dati a disposizione hanno scarso livello di attendibilità e richiamano la necessità di avviare un processo di

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sistematizzazione della rilevazione dei casi di maltrattamento/abuso trattati dal servizio sociale nei vari percorsi compreso appunto quello del CR.

1.6 L'ORGANIZZAZIONE E LA PRASSI DEI PERCORSI CODICE ROSA Quasi tutti i PS si sono dotati di una procedura interna. Nella maggioranza dei casi non sono procedure deliberate e ricalcano il protocollo di Grosseto. Fa eccezione la Valdinievole che si è dotata di protocolli operativi formalizzati. Non sempre gli atti di adesione alla sperimentazione regionale CR contengono la composizione del gruppo operativo che dovrebbe attivarsi nelle primissime fasi di intervento dentro il PS e anche quando individuato, (come nel caso di Empoli), non emergono modalità strutturate e definite funzionali a garantire un approccio multidisciplinare integrato. 1.6.1 Analisi delle connessioni tra il percorso c.r. e gli altri servizi

Nella maggioranza dei percorsi CR l’attivazione del servizio sociale non si basa su una procedura formalizzata e quindi non sono codificati i criteri con cui si procede sia nella fase di emergenza in PS, sia nella fase successiva di presa in carico. Fa eccezione la Valdinievole che ha deliberato una procedura che regolamenta la tipologia di casi e i criteri per l’attivazione del servizio sociale. Prato, Empoli e Pistoia hanno avviato percorsi per la definizione di procedure e prodotto bozze di documenti. In assenza di procedure codificate si rilevano prassi differenziate e un'organizzazione che spesso si sviluppa su base “compensativa”. Chi attiva: in generale sono gli operatori sanitari in turno. Si rileva che il Servizio Sociale, che non ha una reperibilità, di norma è poco attivato nella fase di emergenza, mentre molto spesso, interviene nella fase successiva cioè nelle 48/72 ore successive all’intervento in PS. Fa eccezione Empoli per la specificità organizzativa del SEUS.

Gli operatori attivati in qualità di referenti del codice rosa hanno in quasi tutti i casi svolto adeguata formazione, che si ritiene opportuno aggiornare e qualificare. In assenza di procedure codificate, emerge che il SS viene attivato prevalentemente per i minori e nei casi in cui si rende necessaria l’attivazione di un progetto di protezione.

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Tutti i presidi hanno un Servizio Sociale ospedaliero di riferimento escluso la Valdinievole. In quasi tutti i casi si tratta di una proiezione del SS territoriale in ospedale, tranne Firenze dove il servizio sociale è organizzato e strutturato in ambito ospedaliero. I principali compiti sono la valutazione multidimensionale del bisogno e le dimissioni complesse.

I casi di violenza intercettati direttamente dal consultorio appaiono limitati. Uno dei motivi risiede nel fatto che in quasi tutti i consultori si accede solo su appuntamento tramite CUP e non sono previste forme di accesso libero.

Anche il coinvolgimento del servizio di psicologia, come quello del servizio sociale, non è quasi mai regolamentato e la mancanza di reperibilità ne limita il ricorso ai casi in cui uno psicologo è presente nel presidio ospedaliero. In alcuni casi (Pistoia e Valdinievole) la funzione è svolta dal Responsabile Codice Rosa in quanto psicologhe.

1.6.2 Le forme di collaborazione con la procura

Le Procure cui la Asl Toscana Centro fa riferimento sono 4: Firenze, Pistoia, Prato e Pisa (Valdarno). In molte realtà è stato approvato lo schema di protocollo di intesa tra la RT e la Procura, ma si attesta sul livello della dichiarazione di intenti con un rinvio, alla definizione di successivi protocolli operativi, spesso non ancora formalizzati. Fa eccezione la Valdinievole che ha due protocolli: “Protocollo d’intesa per la prevenzione repressione e trattamento degli abusi sui minori e dei reati contro le cosiddette fasce deboli “ e “Protocollo d’intesa per la Costituzione di una Task Force interistituzionale per la promozione di strategie condivise finalizzate alla prevenzione e al contrasto del fenomeno della violenza nei confronti delle fasce deboli. Procedura operativa Percorso Rosa “ . A Prato Pistoia e Valdinievole emergono forme strutturate di collaborazione, riunioni operative che sono molto funzionali a verificare le prassi operative e il livello di coordinamento tra i vari soggetti.

La valutazione del rischio viene svolta in prima battuta dagli operatori del PS. Non sempre viene usato uno strumento standardizzato. In alcuni PS si usa una scheda che è parte integrante della cartella multidisciplinare. In altre aree si ricorre ad una serie di domande che rilevano una “autovalutazione della vittima” rispetto alla percezione

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del livello di rischio.

La definizione dei progetti di protezione nella fase di emergenza seguono sostanzialmente due strade:

1. il ricovero legato ad una prognosi o ad un percorso cautelativa 2. l’attivazione del SS.

Tutte le donne incinte, i minori maltrattati o vittime di abuso vengono ricoverati . L'attivazione del progetto di protezione si realizza con diversi iter: in forma diretta dagli operatori del PS, nell'ambito di una convenzione con alcune strutture (Prato), oppure, nella maggioranza dei casi, attraverso l'attivazione del servizio sociale.

1.6.3. Analisi della situazione operativa In sintesi dalla rilevazione emergono:

o ampia eterogeneità organizzativa del percorso del CR che associata alla mancanza di procedure formalizzate esita in una modalità operativa “compensativa”, spesso incentrata sulle figure dei responsabili del CR.;

o mancanza/carenza di un sistema di rilevazione/circolazione dei dati di attività del CR che impedisce di fatto una valutazione del processo di gestione; o mancata definizione del ruolo del servizio sociale nel CR.

La varietà di esperienze non consente ad oggi di enucleare un modello di intervento omogeneo in grado di attribuire un ruolo “proprio” (ovvero che non sia di sostituzione a competenze di altri soggetti) e funzionale (ovvero che sia in grado di intervenire nei tempi e nelle modalità congrue). Sono stati individuati come obiettivi prioritari la codifica e formalizzazione di procedure per la gestione dell’alto livello di complessit del setting Codice Rosa, la costruzione di un “modello di intervento del servizio sociale” che riconduca a sintesi le diverse esperienze. Per sviluppare tale percorso si rende necessario affrontare alcuni nodi critici come la definizione della fase del percorso CR in cui si attiva il servizio sociale. È necessario stabilire se il S.S., come componente del “nucleo di primo intervento” del CR debba essere attivato gi nella fase di accoglienza al PS. L’ampia eterogeneit della prassi non consente di trovare una risposta univoca, mentre appare evidente e condiviso che la presenza del servizio sociale nella prima fase dell’accoglienza in PS, non possa

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prescindere dalla creazione di un servizio attivabile in emergenza/urgenza h 24 sulla base dell’esperienza di Empoli.

o mancata individuazione/formalizzazione delle convenzioni con le strutture di accoglienza per la realizzazione dei progetti di protezione CR. L’esperienza dimostra che laddove esiste una rete di servizi formalizzata rende più efficiente il percorso.

Per quanto concerne i rapporti con l'autorità giudiziaria si rileva l’assenza sia di protocolli operativi con le 4 Procure sia di prassi operative condivise. I Protocolli che sono stati deliberati, non vanno oltre le dichiarazioni di intenti e rinviano alla stesura di procedure che, tuttavia, come si evince dall'analisi eseguita fanno emergere diverse criticità sia a livello organizzativo che formativo. Tuttavia mentre alcune problematiche ( eterogeneità dei flussi dati informatizzati, dei percorsi diagnostico terapeutici, dei rapporti con le autorità giudiziarie e delle modalità di attivazione del servizio sociale) necessitano assolutamente di una risposta univoca ed interdisciplinare a livello di macro- area l''aspetto formativo degli operatori sanitari può trovare risposte anche a livello aziendale.

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Capitolo 2

LA FORMAZIONE AZIENDALE SUL PERCORSO CODICE

ROSA

2.1 ANALISI DELLA FORMAZIONE ALLO STATO ATTUALE

La mia tesi cerca di affrontare in modo specifico l'analisi del percorso formativo sul Codice Rosa degli operatori sanitari cercando là dove possibile di ovviare alle criticità emerse e monitorando l'impatto della formazione sulla qualità dell'assistenza e sui cambiamenti organizzativi..La formazione è certamente lo strumento essenziale per promuovere le conoscenze,condividere le procedure operative,sviluppare la collaborazione e la motivazione all'interno dei gruppi operativi. L'attività formativa, progettata su tematiche specifiche, attualmente viene garantita con continuità a livello regionale ed aziendale ma è rivolta specificatamente ed esclusivamente al personale dei gruppi operativi. E' necessario proseguire e sviluppare l'attività formativa già avviata con i corsi regionali rivolti ai componenti dei gruppi operativi , assicurando la continuità della formazione anche a livello aziendale. E' opportuno progettare realizzare e valutare interventi formativi che meglio si adattino al contesto, alle esperienze ed alla pregressa formazione degli operatori sanitari inseriti nella rete del Codice Rosa. Sarebbe opportuno identificare sistemi di monitoraggio degli standard assistenziali e verificare la corretta applicazione degli stessi per garantire un miglioramento e uno sviluppo continuo delle competenze del gruppo e della qualità dell'assistenza erogata. Ho cercato di approfondire ed analizzare criticamente le problematiche formative che ci vedono coinvolti come professionisti e nel rispetto dei risultati e dell'analisi , ho proposto di integrare l'attuale formazione con metodologie didattiche finalizzate al miglioramento della performance assistenziale in situazioni complesse e che richiedono interventi multidisciplinari ed un'elevata integrazione socio sanitaria. La metodologia didattica che secondo me meglio si adatta al contesto attuale è certamente la simulazione.

Nella didattica tradizionale la modalit prevalente con cui viene esercitata l’attivit di insegnamento è costituita dalla lezione frontale in cui il docente espone verbalmente i principali contenuti di un determinato argomento.

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Tale metodologia presenta, insieme ad alcuni pregi (è il metodo didattico in assoluto più efficiente, che consente di trattare un elevato numero di argomenti in un tempo molto più contenuto rispetto agli altri strumenti didattici e, nel caso di gruppi molto numerosi, può essere l'unico strumento impiegabile), presenta anche numerosi aspetti critici.

La lezione frontale è infatti caratterizzata da:

• verticalità della comunicazione: la comunicazione é asimmetrica dall'alto verso il basso, con poche possibilità, da parte di chi ascolta, di intervento o di dialogo. Va considerato che questo tipo di comunicazione risulta sempre più anacronistico in un mondo in cui le potenzialità offerte dalla comunicazione telematica e dalle reti permettono nuove forme di aggregazione e partecipazione virtuale all'interno delle quali la comunicazione si svolge in modo circolare e tutti i soggetti possono essere di volta in volta emittenti o destinatari.

• passività dei destinatari: è legata ad una concezione dell'apprendimento che privilegia il trasferimento del sapere da parte del docente piuttosto che la costruzione e l'organizzazione attiva delle conoscenze da parte dell'allievo; • eccessiva dipendenza della lezione dalle competenze del docente: risulta

essere troppo legata alla soggettività del docente, alle sue caratteristiche personali, alle sue conoscenze, alla sua capacità di chiarezza espositiva e didattica;

• difficoltà nel differenziare il contributo didattico: non riconosce e non valorizza le caratteristiche personali, gli stili cognitivi, le diverse intelligenze presenti nel gruppo.

• tendenza a privilegiare la comunicazione verbale rispetto ad altri codici comunicativi: i supporti audiovisivi hanno assunto un ruolo fondamentale nella nostra società e il loro contributo è importante anche come ausilio per una formazione efficace.

• riferimento al solo del “gruppo classe” escludendo altre possibili aggregazioni: lavoro in coppia, tutoring, cooperative learning.

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impiegate per l’acquisizione delle conoscenze teoriche mediante uno stile di apprendimento basato su modelli. Sono quindi in generale uno strumento suggerito nei casi in cui i partecipanti all’attivit formativa siano sprovvisti di elementi conoscitivi rispetto al contenuto trattato. Come abbiamo visto presentano però anche numerosi inconvenienti e per quanto riguarda i risultati dell'apprendimento si riscontrano spesso svantaggi quali una scarsa memorizzazione dei concetti che, per il fatto di venire solo ascoltati, risultano labili nel tempo e poco assimilati nella sostanza; una rapida caduta del livello di attenzione, derivante dalla fatica insita nell'ascoltare; una scarsa efficacia quando invece che conoscenze teoriche si vogliano far apprendere capacità applicative. Non si riesce a insegnare quel "saper fare", che nella formazione degli adulti è spesso la competenza che interessa di più. In questi casi la necessità di diversificare e personalizzare gli apprendimenti, per rendere il processo di insegnamento più attento alle differenze individuali e per offrire a tutti i soggetti non solo una migliore acquisizione dei contenuti proposti, ma anche una maggiore motivazione e partecipazione e quindi una più pronta capacità e volontà di utilizzare le nozioni e le abilità apprese, richiede l'implementazione di altre metodologie didattiche.

Non è solo esponendo nozioni infatti che si riesce ad ottenere un buon risultato: per poter aumentare le probabilità di raggiungere una effettiva acquisizione delle conoscenze trasmesse, l'apprendimento può essere meglio realizzato affiancando alla lezione attività fatte di esercitazioni o casi.

2.2 LA FORMAZIONE DEL PERSONALE SANITARIO ATTRAVERSO LA SIMULAZIONE

Per impostare un’attivit educativa che integri apprendimento, motivazione, collaborazione e metacognizione è quindi senz'altro utile far riferimento alle esperienze di simulazione.

La formazione infermieristica, da una decina di anni, sta sperimentando nuove strategie di apprendimento da affiancare alle tradizionali metodologie didattiche. Nel campo dei metodi formativi,in particolare nella formazione degli adulti,lo studio approfondito dell'andragogia sta dando molti spunti alla ricerca di metodologie

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didattiche maggiormente conformi a questa fascia di età .La simulazione sta vivendo una rapida espansione riconducibile da una parte alle continue sfide imposte dall'evoluzione del mondo sanitario, dall'altra dalle necessità di soddisfare le nuove esigenze di apprendimento.

Il proliferare in modo esponenziale di nuove conoscenze e tecnologie,così come i cambiamenti delle prestazioni sanitarie erogate,impongono una continua integrazione anche nella formazione infermieristica. Le tecniche di apprendimento attivo cosi' come le possibilita' di apprendimento interprofessionale sono state sottolineate come essenziali nella formazione indirizzata ai professionisti della salute. Dal 2002 la Health resource and service administration HRSA raccomanda la simulazione come metodologia didattica in grado di attuare strategie educative basate su evidenze e strategie innovative in grado di integrare le esperienze cliniche e portare all'acquisizione di competenze. Hilgard considera l'apprendimento come ogni modificazione relativamente permanente del comportamento che ha luogo per effetto dell'esperienza. Tuttavia la simulazione come metodologia didattica non preclude il sapere a totale vantaggio del saper fare, ma considera tutto come un'unica conoscenza che include concetti, esperienze, capacità motorie,emozionali, riflessive. La formazione nell'ambito del Codice Rosa fin ad oggi è rimasta legata a un'ottica di Accademismo dove le lezioni frontali o metodiche simili hanno sempre avuto un'importanza predominante , con l'attenzione rivolta a metodiche educative nelle quali il docente era l'unico depositario della conoscenza, lasciando da parte le metodologie della corrente dell'Attivismo.

John Dewey (1949) filosofo attivista,sostiene che l'esperienza plasmi l'individuo,indirizzando la persona ad imboccare una strada che consenta la nascita e la crescita di abitudini sicuramente intellettuali ma anche emotive.

Zannini a proposito di formazione vede un discente partecipe ,attivo e protagonista della propria formazione.Anche il Prof. Werner Wiater afferma l'efficacia dell'apprendimento basato sull'esperienza. Ogni studente opera sul proprio apprendimento facendo esperienza direttamente su di se.La persona durante la simulazione apprende in modo attivo,coinvolgendo tutti i sensi in base agli stimoli didattici che vengono messi a disposizione o che sono presenti nel suo ambiente di

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apprendimento. Anche Novack e Gowin puntano l'attenzione sull'individuo,assicurando che l'apprendimento possa essere più efficace di quanto si pensi se si abbandona il concetto obsoleto che l'apprendimento stesso debba essere definito in un'ottica comportamentista,come cambiamento del comportamento,rifiutando qualsiasi implicazione del Se, di quello che caratterizza una persona in quanto a sentimenti emozioni motivazioni. Una tipologia di formazione così centrata sul discente non può che essere adatta a tutti quei contesti in cui è proprio l'adulto ad essere in formazione avvicinandoci ad un concetto di andragogia come teoria dell'apprendimento. Eloquente è l'affermazione di Riccardo Massa (1997) quando scrive che "....proprio in ragione di tale peculiarità conclamata...assumere la specificita' dell'adulto in quanto partner nei processi di insegnamento-apprendimento",evitando di inserirlo in gabbie formative pensate per altre eta' della vita in riferimento a specifici e differenziati bisogni formativi.

Sempre in riferimento alla simulazione come metodologia didattica andragogica va sottolineato il concetto del "professionista riflessivo"di Schon che da un grande rilievo alla riflessione quale "passaggio intermedio" tra esperienza e conoscenza. Non può perciò esistere un apprendimento e conseguentemente un agire professionale che escluda la riflessione. Per rientrare nell'ambito della simulazione su tematiche inerenti il Codice Rosa, la preparazione dei professionisti non si può limitare al raggiungimento di determinate abilità ben visibili ma altamente scomponibili e quindi non caratterizzanti una professione. E' proprio il riflettere che riporta indietro all'esperienza per analizzarla nelle sue diverse componenti (cognitive affettive) per convertirla in vissuto e trasformarla in apprendimento,attraverso la costruzione di un significato. La riflessione e' il passaggio che permette il salto di qualità ed e' attraverso di essa che le semplici conoscenze e abilità iniziano a trasformarsi in competenze. Il modello della circolarità della riflessione adottato da Schon e rielaborato da Zannini viene ripreso da White ed Ewan ed adattato alle professioni sanitarie. Questi autori propongono la formazione dell'infermiere rivolta all'apprendimento secondo il modello del ciclo dell'apprendimento clinico, configurando uno schema più specifico dove briefing e debriefing, sono essi stessi fasi obbligate che precedono e seguono l'attività clinica. Non si può fare a meno di

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notare che il debriefing sia una parte fondamentale della simulazione,in quanto è proprio la riflessione sull'esperienza vissuta che da spinta all'apprendimento.

Il successo dell'apprendimento dipende inoltre dalla disponibilità e dalla capacità di rapportarsi ai compiti didattici in modo attivo e responsabile. Il progetto Codice Rosa nasce solo nell'anno 2009 a Grosseto e pertanto impatta con una tipologia di professionisti della sanità molto variegata e diversificata sia per età che per background formativo. Difatti la formazione infermieristica in Italia si e' contraddistinta per un lungo cammino normativo e culturale in costante divenire. Esplicativo di questo processo e' la serie di titoli di studio che si sono susseguiti negli anni: Diploma di Scuola Regionale per Infermieri (DPR 10/1972); Diploma Universitario in Scienze Infermieristiche (Legge 341/1990); Diploma Universitario in Infermieristica (DM 24/1996) e solo con la legge 509/1999 il sistema universitario italiano ha adeguato i propri percorsi formativi alle indicazioni contenute nell'European Qualification Framework for the European Higher Educational Area. Tra le metodologie,da affiancare all'iter formativo regionale, che ritengo siano efficaci per implementare le competenze infermieristiche sul trattamento del Codice Rosa certamente la simulazione riveste un ruolo primario soprattutto per il target di professionisti coinvolto in questo specifico percorso formativo. Con cio' non si vuole assolutamente sottovalutare l'importanza dei corsi regionali ed aziendali basati essenzialmente su lezioni frontali con ausilio di slide in quanto il valore intrinseco della simulazione è strettamente connesso alle conoscenze teoriche,cognitive deontologiche che muovono l'agire infermieristico,poichè il professionista sanitario lavora per ricostruire l'equilibrio armonico del paziente nella sua totalità,e non nella visione del singolo bisogno assistenziale. Al momento della dimostrazione pratica il bagaglio di conoscenze specifiche per il professionista sanitario non può essere sommario, se così non fosse la simulazione si tramuterebbe in una riproduzione meccanica di prestazioni assistenziali, che poco rispecchierebbero la visione dell'operatore nell'ottica del professionista intellettuale. Ciò che differenzia l'operato professionale di un infermiere da quello di qualsiasi altra professione è infatti la sua vicinanza ai pazienti,dei quali diventa promotore del miglioramento continuo assistenziale; questi sono gli ambiti in cui la formazione teorica funge da fondamento

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strutturale, per una professionalità intellettuale, pratica, gestuale e comportamentale, che grazie alla simulazione possiamo approfondire.

Dagli anni ’90 in poi e grazie al contributo di diverse professioni sanitarie, nelle facoltà di medicina sono aumentate le esperienze di formazione in situazioni simulate per costruire abilità, conoscenze e atteggiamenti negli studenti che sono in formazione. La simulazione utilizza contesti controllati che, mentre riproducono o evocano aspetti sostanziali dei contesti clinici reali, proteggono il paziente da inutili errori. Dal punto di vista dell’apprendimento il contesto simulato consente di sviluppare il pensiero critico, le capacità decisionali, le abilità tecniche e comunicative. Come tutti gli ambienti protetti, la simulazione permette agli studenti di apprendere nuove procedure, di affinare le proprie competenze prima di essere esposti alla cura reale del paziente e soprattutto di condividere la responsabilità del proprio agire nella presa in carico.

Gli elementi distintivi che la contraddistinguono fanno riferimento a fattori riferibili alla possibilit di: feedback immediato durante l’apprendimento; esercitazioni ripetute; realizzazione di esperienze lungo tutto il percorso curriculare; sperimentazione di crescenti livelli di difficolt di performance; diversificazione delle situazioni cliniche (Issenberg et al., 2005). Va sottolineato che le esperienze di apprendimento basate su un feedback di qualità sono profonde e generalmente riconosciute come in grado di rallentare la perdita delle competenze acquisite.

La simulazione, oltre a essere una modalit di formazione utile nell’ambito delle specifiche professioni, può costituire un’opportunit di avvio, implementazione e miglioramento anche della formazione interprofessionale per sviluppare la pratica collaborativa. Lo scenario simulato, infatti, ha il vantaggio di esporre gli studenti ai saperi, le abilità, le modalità di ragionamento clinico di professionisti al di fuori del proprio profilo professionale, avendo dunque la possibilit di iniziare ad apprezzare il contributo che ogni membro del team può dare nella presa in carico del paziente (Jeffries et al., 2008).

Nel 2011, la Society for Simulation in Healthcare (SSH) e la National League for Nursing (NLN) hanno identificato la simulazione come un’occasione per migliorare

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la formazione interprofessionale attraverso l’uso di un’ampia gamma di metodologie e tecniche volte a sviluppare soprattutto abilità comunicativo-relazionali, team working, fiducia e collaborazione, considerate parole chiave per promuovere il clima di collaborazione alla base dell’approccio interprofessionale.

Salas ha identificato un modello di competenze al team working in cui sono presenti tutte le componenti che concorrono a sviluppare una buona comunicazione e coordinamento tra i membri del gruppo (Salas et al., 2005). Queste competenze rappresentano a tutti gli effetti le competenze alla base della pratica collaborativa, che come abbiamo visto si fondano sull’interdipendenza positiva.

Salas e colleghi individuano nel training simulato al team working il contesto di apprendimento più adatto per sviluppare sia competenze legate alla performance (cosa si deve fare) sia competenze legate ai processi (come si raggiunge l’obiettivo). Il dispositivo della simulazione, infatti, permette ai partecipanti di ricevere un feedback costruttivo e orientato al miglioramento della performance oltre che dare al gruppo l’opportunit di sperimentare in un setting protetto le competenze interpersonali richieste nel team working, acquisire maggiore esperienza e apprendere dai propri errori . Al termine di uno scenario di simulazione,i discenti esaminano gli errori commessi sia da un punto di vista etico ma anche seguendo strategie di analisi degli errori attraverso la riflessione partecipativa. La discussione partecipativa completa l'esperienza di apprendimento in maniera positiva e forma un professionista sanitario in grado di discutere di argomenti in ambito clinico accettando e/o negoziando il punto di vista di un altro.

La letteratura mette in luce che i maggiori ostacoli alla pratica collaborativa siano legati a fattori quali: ambiguità nella gestione dei ruoli, tensioni legate alla gerarchia tra diversi profili professionali (medici e infermieri per esempio), differenze di genere, culturali, educative e sociali. L’ambiguità nei ruoli è spesso legata ad una confusione nella valutazione delle reciproche competenze e nella incapacità di riconoscere i limiti di responsabilità e di azione reciproche. Questa confusione può essere legata ad aspettative che un membro del gruppo può avere sull’altro, oppure da aspetti interpersonali che influenzano la funzionalit stessa dei ruoli, per cui pur riconoscendo le reciproche aspettative subentrano fattori personali che impediscono

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il buon funzionamento dei ruoli.

Spesso professionisti competenti e molto abili da un punto di vista tecnico sono poco inclini al lavoro di squadra e posti all’interno di un team hanno difficolt ad integrarsi , collaborare, , condividere, ed abbandonare una visione individualistica del risultato. Molti degli aspetti che impediscono un lavoro sinergico nel gruppo sono legati fondamentalmente alla comunicazione interpersonale e alla leadership e possono essere risolti solo attraverso una comunicazione aperta e attraverso processi di condivisione dei reciproci saperi e abilità. In questo senso la simulazione e il successivo debriefing offrono un contesto concreto in cui fare esperienza del contributo che ciascun profilo professionale porta nella gestione di un problema clinico assistenziale.

Questo è il motivo per il quale la letteratura auspica che la formazione interprofessionale sia inserita già nella formazione di base, dove per esempio medici e infermieri, ma anche altri profili professionali, vengono formati secondo quadri teorici, valori e credenze specifiche e slegate tra loro, influenzando in modo implicito diverse priorit e obiettivi di cura al paziente. L’introduzione di una formazione interprofessionale e di collaborative learning potrebbe in questo senso contribuire a far decrescere il divario culturale e valoriale tra professionalit diverse, al fine di promuovere una cultura della collaborazione basata sulla conoscenza reciproca dei valori alla base del proprio agire professionale (Jeffries et al., 2008), aiutando non da ultimo i futuri professionisti a condividere l’unico scopo comune del proprio agire professionale, ovvero la centralità del paziente nel processo di cura.

2.3 ESPERIENZE DI FORMAZIONE CON SIMULAZIONE

In letteratura vengono riportati molti esempi di simulazione per la costruzione di competenze interprofessionali (Rosen et al., 2008a,b; Shapiro et al., 2008; Salas et al., 2009; Rosen et al., 2010; Weaver et al., 2010a,b,c,d). Si tratta di esperienze che non si discostano dalle esperienze di simulazione sviluppate per altri obiettivi e contesti formativi,o (Motola et al., 2013). Le componenti chiave per realizzare programmi di formazione interprofessionale con simulazione ripercorrono le stesse strade di ogni buona progettazione didattica e sono state così sintetizzate da Salas (Salas et al.,

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2008):

1. identificare le necessit formative in termini di interprofessionalit come un punto di riferimento per la progettazione della simulazione (per esempio il crew resource management CRM, il team building ) così da orientare i contenuti dell’intervento. Questa fase è molto importante e deve tener conto delle esigenze e aspettative dell’organizzazione;

2. progettare obiettivi congruenti con i bisogni riscontrati;

3. ispirare tutto il processo ai risultati attesi dalla formazione interprofessionale in termini di conoscenze, abilità e attitudini e alle risorse a disposizione per la didattica. In sostanza prestare particolare attenzione alle risorse disponibili; 4. offrire agli studenti una pratica guidata. Una strategia vincente in queste

senso è quella di abbinare metodi tradizionali come le lezioni con dimostrazioni sul campo e simulazioni;

5. creare un ambiente di apprendimento realistico,

6. prevedere sempre il debriefing che deve essere descrittivo( ovvero basarsi su fatti osservati), tempestivo (durante o immediatamente dopo la simulazione) e pertinente (legato agli obiettivi definiti in sede di briefing);

7. .ampliare la valutazione ai risultati clinici, ai comportamenti e ai risultati di apprendimento;

8. sostenere e rinforzare i comportamenti interprofessionali desiderati attraverso il coaching e la valutazione delle prestazioni.

Salas e colleghi sollecitano affinchè l’implementazione di percorsi di simulazione per il team working s’innestino in contesti in cui è gi presente una cultura al lavoro di gruppo e che la formazione preveda una progressione di complessità; per esempio è più facile che un novizio che non ha esperienza di team working si senta inizialmente spaesato, mentre sicuramente uno studente degli anni più avanzati oppure un professionista esperto abbia necessità di una casistica più complessa.

Nel 2004 presso la Rosalind Franklin University of Medicine di Chicago sono stati istituiti due corsi: per implementare le competenze interprofessionali.

A differenza di quanto comunemente creduto,le competenze non tecniche non vengono automaticamente acquisite con l'esperienza in tutti gli operatori sanitari ed

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obiettivo formativo del progetto è l'integrazione di “Non Technical Skills”.

Le esperienze simulate hanno tra gli obiettivi formativi l’apprendimento delle seguenti competenze interprofessionali:

1. rispettare i ruoli e gli approcci ai problemi clinici e sociali del proprio profilo e di quello delle altre discipline;

2. consultarsi con altri professionisti quando la situazione esce dai propri ambiti di competenza;

3. collaborare efficacemente con le altre figure professionali nelle fasi di valutazione, pianificazione, erogazione e monitoraggio della cura con la finalità di ottimizzare i risultai sul paziente;

4. collaborare con le altre figure professionali in diversi contesti e setting; 5. proporre agli altri membri del team problemi o preoccupazioni che possono

mettere a repentaglio i risultati sul paziente;

6. dimostrare capacità di raccogliere consenso e appropriate abilità di negoziazione e gestione del conflitto;

7. soddisfare i ruoli di leader designato o situazionale;

8. aiutare nell’identificare e superare barriere nella collaborazione interprofessionale.

2.3.1. Fattori ostacolanti e/o favorenti lo sviluppo della formazione interprofessionale e dei programmi di simulazione.

Nonostante l’importanza che la simulazione riveste per la formazione interprofessionale, ci sono diverse questioni che costituiscono barriere effettive al suo pieno sviluppo e diffusione. Le difficolt si ravvisano in alcuni elementi caratterizzanti quali: l’eterogeneità dei ruoli e delle competenze chiamate in gioco con la conseguente complessit di analisi dei bisogni formativi; l’affidabilit degli strumenti valutativi con cui fornire un feedback diagnostico e correttivo.

In sintesi la simulazione è una metodologia complessa e articolata per la quale esistono diverse definizioni e catalogazioni. Infatti è una tecnica esperienziale dove l’apprendimento avviene attraverso la verifica, in situazione sperimentale e protetta e/o direttamente sul luogo di lavoro.

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Viene utilizzata per favorire la sperimentazione di alcuni comportamenti e riflettere sulle modalità relazioni attivate in particolari situazioni. Permette ai partecipanti di sviluppare la loro capacit osservativa e di rielaborazione critica dell’esperienza; spesso li aiuta a rendersi conto dei propri punti di forza e di debolezza. In particolare grazie ai feedback forniti da osservatori e formatori.

2.3.2. Classificazione delle simulazioni.

Castagna (1995) propone di classificare le simulazioni comportamentali in quattro categorie:

1. simulazioni applicative: consistono nel riprodurre comportamenti interpersonali particolari e circoscritti a una specifica situazione. Normalmente, il protagonista assume il ruolo che riveste o dovrà ricoprire nell’organizzazione;

2. simulazioni su casi: (role-playing). Si tratta dellla realizzazione di un a”recita a soggetto” in cui gli “attori” vengono posti in una determinata situazione con un obiettivo da raggiungere. Viene consegnato un obiettivo di massima a cui attenersi sebbene ognuno rimanga libero di gestire la propria strategia comunicativa e relazionale. I ruoli previsti sono quelli di attore e osservatore; 3. simulazioni dimostrative: hanno lo scopo di analizzare fenomeni sociali e di

evidenziare alcuni comportamenti interpersonali. Sono solitamente costruite su situazioni fantastiche e per questo vengono definite anche giochi;

4. simulazioni di analisi: il loro obiettivo è approfondire che cosa sta avvenendo tra i partecipanti in un determinato momento. Si tratta di assegnare un compito e di favorire un esame collettivo di quanto è accaduto a livello sia personale che di gruppo.

Landriscina nel 2009 identifica due orientamenti principali:

1. simulazione simbolica: con una valenza più concettuale e teorica; si presenta in una varietà di forme e gradi, da quelli meno strutturati “facciamo l’ipotesi che” a quelli più sofisticati implementati anche su un calcolatore (simulatore di volo). riproduzione sotto forma di modelli di situazioni complesse. Necessità di allievi esperti e consapevolezza tra le differenze del modello e

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della realtà;

2. simulazione esperienziale: è quello che fa appello alla drammatizzazione; si presenta all’allievo una situazione fittizia e gli si chiede di assumere decisioni e di agire autonomamente. Si può utilizzare il role playing, si simula una situazione reale o fittizia in cui i partecipanti si identificano con i personaggi. Si utilizza spesso nella formazione degli adulti, (coinvolgimento, messa in situazione, e messa in luce di dinamiche emotive, ha una applicabilità limitata, maggiore adeguatezza verso dimensioni affettive o fantastiche più che critico-conoscitive). Lo studio del caso fonde le caratteristiche della lezione euristica, della narrazione, della simulazione e del problem solving. L’insegnante presenta o aiuta a ricostruire una situazione reale o verosimile su cui formulare ipotesi, prendere decisioni, immaginare conseguenze; lo studio del caso è più produttivo in adulti in ambito professionale (riflessione critica su circostanze reali, maggiore pertinenza nell’educazione degli adulti in contesti professionali).

2.4. CONTESTO FORMATIVO ATTUALE

Una formazione multi professionale,interdisciplinare e continua,rappresenta lo strumento essenziale per promuovere le conoscenze,condividere le procedure operative, sviluppare la collaborazione e la motivazione all'interno dei gruppi operativi. L'attività formativa progettata su temi specifici,coerente con gli aspetti organizzativi e progettuali viene assicurata con continuità a livello regionale e aziendale ed è rivolta sia al personale dei gruppi operativi che alle sentinelle presenti presso le strutture.

A livello regionale vengono proposti due corsi base destinati ai formatori su tematiche inerenti la violenza in gravidanza e la violenza sugli anziani. Inoltre dal 2016 è stato realizzato il corso,organizzato in tre edizioni, La rivoluzione copernicana nell'accoglienza delle vittime di violenza vulnerabili: la direttiva 2012/29/UE e il decreto legislativo 212/2015 in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato” che ha affrontato le tematiche riguardanti l'informazione dovuta alle vittime,per favorire la trasmissione delle esperienze ed il

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confronto tra il personale che opera nell'ambito della cura e della tutela delle persone vittime di maltrattamenti ed abusi, promuovendo l'aggiornamento delle prassi operative.

La trasferibilità dei saperi acquisiti dai formatori nei corsi regionali dovrebbe essere garantita mediante corsi aziendali destinati a tutti gli operatori sanitari coinvolti nel percorso.

A livello aziendale ( DEA della Val di Nievole) sono stati proposti 4 corsi destinati a tutto il personale sanitario:

• un corso base comprendente le tematiche della violenza sui minori ,sugli anziani e in gravidanza.

• un corso sulla violenza fisica: accoglienza assistenza e repertamento delle prove; un corso sulla repertazione : obblighi e responsabiltà degli operatori sanitari;

• un corso sulla violenza sessuale: indicatori fisici e psicologici,repertazione e presa in carico della vittima.

Sono stati inoltre effettuati corsi base sul Codice Rosa con destinatari le associazioni di volontariato territoriali e su base volontaria sono state coinvolte nella formazione aziendale anche le forze dell'ordine che collaborano di frequente nel percorso Codice Rosa.

Sono stati eseguiti incontri informativi nelle scuole sul tema della violenza e sulle molteplici implicazioni che il rapporto fra i generi produce.

Ritengo che vada sottolineato come l'esigenza di bisogno formativo su questa tematica sia stata recepita dall'Università di Siena che in convenzione con l'Azienda Ospedaliera Universitaria Senese e la Asl toscana sud est, ha attivato nel 2017 un master sul Codice Rosa: Strategia di intervento nella presa in carico della vittima di violenza

Nonostante la formazione sulle tematiche della violenza di genere sia sempre stata ritenuta un punto cardine del progetto un analisi retrospettiva eseguita sulle cartelle degli ultimi 6 mesi del 2016 inerenti casi di Codice Rosa afferenti al DEA di Pescia

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ha fatto emergere la persistenza di alcune devianze Questa problematica è stata la spinta che mi ha portato a fare un' analisi approfondita dell'organizzazione della rete C.R.ed in particolar modo a proporre un progetto formativo integrativo su questa tematica e sulle procedure inerenti il percorso Codice Rosa.

Per una valutazione delle conoscenze sul tema ho riproposto , ad un numero percentualmente significativo di operatori sanitari presentì in pronto soccorso, le domande dei test di uscita dei precedenti corsi aziendali.

A distanza di tre anni la riproposizione dei test precedentemente utilizzati ha mostrato un peggioramento della performance (riduzione percentuale di risposte esatte) ma soprattutto questa indagine ha fatto emergere un numero significativo di operatori sanitari che durante l'arco dei tre anni non aveva partecipato agli eventi formativi aziendali. Da sottolineare il mantenimento di performance ottimali da parte di operatori motivati ed attivamente coinvolti in esperienze di abusi durante le attività svolte nel corso di questi tre anni.

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gruppo di lavoro non omogeneo per competenze

dotazione organica da sottrarre alle attività di pronto

resistenza e conflittualità RISORSE

mancata collaborazione e condivisione

iter formativo aziendale

non obbligatorio Mancata

formazione di un gruppo omogeneo specializzato e qualificato nel codice rosa ridotta esperienza metodologica diversa compliance di apprendimento dei partecipanti METODI

ridotta conoscenza o uso improprio dei dispositivi tecnologici

ridotta conoscenza delle procedure informatiche sul codice rosa

ridotta conoscenza del kit per la repertazione delle prove

ridotta conoscenza della documentazione cartacea sul codice rosa

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2.4.1. Principali criticità emerse durante le attività di triage Mancata o ritardata identificazione della vittima di violenza

Mancata o ritardata attivazione telefonica del referente territoriale del CR Ambiente poco rispettoso della privacy della vittima di violenza

Scheda di triage non correttamente compilata Comunicazione interprofessionale non efficace

2.4.2. Principali criticità emerse durante le attività nella stanza rosa

Mancata o ritardata comunicazione (telefonica ,email) al referente territoriale CR Conoscenza non adeguata della documentazione cartacea inerente la procedura Non corretta esecuzione dei protocolli operativi formalizzati

Repertazione delle prove non conforme

Mancata attivazione della A.G. nei casi con procedibilità d'ufficio accertata.

Difficoltà di approccio interprofessionale (tensioni legate alla gerarchia tra i diversi profili professionali )

Uso improprio dei mezzi tecnologici (regolo centimetrato macchina fotografica) In considerazione delle criticità emerse ho ritenuto utile proporre un progetto di implementazione delle conoscenze/competenze infermieristiche attraverso due scenari simulati.

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