UNIVERSITÀ DI PISA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA
T
ESI DI LAUREA
V
ERSO UNA RIFORMA DELLA SUCCESSIONE NECESSARIAStudio comparatistico dei meccanismi
di tutela dei legittimari
R
ELATRICEChiar.ma Prof.ssa Valentina Calderai
C
ANDIDATONicola Chiricallo
I
NDICE
INTRODUZIONE... 4
CAPITOLO PRIMO ... 6
1.IL PERSISTENTE RILIEVO DEL FENOMENO SUCCESSORIO ... 6
2.LA SOCIETÀ FRANCESE TRA EREDITÀ E LAVORO:
ANALISI DI UNO STUDIO DI THOMAS PIKETTY ... 7
3.IL FLUSSO SUCCESSORIO IN EUROPA:
UNO SGUARDO SU GERMANIA,REGNO UNITO E ITALIA ... 22
CAPITOLO SECONDO ... 30
I. IL SISTEMA SUCCESSORIO:
I PRINCIPI FONDAMENTALI COME FATTORI DI RIGIDITÀ ... 30
II.SUL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI ... 32
1.LA SINGOLARE PERENTORIETÀ DEL DIVIETO
NEL CODICE ITALIANO ... 32
2.INDAGINE SULLA RATIO DEL DIVIETO:
UN’ANALISI STORICA COMPARATIVA TRA L’ITALIA E LA GERMANIA .. 37
3.I PATTI SUCCESSORI TRA CODICE CIVILE ITALIANO E
BÜRGERLICHES GESETZBUCH ... 48
4.IL PROBLEMA DELLA DEFINIZIONE DEL DIVIETO ... 57
5.I PATTI SUCCESSORI ISTITUTIVI:
UN’ANALISI DELLE IPOTESI DI INCERTA DEFINIZIONE ... 64
6.SUL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI DISPOSITIVI E RINUNZIATIVI ... 77
7.L’INFLUENZA SUL DIVIETO DEL DIRITTO COMUNITARIO:
IL REGOLAMENTO EUROPEO N.650 DEL 2012 ... 80 8.PROSPETTIVE DI RIFORMA DEL DIVIETO DI PATTI SUCCESSORI
LE MOLTEPLICI RESISTENZE AL SUPERAMENTO DEL DIVIETO ... 85
II.SULLA SUCCESSIONE NECESSARIA ... 88
1.LA POSIZIONE GIURIDICA DEI LEGITTIMARI
TRA STORIA E ATTUALITÀ ... 88
2.L’INCERTO FONDAMENTO DELLA SUCCESSIONE NECESSARIA ... 93
4.IL PATTO DI FAMIGLIA:
QUESTIONI DOGMATICHE E INCERTEZZE APPLICATIVE ... 100
5.IL TRUST IN FUNZIONE SUCCESSORIA ... 121
6.CONSIDERAZIONI FINALI ... 134
CAPITOLO TERZO ... 138
1.LA RICOSTRUZIONE DEL SISTEMA SUCCESSORIO: VERSO UNA RIFORMA DELLA SUCCESSIONE NECESSARIA ... 138
2.LA TUTELA DEI LEGITTIMARI IN FRANCIA ... 139
3.LA TUTELA DEI LEGITTIMARI NEL DIRITTO TEDESCO ... 148
4.IL DIRITTO SUCCESSORIO INGLESE: UNA PROSPETTIVA STORICA SULLE FAMILY PROVISIONS... 154
5.RIFLESSIONI CONCLUSIVE ... 169
BIBLIOGRAFIA ... 174
I
NTRODUZIONEIl presente lavoro, in prima istanza, ambisce a riconsiderare, nell’ambito del discorso giuridico civilistico, il ruolo assunto dal fenomeno successorio: a tal fine, confutate le tesi che affermano una perdita di centralità delle successioni nell’economia contemporanea, si cercherà invece di sostenere la tesi opposta, a partire da un celebre lavoro dell’ economista francese Thomas Piketty, che ha analizzato, un vero e proprio “ritorno alle successioni” nelle principali economie europee nelle ultime decadi del secolo scorso,, fenomeno al quale, come si tenterà di illustrare, non si sottrae neppure il nostro Paese.
Il secondo Capitolo, rivalutata la centralità delle successioni e, di conseguenza, le profonde ricadute della normativa successoria sull’economia, si volgerà ad esaminare quelli che si ritengono i maggiori elementi di rigidità del sistema successorio italiano, ovverosia il divieto di patti successori e la attuale conformazione della successione necessaria: in particolare, si noterà come, essendo venuta meno la ratio storica del divieto dei patti successori, questa sia oggi da rinvenire primariamente nel favorire l’operare dei complessi meccanismi di protezione dei legittimari, sicché l’eventuale revisione del primo implica una riforma del sistema di successione necessaria. Quest’ultimo, infatti, specie laddove, attraverso la possibilità dell’esperimento di un’azione reale per il recupero dei beni, cagiona la precarietà dei trasferimenti, sembra oggi porsi in contrasto con la circolazione della ricchezza, base economica di uno dei principi fondanti il mercato unico europeo e, di conseguenza, l’Unione medesima.
Infine, evidenziati i limiti e le problematiche dell’assetto vigente nel nostro ordinamento, il terzo ed ultimo Capitolo, in una prospettiva de
iure condendo, si propone di avvalersi del metodo comparatistico per un ripensamento del sistema: a tal fine, si procederà all’esame delle soluzioni adottate in Francia, Germania e Inghilterra, progressivamente divergenti rispetto all’ordinamento italiano. In tal modo, nella parte finale del lavoro, si giungerà a proporre, ad esito dell’esame comparatistico, un’ipotesi di riforma della successione necessaria nel nostro ordinamento, illustrando le profonde implicazioni sistematiche e valoriali di siffatta scelta normativa.
C
APITOLO PRIMO1. IL PERSISTENTE RILIEVO DEL FENOMENO SUCCESSORIO
È affermazione diffusa, avallata da autorevole dottrina1, quella secondo la quale il diritto delle successioni a causa di morte avrebbe ormai perso gran parte della sua importanza: da un lato, infatti, si nota come, in una società del lavoro, sempre minor rilievo assumerebbe il problema della trasmissione della ricchezza di generazione in generazione2; dall’altro
lato, si osserva come i più grandi patrimoni non siano più di appartenenza individuale, ma di proprietà di soggetti collettivi, quali società e associazioni3.
Cionondimeno, per porre in dubbio la supposta affermazione, è sufficiente consultare la massiccia produzione scientifica degli ultimi decenni, nel cui novero si collocano rimeditazioni anche significative
1 MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale: Successione legittima, in
Trattato di dir. civ. Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1999, Prefazione, 3; BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 1985, 393 ss; RENNER, Gli istituti del diritto privato e la loro funzione sociale, Bologna, 1981, 188 ss. ; RODOTÀ, Ipotesi sul diritto privato, in Il diritto privato nella società
moderna a cura di Rodotà, Bologna, 1971, 13, dove si afferma: “…le parti della codificazione rimaste più di altre al riparo dall’invasione della legislazione speciale, come le successioni a causa di morte, sono proprio quelle divenute marginali rispetto al processo produttivo. Si sa bene che la ricchezza, oggi, si trasmette in forme assai diverse rispetto a quelle testamentarie; che, anzi, proprio il capitale industriale sceglie forme di organizzazione giuridica…tali da rendere praticamente irrilevante la disciplina successoria”.
2 LISERRE, Evoluzione storica e rilievo costituzionale del diritto ereditario, in Tratt.
di dir. priv. Rescigno, V, Torino, 1984, 7.
3 SCHLESINGER, voce Successioni (dir. civile), in Novissimo digesto italiano, XVIII,
Torino, 1972, 748; BIANCA, Diritto civile, cit., 394, dove si osserva: “Anche nella
nostra società si avverte il declino d’importanza della successione a causa di morte. Ciò è dovuto anzitutto al diminuire delle concentrazioni di ricchezza in mano ai singoli privati (…). Sull’istituto della successione influisce poi il passaggio dall’economia fondiaria all’economia imprenditoriale e il prevalente ricorso alle società di capitali. Le partecipazioni societarie dei soci sono anch’esse assoggettate al regime della successione a causa di morte, ma la società di capitali si rivela uno strumento idoneo per trasferire la ricchezza individuale al di fuori dei canali ereditari”.
di istituti fondamentali del nostro sistema successorio4: alla stregua di
tali analisi, la cui utilità sarebbe altrimenti resa vana, il fenomeno delle successioni mortis causa avrebbe una persistente centralità nella trasmissione familiare della ricchezza, sicché la complessa disciplina giuridica dei suoi meccanismi meriterebbe, ancora oggi, di essere studiata e approfondita5. D’altra parte, al di là di questa semplice considerazione, si può osservare che la maggior parte delle tesi in cui si afferma una perdita di centralità del fenomeno successorio si fondano sull’assioma, dapprima accennato, in base al quale la trasmissione della ricchezza per successione a causa di morte sarebbe diventata marginale in ragione del cambiamento nelle modalità di produzione della ricchezza: per confutare, dunque, la dottrina in questione, è necessario vagliare l’esattezza, dal punto di vista socio-economico, di tale asserzione. A questo scopo, dunque, sarà dedito il prosieguo del Capitolo.
2. LA SOCIETÀ FRANCESE TRA EREDITÀ E LAVORO:
ANALISI DI UNO STUDIO DI THOMAS PIKETTYIl problema del rapporto tra lavoro ed eredità e, conseguentemente, quello del peso delle successioni mortis causa nelle odierne economie europee, è oggetto di un approfondito studio contenuto in un recente saggio di Thomas Piketty, il quale si interroga sulle dinamiche di
4 Ex multis, si possono citare LIPARI, Autonomia privata e testamento, Milano, 1970;
DE GIORGI, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976; PALAZZO, Autonomia
testamentaria e successioni anomale, Napoli, 1983; PAGLIANTINI, Causa e motivi del regolamento testamentario, Napoli, 2002; PERLINGIERI, Atti dispositivi nulli e
acquisto di eredità, Napoli, 2002.
5 È questa l’opinione espressa in PANZA, Successioni in generale tra codice civile e
costituzione, in Tratt. dir. civ. cons. naz. not., Esi, Napoli, 2004, 2, dove si nota
peraltro come “…il persistente rilievo del fenomeno successorio, malgrado le
profonde trasformazioni sociali ed economiche intervenute, resta tuttavia assicurato dalla diffusione del benessere, il quale ha fatto sì che la titolarità di un certo patrimonio al momento della morte non costituisca più un caso raro, appannaggio delle classi più elevate, ma rappresenti un’ipotesi facilmente verificabile anche per i ceti più modesti”.
accumulazione e distribuzione del capitale nella Francia del XXI secolo, ponendole successivamente a confronto con quelle vigenti in Germania e nel Regno Unito6: orbene, nel tentativo di rispondere al quesito posto nel paragrafo precedente, si svolgerà un’accurata analisi dell’opera suddetta, vagliandone la compatibilità dei risultati con la situazione dell’economia italiana, non direttamente considerata nel saggio.
Orbene, lo studio contenuto nel capitolo Undicesimo del saggio è volto, anzitutto, alla ricostruzione dell’andamento, nell’economia francese degli ultimi due secoli, del c.d. flusso successorio: con esso, spiega Piketty, deve intendersi “il totale delle successioni e delle donazioni trasmesse nel corso di un anno, espresso in percentuale di reddito nazionale”, in altre parole “il valore di quanto viene trasmesso ogni anno in rapporto ai redditi prodotti e acquisiti nel corso dell’anno medesimo”7: in questo modo, si otterrà un parametro preciso per misurare il “peso” delle eredità nell’economia francese. Più precisamente, sostiene Piketty, esistono due modalità per stimare il flusso successorio: anzitutto, si può muovere direttamente dal flusso di successioni e donazioni osservato, fruendo dei dati fiscali, per ricavare il c.d. “flusso fiscale”; in alternativa, può muoversi dallo stock di capitale privato e calcolare il flusso teorico di trasmissione patrimoniale che ha luogo in un dato anno (c.d. “flusso economico”). Considerati pro e i contro di entrambi i metodi8, Piketty propende per quest’ultimo, il
6 PIKETTY, Il capitale nel XXI secolo, traduzione italiana di Arecco, Bompiani,
Milano, 2014 (ed. orig. Le capital au XXI siècle, Editions de Seuil, Paris, 2013). In particolare, lo studio sull’impatto delle successioni mortis causa nell’economia francese è contenuto nel capitolo XI (581-663).
7 PIKETTY, op. cit., 584 e 588, dove si sottolinea l’importanza di ricomprendere nel
calcolo le donazioni.
8 PIKETTY, op. cit., 588, dove si critica al flusso fiscale di non dar conto di piccole
trasmissioni che sfuggono all’obbligo di dichiarazione, mentre il secondo ha il merito di fondarsi su dati non fiscali, in tal modo fornendo una visione più completa delle trasmissioni patrimoniali.
quale soltanto permette di avere una visione d’insieme delle tre forze che, in ogni paese, concorrono all’evoluzione del flusso successorio:
“In generale, il flusso successorio annuo di successioni e donazioni, espresso in rapporto al reddito nazionale, flusso che esprimeremo con by, equivale al prodotto di tre forze:
by = β*m*µ
Dove β è il rapporto capitale/reddito (o, più esattamente, il rapporto tra il totale dei patrimoni privati -i soli che possono essere trasmessi per successione, al contrario delle attività pubbliche -e il reddito nazionale), m è il tasso di mortalità e µ la stima del rapporto tra il patrimonio medio al momento del decesso di chi trasmette l’eredità e il patrimonio medio delle persone in vita”9.
Sulla base della suddetta equazione, si possono fare le seguenti osservazioni: in primo luogo, il flusso successorio è direttamente proporzionale all’ammontare della complessiva ricchezza in mano ai privati; inoltre, il flusso successorio è direttamente proporzionale al tasso di mortalità; infine, è evidente, parimenti, la relazione sussistente tra flusso successorio e il rapporto µ, per cui più il patrimonio medio tende ad aumentare con l’età, più elevato sarà il flusso successorio; viceversa, in una società in cui, seguendosi la “teoria del ciclo vitale della ricchezza”, elaborata da Modigliani10, il patrimonio abbia lo scopo
primario di finanziare gli anni del collocamento a riposo e in cui gli anziani, dunque, scelgano di consumare l’intero capitale accumulato nel
9 PIKETTY, op. cit., 590.1
10 La teoria della life-cycle wealth, ripresa in MODIGLIANI, Life Cycle, Individual
Thrift, and the Wealth of Nations, in American Economic Review, 76, 297 ss e, in
particolare, 299 ss., afferma che, in età lavorativa, i consumatori tenderebbero a risparmiare parte del proprio reddito, da destinare ai consumi una volta raggiunta la pensione. In questo modo, nota dunque PIKETTY, op. cit., 592, la teoria di Modigliani offre una visione piatta e unidimensionale della diseguaglianza sociale, secondo la quale le disuguaglianze da capitale corrispondono soltanto alle disuguaglianze da lavoro.
corso della propria vita, il rapporto µ tenderebbe a zero, e con questo il flusso successorio.
Orbene, tenendo presenti l’equazione e questi tre semplici corollari, è possibile ricostruire la base argomentativa delle tesi che affermano un progressivo calo di rilevanza delle successioni nell’economia: a questo fine, si analizzeranno singolarmente le tre forze che, nell’insieme, costituiscono il flusso successorio.
Il primo elemento da analizzare, nell’equazione, è il rapporto β, ovverosia il rapporto tra capitale e reddito nazionale:
“Sul lungo periodo, il rapporto capitale/reddito β si collega in modo semplice e trasparente al tasso di risparmio s del paese considerato e al tasso di crescita g del suo reddito nazionale tramite la seguente formula:
β= s/g11
Il rapporto tra capitale e reddito nazionale, dunque, è direttamente proporzionale al grado di risparmio e- inversamente proporzionale- al tasso di crescita: in questo modo, è evidente che le tesi sostenitrici di una progressiva perdita di importanza dell’eredità, elaborate in massima parte nel periodo di espansione economica successivo alla Seconda guerra mondiale12, erano influenzate, da un lato, dalle ingenti
perdite patrimoniali determinate dal conflitto, dall’altro, dall’idea di un tasso di crescita che si sarebbe mantenuto costantemente elevato13,
11 PIKETTY, op. cit., 254, dove si denomina questa formula come “la seconda legge
fondamentale del capitalismo”.
12 Oltre ai giuristi citati nella nota n.1, si può annoverare anche la fondamentale opera
di BECKER, Human capital, Columbia University Press, New York, 1964, il quale teorizzava che l’eredità tende a perdere importanza nella storia per il fatto che il “non human capital” tenda a sua volta a perdere d’importanza, a vantaggio del cd. “human capital”.
13 Nel trentennio 1950-1980, nel quale furono elaborate la gran parte delle teorie più
autorevoli, ancora oggi citate, in base alle quali si assiste a un progressivo declino del ruolo delle successioni, si assisteva a una crescita media, nei 4 principali paesi europei
laddove, nel quarantennio che va dal 1970 al 2010, oggetto di analisi del saggio di Piketty, il tasso di crescita medio di Francia e Regno Unito è stato soltanto del 2,2%, in Italia dell’1,9%. In conseguenza di ciò, in relazione al medesimo periodo di tempo, lo studioso francese ha ricavato, in merito al rapporto tra capitale e reddito nazionale in alcuni dei paesi più ricchi, l’andamento descritto nel seguente grafico14:
Come è facile osservare, non soltanto il rapporto β non è, nel corso di tale frangente temporale, diminuito, ma è anzi cresciuto a ritmo piuttosto serrato, fino ad arrivare, nei principali paesi europei, a un valore analogo a quello del tardo Ottocento15. Una crescita così significativa, secondo Piketty, non può spiegarsi unicamente sulla base del rallentamento della crescita nei paesi più ricchi, ma deriva anche da
(Francia, Germania, Regno Unito, Italia) del 3,4%, secondo i dati riportati in
http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
14 Nel grafico, riportato in PIKETTY, op. cit., 261, si osserva la fortissima crescita del
rapporto β avvenuta nell’ultimo quarantennio nei paesi ricchi, in particolar modo in Italia, Giappone e Francia: come si osserva dal grafico, mentre nel 1970 il capitale rappresenta tra le 2 e le 3,5 annualità del reddito nazionale, nel 2010 raggiunge un valore ricompreso tra le 4 e le 7 annualità.
15 In PIKETTY, op. cit., 252-253, si riporta come, negli ultimi decenni dell’Ottocento,
la media di β tra Germania, Francia, Regno Unito, Italia fosse del 700%, non molto superiore, dunque, al valore assunto nel 2010.
due ulteriori fattori, che ne hanno amplificato gli effetti16: da un lato,
proprio a partire dagli anni settanta, si assiste a un diffuso processo di privatizzazione, di trasferimento della ricchezza dalla mano pubblica a quella privata; dall’altro, nello stesso lasso temporale si è assistito a un notevole incremento, rispetto al periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale, degli attivi immobiliari e azionari, con conseguente beneficio dei patrimoni privati. La conseguenza del netto rialzo di β nei principali paesi europei per quel che interessa ai fini del presente lavoro, appare dunque estremamente significativa ai fini della determinazione del flusso successorio, suggerendone una crescita significativa: nondimeno, resta da valutare l’impatto delle altre due forze succitate, le quali potrebbero ancora portare a una diversa conclusione.
In effetti, un’altra argomentazione che corroborava le tesi sostenitrici della perdita d’importanza del fenomeno successorio era quella che, sulla base del costante allungamento della speranza di vita nei principali paesi europei, prospettava un calo, parimenti costante, del tasso di mortalità: in effetti, osserva Piketty, nella Francia di inizio XIX secolo il tasso di mortalità si attestava intorno al 2,2%, laddove all’inizio del XXI secolo segna l’1,1%; d’altra parte, il tasso di mortalità è inversamente proporzionale alla speranza di vita e, al contempo, direttamente proporzionale alla crescita della popolazione: in questo modo, si spiega come la mortalità sia rimasta costante per tutto il XIX secolo, in cui la popolazione si è mantenuta pressoché stazionaria, per poi diminuire drasticamente nel XX secolo, in cui si è assistito, come è noto, a una forte crescita demografica17. Per lo stesso motivo, in considerazione del rallentamento della crescita demografica ricollegabile alla stabilizzazione del numero di nascite, si assiste,
16 PIKETTY, op. cit., 264.
17 Il discorso non è, ovviamente, limitato alla sola Francia, ma coinvolge l’intera
popolazione mondiale: su http://www.census.gov/ipc/www/idb/worldgrgraph.php, si tra la metà degli anni ’60 e il 2019, si osserva un dimezzamento del tasso di crescita della popolazione mondiale, passato dal 2 all’1%.
nell’ultimo decennio, a un nuovo rialzo del tasso di mortalità, rialzo che, secondo Piketty, a meno che non si assista a una robusta ripresa del tasso di natalità, sarà particolarmente significativo nei prossimi decenni, allorquando giungeranno all’età media del decesso le generazioni dei c.d. baby boomers18. D’altra parte, nota l’economista francese, anche ipotizzando, nel lunghissimo periodo, una popolazione che per ogni generazione sia del tutto stabilizzata e in cui, pertanto, l’aumento della speranza di vita provochi una riduzione strutturale del tasso di mortalità, il fatto che si erediti più tardi non provocherebbe comunque una perdita d’importanza dell’eredità: infatti, in una popolazione che invecchia sempre di più, lo stesso accade per i patrimoni delle persone anziane, che in tal modo si accrescono. Conseguenza di tale fenomeno, pertanto, è che il prodotto dei due termini m*µ rimane sostanzialmente immutato, non determinando, in tal modo, un calo significativo del flusso successorio; anzi, come si può dedurre dal grafico seguente, il prodotto m*µ, che può definirsi come tasso annuo di trasmissione del patrimonio, ha ripreso a salire negli ultimi decenni, a discapito della minore mortalità19:
18 PIKETTY, op. cit., 596-597, dove si rileva come questo fenomeno, in realtà, sarà
ancora più forte in paesi come la Germania e, soprattutto, l’Italia, laddove la popolazione si è di fatto stabilizzata e, al netto delle migrazioni, risulta in decremento.
19 Nel grafico, riportato in PIKETTY, op. cit., 601, appare evidente come in Francia il
tasso di devoluzione successoria, ovverosia il flusso successorio espresso in percentuale del patrimonio privato totale, sia rimasto costante intorno al 3,5% fino alla prima guerra mondiale, crollato al 2% nel primo cinquantennio del XX secolo, periodo delle due guerre mondiali e, infine, risalito gradualmente fino al XXI secolo.
A questo punto, per meglio comprendere le dinamiche del prodotto m*µ, conviene approfondire quest’ultima forza, finora rimasta ai margini della trattazione ma la cui rilevanza, ai fini del calcolo del flusso successorio, risulta evidentemente dirimente.
Il valore µ, come si è già visto, esprime il rapporto tra la ricchezza media dei defunti e la ricchezza media dei vivi: lo studio di Piketty ne analizza l’andamento nella Francia degli ultimi due secoli, mettendolo in luce nel grafico seguente20:
20 PIKETTY, op. cit., 604; il valore di µ, per ogni anno, è ricavato dall’autore attraverso
una complessa serie di interpolazioni dei dati relativi alla distribuzione della ricchezza per fasce d’età svolta già in PIKETTY, On the Long-run Evolution of Inheritance:
Come è agevole osservare, per l’intero intervallo temporale considerato, dal 1820 al 2010, anche senza considerare le donazioni, il rapporto µ è quasi costantemente superiore al 100%, ovverosia la ricchezza dei defunti appare sempre superiore alla ricchezza dei vivi: in questo modo, viene palesemente smentita la validità concreta della teoria del ciclo vitale di Modigliani, dapprima citata, la correttezza della quale avrebbe comportato, di necessità, che il valore µ fosse vicino allo 0%, o, comunque, nettamente inferiore al 100%. In effetti, come osserva Piketty, se appare razionale il risparmio in vista della pensione, non bisogna trascurare che per molti individui, specie nell’Europa continentale, questo rappresenta soltanto uno tra i motivi che spingono le persone a risparmiare: ad esempio, altrettanto importante paiono quelli legati alla trasmissione e perpetuazione familiare della ricchezza, sicché le persone anziane continuano a risparmiare al fine di preservare per i propri discendenti un capitale ancora più ampio di quello accumulato dopo una vita di lavoro21. Inoltre, dal grafico medesimo
21 PIKETTY, op. cit., 603, dove si evidenzia anche la differenza con il Regno Unito per
emerge la forte crescita d’importanza delle donazioni, passate a rappresentare, dal 30% nella metà dell’Ottocento, più dell’80% del valore delle successioni nel primo decennio del XXI secolo, cosicché si può affermare, oggi, che il capitale trasmesso per donazione sia importante quanto quello trasmesso per successione. In questo modo, a seconda che si considerino o meno le donazioni si otterrà un valore µ fortemente differenziato: nel 2010, infatti, il rapporto µ non comprensivo delle donazioni supera di poco il 120%, mentre, laddove le donazioni siano comprese nel calcolo, questo raggiunge il 220%, segno che i defunti hanno già provveduto, ancora in vita, alla trasmissione di oltre la metà del proprio capitale. Questo fenomeno, d’altra parte, può essere facilmente compreso considerando l’allungamento della speranza di vita22: infatti, per permettere ai figli di non entrare in possesso del capitale in una fase ormai avanzata della vita, i genitori fruiscono delle donazioni per anticipare ai figli una certa frazione dell’eredità, consentendogli di entrarne in possesso molti anni prima del loro decesso.
Nondimeno, l’andamento del rapporto µ non può essere compreso in modo pieno se non si guarda alle statistiche sulla base delle quali questo è stato ricostruito, ovverosia all’andamento della distribuzione della ricchezza per fasce d’età: orbene, afferma Piketty23,
se all’inizio del XX secolo gli ultraottantenni possedevano un capitale doppio rispetto ai cinquantenni, questa percentuale è crollata, nel quarantennio dei due conflitti mondiali (1910-1950), al 60%, per poi risalire costantemente fino all’oltre 130% del 2010. Un tale andamento, si osserva, può essere ricollegato, a sua volta, all’andamento della
agli eredi, che passa dal 5% francese al 20% britannico; nonostante questo, questo dato appare “insufficiente per modificare radicalmente la funzione successoria del
patrimonio (anche perché nulla ci dice che la ricchezza relativa al ciclo di vita prenderà il posto della ricchezza trasmissibile, e non è da escludere un suo impiego addizionale)”.
22 PIKETTY, op. cit., 606, dove si nota come questo fenomeno, ancor più che in Francia,
possa osservarsi in Germania.
fondamentale diseguaglianza r > g24: infatti, nel XIX secolo i
rendimenti del capitale risultavano di gran lunga superiori alla crescita economica, sicché è chiara la correlazione tra l’invecchiamento e l’accrescimento dei patrimoni privati in quella fase; successivamente, le due guerre mondiali hanno determinato un’inversione di tendenza: infatti, la guerra agisce come un fattore di azzeramento dei moltiplicatori dell’accumulazione patrimoniale e porta ad un automatico ringiovanimento delle ricchezze25. Nondimeno, questo costituisce soltanto un effetto transitorio: nei decenni successivi, i capitali tendono di nuovo ad invecchiare, la forbice tra il tasso di rendimento e quello di crescita si amplia nuovamente e, di conseguenza, si giunge a una ricrescita del rapporto µ, tornato in Francia a livelli vicini a quelli del XIX secolo e che, laddove si protraesse la scarsa crescita demografica, potrebbe nei prossimi decenni riavvicinarsi al valore raggiunto ad inizio XX secolo26. Ultimata, dunque, l’analisi di tutte e tre le forze costituenti il flusso successorio economico, (che si rammenta essere uguale al prodotto β*m*µ) se ne può finalmente analizzare l’andamento, prendendo dapprima in considerazione la Francia.
24 Dove r è il rendimento da capitale e g il tasso di crescita del reddito nazionale; sulla
diseguaglianza r>g si concentra a lungo PIKETTY, op. cit., 539 ss., laddove si nota come, su scala globale, mentre il tasso di rendimento da capitale è rimasto sostanzialmente costante, oscillando tra 4 e 5%, quello di crescita, strettamente correlato alla crescita demografica, è stato significativamente inferiore ad esso fino al Secondo dopoguerra, quando, alla luce del boom economico registrato nelle principali economie globali, i due valori si sono fortemente riavvicinati. Nondimeno, prevede lo stesso Piketty, in considerazione del prevedibile calo della crescita economica, già oggi avvertibile, la distanza tra il tasso di rendimento e quello di crescita potrebbe notevolmente riallargarsi.
25 PIKETTY, op. cit., 611, dove si rileva che proprio per questa doppia influenza, tanto
sul rapporto che sul rapporto, la guerra ha cagionato una riduzione tanto significativa del flusso successorio in tutti i più ricchi paesi europei, coinvolti dalla guerra in misura analoga.
In primo luogo, conviene dare conto del grafico descrittivo dell’andamento del flusso successorio annuale francese, ricavato da Piketty sulla base del prodotto tra le tre forze analizzate in precedenza27:
Osservando il grafico, è evidente come il flusso successorio economico, mantenutosi costantemente sopra il 20% del reddito nazionale, subisca un rovinoso crollo nel quarantennio 1910-1950, per poi riprendersi, lentamente, nel trentennio successivo e più velocemente nell’ultimo periodo considerato, dal 1980 al 2010, dove torna sopra il 15% del reddito nazionale. Sulla base dell’analisi dei singoli fattori compiuta in precedenza, del resto, l’andamento del flusso successorio appare facilmente spiegabile: nel periodo antecedente i due conflitti mondiali, come si è già visto, il rapporto β e il rapporto µ, a causa dell’elevata diseguaglianza tra il rendimento da capitale e la crescita economica, nonché, evidentemente, il tasso di mortalità, si attestavano su valori
27 Il grafico, contenuto in PIKETTY, op. cit., 585, mostra l’andamento del flusso
successorio economico (e fiscale) annuale ricavato dallo studioso francese sulla base delle stime del patrimonio privato, delle tabelle di mortalità e del profilo patrimoniale per età.
relativamente elevati rispetto a quelli odierni; successivamente, i due conflitti mondiali hanno provocato un dimezzamento del rapporto β e un altrettanto significativo calo di µ: ordunque, fu la sovrapposizione di questi due fenomeni, significativi già se singolarmente considerati, a cagionare, in Francia, il crollo del flusso successorio dal 23% ad appena il 4% del reddito nazionale. Nei decenni successivi, d’altra parte, si può evidentemente notare una graduale ripresa flusso, divenuta significativa nell’ultimo trentennio considerato: come è evidente, ciò si spiega sulla scorta del consistente rialzo, osservato in precedenza, dei rapporti β e µ, cagionati dal rallentamento della crescita economica, nonché dall’arresto della caduta del tasso di mortalità: in tal modo, il flusso successorio è giunto a valere, nel 2010, il 15% del reddito nazionale francese. D’altra parte, lo studio di Piketty28 va oltre l’analisi storica, proponendo un modello per l’evoluzione del flusso successorio francese nel XXI secolo; a questo fine, simula l’evoluzione del flusso formulando due differenti ipotesi: nella prima, assume un tasso g di crescita all’1,7% e un tasso di rendimento a capitale r al 3%; nella seconda, considera un tasso di crescita molto più contenuto, all’1%, e un tasso di rendimento al 5%. Ebbene, in entrambi i casi il flusso successorio tenderebbe a stabilizzarsi entro il cinquantennio successivo, dunque intorno al 2060; mentre, tuttavia, nella prima ipotesi, si fermerebbe intorno al 17%, nella seconda crescerebbe in maniera molto più sostenuta, attestandosi intorno al 24%, dunque ai livelli massimi raggiunti a inizio XX secolo. Al di là di questa interessante prospettazione, ai fini del presente lavoro appare fondamentale un ulteriore passaggio svolto dall’economista francese, sempre relativo all’economia francese, dal flusso successorio by alla quota di patrimoni
28 PIKETTY, op. cit., 614, dove si assume come elementi determinanti, ai fini
ereditati nella composizione dei patrimoni totali, illustrato dal seguente grafico29:
Come appare evidente, lo stock complessivo di patrimoni ereditati rispetto ai patrimoni totali segue il medesimo andamento a U del flusso successorio: in tal modo, se a inizio XX secolo i patrimoni ereditati raggiungevano ben il 90% di quelli complessivi e, nel 1970, soltanto il 45%, sicché i patrimoni accumulati in vita arrivarono a superare quelli ereditati (e proprio a questo periodo, lo si sottolinea ancora, risalgono le più autorevoli tesi sulla perdita di rilevanza del fenomeno successorio), si assiste, a partire dagli anni Ottanta, a una risalita poderosa dello stock di patrimoni ereditati, giunti nel 2010 al 70% dei patrimoni totali e destinati, inverandosi l’ipotesi di bassa crescita dapprima prospettata, a tornare entro il prossimo sessantennio ai livelli di inizio XX secolo. Orbene, il fatto che le curve del flusso successorio
29 PIKETTY, op. cit., 619, dove si specifica come viene svolto il calcolo: “I dati in
dettaglio sul flusso successorio e sull’età di defunti, eredi e donatori ci consentono di stimare…il totale di patrimoni della ereditati dalle persone in vita nel corso dell’anno in questione (si tratta in sostanza di sommare le successioni e le donazioni ricevute nel corso dei trent’anni precedenti) e di determinare la quota di eredità totale dei patrimoni”.
e dello stock di patrimonio ereditato seguano la medesima traiettoria può spiegarsi nei seguenti termini: laddove il flusso successorio superi il tasso di risparmio30 (come avvenuto nel XIX e a inizio XX secolo e come, a partire dagli anni ’80, avviene tuttora), accade che le somme ricevute ogni anno sotto forma di successione o donazione sono più alte del flusso di nuovo risparmio; quando, d’altra parte, accade l’opposto (come nel secondo dopoguerra), il capitale risparmiato giunge a superare quello ereditato31. Infine, un’ulteriore misura significativa del perdurante rilievo economico delle successioni nell’economia francese è dato dal flusso successorio rapportato non al reddito nazionale, ma al reddito disponibile delle famiglie: in questo caso, il valore raggiunto nel 2010 è già prossimo a quello di fine XIX secolo, segno che, nel più concreto ambito dell’economia familiare, il rilievo del fenomeno successorio è ancora più significativo32.
Alla luce di tali considerazioni, secondo Piketty33, il principale malinteso che ha spinto molti a parlare di declino delle successioni è dipeso dall’aver scambiato una differente distribuzione del capitale con la “fine dell’eredità”: in realtà, sebbene via sia oggi in Francia un numero di grandi eredità inferiore a quello del XIX secolo, sono aumentate moltissimo le eredità medie e medio-grandi, le quali, pur non permettendo di vivere esclusivamente di rendita, equivalgono a somme comunque notevoli, superiori a quanto guadagna la maggior parte della popolazione dopo un’intera vita di lavoro. In questo modo, “siamo
30 In proposito all’evoluzione del tasso di risparmio nei paesi ricchi, PIKETTY, op.
cit., 266 ss.
31 PIKETTY, op. cit., 621, dove si sottolinea come mentre nel XIX secolo il flusso
successorio si attestava intorno al 20/25% e quello di risparmio al 10%, negli anni Sessanta del XX secolo, stabile il tasso di risparmio, il flusso successorio era crollato ad appena il 5% del reddito nazionale.
32 PIKETTY, op. cit., 622, dove si nota come il flusso successorio espresso in
percentuale di reddito disponibile (passato dal 24% di fine XIX secolo al 6% del 1950 e tornato, nel 2010, sopra il 20%), per quanto si presti meno a stabilire confronti spaziali e temporali rispetto al flusso successorio calcolato rispetto al reddito nazionale, nondimeno esprime “un senso più concreto”.
33 PIKETTY, op. cit., 649, dove si intende con eredità grandi quelle superiori, oggi, ai
passati da una società con un piccolo numero di grossi rentiers a una società con un numero molto elevato di rentiers meno danarosi: una società di piccoli rentiers, per così dire”34.
Conclusa, dunque, l’analisi dell’evoluzione del flusso successorio nell’economia francese, appare utile, per valutare la possibilità di attribuire la tendenza risultante dallo studio anche all’Italia, esaminare dapprima il confronto svolto da Piketty con altri due importanti paesi europei, la Germania e il Regno Unito.
3. IL FLUSSO SUCCESSORIO IN EUROPA:
UNO SGUARDO SU GERMANIA, REGNO UNITO E ITALIA
L’ultima parte del capitolo Undicesimo del saggio di Thomas Piketty, dunque, si propone di confrontare l’andamento del flusso successorio in Francia con quello di Germania e Regno Unito, al fine di individuare, nella rinnovata centralità delle successioni mortis causa, un fenomeno di portata europea.
In primo luogo, dunque, si prende in considerazione il grafico, riportato nel saggio, illustrativo del confronto rispetto al valore annuale del flusso successorio economico nei tre diversi paesi35:
34 PIKETTY, op. cit., 650, dove si osserva come nel 2010 ben il 12% della popolazione
riceva per eredità l’equivalente di una vita di lavoro (più precisamente, l’equivalente del reddito da lavoro ricevuto dal 50% meno pagato nel corso di una vita), dato superiore a quello del XIX secolo, dove la percentuale raggiungeva al massimo il 10%.
Per quanto concerne la Germania, dunque, si osserva come i due conflitti mondiali abbiano prodotto un effetto ancora più sensibile che in Francia, provocando un crollo del flusso successorio dal 16% del reddito nazionale nel 1910 ad appena il 2% nel 1960; nondimeno, si rileva al contempo, nei decenni a seguire, una ripresa man mano più sostenuta, la quale ha portato, infine, il flusso successorio tedesco ad un valore percentuale dell’11% del reddito nazionale: si tratta di un dato ancora molto inferiore a quello raggiunto in Francia, ma che si spiega facilmente in ragione del divario, già osservato in precedenza36, nel rapporto β capitale/reddito37.
Rispetto al Regno Unito, invece, si può osservare che, nel tardo Ottocento, il flusso successorio britannico si attestava su livelli vicini a
36 Vedi supra, 6.
37 PIKETTY, op. cit., 657, dove si nota come “se il totale dei patrimoni privati dovesse
raggiungere in futuro, tanto in Germania quanto in Francia, un medesimo livello, il flusso successorio si comporterebbe in modo analogo”. Al tempo stesso, si nota come
la forte ripresa del flusso successorio tedesco si spieghi in buona misura con una forte crescita delle donazioni, passate da costituire il 15% della massa delle successioni a circa il 60% delle stesse.
quello francese; successivamente, nel periodo delle due guerre, il flusso successorio subiva un calo considerevole, ma di intensità minore rispetto a Francia e Germania: questo, d’altra parte, può essere facilmente compreso in considerazione del fatto che lo stock di patrimoni privati, in questo paese, è stato colpito con minore violenza (“effetto β”) e che, d’altra parte, l’accumulazione patrimoniale è stata azzerata con minore forza (“effetto µ”). In ultimo, a partire dagli anni ’80, si assiste a una ripresa del flusso successorio, di portata significativamente inferiore, nondimeno, a quella accaduta in Francia e in Germania, sicché, nel 2010, questo si attestava ad un livello appena superiore all’8% del reddito nazionale. Di questa differenza di andamento, con una curva che non disegna, in questo caso, una U completa, varie sono le cause ipotizzabili: da un lato, può considerarsi la maggiore diffusione dei fondi pensione rispetto ai paesi continentali38; d’altra parte, ciò potrebbe dipendere da un diverso atteggiamento psicologico dei britannici nei confronti del risparmio e della trasmissione familiare, che li porta a consumare di più il proprio patrimonio e a trasmetterlo meno ai figli rispetto a quanto facciano francesi e tedeschi39. Alla luce delle considerazioni svolte, in tutti e tre i Paesi considerati nel saggio, seppur in una misura diversa, si registra, specie a partire dagli anni Settanta, una crescita del flusso successorio
38 PIKETTY, op. cit., 659, dove si osserva, d’altra parte, come questa resti una
spiegazione parziale, dal momento che “nel Regno Unito i fondi pensione equivalgono
a circa il 15-20% dello stock totale del capitale privato. Inoltre, non è del tutto certo che la ricchezza legata al ciclo vitale si sostituisca alla ricchezza trasmissibile: da un punto di vista logico, le due forme di accumulazione patrimoniale dovrebbero semmai sommarsi, quantomeno a livello di un paese specifico (…)”.
39 Anche questa ipotesi si rinviene in PIKETTY, cit., 659, dove, nondimeno, si aggiunge
come la scarsa crescita delle successioni si spiega, in gran parte, con un livello molto basso delle donazioni, rimasto nel Regno Unito stabile al 10% delle successioni: è dunque, difficile, sostiene l’economista francese, “dire con certezza se la crescita più
debole del flusso successorio britannico corrisponda a un’effettiva differenza di comportamento (gli inglesi provvisti di mezzi consumano di più il proprio patrimonio e lo trasmettono meno ai figli rispetto a quanto facciano i loro omologhi francesi e tedeschi) oppure a un calo puramente statistico (se si applicasse lo stesso indice donazioni/successioni osservato in Francia e in Germania, il flusso successorio britannico, in questo inizio di XXI secolo, sarebbe attorno al 15% del reddito annuo, come in Francia)”.
che è molto forte in Francia, consistente in Germania e moderata nel Regno Unito: è possibile, su queste basi, formulare un’ipotesi che ravvisi un simile andamento e, dunque, una crescita del flusso successorio anche nel nostro paese?
Orbene, in primo luogo si deve rilevare che non è possibile, in assenza di dati attendibili sul lungo periodo, ricavare una stima sufficientemente attendibile del flusso successorio economico italiano40: per questa ragione, non sarà possibile ricavare un grafico che permetta di confrontare la curva del flusso italiano con quelle dei paesi succitati. Nondimeno, dal momento che sono noti, per lo meno a partire dal secondo dopoguerra, i valori del rapporto β, del tasso di mortalità e di alcuni degli elementi che influenzano il rapporto µ, è possibile, per questo periodo, sfruttando anche il confronto con gli altri paesi, formulare una più che concreta ipotesi di andamento della curva medesima.
Considerando, dunque, la prima delle tre forze costitutive del flusso successorio, il rapporto β (si ricorda, il rapporto tra capitale privato e reddito nazionale), come si osserva nel grafico mostrato in precedenza41, ha registrato in Italia, a partire dagli anni ’70, una crescita
notevolissima, passando dal 250% nel 1970 a quasi il 700% nel 2010, 100 punti percentuali sopra il già alto rapporto β osservato in Francia e addirittura 300 punti al di sopra di quello tedesco. Un tale andamento, d’altra parte, si spiega se si tiene mente alla formula β = s/g: infatti, ad un tasso di risparmio privato s particolarmente elevato, che nel periodo 1970-2010 ha registrato un valore medio del 15% (molto superiore a Francia e Germania) si è affiancato un tasso medio di crescita, nello stesso periodo, alquanto modesto, dell’1,9% (inferiore a Francia e
40 Così afferma anche PIKETTY, op. cit., 658. 41 Vd. supra, pag. 6.
Germania)42, sicché può dirsi che alla singolare crescita del rapporto β
(nel 2010 superiore persino a quello giapponese, fermo al 600%) hanno contribuito tanto il numeratore quanto il denominatore. Alla luce delle osservazioni svolte, dunque, si può affermare che il primo dei tre fattori, il rapporto β, suggerisce una significativa crescita del flusso successorio, ma restano da considerare le altre due forze, a partire dal tasso di mortalità.
Si è già messo in luce come l’invecchiamento della popolazione, determinato da un aumento della speranza di vita non accompagnato da un tasso di natalità elevato, abbia portato, in Francia, all’arresto della discesa del tasso di mortalità, anzi in leggera risalita a partire dagli anni ‘2000; orbene, la situazione italiana è illustrata nel seguente grafico43:
Come è agevole notare, nel contesto italiano l’andamento del tasso di mortalità nel Secondo dopoguerra ha seguito un andamento molto più irregolare di quello francese: in linea tendenziale, nondimeno, fino alla fine degli anni ’80 si può osservare un calo del tasso, poi ripreso ad aumentare, sempre in modo irregolare, fino a raggiungere, nel 2015, un
42 Sia il dato sul tasso di risparmio che quello sul tasso di crescita sono presi dalla
tabella riportata a pag. 266 di PIKETTY, op. cit., 266.
valore molto elevato, superiore anche a quelli registrati negli anni ’50. Un tasso di mortalità così elevato, d’altra parte, può forse essere spiegato alla luce del fatto che, ad una speranza di vita molto elevata44, si accompagni un tasso di natalità in fortissimo calo, valore nel 2010 più che dimezzato rispetto al 196045: in tal modo, la popolazione italiana ha subito un significativo invecchiamento, raggiungendo nel 2015 l’età media degli italiani i 45 anni (contro i 41 della Francia)46. In questo modo, si può affermare che, anche l’andamento del tasso di mortalità, specie se visto in comparazione con il dato francese, spinge, in particolar modo a partire dagli anni ’90, verso un incremento del flusso successorio.
In ultimo luogo, resta da affrontare il discorso relativo alla terza forza determinante il flusso successorio, il rapporto µ tra la ricchezza media dei morti e quella dei vivi: ebbene, proprio questo fattore, impossibile per l’Italia da stimare con esattezza a causa dell’inattendibilità di alcuni dati, rende impossibile determinare con esattezza il flusso successorio annuo nel nostro paese; nondimeno, sulla base di alcune osservazioni svolte discorrendo del rapporto medesimo in Francia, è possibile svolgere alcune considerazioni. Si è visto, infatti, come un ruolo determinante ai fini dell’accumulazione del capitale nelle mani dei soggetti più anziani è legato, in primo luogo, alla disequazione r>g, dove r è il tasso del rendimento da capitale e g è il tasso di crescita: orbene, rispetto alla Francia, il tasso di crescita italiano è stato quasi costantemente superiore fino alla fine degli anni ’80, laddove, in concomitanza con il forte rallentamento della crescita demografica, lo stesso fenomeno ha coinvolto la crescita economica, da allora sempre inferiore a quella francese: il basso tasso di crescita, registrato soprattutto a partire dagli anni’90, letto congiuntamente alla
44 Secondo fonti Istat del 2018, pari a 80,8 per gli uomini e 85,2 per le donne. 45 Secondo la Banca Mondiale (vd. https://data.worldbank.org/indicator), il tasso di
natalità italiano è passato dal 18 per mille del 1960 ad appena il 9 per mille nel 2010 (contro il 12,2 della Francia).
crescita elevata della speranza di vita, è dunque un elemento che suggerisce un significativo rialzo del rapporto µ nelle ultime tre decadi. In questo senso, sembra procedere un recente studio della Banca d’Italia47, risalente al 2018, in base al quale la ricchezza familiare media dei soggetti con più di 55 anni supera i 250 000 euro, laddove quella della popolazione compresa tra i 41 e i 55 supera di poco i 200000 ed, in ultimo, quanti non abbiano compiuto ancora 40 anni possiedono in media appena più di 100000 euro: i dati attuali, dunque, confermano la disomogeneità nella distribuzione della ricchezza, maggiormente concentrata, sulla scorta della diseguaglianza r>g, nelle fasce più anziane di popolazione. In conclusione, si deve ribadire che non è possibile, dai soli dati indicati, ricavare un valore sufficientemente attendibile del fattore µ e del suo andamento; nondimeno, tanto l’elevata speranza di vita quanto la scarsa crescita osservate in Italia a partire dalla seconda metà degli anni ’80 suggeriscono un consistente incremento di µ in relazione a tale segmento temporale.
Ordunque, sulla scorta dei rilievi svolti per ognuna delle tre forze costituenti il flusso successorio italiano, possono svolgersi alcune considerazioni conclusive: se non è possibile, per l’assenza di dati attendibili, neppure ipotizzare l’andamento del flusso per il periodo anteriore, a partire dalla metà degli anni ’80, considerando al contempo la fortissima crescita del rapporto β, il rialzo del tasso di mortalità e il (probabile) incremento del rapporto µ, tutti i fattori suggeriscono una crescita del flusso successorio molto accentuata, persino più elevata di quella osservata in Francia e che sembra destinata, stanti le condizioni economiche e demografiche dapprima osservate, a perdurare nei prossimi decenni.
Si può affermare, dunque, che quello della crescita del flusso successorio non sia, quantomeno negli ultimi decenni, un fenomeno esclusivamente francese, coinvolgendo questo, con diverse gradazioni,
tutte le principali economie europee, Italia compresa: in questo modo, non soltanto vengono smentite tutte quelle tesi che, probabilmente fuorviate dalla distruzione provocata dalle guerre mondiali nonché dalla fortissima crescita economica e demografica ad esse conseguente, prospettavano per le successioni un inesorabile declino, ma si deve constatare, contra, una rinnovata centralità del fenomeno successorio, destinato, in misura più o meno ampia, a rivestire un ruolo sempre più essenziale nell’economia europea ed italiana. Proprio alla luce di questo, smentita l’irrilevanza e affermata, invece, la rinnovata attualità del rilievo economico delle successioni, appare utile interrogarsi se la rigidità di alcuni fondamentali pilastri della disciplina successoria vigente nel Codice civile italiano, quali il divieto di patti successori e la precipua conformazione della successione necessaria, possa dirsi tuttora coerente con la mutata realtà economica e sociale del nostro Paese nonché con gli impulsi di matrice comunitaria verso l’efficienza di mercato.
C
APITOLO SECONDOI. IL SISTEMA SUCCESSORIO:
I PRINCIPI FONDAMENTALI COME FATTORI DI RIGIDITÀ
Il sistema successorio del nostro ordinamento giuridico, così come delineato nel codice civile vigente, si ritiene incardinarsi su due principi fondamentali: quello di unità della successione e quello di centralità del testamento.
In ossequio al principio di unità della successione48, la devoluzione del patrimonio del de cuius è soggetta alla medesima disciplina, a prescindere dalla tipologia dei beni nonché dalla personalità del chiamato a succedere. In tal modo, al di là di alcune marginali eccezioni, concretantesi nelle c.d. vocazioni anomale49, la successione si svolge sempre e indifferentemente secondo le regole generali contenute negli articoli 456 ss. cc.
Secondo il principio di centralità del testamento, invece, desumibile dall’articolo 457, 1°comma, cc.50, l’unica modalità di delazione ereditaria alternativa alla legge è data dal negozio
48 LISERRE, Sub. art. 456 c.c., in Commentario del codice civile diretto da GABRIELLI,
Torino, 2009, 3 ss., dove si fa risalire l’origine del principio “allo spirito
rivoluzionario e alla rimozione delle inégalités légales, retaggio del diritto feudale, la cui funzione era garantire la continuazione della concentrazione dei beni in un’unica mano”; DE NOVA, Successioni anomale, in Dig. disc. priv., 182 ss.
49 CATTANEO, Le vocazioni anomale, in Tratt. Rescigno, V, Torino, 1982, 461, dove
si afferma: “Ci riferiamo con questa particolare espressione ai casi in cui la legge
regola con apposite norme la trasmissione mortis causa di particolari categorie di diritti o rapporti giuridici, applicando criteri diversi da quelli del diritto successorio ordinario, contenuto nel libro secondo del codice civile. Le norme qui considerate, che per lo più si trovano in leggi speciali, hanno un elemento in comune, in quanto sanciscono deroghe al principio della “unità della successione”. In base a tale principio, tutto il patrimonio del defunto è di regola soggetto alla medesima disciplina successoria.”
testamentario, il quale costituirebbe, dunque, l’unico atto di autonomia privata idoneo a devolvere la propria eredità.
Orbene, se i principi succitati costituiscono il substrato teorico su cui poggia il sistema, mettendone in mostra la rigidità, sul piano concreto vi sono due istituti che, del sistema e della sua rigidità, costituiscono dei veri e propri paradigmi: si tratta del divieto dei patti successori e della successione necessaria. Alla loro trattazione, nonché alla possibilità di un loro ripensamento, sarà dedicato il prosieguo del Capitolo.
II. SUL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI
1.LA SINGOLARE PERENTORIETÀ DEL DIVIETONEL CODICE ITALIANO
Con una disposizione apparentemente cristallina, priva di ambiguità ad un’analisi che non si elevi al di sopra della littera legis, l’art. 458 c.c. afferma: “Fatto salvo quanto disposto dagli art. 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”. È la perentoria affermazione del c.d. divieto dei patti successori, così denominati tutti i negozi che attribuiscono o negano diritti su una successione non ancora aperta51.
Invero, al di fuori di questa statuizione pleonastica che nulla aggiunge rispetto al dettato codicistico, non si rinviene in dottrina una soddisfacente definizione unitaria di questo genere di negozi52, i quali vengono usualmente distinti in tre categorie: i patti istitutivi, cioè convenzioni con le quali, istituendosi come erede l’avente causa, si
51 BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 2005, 556
52 In dottrina e in giurisprudenza si è peraltro cercato di individuare degli elementi
comuni a tutte e tre le specie di patti successori: in DE GIORGI, Patto successorio, in Enciclopedia del diritto, XXXII, 1982, si afferma: “…tali requisiti consistono in ciò: a) che la convenzione sia stipulata prima dell’apertura della successione; b) che il bene oggetto del patto faccia parte dell’eredità futura; c) che l’acquisto avvenga successionis causa, e non ad altro titolo”. Per la giurisprudenza, si rimanda alla
fondamentale Cass. civ. 18 febbraio 1995, n. 1683, in Notar., 1995, 552 ss., dove si statuisce che “…per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la
comminatoria di nullità di cui all'art. 458 cod. civ. occorre accertare: 1) se il vinculum iuris con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbono comunque essere comprese nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi così dello jus poenitendi; 4) se l'acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il convenuto trasferimento dal promittente al promissario avrebbe dovuto aver luogo mortis causa, cioè a titolo di eredità o di legato”.
dispone della propria successione53, inquadrati dalla dottrina
maggioritaria, alla stessa stregua del testamento, come atti mortis causa54; i patti dispositivi, mediante i quali un soggetto dispone non della propria successione, ma dei diritti che conta di acquistare succedendo ad un altro soggetto; i patti rinunciativi, con i quali, invece, si rinuncia a tali diritti55.
Rimandandosi più oltre per una disamina della ratio, o meglio delle rationes sottese a tale fondamentale disposizione, spesso considerata come il naturale “rovescio della medaglia” dell’art. 457, dove si stabilisce la stretta tipicità della vicenda successoria, in generale legata esclusivamente alle fonti del testamento e della legge, si può agevolmente notare come la posizione di stretto rigore assunta dal legislatore italiano, solo recentemente ammorbiditasi mediante l’introduzione del patto di famiglia, costituisca quasi un unicum nello scenario europeo.
In primo luogo, si sofferma l’attenzione sugli ordinamenti di tradizione germanica: nel Bürgerliches Gesetzbuch tedesco, i patti istitutivi di erede sono ammessi nella forma dell’Erbvetrag, contratto ereditario disciplinato nei paragrafi 194156 e 2274 e ss. Nel Codice
53 DE GIORGI, I patti sulle successioni future, Jovene, Napoli, 1976, 1, dove peraltro
si fa attenzione a distinguerli dalla convenzione con cui ci si obbliga a disporre per testamento a favore di una determinata persona, i quali sono invece negozi inter vivos alla stessa stregua dei patti dispositivi e rinunciativi; FERRI, Disposizioni generali
sulle successioni, Art. 456-511, in Comm. Scialoja-Branca, Zanichelli, Bologna,
1997, 99; BIANCA, op. cit., ibidem; CAPOZZI, Successioni e Donazioni, I, Giuffrè, Milano, 2009, 41; CACCAVALE, Il divieto dei patti successori, in Contratti e
successioni, nel Trattato del contratto curato da ROPPO, VI, 2006, 432; in giurisprudenza, la sentenza Cass. 6 gennaio 1981, in Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 1, dove si pone l’accento sulla “forma contrattuale” dell’istituzione di erede, valevole a distinguerla dal testamento.
54 Sulla controversa questione della distinzione tra atto inter vivos e mortis causa, si
veda infra.
55 Queste due categorie sono invece annoverate, da dottrina quasi unanime, tra gli atti
inter vivos. Per un loro inquadramento si rimanda a FERRI, Disposizioni generali sulle
successioni, Art. 456-511, in Comm. Scialoja-Branca, Zanichelli Bologna, 1997, 99;
BIANCA, op. cit., ibidem; CAPOZZI, Successioni e Donazioni, I, 41-42; DE GIORGI,
Patto successorio, cit., 545.
56 Il fondamentale § 1941 dispone: “Der erblasser kann durch Vertrag einen Erben
civile svizzero, poi, si prevede al § 494, 1o comma, che “Il disponente
può obbligarsi, mediante contratto successorio, a lasciare la sua successione od un legato alla controparte o ad un terzo”, ponendosi come unici limiti, nei commi seguenti, che “egli conserva la libera disposizione del suo patrimonio” e che “le disposizioni a causa di morte e le donazioni incompatibili con le sue obbligazioni derivanti dal contratto successorio possono essere contestate”. Una posizione più sfumata è assunta invece dall’Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch austriaco, dove si prevede sempre l’istituto del contratto successorio, ma con due importanti limitazioni: da un lato, è possibile stipularlo unicamente tra coniugi57, dall’altro, il potere di disporre è limitato quantitativamente, in quanto un quarto del patrimonio si deve lasciare alla libera disponibilità del soggetto58.
Si passa a considerare il diritto francese: se il Code Napoleon, da una parte, contempla in molteplici disposizioni il divieto dei patti successori, dall’altra presenta una serie di importanti deroghe alla disciplina generale: si considerino, a questo proposito, la donation-partage, istituto che permette all’ascendente, per mezzo di una convenzione conclusa con i propri discendenti, di fissare la composizione della parte di ciascuno59; l’institution contractuelle, che permette all’ascendente, per mezzo di un patto stipulato con un proprio discendente, di disporre per contratto della successione o di parte di
dell’Erbvetrag e più in generale della disciplina dei patti successori in Germania si rimanda infra.
57 § 1249: “Zwischen Ehegatten kann auch ein Erbvertrag, wodurch die künftige
Erbschaft oder ein Teil derselben versprochen und das Versprechen angenommen wird, geschlossen werden (§ 602). Ein solcher Vertrag muss als Notariatsakt und mit allen Erfordernissen eines schriftlichen Testamentes errichtet werden”
58 Su questo il § 1253: “Durch den Erbvertrag kann ein Vertragspartner auf das Recht
zu testieren nicht gänzlich verzichten. Ein reines Viertel, das weder durch Pflichtteile noch durch andere Forderungen belastet sein darf, muss zur freien letztwilligen Verfügung stehen. Hat der Verstorbene darüber nicht verfügt, so fällt dieses Viertel nicht dem Vertragserben, auch wenn ihm im Erbvertrag die ganze Verlassenschaft versprochen wurde, sondern den gesetzlichen Erben zu”.
59 DE GIORGI, i patti sulle successioni, cit., 38.; la donation partage è disciplinata
essa, ma soltanto nell’occasione del matrimonio60; il mandat a effet
posthume, ovverosia il mandato post mortem che attribuisce la facoltà di amministrare tutto o parte dell’asse ereditario in presenza di un interesse “serieux et legitime”61. Nondimeno, al di fuori di questa casistica la giurisprudenza francese tende a interpretare il divieto in una guisa piuttosto rigida, e questo nonostante l’atteggiamento liberale manifestato da tempo in dottrina, la quale spinge sempre più per la regolamentazione contrattuale delle successioni62.
Se si prende in esame, ancora, l’ordinamento spagnolo, mentre il Codigo Civil, alla stregua del combinato di plurime previsioni normative, contempla, pur con alcune esplicite eccezioni, il divieto dei patti successori, il diritto locale dei fueros, che ancora prevale sul codice in larghi settori del diritto delle successioni e della famiglia, spesso prevede l’ammissibilità dei patti istitutivi63.
Se, dunque, appare evidente la singolarità della posizione assunta dal legislatore italiano, all’interno dei paesi di civil law, rispetto
60 Così sancisce l’art. 1082 del Code Civil: “Les père et mère, les autres ascendants,
les parents collatéraux des époux, et même les étrangers, pourront, par contrat de mariage, disposer de tout ou partie des biens qu'ils laisseront au jour de leur décès, tant au profit desdits époux, qu'au profit des enfants à naître de leur mariage, dans le cas où le donateur survivrait à l'époux donataire”. BIANCA, Famiglia e successioni,
cit., 557; ACHILLE, Il divieto dei patti successori, Jovene, Napoli, 2012; DE GIORGI,
ult. op. cit., 39: quest’ultimo, peraltro, pone in dubbio la configurazione di questa
come eccezione al divieto dei patti in ragione del suo carattere generalmente irrevocabile, il quale la pone a metà tra testamento (produce effetti solo al momento della morte del disponente) e la donazione (appunto per la natura irrevocabile).
61 Art. 812 Code Civil (come riformato dalla riforma del 2006): “Toute personne peut
donner à une ou plusieurs autres personnes, physiques ou morales, mandat d'administrer ou de gérer, sous réserve des pouvoirs confiés à l'exécuteur testamentaire, tout ou partie de sa succession pour le compte et dans l'intérêt d'un ou de plusieurs héritiers identifiés. Le mandataire peut être un héritier. Il doit jouir de la pleine capacité civile et ne pas être frappé d'une interdiction de gérer lorsque des biens professionnels sont compris dans le patrimoine successoral. Le mandataire ne peut être le notaire chargé du règlement de la succession”. Sul punto, si veda FUSARO,
Uno sguardo comparatistico sui patti successori e sulla distribuzione negoziata della ricchezza d’impresa, in Ricerche giuridiche, II, 2013, 364.
62 In proposito, ACHILLE, op. cit., 79; DE GIORGI, ult. op. cit., 40.
63 Il divieto, che risulta dal combinato degli artt. 635, 658, 1271 del Codigo Civil, è
derogato, in particolare, dagli artt. 826, 1341 e 831; per il riferimento al diritto forale, ACHILLE, op. cit., 79.