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Public Private Partnership & Project Financing: la cooperazione con il privato come modello alternativo di gestione e sviluppo del settore pubblico.

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Academic year: 2021

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Public Private Partnership & Project Financing:

la cooperazione con il privato come modello alternativo di

gestione e sviluppo del settore pubblico.

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“Alla mia famiglia e

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INDICE

INTRODUZIONE I

CAPITOLO I - IL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO

1. Origine e definizione del PPP 1

2. Natura e tipologie di PPP 5

3. Classificazione dei progetti finanziabili 10 4. La disciplina del PPP alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici 13

5. Il mercato dei PPP in Italia 21

6. Il mercato dei PPP in Europa 32

CAPITOLO II - IL PROJECT FINANCING

1. Dalle concessioni al project financing 37 2. Qualificazione giuridica e definizione del project financing 41

3. Evoluzione normativa 50

4. I soggetti e i vantaggi del P.F. 53 5. Le procedure di affidamento: da 4 a 2. 60

6. Le garanzie 63

7. La società di progetto 67

8. Il finanziamento della società: obbligazioni e project bond 76

9. Il security package 79

10. I rischi dell’operazione nella valutazione globale 81 11. Il mercato della Finanza di Progetto 90 CAPITOLO III - IL PROJECT FINANCING NEL REGNO UNITO

1. Introduzione 93

2. New public management, origini ed evoluzione 95

3. Il contesto nazionale 102

3.1 La struttura di base dello Stato e i caratteri del sistema amministrativo

(6)

3.2 La cultura amministrativa, includendo la concezione dello Stato e dei rapporti pubblica amministrazione-cittadino

106

3.3 La natura dell’esecutivo, il sistema politico e le convenzioni di governo

107

3.4 Il sistema delle relazioni tra politici e dirigenza pubblica e le fonti per la formulazione delle politiche

108

4. La Governance Interistituzionale 110 4.1 La misurazione della performance dei governi locali 114 4.2 Il ruolo dello Stato centrale e i rapporti con le autonomie locali nel

perseguimento della qualità dei servizi pubblici

116

5. Project finance iniziative 118

5.1 Origini e sviluppo 118

5.2. I soggetti pubblici nella PFI 122 5.3 Caratteristiche principali del modello PFI 123 5.4 Il funzionamento del modello di PFI e suddivisione dei rischi tra

soggetti pubblici e privati

125

5.5 Dal PFI al PF2. 127

6. Il mercato del PFI nel Regno Unito 133 CAPITOLO IV – PROGETTO NUOVI OSPEDALI

1. Introduzione 137

2. Caratteristiche dei progetti 138

3. La posizione dell’Anac 140

4. Le divergenze tra la Corte dei Conti e la regione toscana 149

CONCLUSIONI 159

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I

INTRODUZIONE

L’elaborato che segue nasce da una semplice riflessione. Negli ultimi decenni, l’Italia ha accumulato un gap infrastrutturale notevole nei confronti dei principali paesi europei dovuto essenzialmente al calo degli investimenti pubblici cui ha contribuito il patto per la stabilità (PSC, stipulato nel 1997 dai paesi membri dell’Unione Europea). In un periodo di crisi economica come quello attuale, il tema del finanziamento delle infrastrutture, delle opere pubbliche e di pubblica utilità è al centro del dibattito non solo politico, ma anche economico, in relazione al contributo che lo sviluppo infrastrutturale è potenzialmente in grado di offrire alla ripresa della competitività e alla crescita economica di una nazione. La pubblica Amministrazione pertanto ha conosciuto e continua a conoscere un processo di trasformazione coinvolgente vari aspetti, da quello prettamente legislativo a quello economico e organizzativo, alla base del quale stanno una serie di fattori e situazioni che hanno agito e agiscono come concause.

Innanzitutto, come già detto, l’integrazione europea ed i principi da essa espressi, hanno obbligato il legislatore italiano ad adeguare la propria normativa ai principi emergenti a livello comunitario. In secondo luogo, l’inadeguatezza del settore pubblico nel programmare, progettare e gestire le risorse disponibili ha richiesto una profonda e radicale trasformazione dell’essere “pubblico”, imbrigliato per anni nei rigidi schemi legislativi e regolamentari, con l’acquisizione di elementi organizzativi tipici delle aziende private.

Un terzo fattore che ha spinto verso una cambiamento di prospettiva è costituito dalla circostanza che l’attuale stato della finanza pubblica rende difficile provvedere alla realizzazione dei diversi progetti, senza il coinvolgimento diretto di finanziatori privati. Diviene quindi indispensabile per l’operatore pubblico favorire tutte quelle forme di collaborazione fra soggetti pubblici e privati, che vanno sotto il nome di Partenariato Pubblico Privato.

La ricerca di soluzioni alternative al finanziamento interamente pubblico diventa dunque una scelta obbligata di politica economica, a seguito della

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II

sempre più scarsa disponibilità di risorse pubbliche per la realizzazione di infrastrutture, oltre che per i vincoli sui conti pubblici, imposti in sede comunitaria.

Il “nuovo” diritto amministrativo si esprime attraverso questo nuovo modo di concepire il rapporto tra settore pubblico e privato, con lo scambio di esperienze positive, per realizzare, nel miglior modo possibile, i rispettivi interessi all’interno di particolari forme contenutistiche e procedurali di partenariato. Il partenariato pubblico privato, dunque, si pone al centro di questa trasformazione, in cui le rispettive esperienze si completano e si diluiscono, per creare forme di cooperazione tra pubblico e privato che determinano un posizionamento precario e relativo dei due settori, nell’intento di condizionarsi reciprocamente.

I soggetti privati espletano sempre più compiti pubblici mentre l’amministrazione pubblica si cimenta nella sfera economica e si appropria nell’agire pubblico di moduli di azione tipici del settore privato.

Tra le numerose forme di cooperazione che vengono fatte rientrare per definizione all’interno della categoria PPP, particolare enfasi verrà posta, a partire dal secondo capitolo, sul Project financing o finanza di progetto, nonché sul confronto tra quest’ultima e il corrispettivo istituto “made in UK” che prende il nome di Private Finance Initiative (PFI), con il fine ultimo di comprendere le ragioni che hanno portato il primo ad essere uno strumento poco utilizzato e parecchio criticato mentre il secondo, al contrario, pur non esente da critiche, ha garantito buoni risultati in termini di supporto e crescita per il settore pubblico inglese. Sembra doverosa a tal proposito una breve premessa, da tenere a mente quando si affronterà più nello specifico il tema della comparazione fra la private finance initiative anglosassone e la finanza di progetto italiana si trova irrimediabilmente a dover analizzare i due istituti alla luce dei diversi ordinamenti giuridici dai quali provengono. La dottrina ha infatti più volte sottolineato come il problema maggiore dell'introduzione del project

financing nel nostro ordinamento sia stato, e in parte sia ancora, quello della

compatibilità di tale istituto, e delle sue caratteristiche principali, con il nostro ordinamento. L'ordinamento giuridico anglosassone e quello italiano sono profondamente diversi perché diversi sono i contesti storici, politici e

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socio-III

economici in cui sono nati e all’interno dei quali si sono evoluti. Se uno è figlio della giurisprudenza, delle pronunce dei giudici, l'altro è espressione dei Codici, del diritto scritto. Se il primo nasce dall'esperienza dei mercati medievali, l'altro è strettamente legato alla sua origine canonica.

Queste profonde differenze, tuttavia, non devono in alcun modo significare che non si possa procedere ad una comparazione, per la quale si dovrebbe cercare di assumere uno sguardo nuovo, non escludendo tout court la possibilità di analizzare, in chiave comparativa appunto, due istituti che nascono in ordinamenti giuridici apparentemente tanto distanti.

Come affermato dalla dottrina: “il giurista italiano deve, quindi, armarsi non solo del bagaglio della propria competenza (diritto privato, diritto amministrativo, diritto comunitario, ecc.) ma deve essere disposto a dialogare con sistemi diversi senza quella punta di inutile critica che vuole l'un diritto superiore all'altro. Infine, il giurista dovrà sempre di più saper proporre soluzioni che siano dal punto di vista normativo ineccepibili anche quando integrati con trapianti di altri sistemi giuridici”.

Il diritto anglosassone presenta degli istituti e dei principi profondamente diversi dal nostro, talvolta addirittura incompatibili. Sarebbe quindi impossibile, oltre a non essere corretto, tentare di introdurre sic et simpliciter la PFI all'interno del nostro ordinamento.

Pertanto, “l'operazione consentita al giurista che intende realizzare, secondo il diritto locale, operazioni di project financing è quella di procedere ad una trasposizione critica che muova dagli interessi perseguiti nel sistema di origine attraverso ciascun istituto e consenta di impiegare le fattispecie contrattuali che meglio assicurino la tutela dei medesimi interessi nel nostro ordinamento”.

Si rende, quindi, necessaria una breve digressione sulla diversa concezione che assume l’istituto del contratto nel diritto continentale e in quello anglosassone.

L'analisi che si intende intraprendere, senza pretese di esaustività, è ulteriormente complicata dalla circostanza per la quale non esiste, neanche all'interno della stessa dottrina inglese, una univoca definizione di contratto. Né tanto meno può venire in aiuto una definizione normativa, codicistica, come quella contenuta nell'articolo 1321 del nostro Codice Civile, semplicemente

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IV

perché non esiste nel diritto anglosassone una previsione analoga. Certamente non può, e non vuole, essere questa la sede per procedere ad un'analisi dell'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul significato di contratto nell'ordinamento inglese, ma si ritiene essere necessario, oltre che propedeutico, ai fini del prosieguo della trattazione indicare alcune delle posizioni espresse dalla dottrina nel corso degli ultimi anni.

Soprattutto recentemente la dottrina inglese si è confrontata con due concetti di contratto che, pur partendo da una base comune, se ne sono via via allontanati, giungendo a conclusioni piuttosto diverse, quasi divergenti. Da un lato, le posizioni espresse da Atiyah più vicine alle impostazioni di civil law, dall'altro quelle di Treitel, di esclusiva impronta anglosassone.

Secondo tale distinzione, assolutamente semplificata, da un lato viene evidenziato il contratto quale atto di autonomia privata, quale affare che le parti concludono autonomamente e nel quale l'intervento esterno, del giudice o del legislatore, è visto come una fastidiosa interferenza.

Dall'altro, pur partendo dal medesimo principio di autonomia delle parti, il contratto può subire influenze esterne che vadano ad integrarne o modificarne i contenuti. Quindi una sorta di superamento della concezione classica della

privatezza del contratto.

Indicando le diverse interpretazioni dottrinali, un cenno deve essere dedicato agli studiosi di diritto comparato, che giungono alla conclusione che il common law inglese si stia muovendo verso una gradual convergence.

Gli ordinamenti di common law, in materia di contratti, sono caratterizzati da un regime di assolutezza dell'adempimento dell'accordo liberamente sottoscritto dalle parti. Tale caratteristica fondamentale preclude in generale, salvo particolari eccezioni, l'intervento del legislatore e del giudice nel determinare o modificare il contenuto dell'accordo.

Pertanto, nel diritto inglese l'autonomia privata ha un grado di efficacia molto più estesa rispetto al nostro ordinamento, per questo motivo le interferenze del legislatore e del giudice sono ridotte al minimo.

Tale peculiarità è fondamentale per comprendere le differenze fra i due ordinamenti. In quello anglosassone è centrale la figura dell'affare, il contratto ha sempre avuto connotazione commerciale per cui “il contratto è un affare e le

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V

parti sono coscienti di tale natura nel loro rapporto giuridico”, a differenza di quello continentale dove centrale è l'elemento della promessa, a causa della forte influenza canonica nel nostro ordinamento e, di conseguenza, di una forte presenza del principio di eterointegrazione della volontà delle parti.

Nei sistemi di common law non sarebbe quindi possibile alcuna forma di integrazione del contratto da parte del legislatore o di modifica della volontà delle parti da parte del giudice. La giurisprudenza anglosassone, prendendo atto della volontà delle parti, valuta gli effetti del contratto in considerazione alla sola

external appearence dell'accordo concluso. Il contenuto del contratto è costituito da

una serie di clausole scritte che sono le uniche in grado di vincolare le parti. Da questo elemento si ravvisa la maggiore efficacia che il documento scritto assume nel diritto inglese rispetto al nostro ordinamento.

Il contratto scritto diviene quindi una sorta di “prigione” dalla quale le parti possono liberarsi solamente attraverso l'adempimento, assoluto, dell'obbligazione desunta dall'accordo. Ed inoltre, è sempre il contratto a sancire in maniera netta i confini di intervento del giudice il quale ha dunque un margine di intervento estremamente limitato, non potendo liberarsi dal vincolo che le parti gli hanno imposto attraverso il contratto.

Al contrario, nel nostro ordinamento, il giudice è chiamato a valutare non solo la dichiarazione espressa di volontà delle parti ma anche quella tacita. In tal modo la volontà delle parti, espressa nel contratto, potrebbe subire variazioni a seguito di una possibile interpretazione del giudice. Alla luce di queste semplici osservazioni risulta evidente la circostanza per cui il project financing abbia trovato larga diffusione nei Paesi di common law, dove meglio è garantita la certezza e la stabilità del contratto nel tempo.

Grazie ai principi cardine della common law, quali l'assolutezza dell'adempimento, la freedom of contract e la sanctity of contract, il project financing ha trovato la sua collocazione ideale all'interno di mercati liberi come quelli di stampo anglosassone.

Il nostro ordinamento presenta, rispetto a quelli di common law, maggiori e più stringenti principi di chiusura nei confronti del project financing. Tali principi contribuiscono a compromettere la stabilità nel tempo di un'operazione in finanza di progetto. I principi del nostro ordinamento che non consentirebbero

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VI

una piena diffusione della finanza di progetto sono da ravvisarsi, in particolare, nella eterointegrazione contrattuale, nella eccessiva onerosità sopravvenuta e nell'impossibilità sopravvenuta.

Tali considerazioni si collocano all’interno di un’ottica nella quale la struttura giuridica del project financing non presuppone necessariamente innovazioni legislative ma la valorizzazione di istituti già presenti nel nostro ordinamento opportunamente interpretati ed applicati nella direzione ritenuta più opportuna. Dopo queste brevi osservazioni risulta molto più chiaro comprendere le ragioni per cui il project financing abbia trovato terreno fertile nei paesi di common law, ed in Gran Bretagna in particolare.

Il legislatore britannico, pur non prevedendo una normativa positiva in materia, è riuscito a sviluppare veri e propri modelli operativi, i contratti standardizzati, attraverso i quali si è diffusa una reale prassi contrattualistica, nonché la diffusione di best practices fra gli operatori.

Concludendo con l’esposizione che segue si vuole, tuttavia, concentrare l’attenzione verso alcuni elementi critici della PFI britannica. Alla luce dell’esperienza italiana tutt’altro che edificante in tema di realizzazione di infrastrutture, opere pubbliche o di pubblica utilità, si incorre nel rischio di subire una sorta di fascinazione nei confronti del modello britannico, che risulterebbe essere molto più efficiente del nostro. Il rischio maggiore in tal senso è di limitare l’osservazione al solo risultato finale, la realizzazione dell’opera senza aggravi di costi per il settore pubblico, senza considerare, tuttavia, il percorso che ha condotto a tale risultato.

Infine, per concludere la trattazione del tema ed offrire al lettore una chiara e completa panoramica sul tema della cooperazione, nell’ultimo capitolo verrà posto il focus su un caso pratico nazionale, il progetto “Nuovi Ospedali” che ha trovato in Toscana il proprio terreno fertile ma sul quale è sorto e si è alimentato un dibattito post realizzazione tra la regione e la corte dei conti, protrattosi a lungo per via di una divergenza di vedute sull’effettivo rispetto in sede preliminare ed esecutiva dei parametri indicati dalla normativa e di conseguenza sulla reale convenienza della tecnica in relazione allo specifico progetto.

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1

CAPITOLO I

IL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO

Sommario: 1. Origine e definizione del PPP - 2. Natura e tipologie di PPP - 3. Classificazione dei progetti finanziabili - 4. La disciplina del PPP alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici - 5. Il mercato dei PPP in Italia - 6. Il mercato del PPP in Europa.

1. ORIGINE E DEFINIZIONE DEL PPP

Il partenariato pubblico privato1 rappresenta un fenomeno multiforme che

raggruppa in categoria vari modelli di cooperazione tra settore pubblico e operatori privati, elevando questi ultimi da destinatari dell’azione amministrativa a “partner”.

Non si tratta di qualcosa di nuovo nel panorama nazionale ed internazionale, il quale ha visto modificare e differenziare nel corso dei decenni le sue tecniche di applicazione nonché i suoi ambiti applicativi. Bastano pochi esempi per capire l’ampiezza e la complessità del fenomeno: le convenzioni di lottizzazione, largamente utilizzate per la costruzione delle città italiane in epoca post unitaria o per la ricostruzione di molte città inglesi dopo la seconda guerra mondiale, i contratti di programma utilizzati dalla Banca centrale e dal Fondo monetario internazionale per avviare lo sviluppo del continente africano o di altre aree in ritardo di sviluppo2.

1 M.P. CHITI, “Partenariato pubblico-privato”, in M. CLARICH e G. FONDERICO (a cura di), Dizionario di Dir. Amm.vo, Milano, 2007; R. DIPACE, “Partenariato pubblico privato e contratti

atipici”, Milano, 2006; R. DIPACE, “I contratti alternativi all’appalto per la realizzazione di opere pubbliche”, in www.giustamm.it, n. 10/2008; B. RAGANELLI, “Principi, disposizioni e giurisprudenza comunitaria in materia di partenariato pubblico privato: un quadro generale”, in

www.giustamm.it, 2010; G. NAPOLITANO, “Pubblico e privato nel diritto amministrativo”, Milano, 2003; M.P. CHITI, “I partenariati pubblico-privati e la fine del dualismo tra diritto pubblico e diritto

comune”, Napoli, 2009; V. SESSA, “Il partenariato pubblico-privato”, in F. CARINGELLA, P.

MANTINI e M. GIUSTINIANI, (a cura di), Il nuovo diritto dei contrati pubblici, Roma, 2016; M.P. CHITI, “Il partenariato pubblico-privato: concessioni finanza di progetto società miste

fondazioni”, Napoli, 2009; G.F. CARTEI e M. RICCHI, “Finanza di progetto e partenariato pubblico-privato”, Napoli, 2015; S. FANTINI, “Il partenariato pubblico-privato, con particolare riguardo al project financing ed al contratto di disponibilità”, in www.giustamm.it; M.P. CHITI., “Il Partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva concessioni”, in Rivista It. di Dir. Pubbl. Comun., 2016; G.F CARTEI, “Le varie forme di partenariato pubblico-privato. Il quadro generale”, in www.giustamm.it, 2010.

2 A. FIORITTO, “Nuove forme e nuove discipline del partenariato pubblico privato”, Torino, 2017 pag. 55.

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2

A parte la diversità di strumenti giuridici variamente denominati, i quali verranno approfonditi in seguito, il partenariato rappresenta dunque lo strumento attraverso il quale la sfera pubblica incontra quella privata in ottica collaborativa per il perseguimento di un obiettivo primario qual è quello di risposta alle esigenze ed ai bisogni della collettività, per cui si può affermare che oltre ad essere un fenomeno giuridico ed economico, esso rappresenta anche un fenomeno sociale.

Come la Commissione Europea ha avuto modo di specificare nel Libro Verde del 20043, pur non fornendo una definizione giuridica, si tratta di

“Forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio”. Dalla disamina della Comunicazione della Commissione si evince che l’obiettivo principale del legislatore comunitario nell’ambito dei PPP rimane sempre la tutela della concorrenza, considerando che in tutti i casi in cui una P.A. affidi la prestazione di attività economiche a terzi devono trovare applicazione i principi del Trattato, in particolare quelli di libertà di stabilimento (art. 49-55 TFUE) e libera prestazione di servizi (art. 56-62 TFUE), nonché quelli di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità e divieto di aiuti di Stato, i quali hanno trovato la loro consacrazione nella giurisprudenza comunitaria4. In quell’occasione la stessa

Commissione ha individuato i principali elementi di tale cooperazione e cioè: a. la lunga durata del rapporto di collaborazione tra partner pubblico e partner

privato5;

3 “Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”, Bruxelles, 30.4.2004, COM (2004) 327 definitivo.

4 Corte di Giustizia Europea sentenza C-382/2005, 18 luglio 2007.

5 L’art. 18 della direttiva 2014/23/UE, al fine di evitare la preclusione dell’accesso al mercato e

restrizioni della concorrenza, ha previsto che la durata delle concessioni ultraquinquennali deve essere limitata al periodo di tempo ritenuto necessario per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti previsti per eseguire la concessione, nonché di ottenere un ritorno sul capitale investito (consideranda 52). In realtà, già in precedenza il Libro Verde, al punto 46, aveva stabilito che “il periodo durante il quale il partner privato assumerà l’esecuzione di un’opera deve

essere fissato in funzione della necessità di garantire l’equilibrio economico finanziario di un progetto” e che “la durata della relazione di partenariato deve essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto sia necessario per garantire l’ammortamento degli investimenti ed una ragionevole rendita dei capitali investiti. Una durata eccessiva sarebbe infatti in contrasto con i principi che disciplinano il mercato interno o con le disposizioni del Trattato in materia di concorrenza”.

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3

b. Il finanziamento del progetto garantito da parte del partner privato, talvolta tramite relazioni complesse tra diversi soggetti. Spesso, tuttavia, quote di finanziamento pubblico, a volte assai notevoli, possono aggiungersi ai finanziamenti privati;

c. lo specifico ruolo strategico dell’operatore economico privato, che partecipa a varie fasi del progetto, mentre il partner pubblico si concentra principalmente sulla definizione degli obiettivi da raggiungere in termini di interesse pubblico, di qualità dei servizi offerti, di politica dei prezzi, garantendo il controllo del rispetto di questi obiettivi;

d. la ripartizione dei rischi tra il partner pubblico e quello privato, sul quale sono trasferiti rischi di solito a carico del settore pubblico, per quanto non debba necessariamente verificarsi che il partner privato si assuma tutti i rischi, o la parte più rilevante dei rischi legati all’operazione. La precisa ripartizione dei rischi si dovrebbe invece effettuare caso per caso, in funzione della capacità delle parti in questione di valutare, controllare e gestire gli stessi.

Le principali cause/presupposti della ricerca da parte della pubblica amministrazione di tale collaborazione con i privati sono da ravvisarsi, da un lato nella carenza di risorse economiche e nell’esigenza di contenimento della spesa pubblica, imposta dal trattato di Maastricht prima e dall’introduzione a livello costituzionale della regola del pareggio di bilancio poi6 e dall’altro lato

nel difetto di competenze tecniche (know how) per la realizzazione e la gestione di opere pubbliche e di servizi di pubblica utilità.

Tra i fattori di sviluppo nell’ultimo decennio gioca un ruolo importante la convinzione che l’introduzione di modelli privatistici consenta un miglioramento dell’efficacia della fase di programmazione degli interventi e della qualità complessiva delle infrastrutture realizzate e dei servizi erogati, nonché l’introduzione di meccanismi che stimolino un’effettiva concorrenza sui costi7.

6 La regola è stata introdotta all’art. 81 della costituzione con la L. cost. 1/2012, in attuazione del Trattato sulla stabilità, bilancio).

7 G. FIDONE - B. RAGANELLI, “Il partenariato pubblico privato e la finanza di progetto” in M. CLARICH (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Torino, 2010.

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Il fenomeno del PPP risulta quindi connesso in questo senso anche con quello della “privatizzazione del diritto amministrativo”8, ossia della diffusione

all’interno dell’amministrazione pubblica, di una dimensione latu sensu privatistica tanto sotto il profilo dei principi e degli strumenti, quanto da un punto di vista economico e giuridico.

Questo ha comportato il superamento della concezione del diritto amministrativo come conflitto di autorità pubblica e libertà privata fondato sui dogmi della “necessaria unilateralità” dell’agire amministrativo e della “non negoziabilità” del potere amministrativo9, modello sostituito da operazioni di

tipo consensuale.

Affermando che “essenziale è il fine pubblico, fungibili sono gli strumenti attraverso

cui perseguirlo” il Consiglio di stato ha aperto le porte alla legittimità della

partecipazione dei privati nella codecisione dell’assetto degli interessi10.

L’amministrazione, infatti, è tenuta a negoziare con l’imprenditore privato le modalità di realizzazione dell’operazione, proponendogli un’adeguata contropartita per rendere appetibile la prospettiva di una collaborazione, visto che quest’ultimo, anche quando coopera con il soggetto pubblico, mantiene come scopo principale il perseguimento del proprio interesse privato. Si assiste quindi all’unione del carattere pubblicistico dell’agire con il carattere privatistico della forma11.

Tutto questo, dimostra inoltre come lo stato abbia abbandonato il suo ruolo di operatore diretto nel mercato evolvendosi in organizzatore, regolatore e supervisore dello stesso.

8 C. FRANCHINI, “I contratti della P.A. tra diritto pubblico e diritto privato”, in C. FRANCHINI (a cura di), I contratti con la pubblica amministrazione, trattato dei contratti, diretto da P. RESCIGNO - E. GABRIELLI, Torino, 2007. Vedi anche C. FRANCHINI - F. TEDESCHINI, “Una nuova pubblica amministrazione: aspetti problematici e prospettive di riforma

dell’attività contrattuale”, Torino, 2009.

9 S. CASSESE, “Cultura e politica del diritto amministrativo”, Bologna, 1971, 144 ss.; A. MASUCCI,

“Trasformazione dell’amministrazione e moduli convenzionali”, Napoli, 1988, in A. FIORITTO (a cura

di), Nuove forme e nuove discipline del partenariato pubblico privato, op. cit., pag. 80. 10 Sentenza Consiglio di Stato, Sezione VI, 15 maggio 2002, n. 2636.

11 M. DE DONNO, “Il principio di con sensualità nel governo del territorio: le convenzioni urbanistiche”, in A. FIORITTO (a cura di), Nuove forme e nuove discipline del partenariato pubblico privato, op. cit..

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In tal senso dunque, il partenariato pubblico privato rappresenta una delle manifestazioni più evidenti del principio di sussidiarietà12 che in virtù della

riforma del titolo V della nostra carta costituzionale, ad opera della legge cost. n. 3/2001, ha trovato consacrazione nell’art. 118, quarto comma, ove si favorisce l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale13.

La sussidiarietà non deve però essere intesa come un passo indietro dello stato ma come una diversa modalità di intervento, capace di far convergere risorse ed intenti in ottica sinergica, che sia espressione anche di un mutato e più trasparente assetto tra potere politico amministrativo e potere economico14.

2. NATURA E TIPOLOGIE DI PPP

Prima di procedere all’analisi degli ambiti applicativi, occorre mettere in evidenza come giuridicamente il PPP può avere una duplice natura: contrattuale o istituzionale.

12 Sul principio di sussidiarietà orizzontale la letteratura è molto vasta: A. POGGI, “Le

autonomie funzionali “tra” sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale”, Milano, 2001; A.

ALBANESE, “Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici”, in Dir. Pubbl., 2002. p. 51 ss; M. ABRESCIA, “Il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale”, Bologna, 2005; G. ARENA, G. COTTURRI, “Il valore aggiunto. Come la sussidiarietà può salvare

l’Italia”, Roma, 2010.

13 Secondo alcuni autori, il fondamento del principio di sussidiarietà si può riscontrare anche nell’art. 43 della Costituzione, il quale, invece, è sempre stato considerato come l’architrave dell’interventismo statale nell’economia. Infatti, secondo tale prospettazione, se il costituente ha sentito l’esigenza di affermare la possibilità che i servizi di interesse generale possano essere riservati originariamente allo Stato, ovvero possano essere nazionalizzati, significa, che gli stessi, in condizioni di normalità, devono essere erogati attraverso soggetti privati che operano in un regime di mercato concorrenziale e non chiuso (così R. DIPACE, “Partenariato

pubblico-privato e contratti atipici”, op. cit.).

14 Come è stato incisivamente affermato dalla Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, “Il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, Cost., costituisce il

criterio propulsivo in coerenza al quale deve svilupparsi, nell’ambito della società civile, il rapporto tra pubblico e privato anche nella realizzazione delle finalità di carattere collettivo” (Adunanza del 1° Luglio 2002).

Questa interpretazione, aggiunse la Sezione “trova riscontro in una visione secondo cui lo Stato e ogni

altra Autorità pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale e si impegnano direttamente per la realizzazione di quelle che sulla base di tale parametro sono avvertite come utilità collettive, come esigenze proprie della comunità di cui fanno parte”.

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Nel primo caso, il rapporto tra soggetto pubblico e soggetto privato si fonda su legami esclusivamente convenzionali, attraverso i quali vengono definite una serie di operazioni tra cui la progettazione, il finanziamento, la realizzazione e la gestione, da affidare al partner privato. Sono dunque possibili diversi livelli di integrazione e collaborazione. In questo contesto, uno dei modelli maggiormente conosciuto è quello concessorio, che si caratterizza per l’esistenza di un legame diretto tra il soggetto privato e l’utente finale, fornendo un servizio al pubblico in sostituzione e sotto il controllo della parte pubblica. Tale modello si caratterizza anche per le modalità di retribuzione del privato, che trae il proprio compenso dagli utenti del servizio15.

Nel secondo caso, invece la cooperazione avviene in seno ad un’entità distinta, dotata di personalità giuridica, la quale può essere creata ex novo oppure può trattarsi di una preesistente impresa pubblica che passa in parte sotto il controllo privato (es. società miste16).

15 Secondo R. DIPACE, “Partenariato pubblico privato e contratti atipici”, op. cit., il tradizionale istituto della concessione è considerato l’archetipo di tutte le forme di partenariato, anche le più innovative. L’esigenza sottesa alla creazione dell’istituto concessorio era quella di fornire alle pubbliche amministrazioni uno strumento che, a differenza dell’appalto, consentisse di realizzare programmi costruttivi con procedimenti snelli e derogatori rispetto alla disciplina dell’evidenza pubblica. Al privato concessionario quindi, si iniziavano ad attribuire poteri consistenti nel reperimento dei fondi, nella progettazione, nella attivazione delle procedure necessarie per la realizzazione dell’opera e nella gestione della stessa. Tale istituto si rivelava vantaggioso sia per il privato che per la pubblica amministrazione. Il privato, infatti, conseguiva una remunerazione ulteriore rispetto a quella percepita per la semplice realizzazione dell’opera, consistente nei frutti della gestione. Per il partner pubblico si trattava di sopperire alle carenze di fondi ed alla assenza di personale tecnico particolarmente qualificato per fornire il servizio collegato all’opera che si intendeva realizzare.

16 È stato sottolineato da M.P. CHITI, “Il Partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva

concessioni”, op. cit., che “per le società miste va osservato che indubbiamente la parte pubblica e quella privata decidono di istituire un nuovo soggetto giuridico con l’intento di collaborare insieme per il raggiungimento di scopi comuni. In tale prospettiva, nulla è più vicino all’idea generica di Partenariato di un soggetto “comune” alle due parti che lo istituiscono e vi partecipano; inoltre, il privato contribuisce con il proprio apporto finanziario, il lavoro e le prestazioni necessarie. Tuttavia, in questo modulo di PPP a carattere organizzativo manca un elemento essenziale del Partenariato, quale il rischio diretto per la parte privata; non perché la partecipazione societaria sia priva di rischi, ovviamente, ma in quanto il rischio di impresa è propriamente della società e ripartito tra i soci in proporzione al peso delle relative partecipazioni. In ogni caso è del tutto diverso in queste situazioni dal rischio operativo e di disponibilità, come definito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e dai giudici nazionali, e come adesso disciplinato dalla direttiva concessioni. Si consideri inoltre che le società miste hanno un regime giuridico con caratteri non necessariamente identici a quelli delle società di diritto comune (talora con rilevanti discrepanze, anzi); ciò che determina una posizione dei privati differenziata rispetto al criterio generale del rischio di impresa. La circostanza che il privato sia stato scelto all’esito di una procedura ad evidenza pubblica (oggi rimangono solo limitate eccezioni a questa regola) non riequilibra la situazione ora esposta; e comunque è inconferente con l’idea di Partenariato”, inoltre, il “PPP istituzionalizzato” non

pare rappresentare una categoria omogenea per la diversità delle figure soggettive che possono considerarsene parte, ed anche per il regime giuridico altrettanto differenziato di tali figure. Ma soprattutto non vi si rinvengono elementi essenziali della nozione generale di Partenariato, come definiti dallo stesso Libro Verde, ad iniziare, come detto, dalla “traslazione del rischio”.

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In entrambi i casi, la scelta del soggetto privato deve avvenire nel rispetto dei principi concorrenziali della trasparenza e della parità di trattamento. Rientrano nella prima categoria:

- concessione di costruzione e gestione/concessione di servizi; - sponsorizzazione;

- locazione finanziaria (cd “leasing in costruendo”); - finanza di progetto (project financing).

Costituiscono un partenariato istituzionalizzato invece: - società miste a prevalente capitale pubblico;

- società miste a prevalente capitale privato; - società miste costituite ai sensi del codice civile; - società di trasformazione urbana.

Si noti che già il terzo decreto correttivo, d.lgs. n. 152/2008, aveva introdotto all’art. 3, comma 15-ter, del Codice la definizione di «contratti di partenariato pubblico privato».

Tale previsione recepiva un’indicazione del parere reso dall’VIII Commissione Senato il 29 luglio 2008. In essa si leggeva: «contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti.

Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste.

Possono rientrare altresì tra le operazioni di partenariato pubblico privato l’affidamento a contraente generale ove il corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell’opera per il committente o per utenti terzi. Fatti salvi gli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 44, comma 1-bis, d.l. 31 dicembre 2007, n. 248,

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aggiunto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31, alle operazioni di partenariato pubblico privato si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat». Pertanto il terzo correttivo introduceva nel Codice dei contratti una definizione di contratti di PPP che sembrava lasciar fuori i c.d. PPP di tipo istituzionale, anche se poi nell’elenco vi erano fatte rientrare le società miste. Risulta evidente che il legislatore avesse voluto delineare tali rapporti come una tipologia contrattuale aperta, potendo il suo contenuto essere direttamente determinato dalle parti secondo le esigenze concrete da soddisfare17.

Detto questo, va sottolineato come nonostante il libro verde del 2004 comprenda nella categoria di partenariato contrattuale, anche i contratti di appalto pubblico, in realtà il fatto che nello stesso libro verde, la commissione elenchi tra le caratteristiche essenziali del PPP, anche la ripartizione dei rischi, con trasferimento al privato di quelli normalmente a carico della parte pubblica, porterebbe ad escludere l’appalto dalla nozione di partenariato pubblico-privato.

A sostegno di ciò, nello schema contrattuale dell’appalto non si rinvengono alcuni elementi caratterizzanti il PPP, tra cui, oltre la ripartizione dei rischi, anche l’apporto finanziario privato e l’elemento della lunga durata, volto a consentire l’ammortamento degli investimenti e una ragionevole rendita dei capitali investiti.

Un’altra distinzione riguarda la natura tipica o atipica del contratto che può essere stipulato nelle forme di Partenariato. Un contratto atipico risulta particolarmente adatto ai partenariati, in quanto consente alle parti di regolare flessibilmente i rischi e le responsabilità, senza essere vincolati da una specifica normativa, come avviene nell’appalto o altri contratti tipizzati.

Con l’utilizzazione dei contratti di partenariato da parte dell’Autorità pubblica, si rompe il tradizionale schema legato ai provvedimenti autoritativi e si manifesta, in tutta la sua intensità, lo strumento consensuale, che vede, proprio nei contratti atipici, la principale espressione della necessaria flessibilità, per regolare al meglio le complesse operazioni legate ai partenariati.

17 G. FIDONE - B. RAGANELLI, “Il partenariato pubblico privato e la finanza di progetto”, in M. CLARICH (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, op. cit.

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Questo, se da un lato incentiva il privato a negoziare, perché non si trova ad essere ingabbiato in rigidi percorsi, dall’altro, non esonera l’amministrazione dal rispetto del principio di funzionalizzazione della propria attività e al rispetto delle procedure competitive nella individuazione del soggetto privato.

Riprendendo l’art. 3, comma 15-ter del D.Lgs. 11 settembre 2008, n. 152 risulta ancor più evidente l’esclusione dell’appalto tra gli istituti di PPP. Detta norma, invero, prevedeva che alle operazioni di partenariato pubblico-privato si applicassero i contenuti delle decisioni Eurostat.

In particolare, la decisione dell’Eurostat n. 18 dell’11.2.2004 stabilisce che la condizione posta per collocare fuori il bilancio dello Stato gli investimenti in partenariato pubblico-privato è che vi sia un sostanziale trasferimento di rischio economico dalla parte pubblica alla parte privata.

Il che si verifica allorquando ricorrano le condizioni che il partner privato si assume il rischio di costruzione ed almeno uno tra i rischi di disponibilità e di domanda18.

Pertanto, pare condivisibile quanto sostenuto da attenta dottrina, secondo cui rappresenta un evidente limite del Libro verde aver ricompreso nella categoria del “PPP” contrattuale il contratto di appalto pubblico, nel quale le

18 La decisione di Eurostat, «Treatment of public-private partnerships» dell’11 febbraio 2004, riguarda il trattamento contabile, nei conti nazionali, dei contratti sottoscritti dalla pubblica amministrazione nel quadro di partenariati con imprese private e specifica l’impatto di tali PPP sul bilancio e sul debito pubblico. La decisione riguarda il caso di contratti a lungo termine, tra PA e un partner privato in settori di attività dove il Governo è fortemente coinvolto, per la realizzazione di una infrastruttura in grado di erogare servizi secondo parametri quantitativi e qualitativi stabiliti. La decisione si applica solo nei casi in cui lo Stato sia il principale acquisitore dei beni e servizi forniti dall’infrastruttura, sia che la domanda sia originata dalla stessa parte pubblica che da terze parti (es. servizi pubblici come la sanità o l’istruzione, nei quali, per un meccanismo di sostituzione, le prestazioni erogate ai cittadini sono pagate dalla pubblica amministrazione o di infrastrutture stradali, i cui pedaggi sono pagati dalla parte pubblica attraverso sistemi di shadow tolls (c.d. pedaggi ombra). In questi casi la decisione Eurostat propone che gli assets legati a tali forme di PPP non debbano essere classificati come attivo patrimoniale pubblico, e, pertanto, siano registrati fuori bilancio delle amministrazioni pubbliche, qualora vengano rispettate due condizioni: 1) il partner privato si assume il rischio di costruzione; 2) il partner privato si assume almeno uno dei due rischi seguenti: quello di disponibilità e quello di domanda. Le conseguenze sul deficit e sul debito pubblico sono importanti. Infatti, se l’asset viene considerato fuori bilancio dello Stato, le relative spese in conto capitale, sostenute dal partner privato, non incidono né sul disavanzo né sul debito pubblico. Sul tema vedi UTFP, Partenariato Pubblico-Privato per la realizzazione di opere pubbliche: impatto sulla contabilità nazionale e sul debito pubblico Decisione Eurostat 11 febbraio 2004 «Treatment of public-private partnerships».

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parti formalizzano le proprie antagonistiche posizioni e certo non si accordano per realizzare congiuntamente obiettivi di comune interesse19.

3. CLASSIFICAZIONE DEI PROGETTI FINANZIABILI

Alla luce delle precedenti considerazioni, risulta chiaro che nell’ambito del PPP rientra un’ampio e diversificato spettro di forme di cooperazione ma altrettanto estesi sono i possibili settori di intervento. In particolare, i progetti realizzabili tramite partenariato vengono solitamente classificati in base alla loro capacità di “ripagarsi”, in 3 principali categorie20:

a) OPERE CALDE - Progetti dotati di una intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi da utenza: i ricavi commerciali prospettici di tali progetti consentono al settore privato un integrale recupero dei costi di investimento nell’arco della vita della concessione. In tale tipologia di progetti, il coinvolgimento del settore pubblico si limita ad identificare le condizioni necessarie per consentire la realizzazione del progetto, facendosi carico delle fasi iniziali di pianificazione, autorizzazione, indizione dei bandi di gara per l’assegnazione delle concessioni e fornendo la relativa assistenza per le procedure autorizzative; (autostrade, termovalorizzatori, impianti energetici);

b) OPERE FREDDE - Progetti in cui il concessionario privato fornisce direttamente servizi alla pubblica amministrazione: è il caso di tutte quelle opere pubbliche - carceri, ospedali, scuole - per le quali il soggetto privato

19 In tal senso, M.P. CHITI, “Luci, ombre e vaghezze nella disciplina del partenariato pubblico-privato”, in atti del convegno Il partenariato pubblico privato e il diritto europeo degli appalti e delle concessioni, Firenze, 2005; L’autore rileva che “appare discutibile l’inclusione dei contratti di appalto

pubblico nell’ambito delle forme di partenariato, in quanto il partenariato implica una condivisione di finalità, di impegni e conseguenti rischi che vanno ben oltre la definizione contrattuale di un rapporto in cui le parti rimangono distinte e contrapposte, pur nella cornice definita bilateralmente”. Tra gli altri che si

riconoscono in questa posizione, A. MASSERA, “Il partenariato pubblico-privato e il diritto europeo

degli appalti”, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunit., 2005, 5,

20 Tra gli autori che hanno fatto ricorso a tale suggestiva classificazione, G. TAMBURI, “Come

applicare il project financing alle opere calde e alle opere fredde”, in U. DRAETTA e C. VACCA (a cura

di), Il project financing: caratteristiche e modelli contrattuali, Milano, 1997; F. MERUSI, “La

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che le realizza e gestisce trae la propria remunerazione esclusivamente (o principalmente) da pagamenti effettuati dalla pubblica amministrazione su base commerciale;

c) OPERE TIEPIDE - Progetti che richiedono una componente di contribuzione pubblica: è il caso di iniziative i cui ricavi commerciali da utenza sono di per se stessi insufficienti a generare adeguati ritorni economici, ma la cui realizzazione genera rilevanti esternalità positive in termini di benefici sociali indotti dalla infrastruttura. Tali esternalità giustificano l’erogazione di una componente di contribuzione pubblica. (parcheggi con tariffe calmierate).

Da tale classificazione emerge come gli strumenti di collaborazione tra enti pubblici e privati si prestino meglio alla realizzazione di quei progetti caratterizzati da elevati flussi di cassa e da una domanda costante, a discapito di quelli caratterizzati da bassi rendimenti e dalla conseguente impossibilità di raggiungere un equilibrio economico. Tuttavia non sarebbe corretto limitare l’ambito applicativo di tali forme di collaborazione alle sole opere calde.

Al riguardo, un modo per estendere l’applicabilità dello strumento del PPP alle opere fredde è quello di programmare un progetto complesso che preveda la realizzazione contestuale di opere fredde e calde21, in cui i flussi di cassa

prodotti dalla gestione di quest’ultime consentono di remunerare anche l’investimento necessario per la realizzazione delle prime.

A titolo esemplificativo, al fine di agevolare la remunerazione degli investimenti sostenuti per la costruzione di scuole, tribunali, caserme, opere chiaramente inidonee, di per sé, a consentire il recupero dell’investimento, è possibile affidare al partner privato la gestione di tutti quei servizi

21 Con riguardo all’integrazione di opere calde con opere fredde, può essere utile citare l’esempio del “Piano particolareggiato di Corso del Popolo” di Terni. Nella fattispecie, il Comune aveva l’esigenza di procedere alla sistemazione di un’area pari ad 1/8 del centro storico, dotando questa zona di una serie di opere a servizio della collettività, come un parcheggio pubblico interrato a ridosso del centro storico e del tribunale (opera calda), la sistemazione di una vasta area a verde pubblico (opera fredda), arredo urbano (opera fredda), passerella pedonale sul fiume Nera (opera fredda), parziale modifica della viabilità pubblica (opera fredda), realizzazione di edifici per uffici comunali (opera fredda). L’amministrazione comunale, piuttosto che procedere alla realizzazione delle singole opere, attingendo alle risorse del bilancio, ha realizzato un unico grande intervento. Per un analisi di casi di studio relativi ad opere realizzate tramite il PPP, S. COPIELLO, “Progetti urbani in partenariato. Studi di fattibilità e

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complementari che producono reddito da ricavi da utenza a favore di chi li gestisce, come la mensa scolastica, il parcheggio del tribunale, il bar della caserma22.

A queste tecniche di finanziamento, si aggiunge poi la possibilità per l’amministrazione di integrare gli investimenti dei privati tramite contributi pubblici23.

Da tali considerazioni e in particolare dalla possibilità per il concessionario di usufruire di ulteriori risorse rispetto a quelle derivanti dalla gestione dell’opera, si capisce quanto delicata e di conseguenza importante sia una corretta definizione della modalità e dell’intensità dell’intervento pubblico, che deve essere tale da contenere al massimo l’impegno finanziario per la P.A., garantendo al contempo la permanenza in capo al soggetto privato dell’alea economico-finanziaria della gestione dell’opera nonché la bancabilità dell’intervento. Il tutto si basa dunque sulle competenze negoziali dell’amministrazione che deve evitare la possibilità che dalla trattativa prima e dalla collaborazione effettiva poi, si generi un margine di profitto incongruo in capo agli operatori economici privati.

È da rilevare a tal proposito che spesso, nelle operazioni di PPP, durante l’intero arco temporale di gestione della concessione, il soggetto privato ottiene una cd. Extra-redditività (benefit) che altera a suo favore l’equilibrio economico finanziario definito in fase di gara, conseguentemente al verificarsi di eventi esogeni o endogeni al progetto oggetto di concessione. Le amministrazioni concedenti, pertanto, dovrebbero prevedere espressamente nel contratto di concessione una condivisione (sharing) di tali benefit attraverso l’utilizzo di modelli operativi da prevedere ex ante. È questo il caso, ad esempio, dell’erogazione di un contributo pubblico vincolato a una “clausola di benefit sharing”.

22 G. TAGLIANETTI, “Il partenariato pubblico-privato e il rischio operativo”, vol. 21 Diritto e processo amministrativo, Napoli, 2014.

23 La legittimità del conferimento di un contributo economico da parte dell’amministrazione in favore del concessionario è stata più volte riconosciuta dalla Commissione Europea, secondo cui il tipo di retribuzione dell’operatore economico privato, consistente in compensi riscossi presso gli utenti del servizio, può essere, se necessario, completato da sovvenzioni versate dall’Autorità pubblica (così la Commissione nel libro verde 2004, punto 22, COM 2004, 327 def.).

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L’erogazione da parte dell’amministrazione concedente di risorse pubbliche è, pertanto, combinata a una clausola avente efficacia solo al verificarsi di condizioni prestabilite, ad esempio ad un determinato livello di redditività del progetto.

La ratio24 delle clausole di benefit sharing appare quindi quella di definire un

approccio concordato tra privato e pubblico nel condividere i benefici economici oltre una determinata soglia attesa, in modo da non rendere il contributo pubblico o l’eventuale canone corrisposto troppo alto rispetto a quello necessario a garantire l’equilibrio economico finanziario. In questi termini, secondo la più recente e comune dottrina europea in materia di PPP, si può affermare che il benefit sharing copra anche il rischio politico del progetto25.

Quindi il tema in questione non appare il giusto profitto dei privati rispetto a progetti che prevedono investimenti pubblici, bensì la condivisione di risultati economico-finanziari qualora risultino significativamente superiori a quelli attesi26. Soltanto in questo modo, il partenariato pubblico privato può costituire

un vantaggio per la collettività ed espandere le sue potenzialità applicative.

4. LA DISCIPLINA DEL PPP ALLA LUCE DEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI

In attuazione della normativa europea è stata introdotta una disciplina organica in materia di concessioni e partenariato pubblico-privato improntata alla concorrenzialità e alla diminuzione dei costi per la pubblica amministrazione. Si profila, rispetto al passato, uno “svantaggio” per le imprese private, le quali costruiscono e gestiscono l’opera e subiscono il c.d. rischio operativo, ovvero rischiano il totale investimento senza garanzie pubbliche.

24 G. PASQUINI, G. FERRANTE, P. MARASCO, “Project financing, i vantaggi della clausola che

ridistribuisce la redditività extra”, in Edilizia e Territorio, Il Sole 24 Ore, 2008, n.25, 16.

25 Ministry of Finance, Public-Private comparator manual, www.government. Nl/PPP, 2014. 26 HM Treasury Infrastructure UK, PFI/PPP Finance Guidance, www.gov.uk/governement, 2013.

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Il recepimento delle tre direttive europee 23, 24 e 25 del 2014 in materia di aggiudicazione dei contratti di concessione e di appalti pubblici ha costituito l’occasione per un riordino complessivo del sistema ed ha apportato importanti novità cercando di coniugare flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza, trasparenza e qualità, ai fini del raggiungimento di obiettivi di chiarificazione del quadro regolatorio e di certezza delle regole27.

Il legislatore, nella legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, art. 1, comma 1, ha indicato le due linee direttrici:

1) razionalizzazione ed estensione delle forme di partenariato pubblico privato, con particolare riguardo alla finanza di progetto e alla locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità, incentivandone l'utilizzo anche attraverso il ricorso a strumenti di carattere finanziario innovativi e specifici ed il supporto tecnico alle stazioni appaltanti garantendo la trasparenza e la pubblicità degli atti.

2) agevolare e ridurre i tempi delle procedure di partenariato pubblico privato, previsione espressa, previa indicazione dell'amministrazione competente, delle modalità e delle tempistiche per addivenire alla predisposizione di specifici studi di fattibilità che consentano di porre a gara progetti con accertata copertura finanziaria derivante dalla verifica dei livelli di bancabilità, garantendo altresì l'acquisizione di tutte le necessarie autorizzazioni, pareri e atti di assenso comunque denominati entro la fase di aggiudicazione.

Prima di analizzare la disciplina attuale però, pare opportuno procedere a una rapida rassegna degli interventi legislativi in materia. Va innanzitutto ricordata la nota Legge Merloni (L. 109/94, legge quadro in materia di lavori pubblici), la quale seppur connotata, coma alcuni la definirono, di capacità visionarie, non riuscì mai completamente a dare al sistema quella spinta per uscire dalla totale assenza di regole che aveva governato fino ad allora il mercato dei lavori pubblici.

27 V. BONFANTI, “Il partenariato pubblico-privato alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici”, in Amministrazione in cammino, rivista elettronica di Dir. Pubbl., Dir. dell’economia e di Scienza dell’amministrazione, 2016.

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Dopo la sua approvazione, mancò chi ne spiegasse il senso, chi ne promuovesse l’attuazione e l’osservanza presso gli operatori giuridici. Mancò in sostanza quello che oggi potremmo definire “marketing legislativo” ma anche e soprattutto un’autorità di regolazione capace di svolgere lo stesso ruolo oggi affidato all’ANAC. Tra i contenuti, merita cenno l’affermazione della centralità del progetto esecutivo, la fine di concessioni anomale come le concessioni di committenza, l’obbligo di pubblicare bandi di gare in osservanza delle direttive europee, una riorganizzazione della pubblica amministrazione chiamata a concentrarsi sulla programmazione con il nuovo strumento del piano triennale obbligatorio, la nuova figura del responsabile unico del procedimento.

Alla legge Merloni, dopo dodici anni e tre tentativi organici di riforma, subentrò un nuovo codice degli appalti (D.Lgs. 12 aprile 2006, n 163, noto Codice De Lise), modificato nelle singole norme, 597 volte con 13 provvedimenti legislativi in dieci anni.

Il nuovo codice tuttavia non solo non riuscì a dare le risposte all’esigenze prospettate dalla disciplina precedente, ma ne costituì per certi versi un peggioramento. Nessun disegno mirato a creare un mercato concorrenziale con responsabilità chiare e precise. Basta fare un riferimento al profilo della trasparenza. Il codice De Lise, anche con le modifiche successive, ha via via allargato quella zona grigia che consentiva l’affidamento di appalti senza una vera e proprio gara, portando il limite alla cifra di un milione di euro (raddoppiandolo) e spostando dunque in tale area una quota nettamente prevalente del mercato.

La disciplina attuale la ritroviamo nel nuovo Codice degli appalti e dei contratti di concessione (D.Lgs. 18 aprile 2016, n.50), più snello rispetto al precedente, tramite il quale è stata in primis riordinata la materia per la prima volta, considerate le revisioni e le numerose modifiche avvenute in precedenza, dettando in questo modo una disciplina unitaria in un’ottica di semplificazione, anche attraverso l’ottimizzazione degli strumenti a disposizione dei privati28.

28 Il Consiglio di Stato, nel parere 1 Aprile 2016, n. 855, si è pronunciato su questioni specifiche affermando che nella cornice del PPP devono essere chiari la definizione, l’ambito e la portata della progettazione a carico del partner privato. Inoltre, ritiene il Consiglio, che il principio di tendenziale separazione tra progettazione e esecuzione non vada eluso mediante contratti atipici di partenariato pubblico-privato e che nelle concessioni il rischio sia l’effettivo elemento differenziale dall’appalto.

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In particolare, la nuova direttiva europea sulle concessioni rappresenta una grande innovazione che sottolinea l’importanza che i contratti di partenariato pubblico-privato hanno assunto nel mercato europeo del public procurement.

Per la prima volta, infatti, si prevede una disciplina unitaria ed organica per le concessioni di lavori, servizi e forniture e viene disciplinato il PPP come istituto autonomo e a sé stante, quale forma di sinergia tra poteri pubblici e privati per il finanziamento, la realizzazione o la gestione delle infrastrutture o dei servizi pubblici, affinché l’amministrazione possa disporre di maggiori risorse e acquisire soluzioni innovative29.

Al contempo merita però di essere sottolineata la posizione assunta da una parte della dottrina secondo la quale l’omissione di esplicito riferimento del legislatore europeo al PPP, nelle direttive 2014, sarebbe indice di un’impossibilità a disporre una disciplina veramente unitaria dei vari istituti compresi sotto la categoria, a maggior ragione dopo aver disciplinato il cuore del PPP, ovvero le concessioni.

Detto questo, non può sfuggire che il nuovo codice dei contratti pubblici, offre una definizione ben chiara di contratto di partenariato pubblico privato nel suo art. 3, lett. eee) definendolo come: “il contratto a titolo oneroso stipulato per

iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo di tempo determinato in funzione della durata dell’ammortamento dell’investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell’operatore”.

Rispetto alla definizione contenuta nel Codice previgente, la lett. eee) sostituisce dunque il riferimento a “prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio” con la locuzione “realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera”, rinunciando alla proposta, emersa durante i lavori di predisposizione del nuovo Codice, di

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generalizzare la formulazione della norma mediante l’inserimento dell’espressione “esecuzione di lavori, servizi o disponibilità di beni immobili”.

Contestualmente, la precedente previsione del necessario “finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti”, è stata sostituita da quella della mera “assunzione di rischio” da parte dell’operatore economico: l’eliminazione del richiamo al finanziamento totale o parziale a carico dei privati sembra dunque lasciare intendere che vi possa essere una compartecipazione finanziaria della pubblica amministrazione, come peraltro già chiarito in sede comunitaria30.

Gli elementi che risaltano in questa nuova definizione rispetto alla precedente sono:

 Onerosità del contratto;  Forma scritta;

 Possibilità di coinvolgere più operatori economici.

Passando adesso alla disciplina specifica, che ritroviamo nella parte IV, Titolo I, del nuovo codice, notiamo subito che all’art. 180, commi 2 e 3, particolare attenzione viene riservata a due aspetti chiave del sistema, ovvero i ricavi di gestione e il trasferimento del rischio.

Comma 2: Nei contratti di partenariato pubblico privato, i ricavi di gestione dell’operatore economico provengono dal canone riconosciuto dall’ente concedente e/o da qualsiasi altra forma di contropartita economica ricevuta dal medesimo operatore economico, anche sotto forma di introito diretto della gestione del servizio ad utenza esterna.

Comma 3: Nei contratti di partenariato pubblico privato, il trasferimento del rischio in capo all’operatore economico comporta l’allocazione a quest’ultimo, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l’esterno, del rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell'opera come definiti, rispettivamente, dall'articolo 3, comma 1, lettere aaa), bbb) e ccc). Il contenuto

30 V. SESSA, “Il partenariato pubblico privato”, in Giustamm, Rivista di Diritto Amministrativo, n. 7, 2016.

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del contratto è definito tra le parti in modo che il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall'operatore economico, per eseguire il lavoro o fornire il servizio, dipenda dall'effettiva fornitura del servizio o utilizzabilità dell'opera o dal volume dei servizi erogati in corrispondenza della domanda e, in ogni caso, dal rispetto dei livelli di qualità contrattualizzati, purché la valutazione avvenga ex ante. Con il contratto di partenariato pubblico privato sono altresì disciplinati anche i rischi, incidenti sui corrispettivi, derivanti da fatti non imputabili all'operatore economico.

Come è facile intuire, la disciplina appena esposta mira a garantire la fattibilità e la sostenibilità economica-finanziaria dell’operazione complessiva, tramite valutazioni anticipate dei vari profili che concorrono alla messa in atto della cooperazione, con l’obiettivo ultimo di consentire all’amministrazione uno sgravio sulle spese di finanziamento dell’operazione, addossando i rischi principali in capo al partner privato ma offrendo a quest’ultimo la possibilità di ammortizzare e recuperare l’investimento effettuato per tutta la durata contrattuale attraverso lo sfruttamento dell’opera o del servizio oppure anche attraverso la corresponsione di una diversa utilità economica comunque pattuita ex ante, che è proporzionalmente ridotta o annullata nei periodi di ridotta o mancata disponibilità dell'opera, nonché ridotta o mancata prestazione dei servizi come specificato nei successivi commi 4 e 5 dell’art. 180. Non necessariamente deve trattarsi di un contributo pecuniario, in quanto può anche trattarsi del riconoscimento di specifici diritti in capo all’operatore privato.

Il tutto appare più chiaro se si prende in considerazione il comma 6, il quale recita: “L'equilibrio economico finanziario, rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi di cui al comma 3. Ai soli fini del raggiungimento del predetto equilibrio, in sede di gara l'amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico. A titolo di contributo può essere riconosciuto un diritto di godimento, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all'opera da affidare in concessione. Le modalità di utilizzazione dei beni immobili sono definite dall'amministrazione aggiudicatrice e costituiscono uno

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