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Un teatro di carta. Gli incunaboli milanesi di Terenzio e Plauto

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2014

ANNALI DI ST

ORIA MODERNA E CONTEMPORANEA | NUO

V

A

SERIE

2

UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

DIPARTIMENTO DI STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA

ANNALI

DI STORIA MODERNA

E CONTEMPORANEA

2

NUOVA SERIE - ANNO II 2014

EDUCATT - UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

EDUCATT - UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

DIPARTIMENTO DI STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA

ANNALI DI STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA

NUOVA SERIE - ANNO II - 2/2014

ISSN 1124 - 0296

EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica

Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.72342235 - fax 02.80.53.215 e-mail: editoriale.dsu@educatt.it (produzione)

librario.dsu@educatt.it (distribuzione) redazione: rivista.annalistoria@unicatt.it

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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

DIPARTIMENTO DI STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA DIPARTIMENTO DI STORIA MODERNA E CONTEMPORANEA

ANNALI

DI STORIA MODERNA

E CONTEMPORANEA

2

NUOVA SERIE - ANNO II 2014

EDUCATT - UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE EDUCATT - UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

Milano 2014

(3)

Università Cattolica del Sacro Cuore

Nuova Serie - Anno II - 2/2014

ISSN 1124-0296

Direttore

ROBERTINO GHIRINGHELLI

Comitato scientifi co

CESARE ALZATI - GABRIELE ARCHETTI - GILIOLA BARBERO

-PIETRO CAFARO - LUCA CERIOTTI - EMANUELE COLOMBO

-CHIARA CONTINISIO - CINZIA CREMONINI - MASSIMO FERRARI

-ROBERTINO GHIRINGHELLI - DANIELE MONTANARI - IVANA PEDERZANI

-ELENA RIVA - PAOLA SVERZELLATI - PAOLA VENTRONE

Segreteria di redazione

ANDREA BRAMBILLA

Per la selezione dei contributi da pubblicare la rivista segue il metodo della revisione tra pari basata sull’anonimato, avvalendosi dei membri del Comitato scientifi co e di studiosi esterni italiani e stranieri.

© 2015 EDUCatt - Ente per il diritto allo studio universitario dell’Università Cattolica

Largo Gemelli 1 - 20123 Milano - tel. 02.7234.2234 - fax 02.80.53.215

e-mail: editoriale .dsu@educatt.it (produz.( ) - librario.dsu@educatt.it (distrib.)

web: www.educatt.it/libri/ASMC

questo volume è stato stampato nel mese di settembre 2015 presso la Litografi a Solari - Peschiera Borromeo (Milano) con tecnologia e su carta rispettose dell’ambiente

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Nota editoriale 5

SAGGI

DIANA CAMPÓO SCHELOTTO

La danza y el lenguaje de la virtud

en El Cortesano de Baldassare Castiglione 9

NATASCIA POLONI

Sebastiano Casara e Antonio Rosmini.

Un percorso di ricerca nella fortuna del pensiero rosminiano

nella Venezia della restaurazione 31

ANTONIO CAMPATI

Tracce di ‘scienza politica’. Alcuni lineamenti

del pensiero di Ruggiero Bonghi 67

PERSONAGGI DEL NOVECENTO ITALIANO PAOLO BAGNOLI

Piero Gobetti 109

GIOVANNI DESSÌ

Augusto Del Noce 115

OIKONOMICA EMANUELE C. COLOMBO

Generating municipal debt in 17th century.

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ANDREA SALINI

Formazione professionale e mondo imprenditoriale L’Alto Milanese negli anni settanta del Novecento:

il progetto “Alternanza scuola-lavoro” del CFP di Gallarate 149

MARCO DOTTI

«Abbracciare l’incontro». Finanza e relazioni

nella Brescia d’ancien régime 173

PIETRO NOSETTI

Sedi e succursali bancarie in Ticino:

tendenze e mutamenti strutturali fra Lugano

e altri centri decisionali 197

MATERIALI

CLAUDIO PASSERA

Un teatro di carta. Gli incunaboli milanesi di Terenzio e Plauto 225

PAOLA SVERZELLATI

Vestigia lodigiane e altre tracce della biblioteca

del cardinale Giuseppe Renato Imperiali 291

ARGOMENTANDO

MICHELE PELLEGRINI - GIORGIO FEDERICO SIBONI

Uno sguardo ai confini. Occidente e oriente nelle vicende italiane 335

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Un teatro di carta. Gli incunaboli milanesi

di Terenzio e Plauto

1

C

LAUDIO

P

ASSERA

Questo contributo prende in esame l’elevato numero di edizioni delle comme-die di Terenzio e di Plauto impresse a Milano negli anni 1474-1500, al fine di verificare da un lato le ragioni di una produzione tipografica tanto consistente, e dall’altro a quale pubblico essa si rivolgesse, la sua incidenza sul mercato librario cittadino, e il suo eventuale rapporto con la coeva cultura teatrale della corte sforzesca. L’analisi di alcuni esemplari degli incunaboli ne ha messo in luce la de-stinazione principalmente scolastica, legata agli insegnamenti di Giorgio Merula e Giovan Battista Pio presso lo Studio di Pavia e le Scuole Palatine di Milano. Diverse evidenze la confermano: l’adozione di una veste editoriale molto sempli-ce, l’assenza di illustrazioni, il continuo aggiornamento filologico dei commenti ai testi e i contenuti esplicativi delle lettere di dedica. I risultati emersi dalla disami-na di tutti questi dati inducono a escludere udisami-na relazione tra le stampe milanesi delle commedie latine e la voga del loro allestimento teatrale che, negli stessi anni, animava la scena italiana, se pur con modalità e scopi differenti, fra Firenze, Roma e Ferrara.

This paper aims at considering the large number of editions of Terence and Plauto’s Comedies printed in Milan during the years 1475-1500, in order to

1 Abbreviazioni dei titoli dei repertori bibliografici utilizzati: B

MC: Catalogue of books printed in the XVVV Century, now in the British Museum, British Museum, London 1908-th

1962, 9 voll.; GOFF: Incunabola in American Libraries, a third Census of XV Century Books recorded in North American Collections, compiled and edited by Frederick R. Goff, Bibli-ff

ographical Soc. of America, New York 1964; GW: Gesamtkatalog der Wiegendrucke, heraus-gegeben von der Kommission fur den Gesamkatalog der Wiegendrucke, Hieremann, Leipniz

1925; H: Repertorium bibligraphicum in quo libri omnes ab arte typographica inventa

us-que ad annum MD typis expressi ordine alphabetic vel simpliciter enumerantur vel adcuratius recensentur, opera Ludovici Hain, Cotta - Renouard, Stuttgartiae - Lutetiae Parisiorum

1826-1838, 4 voll.; IGI: Indice Generale degli Incunaboli delle Biblioteche d’Italia, compilato

da T.M. Guarnaschelli, E. Valenziani, E. Cerulli, P. Veneziani, A. Tinto, Libreria dello Stato, Roma 1943-1972, 5 voll. + App; PR.: R. PROCTORR (a cura di), An Index to the

early printed books in the British Museum: from the invention of printing to the year MD, with notes of those in the Bodleian Library, Kegan-Trench, London 1898-1903, 2 voll., 4 suppl;

R: Appendices ad Hainii - Copingeri Repertorium bibliographicum, additiones et

emendatio-nes, Edidit Dietericus Reichling, I. Rosen, Monachii 1905-1914. Le ricerche pubblicate gg

in questo saggio difficilmente avrebbero visto luce senza gli insegnamenti e il sostegno della prof.ssa Paola Ventrone, a cui vanno i miei più sinceri ringraziamenti.

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investigate on the one side the reasons of such a large printmaking, and on the other one the to which kind of audience it was directed, its importance in the Milanese book market, and its influence on the contemporary theatrical culture of the Sforza’s court. The analysis of some specimens of these incunabula shows their specific scholastic function, due to the presence of teachers such as Gior-gio Merula and Giovan Battista Pio at the Universities of Pavia and Milan. This conclusion is supported by numerous pieces of evidence: the use of a very simple editorial graphic, the absence of xilographies, the continuous philological update of the commentaries to the texts, and the explicative contents in the letters of dedication. The results of this inquiry lead to exclude a connection between the printing of the Milanese incunabula of latin comedies and their frequently atte-sted representations, with different intentions, in Florence, Rome, and Ferrara in the same period.

Nella storia dello spettacolo rinascimentale italiano il tema della riscoper-ta del teatro classico riveste un’imporriscoper-tanza fondamenriscoper-tale, riscoper-tanto per l’ela-borazione di una drammaturgia in volgare modellata sui testi di Terenzio e di Plauto, quanto per la realizzazione di soluzioni sceniche e di progetti architettonici ispirati alle descrizioni fornite da Vitruvio nel De Architectu-ra, che portarono, alla fine del Cinquecento, alla definizione dei canoni dell’edificio teatrale.

L’importante stimolo esercitato all’inizio del XV secolo dal ritrova-mento di dodici commedie di Plauto, sconosciute in età medievale, e del commento di Elio Donato alle opere di Terenzio suscitò tra gli intellettuali il desiderio di una comprensione sempre più approfondita del valore del teatro nel mondo antico, che si espresse in un accurato lavoro di commen-to e di edizione dei testi dei commediografi latini e, a partire dagli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento, nel tentativo di riproporre la com-media classica sulla scena rinascimentale. Questo recupero della recitazio-ne delle opere di Terenzio e di Plauto fu perseguito soprattutto in ambiti scolastici e accademici ed ebbe tra i suoi primi promotori i rappresentanti del più aggiornato umanesimo fiorentino e romano, e in un secondo mo-mento l’insieme degli artisti e dei letterati cortigiani apparatori delle feste della corte ferrarese di Ercole I d’Este.

A Firenze, le rappresentazioni dell’Andria di Terenzio curate da Gior-a gio Antonio Vespucci e dai suoi allievi per il carnevale del 14762, con il 2 La rappresentazione fiorentina dell’Andria di Terenzio fu presentata per la prima volta

all’interno della scuola del Vespucci e successivamente in casa di Lorenzo de’ Medici, con una terza replica alla presenza dei magistrati della città. Dell’evento fornisce testi-monianza una lettera del 26 febbraio 1476 di Pietro Cennini ad Alamanno Rinuccini, in cui leggiamo anche alcune sintetiche indicazioni sulle tecniche recitative adottate dagli scolari. Per il testo della lettera rinvio a C. MARCHESI, Documenti inediti sugli umanisti

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beneplacito di Lorenzo de’ Medici, si possono ricondurre al contesto delle esercitazioni scolastiche, in cui, secondo il progetto pedagogico degli stu-dia humanitatis, la pratica recitativa, oltre a facilitare la famigliarità degli allievi con la lingua latina, poteva costituire un utile banco di prova per l’esercizio della retorica, abilità indispensabile al buon cittadino che in età matura avrebbe preso parte alla vita politica della Repubblica3. Un simile

impiego della pratica teatrale, suggerito del resto negli scritti di oratoria di Cicerone e Quintiliano, si inseriva a sua volta nel contesto fiorentino, in cui fin dalla metà del Quattrocento il teatro era stato adottato tra le attività ricreative delle compagnie dei fanciulli.

L’impiego del teatro a fini educativi aveva dunque a Firenze una tradi-zione ben consolidata4.

A Roma, invece, una linea di ricerca maggiormente dedita agli aspetti materiali della vita dello spettacolo caratterizzò i progetti maturati in seno all’Accademia romana guidata da Pomponio Leto; come testimonia la

fi orentini della seconda metà del sec. XV, Giannotta, Catania 1899, pp. XXI-XXII. Questo VV

allestimento è indicativo del nascente interesse per il teatro antico che andava svilup-pandosi in quegli anni all’interno dei circoli medicei. Cfr. P. VENTRONE, Gli araldi della

commedia. Teatro a Firenze nel Rinascimento, Pacini Editore, Pisa 1993, pp. 22-38.

3 Le considerazioni di Franco Ruffini in merito all’Andria fiorentina del 1476

conferma-no l’ipotesi di una collocazione di queste recite nell’ambito della pedagogia e dell’edu-cazione dei giovani, più che in quello della pratica teatrale. Lo studioso segnala inoltre come il testo della commedia terenziana ebbe una fortuna relativa sulla scena rinasci-mentale italiana, poiché fu ripreso, quindici anni dopo gli spettacoli del Vespucci, nel carnevale del 1491 a Ferrara, per le nozze tra Alfonso d’Este e Anna Sforza, e succes-sivamente assai di rado. Cfr. F. CRUCIANI, C. FALLETTI, F. RUFFINI, La sperimentazione a

Ferrara negli anni di Ercole I e Ludovico Ariosto, «Teatro e Storia», IX (1994), pp. 207-208.

4 Sul tema della pratica recitativa come strumento di affinamento delle capacità

re-toriche, della valenza culturale dell’operazione del Vespucci e dell’impiego del teatro con finalità educative nella Firenze di età laurenziana si veda P. VENTRONE, Gli araldi

della commedia, cit., pp. 22-38. Ad esso rinvio per un inquadramento più preciso della

riproposta fiorentina del teatro classico, in cui l’autrice segnala anche l’importanza delle recite promosse da Luca de’ Bernardi da San Gimignano presso lo Studio fiorentino tra il 1485 e il 1498, e almeno un’interpretazione dell’Electra di Sofocle di Alessandra Scala in casa del padre Bartolomeo, ricordata da Poliziano, nel 1493. È ancora nel contesto di esercitazioni scolastiche che si collocò l’allestimento, nel 1488, dei Menaechmi di Plauto, i

inscenato dagli allievi di Paolo Comparini da Prato, per il quale Poliziano compose un polemico prologo contro i detrattori dell’uso del teatro classico a fini educativi. Cfr. G. BOMBIERI, Osservazioni sul Prologo ai Menaecmi di Angelo Poliziano, in R. CARDINI, E.

GARIN, L. CESARINI MARTINELLI, G. PASCUCCI (a cura di), Tradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa, Bulzoni, Roma 1985, II, pp. 489-506. Di tutte queste

esperienze si segnalano il legame con l’ambito dell’insegnamento o con cenacoli eruditi e il fatto che nessuna di esse ottenne mai piena ufficialità nel contesto della cultura cit-tadina contemporanea.

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lettera di dedica preposta da Giovanni Sulpizio da Veroli all’editio princeps del De Architectura di Vitruvio impressa nel 1486 da Eucario Silbera 5. In

essa l’umanista, rivolgendosi al cardinale Raffaele Riario, esorta il pre-lato a procurarsi gloria imperitura donando alla città un teatro simile a quello descritto nel trattato di cui gli offre l’edizione. Il cardinale, nipote di papa Innocenzo VIII, fu il promotore delle recite di tragoediae allestitee dai pomponiani, iuventutem excitandi gratia, in Campo dei Fiori, in Ca-stel Sant’Angelo e nel cortile della propria residenza, in occasione della celebrazione delle antiche feste Paliliae. Nel ricordare questi allestimenti, ai quali egli stesso sovraintese, Sulpizio fa menzione dell’impiego di un pulpitum alto cinque piedi nella piazza di Campo dei Fiori, e della dispo-sizione di una cavea coperta da un velario nel cortile di casa Riario. Negli studi sulla scenografia, la lettera dedicatoria citata è stata segnalata poiché ricorda l’adozione, da parte degli interpreti, di una picturatae scenae faciem, di cui per primo Raffaele Riario avrebbe favorito l’impiego. Difficile dire se con questa sfuggente indicazione Sulpizio da Veroli volesse ricordare l’uso di una scena fronte o di un fondale dipinti6. Certo è invece che nel 5 Per l’analisi degli aspetti bibliografici dell’editio princeps di Vitruvio si vedano IGI 10346;

BMC IV 124; GW M51000. Le notizie in nostro possesso sulle vicende biografiche di

Eucario Silber, o Frank, sono molto scarse e abbracciano solo l’arco di tempo da lui trascorso a Roma, compreso tra il 1480 e il 1500. Attivo come stampatore e libraio almeno fino al 1509, ebbe fecondi rapporti con i membri dell’Accademia pomponiana, attestati dalla curatela da parte di Pomponio Leto, Antonio Volsco, Ludovico Reggio, Martino di Nimira, Martino Filetico di circa una trentina di opere di autori classici e dalla stampa di diverse opere retoriche, grammaticali e letterarie degli stessi pomponiani uscite dalla sua tipografia. Alla sua officina, prediletta dunque dagli umanisti romani, si è soliti attribuire 293 edizioni incunabole risalenti agli anni 1480-1500; cui ne dovran-no essere aggiunte altre 66 impresse tra il 1500 e il 1509, periodo in cui si registra un forte calo della produzione tipografica del Silber e per il quale la documentazione sulla sua presenza nell’Urbe risulta lacunosa. Nel panorama dell’incipiente editoria romana i libri da lui stampati si distinsero per le elevate tirature e per la varietà di temi trattati: medicina, letteratura classica, teologia, ma anche fatti di cronaca e avvenimenti politici e religiosi. Per una ricostruzione più minuziosa dei suoi rapporti con gli attori del mercato editoriale romano del Quattrocento cfr. L. DE GREGORI, La stampa a Roma nel secolo

XV, Mostra di edizioni romane nella R. Biblioteca Casanatense (aprile-maggio 1933), VV

Ditta Tipografica Cuggiani, Roma 1933, pp. 25-27. Si veda inoltre A. TINTO, Gli annali tipografi ci di Eucario e Marcello Silber (1501-1527), Olschki, Firenze 1968. Più recente,

inoltre, il profilo del Silber, tracciato a partire dalle lettere di dedica e dalle prefazioni dei pomponiani anteposte ai testi da lui pubblicati, reperibile in internet P. FARENGA,

“Eucario Silber,” Repertorium Pomponianum, URL: www.repertoriumpomponianum.it/

pomponiani/silber.htm, consultato il 10 giugno 2014.

6 Personalmente ritengo che la menzione della picturatae scenae faciem richiami

sem-plicemente l’impiego di una scena dipinta che non prevedesse disegni in prospettiva e avesse, come osserva Marzia Pieri, una struttura simile a quella degli apparati che fanno

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pur breve testo l’autore intendesse trasmettere una sintesi delle soluzioni adottate dai membri dell’Accademia romana per allestire i loro spettacoli, servendosi proprio della stampa per far circolare fra gli eruditi il ricordo dei loro esperimenti pionieristici7.

Differente fu invece il clima che contraddistinse la promozione di spet-tacoli all’antica presso la corte di Ercole I d’Este, dove il gusto antiquario del principe si fece promotore di una considerevole serie di allestimenti di commedie plautine, volgarizzate e in versi, presentate in occasione dei carnevali e delle feste dinastiche più importanti della casata. A inaugurare la stagione dei festival ferraresi, che per più di vent’anni segnò in manie-ra pressoché esclusiva la cultumanie-ra teatmanie-rale della città, fu infatti la messa in scena dei Menaechmi nel corso dei festeggiamenti per il fidanzamento di Isabella d’Este e Francesco Gonzaga nel 1486. Le recite ferraresi, rispetto agli interessi filologici di quelle fiorentine e romane, furono spettacoli fon-damentalmente cortigiani, in cui le scelte culturali del duca, se da un lato favorirono la composizione di volgarizzamenti quanto più fedeli ai testi di Plauto, non di meno accolsero, dall’altro, le soluzioni più varie offerte dalla scenotecnica contemporanea, come ad esempio gli ingegni per la calata dal cielo di Giove nell’Anfi trione, in tutto simili a quelli impiegati

da sfondo alle vignette dell’edizione lionese stampata da Richard Trechsel nel 1493. Cfr. M. PIERI, La nascita del teatro moderno in Italia tra XV e XVI secolo, Bollati Boringhieri, Torino 1989, pp. 70-71. In tal caso la scena pomponiana potrebbe allinearsi alle altre adozioni quattro-cinquecentesche della scena a portico, ovvero di una struttura ispirata alle fornices che caratterizzavano il registro inferiore della frons-scaenae dei teatri romani. Essa ebbe larga fortuna nel Rinascimento perché permetteva agli interpreti di servirsene come sfondo per altri elementi scenografici: su tutto questo cfr. L. ZORZI, Note sul motivo della scena a portico, in ID., Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Einaudi, Torino

1977, pp. 295-326.

7 Fra le iniziative ‘teatrali’ promosse dai pomponiani in questo periodo va annoverata

an-che l’edizione delle Comoediae di Terenzio impressa tra il 1471 e il 1472 da Georg Lauer con il testo rivisto da Angelo Sabino, allievo del Leto e docente presso il pubblico Ginna-sio, secondo quanto di lui riferisce Domizio Calderini nel suo commento alle Satyrae di Giovenale. Questa edizione si colloca in un momento durante il quale il Leto collaborò assiduamente con lo stampatore Georg Lauer, producendo, per citare solo l’esempio più rimarchevole, l’editio princeps del De lingua latina di Varrone, e la stampa di diversi testi impiegati dall’umanista durante le sue lezioni universitarie. Sebbene all’altezza del 1472 siano scarse le notizie intorno alla figura del Sabino, e nonostante sia difficile identifi-care il suo nome nei registri di pagamenti dello Studium romano, questa pubblicazione delle opere terenziane si può ritenere legata al contesto didattico dell’Accademia e al sodalizio editoriale del Leto con l’officina Lauer. Cfr. M.G. BLASIO, Lo Studium Urbis e la produzione romana a stampa: i corsi di retorica, latino e greco, in M. MIGLIO (a cura di),

Un pontifi cato ed una città. Sisto IV (1471-1484), Atti del convegno (Roma 3-7 Dicembre

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nelle rappresentazioni sacre delle chiese fiorentine d’Oltrarno per l’ascesa al cielo di Cristo o la visita dell’arcangelo Gabriele a Maria8.

Per Milano non possediamo notizie sulla recitazione di commedie clas-siche in ambito né scolare, né accademico, né cortigiano, svoltesi negli stessi anni in cui a Firenze, Roma e Ferrara si avviarono le sperimentazio-ni teatrali descritte. Tuttavia, e quasi paradossalmente, si riscontra in quel periodo una assai fiorente produzione incunabolistica delle opere di Plau-to e di Terenzio, spesso corredate dalle glosse di commentaPlau-tori antichi, che sollevano interrogativi sulla loro destinazione, sui loro fruitori e sulla loro incidenza, se ci fu, sulla costruzione di ciò che siamo soliti definire “teatro del rinascimento”9.

Lo scopo di questo lavoro è stato, pertanto, inventariare le edizioni milanesi delle commedie terenziane e plautine, che costituiscono un nu-cleo considerevole all’interno del gruppo di incunaboli di opere di autori classici prodotti dalle stamperie cittadine, per porle in relazione con la vita spettacolare e la cultura teatrale affermatesi durante la reggenza e il breve ducato di Ludovico il Moro. Oltre ai testi in sé è stata, pertanto, riservata un’attenzione particolare alle prefazioni e alle lettere dedicatorie, per ve-rificare se vi fossero riferimenti a concrete occasioni recitative o riflessioni teoriche intorno al teatro degli antichi.

8 Un’analisi attenta della cultura teatrale maturata a Ferrara negli anni del ducato di

Ercole I d’Este si trova in L. ZORZI, Ferrara: Il sipario ducale, in ID., Il teatro e la città, cit.,

pp. 5-59. Il confronto con tale cultura fu un punto di riferimento fondamentale per gli sviluppi delle forme e delle tecniche teatrali presso le corti padane, e in particolare per la Milano di Ludovico il Moro, in cui la presenza di Beatrice d’Este, figlia di Ercole I e dal 1494 duchessa di Milano, orientò in maniera significativa la politica culturale della corte. Per gli ingegni ascensionali impiegati nelle rappresentazioni fiorentine

dell’An-nunciazione di San Felice in Piazza e dell’Ascensione di Santa Maria del Carmine, si veda

la ricca documentazione raccolta in N. NEWBIGIN, Feste d’Oltrarno. Plays in Churches in Fifteenth-Century Florence, Olschki, Firenze 1996.

9 Faccio riferimento alla categoria storiografica con cui un maestro degli studi

teatra-li, Fabrizio Cruciani, definì il reale oggetto della ricerca sulle forme dello spettacolo rinascimentale. Lo studio del teatro del Rinascimento non deve, infatti, concentrarsi sulla catalogazione e sull’interpretazione della varia produzione di spettacoli del perio-do quattrocentesco, che costituiscono piuttosto le modalità in cui si espresse il teatro

nel Rinascimento. Esso invece, confrontandosi con un’epoca in cui la drammaturgia l

non si presentava ancora nelle forme della commedia regolare, in cui il progetto di un edificio teatrale era un sogno che prendeva forma sulla lettura di Vitruvio, e nella quale la recitazione era un epifenomeno sospeso tra la lettura ad alta voce e l’esercizio della retorica, deve andare alla ricerca dell’idea di base che generò le esperienze spettacolari

del Rinascimento. Cfr. l F. CRUCIANI, Il teatro e la festa, in F. CRUCIANI, D. SERAGNOLI, Il teatro italiano del Rinascimento, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 32-52.

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È proprio attraverso la lettura di questi documenti che ci si può orien-tare nella rete di relazioni che si intesseva tra editori, curatori, stampato-ri, dedicatastampato-ri, e che si possono comprendere meglio le ragioni di questi progetti editoriali, valutandone l’incidenza sul mercato librario cittadino. Come avremo modo di illustrare, le edizioni milanesi di Plauto e Teren-zio ebbero essenzialmente una destinaTeren-zione scolastica o si rivolsero a un pubblico di eruditi e di letterati cittadini gravitanti intorno alla corte del Moro. A Milano, se la committenza dei duchi non esercitò una funzione di stimolo allo studio e alla recitazione delle opere dei classici, prediligen-do altri tipi di spettacolo e di intrattenimento, non di meno il teatro latino costituì uno degli interessi di ricerca degli umanisti; il quale non trovò, come altrove, esiti nella concreta promozione di recite, ma in una con-siderevole produzione a stampa delle commedie di Terenzio con diversi commenti antichi e moderni, contraddistinti da un sapiente e aggiornato impiego delle fonti classiche per tracciare nuove prospettive di analisi; e in un’importante edizione delle Comoediae di Plauto, curata da Giovan e Battista Pio nel 1500, i cui testi, corredati da un ricco commento, furono per la prima volta divisi in atti.

1. L’edizione a stampa di autori classici a Milano nel Quattrocento

Dal febbraio del 1474 fino al termine dell’epoca della stampa incunaboli-stica, le Comoedie di Terenzio apparvero a Milano in tredici edizioni, men-e tre quelle di Plauto in tre nel periodo compreso tra il 1490 e il 1500. Con le sue stampe terenziane la città degli Sforza risulta seconda in Italia solo a Venezia, che impresse le commedie ben trentacinque volte fra il 1469e il 150010. Un numero così considerevole indica una certa sicurezza nella

possibilità di assorbimento delle tirature sul mercato, che induce a inter-rogarsi sulle ragioni di un interesse così marcato del pubblico dei lettori milanesi, a fronte dell’assenza di notizie sulla concreta rappresentazione delle commedie latine.

Se si scorrono gli elenchi degli incunaboli milanesi si può notare una certa prudenza di editori e stampatori nel disporre pubblicazioni facil-mente smerciabili in base alle richieste degli acquirenti provenienti dal

10 Per questi dati sul numero di edizioni di Terenzio nel XV secolo faccio riferimento allo

studio di Dennis E. Rhodes, che, oltre a quelle milanesi e veneziane, assegna otto stampe delle Comoediae a Roma, due a Treviso, e una a Padova, a Brescia e a Torino. Cfr. D. E. RHODES, La publication des comédies de Térence au XVVV siècle, in Le Livre dans l’Europe de e la Renaissance, Actes du XXVIIe Colloque International d’Etudes humanistes de Tours,

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mondo della scuola, degli umanisti, e dei professionisti operanti nel cam-po del diritto e della medicina. La parte più cospicua della produzione di libri a stampa cittadina è costituita dalle edizioni di opere letterarie, all’in-terno delle quali è possibile rilevare le esigenze di fornitura di testi per le letture scolastiche, le richieste di opere destinate agli interessi culturali degli umanisti, e quelle connesse ai fini d’intrattenimento delle personali-tà della corte e dei membri delle famiglie nobili.

L’autore classico più pubblicato fu Cicerone, di cui furono disposte ben quarantaquattro edizioni tra il 1472 e il 1500. La predilezione accor-datagli si spiega da un lato con l’importanza dell’auctoritas esercitata dalla s sua prosa sulla cultura umanistica europea, e dall’altro con il conseguente impiego della lettura dei suoi testi in ambito scolastico11. Sebbene la cura

di queste edizioni dell’Arpinate fosse assegnata a importanti umanisti le-gati alla corte, che spesso svolgevano anche attività di insegnamento pres-so lo Studio cittadino, non vi è dubbio che esse avessero una destinazione prevalentemente legata alla didattica, come rivela anche il fatto che ve-nissero preparate giusto in tempo da essere pronte per l’inizio dell’anno accademico12. Per un simile mercato dovevano essere state disposte anche

le pubblicazioni delle opere di Virgilio e di Ovidio, di cui sono note ri-spettivamente ventisei e ventiquattro edizioni e che sono, dopo Cicerone, gli autori maggiormente pubblicati in città nell’età degli incunaboli13. A

queste stampe, per importanza e numero di edizioni, si possono accosta-re quelle delle Comoediae di Teaccosta-renzio, significativamente pubblicate nello e stesso numero di edizioni riservato, in traduzione sia italiana sia latina, alle Favole di Esopo, un caposaldo della pedagogia quattrocentesca. Dei testi e

11 Di Cicerone furono più volte pubblicate a Milano, nel corso del Quattrocento, le

Ora-tiones, il De Officiis, il De Oratore e la Retorica ad Herennium, mentre delle sole Epistolae ad familiares si contano ben diciotto edizioni.

12 La scuola fu un motore trainante e determinò l’offerta letteraria della stampa a

Mila-no, presentando una domanda ricorrente e sicura che si impose sul mercato, lasciando di conseguenza poco spazio al rischio e alla capacità imprenditoriale dei primi editori-tipografi, che si accontentarono in gran parte di farvi fronte, senza intraprendere iniziati-ve autonome. A questo proposito cfr. L. BALSAMO, Tecnologia e capitali nella storia del libro,

in Studi offerti a Roberto Ridolfi , Olschki, Firenze 1973, pp. 86-87.

13 All’opera di Ovidio era accordato un certo interesse anche in ambito cortese. Tra il

1494 e il 1497 il Calmeta compose in terza rima un compendio formato sui primi due libri dell’Ars amandi, che doveva proporsi come una sorta di manuale di buone maniere i

modellato sull’opera del poeta latino ed adattato al cerimoniale degli eventi ufficiali della corte. Di Ovidio abbiamo inoltre due stampe milanesi in traduzione volgare del 1481 e del 1494. Cfr. C. GRAYSON, La letteratura e la corte sforzesca alla fi ne del Quattrocento, in Milano nell’età di Ludovico il Moro, Atti del convegno internazionale (28 febbraio-4 marzo 1983), Comune di Milano e Biblioteca Trivulziana, Milano 1983, pp. 659-660.

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di Giovenale, Sallustio, Orazio, Valerio Massimo, Lucano, Persio, Mar-ziale e Plauto, che pure furono fra gli autori più editi nel Quattrocento, è nota invece una quantità molto inferiore di stampe14. L’influenza della

destinazione scolastica è ancora più evidente se si considera la produzione dei libri di autori greci. Fatta eccezione per le opere di Teocrito, Esiodo, Plutarco, Isocrate e Senofonte, la parte rimanente e più cospicua degli incunaboli in lingua greca è composta da testi di grammatica, come l’edi-zione degli Erotemata di Lascaris del 1476a 15.

Tuttavia questa tendenza alla preparazione di edizioni con fini princi-palmente didattici non limitò l’attività filologica degli umanisti presenti alla corte del Moro, sebbene generalmente capaci di lavori di minore fi-nezza rispetto a quelli avviati dagli allievi della precedente generazione di Francesco Filelfo, i quali non mancarono di offrire frutti interessanti al mercato editoriale degli ultimi due decenni del secolo. Si diedero, infatti, alle stampe i testi, filologicamente restaurati, di Fortunanzio, di Apicio e di Ausonio, rispettivamente curati da Francesco Puteolano, da Antonio Motta e da Emilio Ferrari16. Impresa di singolare acume filologico,

estre-mamente apprezzata all’epoca, fu inoltre l’edizione di Livio approntata da Alessandro Minuziano17.

14 Il numero di incunaboli milanesi pervenutici di questi autori classici è reperibile in

M. BONOMELLI, Stimoli culturali e stampa a Milano nel Quattrocento, Atti del convegno di

studi nel V centenario della morte di Filippo Cavagni da Lavagna, Comune di Comazzo 2007, p. 44 n. 87.

15 Questa l’opinione di Gianvito Resta, il quale nota come alla corte del Moro,

nono-stante la presenza dell’eminente grecista Demetrio Calcondila, non si sia sviluppato un umanesimo volto allo studio della cultura greca con la finezza di altri centri italiani. Ciò spiegherebbe anche l’assenza di opere della letteratura greca nell’editoria locale: Cfr. G. RESTA, La cultura umanistica a Milano alla fi ne del Quattrocento, in Milano nell’età di

Ludovico il Moro, cit., p. 210.

16 Sulla rilevanza culturale di queste edizioni si veda G. RESTA, Ibi, cit., pp. 209-210.i 17 Figura di singolare rilevanza nel panorama dell’editoria milanese, Alessandro

Mi-nuziano, originario di San Severo di Puglia e allievo di Giorgio Merula a Venezia, fu docente di eloquenza presso le Scuole Palatine, dove dal 1489 ricoprì l’incarico rimasto vacante in seguito alla morte di Fracesco Puteolano. Stimato editore di testi di autori latini, si distinse, in particolare, per l’autorevole opera di emendamento del testo di Livio, pubblicato per i tipi di Ulrich Scinzenzeler nel 1495 e apprezzato per il reintegro di alcuni importanti passi di discussa attribuzione, tra cui le due arringhe di Scipione, lodate dai contemporanei del curatore per la loro bellezza, e alcuni frammenti relativi alle guerre puniche. Un profilo dettagliato della personalità del Minuziano e del suo ruo-lo nel panorama dell’umanesimo milanese è disponibile nella monografia R. PETRERA,

Alessandro Minuziano. Umanista, editore, maestro dell’arte della stampa a Milano nel secolo XV, Minutiana editrice, Roma 1975.VV

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A questi lavori editoriali i duchi sembrarono non guardare con partico-lare interesse, probabilmente a causa dello scarso ritorno d’immagine che dall’incremento di tale attività prevedevano sarebbe potuto derivare alla corte situazione che rende più comprensibile il limitato effetto prodotto dalla scoperta di codici d’inestimabile valore, nella biblioteca dell’abbazia di Bobbio, operata da Giorgio Galbiato per conto di Giorgio Merula nel 149318. Di questi fu pubblicato solo il trattato del grammatico Terenziano

Mauro, nel settembre del 1497 per i tipi di Scinzenzeler, sebbene, esatta-mente un anno prima, il Galbiato avesse ottenuto un privilegio di stampa per alcuni dei titoli delle opere ritrovate19.

2. Incunaboli di Terenzio

In questo contesto culturale si collocano i progetti editoriali che portaro-no ad un’ampia diffusione delle opere dei commediografi latini nel ducato degli Sforza. La prima stampa delle Comoediae terenziane venne impressa,e dalla tipografia di Antonio Zarotto, il 23 febbraio 1474. Seguendo il ca-talogo degli incunaboli terenziani compilato da Dennis E. Rhodes, essa risulta la tredicesima edizione apparsa in Italia dopo che, dal 1470 in poi, le opere del comico latino erano già state pubblicate più volte in altre città della Penisola: a Venezia nel 1469-1470, per i torchi di Vindelino da Spira; a Napoli intorno al 1471, per l’officina di Sisto Riessinger; e a Roma nel 1472, in due volumi riconducibili alle due stamperie aperte nell’Urbe da Conrad Sweynheym in società con Arnold Pannartz e da Ulrich Han20. Il 18 Per l’importanza del ritrovamento dei codici di Bobbio si veda E. G

ARIN, La cultura milanese nella seconda metà del XV secolo, in Storia di Milano, Treccani, Milano 1956, v.

VII, pp. 578-579.

19 Nel testo del privilegio, concesso dalla cancelleria del Moro e recante la firma di

Bar-tolomeo Calco, sono elencati i titoli di sei opere di autori latini: Terenziano, De Metris

et Syllabis Horatii; Fortunatiano, i De Carminibus Horatii; Velio Longo, i De Orthographia;

Adamanzio, De Orthographia; Catholica Probi, Cornelio Frontonio, i Elegantias. Il

privi-legio, impresso sul verso della carta 2b del citato De Metris et Syllabis Horatii stampato da Scinzenzeler, si legge in edizione moderna in R. SORDELLI, L. SORDELLI, I privilegi di stampa a Milano nel secolo XV, «Rivista di Diritto industriale», 6 (1957), p. 142.VV

20 Vedi al riguardo D.E. RHODES, La publication des comédies de Térence au XVVV siècle, cit.,e

pp. 292-294. Utile inoltre, soprattutto per orientare le ricerche intorno alle diverse ti-pologie di commenti, glosse e indici di cui fu oggetto il testo delle opere di Terenzio, G. CUPAIUOLO, Bibliografi a Terenziana, Società editrice napoletana, Napoli 1984.

Im-possibile invece determinare se debba essere ritenuta editio princeps delle Comoediae la prima stampa veneziana di Vindelino da Spira o la prima tedesca di Johann Mentelin da Strasburgo, essendo entrambe prive di note tipografiche ed entrambe riconducibili al periodo che va dagli ultimi mesi del 1469 ai primi del 1470.

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volume milanese può essere facilmente ricondotto, facendo riferimento alla data di pubblicazione, al piano di sviluppo editoriale avviato dall’in-traprendente editore Marco Roma con lo stampatore Antonio Zarotto, in seno alla società che l’artigiano aveva stipulato con i fratelli Pietro e Antonio Castiglione e con Antonio Ermenulfi il 4 marzo 1473. Arnaldo Ganda, sulla base della documentazione esistente, sottolinea come il fine di questa società, probabilmente per indirizzo dei Castiglione, fosse l’inve-stimento di capitali per la pubblicazione di lecturas, ovvero opere di diritto. Questa intenzione iniziale, tuttavia, non si realizzò a causa dell’ambizione imprenditoriale del Roma, che preferì concentrare progressivamente l’at-tività editoriale sul versante delle pubblicazioni rivolte alla scuola, por-tando i Castiglione prima al tentativo di fondare una nuova società con Zarotto e poi, dal 1475, ad accordi indipendenti con altri tipografi attivi in città: Filippo Lavagna, Cristoforo Valdafer, Gian Antonio Onate. Il 15 giugno 1474 divenne perciò effettiva l’espulsione dei fratelli Castiglione dalla società, e Marco Roma restò solo alla guida dei programmi editoriali dell’officina Zarotto21.

Il 1474 fu dunque l’anno di prova del nuovo programma di pubbli-cazioni. Da giugno ad agosto, per essere pronte per l’inizio delle lezio-ni, uscirono tre edizioni scolastiche, seguite da una quarta in dicembre22.

Finiti i libri per la scuola, Roma volle prendersi una pausa dall’attività per valutare i risultati delle vendite23. Alla fase di avvio di questa stagione

editoriale dell’officina Zarotto va ricondotta anche la prima stampa teren-ziana che prenderemo in esame24. Arnaldo Ganda, che di Marco Roma e 21 Sui rapporti intercorsi tra Antonio Zarotto e i fratelli Castiglione, che nel panorama

dell’editoria milanese ebbero un posto di rilievo per quanto concerne il mercato delle pubblicazioni dedicate alla giurisprudenza, e sullo sviluppo del piano editoriale avviato da Marco Roma, si veda A. GANDAA, I primordi della tipografi a milanese, Antonio Zarotto da Parma (1471-1507), Olschki, Firenze 1984, pp. 40-54.

22 Lo Zarotto pubblicò: C

ICERO, Rhetorica ad Herennium; SALLUSTIUS, De Catilinae coniu-ratione; MARLIANUS, Questio de caliditate corporum humanorum; VICTORINUS, Commenta-rium in Rhetoricam Ciceronis.

23 In questi anni, una programmazione così intensa di editoria scolastica potrebbe anche

essere legata alla fondazione di un’importante istituzione educativa milanese: la venera-bile Scuola delle Quattro Marie, istituita grazie alla cospicua donazione del ricco com-merciante Tommaso Grassi del 4 settembre 1473. Cfr. L. BANFI, Scuola ed educazione nel-la Minel-lano dell’ultimo Quattrocento, in Minel-lano nell’età di Ludovico il Moro, cit., pp. 387-395.

24 Non avendo potuto visionare direttamente questa edizione mi limito qui a riportare

le indicazioni bibliografiche registrate da A. GANDA, Antonio Zarotto tipografo in Milano (1471-1507), «La Bibliofilia», 81 (1979), dispensa I, p. 33: «TERENTIUS AFER, PUBLIUS. Comoediae. [Precedono:] PETRARCA, Vita Terentii. Epitaphium Terentii, Antonio Zarotto, i

Milano 23 II 1474. 20, rom., cc. [102], bianche la prima e l’ultima, segn. a-i10 k12, spazi

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Antonio Zarotto ha ricostruito l’attività, esclude la possibilità che le tre edizioni terenziane uscite dai torchi dello Zarotto durante il periodo della loro collaborazione, ovvero tra il 1473 e il 1478, fossero destinate a un uso diverso da quello della lettura scolastica e che potessero esprimere un interesse per il mondo del teatro. Egli osserva invece come Terenzio fosse considerato dagli umanisti, e in primis da Guarino Veronese, un modello s per la formazione del carattere, prima ancora che per l’apprendimento della lingua25.

Il confronto tra le tre edizioni dello Zarotto prodotte negli anni della società con Marco Roma mette in risalto alcune caratteristiche comuni, alle quali è bene prestare attenzione per poterne stabilire con sicurezza la medesima destinazione. I tre incunaboli furono impressi in un arco di tempo piuttosto ristretto, compreso tra il 23 febbraio 1474 della prima stampa, il 23 febbraio 1476 della seconda e il 22 marzo 1477 della terza. I mesi in cui furono stampati coincisero con un momento propizio per la preparazione di pubblicazioni destinate all’insegnamento universitario, poiché sarebbero state sicuramente pronte per l’inizio delle lezioni26. Per

tutte e tre furono impiegati il formato in folio e il carattere romano, e il te-sto trovò pote-sto in una pagina dallo specchio molto ampio e dai larghi mar-gini che consentivano di apporre annotazioni a mano. Anche il fatto che la veste editoriale, molto semplice ed essenziale, non venisse modificata potrebbe indicare una loro destinazione comune. Quanto al contenuto, in questi volumi vennero premessi ai testi delle Comoediae, la Vita Terentii di Francesco Petrarca, e l’Epitaphium Terentiiii . In nessuno dei tre libri trovia-27

questa copia romana, la presenza di un esemplare della medesima edizione presso la Biblioteca Nazionale di Parigi: cfr. ISTC N. it.00067600.

25 A. GANDAA, Ibii, p. 73. L’autore non ha inoltre alcun dubbio nel sostenere la differenza di

atteggiamento di Milano rispetto a Firenze, Roma e Ferrara dove, come abbiamo visto, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Quattrocento erano state avviate sperimentazioni per la messa in scena delle opere di Terenzio e di Plauto.

26 L’inizio delle lezioni a Milano, come in quasi tutte le città italiane, coincideva con la

solennità di san Luca, 18 ottobre, per poi proseguire continuativamente per tutto l’anno, senza interruzione neppure nei mesi estivi, sebbene il calendario liturgico prevedesse diversi giorni di vacanza, cfr. P.F. GRENDLER, La scuola nel Rinascimento italiano, Laterza,

Bari 1991, pp. 39-40.

27 L’Epitaphium Terentii, è presente in molti dei codici che hanno trasmesso la tradizionei

dell’opera terenziana, tra cui il Vaticano Latino 3226 appartenuto a Pietro Bembo, e in molte stampe delle Comoediae. Esso si può considerare come un prodotto dell’erudizio-ne medievale, che riassunse in versi la biografia dell’autore latino seguendo un’antica lezione trasmessa da OROSIO, Historiae IV 19, che non aveva colto in LIVIO, Historiae I

XXX 45, la distinzione tra Terenzio Afro e Terenzio Culleone, e aveva sostenuto la venu-ta in Ivenu-talia del commediografo a seguito della vittoria di Scipione nella seconda guerra punica e la sua liberazione nel corso della celebrazione del trionfo del generale.

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Osser-mo, invece, lettere di dedica, fatto che risulterebbe quantomeno insolito qualora queste pubblicazioni fossero state rivolte ad un ambito diverso da quello degli allievi delle scuole.

Stesso contenuto e stessa veste grafica si ritrovano nelle due edizioni di Terenzio stampate da Zarotto, il 13 marzo 1481 e il 25 giugno 1484, per Giovanni da Legnano, che dopo la morte del Roma divenne il principale editore del tipografo, avviando con lui un’attività destinata ad avere gran-de importanza nella storia gran-della cultura milanese, e che portò all’uscita sul mercato di quarantadue edizioni nel giro di nove anni, principalmente classici e opere di didattica, tutte rivolte al pubblico delle scuole e pertan-to pubblicate solitamente all’inizio dell’autunno28.

Della prima di queste edizioni volute da Giovanni da Legnano ho avu-to modo di consultare un esemplare conservaavu-to presso la Biblioteca Na-zionale Braidense, contrassegnato AM. XI. 2829. L’esame dei marginalia

manoscritti, apposti da due mani differenti, sembra confermare l’impiego di questo volume in un contesto didattico. Sugli ampi margini delle carte da a1 recto a f5 recto si trovano infatti diverse considerazioni sul testo e alcuni appunti interlineari, probabilmente presi durante una lettura a scuola. Alcune carte riportano inoltre motti totalmente indipendenti dal testo terenziano e disegni abbozzati e assai rozzi sui margini e negli spazi bianchi dei capilettera. Penso di non essere lontano dal vero attribuendo questi scarabocchi alla mano di uno scolaro annoiato, distrattosi durante le lezioni dei suoi insegnanti30. È inoltre significativo dell’appartenenza

di questi incunaboli all’ambito scolastico e della loro destinazione agli studenti il fatto che nessuna delle cinque pubblicazioni terenziane dello Zarotto fosse stata edita con un commento, sebbene proprio lui avesse per

vazioni più precise sul successo medievale dell’Epitaphium si leggono in U. BUCCHIONI, Terenzio nel Rinascimento, Licinio Cappelli Editore, Rocca S. Casciano 1911, pp. 10-12.

28 La prima pubblicazione che inaugurò l’attività di Giovanni da Legnano è un’edizione

delle Historiae di Livio recante la data 23 ottobre 1480. Sono note anche alcune copie di un Terenzio stampato da Zarotto di cui erroneamente nel colophon si leggeva la data 13 marzo 1470, inducendo a considerare questo incunabolo la princeps delle Comoediae. In realtà, l’esame attento dell’esemplare conservato presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze, ha rivelato come fossero state erose le ultime due cifre romane che formavano la data 1481. In merito alla presente questione si veda C. GALLAZZI, L’editoria milanese nel primo cinquantennio della stampa: i da Legnano (1480-1525), Bustriano, Busto Arsizio

1980, pp. 58-59.

29 Si veda la scheda n. 3 del Repertorio degli incunaboli milanesi qui in appendice.i 30 Purtroppo l’esemplare è privo di note di possesso o di altre indicazioni che possano

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primo presentato al pubblico milanese il commento di Donato in un’edi-zione autonoma del 7 luglio 147631.

Una veste editoriale molto semplice e simile a quella adottata da Za-rotto per le edizioni terenziane degli anni Settanta si può ritrovare nella stampa delle Comoediae del 1475-76, attribuita alla cosiddetta Tipografiae del Terentius32. Nell’esemplare da me esaminato presso la Biblioteca

Am-brosiana di Milano, INC. 1106, ho trovato annotazioni manoscritte

appa-rentabili con quelle presenti nella citata copia dello Zarotto del 1481, che sembrerebbero confermare una destinazione scolastica anche per questo volume. Del resto, mi pare plausibile che una tipografia nascente come quella del Terentius, della quale sono note due sole stampe, scegliesse di avviare la sua produzione con delle pubblicazioni di smercio abbastanza sicuro, come per l’appunto i libri per la scuola.

Non lascia invece dubbi sulla sua destinazione didattica l’edizione im-pressa dai tipografi tedeschi Leonard Pachel e Ulrich Scinzenzeler, data-bile probabilmente al 148033. Il suo colophon dichiara che la diligenza

de-gli editori ha lavorato alacremente affinché il volume «in manus hominum quantum emendatissimum veniret curavit ne libri mendum usquam deprehen-sum adolescentum animos a studio litterarum, ut plerumque contigit, deterreret».tt BMC nota, inoltre, come questo volume milanese segua il modello dell’edizione delle opere di Terenzio impressa a Venezia nel 1471 da Vin-delino da Spira nel far precedere le Comoediae dallae Vita scritta da Pe-a trarca, ma se ne discosti nel porre come ultimo testo quello del Phormio anziché quello dell’Hecyra. In generale, va notato che per la stampa della produzione teatrale dei comici antichi le influenze esercitate dal mercato del libro veneziano furono di fondamentale importanza. La presenza a Milano di Pachel e Scinzenzeler segnò in maniera considerevole la storia dell’editoria locale. Giunti in città dalla Germania nel 1476, i due artigia-ni tedeschi vi avviarono un’attività tipografica destinata a durare per ben tredici anni, a partire dalla sottoscrizione del Vergilius del 30 novembre s

31 Per questa stampa rinvio a H 6385; GW 9038; BMC VI, 713; IGI 3566; GOFF D 355. 32 A questa tipografia si è soliti attribuire anche un’altra edizione del 1475: il De festis di

Francesco della Croce. Cfr. T. ROGLEDI MANNI, La tipografi a a Milano nel XV secolo,

Ol-schki, Firenze 1980, p. 39. In base all’analisi dei caratteri tipografici impiegati, la stampa del Terentius è stata anche assegnata all’officina modenese di Johannes Vurster. BMC

tuttavia la riconduce all’ambiente milanese considerando come i disegni delle filigrane dei fascicoli in folio e in 40 che compongono l’incunabolo siano tipicamente milanesi.

Per l’analisi e il richiamo ai repertori in cui trovare analisi più puntuali, si veda ultra la scheda n. 1.

33 Di questa stampa ho analizzato l’esemplare conservato presso la Biblioteca

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147734. Successivamente entrambi furono attivi anche autonomamente:

Pachel dal 1488 fino al 1511; Scinzenzeler dal 1484 al 1500, anno in cui si perdono le notizie su di lui e in cui probabilmente cedette l’attività al figlio Giovann’Angelo35. Nel loro primo periodo milanese i due tipografi

furo-no impegnati nella stampa di alcune edizioni su commissione di un altro eminente protagonista del panorama editoriale milanese: Filippo Cavagni da Lavagna. Tra queste spiccano quelle, particolarmente impegnative, di materie giuridiche: il Commentum super prima parte Digesti Veteris, in due parti, del 1481, e il Commentum super prima parte Codicis cum apostillis, ancora in due tomi, del 148236.

La produzione di Pachel e Scinzenzeler si distinse, sullo sfondo dell’in-dustria tipografica milanese, per almeno due motivi: in primo luogo per l’elevata quantità di edizioni, davvero considerevole se paragonata a quella di altri tipografi attivi a Milano. Dai loro torchi uscirono in totale 473 opere, così ripartibili: 151 della società iniziale; 215 sottoscritte dal solo Scinzenzeler, numero davvero notevole se si tiene conto del fatto che que-sti operò singolarmente per un periodo ben più breve rispetto al collega tedesco; 107 ad opera di Pachel37. In secondo luogo, queste stampe, come

ha notato Scholderer, spiccano per l’alto livello tipografico ed estetico rag-giunto, in una situazione generale in cui l’editoria milanese sembra aver

34 L’ultima edizione recante nel colophon i nomi congiunti dei due stampatori tedeschi è

quella delle Vitae sanctorum patrum di s. Girolamo, datata 1 agosto 1490.

35 Le notizie intorno alla biografia di Scinzenzeler sono piuttosto scarse. Fino a non

molti anni fa era in dubbio anche il rapporto di parentela con il figlio Giovann’Angelo, chiarito dalla lettura di un atto del 13 febbraio 1515 con cui quest’ultimo, firmatario di un contratto di affitto per alcuni locali commerciali con i fratelli da Legnano, è appun-to indicaappun-to come “Johannes Angelus Sinzingeler fi lius quondam domini Henrici“ ”. Oltre a chiarire la parentela, l’atto è l’unica notizia attestante che a quell’altezza cronologica lo stampatore era già deceduto, poiché non possediamo l’atto di morte. Cfr. L. BALSAMO, Giovann’Angelo Scinzenzeler tipografo in Milano (1500-1526), Sansoni antiquariato,

Fi-renze 1959, pp. 15-18.

36 Le tracce di una prima edizione di Pachel e Scinzenzeler stampata per Lavagna si

trovano nel colophon del Filocolo di Boccaccio: «impresa per Philippo de Lavagna: sotto sui alamani impressori de illo», recante la data 4 febbraio 1478. Per questa e per le altre edizioni disposte per conto del Lavagna, si veda A. GANDA, Filippo Cavagni da Lavagna,

editore, tipografo, commerciante a Milano nel Quattrocento, Olschki, Firenze 2006, p. 142.

37 Questo computo è presentato in T. ROGLEDI MANNI, La tipografi a a Milano, cit., p. 50.

Ganda nota che solo questi due tipografi, insieme a Zarotto, stamparono circa il 66% di tutta la produzione incunabolistica milanese. Cfr. A. GANDA, Manoscritti, biblioteche

e stampa nel Quattrocento, in F. PETRUTTA (a cura di), Storia illustrata di Milano, Sellino,

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riservato un’attenzione abbastanza scarsa per la cura della veste grafica38.

Questo elemento di distinzione pare avesse sollevato anche l’interesse dei contemporanei. Ad esempio, l’edizione del breviario dell’Attavanti del 28 ottobre 1479, sottoscritta da entrambi gli stampatori, contiene il primo ritratto calcografico d’autore stampato in un libro. Inoltre, l’analisi della varietà di polize di caratteri impiegati da Pachel e Scinzenzeler ha messo in risalto interessanti rapporti tra questa officina milanese e quella vene-ziana di De Bonellis, che Scholderer vorrebbe leggere più in relazione a una programmazione congiunta dell’attività editoriale che a casi di pira-teria spinti fino alla copiatura dei caratteri39. Certo è che le edizioni dei

due tipografi bavaresi favorirono l’ingresso a Milano di una cura grafica con forti influenze veneziane. Inoltre, la preparazione delle pubblicazioni di Pachel e Scinzenzeler vedeva sovente la collaborazione di diversi in-tellettuali milanesi di prestigio, e a molte di esse spettava la tutela offerta dal privilegio ducale di stampa. Limitando la segnalazione solo ai casi più significativi, Scinzenzeler negli anni 1493-1500 godette del privilegio sulla stampa dei seguenti autori classici e contemporanei: Tertullianus, Calcondylas, Curtius, Terentianus, Sandeus, Plautus.

A testimonianza dell’attenzione che i due tipografi impiegarono per offrire al pubblico dei loro acquirenti libri finemente curati sotto l’aspet-to tanl’aspet-to della veste edil’aspet-toriale quanl’aspet-to della lezione testuale sovviene un incunabolo pubblicato il 15 marzo 148340. Si tratta della prima

edizio-ne milaedizio-nese delle commedie terenziaedizio-ne corredata dal commento e dalla Vita Terentii di Elio Donato. Il commento di Donato era stato ritrovato da Giovanni Aurispa nel 1433 a Magonza. Insieme alla scoperta di Nicco-lò Cusano, nel 1429, del codice contenente dodici commedie di Plauto sconosciute nel medioevo, esso aveva contribuito in modo significativo alla diffusione di un nuovo vivace interesse per il teatro classico41. A

par-tire dalla stampa veneziana del tipografo Jacques le Rouge, del 25 agosto 1476, che fu la prima a riportare il testo del grammatico latino, le edizioni

38 Cfr. V. SCHOLDERER, Printing at Milan in the Fifteenth century, in ID., Fifthy Essays

in Fifteenth and Sixteenth century Bibliography, Menno Hertzberger & Co., Amsterdam

1966, p. 105.

39 Sul rapporto delle stampe di Pachel e Scinzenzeler con quanto impresso in quegli

anni a Venezia, e sulla similarità delle serie di caratteri utilizzati da De Bonellis, si veda V. SCHOLDERER, Introduction to Part IV of Catalogue of Books Printed in the XVth Century

Now in the British Museum, VI, pp. XXVI-XXVII.

40 Per questa edizione si veda ultra la scheda n. 4.

41 Espressioni immediate di questo nascente interesse sarebbero da considerarsi anche i

corsi universitari preparati da Guarino Veronese e Gasparino Barziza, di cui purtroppo non abbiamo testimonianze. Cfr. E. GARIN, L’educazione in Europa, Laterza, Bari 1957,

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italiane di Terenzio accostarono solitamente al commento di Donato le glosse dell’umanista bresciano Giovanni Calfurnio all’Heautontimorume-nos, che supplivano alla mancanza di osservazioni del commentatore an-tico a questa commedia42. Sebbene la pubblicazione di questi commenti

provi una crescente attenzione nell’ambito dei cenacoli umanistici per l’opera di Terenzio, non mi sembra che la loro uscita a stampa a Milano possa riferirsi a progetti editoriali diversi da quelli, finora descritti, rivolti al mondo dell’educazione dei giovani. Del resto l’esemplare dell’edizione Pachel-Scinzenzeler da me analizzato sembrerebbe confermare una desti-nazione scolastica, oltre che per le annotazioni manoscritte sui margini, abbastanza semplici, per la presenza di disegni di cuori, motti e elenchi di persone, segnale della probabile appartenenza del volume a un lettore disattento più che a un umanista.

Nel corso del secolo XV non mancarono altre edizioni e revisioni im-portanti del testo di Terenzio, effetto dell’indiscussa autorevolezza di cui egli godette presso i letterati del periodo. Come quella dell’8 luglio 1491 impressa da Ulrich Scinzenzeler e recante alla carta a4 v43 la lettera di

dedica dell’umanista Valerius Superchius44, revisore del testo, al patrizio

veneziano Giovanni Georgius. Questa edizione terenziana curata dal Su-perchius non è la prima. Essa deriva infatti dalla stampa veneziana datata 12 agosto 1488 e uscita dall’officina tipografica di Bernardino de’ Cori, che si apre con la citata lettera del curatore, nella quale viene indicato come editore Alessandro Calcedonio, mercante pesarese attivo nella città lagunare anche come libraio, e finanziatore di pubblicazioni tra il 1486 e

42 Questa edizione veneziana è dunque la prima a riunire Comoediae di Terenzio e

com-mento di Elio Donato. Dopo questa uscirono in Italia altre ventisette edizioni terenziane con i commenti di Elio Donato e Giovanni Calfurnio. Per un inquadramento più preciso di questa stampa rinvio a M.T.R. LANERI, Sulle dediche di Giovanni Calfurnio a Marco Aurelio, umanista mecenate, «Sandalion», 26 (2007), pp. 239-258. L’autrice nota come il

curatore dell’edizione veneziana fosse stato proprio lo stesso Giovanni Calfurnio, che dal 1474 aveva avviato una collaborazione editoriale con la stamperia di Jacques Le Rouge e aveva offerto la sua fatica redazionale al segretario dogale Marco Aurelio, esponente di rilievo della vita politica e culturale veneziana. Per l’analisi bibliografica dell’impressio-ne: IGI 9427; H 15407. Notevole, infine, il fatto che il commento di Donato avesse

tro-vato in precedenza pubblicazione autonoma a Venezia nel 1472 per i torchi di Vindelino da Spira. Cfr. IGI 3563; BMC V, 163.

43 Vedi ultra la scheda n. 6.

44 Medico, astrologo e poeta pesarese, oltre che per questa revisione filologica del testo

terenziano Valerius Superchius può essere ricordato per la composizione dell’Oratio de

laudibus astronomiae, stampata a Venezia da Simone Bevilaqua intorno al 1498, per la

quale si veda IGI 9221. A lui Girolamo Avanzi dedicò la sua edizione di Lucrezio, uscita per i tipi di Aldo Manuzio a Venezia nel 1499. Cfr. G. POZZI, Da Padova a Firenze nel 1493, «Italia medievale e umanistica», 9 (1966), p. 207, n. 3.

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il 150645. In essa, Valerius Superchius afferma di aver revisionato il testo

dopo avere visto i danni causati dalla impraessorum incuria: «verba praepo-stero ordine disposita, mutata interdum nomina, intermixtas persaepe clausulas easdemque, quod multo gravius est». Effettivamente la tradizione del testo tt terenziano aveva sofferto, nel corso del medioevo, diversi problemi di tra-smissione della corretta lezione, all’origine dei quali vi era essenzialmente la perdita del senso ritmico del senario giambico, tanto che molti dei codi-ci contenenti le Comoediae erano scritti in e scriptio continua, come se fossero composizioni in prosa. La stampa non aveva certo favorito la risoluzione di questi problemi, fino a quando alcuni letterati iniziarono ad occuparsi della fissazione del testo dell’opera del commediografo.

Non è questa la sede in cui indagare il valore di queste ricostruzioni filologiche. Basterà invece ricordare la consapevolezza mostrata dal revi-sore rispetto al danno subito dalla trasmissione testuale, tale «ut elegantes commedias fragmenta iam vero nonne appellari posse existimem». Quali che si-ano i meriti di questo suo lavoro di revisione, è importante soffermarsi su quel che egli afferma congedandosi dal nobile veneziano cui il suo lavoro è dedicato, perché offre qualche indizio sul tipo di destinazione di lettura della pubblicazione. Superchius afferma infatti che, benché anche in que-sta edizione si potranno trovare degli errori, imputabili alla mancanza di cura del tipografo nell’effettuare la stampa, egli spera tuttavia che il lettore sia indulgente, dato che essi saranno tanto lievi «ut [...]t a quovis vel adule-scentulo corrigi possint». Nel mettere in risalto la semplicità di queste cor-tt rezioni, l’umanista faceva forse riferimento a un ipotetico adulescentulus che, conoscendo già le Comoediae dai ricordi degli insegnamenti scolastici e ricevuti, sarebbe facilmente potuto intervenire sui testi.

Le ragioni del successo della lettura dell’opera di Terenzio con finali-tà educative risiedevano principalmente nel programma formativo degli studia humanitatis, che ebbe larga circolazione nel rinascimento italiano, e che proponeva ai giovani studenti, una volta dimostrata la padronanza delle nozioni di grammatica latina, lo studio approfondito di un autore si-gnificativo per ognuna delle materie d’ordine superiore: retorica, poesia e storia. Se, infatti, i pedagoghi medievali avevano guardato a un apprendi-mento nozionistico, basato sullo studio a memoria di regole grammaticali e di sententiae per mezzo di testi composti in modo da favorirne la memo-e rizzazione, gli umanisti si sforzarono di ridurre il tempo speso sui manuali

45 Per la scheda bibliografica di questa edizione veneziana rinvio a BMC V 463 e IGI

9451. BMC, in particolare, segnala come essa sia di fatto una ristampa del testo

dell’edi-zione de Pasqualis del 1485 a cui sarebbero state aggiunte la lettera di dedica del Super-chius, alcuni marginalia, e l’epigramma del curatore ad Terentium, che compare alla carta a4 v dell’edizione milanese.

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di grammatica a favore della lettura diretta degli autori46. Generalmente

erano privilegiati Cicerone per la retorica, Virgilio per la poesia e Sallustio o Cesare per la storia47. Alla lettura di questi autori si era soliti alternare,

o persino sostituire, quella di Ovidio, Orazio e Terenzio. A quest’ultimo, infatti, già il medioevo aveva riconosciuto l’indiscutibile ruolo di praeceptor morum che Varrone gli aveva assegnato per primo, mentre la sua capacità di esplorare le passioni e gli sviluppi sentimentali dell’animo umano, oltre alla finezza di alcuni argomenti espressi dalla sua poesia, avevano pro-curato a lui, semplice commediografo, un’autorità tributabile soltanto a un filosofo48. L’efficacia e la memorabilità degli insegnamenti di Terenzio

erano inoltre apprezzati per la sentenziosità con cui l’autore li aveva po-sti in versi. Le sue sententiae risultavano, infatti, estremamente utili nelle e esercitazioni di retorica49. Inoltre, la lingua delle Comoediae terenziane era e

abbastanza semplice per quanti avessero già acquisito delle buone cono-scenze di latino: Guarino Veronese, per citare solo l’esempio più illustre, aveva incluso le sue opere tra le letture da proporre agli allievi del suo corso grammaticale50.

46 Il modo in cui l’educazione umanistica stravolse la metodologia di apprendimento

del-la grammatica e deldel-la letteratura del-latina fu espressione di una nuova e moderna attenzio-ne alla formazioattenzio-ne della persona per mezzo dell’esperienza della realtà, anche grazie alla lettura diretta dei testi e al confronto con gli autori. Illuminanti, per quel che riguarda questo cambiamento rispetto all’età medievale, sono ancor oggi le considerazioni di E. GARIN, L’educazione in Europa, cit., pp. 30-40.

47 Per una descrizione di questo iter formativo, che costituiva già un momento decisivo e r

avanzato della formazione umanistica dei fanciulli, e la scelta di questi autori per l’inse-gnamento cfr. P.F. GRENDLER, La scuola nel Rinascimento, cit., p. 223.

48 Un’analisi del successo riconosciuto a Terenzio come maestro di costumi e di moralità

è presentata nel citato volume di Umberto Bucchioni. Per quel che riguarda l’influenza del suo magistero nell’età rinascimentale l’autore sottolinea le letture che, della sua opera, condussero diversi umanisti tra cui Giannozzo Manetti e Pietro Vettori, ma so-prattutto mette in risalto l’influenza del commediografo sulla composizione dei Libri

della Famiglia di Leon Battista Alberti, i cui interlocutori citano espressamente i versi di

Terenzio che parevano più adatti a descrivere la correttezza delle relazioni tra padri e figli. Cfr. U. BUCCHIONI, Terenzio nel Rinascimento, cit., pp. 104-110.

49 Cfr. P.F. G

RENDLER, La scuola nel Rinascimento, cit., pp. 271-273. Si pensi all’efficacia

di alcune espressioni terenziane entrate comunemente nell’uso come «Fortes Fortuna

adiuvat» (Phorm. I 4 203), o al verso dell’Heautontimorumenos cui spetta di

riassume-re più efficacemente il concetto di Humanitas che contraddistingue l’opera dell’autoriassume-re: «Homo sum: humani nihil a me alienum puto» (Heaut. I 1 77).

50 Il corso di grammatica costituiva la seconda fase del percorso formativo ideato da

Guarino Veronese. Successivo al primo corso, detto elementare e dedicato all’appren-dimento delle regole basilari della grammatica latina, accostava i giovani alla lettura di diversi generi letterari, per giungere poi nel terzo corso, detto retorico, allo studio delle opere filosofiche di Cicerone e di Platone. Per la descrizione del modello pedagogico

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Per quanto l’edizione Scinzenzeler del 1491, riedita cinque anni dopo in data 2 novembre 149651, non possa essere considerata un prodotto

propriamente milanese, sia per quanto riguarda la curatela del testo, sia perché derivante dalla stampa veneziana di Bernardino de’ Cori, essa co-stituisce tuttavia un’importante testimonianza della circolazione in città di pubblicazioni delle opere di Terenzio per le quali si erano privilegiati i testi revisionati da studiosi e umanisti. Non credo però che il mercato milanese del libro stampato potesse esercitare, all’epoca, una domanda di edizioni delle Comoediae per cui fosse richiesta un’attenta cura filologica; tant’èe vero che nessuna delle edizioni terenziane prodotte in città si rivela il frut-to di un lavoro edifrut-toriale volfrut-to a offrire una nuova lezione filologicamente corretta dell’opera e commissionata appositamente da finanziatori locali.

Anche l’ultimo incunabolo milanese delle Comoediae di Terenzio, usci-e to probabilmente dai torchi dell’officina di Ambrogio da Caponago tra il 1499 e il 1500, è di fatto una riedizione52. Esso accoglie, oltre ai testi

comici del poeta latino, i quattro commenti di Donato, Guido Juvenalis, Giovanni Calfurnio e Jodocus Badius Ascensius, appena pubblicati insie-me per la prima volta, a Venezia, il 7 novembre 1499, da Lazzaro Suardi. Il Rhodes, esaminando questo volume veneziano, afferma che le note alle commedie di Terenzio, composte a Parigi da Josse Bade, sarebbero giun-te a Venezia attraverso l’edizione lionese di Jean Trechsel del 29 agosto 1493, curata dallo stesso Bade e da Guy Jouenneaux53. La pubblicazione

di Guarino, ammirato per tutto il corso dell’Umanesimo, cfr. E. GARIN, L’educazione in Europa, cit., pp. 143-146.

51 Per questa riedizione si veda ultra la scheda n. 7. 52 Per la quale si veda ultra la scheda n. 8.

53 Cfr. D.E. RHODES, La publication des comédies de Térence, cit., p. 287. Il successo di

questa pubblicazione lionese fu davvero eccezionale. Essa fu l’unica edizione terenziana curata da Josse Bade e Guy Jouenneaux e nell’arco di venticinque anni, fino al 1517, fu oggetto di trentuno ristampe. Cfr. L. FEBVRE, H. MARTIN, La nascita del libro, Laterza,

Bari 1985, p. 338. Per una sintetica ma efficace analisi della figura dell’umanista fiam-mingo Josse Bade, della sua formazione italiana, e soprattutto del suo importante lavoro di editore per lo stampatore lionese Jean Trechsel, cfr. PH. RENOUARD, Bibliographie des

impressions et des oeuvres de Josse Badius Ascensius imprimeur et humaniste 1462-1535, Burt

Franklin, New York 1908. Ad esso si rinvia anche per una più precisa ricognizione sugli interventi editoriali di Bade al testo di Terenzio descritti nel v. III, pp. 279-299, in cui si trovano anche le schede bibliografiche delle edizioni da lui curate. Originario della regione del Maine, Guido Juvenalis, pseudonimo latino di Guy Jouenneaux, era stato insegnante pubblico e privato a Parigi a partire dal 1490. Successivamente, nel 1492, divenne monaco benedettino presso l’abazia di Chezal-Benoit in Berr, e fu acceso soste-nitore di un ritorno all’autentica regola benedettina dei monasteri francesi, come testi-monia il suo trattato Reformationis monasticae vindicae seu defensio, pubblicato a Parigi nel 1503. Sulla sua figura si veda P.G. BIETENHOLZ, s.v. Guy Jouenneaux, in P.G. BIETENHOLZ,

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