SIMONA CHIESURIN
BACHELOR IN INSEGNAMENTO PER IL LIVELLO PRESCOLASTICO
ANNO ACCADEMICO 2018/2019
PARLARE IN SILENZIO
LA LINGUA DEI SEGNI E L’ITALIANO SEGNATO COME STRUMENTO
PER INCREMENTARE L’ATTENZIONE
RELATORE
LUCA SCIARONI
Ringrazio in primo luogo la mia docente accogliente Ilaria Gambonini per il suo costante entusiasmo nel collaborare con me, per avermi sempre spinta a mettermi in gioco, per la sua fiducia, per il suo sostegno e i suoi preziosi consigli che mi hanno permesso di affrontare quest’anno in modo sereno, sentendomi sempre accolta. È stata ed è per me un esempio da seguire. Inoltre, la ringrazio per avermi fatto riavvicinare alla LIS permettendomi di improntare la tesi in questo ambito.
Vorrei inoltre ringraziare i miei compagni, colleghi e amici che hanno condiviso con me questo percorso e tutte le emozioni e le esperienze che ci ha portato a vivere. Aggiungo ai ringraziamenti la mia famiglia e i miei amici che mi hanno supportato e sopportato credendo in me.
Ringrazio in anticipo l’Istituto Comprensivo di Cossato e IIS Q. Sella di Biella per la possibilità di toccare con mano il loro progetto di bilinguismo alla Scuola dell’Infanzia.
Infine, non certo per ordine di importanza, i ringraziamenti vanno al mio relatore Luca Sciaroni per la sua disponibilità e competenza durante la realizzazione di questa tesi.
i
Sommario
Introduzione ... 1
La Lingua dei Segni nella Scuola dell’Infanzia ... 1
Quadro teorico... 3
La Lingua dei Segni ... 3
Storia e struttura della Lingua dei Segni ... 3
La Lingua Italiana dei Segni ... 5
Accenni storici sull’uso dei segni come strumento educativo per i sordi ... 6
Italiano segnato ... 7
Vantaggi dell’utilizzo della LIS alla Scuola dell’Infanzia ... 7
Baby Signs ... 8
In Svizzera... 8
La LIS alla scuola dell’infanzia, Trieste ... 9
L’esperienza di Cossato (Biella, Piemonte) ... 10
L’attenzione ... 10
Definizione ... 11
Relazione con il contesto della tesi ... 12
Come si sviluppa e il ruolo del contesto ... 13
Come influisce sull’apprendimento ... 14
Come valutare l’attenzione ... 16
Metodologia ... 17
Domanda di ricerca ... 17
Ipotesi di ricerca ... 17
Competenze trasversali implicate ... 18
Contesto scolastico ... 18
Interventi ... 20 Prima fase ... 20 Seconda fase ... 20 Terza fase ... 21 Valutazione ... 22 Strumenti metodologici ... 22
Variabili non controllabili ... 24
Variabili la cui influenza è stata contenuta ... 25
Analisi dei dati ... 26
Dati di confronto generali ... 26
Confronto delle medie ... 26
Confronto dell’evoluzione degli indicatori ... 28
Dati di casi particolari ... 29
Campione particolare: 7B ... 30
Campione particolare: 10A/10B ... 30
Discussione dei dati ... 32
Confronto tra le due tipologie di attività ... 32
Interpretazione dei campioni particolari ... 33
Osservazioni generali ... 34
Conclusioni ... 35
Conclusioni generali ... 35
Limiti e sviluppi futuri ... 36
Riflessioni sul proprio sviluppo e osservazioni personali ... 37
Bibliografia ... 39
iii
Allegato 3 – Estratti dal diario: attenzione... 48
Allegato 4 – Tabelle comprensione/produzione all’inizio della Fase 2 ... 50
Tabella comprensione all’inizio della Fase 2 ... 50
Tabella produzione all’inizio della Fase 2 ... 51
Allegato 5 – Intervista sul significato della lingua dei segni ... 52
Allegato 6 – Elenco dei segni conosciuti e segnati ... 53
Allegato 7 – Attività per migliorare la comprensione e la produzione dei segni ... 55
Allegato 8 – Tabelle comprensione/produzione alla fine della Fase 2 ... 56
Tabella comprensione alla fine della Fase 2 ... 56
Tabella produzuione alla fine della Fase 2... 56
Allegato 9 – Esempio tabella raccolta dati nella Fase 3 ... 57
Allegato 10 – Tabella di riassunto delle attività svolte nella Fase 3 ... 58
Allegato 11 - Istogrammi singole attività della Fase 3 ... 60
Lu 11.03 - Attività 1A ... 60 Lu 11.03 - Attività 1B ... 60 Gio 14.03 - Attività 2A ... 61 Gio 14.03 - Attività 2B ... 61 Lu 18.03 - Attività 3A ... 62 Lu 18.03 - Attività 3B ... 62 Gio 21.03 - Attività 4A ... 63 Gio 21.03 - Attività 4B ... 63 Lu 25.03 - Attività 5A ... 64 Lu 25.03 - Attività 5B ... 64 Gio 28.03 - Attività 6A ... 65
Lu 01.04 - Attività 7A ... 66 Lu 01.04 - Attività 7B ... 66 Gio 04.04 - Attività 8A ... 67 Gio 04.04 - Attività 8B ... 67 Lu 08.04 - Attività 9A ... 68 Lu 08.04 - Attività 9B ... 68
Gio 11.04 - Attività 10A ... 69
Gio 11.04 - Attività 10B ... 69
Allegato 12 – Ulteriori confronti evoluzione disturbo e verbalizzazione nella Fase 3 ... 70
Confronto evoluzione disturbo... 70
Confronto evoluzione verbalizzazione... 70
v
Figura 2 - Confronto evoluzione sguardo ... 28
Figura 3 - Confronto evoluzione esecuzione ... 29
Figura 4 - Lu 01.04 - Attività 7B ... 30
Figura 5 - Gio 11.04 - Attività 10A ... 30
1
Introduzione
La Lingua dei Segni nella Scuola dell’Infanzia
La Lingua dei Segni italiana (LIS)1, anche se non è ancora ufficialmente riconosciuta come tale in Italia, è una lingua a tutti gli effetti con un lessico, un sistema fonologico, una morfologia e una sintassi. Si basa principalmente sul canale visivo – gestuale e ogni segno è realizzato grazie a otto componenti suddivise in due gruppi: le componenti manuali e quelle non manuali. Le prime sono configurazione, movimento, orientamento e luogo, le seconde sono invece espressione facciale, postura, gesto labiale e suoni.
La Lingua dei Segni non è universale, bensì regionale: quella italiana è diversa da quella inglese (American Sign Language – ASL, o British Sign Language – BSL), francese (Langue des Signes Française – LSF), tedesca (Deutsche Gebärdensprache - DGS), … nonostante ciò alcuni gesti sono comuni e sono raggruppati nella Lingua dei segni internazionale (IS) chiamata Gestuno. Quest’ultima non ha le caratteristiche per essere definita e riconosciuta come lingua ma permette la comunicazione base tra culture diverse.
Sono venuta a contatto per la prima volta con la LIS in seconda liceo durante due giornate speciali e ne sono stata subito affascinata. In seguito non ho più avuto occasione di approfondire il tema fino ad agosto 2018, quando ho incontrato per la prima volta Ilaria, la mia docente accogliente. Parlandole ho scoperto che lei è interprete LIS e usa queste sue competenze nella sua quotidianità al lavoro: gli allievi, infatti, conoscono questo aspetto della docente e lei ha introdotto con loro la cultura dei sordi e alcuni segni destando in loro molto interesse.
Ho approfittato di questa occasione e del mio interesse riaffiorato dall’incontro con la docente Ilaria per mettermi in gioco, riprendere quelle poche conoscenze acquisite sette anni fa e ampliare il mio bagaglio personale e professionale. Ho dunque iniziato il corso offerto dalla Scuola Migros in
1 In alcuni testi letterari la Lingua Italiana dei Segni viene abbreviata con l’acronimo L.I.S. e in altri invece con LIS. Gli acronimi delle organizzazioni nascono spesso con le puntature, poi nell'uso comune si perdono perché la definizione è condivisa e conosciuta. Per facilitare la lettura, in questa tesi la Lingua dei Segni Italiana verrà abbreviata con LIS.
collaborazione con la Federazione Svizzera dei sordi (FSS) in ottobre acquisendo il certificato A 1.1. Il mio interesse non è diminuito, è anzi aumentato ed è mia intenzione frequentare i corsi successivi. Nei miei primi due anni di formazione al Dipartimento Formazione e apprendimento (DFA) ho potuto osservare due aspetti strettamente legati al mio tema: il primo è che l’importanza dell’uso del linguaggio non verbale equivale a quella dell’uso del linguaggio verbale e in alcune occasioni è addirittura più efficace. Mi sono sentita da subito vicina a questa via di comunicazione composta da gesti, espressioni, sguardi, posture, silenzi e innumerevoli messaggi lanciati e recepiti senza l’uso di parole perché porta innumerevoli vantaggi che ho potuto sperimentare io stessa durante le mie pratiche.
Il secondo aspetto invece è più incentrato sull’uso dei gesti: infatti, le canzoni vengono spesso proposte accompagnandole con dei gesti che corrispondono nell’immaginario collettivo ad una certa parola o che vengono scelti insieme ai bambini così da aiutarli nella memorizzazione del testo fornendo loro un altro canale per poter apprendere.
L’uso della LIS non significa proporre qualcosa di completamente nuovo rispetto a quanto illustrato nel paragrafo precedente, bensì renderlo più strutturato e ampliarlo a tutti i momenti della giornata portando i bambini ad avvicinarsi ad una cultura diversa e ad un sistema linguistico condiviso da più persone. Inoltre, è un lavoro che permette lo sviluppo di diversi ambiti lavorando sulla motricità, sull’orientamento spaziale, sulla lettura d’immagine e non da ultimo sull’attenzione e sulla concentrazione.
Tutti gli aspetti citati sopra sono validi per i bambini ma anche per l’insegnante. In particolare, per un insegnante in formazione è un’ottima opportunità per sperimentare e per sviluppare le proprie competenze comunicative, di gestione dei momenti di apprendimento e di conduzione della sezione oltre che essere un arricchimento personale.
Tutti questi aspetti mi hanno portata a scegliere questo come tema per la mia tesi di bachelor in conclusione di questa formazione. L’uso della Lingua dei Segni alla Scuola dell’Infanzia è un’ottima fusione degli elementi importanti per me: l’interesse e la voglia di mettermi in gioco, sviluppare le mie competenze professionali ma anche quelle personali con lo scopo di avere uno strumento in più da utilizzare e sperimentare più a fondo anche in futuro, la sperimentazione e la ricerca pratica all’interno della sezione, il senso per me e per i bambini e da ultimo ma non meno importante lo sviluppo di alcune competenze in risposta ai bisogni e agli interessi dei bambini.
3
Quadro teorico
La Lingua dei Segni
Storia e struttura della Lingua dei Segni
La lingua dei segni è una lingua definita giovane e antica poiché è da sempre utilizzata dalle persone sorde per comunicare usando il canale visivo-gestuale, ma solo nel 1960 William Stokoe, un linguista statunitense, pubblicò il volume Sign Language Structure: An Outline of the Visual Communication Systems of the American Deaf nel quale afferma che la lingua dei segni ha delle caratteristiche simili alla lingua vocale. Infatti, essa è nata all’interno di comunità, permette una comunicazione, ha un lessico, precise regole morfologiche e sintattiche e non è statica, bensì evolve nel tempo. Per questi motivi Stokoe (1960) conclude che tutte le lingue dei segni sono delle vere lingue a tutti gli effetti e che non sono equiparabili alla pantomima e al gesticolare che accompagnano l’espressione verbale di individui udenti.
Stokoe individuò nonostante la struttura diversa un altro parallelismo con la lingua parlata: i fonemi che compongono le parole sono paragonabili ai cheremi, ovvero i parametri formazionali che costituiscono un segno. Prendiamo in considerazione, ad esempio, la parola foglia: sostituendo il fonema /f/ con /v/ si ottengono due parole con significato diverso. Questo è quello che succede anche nella Lingua dei Segni: modificando uno dei seguenti cheremi si cambia il significato del segno. Due segni che si differenziano unicamente per uno di questi parametri, si chiamano coppia minima e spesso sono utili per memorizzare i vocaboli in fase di studio della lingua.
Per esempio, il segno che corrisponde a “conoscere” è composto dalla stessa configurazione, dallo stesso movimento e dallo stesso orientamento del segno “parlare”, i due si differenziano unicamente dal luogo diverso di esecuzione: il primo è effettuato sul lato destro della fronte, mentre il secondo vicino alla bocca. Dunque si può affermare che “conoscere” e “parlare” formano una coppia minima. I primi quattro parametri formazionali che riguardano la componente manuale sono:
- La configurazione: la forma che assumono la mano e le dita.
- Il luogo e lo spazio: dove è stato eseguito il segno (sia in verticale rispetto al corpo del segnante che lungo una linea orizzontale perpendicolare ad esso). Questo parametro in particolare permette di dare informazioni temporali: nella Lingua dei Segni non esistono
infatti i tempi verbali, il segnante posiziona il segno sulla linea immaginaria del tempo che parte dalle sue spalle e va in avanti.
- Il movimento: quale movimento si compie.
- L’orientamento del palmo della mano: verso l’alto, il basso, sinistra, destra, verso il segnante oppure verso l’interlocutore davanti a sé.
I quattro cheremi che riguardano la componente non manuale invece sono: - Espressione facciale
- Postura
- Gesto labiale e suoni
- Intensità con cui si esegue il gesto
Questi ultimi quattro parametri permettono di esprimere diverse tipologie di proposizioni: enunciative (affermative e negative), imperative, interrogative la cui risposta è sì/no, interrogative generiche (chi/cosa/…), esortative, ipotetiche, … poiché nella Lingua dei Segni non è possibile usare l’intonazione della voce né cambiare il tempo verbale o coniugare un verbo. Le componenti non manuali sono molto interessanti sia per lo sviluppo delle competenze comunicative del docente, in particolare quelle legate alla comunicazione non verbale, che per la capacità dei bambini di associare dei codici secondari all’intenzione comunicativa di una persona.
Un discorso che vale la pena trattare è quello inerente il rapporto tra significante e significato: infatti, è molto utile esserne consapevoli per favorire l’insegnamento di questa lingua alla Scuola dell’Infanzia. Mettere a contatto i bambini con questo sistema linguistico definendo bene ciò che si sta facendo e mettendo l’accento su questo rapporto permette di risultare più chiari e porta enormi vantaggi che verranno trattati nei prossimi capitoli.
I segni vengono divisi principalmente in due categorie: quelli iconici e quelli arbitrari. I primi, i segni iconici, corrispondono a tutti quelli che hanno una similitudine con l’oggetto a cui si riferiscono. Alcuni esempi: quasi tutti i segni/verbo (riferiti ad un’azione), segni dell’alfabeto manuale (basati sulla grafica), alcuni segni/nome (albero per esempio è segnato raffigurando il tronco e la chioma), …
I segni arbitrari sono quelli non iconici. In generale la scelta di un segno è sempre soggettiva: dipende dalle comunità linguistiche, dalla zona geografica e dall’influenza della cultura. Esso poi può avvicinarsi maggiormente o in minor misura al significato.
La differenza principale con la lingua parlata, oltre a quella naturalmente dell’uso del canale visivo-gestuale, è la sua struttura sintattica. Essa infatti segue delle regole diverse e complesse date da diversi fattori.
5 Il primo riguarda il meccanismo dell’incorporazione che permette ad un segno di esprimere più
informazioni incorporandole nel gesto stesso: il soggetto, il complemento oggetto, il complemento di termine, complemento di luogo, di tempo e di modo, i numeri, … sono tutte informazioni che, modificando leggermente il segno, vengono appunto incorporate e non è necessario esplicitarle nuovamente con altri segni appositi. Ad esempio: “la palla sta sopra il tavolo” viene tradotta in LIS con tre segni nel seguente ordine “tavolo palla sopra”.
Il secondo fattore riguarda la definizione e l’uso dello spazio, esso infatti, come scrive Massimo Agustoni (2010) “diventa una piccola scena di teatro, animata da personaggi con tanto di scenografia. Colui che segna è a sua volta regista, narratore o attore.” (p. 44). Questo naturalmente porta a raccontare gli eventi e tutto ciò che ci circonda con un’altra prospettiva e con altre priorità nella costruzione della frase.
Il terzo e ultimo fattore riguarda gli otto parametri espressi prima che entrano in gioco con precise intenzioni e regole e che modificano la sintassi della frase.
Per esempio, la frase “Vado in vacanza insieme agli amici” viene segnata “Io vacanza amici insieme vado”.2
La Lingua Italiana dei Segni
Grazie alle ricerche pubblicate da Stokoe anche in altri Paesi del mondo iniziarono le ricerche linguistiche in questo campo. In Italia, un gruppo composto da medici e psicologi di Bologna applicò gli studi americani alla riflessione sulla Lingua dei Segni italiana. Nel 1979 pubblicarono il primo testo Dal gesto al Gesto. Il bambino sordo tra gesto e parola e ci fu la prima conferenza sulla Lingua dei Segni a Roma. A partire da questi due avvenimenti, le ricerche aumentarono e nel 1981 Virginia Volterra, linguista italiana pioniera della LIS, pubblicò I segni come parole. Prospettive di ricerca sulla comunicazione dei sordi e venne dunque adottato per la prima volta il termine L.I.S. o Lingua Italiana dei Segni. In seguito, nel 1987 Volterra pubblicò il libro che, come scrive Orazio Romeo, “rappresenta il più avanzato tentativo di analisi di questa lingua nelle sue strutture
2 Per ulteriori informazioni sulla LIS e sulle sue implicazioni sul cervello e il linguaggio, consiglio di consultare i seguenti volumi: V. Volterra (1987), LIS. La lingua italiana dei segni e M.C. Caselli (1994), Linguaggio e sordità.
lessicale, lessicale e morfosintattica.” (p. XVII) LIS. La lingua italiana dei segni al quale seguirono i primi dizionari.
Accenni storici sull’uso dei segni come strumento educativo per i sordi
Questa ricerca si basa sui vantaggi dell’uso della LIS e dell’IS per i bambini udenti, ma è importante al fine di comprendere meglio la cultura dei sordi e di conoscere questa lingua in un contesto educativo avere alcune conoscenze in merito all’evoluzione nel corso della storia dell’uso dei segni come strumento didattico.
Prima dell’inizio del 700 le condizioni dei sordi erano poco rassicuranti: essi erano visti come persone da evitare, che non erano in grado di autogestirsi e dunque avrebbero creato solo danni all’interno della famiglia. Nonostante questa visione, ci furono diversi esponenti, soprattutto del clero e degli intellettuali, che presero a cuore l’istruzione delle persone sorde sostenendo la possibilità di istruire un sordomuto sia con i gesti che con le parole, come disse il medico, filosofo e astrologo Girolamo Cardano di Pavia “facendo in modo che egli leggendo osa e scrivendo parli” (citato in Romeo, 1997, p. XX). In seguito, ci furono diversi libri pubblicati da ricercatori, docenti, precettori, che permisero al XVIII di diventare un importante periodo per la nascita e la diffusione delle scuole per sordomuti. Carlo Michele de l’Epée, un abate francese, pubblicò nel 1784 il risultato del suo lavoro di ricerca in questo ambito La veritable manière d’instruire les sourds et muers facendolo diventare il fondatore della scuola pubblica e maestro dei più grandi direttori di istituti per l’educazione dei sordi negli altri Paesi europei: Vienna, Amsterdam, Russia, Italia, …
Nello stesso periodo, a Lipsia in Germania, fu fondata la scuola di Samuel Heinicke (1727-1790) basata su un metodo in forte contrasto con quello proposto dall’abate francese: l’oralismo. Questo sistema sostiene che il linguaggio è fondamentale per l’educazione, per poter ragionare e quindi per lo sviluppo del pensiero critico e riflessivo. Il metodo orale arrivò anche in Italia e, dopo il Primo Congresso Nazionale degli Educatori Sordi presieduto da Padre Tommaso Pendola nel 1868, fu accettato e usato in diversi istituti.
Nel 1880, a Milano, si tenne il Secondo Congresso Internazionale degli Educatori Sordi che si chiuse con la vittoria del metodo orale su quello che favoriva l’uso dei segni. Questo ebbe delle gravi ripercussioni sulla vita sociale, lavorativa e scolastica delle persone sorde.
Al giorno d’oggi questo metodo è ancora presente, ma non è più dominante: infatti, nel 2010, durante il 21º congresso Internazionale sull'Istruzione dei sordi avvenuto a Vancouver in Canada si è arrivati a rigettare definitivamente il metodo oralista sostenendo l’uso della Lingua dei Segni e delle sue varianti dialettali, tra cui l’Italiano Segnato.
7 Italiano segnato
L’Italiano Segnato (I.S. o IS) o italianizzazione dei segni si differenzia dalla LIS poiché ne utilizza il lessico ma segue la struttura linguistica e grammaticale della lingua italiana. Come dice il nome, però, non è l’Italiano Segnato Esatto (I.S.E.): infatti, l’IS non associa ad ogni parola pronunciata il segno corrispondente, bensì alcune parti del discorso vengono tralasciate. Esse, come ad esempio gli articoli, le preposizioni e alcuni pronomi, non vengono segnate dal momento che il messaggio è comprensibile anche escludendole e l’obiettivo principale è quello di trasmettere un significato. Beronesi (1991) dice infatti che “Con i bambini molto piccoli il contesto educativo è comunicativo in senso più generale, quindi l’uso del supporto gestuale è indirizzato a facilitare il passaggio di informazioni e di significati più che le particolarità morfosintattiche dell’italiano parlato.” (p. 16). Proprio per questo motivo è più corretto parlare di Italiano Segnato e non di Lingua Italiana dei Segni all’interno di questa tesi. L’obiettivo non è quello di insegnare ai bambini una nuova struttura linguistica, bensì quello di utilizzare il lessico della LIS per effettuare una comunicazione che si basa sul canale visivo – gestuale escludendo quello verbale.
L’IS viene spesso utilizzato dai sordi per comunicare con gli udenti o nelle scuole come supporto gestuale all’interno di un’educazione bimodale, non è però una lingua.
Per comprendere meglio la differenza vi propongo il seguente esempio: I.S.E.: Vai al cinema?
I.S.: Tu andare cinema? L.I.S.: Tu cinema andare?
Vantaggi dell’utilizzo della LIS alla Scuola dell’Infanzia
Durante il corso degli anni sono avvenute molteplici ricerche inerenti i vantaggi che hanno i bambini sordi grazie all’integrazione nelle classi di allievi udenti; questi naturalmente sono plurimi e vengono trattati in diversi libri. Per quanto riguarda invece i vantaggi dei bambini udenti si trovano sovente in un piccolo capitolo, se non meno, all’interno di una ricerca di quelle citate precedentemente e non sempre vengono approfonditi aspetti come la metodologia, gli strumenti utilizzati per raccogliere questi dati, bensì vengono presentati direttamente i risultati basati, la maggior parte delle volte, sull’osservazione non strutturata.
Baby Signs
In America sono state svolte diverse ricerche sui vantaggi dell’utilizzo della Lingua dei Segni con i bambini (0 – 3 anni) nella fase di acquisizione della lingua e delle prime comunicazioni. Esse sono state svolte principalmente da L. Arcedolo (Ph.D., professore emerito di Psicologia presso l’Università di California, Davis) e S. Goodwyn (Ph.D., professore di psicologia presso la California State University, Stanislaus), mamme e dottoresse supportate dal National Institute Of Healt e dall’American Academy Of Pediatric attorno agli anni ‘80 e dimostrano che la Lingua dei Segni accelera l’apprendimento linguistico portando i bambini a parlare più velocemente rispetto a quelli che non segnano, permette una comunicazione più veloce, aiuta gli infanti a formare un vocabolario più ampio, ad aumentare le abilità di memoria e di attenzione visiva e aiuta i genitori a provare minor frustrazione nella comprensione dei bisogni del proprio figlio.
Questo progetto ha ispirato il libro Baby Signs: How To Talk With Your Baby Before Your Baby Can Talk (tradotto: “Baby Signs: come parlare con il tuo bambino prima che lui sappia parlare”) pubblicato dalle due dottoresse nel 1996. Grazie ai vantaggi anche a lungo termine della stimolazione dello sviluppo cognitivo, socio-affettivo e del linguaggio verbale, questo programma di comunicazione gestuale segnata rivolta ai bambini da 0 a 24 mesi è diventato un vero e proprio movimento mondiale applicato e praticato da genitori, educatori e istituzioni come gli asili nido. (Baby Signs Italia, n.d.)
In Svizzera
In Svizzera ho trovato un’esperienza di integrazione e di bilinguismo a Zurigo, più precisamente a Wollishofen, nell’Istituto scolastico Hans Asper, dove gli studenti sordi frequentano la SEK3 (Sekundarschule für gehörlose und schwerhörige Jugendliche aus der deutschsprachigen Schweiz), il corrispondente della scuola media ticinese per ragazzi sordi o deboli d’udito provenienti dalla svizzera tedesca. In questo caso i vantaggi per gli studenti udenti sono maggiormente correlati al fattore culturale e questo è dovuto principalmente alla loro età. Questa pratica di integrazione però non è ancora diffusa e riscontra diversi problemi tra cui la mancanza di docenti di lingua dei segni specializzati e formati appositamente e la necessità da parte degli allievi sordi di avere dei momenti dedicati solo ai loro bisogni linguistici.
Molteplici sono state le ricerche svolte da Pietro Celo, attuale consulente esperto di Lingua dei Segni presso la SGB FSS Federazione svizzera dei sordi e Direttore Pedagogico presso il Centro
9 logopedico Istituto Sant'Eugenio di Locarno.3 Anche queste pubblicazioni trattano principalmente i
vantaggi per i bambini sordi, ma, essendo stato un consulente del Progetto Bilingue Italiano-Lingua dei segni dell’Istituto comprensivo di Cossato di cui parlerò più avanti, ha potuto osservare in maniera più puntuale anche gli allievi udenti.
La LIS alla scuola dell’infanzia, Trieste
La ricercatrice e professoressa del Dipartimento di Scienze giuridiche, del linguaggio, dell’interpretazione e della traduzione dell’Università degli studi di Trieste Irene Colavito ha rilasciato un’intervista l’8 settembre 2017 sul sito Redattore Sociale nella quale illustra i vantaggi dell’uso della LIS soprattutto alla Scuola dell’Infanzia. In primo luogo, la professoressa mette in evidenza l’aspetto che riguarda la cultura: come tutte le altre lingue “è fonte di cultura e favorisce l’empatia” poiché le componenti espressive dell’interlocutore sono essenziali alla comprensione. Questo è certamente un aspetto importante e si ritrova anche nelle descrizioni di altre esperienze e ricerche che seguiranno nei prossimi sotto capitoli.
In secondo luogo, pone l’attenzione sull’aumento del livello di attenzione visiva che si può definire come la somma della percezione e della memoria visiva, sulla diminuzione delle distrazioni e dunque sull’aumento generale della capacità di concentrazione e attenzione.
“Innanzi tutto, la LIS pretende un livello di attenzione visiva di cui le altre lingue non necessitano; questo mette il bambino nella condizione di imparare a cogliere molti particolari con gli occhi migliorando notevolmente la percezione visiva e la memoria visiva. L’utilizzo invece del segnato favorisce la creazione di nuovi collegamenti sinaptici in quanto le mani sono molto più distanti dal cervello che la bocca. Inoltre, nella mia esperienza personale, ho sempre notato che il dover porre attenzione visiva per poter ricevere il messaggio comunicativo, rende i bambini più rilassati e meno distratti dalle interferenze del contesto. Insomma, li rende più propensi all’ascolto attivo.” (Colavito, I., 2017)
3 Per ulteriori informazioni riguardanti il professor Celo e le sue pubblicazioni, consiglio di consultare il sito dell’Università di Bologna: https://www.unibo.it/sitoweb/pietro.celo/
L’esperienza di Cossato (Biella, Piemonte)
Nella Scuola dell’Infanzia dell’istituto comprensivo di Cossato è stato introdotto nell’anno scolastico 1994/1995 il Progetto Bilinguismo Italiano-Lingua dei Segni Italiana che è poi proseguito nell’anno 1997/1998 nella Scuola Primaria di Cossato Capoluogo e in seguito anche nelle scuole secondarie. Questo progetto è nato per il volere di alcune logopediste di includere quattro bambine sorde nella Scuola dell’Infanzia e ha l’obiettivo di dare pari opportunità agli allievi sordi e udenti. Questa inclusione è stata possibile grazie al bilinguismo Italiano-LIS che dà la possibilità di avere un completo scambio tra gli alunni e con i docenti portando molteplici vantaggi a tutti gli attori in gioco: allievi sordi e udenti, docenti, operatori, genitori, ...
Alla Scuola dell’Infanzia è presente, oltre al docente curricolare e al docente di sostegno, un educatore segnante che permette a tutti gli allievi di acquisire delle buone competenze nella LIS come madrelingua o come seconda lingua. Per comprendere meglio il funzionamento e l’organizzazione della SI, avrò l’opportunità di vivere questo progetto in prima persona trascorrendo la giornata del 16 maggio 2019 in una classe di Cossato.
Sono state effettuate molteplici ricerche, convegni e pubblicazioni sul progetto di bilinguismo, tra le quali risultano anche quelle di P. Celo citate in precedenza. I risultati che riguardano i vantaggi per i bambini udenti rispecchiano quanto trovato nelle altre ricerche: è vantaggioso per un’educazione generale e “il controllo del movimento (i segni non sono solo semplici gesti di rinforzo, ma movimenti che hanno un preciso significato concettuale e cognitivo) e il continuo esercizio del canale visivo hanno un enorme effetto sulla padronanza del proprio schema corporeo e su tutti gli aspetti collegati all’attenzione, influendo in modo determinante su tutti i processi cognitivi del bambino.” (Istituto Comprensivo di Cossato e IIS Q. Sella di Biella, 2016, p. 30).
L’attenzione
Dal momento che l’aumento dell’attenzione risulta uno dei vantaggi riscontrati nei bambini udenti segnanti o immersi in un contesto in cui viene utilizzata la LIS, è importante capire meglio cosa è effettivamente, come si sviluppa, quali effetti ha in classe e come può essere valutata.
11 Definizione
Con una breve ricerca sul vocabolario online Treccani, troviamo la seguente definizione di attenzione: “Atto di rivolgere e applicare la mente a un oggetto; processo che permette di concentrare o d’indirizzare l’attività psichica su un determinato oggetto”
Eseguendo una ricerca online e consultando alcuni libri di testo risulta subito evidente che la definizione di attenzione e la sua misurabilità sono ancora argomento di discussione all’interno delle varie discipline come la scienza e la medicina, la psicologia, la filosofia, … per questo motivo e per il fatto che la mia tesi è in ambito educativo ho deciso di concentrarmi sulla definizione data in quest’ultimo settore e di limitare a questo il capitolo dedicato all’attenzione.
“l’attenzione è l’insieme dei processi neuropsicologici che consentono di concentrare la consapevolezza su aspetti rilevanti dell’ambiente esterno, e al tempo stesso di inibire altri stimoli distraenti.” (Di Nuovo, 2006, p. 11)
Da questa definizione possiamo dedurre che l’attenzione non è un fenomeno semplice, bensì un insieme di diversi processi: in primo luogo possiamo identificare la motivazione e la comprensione, in seguito la concentrazione, la memoria e la selezione. Questi sono elementi essenziali di cui tener conto se l’intenzione è quella di cercare di misurare il livello di attenzione di una persona.
L’attenzione si può suddividere in vari modi, per comodità e ai fini di questa ricerca ho deciso di concentrarmi sulle seguenti tipologie: attenzione selettiva, focalizzata, alternata, sostenuta e quella divisa, mettendo l’accento sulle prime due. (Sohlberg e Mateer, 1987)
La prima citata, l’attenzione selettiva, è forse più chiara facendo il seguente esempio: quando si è seduti in un ristorante a un tavolo con sei persone e si sta parlando con una di esse, bisogna concentrarsi unicamente su quel determinato scambio verbale per poter comprendere, eliminando gli altri stimoli. Essa infatti classifica tutti gli stimoli ricevuti in due gruppi: quelli da prendere in considerazione e quindi da mantenere nella coscienza e quelli da escludere. Grazie agli stimoli sia visivi che uditivi ricevuti, si attiva l’attenzione selettiva che li seleziona e provoca in noi reazioni diverse.
“L’attenzione selettiva compie una discriminazione tra gli stimoli “del mondo” che possono accedere al cosiddetto “focus attentivo” e quelli che rimangono esclusi, in una zona periferica nel nostro campo attentivo” (Marzocchi, Molin & Poli, 2000, p. 7)
L’attenzione focale permette di focalizzare l’attenzione su un gruppo specifico di stimoli per un periodo più lungo di tempo. Vengono elaborate maggiormente le informazioni che sono ritenute più essenziali alla risoluzione del compito e al raggiungimento degli obiettivi portandole a far parte della nostra coscienza e rendendole molto più ricche di dettagli. Questo tipo di attenzione viene di solito utilizzato quando ci si ritrova davanti ad un compito da risolvere.
L’attenzione alternata, come dice il termine, entra in funzione quando bisogna alternare l’attenzione tra due o più stimoli diversi e si differenzia da quella divisa perché quest’ultima viene utilizzata quando ci sono più aspetti da tenere in considerazione contemporaneamente e permette di elaborare un gruppo di informazioni senza trattarle singolarmente, è decisamente il tipo di attenzione più usato nella quotidianità.
L’ultima tipologia di attenzione è quella sostenuta: essa si attiva quando il compito da risolvere richiede uno sforzo cognitivo prolungato per un tempo superiore a quello descritto nel paragrafo dedicato all’attenzione focale.
Relazione con il contesto della tesi
Per questa ricerca, come già specificato, mi sono concentrata ad analizzare i primi due tipi di attenzione selettiva e focale senza dividerli, perché “Non ci sono attività cognitive umane che implicano l’uso della sola attenzione selettiva o della sola attenzione focale, ma esse agiscono tra di loro in modo sinergico e coordinato.” (Marzocchi, Molin & Poli, 2000, p. 9).
Ho pertanto eliminato il più possibile quelli che sono gli stimoli sonori per concentrarmi su quelli visivi sperando così di permettere ai bambini di selezionare determinati stimoli (l’assenza di suono, i segni, il linguaggio non verbale, …) che nella quotidianità di un bambino solitamente vengono catalogati come non importanti, meno interessanti e quindi da escludere.
Per aumentare la loro attenzione è essenziale che i bambini comprendano la consegna e per questo ho dedicato un’intera fase della ricerca a questo fattore. Difficilmente un allievo che non comprende la consegna sarà in grado di mantenere l’attenzione focalizzata sul compito. Questo comportamento lo possiamo osservare con maggiore chiarezza nei bambini alloglotti che faticano a comprendere l’italiano perché appena trasferiti in Ticino o perché la loro lingua madre è un’altra. Infatti, dopo qualche minuto, disturbano i compagni o si concentrano su altri stimoli che possono essere l’uccellino sul ramo fuori dalla finestra, il rumore che provoca il vento, il gioco dietro di lui, …
In secondo luogo, è essenziale la motivazione, essa nasce dalle aspettative che una persona ha rispetto allo scopo del compito, dai possibili vantaggi tratti dallo svolgerlo e dal raggiungimento
13 dell’obiettivo. I bambini devono essere motivati e io spero che l’utilizzo dell’IS sia un buon incentivo.
Questo processo è chiaramente influenzato dal compito proposto: se esso dovesse risultare troppo facile o prevedibile poiché ripetitivo, la motivazione tenderebbe a diminuire e di conseguenza anche l’attenzione. Per questo motivo ho scelto di variare la consegna data, il momento dell’attività e l’attività stessa così da ridurre al minimo il rischio di diventare ripetitivi e prevedibili: cadendo nella routine la reazione del bambino non sarebbe da considerarsi come un aumento o una diminuzione dell’attenzione, bensì come una risposta condizionata ad uno stimolo.
“Se non c’è la comprensione, la motivazione o entrambe, l’attenzione sarà influenzata in modo positivo o negativo” (Marzocchi, Molin & Poli, 2000).
Come si sviluppa e il ruolo del contesto
Il primo tipo di attenzione riscontrato nei lattanti è quello selettivo: “il bambino acquisisce precocemente abilità di selezionare gli stimoli, mentre solo più tardi maturano le capacità di mantenimento dell’attenzione: è l’intensità dello sforzo, e non la selettività, a distinguere maggiormente la attenzione matura da quella infantile (Ackerman, 1987).” (Di Nuovo, 2006, p. 18) I bambini hanno più difficoltà a mantenere l’attenzione focalizzata poiché si lasciano facilmente catturare dalle caratteristiche più immediate e accattivanti di uno stimolo provocando una fluttuazione da un evento all’altro senza focalizzarsi su uno in particolare. Al contrario, un adulto si è costruito una scala di priorità delle informazioni che riceve e indirizza l’attenzione verso determinate categorie di stimoli che lo portano ad un appagamento di un bisogno. Nel 1949, lo psicologo sovietico D. N. Uznadze pubblicò la sua opera principale Eksperimental´nye osnovy psichologii ustanovki (tradotto: "Fondamenti sperimentali della psicologia dell'ustanovka") in cui descrive e illustra questo fenomeno che definisce ustanovka (set), ovvero uno “stato psichico che a livello inconscio anticipa, dirige e regola i processi psichici.” (Enciclopedia online, Treccani, n.d.)
Bisogna dunque aiutare il bambino a focalizzare l’attenzione, a distinguere e selezionare gli stimoli e favorire uno sviluppo culturale. Quest’ultimo porta ad uno sviluppo sociale che permette al bambino di maturare e adattarsi all’ambiente circostante, un’azione fondamentale per l’accrescimento dei comportamenti sociali dell’individuo.
L’attenzione ha dunque un forte legame con il contesto, oltre che con la maturazione neuropsicologica e con l’apprendimento di cui parlerò nel sotto capitolo seguente.
Il contesto si può suddividere in sociale, situazionale ed emotivo e tutti e tre costituiscono l’ambiente in cui avvengono quotidianamente le nostre esperienze. Esso entra in azione nella fase di selezione degli stimoli e, per definire quali sono i più rilevanti e come interpretarli, è necessario indagare sul tipo di situazione in cui si è immersi e su tutti gli stimoli derivanti da essa. Per questo motivo, nella descrizione delle attività è presente un paragrafo che descrive il momento in cui do una consegna, così nell’analisi dei dati potrò tenere in considerazione queste informazioni più precise riguardo al contesto e trarne conclusioni maggiormente pertinenti.
“È il contesto che indirizza l’aspetto selettivo dell’attenzione, e che sorregge la capacità di mantenerla concentrata.” (Di Nuovo, 2006, p. 21)
Questa abilità di tenere in considerazione il contesto in fase di elaborazione degli stimoli è più sviluppata nell’adulto che tenderà dunque ad essere più soggetto ai “distrattori concettuali”, mentre un bambino sarà maggiormente soggetto ai “distrattori percettivi”. (Di Nuovo, 2006, p. 21) Nel capitolo Metodologia (p. 17)ho aggiunto un sotto capitolo dedicato alle variabili non controllabili principalmente legate alla sfera percettiva del bambino, così da aumentare la mia consapevolezza. Un’ultima osservazione che ritengo importante è quella legata al contesto emotivo: essendo questo soggettivo, ogni persona interpreta le informazioni in maniera differente, dunque uno stimolo che per qualcuno può risultare molto rilevante, per qualcun altro può non esserlo. Il livello di attenzione può dunque subire grandi variazioni da soggetto a soggetto ed è assolutamente importante tenerne conto.
Come influisce sull’apprendimento
Il cervello di tutte le persone ha bisogno di ossigeno, acqua, alimentazione, sonno, poco stress ed esercizio fisico per poter essere disposto ad imparare. Questo è perfettamente in linea con quanto ci è stato detto durante la prima lezione nel primo semestre della formazione Bachelor in insegnamento per il livello prescolastico: la priorità di un bambino che non sta bene, fisicamente o psicologicamente, non è quella di imparare ma quella di stare meglio. Quindi il primo compito di noi insegnanti è quello di far sentire bene l’allievo, solo in questo modo possiamo farli pensare e dunque possono apprendere. Come dice il professor D. Antognazza (2018) “Gli allievi in classe imparano ciò a cui il docente li fa pensare.” Il lavoro del docente in seguito è dunque quello di attivare i neuroni degli allievi in modo da creare più connessioni fra di loro e favorire dunque un apprendimento.
Infatti, diversamente da quanto propone il comportamentismo o il cognitivismo come soluzione, le neuroscienze parlano di connessioni.
15 Watson (1930) e poi approfondita e portata avanti da I. Pavlov (tradotto nel 1927), B. F. Skinner
(1950) e E. L. Thorndike (1930) che definisce la mente come una scatola nera o, in inglese, “black box” in cui non bisogna guardare: ad uno stimolo segue una risposta. L’essere umano è di conseguenza passivo nell’apprendimento che è definito come cambiamento di comportamento in funzione delle condizioni ambientali e dunque in funzione degli stimoli incondizionati e condizionati ricevuti.
La seconda teoria citata, il cognitivismo, mette la mente al centro e la paragona ad una macchina, un computer, seppur mantenendo uno sguardo sulle esperienze che il soggetto vive. L’essere umano diventa un elaboratore di informazioni: lo schema Stimolo – Risposta viene modificato in Stimolo (input) – Elaborazione – Risposta (output). Più precisamente, l’apprendimento è l’insieme dei processi interni (recuperare, trasformare, ridurre, elaborare, immagazzinare) che intervengono tra la percezione di stimoli e l’emissione di risposte comportamentali osservabili. (V. S. Benhamza, 2017) Le neuroscienze danno un’altra risposta alla definizione di apprendimento, lo definiscono infatti il risultato dei cambiamenti nella connettività dei neuroni e nelle loro caratteristiche di attivazione. “Il nostro desiderio è quello di sostituire alla «metafora del calcolatore» la «metafora del cervello» come modello di mente”. (Rumelhart, 1986)
In altre parole possiamo dire che il cervello è formato da molteplici processori connessi fra loro e queste connessioni, chiamate anche sinapsi, si modificano e cambiano costantemente nel tempo e definiscono così l’apprendimento.
Un concetto importante è quello di Arousal ovvero la condizione temporanea del nostro sistema nervoso. Esso definisce il nostro sistema d’allerta il quale deve essere in uno stato ottimale per poter apprendere: non troppo alto altrimenti ogni stimolo verrebbe preso in considerazione, non troppo basso per evitare che succeda esattamente il contrario. Senza questo stato di allerta, l’attenzione non opererebbe in maniera efficiente.
Il risultato dell’influenza reciproca tra soggetto e ambiente è che se una persona non presta attenzione a ciò che sta succedendo non impara.
“L’attenzione riveste quindi un ruolo fondamentale nell’apprendimento scolastico, in quanto chi non presta attenzione non riesce ad acquisire le abilità e le conoscenze necessarie.” (Marzocchi, Molin & Poli, p. 20)
Come valutare l’attenzione
Come ho scritto nel secondo paragrafo di questo grande capitolo dedicato all’attenzione, nel campo della ricerca è ancora acceso il dibattito sulla misurabilità e sulla valutazione di questo processo particolarmente complesso da definire e da analizzare. Alcuni ricercatori hanno addirittura messo in discussione il fatto che si possa effettivamente fare dal momento che non è fattibile trovare degli strumenti che valutino esclusivamente l’attenzione dato che è strettamente collegata alle altre funzioni ed è presente in tutti i compiti cognitivi. Un’altra teoria ritiene che ci sia la possibilità di estrapolare alcune componenti specifiche grazie ad alcuni test particolari. Bisogna però tenere conto che, per una valutazione che si avvicini all’essere il più corretta possibile, bisogna senza dubbio tenere conto di queste componenti ma all’interno della complessità totale del fenomeno.
Esistono le componenti automatizzabili, ovvero quelle che favoriscono un’attenzione sostenuta, quelle legate alla memoria di lavoro e quelle prese in causa in questa tesi che implicano funzioni esecutive. Quest’ultime necessitano una messa in atto di strategie per risolvere compiti singoli o doppi, per frenare risposte non appropriate eliminando elementi di distrazione e per spostare il focus attentivo da uno stimolo all’altro.
Tutte le componenti vengono utilizzate contemporaneamente, ma con un diverso grado di controllo attentivo a seconda dell’attività: se un compito è prevalentemente automatizzabile si avrà un minimo controllo, mentre se entrano in gioco in maggior misura le funzioni esecutive si avrà un controllo crescente. In questa ricerca cercherò di evitare la prevedibilità e l’automatismo per permettere uno sviluppo maggiore della capacità attentiva con un migliore controllo proponendo situazioni e consegne sempre diverse mettendo a confronto e alternando attività sul tappeto al momento della mensa e del giardino.
17
Metodologia
Domanda di ricerca
Diverse ricerche dimostrano che l’uso del linguaggio dei segni aumenta il livello di attenzione nei bambini udenti, ma l’utilizzo dell’Italiano Segnato riscontra una maggiore attenzione se utilizzato durante le attività semi-strutturate come quelle che avvengono sul tappeto o libere come la mensa e il giardino?
Ipotesi di ricerca
La mia ricerca vuole verificare se si riscontra un maggior aumento dell’attenzione utilizzando l’Italiano Segnato durante un’attività svolta sul tappeto o in un momento libero come il giardino o la mensa.
Dalle informazioni raccolte durante il primo periodo posso dire che il livello di attenzione durante le attività semi-strutturate è più alto rispetto ai momenti liberi senza l’uso dell’IS e questo è dovuto in parte al contratto didattico, in parte alla disposizione dei bambini e all’attività che ha sempre un obiettivo e un senso ben definito e conosciuto dai bambini.
La mia ipotesi è che si riscontri un maggiore aumento nelle attività semi-strutturate piuttosto che in quelle libere dal momento che diverse variabili che influiscono sul livello di attenzione sono controllate: la disposizione a semicerchio, il luogo delimitato, lo sguardo indirizzato verso la docente a causa della posizione, alcune regole già definite come il rispetto dei turni di parola, …
Inoltre, i dati potrebbero mostrare una differenza anche se minima, visto il tempo dedicato a questa fase, tra l’inizio e la fine della raccolta e tra le consegne date in mensa e quelle date in giardino. Questo perché, secondo me, durante il giardino ci sono molti più stimoli esterni ed è più libero rispetto alla mensa che comunque segue una certa struttura.
Spero però che con l’uso dell’IS si introduca una motivazione più forte rispetto l’uso del linguaggio verbale. Se così dovesse essere, non penso che si possa arrivare ad avere lo stesso livello di attenzione durante entrambe le tipologie di attività ma l’efficienza potrebbe essere maggiore in quelle libere. Questa ipotesi però potrebbe non essere reale dal momento che in giardino o in mensa gli stimoli presenti sono molteplici e più attrattivi rispetto alla consegna della docente.
Competenze trasversali implicate
Strategie d’apprendimento (PdS, 2015, p. 83) Disponibilità ad apprendere:
- Attenzione: finalizzare l’allerta, creare un focus attentivo
- Partecipazione attiva: agire con prontezza e disponibilità in risposta alle sollecitazioni (stimoli del contesto, consegne, ecc.).
Pensiero creativo/divergente (PdS, 2015, p. 82)
Curiosità ed apertura al nuovo: Provare ad esprimersi in lingue diverse. Comunicazione (PdS, 2015, p. 75)
Associare i codici secondari (mimica, gestualità) a una particolare intenzione comunicativa e reagire di conseguenza.
Contesto scolastico
Svolgo la mia pratica nella sezione di Scuola dell’Infanzia (SI) di Monte Carasso dalla docente accogliente Ilaria Gambonini. Nella sezione sono presenti 20 bambini udenti suddivisi nel seguente modo: 6 del secondo anno obbligatorio (3 femmine, 3 maschi), 7 del primo anno obbligatorio (3 femmine, 4 maschi) e 7 dell’anno facoltativo (4 femmine, 3 maschi). 4
La sezione, oltre ad avere una preferenza per le attività all’esterno, è caratterizzata da un’importante diversità culturale e linguistica, per questo motivo la nostra programmazione è incentrata sullo sviluppo della competenza trasversale Sviluppo personale, in particolare conoscere se stessi e gli altri e il rispetto delle regole e degli altri. Legato a questa competenza abbiamo introdotto grazie all’albo illustrato Il buco di Anna Llenas (2016) il filo identitario che ci ha permesso di sviluppare diverse competenze. L’Italiano Segnato in questo caso ha assunto anche la valenza di lingua comune fra le tante presenti in sezione (italiano, dialetto ticinese, svizzero tedesco, francese, spagnolo, portoghese, albanese, serbo e turco) e di mezzo per comunicare con i due bambini che non parlavano e non
4 In Ticino l’obbligo scolastico inizia a 4 anni con l’iscrizione alla Scuola dell’Infanzia, tuttavia è possibile ma facoltativa l’iscrizione già a 3 anni. Questo anno è appunto chiamato anno facoltativo, a seguire: primo anno obbligatorio (O1) e secondo anno obbligatorio (O2).
19 comprendevano l’italiano all’inizio dell’anno. Inoltre, una bambina dell’O2 soffre di mutismo
selettivo e questa lingua ha permesso una comunicazione senza forzare la verbalizzazione.
Come già scritto nell’introduzione, la docente Ilaria utilizza l’Italiano Segnato con i suoi allievi e dunque per la maggior parte dei bambini l’argomento non è una novità, lo è solamente per coloro che hanno iniziato a frequentare la SI a settembre 2018 (in totale 8 bambini). Più volte durante la giornata sono i bambini stessi a nominare la LIS e a fare domande al riguardo per conoscere il segno corrispondente ad una parola in italiano. Tutte le canzoni vengono segnate ed è stato molto interessante proporre ai bambini canzoni senza l’uso dei segni per poter osservare la loro reazione e i tempi impiegati per memorizzare il testo (vedi Allegato 1, p. 43).
Campione
Ho deciso di considerare come campione il gruppo composto da 6 bambini dell’O2: B. (6,4), J. (5,10), L. (5,7), G. (5,6), N. (5,6), A. (5,4). Sono giunta a questa decisione principalmente per tre motivi. Il primo è strettamente collegato alla strategia di ricerca: essendo una ricerca longitudinale e non di tipo pre-post, ho escluso i bambini dell’anno facoltativo in quanto è necessario che il campione preso in considerazione sia già stato immerso in un contesto influenzato dalla LIS.
Il secondo motivo è legato agli strumenti utilizzati: la mia è una ricerca di tipo qualitativo basata sulle osservazioni più o meno strutturate che, per questioni di tempo dedicato alla raccolta dei dati e di tempo tra la consegna e l’azione, non posso estendere a tutto il gruppo. Infatti, la consegna è molto veloce e pensare di osservare alcuni aspetti in 13 bambini contemporaneamente per avere delle indicazioni sull’attenzione è praticamente poco realistico.
Il terzo motivo si basa principalmente sulle osservazioni fatte durante i primi tre mesi di scuola: i bambini dell’O2 hanno un maggior interesse nell’uso dell’IS, hanno una maggiore influenza per quanto riguarda l’inclusione nel gruppo dei nuovi arrivati e hanno bisogno di aumentare la loro capacità di stare attenti e concentrati sul compito.
Basandomi su questi ultimi due motivi ho escluso i bambini dell’O1 arrivando alla conclusione di prendere in considerazione unicamente i sei bambini dell’O2.
Sperimentazione
Interventi
Prima fase
Prima di avviare la raccolta dei dati legati all’attenzione dei bambini con l’uso dell’IS, ho tenuto un’osservazione libera tramite un diario del contesto e di tutti i componenti della sezione seguendo i ritmi e le abitudini dei bambini e della docente Ilaria. Questo primo periodo, da ottobre 2018 a gennaio 2019, mi è stato davvero utile per avere delle informazioni di partenza che mi hanno permesso di avere un’idea più chiara del contesto influenzato dall’IS, del rapporto dei bambini con i segni e della loro attenzione e concentrazione durante le attività. Rileggendo il diario ho suddiviso il contenuto nelle seguenti categorie testuali: utilità, clima di classe, importanza, sviluppi delle competenze, attenzione, concentrazione, utilizzo spontaneo dell’IS. Come si può leggere da alcuni estratti (vedi Allegato 3, p. 48),le informazioni che se ne ricavano concordano con la tesi citata nel quadro teorico della professoressa I. Colavito che sostiene che l’uso della LIS diminuisca le distrazioni favorendo un aumento dell’attenzione e di conseguenza della capacità di concentrazione.
Seconda fase
La seconda fase si è svolta in due momenti: il primo durante le giornate del 24 e del 25 gennaio e il secondo l’11 febbraio, dopo due settimane di attività incentrate sulla comprensione di alcuni segni. Nei primi due giorni, 24 e 25 gennaio 2019, è avvenuta la verifica della comprensione e della produzione di alcuni segni per evitare che la raccolta dati della terza fase sia influenzata dal fattore di non comprensione del segno e dunque dalla mancata comprensione della consegna (vedi Allegato 4, p. 50). Ho scelto delle parole che permettessero di dare delle consegne (sedersi, alzarsi, tranquillo, camminare, acqua, pennarello, fila), altre che vengono utilizzate nella quotidianità e sono già conosciute e adoperate dai bambini (grazie, per favore, scusa, insieme) e parole che permettono di dare una risposta (sì, no) o di chiamare un bambino (contrassegno: nuvola, pesce, luna, lumaca, stella, candela).
Inoltre è stata fatta una raccolta di conoscenze dei bambini inerenti la LIS per avere delle informazioni più precise sul loro rapporto con i segni andando ad ampliare ciò che è stato riportato nel diario (vedi Allegato 5, p. 52).
21 Per eliminare delle variabili che avrebbero potuto influire sulla raccolta e in seguito sull’analisi dei
dati, ho trattato con i bambini singolarmente evitando così che questa verifica fosse influenzata dai compagni con dei suggerimenti. Ogni bambino è stato chiamato inizialmente a tradurre in italiano 13 vocaboli segnati da me, in seguito è stato filmato mentre lui stesso traduceva in segni i vocaboli detti da me in italiano. Oltre a questi, ho chiesto ai bambini quali altri segni conoscessero in LIS sempre nell’ottica di avere maggiori informazioni sul loro rapporto con questa lingua (vedi Allegato 6, p. 53). Dopo i risultati emersi, ho eseguito alcune attività a grande gruppo incentrate sul segno, altre singolarmente con il bambino e altre con un gruppo ristretto di allievi per permettere loro di lavorare sull’eventuale mancata comprensione di un segno (vedi Allegato 7, p. 55) a cui è seguita una ripetizione della prima verifica per confermare l’effettiva comprensione lunedì 11 febbraio 2019, quindi due settimane dopo la prima verifica (vedi Allegato 8, p. 56).
Terza fase
La raccolta dei dati è avvenuta da lunedì 11.03 a giovedì 11.04 durante i due giorni della settimana in cui ho lavorato (sempre di lunedì e di giovedì). Ho dato due consegne ai bambini utilizzando i segni della LIS ogni mattina: una prima, durante o appena dopo un’attività fatta sul tappeto e una durante il giardino o in mensa.
Ho scelto di proporre queste consegne al mattino per due principali motivi: il primo riguarda la presenza di tutti gli allievi mentre il secondo si lega al fatto che in questo momento della giornata c’è generalmente una minore stanchezza e quindi è ipotizzabile una maggiore attenzione e concentrazione rispetto al pomeriggio. Inoltre, il lunedì pomeriggio B. è assente poiché è seguito da un servizio di sostegno esterno e durante il pomeriggio di giovedì la docente di appoggio lavora con A. e J. per una stimolazione più puntuale nell’ambito fonologico.
Per richiamare l’attenzione iniziale dei bambini ho usato in alcuni casi il linguaggio verbale, ma in seguito è unicamente il non verbale che entra in gioco dunque l’attenzione dei bambini verrà valutata tramite degli indicatori dopo l’utilizzo dell’IS. Richiamare il focus attentivo dei bambini prima di dare una consegna è importante per poter mantenere le stesse condizioni iniziali per tutti: consapevolezza e comprensione del segno. Ho deciso di utilizzare la voce e i nomi dei bambini per richiamare la loro attenzione e non qualche strumento specifico prima di utilizzare l’IS per una questione di coerenza. Infatti, uso questa lingua per comunicare in diversi momenti della giornata e con tutti, non solo per raccogliere i dati per questa ricerca. Associare a un suono di uno strumento
l’uso dell’IS sarebbe complicato da usare nella quotidianità che non mi permette di portare con me uno strumento musicale e che mi porta dunque ad utilizzare la voce o l’assenza di essa, il silenzio, per richiamare l’attenzione dei bambini.
Ho deciso di prendere in considerazione due tipologie di attività:
- Attività di tipo A5, sul tappeto: i bambini sono disposti a semicerchio seduti sul tappeto, la docente propone l’attività per poi prendere un ruolo di regista e alcune volte ha un ruolo attivo nella costruzione della competenza. Per esempio: letture, discussioni, transizioni, giochi, rappresentazioni teatrali, …
- Attività di tipo B, non strutturate: attività che non necessitano l’intervento della docente se non per regolare alcune dinamiche considerate pericolose o non opportune. La disposizione è casuale all’interno di uno spazio abbastanza vasto. Per evitare di entrare in una routine prevedibile che porterebbe i bambini a diminuire la loro attenzione selettiva e focale, ho tenuto in considerazione sia il giardino che la mensa come momenti di attività non strutturate. Ho escluso le attività molto strutturate come quelle grafico-pittoriche che si svolgono a tavolino poiché durante quest’ultime non utilizzo l’IS o quelle in salone dal momento che i tempi della tesi non mi permettono di allargare la domanda di ricerca anche ad esse.
Per poter avere un campione di dati da analizzare ho effettuato in totale 10 consegne per entrambe le tipologie di attività, compilando 120 tabelle per un’osservazione semi-strutturata: 20 per ogni allievo.
Valutazione
Strumenti metodologici
Per svolgere questa ricerca ho utilizzato due diversi strumenti: principalmente l’osservazione e in maniera subordinata l’intervista. Riassumendo, ho usato il diario per un’osservazione non strutturata durante la prima fase, le riprese video, una piccola intervista e le tabelle strutturate durante la seconda e, per finire, delle griglie osservative per un controllo più strutturato. Dunque visto l’utilizzo di questi strumenti, l’analisi dei dati e la loro interpretazione saranno maggiormente di natura qualitativa.
5 Questa denominazione è arbitraria ed è necessaria per la distinzione delle due tipologie di attività in fase di analisi e di discussione dei dati. Infatti, gli istogrammi proposti saranno suddivisi utilizzando questa terminologia: A per le attività svolte sul tappeto, B per le attività non strutturate come mensa e giardino.
23 Durante la prima fase ho usato un diario per raccogliere informazioni liberamente sul contesto con lo
scopo di conoscere meglio i bambini, i loro ritmi, le loro competenze e conoscenze, i loro bisogni e interessi. Inoltre, il diario è lo strumento che meglio mi ha permesso di tenere traccia di tutto quanto inerente la LIS e l’IS è stato proposto da noi docenti e gli sviluppi dei bambini al riguardo durante le giornate. Questo per il seguente motivo: il diario permette una maggior vicinanza alle situazioni e una miglior descrizione, spiegazione e comprensione di quello che avviene. Questo strumento è stato suddiviso in categorie per facilitare l’analisi dei dati.
La seconda fase è stata caratterizzata da due strumenti: l’osservazione e l’intervista. In questo caso ho usato dei supporti diversi: precisamente, ho scelto di utilizzare le riprese video. Esse mi hanno aiutata a concentrarmi meglio sui bambini e sulle loro produzioni per poi, in un secondo momento riguardando i video, riassumere i dati raccolti in una tabella di facile lettura e più accessibile di un video. Queste riprese mi hanno supportato anche durante lo svolgimento di una piccola intervista centrata sul singolo soggetto che mi ha permesso di approfondire maggiormente rispetto all’osservazione non strutturata i pensieri e le opinioni dei bambini.
Infine, per l’osservazione semi-strutturata della terza fase, ho costruito una tabella con degli indicatori (vedi Allegato 9, p. 57) che mi permettesse di raccogliere dei dati inerenti l’attenzione dei bambini con l’uso dell’IS. È stata utilizzata e compilata con delle crocette dopo aver dato una consegna in IS ai bambini. La parte che riguarda le osservazioni aggiuntive è stata redatta immediatamente o in un secondo momento a seconda della situazione. Infatti, in alcuni istanti della giornata non si ha il tempo necessario a compiere anche questa operazione per svariati motivi come ad esempio la gestione del gruppo classe, i bisogni di altri allievi, i cambi di luogo all’interno dell’edificio, … Per facilitare questa raccolta dati ho costruito un piccolo libro formato A6 con le tabelle stampate da portare in tasca con una matita, in questo modo è stato più pratico riempirle.
Questa tabella è stata suddivisa in quattro righe che corrispondono agli indicatori scelti in base a quanto la letteratura esplicitata nel capitolo Quadro teorico (da p. 3) ha definito come rilevatori possibili di informazioni sull’attenzione di un individuo. Ho scelto di tenerne in considerazione solo quattro, perché un numero maggiore avrebbe reso molto difficile la raccolta dei dati: il tempo tra la consegna e l’azione è breve e osservare in sei bambini quattro indicatori è già un’operazione molto complessa.
La tabella è suddivisa in tre colonne: Sì, No e Osservazioni. Quest’ultima colonna è suddivisa nuovamente per tre indicatori in altre righe che specificano maggiormente il comportamento, così da
permettermi una compilazione più veloce e immediata.
Precisamente, come viene eseguito il compito ci dà ulteriori informazioni sul livello di attenzione: se fatto per imitazione non vuole per forza dire che il bambino è attento, così come se prima di eseguirlo ha bisogno di più ripetizioni, naturalmente non è sufficiente ma inizia a darci qualche dettaglio in più. Invece è importante sapere se e come un allievo distrae un compagno perché ciò influenza sia la sua attenzione che quella degli altri. Un discorso simile vale anche per l’indicatore Verbalizza la consegna: se un allievo compie questa azione esiste la possibilità che l’attenzione di un compagno venga attirata dal verbale e non dalla mia consegna. In tal caso questo è stato segnalato nella raccolta dati e ne verrà tenuto conto in fase di analisi e discussione dei dati.
Variabili non controllabili
Ritengo sia importante dedicare un sotto capitolo alle variabili non controllabili in quanto influenzano la raccolta dati e bisogna esserne consapevoli prima di iniziare quest’ultima e non solo in fase di analisi così da poter assumere un atteggiamento più scientifico durante la ricerca soprattutto dopo quanto emerso dal capitolo Come si sviluppa e il ruolo del contesto del Quadro teorico (vedi p. 13). Per rendere l’argomento di facile lettura, ho deciso di suddividere queste variabili principalmente percettive in due grandi gruppi ma questo non significa che essi siano separati e senza nessun legame, anzi, proprio il contrario: si influenzano a vicenda e possono verificarsi contemporaneamente. Il primo gruppo di variabili non controllabili sul quale voglio concentrarmi è quello degli stimoli esterni inaspettati che catturano l’attenzione dei bambini. Essi possono essere molteplici e di varia natura: l’entrata in sezione di una collega o di una persona esterna, il passaggio di un elicottero o di un’ambulanza, …
Un sottogruppo degli stimoli esterni è quello legato alle condizioni meteo. Queste ultime infatti influiscono molto sui bambini: dopo due o più giorni di pioggia senza la possibilità di uscire all’aria aperta, aumenta l’agitazione e l’attenzione è spostata sul desiderio e il bisogno di fare movimento all’aperto. L’arrivo della neve, il vento che fa sbattere le tende provocando un forte rumore irregolare e le temperature eccessive all’interno dell’aula, per esempio, seguono un ragionamento simile a quello sulla pioggia: il focus attentivo è spostato su altri bisogni o interessi.
Questo mi porta a definire il secondo gruppo: gli stimoli interni alla sezione inaspettati. Essi si possono suddividere principalmente in due categorie che però si influenzano a vicenda. La prima categoria riguarda lo stato d’animo dei bambini che chiaramente è influenzato dalla situazione famigliare, eventuali liti o disaccordi con compagni, presenza o assenza di alcuni compagni che cambiano le dinamiche di gruppo, rientro delle vacanze, giornate speciali come carnevale,
25 compleanno di un allievo, educazione stradale o profilassi dentaria, armonizzazione, …
La seconda categoria che potrebbe rientrare in quella precedente è la salute fisica dei bambini: mal di pancia, vomito, sangue da naso, ferita che si apre, dente che cade, … sono tutti avvenimenti che influiscono sia sullo stato d’animo che sull’attenzione del singolo e del gruppo classe.
Le variabili non controllabili possono però darmi un’indicazione del grado di attenzione del bambino: infatti, più lo stimolo esterno è interessante più sarà difficile per il bambino mantenere il focus attentivo sull’attività. Siccome questo è soggettivo, nel caso in cui l’attenzione dovesse essere mantenuta, potrei ricavarne informazioni utili specifiche per il singolo bambino.
Variabili la cui influenza è stata contenuta
Le variabili la cui influenza è stata contenuta sono principalmente tre. Bisogna però considerare che fanno parte del contesto e, come visto in precedenza, esso è molto importante perché influisce su quali stimoli concentrarsi e su come essi vengono interpretati e questo può variare da bambino a bambino.
La prima è legata alla mancata comprensione della consegna e questa, proprio perché è una condizione essenziale per avere l’attenzione nel bambino, è stata argomento della seconda fase (vedi p. 20).
La seconda variabile è legata al momento della giornata in cui viene svolta la raccolta dei dati. Essa infatti deve essere costante per evitare una troppa influenza: la stanchezza dei bambini non rimane costante dall’inizio della giornata fino alla fine ma subisce delle variazioni aumentando, di solito, nel il pomeriggio. È stato dunque fissato un momento ben preciso, il mattino, per dare le consegne in IS. Maggiori informazioni e motivazioni sono esplicitate nella descrizione della terza fase (vedi p. 21). L’ultima variabile mi coinvolge personalmente poiché si tratta dello stato d’animo e dell’umore della docente. Durante tutte le mie pratiche ho potuto sperimentare quanto le mie emozioni e i miei sentimenti o quelli della docente titolare influiscano sui bambini, perciò ho prestato una maggiore attenzione alla gestione delle mie emozioni per cercare di incidere il meno possibile.
Analisi dei dati
I dati inerenti alla terza fase sono stati raccolti all’interno di tabelle, vedi un esempio in allegato (Allegato 9, p. 57) durante e subito dopo l’osservazione strutturata. In totale ho riempito 111 tabelle considerando le assenze di alcuni bambini. Per facilitare la lettura e la comprensione ho deciso di utilizzare degli istogrammi: ogni attività di entrambe le tipologie è riassunta con un istogramma che riprende sull’asse delle ascisse i quattro indicatori presenti nella tabella, mentre sull’asse delle ordinate troviamo il numero di bambini (0-6). Per non perdere delle informazioni importanti ho inserito le osservazioni sul contesto e sui singoli bambini nella tabella di riassunto delle attività svolte (vedi Allegato 10, p. 58). Queste saranno utili in fase di discussione dei dati.
Dati di confronto generali
Confronto delle medie
Tutti i 20 istogrammi delle singole attività sono allegate (vedi Allegato 11, p. 60), qui di seguito è presentato invece quello che confronta le medie di tutti i dati normalizzati6 delle attività semi-strutturate (tipo A) e quelle libere (tipo B). Sull’asse delle ascisse troviamo otto colonne: le prime due indicano la media della quantità di bambini che guardano la docente, le seguenti due di quelli che eseguono il compito, la quinta e la sesta colonna invece di allievi che non distraggono durante la fase di consegna, mentre le ultime due mostrano la media dei bambini che verbalizza la consegna. Sull’asse delle ordinate troviamo sempre il numero di bambini (0-6) e la legenda sotto l’istogramma illustra con precisione il significato dei vari colori utilizzati.
6 I dati delle attività in cui almeno un bambino era assente e usati per i grafici di confronto sono stati trasformati in modo da renderli paragonabili. Di norma in statistica per normalizzare si sarebbe optato per la conversione dei dati in percentuali, ma essendo questa una ricerca prevalentemente di tipo qualitativo, i grafici sono usati soprattutto quale ausilio visivo per facilitare la lettura dei risultati e quindi ho preferito mantenere le persone come unità, il risultato rimane comunque invariato.
27 Figura 1 - Confronto medie
Dal grafico possiamo notare che lo sguardo e l’esecuzione del compito sono maggiori nelle attività di tipo A.
Per il secondo indicatore è importante notare che la differenza maggiore non è tra il numero totale, il quale varia di poco, bensì tra il numero di bambini che svolgono il compito in maniera decisa e quelli che invece esitano. Quest’ultimo modo di eseguire la consegna è più presente nella attività libere, mentre in quelle più strutturate quasi la metà dei bambini è decisa. Nelle attività di tipo A è lievemente superiore la necessità di ripetizione e lievemente inferiore l’esecuzione per imitazione rispetto alle attività di tipo B.
Ho deciso di riportare l’indicatore “Distrae” che si ritrova nelle tabelle in negativo negli istogrammi: Non distrae. In questo modo la lettura degli istogrammi risulta facilitata poiché l’attenzione aumenta quando tre su quattro indicatori sono al massimo (6/6 bambini).
In questo caso si può notare che la colonna a sinistra è più bassa rispetto a quella a destra: mediamente, perché sempre di un confronto tra medie si tratta, i bambini tendono a distrarre di meno nelle attività di tipo B.
Per quanto riguarda questo ultimo indicatore, un dato rilevante è di sicuro quello che riguarda la verbalizzazione per se stesso: l’unico bambino che mostra questo comportamento, ad eccezione di A. quando le consegne ruotano attorno ai contrassegni, è B.. Inoltre, si può leggere dall’istogramma che
0 1 2 3 4 5 6
Sguardo (A) Sguardo (B) Esecuzione (A) Esecuzione (B) Non distrae (A) Non distrae (B) Verbalizza (A) Verbalizza (B) Si Decisa Esitando Dopo ripetizione Per imitazione Rivolgendosi ai compagni Per se stesso No