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Reinterpreting Biography: realta' e finzione in tre opere di Peter Ackroyd

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione……….. p. 1

CAPITOLO 1. Breve storia del genere biografico………. p. 6

CAPITOLO 2. Aspetti risolti e irrisolti………. p. 31

CAPITOLO 3. Peter Ackroyd e la sua Londra……… p. 46

CAPITOLO 4. Dickens…….……… p. 70

CAPITOLO 5. Ventriloquismo e pastiche: The Last Testament of Oscar

Wilde……… p. 93

Conclusioni……… p. 116

Bibliografia……… p. 119

Sitografia………. p. 123

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Introduzione

La prima biografia che ho letto è stata Catch a Fire: The Life of Bob Marley (1983) del giornalista e redattore americano Timothy White. Essendo un appassionato di musica reggae e, in particolare, di Bob Marley, ho sentito il bisogno di sapere qualcosa di più sulla sua infanzia, la sua formazione e su come fosse diventato il famoso cantante coi dreadlocks che tutti conosciamo. Il mio interesse per Marley non derivava soltanto dal fatto che è considerato il paladino della libertà dei neri di tutto il mondo e una figura importantissima del panafricanismo moderno, ma anche dalle numerose leggende cresciute attorno a lui a causa della sua ossessione per la privacy che gli ha permesso di proteggere la propria identità con la mistica personale. Ma la domanda che mi sono posto è: perché così tante persone leggono le biografie?

Prima di tutto, o perché si ammira il soggetto o perché lo si disprezza. La stima e il disgusto funzionano allo stesso modo, ma in direzioni opposte: la gente, infatti, legge la biografia di Nelson Mandela e di Adolf Hitler per lo stesso motivo, cioè sapere come ha fatto un uomo comune a diventare una figura essenziale della storia mondiale. La curiosità è, dunque, uno degli elementi principali. In secondo luogo, una biografia può mostrarci molto riguardo all’epoca del biografato, e ciò ci permette di studiare la storia attraverso quel determinato personaggio. Infine, il lettore di biografie è desideroso di sapere quanto lui e il biografato siano simili. Confrontarsi con un grande del passato ci arricchisce nella misura in cui possiamo imparare dai suoi errori e capire cosa egli abbia dovuto fare per ottenere i suoi risultati: è un po’ come stare “on

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the shoulders of giants”, per usare un’espressione di Isaac Newton. La descrizione di un’esistenza per il biografo, quanto la lettura della biografia stessa per il lettore, costituisce un basilare strumento di autoconoscenza: “Knowing who you are is, for humans, a fundamental aspect of living; and to a considerable extent that knowledge must depend on knowing who others are, and were, too”1.

Tuttavia, Mary Rhiel e David Suchoff spiegano che “in the past few decades biography as a genre has suffered from a lack of legitimacy in the worlds of contemporary critical theory, social historiography, and even highbrow journalism”2. In effetti, la biografia possiede una reputazione quantomeno ambigua: si tratta di un genere di moda tra il pubblico dei lettori ma “still treated with a mixture of suspicion and disdain in many academic circles”3. Oltretutto, manca una manualistica appropriata ed esaustiva sull’argomento:

While universities abound in departments devoted to research and the teaching of subjects as diverse as journalism, hip-hop, women’s studies, sports, and African American studies, to name but a few; the subject of biography – which connects all of them – has no major department devoted to its study at any single university in the world save in Hawaii!4

Negli ultimi anni, mi sono avvicinato a un ramo particolare della biografia: la biografia fittizia. Il libro che mi ha aperto le porte della fictional biography è stato An

Imaginary Life di David Malouf. Questo capolavoro di Malouf, anzitutto, ha risvegliato

in me un forte dubbio: perché distorcere la realtà e perché offrire al lettore una visione manomessa di un personaggio storico invece di attenersi rigorosamente a documentazioni attendibili (seppur limitate nel caso di Ovidio)? Nei primi due capitoli,

1

Nigel Hamilton, Biography: A Brief History, Cambridge, Harvard University Press, 2007, p. 32. 2

Mary Rhiel and David Bruce Suchoff, The Seductions of Biography, New York, Routledge, 1996, p. 1. 3

Michael Benton, Literary Biography: An Introduction, Chichester, Wiley- Blackwell, 2009, p. XVI. 4

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3

perciò, cercherò di delineare le tappe fondamentali della biografia moderna, di descriverne le caratteristiche principali e di far luce su alcune problematiche e cause di discussione con l’obiettivo di capire come un genere che per secoli è stato considerato una branca della storiografia, attaccato ai fatti e quindi affidabile, sia arrivato a una forma tanto distante come la biografia immaginaria.

When I was a medical student some pranksters at an end-of-term dance released into the hall a piglet which had been smeared with grease. It squirmed between legs, evaded capture, squealed a lot. People fell over trying to grasp it, and were made to look ridiculous in the process. The past often seems to behave like that piglet.5

Come intuiamo da queste parole del protagonista di Flaubert’s Parrot (1984) di Julian Barnes, dopo la seconda guerra mondiale, le lezioni dello Strutturalismo e del Post-strutturalismo, e il diverso interesse per la Storia e le storie del Neostoricismo, la nostra percezione della Storia è inevitabilmente cambiata. “La Storia è stata declassata a storia, soggetta, come tutte le narrative, a leggi sintattiche e retoriche prima ancora che alla verità dei fatti”6: la storia, cercata e rincorsa, diventa qualcosa di inafferrabile, come il maialino unto di grasso di Barnes. Questa sfuggevolezza della storia la rende una narrazione tra le tante, al pari dei racconti fittizi: “Si tratta di un movimento duplice che ‘abbassa’ il discorso veridico al livello della fiction mentre ‘innalza’ quello fittizio, facendoli incontrare in un punto mediano che è, in ultima analisi, quello dell’interpretazione.”7

5

Julian Barnes, Flaubert’s Parrot, London, Random House UK, 2009, p.14. 6

Lucia Boldrini, Biografie fittizie e personaggi storici: (Auto)biografia, soggettività, teoria nel romanzo inglese contemporaneo, Pisa, ETS, p. 21.

7

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4

Per i postmoderni, tempo e spazio sono posti come dati di fatto ed elementi a volte da ostentare, a volte da eludere. L’immaginazione, usata talvolta in maniera ludica, diventa uno strumento utile per colmare i vuoti lasciati dalla Storia. Inoltre, alla luce del rifiuto della biografia come mezzo valido per lo studio critico dell’autore, e dopo l’estromissione dell’autore dall’opera con le tesi di Roland Barthes (La mort de

l’Auteur, 1968), la riscrittura immaginaria di biografie di personaggi storici diventa

parodia e, al contempo, reazione a questa estromissione. Comprensibilmente, l’autore non vuole piegarsi a questa esclusione e, quasi per vendicarsi di questo torto subìto, utilizza alcuni stratagemmi: ad esempio, accade spesso che l’autore si intrometta all’interno del romanzo e dialoghi con i protagonisti, creando una dimensione metaletteraria.

L’opera di Peter Ackroyd racchiude tutto questo. Nonostante Ackroyd non si sia mai definito un autore “postmoderno”, e benché sia arduo ordinare le sue biografie nelle due grandi categorie fiction e non-fiction, credo che la sua produzione offra un quadro piuttosto completo del genere biografico della nostra epoca. All’interno del macrotesto ackroydiano possiamo trovare biografie che seguono maggiormente i canoni tradizionali e altre che fanno luce su una visione nuova e moderna di questo genere letterario, ricche di sperimentazioni e punti di vista inusuali. I suoi libri trattano costantemente del rapporto tra vita e scrittura, di biografia e creatività, di realtà e finzione, della personalità dell’autore come individuo e come artista e, tra tutte le sue opere, ho deciso di sceglierne tre: London: The Biography (2000), Dickens (1990) e The

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London: The Biography rappresenta una summa della poetica ackroydiana: non

si riduce, dunque, a una semplice storia della metropoli, ma la città (si parla, appunto, di “biografia”) viene percepita come un vero e proprio organismo vivente, regolato dalle proprie leggi di crescita e sviluppo, e dotato di una sua precisa personalità.

Dickens si presenta come una biografia “vera” dell’autore vittoriano ma, in

definitiva, Ackroyd opta per una singolare rielaborazione adottando uno stile simile a quello di Dickens. Inoltre, l’immaginazione prende il sopravvento dell’autore poiché la continuità biografica viene interrotta da sette fictional interludes, i quali hanno generato un discreto scalpore tra i critici.

Infine, The Last Testament of Oscar Wilde si configura come un brillante esempio di pastiche, in cui non solo il rapporto tra realtà e finzione diventa sempre più inscindibile, ma anche quello tra autobiografia e i generi a essa attinenti. All’interno dell’opera, la maestria di Ackroyd di “travestirsi” e di entrare in simbiosi con il proprio biografato (assumendone la maschera) giunge ai massimi livelli, tanto da essere stato giudicato “more Wildean than Wilde himself.”8

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Breve storia del genere biografico

Le vite degli altri sono state oggetto di studio fin dagli albori della civiltà e hanno da sempre suscitato un notevole interesse. Prima dell’avvento della scrittura, queste esistenze venivano tramandate oralmente grazie a tecniche mnemoniche come l’allitterazione, la ripetizione, la rima e via dicendo.

In che misura le persone ritratte in queste storie siano reali o fittizie sarà sempre oggetto di discussione. Ciò nonostante, è indubbio che questi personaggi rivestissero un’importanza notevole per gli antichi che li hanno resi immortali attraverso infiniti racconti molto diversi tra loro.

Tale impulso commemorativo e interpretativo, che mirava a documentare e rappresentare le vite di persone immaginarie, realistiche o concrete, fece un enorme balzo in avanti con l’invenzione della scrittura: i documenti scritti potevano essere datati e quindi contestabili da un punto di vista storico. Gli scritti biografici e le testimonianze documentarie (incisi nell’argilla, cesellati sulla pietra, dipinti su fogli di papiro oppure scritti con l’inchiostro su fogli di carta) servivano a incoraggiare e a garantire che dati biografici così rilevanti, come ad esempio le date o le gesta dei sovrani, non venissero persi o danneggiati dal tempo.

Le due principali forme “biografiche” del mondo antico erano l’elogio o encomio e il racconto della vita dei santi. L’encomio:

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Era opera di funzionari di corte aventi il compito di celebrare la figura dei potenti, esaltandone con tecniche prossime alla memorialistica le nobili ascendenze familiari e le imprese eroiche, nell’intento di giustificare il ruolo eminente svolto dal protagonista, fermato in un’immagine ideale di una forma di esistenza definita e precisata con la fissità del ritratto.9

Nigel Hamilton, nella sua breve storia della biografia, illustra che, anche se non esisteva ancora un genere biografico come intendiamo oggi, era comunque presente una frattura tra encomio e biografia:

Some Romans wanted to laud and worship ancestors and past figures, the better to establish or reinforce their own identity. Others found that this idealization could not square with their curiosity to know more about the psychology and real life experiences of an unidealized individual, the better to understand their own lives. It was this tension that marked biography from its beginnings – and marks it still, today.10

Le vite dei santi, raccolte sotto il nome di “agiografia”, hanno effettivamente diversi punti in comune con il genere biografico. Nel romanzo Possession, A. S. Byatt si chiede “what are the Gospels but a series of varying attempts at the art of biography?”11 Anche nel Vangelo è quindi racchiusa la venerazione per il biografato e il forte desiderio di riportare le gesta e gli eventi salienti della vita di un uomo. La vita di Gesù Cristo, raccontata da quattro autori alla fine del I secolo, ha marchiato la biografia occidentale con un simbolismo completamente nuovo e, i quattro Vangeli, coi loro nuovi principi cristiani, hanno avuto, nei secoli a venire, un’influenza strabiliante su popolazioni e culture molto diverse tra loro.

Un altro fatto essenziale è che i lettori non erano affascinati soltanto dalla storia di Gesù e dei suoi contemporanei, ma da una miriade di figure religiose, politiche e storiche racchiuse nel Vecchio Testamento, come i profeti Isaia, Geremia,

9

Andrea Battistini, Lo specchio di Dedalo: Autobiografia e biografia, Bologna, il Mulino, 1990, p. 204. 10 Nigel Hamilton, op. cit., p. 32.

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Ezechiele, Amos, Osea e molti altri: col passare dei secoli, vennero infatti aggiunti ulteriori racconti biografici e autobiografici a questa raccolta cristiana. Quindi, “armed with this traveling biographical archive, so to speak, priests, monks, friars, and nuns spread their biblical life stories across the Christian-contested world.”12

Ciò che bisogna però sottolineare è che, come per gli autori di encomi, anche per gli agiografi il biografato costituiva un modello di vita e all’interno del racconto apparivano esclusivamente gli aspetti degni di lode. In particolare, secondo il credo cristiano, il fedele si deve concentrare sulla salvezza personale in questa vita in modo da evitare l’inferno nella successiva e l’esempio di Gesù è il modello da emulare. Il racconto dell’intera vita del protagonista era secondario rispetto ai suoi pensieri e alle sue azioni; la Chiesa, d’altra parte, promuoveva sempre biografie “pure” da un punto di vista etico, talvolta idealizzando i propri soggetti. Le agiografie assunsero quindi il semplice valore di lezioni o di storie esemplari il cui fine era spesso quello di difendere una tesi o di mostrare la retta via. In ogni caso, non è errato affermare che il cristianesimo, in maniera sia positiva che negativa, abbia contribuito ampiamente allo sviluppo del genere biografico.

Durante il Medioevo, la biografia si occupò sempre meno delle vite dei santi e cominciarono ad apparire biografie di altri personaggi storici come re, tiranni e cavalieri (ad esempio la vita di Carlo Magno scritta dal suo cortigiano Einhard). In pratica, la biografia si stava progressivamente affermando come genere letterario a sé stante e pienamente riconosciuto.

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Anche nel Rinascimento, gli storici e gli artisti cominciarono a distogliere la loro attenzione dai ritratti agiografici dei santi e a focalizzarsi su personaggi noti del passato. Ciò avvenne soprattutto perché fino al XIV secolo circa, “l’uomo non aveva valore se non come membro di una famiglia, di un popolo, di un partito, di una corporazione, di una razza o di un’altra qualsiasi collettività”13, ma, con l’avvento del Rinascimento, “l’uomo si trasforma nell’individuo spirituale, e come tale si afferma.”14 Nel mezzo di questa nuova fioritura della civiltà occidentale, l’uomo non solo divenne cosciente della propria singolarità, ma venne pure mosso da una curiosità crescente per gli altri individui. Un altro elemento biografico di questo periodo, come ci spiega Nigel Hamilton, è la “dramatization of real-life stories”15, cioè la messa in scena e la reinterpretazione della vita di individui storici: ciò che era stato fatto per la storia di Gesù, esaurientemente rappresentata già prima del Rinascimento attraverso statue, mosaici, dipinti, crocifissi e arazzi, venne creato, accanto a una documentazione più adeguata, per un gran numero di figure del passato altrettanto degne di essere ricordate. Uno degli esempi più importanti, sotto questo aspetto, è senz’altro William Shakespeare che, seppur non in forma biografica, mise in scena le vite di grandi re e regine.

Molti critici convengono che la biografia moderna sia iniziata all’incirca mezzo secolo dopo la morte di John Aubrey, autore di Brief Lives. Michael Holroyd, nel suo articolo pubblicato su The Guardian nel giugno del 2002, lo definisce “a symbolic figure in modern biography”, e ancora “he was simultaneously behind the times and ahead of

13

Jacob Burckhardt, La civiltà del rinascimento in Italia, Firenze, Sansoni, 1904, p. 144. 14 Ivi.

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them: a time traveller.”16 Ma, come si evince dal titolo, si tratta di “vite brevi”: Aubrey non si sofferma su tutti gli aspetti dei suoi soggetti ed evita commenti generali in favore di dettagli specifici, intimi e spesso scandalosi. In seguito, Holroyd cerca di fissare con più precisione il principio della moderna biografia:

Some [critics] would date it to 1744 when Samuel Johnson's Life of Richard Savage was published; others to Monday, May 16 1763, the day that the 22-year-old James Boswell first met Dr Johnson […] and others would choose 1791, when Boswell's Life of Johnson finally appeared. Whatever date you choose, Boswell and Johnson are recognised as the two father-figures of modern biography. Johnson remarked to Boswell during their tour of the Hebrides that he "did not know any literary man's life in England well-written". This they both changed.17

Doctor Samuel Johnson (1772), oil paint on canvas, by Sir Joshua Reynolds (1723-1792)

16

http://www.guardian.co.uk/books/2002/jun/01/featuresreviews.guardianreview36 (ultimo accesso: 20/04/13).

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Dopo Johnson e Boswell, le biografie diventarono lunghe, sostanziose e dedicate a un singolo personaggio; avevano lo scopo di incorporare i dettagli intimi della vita, affrontando questioni fondamentali come la verificabilità dei fatti, la distinzione tra la vita privata e quella di dominio pubblico, nonché il ruolo del biografo nel dare interpretazioni, opinioni e giudizi personali. Per Johnson era importante liberare la biografia dalle catene dell’encomio e tenere ben separati questi due generi; all’interno di Life of Johnson di Boswell troviamo una citazione dello stesso Johnson a questo proposito:

If a man is to write A Panegyrick, he may keep vices out of sight; but if he professes to write A Life he must represent it really as it was. […] If nothing but the bright side of characters should be shewn, we should sit down in despondency, and think it utterly impossible to imitate them in any thing.18

Johnson è generalmente visto come il padre della biografia letteraria moderna. Per lui, la biografia aveva il compito di permettere al pubblico di immedesimarsi nella vita del soggetto o proiettarsi nel suo mondo. Credeva oltretutto che gli studi storiografici dovessero essere declassati in favore della biografia: “‘Histories of the downfall of kingdoms, and revolutions of empires’ could never, he claimed, provide the same human insight and therapeutic benefit as biography”19 scrive Nigel Hamilton citando un passo di The Rambler di Samuel Johnson. Il legittimo successore di questo gigante della biografia è senz’altro il suo beniamino nonché autore di Life of Johnson: James Boswell.

Their approaches to biography were sharply different. Johnson’s style was to assimilate what information he could find about his subjects, to order it, interpret, and weigh its significance and to produce a series of “Lives” of

18 http://www.samueljohnson.com/biograph.html (ultimo accesso: 24/05/2013). 19 Nigel Hamilton, op. cit., p. 89.

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generally modest proportions. […] Boswell’s view of biography was to let his subject speak for himself by quoting verbatim letters, conversations, stories and words of wit and wisdom, thus creating a “baggy”, loosely formed “Life” of elephantine size.20

Richard Holmes afferma che “the greatest of all early 18th-century biographies is probably Johnson’s Life of Richard Savage (1744).”21 Holmes evidenzia alcuni aspetti somiglianti tra Life of Mr Richard Savage e The History of the Remarkable Life of John Sheppard, scritta da Daniel Defoe (anche il suo soggetto è un criminale). Defoe dimostra come l’autore possa mettere in luce il protagonista della biografia in maniera differente: infatti non ha presentato Sheppard come un misero ladruncolo, ma come un “heroic jail-breaker” e un grande artista dell’evasione pieno di risorse. Defoe decide di presentarne il coraggio, l’umorismo e l’incorreggibile determinazione. L’autore consegnò una copia della sua History a Sheppard, il quale dette la propria approvazione sul patibolo nel novembre 1724; in altre parole, Defoe gli donò un’altra vita sul punto di morte: “it turned Sheppard into a legend, and he became the popular hero of Victorian music-halls, two novels, a Hollywood film, and most recently a television dramatization.”22 Anche nell’opera di Johnson, come in quella di Defoe, troviamo una forte identificazione con il proprio soggetto. Johnson è spesso comprensivo nei confronti del suo biografato e, in alcuni casi, pare addirittura affascinato dallo stile di vita del criminale Savage. In aggiunta, il drammatico finale della biografia è moralmente ambiguo in quanto non sembra esistere una chiara condanna del bandito da parte di Johnson. La forte componente autobiografica è

20 Michael Benton, op. cit., p. 5. 21

Angelo Righetti, The Protean Forms of Life Writing: Auto/biography in English, 1680-2000, Napoli, Liguori, 2008, p. 134.

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sicuramente ciò che maggiormente lega Life of Richard Savage di Johnson e Life of Johnson di Boswell.

Michael Holroyd afferma che “Boswell's Life of Johnson is in some respects a first draft of Boswell's autobiography. Some say that Boswell resurrected Johnson; others that Johnson lies imprisoned in Boswell's book.”23 Boswell ha ottenuto il suo fantasioso ritratto sforzandosi di pensare, di ricordare e persino di essere Samuel Johnson; egli non ha imitato Johnson, ma lo ha ricreato come qualcuno che avrebbe voluto essere. Life of Samuel Johnson è da molti reputata la prima grande biografia moderna. Harold Nicolson afferma:

Boswell invented actuality; he discovered and perfected a biographical formula in which the narrative could be fused with the pictorial, in which the pictorial in its turn could be rendered in a series of photographs so vividly, and above all so rapidly, projected as to convey an impression of continuity, of progression-in a word of life.24

Nigel Hamilton aggiunge che:

What was truly a return to Roman biographies, however, was Boswell’s incorporation of journalistic, gossipy detail and color within his account of Dr. Johnson’s professional life story, designed as it was to balance the somewhat heavy, even tedious and predictably noble character of his hero.25

Johnson credeva che “nobody can write the life of a man but those who have eat and drunk and lived in social intercourse with him.”26 Infatti, Boswell ha avuto il privilegio di conoscere bene il proprio soggetto rispetto ai biografi che lavorano esclusivamente sulla base dei documenti. Vedere il biografato in carne e ossa, sentire

23

http://www.guardian.co.uk/books/2002/jun/01/featuresreviews.guardianreview36 (ultimo accesso: 20/04/13).

24 James L. Clifford, Twentieth century interpretations of Boswell's Life of Johnson : a collection of critical essays, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1970, p. 74.

25 Nigel Hamilton, op. cit., p. 94.

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la sua voce e vederlo gesticolare sono tutti elementi che permettono all’autore di conservare una vivida immagine del proprio soggetto e ciò è senza dubbio un privilegio che neppure le registrazioni o i video della nostra epoca potrebbero sostituire. Boswell scrisse la sua biografia appoggiandosi a testimonianze e documenti raccolti in un ampio arco di tempo e alle reminiscenze nate dall’osservazione ravvicinata del suo soggetto. Ha dimostrato di poter rimanere sia dietro le quinte che all’interno del discorso, invadente ma non in maniera smisurata, onnipresente sia come amico che come biografo.

Leon Edel dice che “the greatest biographies in our literature have been those which were written by men who knew their subjects”27 ma aggiunge altresì che i biografi che non hanno conosciuto il proprio soggetto possiedono un vantaggio in qualche modo antitetico: “[the benefit] of greater objectivity gained from wider perspective.”28 Da una parte, i biografi che hanno vissuto a contatto con il biografato cominciano con una determinata concezione di quest’ultimo ed è possibile che i documenti vengano adattati a questa immagine; dall’altra, il secondo tipo di biografo passa la maggior parte del suo tempo sui documenti, cercando di ricreare nella sua mente quell’immagine che possedevano soltanto i contemporanei del biografato. Leon Edel conclude il passo sopra citato con queste parole:

Not having the testimony of his own eyes, he [the biographer] finds he must use the testimony of others; and then he discovers that the testimony is often contradictory and invariably coloured by individual points of view. But again, precisely this awareness of contradictions may give the distant biographer a marked advantage in his search for the truest picture.29

27

Leon Edel, Literary Biography, Bloomington, Indiana University Press, 1973, p. 24. 28 Ivi.

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Johnson, quindi, aveva teorizzato che le uniche biografie degne di essere scritte erano quelle di autori i quali avevano per lungo tempo mangiato e bevuto con il loro soggetto (adeguatamente rappresentabile solo dopo un’assidua frequentazione). Di qui allora nasce l’importanza data alle piccole avventure casalinghe, agli episodi insignificanti di cui è composta la vita del mondo borghese, sviluppati in chiave sempre più intimista e patetica nel secolo del Romanticismo. “Il paradigma romantico ricostruisce l’interiorità dell’uomo di là dalle apparenze di superficie, sacrificando l’unità alla verità, il vettore teoretico che svela anche le ombre inconfessate, portate alla luce non più da un agiografo ma da un osservatore imparziale.”30 Durante il periodo romantico, tuttavia, più che di biografia si parla della rivelazione di una vita vissuta in termini autobiografici. Difatti, una moda per le lettere e per i diari travolse l’Europa. L’autoriflessione non era considerata narcisistica, bensì veniva difesa come un metodo per automigliorarsi. Per questo motivo, le autobiografie proliferarono grazie alle condizioni più laiche e liberali dell’epoca e culminarono con le memorie di un filosofo svizzero, sul modello della celebre confessione di Sant’Agostino a Dio, ma senza il beneficio della divinità: si tratta de Les Confessions di Jean-Jacques Rousseau, pubblicate tre anni dopo la sua morte, nel 1781. In un periodo in cui la figura dell’editore s’interpone tra l’opera e l’autore, con un proposito educativo che spesso risponde anche alle leggi pubblicitarie utili a incrementare le vendite librarie, “Rousseau si fa avanti per ricusare ogni tipo di delega biografica negata per la consapevolezza che ‘nul ne peut écrire la vie d’un homme que lui-même’”31. In termini laici, questo dialogo autobiografico diventa una comunicazione diretta non più tra

30 Andrea Battistini, op. cit., p. 203. 31 Ibidem, p. 205.

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uomo e Dio ma tra autore e lettore, che però comincia ad essere ostacolata dal decoro: ciò che è permesso a un individuo di rivelare di sé, considerati i costumi e i tabù dell’epoca. Sebbene l’autobiografia possegga delle parentele concettuali con la biografia, la sua evoluzione si discosta comunque da quella del genere biografico e, purtroppo, non è possibile affrontare in questa sede la storia di questo tipo di composizione letteraria.

Con la fine del Romanticismo, la rappresentazione di vite reali è regredita inesorabilmente verso il ritratto di persone onorevoli e di valore. Nel periodo vittoriano i principi johnsoniani non vennero rispettati e non fu più permessa la descrizione integrale della vita di una persona: al primo posto venne messa la buona reputazione, protetta da un altro valore sacrosanto dell’epoca, vale a dire la privacy: “Suppression of unpalatable facts and of anything injurious to reputation – especially sexual episodes – went hand in hand with a rhetoric of evasion and obfuscation: the new hagiography, as Harold Nicolson later called it.”32 Il pubblico vittoriano, controllato dai ceti più alti in termini di decenza e moralità, esigeva biografie di persone perbene e, per di più, ogni riferimento al sesso era intollerabile. Di conseguenza, è stato compito dei romanzieri scrivere delle opere fittizie ma in grado di offrire ai lettori un’immagine più vivida della società rispetto agli storici e ai biografi vittoriani, che si trovarono di fronte a delle barriere difficili da oltrepassare.

With reputation the sine qua non of middle-class citizenship, the responsibility for portraying “vice and virtue” now came to rest upon the shoulders of

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Victorian fiction writers – authors who licensed themselves, in realistic works, to depict alarmingly real yet imaginary lives.33

Gli storici nutrono tuttavia molta gratitudine verso i vittoriani perché, anche se hanno ripulito i loro biografati da ogni macchia, hanno descritto questi personaggi in maniera estremamente dettagliata e hanno lasciato un’ampia documentazione che ha permesso di ripercorrere perfettamente le loro vite. Per di più, non bisogna dimenticare che l’epoca vittoriana ha dato persino vita alla nuova professione del biografo, vale a dire una persona in grado di ricreare, per denaro, la storia di una vita proprio come dei ritratti su commissione.

Anche Lytton Strachey, che ha avuto molto da rimproverare all’epoca vittoriana, nella prefazione a Eminent Victorians scrive:

The studies in this book are indebted, in more ways than one, to such works [Victorian biographies] – works which certainly deserve the name of Standard Biographies. For they have provided me not only with much indispensable information, but with something even more precious – an example.34

L’Ottocento ha visto la graduale ma vigorosa affermazione della classe borghese sull’aristocrazia, accompagnata da una straordinaria rivoluzione scientifica e industriale. Il movimento positivista risale esattamente alla prima metà dell’Ottocento e i suoi principi, ad esempio la supremazia della ragione, sono stati assimilati dalla borghesia diventando i nuovi valori dell’epoca vittoriana. Il Positivismo poneva tra i suoi obiettivi quello di portare ordine, tramite il metodo scientifico applicato in ogni campo delle conoscenze umane, per una riorganizzazione globale della società. Questo approccio scientifico ha avuto un grande impatto sulla letteratura e di conseguenza sul genere biografico: effettivamente, nel corso di questo secolo, la biografia perde gran

33 Ibidem, p. 116.

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parte del suo lato artistico e in molti casi è ridotta a una mera attività meccanica o a un filone della scienza. Il recupero delle informazioni diventa un elemento fondamentale, come del resto la concisione e l’imparzialità.

David Novarr asserisce che il 1882 è un anno importantissimo, non solo perché furono pubblicati i primi due volumi di Life of Carlyle di James Anthony Froude e nacque Adeline Virginia Stephen (Woolf), ma soprattutto perché apparve un articolo di Leslie Stephen il quale annunciava la pubblicazione prossima di una nuova “Biographia Britannica”. Si tratta del Dictionary of National Biography (1885) dello stesso Leslie Stephen e del suo assistente Sydney Lee: un’opera mastodontica in 63 volumi (pubblicati tra il 1885 e il 1900), contenente 29.120 articoli e 653 collaboratori. La forte volontà di organizzazione scientifica e di raccolta del maggior numero di dati e documenti possibili diede vita a un’opera figlia dell’illuminismo come il dizionario, capace di racchiudere la storia della biografia in un ordine logico. David Novarr riporta ciò che Leslie Stephen scrisse nell’Athenaeum del 23 dicembre 1882:

He [L. Stephen] wanted “the greatest possible amount of information in a thoroughly business-like form”; he wanted abundant and precise dates and facts; he wanted clear reference to primary sources. “Elaborate analysis of character or exposition of critical theories is irrelevant […]” A writer in a dictionary, he said, must be “historical, not controversial or discursive […] he must put, what he has to say in a pithy and condensed form; he must, as a rule, say nothing which would be equally appropriate under several other names; and, in short, he must be strictly biographical.”35

Nelle parole di Stephen riscontriamo facilmente quella scientificità tipica dell’Ottocento, caratterizzata da una quantità esorbitante di dati, da una catalogazione sistematica di questi ultimi, da storicità e concisione. Non dobbiamo dimenticare, però,

35 David Novarr, The Lines of Life: Theories of Biography, 1880-1970, West Lafayette (Indiana), Purdue University Press, 1986, p. 1.

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che il XIX secolo stava per giungere al termine e che il secolo successivo avrebbe portato dei grandi cambiamenti che avrebbero inevitabilmente influenzato il genere biografico.

Da un lato, Stephen credeva che all’interno della biografia non ci fosse spazio per troppi orpelli stilistici, ritenuti un elemento ornamentale e superfluo; dall’altro, riconosceva l’importanza di uno stile letterario capace di veicolare in modo appropriato il dato biografico:

Style, and even high literary ability, is required for lucid and condensed narrative, and of such style I shall be anxious to get as much as I can. A biography written with a single eye to giving all the information presumably desirable by an intelligent reader may be not only useful, but intensely interesting, and even a model of literary art.36

Perciò, Stephen non voleva che la biografia fosse esclusivamente “scientifica”, ma che contenesse pure, seppur in misura limitata, una componente artistica. La riflessione di Stephen non è affatto banale poiché nel XX secolo verrà affrontato un lungo e complesso dibattito inerente all’antagonismo tra biografia intesa come scienza e biografia intesa come forma artistica. Tra i biografi, esisteva una convinzione sempre più condivisa per cui la biografia non doveva essere vista come un ammasso di materiale sterile, seppur catalogato in maniera eccellente, o come la semplice raccolta di memorie, di lettere e diari, bensì qualcosa di più. Tutta la documentazione reperita doveva essere rielaborata dalla mente abile e competente di un artista e presentata al pubblico in una forma completa e armonica: una composizione artistica e non un vuoto accumulo di dati.

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Michael Benton, e come lui tanti altri, è convinto che la storia moderna della biografia letteraria abbia visto tre fasi di sviluppo straordinarie: fu inventata circa a metà del Settecento da Samuel Johnson e da James Boswell, reinventata da Lytton Strachey e da Virginia Woolf all’inizio del XX secolo, e oggigiorno stiamo vivendo in un periodo in cui il genere viene rielaborato fino ad assumere una varietà di forme sempre diverse. In effetti, quando parliamo di “arte della biografia”, pensiamo inevitabilmente a Lytton Strachey. La prefazione a Eminent Victorians è da sempre considerata una sorta di manifesto rivoluzionario della “new biography” esattamente come la prefazione delle Lyrical Ballads di Wordsworth lo è stato per la poesia romantica.

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Una delle nuove caratteristiche che emergono dalla prefazione di Eminent Victorians è sicuramente quella della brevità. Nell’epoca vittoriana erano particolarmente accreditate le biografie narrative in più volumi, mentre quelle di tipo analitico apparivano in netta minoranza, fino a che, nel 1885, Leslie Stephen con il suo Dictionary of National Biography fece appello al fascino delle “vite brevi”, che avrebbero raggiunto l’apice della fama proprio con Eminent Victorians. Le Parallel Lives di Plutarco figurano tra i modelli di queste biografie, caratterizzate dallo spostamento dell’interesse dalla cronologia al personaggio, interesse che si manifestò con l’inserimento di particolari significativi della personalità e di aneddoti. Per la prima volta, si sentì con urgenza il bisogno di verificare se la biografia breve potesse rivelarsi tanto accurata e veritiera quanto quella più corposa, e se fosse possibile conciliare l’interpretazione e lo sforzo artistico con il vecchio tipo di scrittura storico-documentaristica. La testimonianza di Plutarco contribuì a formare la consapevolezza del ruolo del biografo, suggerendo quanto scrivere la vita di un altro conduca inevitabilmente l’autore alla scoperta di se stesso:

It was for the sake of others that I first commenced writing biographies, but I find myself proceeding and attaching myself to it for my own, the virtues of these great men service me as a sort of looking-glass, in which I may see how to adjust and adorn my own life.37

Le tecniche adottate da Plutarco, come il ricorso ad aneddoti, citazioni e topoi strutturali, insieme all’enfasi da lui posta sulla selezione, ebbero un grande impatto sulle modalità compositive delle biografie del XIX secolo e cooperarono all’affermarsi di uno stile che avrebbe preparato il terreno ai successivi cambiamenti introdotti da Lytton Strachey. Quest’ultimo è considerato il fondatore della biografia letteraria

37 http://www.bostonleadershipbuilders.com/plutarch/aemiliuspaulus.htm (ultimo accesso: 20/04/2013).

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moderna, poiché il dibattito che egli accese coi propri lavori e i relativi traguardi da lui raggiunti, sancirono un rovesciamento delle priorità dei biografi nel XX secolo. Infatti, fino a quel momento, non si era guardato alla biografia come ad una forma artistica vera e propria. Lytton Strachey fu il primo a parlare apertamente di questo tipo di composizione in termini estetici oltre che storici e filosofici, definendola “the most delicate and humane of all the branches of the art of writing.”38 A questo proposito, Leon Edel ha aggiunto:

Delicate, I suppose, because the biographer seeks to restore the very sense of life to the inert materials that survive an individual’s passage on this earth-seeks to recapture some part of what was once tissue and brain, and above all feeling, and to shape a likeness of the vanished figure. Humane, because inevitably the biographical process is a refining, a civilizing – a humanizing – process. And because it is a delicate and humane process, it partakes of all the ambiguities and contradictions of life itself. A biography is a record, in words, of something that is as mercurial and as flowing, as compact temperament and emotion, as the human spirit itself.39

Nella recensione di Grandezza e decadenza di Roma (1901-1907) di Guglielmo Ferrero che Strachey scrisse per The Spectator il 2 gennaio 1909 troviamo: “the first duty of a great historian is to be an artist” e che “the function of art in history is something more profound than mere decoration” […] “Uninterpreted truth is as useless as buried gold; and art is the great interpreter.”40

Ritornando al tema della concisione, nella prefazione a Eminent Victorians ci imbattiamo in un altro interessante passaggio:

Those two fat volumes, with which it is our custom to commemorate the dead – who does not know them – with their ill-digested masses of material, their slipshod style, their tone of tedious panegyric, their lamentable lack of

38

Lytton Strachey, op. cit., p. 20. 39 Leon Edel, op. cit., p. 1.

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selection, of detachment, of design? They are as familiar as the cortège of the undertaker, and wear the same air of slow, funereal barbarism. […]The studies in this book are indebted, in more ways than one, to such works—works which certainly deserve the name of Standard Biographies. For they have provided me not only with much indispensable information, but with something even more precious—an example. […] To preserve, for instance, a becoming brevity – a brevity which excludes everything that is redundant and nothing that is significant – that, surely, is the first duty of the biographer. The second, no less surely, is to maintain his own freedom of spirit. It is not his business to be complimentary, it is his business to lay bare the facts of the case as he understands them.41

Il principio rivoluzionario proposto da Strachey era quindi la brevità, che non doveva però equivalere a “semplificazione” e, soprattutto, non doveva distogliere il biografo dal proprio compito principale: comunicare al lettore il quadro della personalità del soggetto. Tuttavia, nel XX secolo, biografi come Lytton Strachey e André Maurois non modificarono soltanto il volume delle biografie ma, soprattutto, cambiarono il punto di vista del biografo e la relazione che egli aveva con il suo soggetto.

Figlia del grande biografo Leslie Stephen, Virginia Woolf ha dato un grande contributo al genere biografico. La biografia ha pervaso ogni sua opera, in maniera trasversale come ad esempio in To the Lighthouse, in modo scherzoso in Orlando e Flush, e direttamente nella sua Life of Roger Fry. Le questioni che hanno preoccupato la Woolf sono di fondamentale importanza per il genere biografico, vale a dire la relazione tra fiction e non fiction, documentario e invenzione, la verità che si attiene ai fatti e la verità artistica. Inoltre, il tempo, la memoria e l’identità sono concetti che si muovono lungo il confine tra life-writing e fiction-writing nelle opere di Virginia Woolf.

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Un concetto basilare nel pensiero della scrittrice britannica è l’impossibilità di fondere le diverse prospettive che abbiamo di un’altra persona in un’unica visione completa: “a biography is considered complete if it merely accounts for six or seven selves, whereas a person may well have as many thousand”42. Oppure, nell’articolo di Yvonne Bezrucka leggiamo:

Virginia Woolf is fully aware that she cannot capture the whole of the man in her representational net and complies with limitations by selecting meaningful and differential portrayals seen as they are by different people and matches them like tesserae in a mosaic. This method signals her consciousness of the relativity of each and every pair of eyes she relies on that record only whatever one’s culture and personality will let one see.43

La citazione che segue, scritta dalla Woolf nel 1939 in The Art of Biography, è di una straordinaria attualità e offre una possibile spiegazione riguardo al problema dell’identità: “since we live in an age when a thousand cameras are pointed, by newspapers, letters, and diaries, at every character from every angle, he must be prepared to admit contradictory versions of the same face.”44 Prendiamo ad esempio uno dei romanzi più famosi della Woolf, Orlando: una biografia immaginaria, a tratti parodica, che si articola in quattro secoli. “Orlando is a playful tour de force in which Woolf has fun toying with the implications of, if not the answers to, her own questions”45 dichiara Michael Benton. Leon Edel descrive quest’opera come “a fantasy in the form of a biography”, aggiungendo che non è “neither a literary joke nor entirely a novel: it belongs to another genre. It is a fable – a fable for biographers.”46 In Interpretive Biography di Norman K. Denzin troviamo un riassunto di alcuni concetti

42

Virginia Woolf, Orlando: a Biography, Harmondsworth, Penguin Books, 1942, p. 167. 43

Angelo Righetti, op. cit., p. 223.

44 Virginia Woolf, The Death of the Moth, and Other Essays, Harmondsworth, Penguin Books, 1961, p. 121.

45 Michael Benton, op. cit., p. 14.

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fondamentali del pensiero di Jacques Derrida i quali possono essere applicati al romanzo della Woolf:

No reading or writing of a life is ever complete or final. We must prevent words like autobiography, biography, and biographical method from assuming a force which gives a presence to a centred-life that it cannot have. That is, these words have the potential of creating unwarranted meanings in the mind of the reader (and the writer) concerning a project which can never fulfill the aims contained in the words autobiography and biography. After all, there can only be multiple versions of a biography or autobiography.47

Michael Benton, in linea con le idee di Derrida appena evidenziate, scrive:

Orlando is the prophet of deconstruction. In expressing his/her multiple selves, while living a variety of lives, in a succession of historical periods, Orlando somehow maintains a recognizable identity, diverse in make up, changeable in outward appearances, yet coherent as a personality – a character who stands for both the lure and the impossibility of biography.48

Un altro punto nodale della riflessione di Virginia Woolf è la combinazione tra immaginazione artistica e documentazione basata su fatti reali, la quale è rappresentata in maniera efficace dalla sua famosa metafora: il granito e l’arcobaleno. Nel suo saggio The New Biography (1927), la scrittrice descrive lo scopo del biografo come saldare insieme la “granite-like solidity” della verità con la “rainbow-like intangibility” della personalità in un “seamless whole”. Virginia Woolf, dopo aver scelto di proposito immagini tanto distanti, conclude che la biografia è un genere pieno di difficoltà proprio perché deve celebrare il matrimonio duraturo di due mondi incommensurabili come realtà e sogno.

Though Mrs. Woolf suggests that the inner life is reconstructed from “countless documents,” she feels that the biographer of the inner life is not working in the same realm of fact as the biographer who describes a subject's actions. So convinced is she that the proper representation of the inner life is essentially

47 Norman K. Denzin, Interpretive Biography, London, Sage, 1989, pp. 46-47. 48 Michael Benton, op. cit., p. 17.

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work for a novelist that at one point she calls this kind of life “the fictitious life.”49

Questa vita interiore non possiede la solidità e la concretezza della vita che viene espressa in azioni. Effettivamente, la Woolf ne mette in rilievo l’impalpabilità e, facendo questo, vuole suggerire innanzitutto quanto sia difficoltoso per uno scrittore riuscire a cogliere la vita. Sempre a questo proposito, David Novarr commenta: “But when she [V. Woolf] pits truth against personality, granite against rainbow, she seems to say that rainbow is not based on fact, that it is not true. And when she equates rainbow with ‘dream’ and granite with ‘reality,’ she perilously close to say that inner life is not ‘real.’”50

Virginia Woolf è pienamente consapevole che fact e fiction non riescono a mescolarsi poiché i fatti inventati, secondo lei, distruggono la biografia e la sua etica. Questo è il motivo per cui ella non inventa fatti, ma fa affidamento sulla descrizione di “momenti significativi”, “moments of being”, epifanie moderniste, per contrastare la casualità della vita reale. La conclusione di questa riflessione è ben spiegata dalla seguente citazione della Woolf: “The life which is increasingly real to us is the fictitious life; it dwells in the personality rather than in the act. Each of us is more Hamlet, Prince of Denmark, than he is John Smith of the Corn Exchange.”51 Quindi la Woolf non riuscì a prevedere un futuro in cui le real-life stories avrebbero dato vita a una nuova mescolanza tra realtà e finzione: “she warned against mixing ‘the truth of real life and the truth of fiction,’ a conflation that would mean ‘they destroy each other […] Let it

49

David Novarr, op. cit., p. 55. 50 Ivi.

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be fact, one feels, or let it be fiction; the imagination will not serve two masters, simultaneously.’”52

Lytton Strachey e Virginia Woolf si accorsero correttamente della difficoltà a cui si andava in contro nel pubblicare una biografia: il problema di rivelare, negli anni ‘20 e ’30, la vita reale e privata del biografato. Mentre Adolf Hitler era libero di documentare la storia della sua vita e le più terribili teorie razziste nel Mein Kampf, ritrarre dettagliatamente e in modo onesto i problemi della personalità (come ad esempio la sessualità e l’identità) rimase a lungo vietato in gran parte dei paesi occidentali.

Tuttavia, il genere biografico stava a poco a poco emergendo dalle tenebre dell’epoca vittoriana. All’interno della società si fece sempre più luce su aspetti fino ad allora tabù come il sesso, anche grazie agli studi psicoanalitici di Freud che peraltro, in una lettera privata a Carl Gustave Jung, disse: “the domain of biography, too, must become ours.” Nel ventesimo secolo la biografia ha, effettivamente, risposto a cambiamenti epocali, diventando più intimistica, incentrandosi sulla soggettività del biografato, concepito più come un individuo che come un cittadino o un’epitome della collettività. Oltretutto, vi è stato uno spostamento verso la sfera psicologica della soggettività. Il biografo-interprete diviene oggetto di analisi e questa estensione dell’indagine trova origine nelle esplorazioni della psiche condotte da Sigmund Freud, le quali hanno contribuito a focalizzare l’interesse sul mistero della personalità, sui meccanismi del pensiero e della percezione.

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La nascita del cinema ha avuto un notevole peso sulla biografia moderna e, come ben sappiamo, i regimi totalitari del primo Novecento sfruttarono molto le potenzialità della biografia cinematografica per la manipolazione politica delle masse. Le biografie scritte o filmiche furono utilizzate in maniera considerevole per magnificare le figure dittatoriali dell’epoca e corroborare la loro arma forse più potente, la propaganda. Dopo le grandi guerre mondiali, infatti, la biografia cercò di evitare al proprio interno non tanto aspetti scabrosi come il vizio, il sesso e la violenza, quanto gli ideali e le teorie politiche che rischiavano di far cadere di nuovo questo genere nell’abisso dell’agiografa e dell’encomio. Nel dopoguerra, lo sguardo si rivolse verso quelle minoranze che erano state fino ad allora emarginate e oppresse come le donne, i neri, gli omosessuali, i colonizzati e così via: stava emergendo, pertanto, il bisogno di conoscere e far parlare quelle persone che fino ad allora avevano taciuto. “It was a veritable second Renaissance – a passionate, irrepressible fascination with individuality and individuals that could not be stopped, however much academics sniffed at the genre.”53

Se da un lato, il genere biografico ha vissuto un momento di rinascita nella seconda metà del Novecento, dall’altro ha dovuto sopportare un periodo di crisi della personalità umana dovuta a movimenti come il decostruzionismo e il post-strutturalismo. Infatti, decostruita e ridicolizzata in quanto incredibile menzogna del discorso, l’identità umana è stata criticata ferocemente, la biografia (come l’autobiografia) considerata solamente un’utopia e il biografo definito un impostore. In

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particolare, la domanda posta dal post-strutturalismo al postmodernismo è stata: se l’identità e la personalità non esistono più e sono state decostruite, com’è possibile scrivere una biografia o un’autobiografia?

If poststructuralism bequeaths to biography the question of the split subject, postmodernism acts out that ambivalent bequest, testing and transgressing the borderline between “fiction” and “reality”, or “fiction” and “nonfiction” in novels, films, and popular culture.54

Pertanto, in un’epoca in cui la verità sembra non esistere e una comprensione della complessità del reale risulta impossibile, la biografia cerca di evadere dando voce a una molteplicità di punti di vista e riducendo la linea di separazione che si trova tra realtà e finzione.

Ciò nonostante, la biografia e l’autobiografia hanno continuato a evolversi e la loro popolarità come genere letterario non è mai tramontata; attualmente, anche per via delle tecnologie moderne, esistono altre tipologie di questo genere come ad esempio il film biografico e il blog. Facebook, uno dei social network più utilizzati sul pianeta, è strutturato sotto forma di diario: sulla pagina di ogni utente si trova la data di nascita, gli eventi più importanti della vita di una persona (la laurea, il matrimonio, la nascita di un figlio e così via), opinioni personali e la condivisione di video e immagini accompagnati da data e ora di pubblicazione. La pagina di un utente di Facebook è quindi un diario a tutti gli effetti ma:

While diaries are monological – or, better, a feigned dialogical communication of the author with him/herself – blogs are interactive; blog readers can add comments to each entry, possibly generating a response by the blog author in

(32)

his/her next entry. This peculiar feature of blogs can find a parallel with letter rather than diary writing.55

Arguably, the diary’s main function of exploring one’s own inner self loses its supremacy in blogs, in favor of a need for communication and affirmation of one’s individual existence by giving it a kind of public evidence and foregrounding its relevance.56

Un altro aspetto che si è rafforzato nel nostro secolo è il culto delle celebrità. I blog di persone famose, spesso di carattere diaristico, sono visualizzati continuamente da migliaia di utenti ogni giorno, a dimostrazione che si è sviluppata una crescente curiosità (talvolta morbosa) nei confronti dei vip: “celebrity adoration, in fact, became a new – and, to some, troubling – aspect of modern biography, spawning myriad tabloid journals, memorabilia, and biographical artefacts.”57

Senza ombra di dubbio, la biografia è un genere letterario unico e immortale capace di offrire un esempio di tipo antropologico e psicologico della natura umana. Mentre alcuni generi letterari, come la poesia, stanno affrontando un periodo di crisi notevole, la biografia rimane un genere popolare e ampiamente letto.

Oltretutto, la biografia non può essere sostituita né dal romanzo storico né dal racconto di personaggi inventati ma vicinissimi alla realtà. L’uomo moderno, governato dalla ragione e abituato a distinguere in maniera netta la realtà dalla finzione, è inevitabilmente attratto dalla vita di figure storiche o di persone famose veramente esistite: il fascino di una vita fittizia, seppur realistica, non sarà mai equiparabile a quello di una vita realmente vissuta.

55

Angelo Righetti, op. cit., p. 254. 56 Ibidem, p. 265.

(33)

31

Aspetti risolti e irrisolti

La definizione di biografia che troviamo su un qualsiasi dizionario italiano è all’incirca questa: dal greco tardo βίος “vita” e -γραφία “-grafia”, si tratta del racconto su basi documentarie della vita di una persona (per lo più illustre, o che comunque sia ritenuta dall’autore meritevole di essere conosciuta). Questa spiegazione, però, come molte altre, non è affatto esaustiva né totalmente chiara, poiché non fa luce sugli aspetti insoluti di questa forma letteraria. Ad esempio, una delle prime questioni che si pongono è: la biografia è un genere letterario oppure si tratta di un ramo della scienza o della storiografia? Nella loro Theory of Literature, Wellek e Warren non menzionano la biografia nella sezione Literary Genres ma, nel capitolo Literature and Biography leggiamo che la biografia “is an ancient literary genre.”58 Subito dopo, comunque, i due critici letterari sembrano trattare la biografia in modo differente:

First of all – chronologically and logically – it [biography] is a part of historiography. […] So viewed, the problems of a biographer are simply those of a historian. He has to interpret his documents, letters, accounts by eye-witnesses, reminiscences, autobiographical statements, and to decide questions of genuineness, trustworthiness of witnesses, and the like. In the actual writing of biography he encounters problems of chronological presentation, of selection, of discretion or frankness. The rather extensive work which has been done on biography as a genre deals with such questions, questions in no way specifically literary.59

58

René Wellek and Austin Warren, Theory of Literature, New York, Harcourt, Brace and Company, 1949, p. 67.

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32

Secondo Wellek e Warren, in definitiva, non è possibile considerare pienamente la biografia come un genere letterario ma, piuttosto, come una parte della storiografia.

La definizione che dà Leon Edel è interessante, in quanto mette in luce la natura volubile e intricata della biografia: “A biography is a record, in words, of something that is mercurial and as flowing, as compact of temperament and emotion, as the human spirit itself.”60 La difficoltà del biografo sta proprio nel fatto che deve cercare di descrivere in maniera ordinata e logica questo “elusive flamelike human spirit which delights in defying order and neatness and logic.”61

La biografia moderna e il romanzo vennero alla luce pressoché nello stesso periodo. Tuttavia nel Novecento, mentre c’è stata una definizione rigorosa della “art of fiction”, è mancata una descrizione appropriata del genere biografico. In Literary Biography, troviamo una citazione di D. J. Taylor, autore della biografia Orwell: The Life, che su The Guardian (8 novembre 2002) scrive: “there is hardly such a thing as a theory of biography, merely an acknowledgement that each age tends to explore the form in a manner consistent with its preoccupations.”62 David Novarr, nella prefazione a Lines of Life (1986), dichiara:

It was a struggle […] to put together a bibliography of the theory and criticism of biography. I looked in vain for a systematic study that would give me easy access to the field, and I wrote my chapter without any certainty that I had covered all the main topics.63

60 Leon Edel, op. cit., p. 1. 61

Ivi. 62

Michael Benton, op. cit., p. 3. 63 David Novarr, op. cit., pp. IX-X.

(35)

33

In sostanza, la biografia appare come un luogo non ben definito all’interno del regno della scrittura: tende ad essere un tema discusso esclusivamente dagli esperti in materia e, molto spesso, viene dato per scontato. La foschia che circonda il genere biografico è molto densa ed è chiara, quindi, la necessità di sviluppare una teoria precisa di questo genere letterario. Ciò nonostante, David Novarr asserisce che:

Despite the neglect of biography by the critics who at mid-century professed interest in all literature; despite, too, the frequent complaint that biographical theory and the critical study of biography have been neglected, biography has been subjected to a great deal of attention in the last century.64

Uno degli aspetti più interessanti della biografia è il motivo per cui lo scrittore elegge il proprio soggetto e il rapporto che intercorre tra i due. Senza dubbio, esiste un sentimento di grande ammirazione del biografo nei confronti del biografato oppure una sorta di biographical love che può persino risultare, secondo Francis Wilson, “obsessive, possessive, irrational and perverse.”65 Nella maggior parte dei casi, la stima e l’ammirazione sono i sentimenti che determinano la scelta del biografato da parte dell’autore di biografie, il quale molto spesso tende a idealizzare il proprio soggetto disumanizzandolo e, addirittura, divinizzandolo. Sigmund Freud, all’interno del suo saggio su Leonardo Vinci, cerca di individuare i motivi psicologici che determinano la selezione del biografato sostenendo che:

Biographers are fixed on their heroes in quite a peculiar manner. Frequently they take the hero as the object of study because, for reasons of their personal emotional life, they bear him a special affection from the very outset. They then devote themselves to a work of idealization which strives to enroll the great men among their infantile models, and to revive through him, as it were, the infantile conception of the father. For the sake of this wish they wipe out the individual features in his physiognomy, they rub out the traces of his life's

64

Ibidem, p. XIII.

(36)

34

struggle with inner and outer resistances, and do not tolerate in him anything of human weakness or imperfection.66

Gli studi psicologici di Freud hanno fornito ai biografi una visione nuova e profonda della natura umana ma esiste una differenza non di poco conto tra la psicoanalisi e la biografia:

What a difference there is between having such inert data on a desk and having the subject in front of you in a chair or on a couch! A biographer can never, in reality, psychoanalyze his documents; and yet he is concerned with the same kinds of symbols as the psychoanalyst.67

L’interpretazione psicologica di Freud offre, comunque, una spiegazione sul perché l’autore di biografie si concentri soltanto sulle qualità del biografato e oscuri tutti i difetti e le vicende scabrose.

Attualmente, prevale una visione johnsoniana della biografia: è meglio raccontare la vita di una persona per com’era veramente illuminando tutti gli aspetti della sua vita piuttosto che limitarsi ai tratti positivi come accadeva nel panegirico. Ovviamente questo approccio ha dei rischi: alcuni aspetti riprovevoli potrebbero far cambiare opinione al pubblico dei lettori su un determinato soggetto. La domanda che si pone Richard J. Powell è infatti questa:

Does Quincy Troupe’s collaborative auto/biography of/with the late Miles Davis, replete with scenes of violence and abuse towards women, help listeners to better understand such musical masterpieces as Kind of Blue and Bitches’ Brew?

La risposta di Powell è affermativa. Una biografia di questo tipo ci aiuta a capire meglio le produzioni creative dell’artista “but only insofar as the writers of biography

66

Sigmund Freud, Leonardo da Vinci: A Psychosexual Study of an Infantile Reminiscence, New York, Moffat, Yard & Company, 1916, pp. 115-116.

(37)

35

are able to situate the lives of their subjects within the modes and measures of each artist’s creative templates”68 e “insofar as the readers will allow themselves to embrace the whole of an artist’s life and work.”69 Solo con questi presupposti, scrittori e lettori potranno evitare di rimanere storditi dal potere della biografia.

Il tempo è un altro aspetto fondamentale del genere biografico dal momento che scrivere la vita di un personaggio del passato equivale, in qualche modo, a ricostruire la storia della nostra cultura e della nostra civiltà.

It has been said that what distinguishes man from beast above all is his historic sense, his capacity for remembering rather than living wholly in the present, in other words, his deep sense of life as a continuum, no matter at what moment he happens to have arrived on this earth.70

È generalmente condiviso che una biografia debba procedere in ordine cronologico. Ciò nonostante, certi scrittori come Rosemarie Bodenheimer sostengono che questa successione temporale degli eventi, in una certa misura, limiti la narrazione: “chronology is the great limitation of biography, at once the spinal column that holds the story together and the straitjacket that prevents its freedom of motion.”71 Persino Leon Edel, criticato da alcuni suoi colleghi per le sue posizioni a sfavore di una “rigid chronology in literary biography”72, ha dovuto riconoscere amaramente che “in our craft, we cannot allow ourselves the Proustian pleasure of

68

Mary Rhiel and David Bruce Suchoff, op. cit., p. 95. 69 Ivi.

70

Leon Edel, op. cit., p. 153. 71

Rosemarie Bodenheimer, Knowing Dickens, New York, Cornell University Press, 2007, p. 15. 72 Leon Edel, op. cit., p. XVI.

(38)

36

flitting backward and forward in time.”73 Edel dice di essere pienamente d’accordo con uno sviluppo di tipo cronologico e lineare ma, oltre a ciò, afferma:

I see no reason why biographers should not move easily through time, and anticipate and tell the story in the very best way they can, forward and backward as Proust moved among his memories and associations. By doing this, as I shown in my last discourse, we make a person seem more alive, less an individual living his life solely by the calendar and the clock.74

Il tema del tempo è stato l’oggetto di riflessione di Virginia Woolf per lungo tempo, la quale lo ha affrontato in maniera particolarmente approfondita all’interno di Orlando. La delicata e centrale ironia di questo romanzo è diretta proprio verso il tempo e la storia: il problema cruciale e il leitmotiv del libro è la discordanza che esiste tra tempo “umano” e tempo dell’orologio. Inoltre, il nostro modo meccanico di misurare le ore “makes no allowance for the richness of life embodied in a given moment, which can hold within it the experience of decades.”75

Il pensiero di Leon Edel, in linea con le prime sperimentazioni biografiche della seconda metà del Novecento, è quindi questo: “biography can violate chronology without doing violence to truth.”76 Persino Michael Benton, a questo proposito, crede che esistano due possibilità:

Biography may flatten life into a steady procession of dates and events; or it may capture the way time is experienced by the subject and everyone else – that odd mixture of continuity and stillness, anticipation and memory, routine and surprise, a mixture that is likely to be particularly significant in the biography of a poet or novelist.77

73 Ivi. 74 Ivi. 75 Ibidem, p. 140. 76 Ibidem, p. 145.

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