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MELE ANTICHE IN GARFAGNANA E IN LUNIGIANA

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Tesi di Laurea Magistrale in

Produzioni Agroalimentari e Gestione degli Agroecosistemi

Mele antiche in Garfagnana e in Lunigiana

Relatore

Candidato

Prof. Damiano Remorini

Francesco Torre

Correlatore

Prof.ssa Lucia Guidi

Anno Accademico 2016/2017

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Indice

Introduzione ... 3

1. Il melo: quadro botanico ... 4

1.1 Origine e diffusione ... 4

1.2 Caratteristiche morfologiche ... 5

1.3 Auto-incompatibilità e impollinazione ... 12

2. Parametri qualitativi e cenni sulla melicoltura italiana ... 13

2.1 I nuovi percorsi del miglioramento genetico ... 13

2.2 Aspetti nutrizionali ... 14

2.3 Influenza fattori ambientali e colturali sulla qualità del prodotto ... 20

2.4 Andamento melicolo in Italia ... 24

3. Biodiversità in Garfagnana e Lunigiana ... 28

3.1 Concetto di biodiversità ... 28 3.2 Territori rurali ... 29 3.3 Il germoplasma toscano ... 29 3.4 I coltivatori custodi ... 31 3.5 La Garfagnana ... 31 3.6 Lunigiana ... 32 3.7 Le mele antiche ... 34

3.8 Varietà ‘Casciana’ e varietà ‘Rotella’ ... 35

4. Scopo della tesi ... 40

5. Materiali e metodi ... 41

5.1 Aziende della Garfagnana (‘Casciana’) ... 41

5.2 Aziende della Lunigiana (‘Rotella’) ... 45

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5.4 Determinazione parametri pomologici e organolettici ... 50

5.5 Rilevazione del contenuto in fenoli totali e della capacità antiossidante ... 50

5.6 Analisi profilo fenolico ... 52

5.7 Analisi statistica dei dati ... 53

5.8 Variabili utilizzate nell’analisi discriminante ... 54

6. Risultati e Discussione ... 56

7. Considerazioni finali ... 63

Bibliografia e sitografia ... 66

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3

Introduzione

La variabilità genetica è oggi comunemente e scientificamente, riconosciuta fondamentale per il mantenimento del delicato equilibrio degli ecosistemi. L’agricoltura, ecosistema “artificiale”, negli anni ha gradualmente rinnegato tale principio virando su sistemi di allevamento monocolturali, che da un lato hanno incrementato la specializzazione degli operatori e dall’altro si sono rivelati la principale causa della scomparsa di biodiversità.

Le odierne leggi del mercato improntate sull’estremizzazione della reperibilità destagionalizzata hanno generato una frutticoltura intensiva e globalizzante che si è contrapposta a metodi di gestione tradizionali finalizzati alla salvaguardia di patrimoni endemici. La Grande Distribuzione Organizzata ha imposto che i criteri alla base del miglioramento genetico dei frutti fossero vincolati prevalentemente a canoni estetici e a caratteristiche commerciali piuttosto che al profilo nutraceutico.

D’altro canto la comoda accessibilità a informazioni salutiste e nutraceutiche ha notevolmente sensibilizzato la logica di acquisto dei consumatori, sempre più attenti a prodotti che rimandano all’idea di naturalità.

In questo scenario s’inseriscono tutte le iniziative di mantenimento e valorizzazione di cultivar antiche tra cui le mele ‘Casciana’ e ‘Rotella’, il cui ruolo è trivalente: ecologico, economico e culturale. Le loro caratteristiche qualitative permettono un’etichettatura di eccellenza e una destinazione a mercati d’élite, e pertanto, rappresentano una condizione fondamentale per la permanenza delle microeconomie locali.

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1. Il melo: quadro botanico

1.1 Origine e diffusione

Il melo appartiene al genere Malus e alla famiglia delle Rosacee, originario di una zona del sud Caucaso (Sottofamiglia Pomoidea) è stato utilizzato dall’uomo come alimento fin dal Neolitico. La suddivisione botanica si basa sulla copresenza di specie primarie e secondarie: le prime sono raggruppate in 5 sezioni tra cui spicca la Eumalus (sottosezione Pumilia) che assieme alla sezione Sorbomalus ha contribuito alla selezione delle moderne varietà classificate come Malus x domestica Borkh (Fideghelli, 2008); le secondarie sono incroci naturali interspecifici tra le prime, presenti quasi tutte in Europa e in Asia (circa 45 specie). La distinzione delle varie specie è resa complicata dall’incompatibilità che ha causato, nel tempo, le ibridazioni interspecifiche e gli incroci intervarietali, sebbene i primi accoppiamenti artificiali siano stati condotti da Knight, verso la fine del ‘700 (Sansavini, 1981). La sua grande variabilità genetica ne ha consentito la diffusione in areali con condizioni pedo-climatiche assai differenti ed un range termico estremamente vasto (- 40 °C Siberia; 40 °C Asia Medio-orientale). La pianta ha numero cromosomico n=17 derivante per anfidiplodia da due ancestrali con n rispettivamente 9 e 8. La maggior parte delle specie è diploide (2n=34) anche se la più famosa, la Malus domestica (Figura 1), è tripolide; alcune sono apomittiche in grado ovvero, di formare l’embrione diploide senza fecondazione.

Figura 1 Pianta di Malus domestica (da treesplanet.blogspot.it).

Le sezioni oltre l’Eumalus possono avere interesse soltanto nell’ambito del miglioramento genetico per la resistenza alla ticchiolatura o ad Erwina amylovora. La

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5 diffusione del melo in Oriente (Cina e Giappone) è stata agevolata dall’utilizzazione come pianta ornamentale data la sua spettacolare fioritura e la bellezza cromatica dei piccoli frutti, persistenti alla caduta delle foglie. Un esempio è il Malus micromalus probabile ibrido di M. baccata x M. spectabilis coltivato oltre che per le caratteristiche fenotipiche anche per i frutti agro-dolci e come portinnesto. Negli ultimi anni l’impiego come portinnesto ne ha caratterizzato l’espansione anche negli Stati Uniti dove si selezionano individui per il controllo e la combinazioni di vari caratteri come la vigoria o la resistenza a stress biotici e abiotici (Fidenghelli, 2008).

Nella sottosezione dei Pumila sono importanti anche il M. pumila paradisiaca e il M.

pumila precox-gallica, dai quali derivano tutti i portinnesti del melo oggi in commercio.

Infine le altre sezioni da ricordare sono: Malus floribunda ed il Malus halliana, usate spesso per l’impollinazione del M. communis (domestica). Di queste due specie sono state selezionate alcune varietà, in particolare la “Everest” che possiede un portamento colonnare, ad elevatissima produzione di polline, molto attrattiva per le api e che presentano una compatibilità fisiologica con la maggior parte delle varietà di melo coltivate.

1.2 Caratteristiche morfologiche

Albero - Le tipologie di portamento dell’albero del melo sono molteplici ma le più comuni sono l’eretto, l’espanso e il pendulo. L’angolo di inserzione delle branche primarie sul fusto e quello dei rami secondari sui primari vanno a costituire la forma della chioma. Il carattere colonnare ha subìto un intenso sviluppo genetico negli anni ’80 con l’idea di valorizzarlo in impianti intensivi. Queste forme in volume cosi ridotto sono state gradualmente abbondonate. L’elevato costo della manodopera, la mancanza del personale specializzato e le esigenze sempre più pressanti del mercato hanno spinto i frutticoltori ad adottare forme di allevamento le più possibili compatibili con il comportamento naturale delle piante e, quindi, forme libere, con interventi limitati al fine di ridurre al minimo l’intervallo di tempo dell’improduttività (Maurizzi, 2001).

Attualmente le forme di allevamento maggiormente condivise negli impianti a media intensità sono il fusetto, la palmetta libera e anticipata e altre forme intermedie (per esempio spindle). Il fusetto è quella che si adatta meglio a numerose cultivar per il duplice vantaggio di contenere lo sviluppo in altezza e distribuire uniformemente l’illuminazione (Figura 2).

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6 Figura 2 Schematizzazione di un fusetto (da berryplant.it).

Le piante da seme nella loro fase giovanile, che può durare dai 4 agli 8 anni, sono spinescenti, hanno foglie piccole e differenziano solamente gemme a legno. La corteccia dei rami è di colore rosso-brunastro (fino al giallo brillante in alcune varietà giapponesi) liscia nella parte centrale, tomentosa in quella distale e presenta lenticelle; quella del tronco e delle branche è di colore grigio.

Rami - Sono presenti rami a legno che possiedono gemme a legno sia lateralmente che in posizione terminale; queste gemme sono già visibili in fase di germogliamento. Oltre ai rami a legno sono presenti i rami misti, con gemme laterali miste (1 sola gemma per nodo), con la terminale mista o a legno. Prevalentemente nelle varietà che producono bene sui rami misti (soprattutto le varietà del gruppo delle golden), la gemma terminale può essere mista, con conseguente biforcazione del ramo e con la necessità di sdoppiamento delle punte (uno dei due va asportato agendo non sulla punta ma sulla zona di raccorciamento della branca se fatta durante la fase produttiva). I brindilli possono essere semplici (solo gemme a legno) o coronati, in cui è presente una gemma apicale mista. L’effetto della curvatura dei rami è quello di spostare il gradiente vegetativo verso la parte prossimale della branca, favorendo al contempo la fruttificazione della parte terminale, dove si formano brindilli coronati o lamburde. Le lamburde possono essere vegetative, con una sola gemma apicale a legno, o fiorifere. Quest’ultime sono molto rigonfie e alla schiusura della gemma mista della lamburda compare l’infiorescenza. Tipi di rami particolari sono i succhioni (da gemme avventizie o latenti) e i polloni (sorti dalle

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7 radici o dal colletto). Altre strutture sono infine le zampe di gallo, non molto frequenti nel melo.

Foglie e gemme – Le foglie sono alterne, di colore verde intenso e di differenti forme. Il margine può variare da seghettato a crenato; la pagina superiore è glabra, quasi sempre priva di uno strato pilifero al contrario del margine inferiore. Il picciolo cambia secondo la varietà e presenta stipule grandi e caduche. Come per altre pomacee, anche il melo differenzia una gemma per nodo ed è privo di associazioni gemmarie. Le gemme a legno si contraddistinguono per le piccole dimensioni, la forma triangolare e la parte terminale del germoglio ricoperto da tomento. La gemma apicale è di questa natura alla cui schiusura segue la formazione di una rosetta di foglioline. Le gemme miste, di cui il melo è più fornito, contengono l’apice vegetativo e i primordi dei fiori (Figura 3) e sono distinguibili dalla forma globosa, dalla maggiore dimensione e dalla totale tomentosità. Si trovano lateralmente sui rami misti e alla ripresa vegetativa si aprono dando vita anch’esse ad una rosetta alla base del corimbo. Il melo è una specie a fogliazione precoce, perché quando schiude il fiore e si procede all’allegagione, la corona di foglie alla base è già fotosinteticamente attiva, riuscendo a sostenere sia l’allegagione stessa sia le prime fasi di formazione del frutto (diversamente dalle drupacee dove la fioritura è precedente o contemporanea alla fogliazione). Di conseguenza la crescita del frutto non è completamente a carico delle riserve interne.

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8 Nel melo si segnala inoltre la presenza abbondante di gemme avventizie o latenti, cioè gemme che si sviluppano in seguito a tagli drastici, rotture o danni simili. I primi stadi di rottura della gemma prendono il nome di “orecchiette di topo”, ovvero i primi organi che compaiono non sono i fiori ma le foglioline della corona che racchiudono il corimbo. Solo successivamente c’è la fase dei mazzetti affioranti in cui cominciano a comparire i fiori, che sono ancora avvolti dai sepali verdi e quindi si presentano con questa conformazione tipica. Nella fase successiva, dei bottoni rosa, il fiore del melo presenta dei petali intensamente colorati in rosa nella parte inferiore, ovvero nella parte esterna, mentre all’apertura il fiore è completamente bianco, almeno nel Malus communis, poi ci sono meli da fiore completamente rosso.

Fiore – i fiori sono portati sempre da gemme miste differenziatesi nell’estate precedente e sono riunite in infiorescenze (corimbi) formati da 5-6 fiori; il fiore centrale di solito ad antesi anticipata, ha peduncolo più corto ed è più facile da allegare (Baldini et al., 1967). Il calice con 5 lobi è persistente nei giovani frutti mentre in alcune specie è caduco alla maturazione del frutto; 5 petali bianchi, grandi e rosei quando sono in boccio; gli stami sono disposti a corona in numero di una ventina con antere di colore giallo; il pistillo si ripartisce in 5 stili, ognuno dei quali conduce a una loggia carpellare (Figura 4). L’ovario suddiviso appunto in 5 logge ciascuna contenenti 2 ovuli, è infero. Alcune specie sono apomittiche, di origine ibrida od ornamentale (M . hupehensis, M. toringoides, M.

sikkimensis), poliploidi, sono in grado di sviluppare vegetativamente ovuli, senza

fecondazione, con semi portatori da soli caratteri materni.

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9 L’impollinazione del melo è entomofila; difatti l’assenza di pronubi lascia solo qualche scarsa possibilità che essa sia effettuata dal vento o per caduta naturale. La differenziazione antogena comincia dal fiore centrale (king flower), quello che porta frutti di maggior dimensione e migliore qualità. Questo è uno dei motivi per cui il diradamento meccanico nel melo ha avuto scarso successo come per esempio il Darwin, un metodo di diradamento meccanico, interessante per il biologico, che interessa il primo fiore aperto vittima di danni maggiori rispetto ad altri fiori che sono ancora nello stadio di bottoni rosa. Da ricordare che l’andamento del corimbo è elicoidale in senso antiorario. Questo porta ad una qualità dei frutti diversa perché i fiori si differenziano in epoche differenti durante la fase antogena.

Frutto – Quello del melo è botanicamente un falso frutto, il pomo, perché è il risultato dell’accrescimento del ricettacolo fiorale (Figura 5). Ha un’epidermide cutinizzata e cerosa dal colore che vira dal verde al giallo fino al rosa. Anche la polpa assume caratteristiche differenti in base alla cultivar: colore bianco o bianco crema, raramente giallo, croccante acidula e succosa nelle “Fuji” o nelle “Granny smith”; farinosa e sub-acida in varietà come l’“Annurca” o la “Renetta”. L’endocarpo è coriaceo e composto da 5 logge avvolte da 5 carpelli (Fideghelli, 2008).

Figura 5 Schematizzazione del frutto (da Almeleto.it e Fideghelli, 2008).

Le mele sono costituite per l’85% da acqua e quindi sono molto dissetanti e di facile digeribilità. Sono praticamente prive di grassi, ma molto ricche di sostanze nutrienti come vitamine, sali minerali, polifenoli e antiossidanti. Oggi è il frutto più destagionalizzato sul mercato dato che si è investito notevolmente in selezioni ed impianti che ne

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10 permettessero la conservabilità. Ulteriori obiettivi perseguiti con il lavoro di creazione di nuovi cultivar sono certamente il miglioramento della qualità del frutto intesa non solo come caratteri organolettici o come aspetto, ma anche come resistenza alla rugginosità, buona attitudine alla frigo conservazione e alla trasformazione industriale. Sotto il controllo genetico sono finiti parametri apparentemente secondari come il contenuto in calcio dei frutti da cui derivano alcune fisiopatie (Sansavini, 1980). La maturazione naturale avviene tra fine agosto (per le cv. Gala ovvero le mele estive) e metà ottobre. Per quanto riguarda l’epibionte le differenti cultivar sono divise in base alla:

• destinazione d’uso: da tavola, da cuocere, da industria (da sidro, succhi, cremogenati, essiccazione, inscatolamento).

• all’habitus vegetativo: standard, spurs, semi-spurs.

• all’epoca di maturazione: estive con raccolta a partire da luglio (poco prima della maturazione di consumo), autunnali con raccolta dalla fine di agosto alla fine settembre, invernali con raccolta alla fine di settembre e sono pronte per il consumo da dicembre–gennaio (se non conservate in atmosfera controllata). • al gruppo pomologico:

A. Gruppo Gala (Royal Gala, Mondial Gala, Galaxy, Gala Must) B. Gruppo Red Delicious (Autunnali: Classic Delicious, Top Red, Early Red One, Hi Early, Autunnali spur: Early Chief, Scarlet Spur, Red Chief)

C. Gruppo Golden Delicious (Smoothee, Golden Clone B, Golden Clone 527, Ed Gould Golden)

D. Gruppo Jonagold (Jonagold, Morrens’, Jonared)

E. Gruppo Stayman (Neipling Early, Stayman, Staymared) F. Gruppo Imperatore (Morgenduft Rome Beauty)

G. Gruppo Fuji (Fuji Standard, Fuji Naga Fu 6 e Fuji Naga Fu 12). Quelli sopraelencati rappresentano i gruppi pomologici più coltivati al mondo; altre varietà di sicuro interesse commerciale e organolettico sono la “Granny Smith”, la “Pink Lady”, la “Cripps Pink” e la “Renetta Braeburn”. Le varietà di melo censite nel mondo negli ultimi due secoli sono oltre 10.000 mentre quelle coltivate e internazionalmente note sono solo qualche decina. Ci sono però da aggiungere i mutanti commerciali di ciascuna di esse, dato che il melo possiede una grande capacità mutagena naturale. Così possiamo riscontrare per esempio per “Red Delicious” più di 120 mutanti attualmente utilizzati (Sansavini, 2008).

Nel Novecento si è assistito a una fase di contrazione del numero delle varietà di melo in coltura, parte di un fenomeno più complesso che ha interessato tutta l’agricoltura europea.

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11 Già dagli anni ’70 si delineava una semplificazione dell’offerta varietale in funzione di produttività, standard qualitativo, idoneità alla conservazione intorno a 4-5 varietà di riferimento, focalizzando sulla voce “altre”, si trovava un elenco di una ventina di varietà in regressione (Guerra et al., 2008). I moderni programmi di miglioramento genetico hanno assunto quale obiettivo prioritario la costituzione di cultivar resistenti o tolleranti alle fitopatie del melo (Crosby et al., 1992; Sansavini et al., 2003). In questo senso è stato fatto da parte dei miglioratori genetici un lavoro di selezione ed incroci che ha portato alle moderne varietà resistenti alla ticchiolatura, una della principale avversità del melo causata dal patogeno Venturia inaequalis. Il programma è stato svolto in cooperazione tra le tre Università statunitensi Purdue, Rutgers e Illinois (da cui la sigla PRI) e si basava sull’utilizzo di una fonte di resistenza genetica monogenica dominante Vf presente nella linea 821 del Malus floribunda, specie diversa dal melo da frutto (Malus domestica) (Bassi et al., 2001). La ricerca oggi, dopo quasi 40 anni, si è spinta fino ad offrire varietà resistenti alla ticchiolatura che coprono un calendario produttivo paragonabile a quello delle varietà normalmente utilizzate. Il numero di varietà di melo resistenti alla ticchiolatura si è recentemente arricchito per l’apporto dell’attività di miglioramento genetico, e oggi si dispone di materiale vegetale che va a coprire un ampio calendario di raccolta, dalla seconda metà di luglio fino a metà ottobre (Bassi et al., 2001). Altri settori su cui si è concentrato il lavoro di miglioramento genetico sono l’allungamento del calendario di produzione, ottenimento di pomi con standard qualitativi-organolettici elevati (gradi Brix, contenuto solidi solubili, acidità titolabile, ecc.) ricerca di varietà che presentino aspetti estetici-commerciali apprezzabili (pezzatura, consistenza, colore, succosità) e resistenza o tolleranza a differenti fisiopatie e fitopatie. La grande differenza fra gli obiettivi di oggi e quelli del passato, anche recente, è data dall’influenza esercitata dal gradimento dei mercati, anche a costo di mettere in secondo piano la valenza ecologica ed agronomica delle singole varietà (Sansavini et al, 2012). Di qui il campanello di allarme per il rischio non solo di eccessiva semplificazione colturale, ma di erosione genetica per la perdita di accessioni preziose vuoi per il gusto, vuoi per caratteri agronomici che avrebbero potuto rivelarsi importanti in futuro (Guerra et al., 2008). Di pari passo con la moderna tendenza di un miglioramento genetico sempre più spinto e selettivo verso varietà ampiamente accettate sotto tutte le caratteristiche, stanno nascendo, da alcuni anni a questa parte in varie parti d’Europa, alcune azioni volte al recupero del germoplasma melicolo locale, nel segno di un fenomeno di tendenza verso la riscoperta

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12 dei sapori antichi, tradizionali e culturali. In quest’ottica si tenta di salvaguardare la specie dall’erosione genetica, mettendo al riparo in appositi “repository”, materiali che potrebbero tornare utili in futuro. L’impressione che si ricava dalla conoscenza diretta del germoplasma italiano è che in larga misura non corrisponda agli attuali criteri di frutto-piacere, utilizzati per grandi canali di commercializzazione (Pellegrino et al., 2004).

1.3 Auto-incompatibilità e impollinazione

L’auto-incompatibilità gametofitica, propria di tutte le cultivar, non esclude per alcune di esse un auto-compatibilità parziale soprattutto in condizioni climatiche favorevoli e quando il periodo utile d’impollinazione sia piuttosto lungo. In tali casi il tubetto pollinico, anziché arrestarsi al terzo distale superiore, riesce a compiere l’intero percorso del tessuto stilare giungendo alla base del sacco embrionale, con qualche probabilità di riuscire a fecondare. Spesso per le vecchie cultivar triploidi come la “Graveinstain”, il polline può essere scarsamente germinabile (inferiore al 60-70%) e questo può ridurre la capacità di impollinazione e anche la produzione. . È anche vero che è sufficientemente facile trovare polline nell’aria che possa impollinare il fiore, ma il problema principale della coltivazione del melo è legata all’incompatibilità gametofitica, quindi è necessario individuare il giusto impollinatore per ogni specie. La cosa da notare è che gli impollinatori sono abbastanza generici, nel senso che sono indicati come gruppi di varietà e non come singola varietà, per esempio il gruppo delle “Gala”, le mele estive, vengono impollinate dalla “Granny Smith” ma dal gruppo delle “Red Delicious”, così come le Delicious stesse possono essere impollinate dalle Gala e dalla “Granny Smith”. Nel melo il problema maggiore non è la scelta dell’impollinatore quanto quella dell’effetto dell’andamento climatico sulla contemporaneità di fioritura. È vero che il periodo utile di impollinazione del melo è abbastanza lungo, si parla di 5-6 giorni, infatti, varietà che geneticamente presentano compatibilità sovente non sono sincronizzati nel tempo della fioritura. Oppure l’andamento climatico può anticipare o ritardare la fioritura di una varietà o dell’altra così da non far coincidere il periodo utile per l’impollinazione. Per questo motivo si preferisce una combinazione di varietà che siano note evitando rischi legati al clima. Tuttavia la parziale auto-compatibilità non è una garanzia costante, per cui è buona pratica la consociazione fra almeno due cultivar a fioritura contemporanea oltre che reciprocamente dotate di un’elevata capacità fecondante.

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2. Parametri qualitativi e cenni sulla melicoltura italiana

2.1 I nuovi percorsi del miglioramento genetico

Il gradimento dei mercati condiziona da anni l’iter dei genetisti sugli aspetti che determinano la qualità finale del frutto. La tendenza attuale vira alla scelta di mele dalla taglia grossa, per lo più gialle, dolci, a polpa croccante, serbevoli e a lunga tenuta (Sansavini et al., 2012), tutte caratteristiche contenute all’interno delle nuove varietà proposte dai paesi asiatici, a clima temperato, in special modo dalla Cina e dal Giappone, e che hanno determinato l’affermazione della “Fuji” (Figura 6).

Figura 6 Assortimento varietale delle mele in Italia-media triennale 2009-2012 (da Sansavini et al., 2012).

L’Italia ha ormai accantonato il programma del MiPAF di miglioramento genetico, il quale è stato accolto da varie Istituzioni pubbliche operanti nel breeding del melo di 4 regioni (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Trentino Alto-Adige) affiancate da gruppi privati validi sia per esperienza che per capitali disponibili. Gli obiettivi, rispetto al progetto ministeriale, sono molto simili tanto è vero che spesso le linee parentali sono le stesse; cambiano invece i procedimenti selettivi in campo, l’impiego di multitest ambientali condotti in altre regioni, il parere di esperti esterni coinvolti nei vari stadi per ultimare la selezione seguendo parametri commerciali e infine, l’introduzione dei “consumer test” presso la grande distribuzione.

Le varietà proposte da costitutori esteri non si adattano alle condizioni pedo-climatiche nostrane, scardinando le produzioni e i costi nel settore e scontentando le aspettative dei produttori (Massai, 2009). Le principali cause che sfavoriscono l’introduzione di nuove varietà in Italia sono l’incapacità o l’impossibilità per l’elevato costo, di sottoporre il

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14 miglioramento genetico prodotto ad un’adeguata protezione brevettuale, che permetta di assicurare una remunerazione nel breve e nel lungo periodo all’editore del prodotto innovativo sviluppato (Massai, 2009). Attualmente, i prodotti devono soddisfare in modo particolare soprattutto le esigenze del consumatore finale, che ricerca sempre più spesso un prodotto con un elevato livello di qualità organolettica, anche a discapito della forma esteriore (Bergamaschi et al., 2006), e di un alto livello di sicurezza igienico-sanitaria, per le quali è disposto a pagare un prezzo maggiore rispetto alla merce comune (ISMEA, 2006). Ne consegue, un continuo rinnovamento varietale con l’immissione nel mercato di nuove varietà frutticole, per poter appagare le diverse preferenze dei consumatori, intesi in un gruppo più o meno ristretto, possibilmente nel medio - lungo periodo (Sansavini et al., 2009). Le varietà di mele sono più di 6.000 e si stima che negli ultimi trent’anni sono state introdotte una media di 50 varietà/anno (Fideghelli et al., 2012). Sono proprio i breeding privati i maggiori investitori nella ricerca di nuove varietà, tanto da incidere per il 40% in Europa su quelle licenziate nell’ultimo decennio. Nel nostro continente si sono sviluppati scenari antitetici: se da un lato paesi come la Serbia, da sempre caratterizzata da una buona tradizione nella melicoltura, hanno realizzato mele poco competitive sul piano qualitativo e di valore intrinseco del frutto piuttosto che agronomico, altri come Italia, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Polonia, Olanda e Svizzera hanno conquistato una buona fetta di mercato con le loro ultime produzioni da impianti di recente costruzione.

Il punto focale che separa gli obiettivi di oggi da quelli del passato è l’assoluta priorità dell’apprezzamento del global trade su altre componenti non meno importanti come la valenza ecologica ed agronomica delle cultivar; inoltre l’immissione sul mercato è sorvegliata dalla GDO (grande distribuzione organizzata) e da gruppi di operatori commerciali che hanno partecipato e cofinanziato l’intero programma di miglioramento veicolando sia gli obiettivi sia la strategia di marketing della varietà da lanciare. In questo senso non si assecondano sempre le volontà e le aspettative dei breeder o dei costitutori come certifica il parziale fallimento di specie ticchiolatura-resistenti.

2.2 Aspetti nutrizionali

La qualità di un alimento è “l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite.” (UNI EN ISO 8402; 1995). Prendendo spunto da questa definizione è

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15 impensabile identificare un parametro univoco che definisca la qualità della mela, bensì bisogna tener conto dell’intera filiera di produzione lungo la quale nascono e si estendono le varie forme qualitative: commerciale (pezzatura, colorazione, resistenza alle manipolazioni e conservabilità); nutrizionale (composizione chimica del prodotto); sanitaria (presenza o meno di residui di fitofarmaci o di agenti patogeni); sensoriale (bouquet di sapori che il consumatore si aspetta di trovare al suo interno); etica (rispetto delle condizioni socio-ambientali). Nell’ambito commerciale ad esempio, non si può stilare una visione armonica d’insieme per l’obiettivo finale in quanto al produttore interessa il controllo dei parametri “costi” e “produttività”, per la struttura di lavorazione è importante invece la facilità di manipolazione, per il magazzino è prioritaria l’attitudine alla conservazione, ed infine per la distribuzione è basilare l’omogeneità del prodotto. La ricerca del giusto prodotto deve passare dal soddisfacimento delle esigenze del consumatore di cui la scarsa considerazione, negli ultimi anni, ha portato alla crisi del settore. La difficoltà di assecondare i clienti non matura sempre dalla negligenza degli operatori ma dall’individuazione dell’effettiva “qualità” da perseguire e dall’oggettiva complessità che manifestano nel tentativo di misurarla (Remorini, 2003). Alcuni parametri poi sono imposti dalla grande distribuzione (GDO) che condizionano pesantemente sia i produttori sia i consumatori. Un esempio di questo condizionamento è la commercializzazione, per esigenze logistiche, di frutti molto duri che non consentono di apprezzare le caratteristiche organolettiche e gustative del prodotto. L’inganno di vendere nei supermercati mele con elevate caratteristiche estetiche ma deludenti sotto il profilo sensoriale genera due sentimenti: delusione per il contrasto tra aspettativa e realtà quasi sempre la vera causa della riduzione del consumo; apprendimento che porta all’acutizzazione della capacità di scelta e alla rottura della fidelizzazione. La filiera ortofrutticola si trova dunque di fronte alla necessità di andare incontro ai gusti ed alle richieste del consumatore (Shewfelt, 1999) e sta virando la sua attenzione verso peculiarità che possiamo definire intrinseche, non determinabili immediatamente. Infatti, la componente che più di tutte passa sotto la lente degli attenti consumatori è, negli ultimi anni, quella nutrizionale: la mela è il frutto preferito dagli italiani (Cannella, 2008), poco calorico (una porzione da 100 g apporta circa 40 kcal), è un vero concentrato di nutrienti e micronutrienti utili al nostro benessere (Figura 7). Proprietà definite “funzionali” sono: il contenuto in fibre solubili come la pectina; gli acidi organici come il citrico e il malico; l’abbondante presenza di polifenoli e caroteni famosi per il ruolo antiossidante. Da

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16 sempre arricchisce la nostra alimentazione fin dallo svezzamento grazie alla predisposizione della polpa di essere facilmente frullata e all’elevato contenuto in vitamine, sali minerali e zuccheri semplici (14 g/100 g di cui 8 g di fruttosio). Piccole dosi di fruttosio assumibili da una mela, abbassano la risposta glicemica perché agevolano il consumo di glucosio da parte del fegato, motivo per il quale questo frutto si può somministrare ai diabetici. Il secondo zucchero, non per importanza ma per contenuto, è il glucosio: anch’esso semplice per cui rapidamente assorbito e utilizzato per scopi energetici, viene mantenuto costante nel sangue (la sua concentrazione nei vasi sanguigni è appunto la glicemia) dall’insulina e dal glucagone, ormoni antagonisti entrambi prodotti dal pancreas. La sua funzione è associata inoltre al trasporto del triptofano, precursore della seratonina, che coordina la sensazione di benessere contrastando quella depressiva. La concentrazione dei vari zuccheri differisce tra cultivar e luoghi di coltivazione; il fruttosio varia da 3 a 10 g/100g di peso fresco (PF), saccarosio (0,5-4 g/100g PF), glucosio (0,5-4,2 g/100g PF) e sorbitolo (0,1-1,2 g/100g PF) (Fuleki et al., 1994). Per la loro determinazione, s’impiegano 2 vie analitiche: una densimetrica che segue il principio di Archimede ovvero si calcola la spinta che lo strumento (densimetro) riceve dal basso verso l’alto, più o meno vasta in relazione agli zuccheri disciolti; una rifrattometrica (mediante rifrattometro) che fornisce un dato sui solidi solubili presenti in una soluzione dando un valore in gradi Brix, vale a dire la percentuale di solidi presenti in una data soluzione (1 grado Brix è uguale ad 1 grammo di soluto in 100 grammi di solvente). La concentrazione zuccherina è influenzata da moltissimi fattori ma tendenzialmente si attesta tra 6 Gradi Brix (valore basso) fino a 18 Gradi Brix per valori estremi in particolari condizioni (Fuleki et al., 1994; Suni et al., 2000).

Figura 7 Composizione chimica e valore energetico della mela - Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione.

La mela è la sede di alcuni acidi organici, in particolare dell’acido malico (0.2-0.4 g%), un intermedio nel ciclo di produzione dell’energia cellulare e originante di alcuni

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17 precursori che sintetizzano amminoacidi (come l’acido ossalacetico). Supporta l’organismo nel rilascio graduale di energia, incrementa la resistenza durante attività fisiche evitando improvvisi cali di prestazione; regola le reazioni di equilibrio acido-base del sangue e le diverse popolazioni di microorganismi che popolano la flora batterica intestinale. Di recente gli è stato attribuito anche un ulteriore ruolo nella riduzione del dolore causato dalla fibromialgia, una malattia reumatica degenerativa che colpisce l’apparato muscolo-scheletrico con dolori cronici e diffusi a lungo termine e causa inoltre stanchezza, disturbi del sonno e sindrome del colon irritabile.

Nel 2010 il Dipartimento di Ingegneria chimica e ambientale cileno, in concerto con il Dipartimento di Agronomia e l’Istituto di Nutrizione e Tecnologia dell’alimento ha pubblicato una ricerca sulla capacità antiossidante dei fenoli in alcune varietà di mele internazionali. I risultati hanno evidenziato la superiorità del contenuto fenolico totale all’interno della buccia e, per varietà come la “Red Delicious”, tale dato è stato particolarmente significativo (11,6 mg eq di acido gallico g⁻¹); dallo studio è emersa una correlazione tra la forte assunzione dietetica di frutta e un ridotto rischio di malattie croniche (quali cancro, diabete, malattie degenerative) imputabile alla presenza di composti antiossidanti nei frutti che proteggono le cellule contro i danni ossidativi causati dalle specie reattive di ossigeno (ROS) e N reattive (RNA) coinvolte nella patogenesi di queste malattie. In effetti, i composti fenolici sono i principali antiossidanti della nostra dieta (Scalbert et al., 2005). Inoltre, sono stati riportati altri effetti biologici, tra cui le azioni antimicrobiche, antiinfiammatorie, anti mutagene, anti-cancerogene, antiallergiche, anti-piastriniche e vasodilatatorie (Boyer e Liu, 2004; Scalbert et al., 2005). Come per altri parametri qualitativi, il contenuto in fenoli è correlato alle diverse cultivar, al metodo di coltura, alle condizioni di crescita e stoccaggio; ogni specie ha nella buccia il maggior indicatore di concentrazione di molecole antiossidanti; particolarmente evidente appare la differenza in termini di antociani presenti nelle cultivar a buccia rossa e le altre. Numerosi studi mostrano che la concentrazione di antiossidanti in genere e più specificamente di fenoli totali nella buccia è di circa tre volte superiore che nella polpa (Łata et al., 2007), informazione molto utile al consumatore che potrebbe facilmente riconoscere una mela più nutrizionale di altre (Henriquez, 2010).

Altri elementi della compagine antiossidante sono i fitochimici (dal termine inglese

phytochemicals, composti organici di cui fanno parte i carotenoidi (precursori della

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18 causa dell’imbrunimento della mela per ossidazione operata dalle polifenol ossidasi. I fitochimici prevengono il rischio ossidativo delle biomolecole più esposte come gli acidi grassi polinsaturi o gli amminoacidi aromatici agendo sia all’interno del tubo digerente sia potenziando le difese del sangue nei confronti delle scorie del metabolismo cellulare (Cannella, 2008).

La frigo-conservazione permette di consumare la mela tutto l’anno, tuttavia una volta immesse sul mercato raggiungono rapidamente il corretto grado di maturazione andando incontro a deperimento ossidativo. Fin dall’alba dei tempi i produttori hanno cercato di risolvere questo limite ideando tecniche conservative che mantenessero alte le caratteristiche qualitative: dall’appertizzazione nell’800 siamo passati alla moderna liofilizzazione mediante la sinergica azione dell’abbassamento dell’attività dell’acqua e il trattamento ipobarico. Il risultato è la preservazione delle componenti organolettiche e soprattutto delle quantità di fibra e fitochimici entro limiti accettabili e superiori a quanto ottenibile con la sola refrigerazione.

Per quanto concerne la valutazione di qualità del frutto sotto un profilo igienico-sanitario possiamo fare riferimento al Regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 febbraio 2005 che stabilisce per tutti i fitofarmaci utilizzati attualmente, o in passato, sia nell’UE che in paesi terzi, il limite massimo di residuo (LMR) che può essere trovato sul prodotto. Per i fitofarmaci non menzionati specificatamente si applica un valore generale di 0,01 mg kg-1. Nel sito della Commissione Europea si può una banca dati sugli LMR di tutte le colture e con di tutti i

principi attivi normalmente utilizzati in agricoltura

(http://ec.europa.eu/food/plant/pesticides/eu-pesticides-database/public) Agricoltori, commercianti e importatori sono responsabili della sicurezza degli alimenti, e questo comprende anche il rispetto degli LMR. Alle autorità degli Stati membri spettano le misure di controllo e di attuazione degli LMR. Al fine di garantire l’uniformità e l’adeguatezza di tali procedure, la Commissione dispone di tre strumenti:

• programma comunitario coordinato di controllo pluriennale che stabilisce per ciascuno Stato membro le principali combinazioni pesticida-coltura da monitorare e il numero minimo di campioni da prelevare;

• laboratori di riferimento comunitari coordinano, formano il personale, mettono a punto metodi di analisi e predispongono test per valutare le competenze dei vari laboratori di controllo nazionali;

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19 • l’Ufficio alimentare e veterinario della Commissione conduce le ispezioni

negli Stati membri per valutarne e verificarne le attività di controllo.

La qualità sensoriale delle mele è particolarmente difficile da misurare oggettivamente; essa dipende da fattori di percezione individuale (gusto, olfatto). A definire la qualità di un frutto, concorrono numerosi fattori biologici ed agronomici, ed in particolare quelli ecologici delle varie zone di coltura, nonché abitudini del consumatore e retaggi culturali (Sansavini et al., 1999). Per ovviare a tale problema, già da alcuni anni sono stati studiati specifici test (Panel Test) che consentono di guidare le scelte di assaggiatori esperti nel definire i parametri qualitativi dei prodotti (Stainer et al., 2000). Generalmente i parametri che descrivono i profili sensoriali di una mela (Figura 8) sono molteplici e derivano da giudizi su specifiche caratteristiche supportate da alcuni test strumentali;

Figura 8 Parametri che definiscono il profilo sensoriale di una mela.

Studi condotti con misure strumentali e assaggiatori hanno verificato che un assaggiatore medio, allenato e addestrato, è in grado di percepire una differenza di acidità pari a circa 0,08% di acidità titolabile. Per quanto riguarda la dolcezza, il riferimento è il grado Brix, e la differenza minima percepita correttamente è di 1 °Brix (Predieri et al., 2008). Questo mette in evidenza l’importanza dei test con assaggiatori i quali devono essere ben allenati e supportati da Panel Test ben strutturati in grado di facilitare il lavoro di riconoscimento delle caratteristiche peculiari dei differenti prodotti testati. Per semplificare i risultati ottenuti dai test, solitamente, si adotta una rappresentazione grafica (Figura 9) che mostra ai vertici di un poligono le caratteristiche vagliate e il relativo valore.

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20 Figura 9 Rappresentazione grafica delle caratteristiche organolettiche di mele (Donati et al., 2003). Negli ultimi anni sta prendendo sempre più importanza nella scelta d’acquisto dei consumatori il parametro di eticità di un prodotto. Tale valore va adottato nell’accezione più ampia possibile; se da un lato con eticità si intende rispetto del lavoro lungo tutta la filiera produttiva, d’altro canto alcuni consumatori riservano maggiore attenzione a fattori ambientali e di tutela del territorio dove tale prodotto è stato coltivato. In questo senso in Italia si è notato un deciso aumento del consumo di prodotti biologici, indice sicuramente di una scelta da parte del consumatore più consapevole. Il tasso di crescita del mercato Bio nelle organizzazioni della GDO in Italia è stato costante negli ultimi 5 anni e si attesta al 19,4% nel primo semestre 2015 rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda la vendita biologica nei negozi specializzati si registrano tassi di crescita annui dal 12 al 15 % annui nell’ultimo quinquennio (ISMEA, 2015). In questa ricerca da parte del consumatore di un prodotto sano, buono, etico e tradizionale può esserci spazio anche per una riscoperta di prodotti legati alla nostra ruralità quali varietà locali o prodotti trasformati secondo tecniche e modalità antiche.

2.3 Influenza fattori ambientali e colturali sulla qualità del prodotto

Diversi fattori influenzano la qualità del prodotto (Tabella 1). Di seguito vengono illustrati i principali.

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21 Tabella 1 Principali fattori influenzanti la qualità

Ambientali - Tra i principali fattori che determinano il peggioramento qualitativo, ci sono sicuramente gli agenti patogeni: il loro danno è evidente in campo per cui si procede con l’esclusione della mela durante la raccolta o la successiva classificazione ma in casi come le infezioni quiescenti, l’inoculazione si può verificare dopo la raccolta. Lo stress imposto dai patogeni conduce a distinte alterazioni nella pigmentazione, nella forma e nella maturazione (Sphaerotheca fuliginea; Hill, 1995).

Deterioramenti macroscopici sono altresì di natura entomologica e possono interessare sia la parte esterna sia quella interna del frutto. L’incubo delle pomacee è senza dubbio è la Cydia pomonella, un lepidottero della famiglia dei Tortricidi, originario del Centro Europa, conosciuto anche come carpocapsa o verme delle mele. Questo insetto trascorre l’inverno sotto forma di larva in diapausa, all’interno di un bozzo feltroso per passare allo stadio di crisalide quando il melo è in fase di bottoni fiorali e a quello di adulti durante la piena fioritura. Le femmine si accoppiano più di una volta e iniziano a deporre a T° di 15-20 ° C fino a raggiungere le 60 uova prodotte distribuite varie generazioni. Sono le seconde e terze generazioni quelle deposte all’interno dei frutti le quali origineranno larve che formeranno profonde gallerie nel mesocarpo. I danni sono irreversibili: il frutto danneggiato in genere cade al suolo, quello che riesce a raggiungere la maturazione marcisce in conservazione; purtroppo la carpocapsa può distruggere intere produzioni. In luoghi a vocazione fortemente naturalistica anche animali superiori sono una minaccia per i frutteti: ungolati, volpi e specialmente uccelli rappresentano una piaga per molti agricoltori. Nelle coltivazioni di mele ad elevata densità d’impianto la rete anti-uccelli è

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22 da anni il rimedio più impiegato: realizzata in monofili di polietilene, presenta maglie larghe che consentono l’ingresso di luce e aria impedendo all’animale di restare impigliato ma semplicemente escluderlo dalla predazione.

L’insieme di queste influenze possono catalogarsi come fattori in pre-raccolta (Sams, 1999) perché compaiono prima che il frutto venga raccolto modificando non solo l’aspetto estetico ma primariamente la componente interna, o “texture”, la proprietà strutturale che Bourne definisce come l’insieme di parametri meccanici (durezza, masticabilità e viscosità), geometrici (dimensione e forma delle particelle) e chimici (umidità e contenuti in grassi; Bourne, 1980). Una chiara connessione è esercitata dallo stress idrico che ridimensiona drasticamente la parte acquosa rendendo la polpa non commercializzabile.

Tra gli altri fattori ambientali una menzione spetta ai disordini fisiologici (Kays, 1999), come l’alterazione del colore per carenza di azoto (Francis e Atwood, 1965) o la mancanza di calcio, probabilmente causa della butteratura amara delle mele. Si tratta di un’alterazione che colpisce i frutti delle pomacee. Si manifesta con la comparsa di grumi di tessuto lesionato e suberificato, di dimensione di alcuni millimetri e posizionati nella polpa del frutto al di sotto della buccia. Esternamente è possibile vedere, in corrispondenza di queste lesioni, lievi affossamenti con imbrunimento del tessuto. Nella maggioranza dei casi questi grumi, di gusto amarognolo, sono localizzali nei pressi della fossa calicina, nella parte distale dal picciolo. Questa fisiopatia si può manifestare già in campo, ma è frequente che compaia e progredisca anche in fase di conservazione in magazzino. Il calcio è uno dei principali micronutrienti del frutto piuttosto che delle foglie, e anche se spesso disponibile nel terreno, la sua carenza delocalizzata genera diverse problematiche nei frutteti. Esso svolge diverse funzioni nell’organismo vegetale a livello cellulare: rientra come componente nella parete cellulare, si lega alle pectine formando i pectati di calcio che a differenza delle prime sono insolubili, forma cristalli di ossalato di calcio che svolgono la funzione di tamponare l’acidità, regolando così il pH. Interagisce nella stabilità delle membrane cellulari, regola il trasporto dei carboidrati e interviene nella mitosi. La sua esiguità è quindi associata al deterioramento delle membrane con conseguente perdita di turgore e fluido cellulare; questa carenza sembra manifestarsi in piante dalla crescita vigorosa, ma la disputa è controversa (Saure, 1996, 1998, 2001). Alcuni autori ritengono che la competizione di Ca2+ all’interno della pianta crei degli squilibri a svantaggio della corretta maturazione dei frutti; si è poi osservato

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23 un’ulteriore concorrenza tra i frutti a bassa respirazione e le foglie a crescita intensa; sono ipotesi però che non sfociano in una comprensione univoca dei disturbi legati a questo elemento o dei metodi atti al miglioramento della sua distribuzione (Ferguson e Watkins, 1989). Il numero di interazioni possibili che possono influenzare la distribuzione di Ca è così grande che nel prossimo futuro sarà improbabile vedere la realizzazione di pratiche culturali che elimineranno completamente la carenza di Ca2+, senza l'applicazione diretta di Ca2+ all'organo sensibile. Il contenuto totale del Ca2+ nel frutto può essere separato in frazioni a diversa solubilità e di conseguenza differente attività fisiologica (Saure, 2004). Una parte solubile associata ai composti organici, cloruri e nitrati, assieme al Ca2+ scambiabile adsorbito su pectina e proteine, è considerata fisiologicamente attiva nella pianta; viceversa le forme più strettamente legate come fosfati di calcio, carbonati e ossalati sono da ritenersi indisponibili. La concentrazione delle forme attive nella mela aumenta dal 55% al 84% nella fase di estensione cellulare, vale a dire quella di accrescimento del frutto (Himelrick e Walker, 1982); la frazione non solubile invece rimane prevalentemente nell’esocarpo e nei vasi in forma di ossalato (Wieneke, 1974). Infine tra le influenze esercitate dall’ambiente si annoverano fattori di maturazione preponderanti in specie climateriche, in grado cioè di auto-sintetizzare etilene anche in post-raccolta, causando la dissipazione di sostanze volatili man mano che la maturazione progredisce o non consentendo la produzione di tali sostanze se raccolti prematuramente (Brown et al., 1968).

Colturali – L’attività dei breeder di ricerca e sviluppo di cloni partendo da una selezione di portainnesti ha reso disponibile un buon numero di fenotipi ognuno con caratteristiche particolari e adattabili ai vari ambienti pedoclimatici o alle diverse tecniche di gestione del frutteto (Scudellari et al., 1994; Loreti e Massai, 1999). Nel melo esistono i portinnesti della serie M che derivano dal Malus paradisiaca x Malus Precus gallica e nell’ambito di queste varietà sono state identificate una serie di cloni chiamati M o EM (East Mallin) caratterizzati da serie numeriche che andavano dal 9 al 27 con differente vigoria trasmessa anche alle varietà innestate (Sansavini et al., 2009). Da questo primo gruppo di portainnesti sono stati selezionati i così detti MM (Marlin Marton) da 106 a 111, cloni di East Mallin, serie M, incrociati con una varietà, la Merton, immune all’afide lanigerum, responsabile di danni nella parte aerea in particolare la zona del colletto, sverna nelle radici e provoca la formazione di galle. Oggi la serie M resta quella più coltivata di cui il ceppo più utilizzato è l’M9, clone a vigoria più ridotta tra i portinnesti della serie M.

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24 L’M27 è quello a minor vigoria, l’equivalente del Gisela 5 per il ciliegio, ormai giunto in disuso. Sono rimasti limitatamente l’M26 con portamento leggermente superiore all’M9, l’M7 con vigoria maggiore dell’M26 per terreni più difficili. MM106 e MM111, in quantità limitate, sono portinnesti sicuramente più vigorosi rispetto a quelli della serie M. Troviamo anche portainnesti provenienti dall’Est Europa (Malus pumila) che sono resistenti al freddo. Si passa dall’M9 all’EMLA (east mallin long aston) perché è un clone di M9 che è stato risanato da virus ed ha caratteristiche diverse dell’M9 standard in particolare per quanto riguarda la capacità di radicazione e la produttività delle ceppaie. Pajam 1 e Pajam 2 CEPILAND, che sono cloni di M9 francesi T337 selezionati in Olanda. Lo standard per il melo è rappresentato dall’M9 e a differenza delle altre specie la propagazione avviene con metodi di pieno campo.

Il portinnesto macroscopicamente determina non solo la vigoria delle piante ma anche conseguentemente la capacità di intercettazione luminosa modificando la correlazione tra accrescimento vegetativo e riproduttivo. Portinnesti nanizzanti sono in grado di veicolare una buona percentuale di fotoassimilati sui frutti grazie alla riduzione di competitività di quest’ultimi con organi vegetativi (Chalmers et al., 1981). Il portinnesto agisce sui processi fisiologici dell’albero ovvero sull’assorbimento e sulla traspirazione, (Giulivo et al., 1989; Massai et al., 1998) sulle proprietà dimensionali delle foglie e sulla loro senescenza, sulla composizione minerale e sulla traslocazione degli ormoni (Lockard e Schneider 1981; Layne 1987) ed agevola la resistenza di alcune avversità abiotiche. Oggi gli studi certificano una dipendenza delle caratteristiche vegetative e produttive della pianta dall’interazione portinnesto-cultivar; l’effetto è valido anche per la qualità del frutto anche se gli aspetti che ne risulterebbero influenzati rimangono da decifrare.

2.4 Andamento melicolo in Italia

La produzione mondiale di mele si attesta a circa 80,8 milioni di t: i primi cinque Paesi, escludendo la Cina, rappresentano oltre il 18% del totale. Stando ai dati Faostat 2013, il produttore leader ad oggi è proprio la Cina con oltre 39,7 milioni di t. Medaglia d’argento va agli Usa, in lento declino dagli anni ‘90, con 4 milioni di t. Seguono Turchia, Polonia, Italia e India con una produzione complessiva di circa 10 milioni di t (Figura 10). Il nostro paese, come si evince dal grafico non ha incrementato gradualmente le rese ma le ha mantenute stazionarie dagli anni ’60 ad oggi.

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25 Figura 10 Produzione annuale media (t) di mele nei primi 5 paesi (da FAOSTAT 2015).

La regione che merita la definizione di rullo compressore della melicoltura, stando ai dati ISTAT, è certamente il Trentino Alto-Adige con le due province che catalizzano il 50% della superficie investita: Trento 18%; Bolzano 33%. Qui si sono prodotte nel 2015 ben 1.663.119 t di mele che rappresentano il 67% del totale italiano. Tale produzione proviene da un’area di coltivazione pari a 28.600 ettari, corrispondente a quasi il 50% dell’area a meleto censita in Italia (Figura 11).

Figura 11 Distribuzione superficie melicola in Italia (da FAOSTAT 2015).

La mela è il frutto italiano più esportato in assoluto ed è anche quello tra i primi quattro (mele, uva da tavola, kiwi e pomodori) a presentare l’incremento in termine di valore più importante dal 2000 con un +227% (Eurostat; Figura 12)). Questa performance è da

0 500000 1000000 1500000 2000000 2500000 3000000 3500000 4000000 4500000 5000000

USA Turchia Polonia Italia India

'60 '70 '80 '90 '00 '13

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26 attribuire principalmente alla diversificazione dei Paesi Extra Ue, che oggi rappresenta il 38% del totale. Dall'analisi su dati Eurostat, elaborati dal Monitor Ortofrutta di Agroter, si evince che dal 2000 al 2015 l'export italiano di mele fresche è incrementato da 264 a 866 milioni di euro.

E’ la diversificazione dei mercati ad aver consentito questo: oltre al potenziamento della Germania, principale destinazione per le mele italiane ad inizio millennio, e di altri Paesi europei, si è assistita all'apertura del mercato nord africano e di quello medio orientale.

Figura 12 Numero di Paesi cui è destinato l'export italiano di mele (da Eurostat 2015).

Dalla Figura 12 appare evidente come il numero di mercati ai quali l’Italia conferisce il prodotto abbia avuto un incremento del 50% nell’arco di tre lustri. Il trend è particolarmente positivo dal 2009 in poi (+ 24%) grazie all’entrata di clienti inediti come la Macedonia, il Ghana, la Costa d’Avorio, la Guinea e l’Indonesia. Nel continente nero il nostro miglior acquirente del 2015 è stato l’Egitto con una quota di export pari al 10%, rivelandosi, di fatto, il secondo principale mercato dopo la Germania.

Dal biennio 2010-2011 al 2014-2015, i consumi domestici di mele tra le famiglie italiane hanno subito un calo dei consumi a quantità del 7%. Da un sondaggio ISMEA del 2006 si sono manifestati i primi sintomi di diminuzione del consumo agroalimentare domestico a causa di un’emancipazione degli stili di vita con pasti veloci, spesso fuori casa, e alla riduzione delle quantità utilizzate pro-capite. Stando alle elaborazioni dal Monitor Ortofrutta di Agroter su dati Osservatorio Ismea-Nielsen, anche nel primo semestre del 2016, continua il trend negativo dei consumi spinto dalla stagnazione generale della grande distribuzione.

Infine si mostra un breve summit sugli andamenti dei costi di produzione delle mele, e dei prezzi di vendita. Nel 2010 il prezzo medio pagato alla produzione per le mele in Italia è stato registrato in 0,404 €/Kg, superiore di quasi l’1% rispetto alla precedente annata

0 50 100 20 00 20 01 20 02 20 03 20 04 20 05 20 06 20 07 20 08 20 09 20 10 20 11 20 12 20 13 20 14 20 15

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27 (EUROSTAT). Tale prezzo non è particolarmente elevato se confrontato con quello degli altri paesi europei, in cui però si riscontrano produzioni minori, inoltre, si evince che, in Polonia il prezzo delle mele è il più basso registrato in Europa, pari a 0,16 €/Kg in forte ripresa rispetto al 2009 (EUROSTAT). Nelle quotazioni della frutta fresca nel 2011 si riscontra una diminuzione generale, a causa anche della maggiore produzione, e per quanto riguarda le mele in Italia si riscontra un aumento dello 0,82% dei prezzi pagati alla produzione rispetto al 2010, riscontrando aumenti maggiori nelle provincie di Ferrara e Verona (ISMEA, 2010). Ne consegue un aumento dei prezzi delle mele superiore rispetto a quello riscontrato alla produzione del 2%, causa una diminuzione del prodotto acquistato (ISMEA 2011). Per quanto concerne i costi di produzione sostenuti per la fornitura della frutta fresca in Italia, risultano principalmente influenzati dall’acquisto di concimi, manodopera e prodotti energetici. Nel terzo trimestre del 2011 tali costi, hanno mostrato un aumento su base congiunturale dello 0,1%, e del 2% se confrontato con i dati del 2010 (ISMEA, 2011), a causa soprattutto dell’incremento delle voci di spesa per l’acquisto di concimi, di prodotti energetici, di antiparassitari e per la remunerazione dei salari e stipendi

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3. Biodiversità in Garfagnana e Lunigiana

3.1 Concetto di biodiversità

Per “biodiversità” o “diversità biologica” s’intende l'insieme di tutte le forme di esseri viventi che popolano la Terra. Si contano oltre 1,7 milioni di specie tra piante, funghi, animali e microorganismi. Essa ha assunto un valore centrale nelle politiche governative durante la Convenzione di Rio de Janeiro sulla Biodiversità (1992), il famoso “Earth Summit”, un evento senza precedenti che ha coinvolto 108 capi di Stato e migliaia di organizzazione indipendenti, tutti mossi dal necessario ridimensionamento delle cause inquinanti l’ambiente. Durante il vertice è stata aggiornata la definizione della parola Biodiversità: “la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi tra l’altro gli ecosistemi terrestri, marini ed altri sistemi acquatici ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell’ambito della specie e tra le specie degli ecosistemi”.

Dal punto di vista economico la biodiversità è come un grande serbatoio da cui l’uomo può attingere per ricavare cibo e prodotti farmaceutici. Questo aiuta a capire meglio l’importanza della conservazione della biodiversità, soprattutto per quanto riguarda l’agrobiodiversità, cioè la diversità delle produzioni agricole, con la grande quantità di varietà di colture e specie animali con caratteristiche nutrizionali specifiche, in razze di bestiame che si sono adattate ad ambienti ostili, negli insetti impollinatori e nei microrganismi che rigenerano il suolo agricolo. L’importanza economica della biodiversità per l’uomo si può riassumere in questi punti (Wilson 1992): la biodiversità offre cibo, raccolti, selvicoltura, bestiame e pesce. Essa ha un’importanza fondamentale per la medicina, tantissime specie di piante sono utilizzate per scopi medicinali sin dall’antichità. Un esempio è il chinino, estratto dell’albero della china (Cinchona calisaya e C. officinalis) che viene impiegato per la lotta contro la malaria. Inoltre, alcuni studiosi ritengono che il 70% delle medicine anti-cancro provenga da piante della foresta tropicale. Sembra che su 250.000 specie di piante conosciute, solo 5.000 siano state studiate per le possibili applicazioni mediche. La biodiversità ha un notevole ruolo anche nell’industria per la produzione di fibre tessili, legno per costruzioni e produzione di energia. Molti prodotti industriali si ottengono grazie alla biodiversità: lubrificanti, profumi, carta, cere, gomme, tutti derivati da piante; ma anche prodotti di origine animale come lana, seta, cuoio, pelli, ecc. La biodiversità è fonte di ricchezza anche nel settore turistico e delle attività ricreative: la natura selvatica e la prese.

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29 3.2 Territori rurali

I territori rurali sono l’insieme di parchi, aree protette, riserve e oasi naturali, zone marginali in cui viene garantita la conservazione della biodiversità. I parchi nazionali ad esempio, sono considerati come università a cielo aperto dalle quali si possono osservare i fenomeni sociologici degli animali o semplicemente ammirare i complessi rapporti di complementarietà nei diversi ecosistemi. In totale i Parchi italiani hanno una ricchezza faunistica di 56.000 specie, un numero maggiore rispetto agli altri paesi europei.

Questi territori, resi sicuri da attività edificatorie abusive o spregiudicate (Legge Galasso del 1985), sono caratterizzate da bassa presenza antropica e da un modesto sviluppo economico fondato prevalentemente sull’agricoltura e sull’allevamento che continua però, ad avere difficoltà di autosostentamento.

Negli ultimi anni dalla strategia “Panaeuropea sulla Diversità Biologica a Paesaggistica” si è avuto in Italia un incremento di queste aree con lo scopo di incentivare un’agricoltura estensiva ed una zootecnia incentrata sull’allevamento di razze autoctone. La gestione di animali domestici e la custodia di flora endemica in questi luoghi dovrebbero rappresentare un faro per gli agricoltori locali o più semplicemente un modello che valorizzi un sistema agrario multifunzionale laddove le caratteristiche socio-politiche economiche e geo-orografiche non consentono l’affermazione di un’agricoltura intensiva (Cosentino, 2014).

3.3 Il germoplasma toscano

Quanto precedentemente detto sulla conservazione e la tutela delle varie componenti biotiche rappresenta uno dei principali obiettivi della Regione Toscana che nel 1997 ha emanato su questo tema la Legge Regionale n.50 (ARSIA 2005) integrata poi nella n.64 “Tutela e valorizzazione del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario, zootecnico e forestale” che rafforza la regolamentazione della custodia delle risorse genetiche locali. Quando si fa cenno alla parola “conservazione” si vuole intendere una serie di provvedimenti che mirano all’evoluzione di una specie o di un gruppo di specie senza essere soggette ad una pressione selettiva insolita da parte dell’uomo; si parla pertanto di “conservazione dinamica” che si oppone al concetto di “c. statica” quando ai genotipi non sono concesse condizioni sufficienti per una naturale evoluzione.

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30 In Italia la prima iniziativa fu avviata nel 1980 dal CNR attraverso il gruppo di lavoro “Difesa delle risorse genetiche delle specie legnose” con lo scopo di promuovere il mantenimento di specie frutticole sul territorio nazionale. A tale gruppo hanno aderito gli Istituti del MiPAF interessati alle specie da frutto e tutti gli Istituti di Coltivazioni Arboree universitari. Il lavoro ha previsto il censimento e la classificazione tassonomica del materiale basati su “descrittori”, la realizzazione di collezioni varietali di più cultivar adattando il concetto stesso di germoplasma ad una “banca genetica del patrimonio varietale frutticolo” (ARSIA 2005). La gestione della banca è affidata all’ARSIA (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'Innovazione del settore Agricolo forestale) la quale nel 2002 ha sottoscritto delle convenzioni con Enti titolari attribuendo loro sovvenzioni per la conservazione delle varietà toscane a rischio estinzione. Nella banca dati sono stipati 452 campioni di seme di varietà, ecotipi, popolazioni autoctone cerealicole e foraggere tradizionalmente coltivate da agricoltori toscani (ARSIA, 1999). Nello specifico il repertorio delle risorse genetiche animali comprende:

 Bovini: Chianina, Maremmana, Garfagnina, Pontremolese, Mucca Pisana, Calvana;

 Equini: Maremmano, Cavallino, di Monterufoli;

 Ovini: Massese, Appenninica, Garfagnina bianca, Pomarancina, Zerasca;  Caprini: Montecristo e Garfagnana;

 Suini: Cinta Senese;

 Asinini: Asino dell’Amiata;

 Api: Apis Mellifera Ligustica toscana

Il repertorio delle risorse genetiche vegetali invece conta di 78 olivi, 13 ciliegi, 23 ortive oltre alle 34 collezioni di germoplasma frutticolo. L’interesse della regione per il mantenimento di biotipi indigeni è stato ereditato dalla famiglia dei Medici, quando nel rinascimento fecero introdurre nei “pomari” delle loro ville numerose qualità di frutta europea (ARSIA, 1999). Sotto l’impulso mediceo sono sorte istituzioni nuove con l’intendo di ripristinare le raccolte del germoplasma frutticolo toscano. Questo database ha fornito le basi per avviare un lavoro di miglioramento genetico attraverso scambi di materiale e informazioni tra i vari organi scientifici e di ricerca nel settore agricolo (Roselli e Mariotti, 1999).

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31 3.4 I coltivatori custodi

Coloro i quali riproducono in campo il materiale salvaguardato presso la Banca del germoplasma sono i cosiddetti “Coltivatori Custodi” di cui l’ARSIA ha istituito un elenco regionale nel 1999 e conta più di 32 componenti. Esso è stato ideato tramite un bando pubblico in cui sono stati ammessi solo i possessori di requisiti specifici quali esperienze in autoriproduzione delle sementi e capacità di gestione agronomica del terreno (ARSIA 1999). La passione, l’attaccamento alla terra d’origine e la cura del patrimonio floristico rappresentano i motivi delle adesioni di molti agricoltori a suddetto elenco. Ai Coltivatori Custodi viene consegnato il seme presente nella Banca sulla base della provenienza dello stesso. In altre parole il criterio fissato dall’Elenco stabilisce che la moltiplicazione della varietà deve avvenire da “agricoltori della zona originaria di prelievo delle sementi” (decreto del Dirigente n.309 del 29 gennaio 1999). Ai Coltivatori aspetta un rimborso spese da parte dell’ARSIA diversificabile secondo le specie coltivate. Le azioni di reintroduzione e diffusione su scale regionale di germoplasma compromesso ha avuto come obbiettivo cardine la creazione di un “museo” botanico in situ, a cielo aperto; una ripopolamento che ha aumentato la presenza numerica di tutte le specie considerate a rischio di erosione genetica.

3.5 La Garfagnana

La Garfagnana è la parte alta della Valle del Serchio, al nord della Toscana, e rappresenta l’emblema del delicato equilibrio tra risorse e presenza antropica dove l’uomo si è impegnato a preservare il territorio dalla distruzione (ARSIA, 2008). La vallata generata dal Serchio e dai suoi affluenti accoglie un contenuto assai naturalistico racchiuso tra la catena montuosa delle Alpi Apuane e l’Appennino Tosco-Emiliano (Figura 13).

Nei piccoli paesi spesso arroccati su impervie colline, la popolazione ha coltivato, nel corso dei secoli, appezzamenti familiari sia per l’autosostentamento sia per la produzione di materiale ad uso medico. Gli agricoltori locali sentono tutt’oggi viscerale il ruolo di veri “custodi” della biodiversità garfagnina e le loro terre rappresentano un indicatore biologico della presenza di varietà antiche ancora idonee alla coltivazione.

Gli orti familiari sono dei veri contenitori di materiale genetico diverso che progredisce e si esprime endemicamente assumendo interesse per la conservazione della variabilità genica.

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32 Figura 13 Lago d'Isola Santa nel cuore della Garfagnana (da garfagnanaepiacentino.myblog).

Gli orti intimamente connessi al paesaggio originano tre livelli di diversità: genetica, agronomica e culturale. L’aspetto culturale si riflette nella conoscenza delle popolazioni locali figlia dell’integrazione tra cultura e ambiente e segno identificativo dei diversi luoghi.

3.6 Lunigiana

Deve il suo nome all’antica città romana di Luni sita alla foce del fiume Magra, dove sorge oggi Sarzana. È una terra che si allarga su tre regioni (Toscana, Emilia-Romagna e Liguria) e prevede una distinzione geografica ben delineata: la Lunigiana interna che comprende l’estensione della valle alta e bassa su cui scorre il fiume Magra; e la Lunigiana esterna in cui rientra la parte inferiore della valle (Figura 14).

L’unità culturale del territorio è legata a quella megalitica delle statuette Stele, oggi racchiuse nel museo di Pontremoli, ritenuta il più importante fenomeno di megalitismo antropomorfo d’Europa.

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33 Figura 14 Estensione della Lunigiana con tutti i suoi comuni.

Ma la storia di questa terra è indissolubilmente legata alle sue caratteristiche geo-orografiche, all’aspetto selvaggio dei suoi confini. E come ogni sito a vocazione spiccatamente naturalistica la Lunigiana è piena di contenuti agro-alimentari di qualità, che in conformità con la rinomata disorganizzazione del settore nel nostro Paese, non hanno consentito all’offerta delle produzioni apuo-lunigianesi di essere presenti sulle tavole di ristoranti, agriturismi o mense locali.

Nel 2007 per far fronte a questa mancanza è sorto “Lunigiana amica”, un motore multifunzionale di promozione di Massa Carrara. L’obiettivo è la pianificazione online delle principali fasi della filiera agroalimentare (produzione, trasformazione e commercializzazione) favorendo la vendita verso canali esteri. Si tratta di un progetto ambizioso dentro cui si è sviluppata una sinergia imponente di 300 imprese agricole, 7 consorzi agroalimentari e 3 associazioni agricole (Coldiretti, Cia, Confcooperative). Fornire un sostegno commerciale cosi ben organizzato ai produttori locali è un obiettivo da cui traspare l’interesse collettivo di crescita economica e soprattutto emergenza dall’anonimato. Fino a questo momento la difficoltosa reperibilità del prodotto in vetrine immediatamente accessibili (ristoranti o punti vendita) è stato un fattore deleterio per l’immagine del luogo condizionando un distacco sensibile in chiave di attrazione turistica (Coldiretti, 2007).

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