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Profili giuridici della convivenza more uxorio

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Academic year: 2021

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INDICE

Premessa

pag. 3

Introduzione (cenni storici)

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1. Profili generali

1.1 Requisiti di rilevanza della convivenza more uxorio 16 1.2 Non sistematicità della disciplina nell’ordinamento interno:

casi nei quali per il legislatore rileva la convivenza 30

2. Tutela e limiti della disciplina sulla convivenza more

uxorio tra pronunce giurisprudenziali disposizioni normative

settoriali e autonomia negoziale

2.1 Tutela interna :

(art. 2034 c.c.; art. 2041 c.c.; contratti di convivenza) 40 2.2 Tutela esterna:

(art. 2043 c.c.; art. 2059 c.c.) 58 2.3 Questioni legate alla pensione di reversibilità 66

3. Il processo di unificazione dello status di figlio

3.1 Dalla Riforma del 1975 sul diritto di famiglia alla l.219/2012 69 3.2 Analisi giuridica della l. 219/2012 72

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4. Novità legislative in tema di Unioni civili e di convivenze

4.1 Precedenti disegni di legge,

in particolare quelli successivi ai Patti civili di solidarietà in Francia 86 4.2 Le novità introdotte dalla l. 20 maggio 2016, n. 76

sulla disciplina delle Unioni civili e delle convivenze 93

Conclusioni 108 Bibliografia 112 Sentenze 116

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Premessa

Con questo lavoro si vuole offrire una panoramica di quella che è stata l’evoluzione giuridica e sociale del concetto di convivenza more uxorio, tenendo conto dei requisiti di rilevanza e delle tecniche interpretative che nel tempo hanno modificato i confini di tale unione.

Si tratta di una situazione di fatto che in seguito alla sua crescente rilevanza sociale è stata ricondotta tra le formazioni sociali protette dall’art.2 Cost., innescando così un processo di giuridicizzazione delle convivenze di fatto. Sono unioni che acquisiscono così, non solo, rilevanza sociale ma giuridica, gravitante però, sempre attorno al tradizionale istituto matrimoniale protetto dall’art. 29 Cost., con i limiti che quest’accostamento comporta.

Si vedrà però, come la refrattarietà del legislatore verso la valorizzazione di queste formazioni, già riconosciute da molti ordinamenti europei, abbia spinto la giurisprudenza a sopperire a tale mancanza, attraverso l’elaborazione di una disciplina frutto d’interpretazioni giurisprudenziali garantiste che valorizzano i diritti fondamentali dell’individuo attraverso l’esaltazione dell’attività contrattuale delle parti verso la privatizzazione del diritto di famiglia. Si approfondiranno i modi e le tecniche elaborate da dottrina e giurisprudenza per colmare le lacune

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giuridiche che hanno prodotto gravi discriminazioni che non sono più accettabili in una società che ha come obiettivo primario la valorizzazione e la protezione della personalità degli individui, sia come singoli sia all’interno delle formazioni sociali, in primis nella famiglia, cellula primigena dello sviluppo della personalità umana, anche alla luce della recente riforma che ha unificato lo status di figlio.

Infine si analizzerà come il legislatore di recente abbia inteso dar risposta alle numerose sollecitazioni, nazionali e internazionali, attraverso una regolamentazione puntuale delle convivenze more uxorio e la creazione di un nuovo istituto di diritto pubblico, simile al matrimonio, volto alla regolamentazione delle coppie dello stesso sesso, che prende il nome di unione civile.

Si esamineranno i tratti distintivi e i profili di criticità di questo intervento normativo che proprio per la delicatezza dell’oggetto in esame è stato oggetto di continui ostruzionismi e frutto di scelte di compromesso.

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CENNI STORICI

Il fenomeno sociale dell’unione tra due persone al di fuori del matrimonio ha origini molto lontane e ha subìto nel tempo una lenta e costante evoluzione, non solo dal punto di vista terminologico, ma anche da quello del sentire sociale.

Prima ancora che si parlasse di “convivenza more uxorio” l’unione libera tra due persone era identificata nel termine “concubinato” dal latino “concubere” ossia “giacere insieme”, inteso come “convivenza di un uomo e una donna, che differisce sia dal matrimonio, sia dalle unioni passeggere”.

Elemento caratterizzante di questo tipo di unione era l’assenza del “conubium”, cioè la mancanza “dell‘affectio maritalis”, che consiste nella volontà continua ed effettiva di essere uniti in un matrimonio legittimo.

Alcune disposizioni normative in materia, che risalgono all’epoca romanistica, attraverso norme di censura, diedero indirettamente origine all’istituto del concubinato.

Tra queste norme sono annoverabili la lex Iulia de adulteris e la lex Iulia et Papia Poppea. La prima legge stabiliva la punibilità di relazioni sessuali fuori dal matrimonio legittimo, andando a configurarsi come adulterium o come stuprum a seconda se la donna era unita in matrimonio

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legittimo o meno, ed elencava alcune categorie di persone con le quali era lecito avere rapporti sessuali senza incorrere in sanzioni penali: schiave, mezzane, attrici, condannate in giudizi pubblici, adultere, meretrici, oscuro loco natae, libertae.

Fra l’altro, per sapere se si trattasse di concubinato o stupro punibile, l’uomo che prendeva come concubina una donna onorata di libera stirpe doveva rendere una dichiarazione formale, non necessaria, invece, se si trattava di una donna di bassa condizione, poiché unendosi con queste donne non sarebbe incorso in pena alcuna.

L’altra legge, invece, vietava per ragioni sociali che si potessero considerare matrimoni legittimi varie unioni coniugali.

In seguito questa formazione sociale continuò ad esistere, ma visse fasi alterne, periodi di assoluta tolleranza, se non addirittura di favore e periodi di totale chiusura.

Chiusura dovuta alla crescente influenza esercitata dalla Chiesa sullo Stato che espresse più volte la propria contrarietà verso le unioni di fatto e di preferenza verso l’istituto matrimoniale, relegando queste formazioni a mere situazioni di fatto connotate da un giudizio di immoralità.

Nel nostro ordinamento, gli stretti rapporti tra Stato e Chiesa, il comune sentire legato ancora ad una concezione tradizionalistica del matrimonio, hanno fatto si che il disvalore morale del concubinato venisse

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espresso sia a livello civile che penale, prevedendo tale fenomeno non solo come causa di separazione con addebito, ma anche come reato punibile con due anni di reclusione, come previsto dal codice penale del 1930 (codice Rocco) sia per il marito che per la concubina , a seguito di querela da parte della moglie.

La seconda fase evolutiva del fenomeno si deve agli interventi della Corte Costituzionale sul finire degli anni 60 che, in un’ottica costituzionalmente orientata, eliminò quelle disposizioni legislative che erano espressione della dimensione collettivistico - patriarcale della famiglia legittima, ancorate a una concezione familiare basata su forti rapporti gerarchici, così come previsto dal codice civile del 1942 e dall’ art. 29 Cost.; nozione rappresentativa di una concezione autoritaria, strumentale anche alla soddisfazione d’interessi pubblici che stridevano fortemente con i principi e le norme gerarchicamente sovraordinate sancite dalla Costituzione. Tra le norme legislative che furono dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Consulta, vi erano l’art 559 c.p. (reato di adulterio) e l’art 560 (reato di concubinato). I giudici della Corte, con sentenze n. 126 del 196815 e n. 147 del 1969,16 ne proclamarono l’incompatibilità con la Costituzione in virtù dell’illegittima discriminazione tra moglie e marito creata dalle predette fattispecie

15 Corte Cost., 16 dicembre 1968 n. 126, in Diritto di famiglia e delle persone (II) fasc.2, 2015, pag. 759. 16 Corte Cost., 3 dicembre 1969 n. 147, in Diritto di famiglia e delle persone (II) fasc.2, 2015, pag.759.

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incriminatrici, superando così la tradizionale concezione patriarcale di famiglia legittima.17

Non si parlò più di concubinato bensì di convivenza more uxorio. Si trattò di una scelta terminologica neutrale e generalista che simboleggiava la nuova fase d’indifferenza e tolleranza da parte dell’ordinamento giuridico, eliminando quel giudizio d’immoralità riservato alle libere unioni, anche in considerazione del fatto che il matrimonio legittimo non era più indissolubile (Legge 1970 n. 898 che introdusse la facoltà di scioglimento del matrimonio) avvicinandosi, per certi versi, alle convivenze fuori dal matrimonio (considerate non assimilabili alla famiglia legittima per la loro intrinseca instabilità).

In questa fase il pensiero prevalente fondava il proprio ragionamento su un’interpretazione letterale dell’art 29 Cost. riconoscendo rilevanza giuridica alla sola famiglia legittima e il corrispondente disinteresse verso altri tipi di organizzazioni familiari non formalizzate.

Questa scelta interpretativa si deve al fatto che la disposizione costituzionale riconosce la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, dichiarando una preferenza per la famiglia legittima ed escludendo conseguentemente ogni tutela a qualsiasi “libera unione”.18

17 G.E. Vaccaro, Il diritto individuale ad avere una famiglia tra il modello familiare tradizionale e le nuove unioni affettive, in Dirirtto di Famiglia e delle Persone (II), fasc.2, 2015, pag. 759. 18 S. Puleo, Concetto di famiglia e rilevanza della famiglia naturale, in Riv. dir. civ., 1979, I, 380 ss., per il quale la formula dell'art. 29 Cost. «esclude sia il riconoscimento della famiglia naturale da cui sorgono vincoli analoghi a quelli che derivano dal matrimonio, ma di natura diversa, sia, ed a maggior ragione, di unioni o famiglie improntate a schemi diversi da quelli del matrimonio, sia infine

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Si trattava di una scelta interpretativa conservatrice che non teneva conto dei cambiamenti sociali e culturali del tempo caratterizzati da forti tendenze individualistiche aperte alla promozione di un pluralismo socio-culturale, tra cui il processo di emancipazione femminile, che portarono al conseguente e tendenziale allontanamento dal tradizionale istituto matrimoniale che vedeva la donna sottomessa al pater familias.

In quel periodo, pur nel silenzio della legge, si assistette a un progressivo aumento delle coppie di fatto che tuttavia, proprio per la loro natura di “mero fatto”, furono considerate irrilevanti nell’ambito della normativa familiare in senso stretto perché privi dei requisiti di rilevanza propri della famiglia legittima. Inoltre, non pochi studiosi19sostenevano che il riconoscimento delle coppie di fatto, attraverso un intervento legislativo, avrebbe determinato un’ingerenza dello Stato nelle sfere private dei conviventi che non solo avrebbe portato alla creazione di un nucleo familiare di seconda classe, ma avrebbe inoltre leso la libertà di scelta dei soggetti nell’optare per un’unione formalizzata o meno.

E’ solo dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 che, ad opera degli interventi della giurisprudenza costituzionale in chiave evolutiva, si

l'ammissibilità nell'ordinamento giuridico di tipi di matrimonio diversi dal matrimonio previsto dalla Costituzione».; Sent. Corte Cost. 7 aprile n. 404 1988. 19 Quadri, Famiglia e ordinamento civile, Torino, 1998, p. 36 ss., il quale si mostra critico sia sull'ipotesi di un intervento legislativo - che rischierebbe di creare una famiglia di serie B - sia sull'attribuzione di uno specifico ruolo di mediazione tra libertà e responsabilità affidato alla giurisprudenza; nonché Trabucchi, Morte della famiglia o famiglie senza famiglia, in Una legislazione per la famiglia di fatto?; per Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 143 ss., la regolamentazione della convivenza può avvenire solo attraverso l'esplicazione dell'autonomia privata.

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inizia a dare una risposta concreta alle istanze della collettività sul piano familiare con il riconoscimento della rilevanza alla convivenza more

uxorio20, intesa come formazione sociale ex art. 2 Cost. che garantisce i

diritti inviolabili dell’uomo anche nelle “formazioni sociali ove l’individuo svolge la sua personalità”. Secondo questa interpretazione, espressa attraverso numerose sentenze della Corte di Cassazione:21le coppie di fatto sono coppie che vivono in un’unione libera avente una certa stabilità e continuità nel tempo, prescindendo dalla presenza di figli, secondo modalità e comportamenti assimilabili a quelli dei coniugi. Deve trattarsi però di rapporto monogamico, non plurimo, tra persone di sesso opposto, in cui vi sia una continuità nell’impegno e un’effettiva, stabile e duratura comunanza di vita materiale e spirituale.

Anche se riconosciuta rilevante, però, secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, la convivenza more uxorio è un’unione che differisce dal matrimonio legittimo e pertanto necessita di una disciplina distinta22. 20 Sent. Corte Cost. n. 237 del 13 novembre 1986 “ per le basi di fondata affezione che li saldano e gli aspetti di solidarietà che ne conseguono, siffatti interessi appaiono meritevoli indubbiamente, nel tessuto delle realtà sociali odierne, di compiuta obiettiva valutazione.” 21 Cass. 2014 n. 1277; Cass. 21 marzo 2013 n. 7214; Cass. 2013 n. 15481; Cass. 16 settembre 2008 n. 23725; Cass. 10 novembre 2006 n. 24056; Cass. 19 giugno 2009 n. 14343; Trib. Bologna 14 maggio 2008. 22 Corte cost. 6 luglio 1994 n. 281, in Famiglia e diritto, 1994, cui segue il commento di M. Dogliotti, Adozione dei minori e famiglia di fatto, 489 ss

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Con la riforma del diritto di famiglia (1975), pur non disciplinando espressamente i rapporti di fatto, l’ordinamento si mostrò più consapevole della realtà sociale del tempo.

Da questo momento in poi muta il rapporto individuo-famiglia. Questo nuovo orientamento vede la famiglia in posizione sottordinata e servente rispetto all’individuo e quindi come entità non avente valore in sé, bensì, in quanto idonea a porsi quale strumento di promozione e crescita della persona. In siffatta prospettiva anche un rapporto di libera convivenza può risultare funzionale agli scopi annunciati e come tale, meritevole di tutela23. Sono proprio di questo periodo molte pronunce di merito intese a estendere la disciplina della famiglia legittima alla famiglia di fatto. Da questo momento in poi s’iniziò a parlare, non più di convivenza more uxorio, bensì di famiglia di fatto.

Fondamentalmente, i principali orientamenti giurisprudenziali del tempo erano due: il primo, che tendeva a estendere analogicamente la disciplina della famiglia legittima a quella di fatto, mentre l’altro orientamento tendeva ad estendere alle famiglie di fatto regole proprie della responsabilità civile, del diritto del lavoro, della locazione e così via, per tutelare insopprimibili valori ed esigenze esistenziali della persona, all’interno della formazione sociale.24

23 V. Scalisi, La «famiglia» e le famiglie, cit., 274 ss.

24 Prosperi F., La famiglia di fatto tra libertà e coercizione giuridica, cit., 302 ss.; Carraro, Comm. alla

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Dal ‘75 in poi, s’innescò un graduale processo di degiuridicizzazione dell’istituto matrimoniale e un corrispondente interesse alle problematiche concernenti le convivenze more uxorio, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei figli fuori dal matrimonio (prevalentemente attraverso interventi giuridici settoriali), tentando di venire incontro ai mutamenti e alle esigenze della società, nonostante le difficoltà nel trovare adeguata regolamentazione ad un fenomeno che presenta interessi molto eterogenei, essendo molto diverse le ragioni e i presupposti che portano due persone a preferire un’ unione di fatto ad un’ unione legittima.

Negli anni a seguire, non pochi furono i tentativi di dare disciplina organica a questo tipo di unioni attraverso la presentazione di numerosi disegni di legge, ma purtroppo ebbero tutti un infausto esito, lasciando queste unioni senza un’adeguata tutela.

Negli ultimi anni, la necessità di dare tutela a queste unioni si è fatta sempre più forte spingendo dottrina e giurisprudenza ad avvallare, oltre all’uso di strumenti giuridici generali come l’arricchimento senza giusta causa, strumenti negoziali tipici e atipici (come i contratti di convivenza), lasciando così nelle mani dei diretti interessati l’organizzazione del rapporto coniugale, seppur con dei limiti imposti dalla legge. Lo strumento negoziale si è rilevato un valido mezzo per la regolamentazione dei rapporti di coppia, rispettoso del diritto di libertà e di scelta dei suoi componenti, ma comunque non sufficiente a tutelare alcuni aspetti e

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momenti del rapporto ( es. divieto dei patti successori) meritevoli di tutela.

Notevoli passi avanti sono stati recentemente fatti dal legislatore che, con la L. n. 219 del 2012 e con il d.lgs. 2013 n. 154, che, considerando irrilevante il matrimonio riguardo lo stato di figlio, equipara a tutti gli effetti figli legittimi e figli naturali.

Così facendo non solo si vanno a tutelare i figli nati da coppie di fatto, ma indirettamente si vanno ad aumentare le tutele nei confronti delle coppie conviventi con figli, sintomo di un tendenziale e necessario avvicinamento dei vari modelli familiari, almeno per quanto riguarda la tutela dei diritti e dei valori insopprimibili della persona, seppur con strumenti diversi, nonostante la disposizione sia volta a regolare solo il rapporto in senso verticale e non orizzontale.

A ben vedere, quindi, fino a tempi molto recenti, le coppie di fatto godevano sicuramente di maggiori forme di tutela rispetto al passato, però, nonostante la somiglianza con la famiglia legittima, non trovavano protezione nelle stesse disposizioni normative, bensì attraverso strumenti giuridici generali: azioni possessorie, arricchimento senza giusta causa, risarcimento del danno ecc. Pertanto, si può dire che un ruolo importante è stato svolto dalla giurisprudenza che, attraverso numerose pronunce,25è riuscita nonostante la non applicabilità delle norme sulla famiglia

25 Sent. Cost. del 7 aprile 1988 n. 404 ; Cass. 28 marzo 1994 n. 2988, in Giust. civ., 1994, I, 1849 ss.;

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legittima, a garantire una tutela minima alle famiglie di fatto grazie all’utilizzo di strumenti giuridici generali già presenti nel nostro ordinamento.

Rispetto all’esperienza italiana, i legislatori e la giurisprudenza dei nostri partners europei si sono mostrati più sensibili e recettivi alle richieste della collettività e alle sollecitazioni degli organi comunitari,26tant’è che, a oggi, quasi tutti i Paesi europei sono riusciti a produrre una disciplina organica delle convivenze more uxorio, almeno per quanto riguarda quelle eterosessuali, relegando, in alcuni casi, la discussione solo alle unioni omosessuali.

Alcuni Paesi hanno addirittura introdotto l’istituto del matrimonio omosessuale (es.Olanda, Belgio, Spagna), poiché considerata discriminatoria la preclusione alle coppie omosessuali delle tutele riservate alle coppie sposate. Tutele, che sono demandate alla protezione e alla promozione della personalità dell’individuo all’interno del nucleo familiare.

In tempi recenti la crescente rilevanza delle famiglie di fatto ha indotto la Corte Cost. a esortare attraverso numerose pronunce il legislatore affinché si adoperi per dare una disciplina organica alle famiglie di fatto.

26 Sent. CEDU, n. 13102.02/2010- e gli artt. 9 e 21 Carta di Nizza

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Dopo numerosi tentativi e solleciti, con legge n.76/2016 è data finalmente disciplina, seppur con certi limiti, sia alle convivenze more uxorio (etero e omosessuali), sia le unioni civili (nuovo istituto riservato alle persone dello stesso sesso che imita l’istituzione matrimoniale), per la cui trattazione si rimanda però ai capitoli successivi.

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CAPITOLO 1

1 Profili generali

1.1 Requisiti di rilevanza della convivenza more uxorio

Come precedentemente anticipato, l’evoluzione delle relazioni interpersonali di tipo familiare ha incontrato non pochi ostacoli, sia legislativi che ideologici.

Questi ostacoli erano e sono tuttora ricollegabili prevalentemente all’influenza che la cultura cattolica esercita sul nostro ordinamento sulle scelte di carattere etico-morali, soprattutto in ambito familiare.

Secondo questa impostazione è configurabile come famiglia quell’unione affettiva tra un uomo e una donna che, attraverso un atto formale (matrimonio), danno vita a una comunione di vita materiale e spirituale finalizzata alla procreazione. Per molto tempo quindi, questa fu l’unica forma di unione familiare accettata e disciplinata dal nostro ordinamento, almeno fino ad oggi, a seguito della recente approvazione del d.d.l Cirinnà che ha finalmente regolamentato le convivenze fuori dal matrimonio anche tra persone dello stesso sesso, ed ha creato un nuovo istituto simile al matrimonio riservato alle coppie dello stesso sesso, ponendo fine a discriminazioni che andavano avanti da fin troppo tempo. L’unione matrimoniale trova puntuale disciplina all’interno del nostro ordinamento dal Codice Civile 1942, che dedica molti articoli alla

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regolamentazione del matrimonio e della famiglia, e dalla Costituzione che nell’ art. 29 disciplina la famiglia come “ società naturale fondata sul matrimonio”.

Per quanto riguarda tutte le altre unioni fuori dal matrimonio, il nostro ordinamento le relegava a situazioni di mero fatto e, in quanto tali, consentite, poiché secondo una semplice considerazione giuridica generale “tutto ciò che non è vietato è consentito” ma, allo stesso tempo, irrilevanti per l’ordinamento perché caratterizzate dall’assenza dell’atto matrimoniale che garantisse la certezza e stabilità del rapporto.

Questa “irrilevanza” viene meno con la L. 1 dicembre 1970, n. 898 e con la riforma del diritto di famiglia realizzata con L. 19 maggio 1975, n. 151. Con questa riforma e conseguentemente con il venir meno della indissolubilità del matrimonio, non si dà riconoscimento giuridico alle unioni di fatto, ma si perde in parte quella supremazia, rispetto alle altre unioni, che era riconosciuta all’unione matrimoniale in forza della sua caratteristica primaria rappresentata dalla stabilità del rapporto. La venuta meno dell’indissolubilità del matrimonio avvicina quindi i due tipi di rapporto, quello legittimo e quello di fatto. S’inizia a parlare di convivenza more uxorio, intesa come l’unione di un uomo e di una donna di stato libero, anche se, in astratto, potrebbe trattarsi anche di soggetti ancora legati dal vincolo matrimoniale, per es. separati, che pur concretizzandosi in comportamenti assimilabili a quelli dei coniugi, si

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distinguono da essi per la mancanza dell’elemento formale della celebrazione del matrimonio (art.106 cc.), o perché fondata su un atto formale non rilevante per l’ordinamento giuridico ( es. matrimonio con rito cattolico non trascritto nei registri dello stato civile come prescritto dall’ art. 5 della legge del 27 maggio 1929, n. 847 modificato dalla L. 25 marzo 1985, n. 121.

In seguito, la giurisprudenza riconosce tutela costituzionale della convivenza fuori dal matrimonio nell’art. 2 Cost. statuendo che: “un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare costituzionalmente irrilevante, quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento

delle formazioni sociali e alle intrinseche manifestazioni solidaristiche”27.

Pronuncia che ha manifestato la necessità di tutela dei figli nati fuori dal matrimonio, ma anche della posizione dei conviventi, in quanto soggetti che hanno dato vita ad un rapporto paraconiugale.

La lettera dell’art. 2 Cost. va però intesa come clausola aperta e considerata sotto un duplice profilo e cioè come espressione dell’esercizio di un diritto fondamentale di libertà della persona di operare la propria scelta fra modello familiare legalizzato e non legalizzato, sia come formazione sociale atta a favorire lo svolgimento della personalità dei singoli componenti del gruppo28.

27 Corte Cost., 13 novembre 1986, n.237, in Foro it. 1987.

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Una volta individuata la fonte di tutela di queste unioni, bisogna individuare i limiti che escludono, ponendosi in contrasto con l’ordinamento sia a livello di fonte gerarchicamente superiore che a livello di legislazione ordinaria, la tutela, dando luogo a una struttura familiare giuridicamente qualificata in negativo. Tra i limiti presenti nel nostro ordinamento vi erano tutte quelle unioni familiari costituitesi in contrasto con la famiglia legittima, poiché in un’ottica tradizionalista, qualsiasi unione fuori dal matrimonio era potenzialmente una minaccia all’unità e all’indissolubilità del matrimonio e per questo contrari all’ordine pubblico e al buon costume.

Introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del divorzio e con la riforma del diritto di famiglia, l’attenzione si sposta verso i rapporti fra genitori e figli rafforzando gli obblighi in capo ai genitori, siano essi naturali o legittimi. Viene meno quindi la necessità di porre le unioni non matrimoniali in contrasto con le unioni legittime, anzi la tendenza è quella di disciplinare queste unioni per tutelare in primis i figli e la parte debole della relazione, senza mai porre però le due unioni sullo stesso piano giuridico, ritenendo la famiglia legittima comunque privilegiata29rispetto alle altre unioni in base all’art. 29 Cost. Tra i limiti imposti dall’ordinamento alla formazione di un’unione fuori dal matrimonio, vi sono quelli ricollegabili al sentire comune e agli usi presenti in una

29 Sul Favor matrimonii emergente dagli artt.29, 30 e 31 Cost. v. F. D’Angeli, La famigla di fatto, cit.,

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determinata società in un determinato contesto storico. Poiché, in potenza, qualsiasi unione, fondata sull’affectio e sulla stabilità del rapporto, volta alla promozione e allo sviluppo della personalità dell’individuo, non incontrerebbe alcun limite. Tenuto conto però della ormai residuale funzione pubblicistica riservata alla famiglia, l’ordinamento ha posto come limite la formazione di una convivenza incestuosa e pertanto, sanzionata penalmente dall’Art. 564 c.p.. Stesso discorso vale per gli interdetti, i minori di età e infine le persone dello stesso sesso, anche se, per quest’ultimo tipo di unione, si è arrivati ad una sorta di riconoscimento implicito da parte della giurisprudenza sulle scorte delle numerose sollecitazioni da parte di organismi sovranazionali, in particolare da quelli comunitari.

Si può dire quindi che fino a tempi recenti la Costituzione ha riconosciuto rilevanza e tutela a quelle formazioni sociali volte a promuovere lo sviluppo della persona e che avessero caratteristiche simili all’unione familiare legittima desumibili dall’Art. 29 Cost. formatesi entro i limiti predetti(unione monogamica eterosessuale di tipo familiare).

La tutela privilegiata riconosciuta alla famiglia legittima va però intesa come un’esclusività di disciplina e non una esclusività di tutela, escludendo così l’applicazione analogica della normativa riservata alla

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famiglia legittima.30Questa impostazione del problema ha indotto la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria a prevedere una necessaria differenziazione della regolamentazione giuridica dei due nuclei familiari. A tal riguardo, la dottrina, sull’interpretazione del dato costituzionale, si è orientata su due distinti orientamenti: il primo riconosce solo un tipo di famiglia quella, appunto, fondata sul matrimonio, l’altro, pur riconoscendo il valore centrale della famiglia legittima, ritiene possano rientrare nel concetto di “società naturale” anche modelli familiari diversi.31 Elemento caratterizzante della convivenza more uxorio è vivere in una comunione materiale e spirituale costruita a imitazione del matrimonio32.

Adesso, quindi, l’analisi giuridica del fenomeno familiare degli interpreti, parte dall’interpretazione delle norme sancite dalla Costituzione a tutela dei diritti inviolabili sanciti dall’art.2 Cost., per poi analizzare le disposizioni legislative speciali di rango inferiore attraverso un’analisi

30 Bernardini De Pace A.M., convivenza e famiglia di fatto.Ricognizione del tema nella dottrina e nella giurisprudenza, in Moscati E e Zoppini A. ( a cura di),i contratti di convivenza, Giappichelli, Torino 2002, p. 229 31 Dogliotti, Famiglia di fatto, in Dig. disc. priv., sez. civ., VIII, Torino, 1992, 705; Franceschelli, La famiglia di fatto da deviant phenomenon a istituzione sociale, 1980, 1257; Giacobbe G., Intervento, in Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988; Rescigno, La comunità familiare come formazione sociale, in Rapporti personali nella famiglia. Incontro di studio e documentazione per i magistrati (Camerino 6-12 maggio 1979), Quaderni del CSM, 1980.

32 Cass 23 aprile 1966 n. 1041,Mariafrancesca Cocuccio, Convivenza e famiglia di fatto:problematiche e

prospettive, Dir. Famiglia, fasc.2,2009,pag. 908 “la convivenza more uxorio si concreta in quella

consuetudine di vita comune fra due persone di sesso diverso, che abbia il requisito subiettivo del trattamento reciproco delle persone analogo, per contenuto e forma, a quello normalmente nascente dal vincolo coniugale e che abbia, altresì, il requisito oggettivo della notorietà esterna del rapporto stesso quale rapporto coniugale, inteso non in senso assoluto, ma in relazione alle condizioni sociali ed al cerchio di relazioni dei conviventi, anche se sempre con un certo carattere di stabilita”.

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costituzionalmente orientata del testo. Si tratta di un approccio al problema relativamente moderno, poiché, fino a tempi recenti, l’analisi delle norme a protezione della famiglia di fatto partiva dall’interpretazione delle norme speciali sulla famiglia legittima, disciplinate nel codice civile del 1942, considerando la famiglia tradizionale come modello di riferimento, per poi interpretare in combinato disposto quelle disposizioni costituzionali (artt. 2; 29; 30; cost.) che invece, ad un’attenta analisi sembrerebbero prodromiche, nonché gerarchicamente superiori rispetto a quelle prese in considerazione in precedenza.

Pertanto, sembrerebbe più corretto applicare quest’ultimo

orientamento poiché maggiormente idoneo a un’analisi

costituzionalmente orientata in chiave evolutiva del fenomeno in esame. In questa nuova ottica, quindi, l’analisi del fenomeno non parte più dal concetto di famiglia, che ormai ha perso la sua funzione e dimensione pubblicistica, ma dalla persona, sia come singolo che come membro di una formazione sociale. La famiglia è vista come formazione sociale naturale strumentale alla crescita e alla valorizzazione della personalità dell’individuo. Secondo questa interpretazione quindi, la famiglia, per poter svolgere la propria funzione “strumentale” rispetto alla persona, non può avere una struttura rigida perché risulterebbe poco adatta al raggiungimento del suo scopo, mentre una struttura più “fluida”,

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realizzabile attraverso un potenziamento dell’autonomia contrattuale, risulterebbe molto più efficace per il perseguimento degli obbiettivi prefissati dalla Costituzione.33

Questa nuova visione, costituzionalmente orientata, presupporrebbe quindi un pluralismo familiare, anche se, come abbiamo visto, incontra il limite interpretativo espresso dall’art.29 Cost. che attribuisce lo status di famiglia, come società naturale, alla sola unione legittima.

Una volta definita la possibilità di un pluralismo familiare finalizzato alla promozione della personalità degli individui, a seguito di una crescente rilevanza dei diritti fondamentali dell’ individuo, probabilmente ricollegabile ai grandi mutamenti socio-economici avuti negli ultimi 30 anni e agli interventi in chiave evolutiva della giurisprudenza, occorre definire il modo in cui si intende disciplinare questa molteplicità di unioni familiari.

Semplificando, si può dire che sono stati presi in considerazione tre modelli principali di riconoscimento delle famiglie di fatto. Il primo modello prevede l’introduzione di una disciplina legislativa autonoma per regolare le convivenze che presentano alcuni requisiti predeterminati dalla legge. Si avrebbe così una tutela uniforme di tutti coloro che si trovano in una stessa condizione, a prescindere dalla volontà contraria di chi non si è sposato perché intende sottrarsi ad ogni ingerenza dell’ordinamento nel

33 Cass. civ. 8 giugno 1993 n. 6381 in Corriere giuridico, 1993, 947 ss

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proprio legame, limitando la libertà di scelta delle parti, ma con l’intento, d’altra parte, di disciplinare e tutelare i rapporti tra conviventi e terzi, tra conviventi e Stato e in seconda battuta di tutelare la parte debole del rapporto.34

La seconda ipotesi è la tipizzazione legislativa di un tipo di contratto ad hoc, il cosiddetto contratto di convivenza avente per oggetto la disciplina dei rapporti patrimoniali e personali (salvo i diritti personali indisponibili) che comporta il vivere in comune. In questo modo si supererebbe la situazione in cui i conviventi more uxorio possono, in base al principio di atipicità contrattuale di cui all’art 1322 c.c., regolamentare in modo frammentario solo singoli aspetti del loro rapporto, ma non definire adeguatamente per il futuro la globalità dei rapporti sia economici, sia di relazione. Infatti, oltre all’impossibilità di disciplinare i diritti personali indisponibili, lo strumento contrattuale atipico trova il suo limite nel fatto che esso non produce effetti all’esterno del rapporto e di conseguenza non produce effetti nei confronti dei terzi vista la carenza di pubblicità degli accordi presi.

La terza ipotesi invece prevede l’istituzione di un registro delle unioni civili, costituente l’anagrafe delle famiglie di fatto, che consente a chi chiede di iscriversi di godere di uno status paraconiugale e a chi invece vuole vivere il proprio rapporto in modo del tutto informale, di non

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assumere degli obblighi. Modello che grazie proprio all’istituzione dell’anagrafe sarebbe in grado di garantire un sufficiente grado di pubblicità, tale da poter assicurare un adeguato livello di stabilità e certezza del rapporto instaurato. Tant’è che per tentare di dare riconoscimento alle unioni di fatto, alcuni Comuni, tra i quali uno dei primi è stato il Comune di Pisa, ma anche Arezzo e Bologna, hanno istituito dei registri delle coppie di fatto agevolati dalla legge che ha fatto venir meno per le delibere comunali senza spese la necessità dell’approvazione da parte del Co.re.co, anche se tali registri oltre alla pubblicità non sono in grado di produrre effetti ulteriori all’attestazione della coabitazione, requisito, fra l’atro né sufficiente né necessario ad attestare la sussistenza di un rapporto di convivenza stabile.

Per quanto riguarda la nozione di famiglia di fatto, si può dire che essa sia stata delineata dalla giurisprudenza,almeno fino a tempi recenti, in termini univoci. L'espressione indicava quelle forme di <<convivenza fra persone di sesso diverso che si caratterizzano, sul piano soggettivo, per la sussistenza di un vincolo affettivo analogo a quello sussistente fra due coniugi e su, quello oggettivo, per la visibilità esterna e la stabilità del vincolo>>. In altre parole, pur in assenza dell'elemento formale, devono sussistere tutti gli elementi sostanziali del matrimonio. Infatti, in dottrina la famiglia di fatto viene vista, per molto tempo, come speculare alla famiglia legittima. Anche se l’attuale dibattito politico e dottrinale ha

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messo recentemente in crisi questa concezione su spinta di organi nazionali e sovranazionali che hanno criticato tale concezione a causa degli effetti discriminatori che scaturivano a danno delle persone dello stesso sesso, anch’esse titolari del diritto a vivere una vita di coppia, secondo quanto stabilito dagli artt. 2 e 3 Cost.

Le proposte di riconoscimento delle unioni di fatto tendono, infatti, ad andare oltre, conferendo rilievo giuridico a qualunque forma di convivenza anche se non per tutte le finalità e comunque solo se dotate di alcune caratteristiche necessarie per essere considerate rilevanti per l’ordinamento. Orientamento confermato anche dalla giurisprudenza, che ha evidenziato volta per volta la rilevanza di profili specifici, ritenendo che per trattarsi di famiglia di fatto, questa debba essere inequivoca,

stabile, serena e duratura.35

La Cassazione36ha affermato esplicitamente che la famiglia di fatto ha soppiantato la convivenza more uxorio, in sintonia con l’attuale costume caratterizzato da una serie di valori tra i quali la solidarietà, di spessore più ampio di quella di cui era portatrice la convivenza come

35 Dogliotti, Famiglia di fatto, voce del dig. disc. priv., Sez. civ., VIII, Torino, 1992, 188. La Corte di Cassazione ha precisato di recente che non è ravvisabile “ l’elemento oggettivo costituito dalla sussistenza del rapporto familiare” nel caso delle coppie del “week end”, specie se composte da un lui o una lei che mantengono “ una propria sfera di abitudini e di relazioni”. A tal proposito, cfr. Cass.pen.,sez. IV, 15 marzo 1989, in Cass. Pen.,1991,I,1997,ove si afferma che deve considerarsi famiglia “ogni consorzio di persone tra le quali intercorra un legame di relazioni continuative e di consuetudine di vita affini a quelli di una normale famiglia legittima”; eTrib., Firenze, 11 agosto 1986, in dir. Eccl. 1989,II,367, ove si afferma che il rapporto di convivenza more uxorio non può ridursi ad una mera coabitazione. 36 Cass. civ.,sez.,I, 4 aprile1998,n. 3503, in foro.it.,1998, I,2154; Fam. dir.,1998,333.

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coniugi, e che possono trovare rilievo solo in una famiglia, ancorché di fatto.

Spesso, infatti, la disciplina sulla famiglia legittima costituisce il filtro normativo per interpretare lo stato di convivenza, inteso come comunione materiale e spirituale di vita tra soggetti di sesso diverso. Tuttavia questa impostazione risulta restrittiva, soprattutto in una società pluralistica ed eterogenea tesa alla promozione della personalità degli individui, poiché la convivenza paraconiugale (o more uxorio) non esaurisce le ipotesi in cui, all’esterno della famiglia legittima, può configurarsi una convivenza.

Quindi, fino a poco tempo fa, la coppia di fatto costituiva un interrogativo a cui il nostro ordinamento pareva non voler offrire risposta certa e sistematica, nonostante le prese di posizione degli organi sovranazionali (es. l’art 8 della Cedu, l’art.7 della Carta dei diritti dell’unione europea) volte a riconoscere la prerogativa individuale di creare una famiglia che abbia caratteristiche diverse da quelle previste per la famiglia fondata sul matrimonio. O dall’art.9 della Carta di Nizza secondo il quale<< si riconosce rilevanza alla coppia e alla famiglia al di

fuori del matrimonio>> o l’art.21 della Carta di Nizza37contro le

discriminazioni, oltre ai richiami diretti e indiretti rivolti al nostro Paese

37 Art.21 Carta di Nizza<<è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso,

la razza, il colore della pelle, o l’origine etnica e sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale>>.

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dall’Unione europea. Tra questi ultimi è annoverabile la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 marzo del 2000 con cui il Parlamento ha chiesto agli Stati membri di<<garantire alle famiglie monoparentali alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di dignità rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali>>con riferimento ai profili fiscali, patrimoniali e ai diritti sociali; la Direttiva 2004/38/CE, la cui mancata attuazione sotto il profilo del diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, anche con riferimento alle coppie di fatto e alle coppie registrate, ha originato la procedura d’infrazione 2011/2053 nei confronti dell’Italia. A tale procedura si è poi posto rimedio con l’art.1 della legge europea 2013(legge 6 agosto 2012, n.97).Anche se, grazie alla recente legge sulla filiazione, sembrerebbe si stiano facendo dei passi avanti, poiché, ponendo fine ad una discriminazione anacronistica e incongruente rispetto all’elevato grado di maturità giuridica del nostro ordinamento, potrebbe porsi come base giuridica e culturale per l’affermazione del diritto alla“ legittima” e “legale” costituzione di una famiglia anche al di fuori del matrimonio38. Oggi grazie agli interventi della dottrina e della giurisprudenza, attraverso l’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 2; 29; 3 Cost., si è riusciti, nonostante i non pochi sforzi, a

38 Del resto,<<l’argomento della filiazione è , in sostanza, il motore che ha determinato il processo di

regolamentazione della famiglia di fatto e l’emersione di essa dalla sfera del giuridicamente irrilevante>>, come ricorda B. De Filippis, il diritto di famiglia. Leggi, prassi e giurisprudenza, Milano,

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riconoscere un diritto individuale ad avere una famiglia, poiché, affermata la tutela dei diritti all’interno delle formazioni sociali non può escludersi la tutela della famiglia in quanto formazione sociale primaria in cui si sviluppa la personalità degli individui che ne fanno parte.

Per quanto riguarda le unioni omosessuali, la giurisprudenza costituzionale ne ha recentemente riconosciuto il diritto a vivere liberamente in una condizione di coppia.39 Sentenza che inoltre chiama in causa il legislatore, come unica figura in grado di porre fine a discriminazioni che ormai vanno avanti da troppo tempo, affinché provveda, attraverso un provvedimento legislativo, a garantire i diritti fondamentali delle coppie fuori dal matrimonio. Intervento che si è avuto solo di recente dopo vani tentativi, che per l’appunto va a regolamentare le coppie di fatto e le unioni civili tra persone dello stesso sesso( l. 76/2016).

1.2 Non sistematicità della disciplina nell’ordinamento interno: casi nei quali per il legislatore rileva la convivenza

Come si è visto in precedenza, la coppia di fatto assume rilevanza per il nostro ordinamento sul fondamento dell’art. 2 Cost. e quindi il

39 Corte Cost. 2014 n. 170 “Al riguardo questa Corte ha già avuto modo di affermare, nella richiamata sentenza n. 138 del 2010, che nella nozione di “formazione sociale” — nel quadro della quale l'art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo — è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone — nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge — il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.

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riconoscimento da un lato delle formazioni sociali (tra cui la famiglia) ove si svolge la personalità dell’individuo, dall’altro lato, il riconoscimento dei diritti fondamentali che all’interno di tali formazioni si sviluppano.

Nella coppia di fatto la stabilità e l’affidabilità del rapporto sono date dal reciproco consenso “ che si rinnova continuamente e rappresenta il

fondamento e il limite del rapporto stesso”.40

Se per molto tempo si è esclusa l’applicabilità alle coppie di fatto delle norme riservate alla famiglia legittima a causa della carenza dei requisiti di stabilità e affidabilità, oggi in forza del riconoscimento in base all’art. 2 Cost., anche per le coppie di fatto, nascono, in presenza in concreto di requisiti di stabilità, diritti-doveri di assistenza morale e materiale. A riguardo è il caso di richiamare la recente sentenza Cass. 20 giugno 2013 n.15481 in tema di risarcibilità del reato di violazione degli obblighi familiari all’interno della coppia di fatto.

Da quanto esposto sembrerebbe non potersi ammettere in via generale un obbligo di assistenza morale e materiale in capo ai componenti della coppia di fatto, ma pare potersi configurare in presenza di determinate situazioni concrete, in considerazione della durata e della stabilità del rapporto, la nascita di diritti e obblighi di assistenza.

Per molto tempo, la mancanza di un riconoscimento dei diritti e obblighi in capo alle coppie di fatto ha indotto la giurisprudenza,

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attraverso sentenze interpretative o manipolative, ad estendere ai conviventi norme a protezione di diritti fondamentali dell’individuo. Tra le pronunce più significative vi è la sent. Cost. 7 aprile n. 404/1988 che ha riconosciuto l’incostituzionalità dell’art. 6 1° comma della l. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui non prevedeva il diritto a succedere nel contratto di locazione, tanto per l’ipotesi di decesso del convivente intestatario del contratto quanto nell’ipotesi di cessazione della convivenza per crisi, ove vi siano figli. Il principio interpretativo su cui si basa la sentenza è quello del diritto fondamentale all’abitazione. A riguardo, una recente sentenza, la sent. Cass. 21 marzo 2013 n.7214, ha statuito che il convivente pur non proprietario dell’immobile adibito ad abitazione della coppia, non può ritenersi mero ospite, ma è titolare di una posizione di detenzione autonoma, che deve essere tutelata ad esempio in ipotesi di scioglimento della convivenza, riconoscendo la possibilità di esperire la tutela possessoria, con adeguata tutela della parte debole del rapporto.

Questa situazione di vuoto legislativo ha, infatti, indotto parte della giurisprudenza, mossa dalle sempre più pressanti e numerose istanze da parte di quelle coppie di fatto che chiedono tutela, ad applicare alle convivenze more uxorio strumenti giuridici generali (regole proprie della responsabilità civile, diritto del lavoro ecc.) a tutela d’insopprimibili valori ed esigenze esistenziali della persona; altra parte della

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giurisprudenza invece, ha cercato di estendere analogicamente norme proprie della famiglia legittima. Tra le pronunce del primo tipo vi è la Sent. Corte Cost. N. 404/88, che sul presupposto della rilevanza costituzionale della famiglia di fatto, ha esteso al convivente more uxorio l'art. 6 l. n. 392 del 197841. Particolare rilievo hanno avuto anche le decisioni che hanno ammesso la costituzione di parte civile del coniuge di fatto della vittima, ritenuto titolare di un vero e proprio diritto al risarcimento del danno a tutela della situazione patrimoniale e morale

del superstite42. Tra le sentenze che hanno cercato di estendere norme dettate per la famiglia legale vi sono anche quelle che si interessano della qualificazione giuridica dell’attività di lavoro svolta dal convivente, sia nella famiglia, che nell’impresa familiare.43 Con orientamenti non sempre conformi i giudici hanno ritenuto, a volte, coperta da presunzione di gratuità l'attività di lavoro svolta dalla donna convivente nell'ambito della

41 di Paola Lovati e Rebecca Rigon, La coppia e la famiglia i fatto dopo la riforma della filiazione, pag.19, Giappichelli editore 42 Corte Cost. 14 luglio 1986 n.184; corte Cost. nn. 8827 e8828/2003. 43 Favorevoli all'analogia, F. Prosperi, Impresa familiare, art. 230 bis, in Il cod. civ. comm, fond. da Schlesinger, a cura di Busnelli, Milano, 2006, 179; L. Balestra, Attività d'impresa e rapporti familiari, in Tratt. teor. prat. di dir. priv., a cura di Alpa e Patti, Padova, 2009, 214. In giurisprudenza, Cass. 15 marzo 2006 n. 5632, in Fam. pers. succ., 2006, 995 ss.; Trib. Ivrea 30 settembre 1981, in Riv. dir. agr., 1983, II, 463; Trib. Torino 24, novembre, 1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 574. È, invece, contraria la giurisprudenza maggioritaria Cass. 2 maggio 1994 n. 4204, in Foro it., 1995, I, 1935 ss.; Cass. 19 dicembre 1994 n. 10927, in Informazione prev., 1994, 1502 ss.; Cass. 29 novembre 2004 n. 22405, in Rep. Foro it., 2004, Famiglia (regime patrimoniale), n. 77, 1182 La dottrina ha, poi, sostenuto che, in virtù dell'insuperabilità dell'elencazione effettuata nella disposizione e della diversità strutturale tra la famiglia fondata sul matrimonio e la famiglia di fatto, non è possibile riscontrare nessuno spiraglio per l'operare dell'analogia, posto che il silenzio del legislatore non determina una lacuna ma, piuttosto, una tecnica di disciplina. Il convivente può, però, trovare tutela con l'esercizio dell'azione di arricchimento senza causa, cfr. G. Di Rosa, Impresa familiare, in Comm. cod. civ., dir. da E. Gabrielli, artt. 177- 342-ter, a cura di L. Balestra, 384 e 387.

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famiglia di fatto, sia pure subordinatamente alla ricorrenza di alcuni presupposti, quali una comunanza di vita spirituale e materiale ed un'equa ed effettiva partecipazione della convivente medesima alle risorse della famiglia di fatto; altre volte, hanno cercato di assimilare il convivente al coniuge nell'impresa familiare. In un primo momento una sentenza della Suprema Corte ha negato tale equiparabilità44,successivamente la Corte di Cassazione invece ha ritenuto applicabile la disciplina sull’impresa familiare ex art. 230 bis c.c. con sent. del 15 marzo 2006 n. 5632, nonostante la dottrina maggioritaria fosse contraria all’applicazione analogica del predetto articolo del codice civile.

Oltre agli interventi da parte della giurisprudenza si è assistito all’introduzione di una disciplina legislativa, si potrebbe definire “indiretta”, settoriale e frammentaria, che tutela volta per volta singoli diritti e aspetti della convivenza fuori dal matrimonio, inquadrati però, come diritti a protezione della persona facente parte della formazione sociale e non a protezione di una formazione sociale di tipo familiare vera e propria. Tra i principali interventi menzionabili si pensi alle disposizioni sugli assegni familiari; alla tutela della maternità (art.31 Cost.; l. 29 giugno 1975 n.405, e l. n.485 del 1981 sui consultori familiari che inseriscono tra gli aventi diritto ai servizi assistenziali, accanto ai singoli e

44 Cass. 2 maggio 1994 n. 4204, in Jus, 1994, n. 17, 22 ss.: esclude l'equiparabilità tra convivente e

coniuge nell'impresa familiare, e per esteso in Famiglia e diritto, 1994, n. 5, 514 ss., con nota di L. Giorgianni, Convivenza more uxorio e impresa familiare.

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alle famiglie, anche le “coppie”; la l. 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza, nella parte in cui si prevede che il padre del concepito, a prescindere da un vincolo di coniugio con la madre e quindi anche come convivente, è destinatario, insieme alla madre, dell’assistenza e informazione fornita dai consultori, soprattutto nelle ipotesi in cui l’interruzione sia determinata da ragioni economiche (art. 5). Oltre a questi interventi legislativi vi sono quelli che introducono le misure di controllo e d’imposizione in vista di un’equa distribuzione degli oneri sociali(c.d. legislazione fiscale, oppure quelli volti a tutelare la persona con riferimento ai valori fondati sull’affectio familiaris,45 ad esempio al D.lt 27 ottobre 1918 n. 1726, in materia di pensioni di guerra, che parifica alla vedova la donna che non abbia contratto matrimonio con il militare deceduto entro tre mesi dalla data della procura o della dichiarazione di contrarre matrimonio; nella stessa materia si ricorda l’art. 20, comma 1, l. 6 ottobre n. 656.

Tra gli interventi legislativi più recenti vi è l’art. 342 bis c.c., introdotto con L. 154/2001, in cui si prevede che il giudice possa disporre “ ordini di protezione contro gli abusi familiari” a tutela dell’ambiente

familiare, tra cui l’allontanamento dalla casa familiare, “quando la

condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio

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all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”.

Sempre su questa linea sono inquadrabili altri interventi legislativi in materia penale ad esempio nella norma ex art. 61, n. 11, c.p., che identifica un’aggravante del reato nell’aver commesso il fatto “con

l’abuso di relazioni domestiche”.46

Stesso discorso vale per la L. n. 66/1996 sulla violenza sessuale, la quale attribuisce rilevanza alle relazioni di convivenza sia al fine di qualificare come “presunta” la violenza compiuta ai danni di un minore (art. 609 quater c.p.), sia ai fini della procedibilità d’ufficio (art.609 septies c.p.).

Altro campo per cui il legislatore rileva la convivenza è quello che attiene alla tutela del rapporto di solidarietà ed assistenza reciproca, sembrando ingiusto che il convivente non possa avvalersi di alcune facoltà riconosciute al coniuge, come quella che spetta al detenuto di ottenere permessi per assentarsi dal carcere per prestare assistenza, non solo ai propri familiari, ma anche ai propri conviventi( art. 30, l. n. 354/1975); o quella di astenersi dal testimoniare per chi “pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso” (art. 199, 3°co., lett. a, c.p.p.).47Sempre su questa scia s’inserisce il riconoscimento dell’esimente prevista per i prossimi congiunti dagli artt.

46 Cass. pen. 26 giugno 1961, in Riv. Dir. Matr., 1963, 511; Cass. Pen. 20 febbraio 1986, n. 1691. 47 Corte. Cost. 12 gennaio 1977, n. 6, in Foro.it, 1977, I, 793.

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307, 4°co., e 384, 1°co., c.p. quando abbiano compiuto alcuni reati, tra cui il favoreggiamento personale, costretti dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento della libertà e dell’onore.48 I conviventi trovano tutela anche nella disciplina della domanda di grazia dall’art. 681 c.p., pertanto la domanda di grazia diretta al Presidente della Repubblica, può essere richiesta anche dal convivente del condannato.

Tra i diritti riconosciuti e attribuiti ai conviventi si possono menzionare quelli previsti dalla disciplina dell’anagrafe della popolazione residente di cui alla l. 24 dicembre 1954 n. 1228 e d.p.r 30 maggio 1989, n.223. L’ art. 4 del regolamento anagrafico prevede che << agli effetti anagrafici per la famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozioni, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune>>,nello stesso senso l’art. 2 della legge sulla residenza anagrafica. Altre disposizioni a tutela della convivenza sono quelle relative all’amministrazione di sostegno come introdotta dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6. Gli artt. 416 e 417 c.c., infatti, indicano << la persona stabilmente convivente>>come uno dei soggetti legittimati a richiedere la nomina dell’amministrazione di sostegno. Inoltre la normativa offre ulteriore rilievo alla convivenza di fatto ove all’art. 410, secondo comma,

48 Corte Cost. 20 aprile 2004, n. 121, in Fam. e dir., 2004, 329 ; Corte Cost. 18 gennaio 1996, n. 8, in

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c.c., include<<la persona stabilmente convivente>> tra quelle per cui si presume che l’incarico di amministratore di sostegno possa durare per dieci anni in ragione del peculiare legame familiare e affettivo, mentre gli altri amministratori non sono tenuti a continuare nel loro incarico oltre dieci anni.

Altri profili di tutela emergono dalla disciplina della donazione d’organi legge 1 aprile 1999 n.91 e d.m. 8 aprile 2000. In base all’art. 4 della legge n.91/1999 s’introduce nel nostro ordinamento il silenzio assenso in tema di donazione di organi; principio che però non è mai stato effettivamente e concretamente applicato. Tra i familiari cui è rimessa la volontà di procedere o meno alla donazione degli organi del proprio caro per l’ipotesi in cui lo stesso non abbia formulato per iscritto e con modalità previste la propria volontà, vi è anche il convivente more uxorio.

Altro ambito in cui il legislatore rileva la convivenza a tutela del

diritto alla genitorialità come forma di realizzazione della personalità

delle parti, si ritrova nella disciplina della procreazione medicalmente assistita, regolata dalla l. del 19 febbraio 2004 n. 40. La riforma di tale disciplina, tra i requisiti soggettivi di cui all’art. 5, precisa che << possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistite coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi conviventi>>.

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Inoltre sono riconosciuti diritti ai conviventi anche nella disciplina sull’adozione regolata dalla l. 4 maggio 1983 n.184 e successive modificazioni. La normativa sull’adozione nel nostro Paese richiede ai fini dell’adozione il presupposto del vincolo del coniugio tra gli aspiranti genitori adottivi (art. 6), ma non ignora il valore della convivenza more uxorio ai fini del procedimento di adozione. Il periodo di convivenza eventualmente vissuto dagli aspiranti genitori, può essere, infatti, considerato ai fini dell’integrazione del requisito di stabilità fissato dal primo comma dell’art. 6 nell’unione matrimoniale in essere da almeno tre anni. Il quarto comma dell’art. 6, infatti, come introdotto dalla legge del 28 marzo 2001 n. 149, precisa che << il requisito della stabilità del rapporto di cui al comma 1 può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto>>. Inoltre, nelle ipotesi di adozione ai sensi dell’art. 44 della legge n. 184 del 1983 (c.d. adozione in casi particolari) l’adozione è possibile anche per i genitori conviventi nelle ipotesi di cui alle lettere a), c) e d) di cui all’art. 44.

In assenza quindi di una disciplina organica della coppia di fatto, la giurisprudenza è intervenuta riempiendo il vuoto normativo e politico come risposta alle esigenze e domande di giustizia dei singoli che nel

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corso del tempo hanno ritenuto di reclamare diritti per la convivenza ed i suoi componenti.

Bisogna dire però che, secondo i giudici della Corte, le norme settoriali introdotte, applicabili alla convivenza more uxorio, non possono ritenersi sufficientemente rispettose della Costituzione e pertanto, la Corte ha esortato con sent. 11 giugno 2014 n. 170 il legislatore affinché crei, ai sensi dell’art.2 Cost., una policromia di unioni familiari dotate di adeguate protezioni, visto l’impossibilità della stessa nell’emettere una pronuncia manipolativa.

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CAPITOLO 2

Profili di tutela interna ed esterna della convivenza

more uxorio

2.1 Tutela interna: Artt. 2034, 2041 c.c. e contratti di convivenza

Il nostro ordinamento, dopo un lungo e travagliato percorso evolutivo, ha finalmente riconosciuto a livello costituzionale la convivenza more uxorio. Questa tipologia di rapporto trova protezione infatti all’interno dell’art. 2 Cost., giacché formazione sociale volta alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e alla promozione della personalità dei soggetti che ne fanno parte49. La convivenza more uxorio ha bisogno di una pianificazione da parte dell’ordinamento, nel rispetto della libertà di scelta delle parti nel regolamentare il proprio rapporto fuori dagli schemi prefissati per la famiglia legittima. Bisogna dire però che, spesso, sia in dottrina che in giurisprudenza, il rispetto della libertà di scelta, si è tradotta in un’esclusione, per le coppie di fatto, dall’applicazione delle norme poste a tutela della famiglia legittima.

49 Corte Cost. 13 novembre n.237 del 1986, in Gazz uff. 1986.; Corte Cost. 14 aprile 2010 n. 138, Gazz.

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Il rifiuto opposto da coloro che versano in una situazione familiare di fatto alle regole proprie della famiglia fondata sul matrimonio comporta, quale diretta conseguenza, che “tra i conviventi non si instaura alcun obbligo giuridicamente vincolante, sulla falsa riga di quelli individuati dagli art. 143 ss. c.c., così come libertà e autonomia governano la crisi del rapporto, non soggetta alle regole e alle procedure altrimenti previste per la separazione dei coniugi e del divorzio”.50

A ben vedere, questa impostazione del fenomeno sembra essere espressione della predilezione del consortium familiare istituzionale da parte dell’ordinamento, poiché vede l’unione di fatto come una formazione sociale, cioè come aggregazione di soggetti volta alla promozione della personalità dell’individuo come sancito dall’ art. 2 Cost., mentre vede la famiglia legittima e i principi che la caratterizzano (artt. 29; 30; 31 Cost.) come una specificazione delle direttive degli artt. 2 e 3 Cost. e quindi come luogo privilegiato di affermazione e realizzazione della personalità dei singoli. Allo stesso tempo però, bisogna considerare che spesso molte coppie non scelgono di vivere il rapporto di coppia fuori dal matrimonio, ma vi sono costrette, magari perché legati da un precedente vincolo matrimoniale o perché omosessuali, altre volte semplicemente perché vorrebbero regolamentare il rapporto di coppia in

50 G. Ferrando, Convivere senza matrimonio: rapporti personali e patrimoniali nella famiglia di fatto,

Fam. dir., 1998, 192.

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libertà, sempre nel rispetto degli altrui diritti e interessi, ma senza un’imposizione da parte dell’ordinamento su questioni che attengono alla sfera più intima del rapporto di coppia. Così facendo, l’ordinamento va a riservare una piena tutela dei diritti individuali solo all’interno dell’istituto matrimoniale, anche se negli ultimi anni giurisprudenza e parte delle forze politiche hanno cercato di rispondere alle esigenze della collettività riconoscendo una tutela minima anche ad altre relazioni affettive non formalizzate.

Una volta riconosciuta rilevanza costituzionale all’unione non legittima, bisogna individuare gli strumenti giuridici idonei a tutelare queste formazioni sociali, tenendo conto delle caratteristiche peculiari di tali unioni e dei limiti imposti dall’ordinamento.

L’inclusione della convivenza more uxorio nel novero delle formazioni sociali costituzionalmente riconosciute e protette e la conseguente attribuzione di valore alla relazione affettiva che ne costituisce il fondamento, implicano che i soggetti in essa coinvolti siano tenuti al rispetto di un dovere inderogabile di reciproca solidarietà, intesa come “ dovere incombente su ogni persona che esplichi la propria individualità in un contesto sociale, di indirizzare la propria condotta al rispetto del limite dell’altrui diritto, concorrendo alla realizzazione del

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progetto espresso dall’ art. 2 Cost.”.51 Quindi, la condotta dei conviventi

more uxorio, non può essere considerata del tutto esente da obblighi reciproci fondati sul positivo apprezzamento da parte dell’ordinamento dei legami affettivi di solidarietà e di sostegno reciproco che caratterizzano la convivenza more uxorio.

Gli orientamenti manifestatisi nella giurisprudenza ordinaria, in relazione alle aree di emersione della problematica in esame, oscillano tra la negazione di qualsiasi rilievo giuridico al fenomeno in esame, con la conseguente applicazione degli strumenti di diritto comune e ricorrenti tentativi di parificarne la tutela a quella della famiglia legittima. A tal riguardo, bisogna considerare come l’evoluzione della società civile in direzione di un accentuato pluralismo culturale, renda evanescente la stessa prospettiva di un ordine morale o sociale costituito, in quanto, traducendosi sul piano giuridico nella pretesa alla neutralità dell’ordinamento rispetto alle scelte assiologiche individuali(intese come valutazioni che hanno ad oggetto i valori fondanti della personalità di un individuo), induce a considerare tali fenomeni come espressione di quell’ampia sfera di libertà a ciascuno riconosciuta nella scelta dei modelli di vita reputati maggiormente idonei allo sviluppo della propria personalità.52

51 Serio, Studi comparatistici sulla responsabilità civile (Torino 2007),p. 17.

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