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sono inserite le previsioni di spesa per l’attuazione de

Novità legislative in tema di Unioni civili e di convivenze

commi 66-69 sono inserite le previsioni di spesa per l’attuazione de

commi da 1-35 e la delega al Ministro dell’economia e delle finanze per eventuali variazioni di bilancio.

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Analizzando la prima parte riservata alle unioni tra persone dello stesso sesso, si osserva come il legislatore, pur non richiamando espressamente le norme sul matrimonio, ne riproduce i contenuti quasi pedissequamente, attribuendo ai membri della coppia gli stessi diritti e gli stessi doveri, sulla scorta dell’art. 143 c.c. (escludendo l’obbligo di fedeltà), in particolare per quanto riguarda il dovere reciproco di assistenza morale e materiale, alla coabitazione, nonché al contributo ai bisogni comuni, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo.. Al quinto comma si prevede l’estensione di alcuni articoli del codice civile riservati ai coniugi (artt. 65, 68, 119, 120, 123, 125, 127, 129, 129 bis). Per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali, le coppie dello stesso sesso, esattamente come per il matrimonio, godono del regime ordinario di comunione dei beni (art. 159 c.c.), salvo la possibilità di stipulare una convenzione matrimoniale diversa.

Si applicherà inoltre la disciplina sugli obblighi alimentari previsti dal codice e le parti dovranno concordare l’indirizzo della vita familiare e la residenza comune.

È estesa alle unioni civili anche la disciplina sul c.d. ordine di protezione da parte del giudice in caso di grave pregiudizio per l’integrità fisica e morale di una delle parti, prevista dall’art. 342 ter c.c. che prevede

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forme di tutela contro gli abusi familiari sia per il coniuge che per il convivente.

Al comma diciassette si prevede che nel caso di morte saranno riconosciute, al partner superstite, le indennità dovute dal datore di lavoro ( art.2118 c.c.) e quelle relative al trattamento di fine rapporto ( art. 2120 c.c.).

A tutela dei membri dell’unione civile la l. n. 76/2016 prevede inoltre al comma venti che: “ al fine di rendere effettiva la tutela dei diritti e l’osservanza degli obblighi derivanti dall’unione civile, l’applicazione alle unioni civili delle disposizioni che contengono i termini <<coniuge, coniugi, o termini equivalenti>> ovunque ricorra nelle leggi o atti aventi forza di legge, con esclusione della l. n. 184 del 1983 (legge sulle adozioni)”. Si ricorda, inoltre, come al Senato è stato soppresso, sollevando numerose critiche, l’art. 5 del testo presentato in Assemblea dalla senatrice Cirinnà (AS 2081), che attraverso una modifica dell’art.44 lettera (b) della legge 183/1984 avrebbero consentito alla parte dell’unione di richiedere in adozione il figlio minore, anche adottivo, del partner (c.d. stepchild adoption), rimettendo invece la questione alla valutazione, caso per caso, del giudice. Per quanto riguarda i diritti successori, al comma 21 viene riportato un richiamo all’applicazione delle norme relative alle indegnità e alla successione del coniuge, equiparando

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le posizioni successorie del membro dell’unione civile a quello del matrimonio.

Completa equiparazione, ove compatibile, anche per quanto riguarda lo scioglimento del vincolo alle unioni matrimoniali e delle conseguenze patrimoniali. Applicabili sono anche le discipline della separazione e dello scioglimento del matrimonio previste attraverso l’estensione delle norme disposte dalla l. 898/1970 e dalla l. n.162/2014 (negoziazione assistita, procedura semplificata davanti al sindaco).

Infine, per quanto riguarda le unioni civili, è data attuazione a quanto deciso dalla Corte Costituzionale109per quanto riguarda la rettificazione di sesso di uno dei coniugi, stabilendo la possibilità, dopo la rettificazione, di esprimere la volontà di non sciogliere il matrimonio e trasformare automaticamente il matrimonio in unione civile, poiché diversamente si andrebbe a cancellare, sul piano giuridico, un pregresso vissuto, nel cui contesto quella coppia ha maturato reciproci diritti e doveri che non possono essere sacrificati. Pertanto la Corte con sent. Cost. 170/2014 ritiene contrario “ ai diritti primari dei due coniugi di uguale sesso l’impossibilità da parte loro di accedere ad una registrazione della loro unione che possa garantire, analogamente a quanto fanno le norme sul matrimonio, diritti e obblighi reciproci”. Anche se a ben vedere una scelta simile creerebbe una posizione intermedia fra il matrimonio legale e la

109 Corte Cost. n. 170 del 2014, che richiama la sent. Cost. 138/2010, recepita dalla sent. Cass. n. 8097/

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condizione delle coppie omosessuali, creando un tertium genus costituito dalla coppia in cui è intervenuta la rettificazione che acquisterebbe una posizione privilegiata rispetto ad una coppia nata omosessuale.

Analizzando la parte concernente le convivenze di fatto (commi da 36 a 65), queste possono riguardare sia coppie etero che coppie dello stesso sesso.

S’intendono conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da vincoli affettivi di coppia e da reciproca assistenza morale e materiale, non vincolati da rapporti di parentela affinità o adozione, o da matrimonio o un’unione civile” (comma 36). Per l’accertamento della stabile convivenza si farà riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’art. 13 del d.p.r del 30 maggio 1989, n. 223.

Sono estese alle coppie conviventi alcune prerogative spettanti ai coniugi. Tra le più rilevanti vi sono i diritti di visita previsti dall’ordinamento penitenziario, il diritto di accesso ai dati personali in ambito sanitario, la facoltà di designare il partner per l’assunzione di decisioni in materia di salute, per le scelte di donazione degli organi, e le facoltà in materia di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno. Disciplinati anche i diritti che riguardano la casa di abitazione, stabilendo limiti minimi e massimi (da 2 a 5 anni), in base alla durata della convivenza, entro i quali il convivente non proprietario può

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continuare a stare nella casa di comune residenza mentre fissa solo limiti minimi in caso di presenza di figli minori o disabili (non inferiore a 3 anni).Sono stabiliti anche la successione nel contratto di locazione della casa di comune residenza (come da decisione della Corte costituzionale del 1988) e il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito.

Per quanto riguarda la regolamentazione dei rapporti patrimoniali, i conviventi hanno la facoltà di stipulare un contratto di convivenza

(comma 50), che deve essere redatto a pena di nullità con atto pubblico o

scrittura privata autenticata da un notaio o un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e al buon costume. Gli stessi dovranno inoltre, ai fini dell’opponibilità ai terzi, trasmettere copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe entro i dieci giorni successivi dall’autenticazione della sottoscrizione.

Con il contratto i conviventi potranno fissare la comune residenza, indicare le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni. Non sarà possibile apporre termini o condizioni al contratto, o comunque si considereranno come non apposti.

Sono fissate infine le cause di nullità insanabile del contratto e le cause di risoluzione.

Per quanto riguarda le cause di nullità, esse possono essere fatte valere da chiunque vi abbia interesse se il contratto è concluso: in

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presenza di vincolo matrimoniale o unione civile o di altro contratto di convivenza, in violazione dei requisiti di rilevanza della convivenza di fatto ( comma 36), da persona minore di età, da persone interdette giudizialmente, in caso di condanna per il delitto di cui all’art.88 c.c.

Per quanto riguarda le cause di risoluzione, il contratto di convivenza si risolve per: recesso unilaterale (secondo le modalità previste dal comma 51), accordo tra le parti, matrimonio o unione civile tra conviventi o tra conviventi e un’altra persona e morte di uno dei contraenti. Nel caso di recesso unilaterale si prevede inoltre che il professionista che riceve e autentica l’atto deve notificare copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto e nel caso in cui l’abitazione familiare fosse nella disponibilità esclusiva del recedente, a pena di nullità, deve contenere un termine non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.

E’ prevista la possibilità per il giudice, in caso di cessazione della convivenza di fatto, di riconoscere il diritto al convivente che versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, di percepire gli alimenti dall’altro convivente per un tempo proporzionato alla durata della convivenza ed è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle. Prevista, infine, al comma 69, la possibilità per il Ministro dell’economia e delle finanze di apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

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Analizzando attentamente il lavoro svolto dal legislatore si osserva come egli abbia utilizzato diverse tecniche legislative per regolamentare il nuovo istituto delle unioni civili.

Una prima tecnica utilizzata è quella del rinvio diretto a norme del codice civile che disciplinano l’istituto matrimoniale. Attraverso questa tecnica saranno direttamente applicabili le norme del codice espressamente richiamate (es. artt. 65 e 68 ; 119, 120, 123, 125, 127, 128, 129, 129 bis. C.c.). Questa tecnica tende principalmente ad avvicinare la disciplina dell’unione civile a quella matrimoniale.

La seconda tecnica legislativa utilizzata è quella del rinvio implicito attraverso la riformulazione di parte del contenuto di una disposizione operando una sorta di rinvio parziale con l’intento di escludere parte della disciplina, com’è stato fatto ad esempio con il contenuto dell’art.143 c.c. Il legislatore, nel richiamarne solo una parte del dettato, ha escluso la parte relativa all’ obbligo di fedeltà, obbligo che fra l’altro, secondo parte della dottrina, sarebbe alla base della disciplina sulla presunzione di paternità e pertanto ne giustificherebbe la non estensione dell’obbligo di fedeltà alle unioni civili.

Terza tecnica è quella contenuta in una clausola generale di rinvio, contenuta nell’art.1 comma 20, con cui si estendono tutte quelle leggi, regolamenti, atti amministrativi contratti collettivi che contengono le parole “coniuge, coniugi “ e termini equivalenti. Rinvio automatico che

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però è limitato a leggi, regolamenti ecc., escludendone l’applicabilità alle norme del codice civile, che potranno essere applicate solo se espressamente richiamate o riformulate. Tra gli articoli non espressamente richiamati vi è l’art. 78 c.c. e pertanto l’unione civile non fa sorgere vincoli di affinità e di conseguenza nemmeno obblighi alimentari.

L’ultima tecnica utilizzata è quella della esclusione diretta di alcune disposizioni come fatto ad esempio con riguardo alla disciplina sulle adozioni sancita dalla l. 184/1983. Attraverso queste tecniche il legislatore ha voluto creare un istituto simile al matrimonio con l’intento di porre fine a discriminazioni che ledevano i diritti fondamentali delle persone pur mantenendo una differenziazione tra i due istituti (matrimoniale e unione civile). Differenziazione dovuta in parte ad una obbiettiva diversità intrinseca dei due istituti e in parte alla volontà del legislatore di mantenere il favor matrimonii tutelato dall’ordinamento.

Tra le differenze più rilevanti vi è quella che concerne la fase di formazione del vincolo, poiché, mentre nel matrimonio è prevista la possibilità, grazie all’istituto dell’emancipazione, di contrarre matrimonio anche tra minorenni ultrasedicenni, nell’unione civile, invece, si richiede come requisito essenziale per la costituzione del vincolo la maggiore età, precludendo così ai minori emancipati la possibilità di unirsi civilmente. Scelta che però non trova giustificazione in nessuna norma e pertanto priva di ratio.

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Altre scelte del legislatore riguardo alla disciplina dell’unione civile sono volte al rimodernamento dell’ordinamento, verso istituti più soft, secondo i principi cardine dei moderni ordinamenti statali. Una di queste è quella che riguarda la disciplina del cognome sancita dal comma 10 secondo cui le parti possono al momento della dichiarazione all’ufficiale dello stato civile scegliere di assumere per la durata dell’unione un cognome comune scegliendo tra i loro cognomi con la possibilità di anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome. Disciplina che si differenzia da quella matrimoniale che invece prevede l’automatica attribuzione alla moglie del cognome del marito e la conservazione di questo anche in caso di scioglimento o morte del marito. Questa scelta può essere interpretata o come un voler rimarcare la maggiore stabilità del vincolo matrimoniale e del favor matrimonii oppure come la volontà del legislatore di creare istituti più soft che rispecchiano meglio i principi e i valori che sono alla base dei nostri ordinamenti moderni.

Continuando con le differenze, al comma “24” si disciplinano le modalità di scioglimento in cui, a differenza del matrimonio, si prevede la possibilità del recesso unilaterale mediante dichiarazione davanti all’ufficiale di stato civile e non si richiede una causa specifica.

Andando invece ad approfondire la seconda parte della legge che regolamenta le coppie di fatto, ( ex. Comma 36) con paradossale ossimoro se si considera che una figura disciplinata dalla legge non possa più essere

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considerata di fatto, si nota come questa disciplina sia alquanto ambigua e generica, poiché si basa principalmente sulla stabilità e sul legame

affettivo, concetti che conservano un’inevitabile margine

d’indeterminatezza dando luogo ad ampio contenzioso.

Tra le scelte più discutibili del legislatore vi è l’esclusione in toto dei parenti (ex art. 77 c.c.) fino al sesto grado, sicché sarebbero escluse dalla legge quelle stesse coppie che nonostante i vincoli di parentela potrebbero sposarsi (ex. Art. 87 c.c.) e le cui disposizioni dovrebbero, in un’ottica costituzionalmente orientata, ritenersi applicabili per analogia. Discutibile è anche l’impossibilità di costituzione di un contratto di convivenza, in caso di unione matrimoniale o civile con terzi, pur se separati almeno in fatto, non tenendo conto che spesso proprio perché vincolati da altra unione si da vita a una convivenza di fatto.

È da ritenersi però applicabile in via interpretativa la possibilità di formare una convivenza di fatto almeno quando uno o entrambi sono separati legalmente, atteso che lo stato di separazione è considerato propedeutico al divorzio,110anche se comunque rimangono esclusi coloro che sono uniti civilmente, posto che per tale unione non è prevista la separazione, riducendo di molto la sfera di applicazione del nuovo regime delle convivenze more uxorio.

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Altra scelta criticabile è quella di non introdurre il registro delle convivenze che avrebbe sicuramente avuto ricadute positive in termini di certezza giuridica. Con il registro delle convivenze, fra l’altro, si sarebbe potuta estendere la disciplina sulla presunzione di paternità ex artt.231, 232 c.c.

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Conclusioni

Alla luce di quanto detto nei capitoli precedenti sembra a questo punto opportuno dare valutazione complessiva di quello che è stato il punto di arrivo di un processo evolutivo durato molti anni, orientato verso l’ampliamento del raggio d’azione del diritto di famiglia che ha inserito all’interno del suo ambito di tutela formazioni sociali e realtà affettive che prima ne erano escluse, o al massimo tutelate in maniera sommaria e incompleta proprio a causa della bassa considerazione che l’ordinamento aveva nei confronti di queste unioni.

A oggi, infatti, grazie ai nuovi e sempre più garantisti orientamenti della dottrina e giurisprudenza nazionale e internazionale, è stato possibile attribuire rilevanza giuridica a formazioni sociali che già da qualche tempo avevano acquisito un’importante rilevanza sociale, quali le unioni delle coppie same-sex e coppie conviventi, dotandole finalmente di una disciplina legislativa che per tanto tempo è mancata.

Grazie al recente intervento legislativo (l. 20/05/2016 n.76), di fatto, è stato possibile porre fine a discriminazioni nei confronti delle coppie omosessuali attraverso l’istituzione di un istituto giuridico di diritto pubblico che ricalca l’istituzione matrimoniale, accordando diritti inderogabili, posizione successoria, regime patrimoniale legale, anche se

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in una versione più “snella”, sia con riferimento alle modalità costitutive che di scioglimento, ispirato a modelli matrimoniali più moderni presenti in altre legislazioni. Istituto che in forza del principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 Cost., è stato volutamente differenziato dal tradizionale istituto matrimoniale.

Per quanto riguarda la regolamentazione delle convivenze di fatto, si nota invece, come il legislatore abbia voluto tutelare queste formazioni attraverso la possibilità di stipula di un contratto di convivenza. La prima valutazione da fare a riguardo è che dalla possibilità di concludere un siffatto contratto deriva la presenza all’interno dell’ordinamento di due tipologie di coppie di fatto: una prima completamente sprovvista di aspetti formali, ricavabile dal comma 36 della legge; una seconda arricchita dal suddetto contratto di convivenza la cui disciplina deriverà sia dalla legge che dalla sottoscrizione del contratto stesso.

Contratto che in base alla suddetta legge non può contenere al suo interno clausole penali in merito a doveri di carattere personale, perché sarebbero limitative della libertà personale delle parti. Anche se, a parere di altra parte della dottrina, sarebbe invece ammissibile una clausola penale all’interno del contratto di convivenza in base ai principi generali dell’ordinamento in temi di contratti.111 Altra dottrina ancora, oltre a

111 Patti, Cubeddu (a cura di), Diritto di famiglia, pag.727, Milano, 2011: “argomentazioni nel senso di

ammettere il ricorso ad una clausola penale possono comunque ricavarsi, anche alla luce dei principi del nostro ordinamento, dalla teoria generale delle obbligazioni e da un’analisi funzionale dei rimedi

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ritenere tali clausole non limitative della libertà personale, ne desume l’applicabilità sul presupposto che sarebbero conformi alla disciplina dei doveri derivanti dal matrimonio, sulla cui struttura si fonda la convivenza.112 Se si guarda, infatti, alle motivazioni che spingono le parti a stipulare un contratto di convivenza, piuttosto che a unirsi in matrimonio, queste sono ricollegabili principalmente proprio alla volontà delle parti a una regolamentazione ad hoc del rapporto; a definire cioè, cosa deve o non deve acquisire carattere di obbligatorietà all’interno del menage, funzionale a determinare una piena valorizzazione della personalità dell’individuo, che altrimenti rimarrebbe frustrata dall’impossibilità di regolare aspetti personali del rapporto tramite l’utilizzo di clausole penali.

previsti dal diritto di famiglia per la separazione e lo scioglimento del matrimonio. Dalla dottrina del rapporto obbligatorio, inteso come modello “tipico” dei rapporti giuridici, apprendiamo infatti ch’è una facoltà ammessa all’autonomia privata quella di fare ricorso alla clausola penale nel sanzionare la violazione di doveri personali riconducibili al rapporto; i privati in tal modo operano una valutazione economica di prestazioni che originariamente non sembrano avere questo carattere (soddisfando così i requisiti richiesti dall’art. 1174 c.c. per l’esistenza dell’obbligazione) e reciprocamente si segnalano la serietà dell’impegno che si assume in vista dello svolgimento del rapporto”.

112 Bassetti, in Contratti di convivenza e di unioni civili, pag. 85, Torino, 2014: “Non vedo dunque

ostacoli nell’inserire in un contratto di unione civile, quale corrispettivo di attribuzioni patrimoniali, obbligazioni corrispondenti a libertà personali: non in maniera indiscriminata, tuttavia, ma provvedendo che l’atto non tocchi le sfere delle personalità più intime, consista non in una soppressione della libertà, ma in una limitazione, costituisca una specificazione di quelli che in un contesto coniugale potrebbero essere fatti rientrare, al limite a mezzo dell’accordo ex art. 144 c.c. tra i doveri coniugali, e in questo senso non considererei valida una pattuizione troppo generica. Infine, stante la causa del negozio, riterrei che tale obbligazione, pur calibrata sulla personalità del partner che ne beneficia, debba essere coerente con la qualità familiare dell’ambiente”

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A ben vedere sembra proprio che nonostante i numerosi sforzi della giurisprudenza, della dottrina e del legislatore la natura sensibile del tema di cui si sta discutendo, abbia impedito per certi versi l’elaborazione di una disciplina che fosse coerente, chiara ed efficace.

In conclusione, la legge 20/05/2016 n.76 è sicuramente un grande passo avanti in tema di civiltà, ma purtroppo, essendo una disciplina frutto di ampi compromessi, risente palesemente degli storici contrasti etico- morali che sono sorti su questi temi nel tempo, risultando pertanto, in certi punti, ambigua e lacunosa. Spetterà quindi all’interprete applicare in maniera concreta la volontà del legislatore in modo sistematico e più armonico possibile con le norme gerarchicamente sovraordinate.

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