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Tutela esterna: Art 2043 c.c.; Art 2059 c.c.

Profili di tutela interna ed esterna della convivenza more uxorio

2.2 Tutela esterna: Art 2043 c.c.; Art 2059 c.c.

Un altro argomento che merita di essere trattato, riguarda invece

più il profilo esterno della convivenza, in particolare, la cessazione del rapporto di convivenza per cause non imputabili al convivente e l’eventuale ammissibilità del risarcimento del danno subito a seguito dell’uccisione del partner ad opera di terzi.

In un primo momento, la giurisprudenza aveva escluso l’ammissibilità di qualsiasi misura risarcitoria73sulla base del rilievo che il danno ingiusto, richiamato nell’art. 2043 c.c., per essere risarcibile, presupponeva l’esistenza di un diritto soggettivo, assoluto o relativo, inesistente all’interno del rapporto di convivenza poiché le elargizioni di carattere economico da parte del partner deceduto erano spontanee,

73 App.di Firenze 23 maggio 1980, in Dir. prat. ass., 1981, 175, con nota di Antinozzi, Del preteso diritto

del convivente more uxorio a costituirsi parte civile nei confronti del responsabile della morte del proprio convivente; Cass. pen. 5 dicembre 1980, in Riv. giur. circ. trasp., 1982, 2002; Cass. pen. 21 settembre 1981 n. 8209, in Dir. prat. ass., 1982, 716, nella quale si afferma che la pretesa del convivente si risolve in un'aspettativa di mero fatto, non tutelata, in quanto non sussiste a livello normativo alcun riconoscimento della famiglia di fatto che attribuisca ai conviventi diritti e obblighi dei coniugi; Cass. pen. 24 aprile 1987; Cass. pen. 12 giugno 1987, in Riv. pen., 1988, 253.

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deducendo da ciò l’inammissibilità di un’azione per danni contro il responsabile della morte del familiare di fatto74.

Una volta mutato l’orientamento prevalente verso un riconoscimento della convivenza more uxorio come formazione sociale meritevole di tutela in forza dell’art. 2 Cost.75sul presupposto dell’esistenza di inderogabili doveri di solidarietà sociale in capo ad ogni individuo, sia come singolo che all’interno di formazioni sociali, la giurisprudenza ha riconosciuto la tutela risarcitoria in capo al partner superstite “anche in considerazione della rilevanza della unione libera come fenomeno sociale da valorizzare e proteggere, potendosi così giustificare l’estensione a suo favore della tutela riservata ai familiari

legittimi”.76

74 D' Angeli, op. cit., 140 ss.; Fortino, Verso una nuova privatizzazione della famiglia nella società

globale? in Scienza ed insegnamento nel diritto civile in Italia, a cura di V. Scalisi, Milano, 2004; Patti, I diritti nella famiglia di fatto. Attualità e futuro, in Familia, 2003, 435.

75 Corte cost. 18 novembre 1986, n.237, in foro.it, 1987,I,2353; Corte cost., 7 aprile 1988, n. 404, in

Giur. Cost., 1998; Corte Cost.20 dicembre 1989, n.310, in Rass. Dir. Civ., 1991

76 v. Trib. Verona 3 dicembre 1980, in Resp. civ. prev., 1981, 74, che riconosce al convivente il diritto al

risarcimento del danno morale; nello stesso senso: Pret. Genova 21 maggio 1981, in Foro it., 1982, 1460; Cass. pen. 5 novembre 1982, in Giust. pen., 1984, 243; Cass. pen. 12 giugno 1987, in Riv. pen., 1988, 253; Cass. 28 marzo 1994 n. 2988, in Giust. civ., 1994, 1849. Per il riconoscimento del diritto al risarcimento sia dei danni patrimoniali che morali v. Trib. Firenze 18 ottobre 1979, in Dir. prat. ass., 1981, 170; Corte d'assise di Genova 18 marzo 1982, in Giur. merito, 1983, 433 ss., con nota di Luccioli, Appunti in tema di costituzione di parte civile in seguito all'uccisione del convivente, che non prendendo posizione riguardo alla necessità di limitare ai soli danni morali la pretesa risarcitoria, ha ammesso la costituzione di parte civile nel processo penale della convivente more uxorio della vittima di un omicidio; Trib. Lanciano 29 aprile 1991, in Giur. it., 1993, 108 ss.La Corte di Cassazione con sentenza n. 15760 del 2006, intervenendo sulla questione relativa al risarcimento dei danni spettanti al fratello e ai genitori per la morte del figlio, ha stabilito che "occorre garantire una maggiore tutela alle coppie di fatto". La stessa ha precisato che "anche chi non fa strettamente parte della famiglia legittima, ma si trova a vivere un rapporto di fatto, ha diritto al risarcimento del danno nel caso in cui si verifichi la morte del loro congiunto". Infine, la Corte ha indicato i "cd. principi informatori" che devono essere tenuti presenti, per la relativa liquidazione, nel calcolo del cd. danno parentale e, in particolare, del danno morale da morte del congiunto. In tal senso Toschi Vespasiani, La quantificazione del danno morale da morte subìto dai congiunti.

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Secondo la Cassazione, chi pretende di essere risarcito dal danno avuto in seguito alla morte della persona con cui conviveva e da cui riceveva mantenimento o altri vantaggi o prestazioni in genere, deve dimostrare il suo diritto alle prestazioni del defunto, diritto che può discendere dalla legge o avere il suo titolo in una particolare convenzione (es. contratti di convivenza), non essendo sufficiente la prova della mera convivenza more uxorio.77 Inoltre, è esclusa la risarcibilità nel caso in cui si tratti di elargizioni episodiche.

Secondo quest’orientamento quindi, è esclusa la risarcibilità del danno patrimoniale se ricollegabile a mere valutazioni presuntive o fondate sul notorio, richiedendosi la prova del carattere della stabilità delle erogazioni patrimoniali78.

Una recente sentenza di merito ha però espresso un nuovo orientamento, stabilendo che l’obbligazione naturale rileva sul piano dei rapporti interni tra conviventi, sotto il profilo della già segnalata “irripetibilità delle prestazioni eseguite”, mentre nei rapporti con i terzi viene in considerazione la mera lesione della legittima aspettativa di

77 Cass. 24 aprile 1964 n. 1000, in La famiglia di fatto, 2 edizione, Giuffrè editore; ritiene che "danno

risarcibile è quello che si verifica per la lesione di un diritto e, pertanto, chi pretende di essere risarcito del danno a lui derivante dalla morte della persona con la quale conviveva e dalla quale riceveva mantenimento, o altri vantaggi o prestazioni in genere, ed evochi per l'effetto in giudizio colui al quale ritiene di poter far risalire l'evento mortale, da identificarsi come fatto doloso o colposo produttivo del danno, deve, anzitutto, dimostrare il suo diritto alle prestazioni della persona che non vi è più. Diritto, pertanto, che può discendere dalla legge, o avere il suo titolo in una particolare convenzione". Sul

tema, si veda Balestra, I contratti di convivenza, in Fam., pers. e succ., 2006, 43 ss.

78 Ambanelli, Convivenza more uxorio : il risarcimento dei danni per la morte del convivente, in Fam.,

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percepire i contributi economici del convivente ai fini del risarcimento del danno derivante dalla perdita di chance di incrementare il proprio patrimonio mediante tali contributi.79

Quindi, anche se in un primo momento vi fu una totale chiusura riguardo la configurabilità del risarcimento danni per morte del convivente ad opera di terzi, intorno agli anni Ottanta la giurisprudenza di merito segnalò il riconoscimento di alcune poste di danno in capo al partner superstite a causa della dipartita del congiunto cagionata dal terzo, sulla base di un giudizio connotato da equità e giustizia sostanziale.80 Inizialmente limitatamente ai danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., come conseguenza della sofferenza patita per la perdita dal partner.

Nei primi anni novanta invece, la Corte di Cassazione, in considerazione della rilevanza giuridica e sociale riconosciuta alla convivenza more uxorio, riconobbe al convivente il diritto al risarcimento del danno sia patrimoniale che morale, sempre che vi fosse la prova dello stabile contributo economico apportato in vita al convivente more uxorio

79 Con riferimento al risarcimento dei danni non patrimoniali subìti dal convivente more uxorio per la

perdita del proprio compagno a seguito di un fatto illecito di un terzo, sovente la dottrina italiana richiama la figura della perdita di chance con riferimento alla dottrina francese. Sul tema, v. Chabas, La perdita di chance nel diritto francese, in Resp. civ. e prev., 1996, 227 ss.; Id., La perte d'une chance en droit francais, in Developpementes rècents du droit de la responsabilitè civile, Genève, 1991, 131. 80 Assise Genova, 18 marzo 1982, in Giur. merito, 1983, p. 433; Trib. Verona, 3 dicembre 1980, in Resp. civ. prev., 1981, p. 74, che ammette l’azione ex art. 2059 c.c., mentre viene negato il risarcimento dei danni patrimoniali, sul presupposto che in base al diritto positivo il coniuge di fatto non vanta, verso il partner, alcuna pretesa patrimoniale quantificabile in termini di diritto soggettivo. Cfr. poi anche Cass. pen., 4 febbraio 1994, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 371, con nota di PEYRON.

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dal defunto e vi fosse una tendenziale stabilità e mutua assistenza morale e materiale81.

La pretesa potrà essere fatta valere quindi jure proprio da chi possa vantare la lesione di un interesse alla sopravvivenza del danneggiato, giustificata dall’esistenza di un rapporto familiare o para-familiare. Viene così garantito il risarcimento anche per la perdita del contributo patrimoniale e personale, purché non si tratti di elargizioni episodiche e sempre che sussista un rapporto diretto tra danno ed effetto lesivo.

Recentemente la giurisprudenza di legittimità ha riconfermato il precedente del 1994, precisando però che al fine della dimostrazione di uno stabile contributo economico apportato in vita dal defunto al danneggiato, debba riultare dimostrata una relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e mutua assistenza morale e materiale, precisando che a tal fine non sono sufficienti né le dichiarazioni rese dagli interessati per la formazione di un atto di notorietà, né le indicazioni fornite dai medesimi fornite alla P.A. per fini anagrafici.82 Situazione mutata con l’approvazione della l.76/2016 con cui si riconosce ai fini probatori la registrazione anagrafica della convivenza per l’applicazione della nuova disciplina.

81 Cass., 28 marzo 1994, n. 2988, in giust. civ. 1994, I, p.1849.

82 Cass., 16 settembre 2008, n. 23725, in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 446, con nota di Barbanera.

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In una fase successiva la giurisprudenza precisa affermando che “Il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, come il convivente more uxorio ed il figlio naturale non riconosciuto a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima

assimilabile al rapporto coniugale”.83

Per quanto attiene al danno morale, quindi, anche il convivente more uxorio patisce una sofferenza a seguito della perdita del partner, in termini analoghi a quanto accade nella famiglia legittima e pertanto potrà chiedere il risarcimento dei danni morali come conseguenza diretta dell’evento morte.

Si può dire pertanto che, mentre negli anni Sessanta il presupposto per il risarcimento era la lesione di un diritto soggettivo, che non sussisteva all’interno del rapporto di convivenza per mancanza di giuridicità, giacché rapporto di fatto. In seguito, una volta riconosciuta rilevanza giuridica alla famiglia di fatto, è riconosciuto in capo al convivente superstite il risarcimento dei danni morali come conseguenza della lesione di un diritto di libertà e di un’aspettativa a vivere all’interno della relazione; allo stesso tempo però, veniva escluso il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali sul presupposto che in base al diritto

83 Cass., 7 giugno 2011, n. 12278, in Le relazioni affettive non matrimoniali, UTET 2014.

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positivo, il coniuge di fatto non vanta, verso il partner, alcuna pretesa patrimoniale. In tempi recenti, invece, il pregiudizio subito come conseguenza della morte del partner, non viene più identificato come lesione di una mera libertà a vivere una relazione di coppia, bensì come lesione di diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 Cost.

In un’ottica costituzionalmente orientata si è ammessa pertanto la risarcibilità ex art. 2059 c.c. in conseguenza del pregiudizio patito per lo sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita del congiunto anche in assenza di reato e al di fuori dei casi determinati dalla legge, perché esso consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia sanciti dagli artt. 2, 29 e 30 Cost. così come espresso dalla sent. della Corte Cost. 11 luglio 2003 n. 233 e dalle sent. della Cass. 31 maggio 2003 nn. 8827 e 8828, le quali, rielaborando in parte quanto fissato dal legislatore nell’art. 2059 c.c. hanno inciso in maniera determinante su tale categoria di danno.

Recentemente la dottrina e la giurisprudenza84rilevano, che non vi è motivo di escludere la tutela risarcitoria nei legami di fatto, a prescindere dal gender del convivente, volendo così precisare che non vi è motivo di non estendere tale tutela anche ad altri rapporti di fatto nell’intento di dare più risalto, nella valutazione dei presupposti necessari a riconoscere una tutela risarcitoria, a solidi legami affettivi funzionali ad un pieno e sano

84 Corte di Appello di Milano 20 novembre 2012, n. 6836, in Responsabilità civile e Previdenza, fasc.2

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sviluppo della personalità degli individuo, a realizzazione del principio espresso nell’art. 2 Cost.

Esempio di tale principio è rinvenibile nel caso risolto nel tribunale di Venezia,85che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, alla sorella della vittima di un altrui illecito sul presupposto che tra l’ucciso e l’anzidetta sorella esisteva una convivenza more uxorio. Sentenza, quest’ultima, molto interessante, poiché testimonia la sensibilità ormai maturata dalla magistratura in ordine al rilievo che nell’odierno contesto sociale rivestono i rapporti affettivi, e ciò a prescindere da ogni atto formale che ne sancisca la rilevanza esplicita per l’ordinamento e anzi, come nel caso di specie, anche quando l’ordinamento esprima una valutazione di contrarietà.

Per quanto riguarda la dimostrazione del legame di convivenza si è rimarcato che questa può essere fornita con qualsiasi mezzo,86mentre, per quanto attiene al quantum, va rilevato che il danno non patrimoniale non deve essere liquidato facendo ricorso a una serie di voci di danno

85 Trib. Venezia, 31 luglio 2006, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 864.

86 BARDARO, Il convivente della vittima, cit., p. 220 s. In giurisprudenza è stato stabilito che «il

carattere stesso della famiglia di fatto, che prescinde da un particolare crisma giuridico (e ne è anzi aliena), pone, in difetto di particolari, specifiche registrazioni, il problema della prova della sua esistenza, che può essere data con ogni mezzo previsto dalla legge, e, normalmente, attraverso testimoni: il relativo onere incombe, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi nell’esistenza di un tale rapporto fonda un proprio diritto» (Cass., 28 marzo 1994, n. 2988, cit.). In ordine al certificato anagrafico è stato evidenziato che esso possa «tutt’al più provare la coabitazione, insufficiente a provare altresì la condivisione di pesi e oneri di assistenza personale e di contribuzione e collaborazione domestica analoga a quella matrimoniale» (Cass., 29 aprile 2005, n. 8976). Si è peraltro sottolineato che non risultano sufficienti «le dichiarazioni rese dagli interessati a fine di formazione di un atto di notorietà» (così Cass., 28 marzo 1994, n. 2988, cit.), posto che il suo valore di atto pubblico facente fede fino a querela di falso è infatti, per costante indirizzo esegetico, circoscritto «all’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, di aver ricevuto le dichiarazioni in esso contenute, previa identificazione dei loro autori» (Cass., 28 marzo 1994, n. 2988, cit.).

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puntualmente etichettate, ma può essere determinato, una volta accertata la lesione dell’interesse costituzionalmente garantito, in modo comprensivo o omnicomprensivo, tenendo conto di tutta una serie di parametri: tipo d’illecito, tipo di elemento soggettivo dell’illecito, età del danneggiato etc.

2.3 - Questioni legate alla pensione di reversibilità

Altro aspetto molto controverso che riguarda la rilevanza esterna della convivenza more uxorio è quello della pensione di reversibilità.

Secondo il nostro ordinamento, in base all’art. 9 della l.1 dicembre 1970, n. 898 2° comma, novellato dall’art. 13 della l. 6 marzo 1987 n. 74, si riconosce al coniuge divorziato, il diritto all’intera pensione di reversibilità in mancanza di altro coniuge superstite o a una sua quota, laddove questi vi sia, a condizione che non sia passato a nuove nozze e che sia titolare di un assegno divorzile, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento in questione sia anteriore alla sentenza di divorzio.

Il comma 3 dell’art. 9 prevede che il coniuge divorziato possa concorrere per la corresponsione della pensione di reversibilità con il coniuge superstite. A questo punto, ai fini della determinazione della

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quota spettante al coniuge divorziato, il dettato normativo prescrive che detta quota sia attribuita tenendo conto della durata del rapporto.87

A seguito della nuova formulazione dell’art. 9, comma 3 è sorto in giurisprudenza un contrasto in ordine a due questioni: la prima riguarda il concetto di “durata del rapporto”, la seconda sulla possibilità per il giudice, di valorizzare elementi diversi dalla “durata del rapporto”.

Per quanto riguarda la prima questione, alcune pronunce hanno ritenuto che la durata del rapporto vada intesa, non come durata del rapporto di convivenza (intesa come convivenza matrimoniale), cessata con l’instaurarsi del regime di separazione, ma del rapporto matrimoniale, cioè fino alla data della pronuncia di divorzio.88

Secondo altra giurisprudenza,89più in linea con le tendenze evolutive del nostro ordinamento, la “durata del rapporto” è da intendersi nel senso di reale comunione di vita ed effetti, con conseguente rilevanza per il coniuge superstite del periodo di convivenza prematrimoniale, anche prima della sentenza di divorzio con il precedente coniuge del defunto. La convivenza more uxorio acquista così rilevanza fattuale ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità, intesa come parametro correttivo di tipo equitativo, che il giudice di merito può applicare, insieme ad altri (es. condizioni economiche delle parti) al fine di evitare

87 Cass., 12 gennaio 1998, n. 159, in Fam e dir., 1998, 435. 88 Cass., 17 luglio 1992, n. 8687, in Foro.it

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che il coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita.

Pertanto, la convivenza more uxorio ha acquistato rilevanza esclusivamente riguardo alla ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite come parametro correttivo e non acquista rilevanza iure proprio, poiché il diritto alla pensione di reversibilità non rientra tra i diritti inviolabili tutelati dall’art. 2 Cost. Quindi, al fine di dotare il convivente di tale diritto, si rende necessario un intervento ad hoc del legislatore. Intervento che c’è stato, ma che ha volutamente escluso tale diritto alle convivenze more uxorio, riconoscendolo però in capo ai soggetti che fanno parte del nuovo istituto di diritto pubblico volto a riconoscere i diritti delle persone dello stesso sesso all’interno di questa nuova “formazione sociale specifica” denominata unione civile.

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Capitolo 3