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Tutela interna: Artt 2034, 2041 c.c e contratti di convivenza

Profili di tutela interna ed esterna della convivenza more uxorio

2.1 Tutela interna: Artt 2034, 2041 c.c e contratti di convivenza

Il nostro ordinamento, dopo un lungo e travagliato percorso evolutivo, ha finalmente riconosciuto a livello costituzionale la convivenza more uxorio. Questa tipologia di rapporto trova protezione infatti all’interno dell’art. 2 Cost., giacché formazione sociale volta alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e alla promozione della personalità dei soggetti che ne fanno parte49. La convivenza more uxorio ha bisogno di una pianificazione da parte dell’ordinamento, nel rispetto della libertà di scelta delle parti nel regolamentare il proprio rapporto fuori dagli schemi prefissati per la famiglia legittima. Bisogna dire però che, spesso, sia in dottrina che in giurisprudenza, il rispetto della libertà di scelta, si è tradotta in un’esclusione, per le coppie di fatto, dall’applicazione delle norme poste a tutela della famiglia legittima.

49 Corte Cost. 13 novembre n.237 del 1986, in Gazz uff. 1986.; Corte Cost. 14 aprile 2010 n. 138, Gazz.

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Il rifiuto opposto da coloro che versano in una situazione familiare di fatto alle regole proprie della famiglia fondata sul matrimonio comporta, quale diretta conseguenza, che “tra i conviventi non si instaura alcun obbligo giuridicamente vincolante, sulla falsa riga di quelli individuati dagli art. 143 ss. c.c., così come libertà e autonomia governano la crisi del rapporto, non soggetta alle regole e alle procedure altrimenti previste per la separazione dei coniugi e del divorzio”.50

A ben vedere, questa impostazione del fenomeno sembra essere espressione della predilezione del consortium familiare istituzionale da parte dell’ordinamento, poiché vede l’unione di fatto come una formazione sociale, cioè come aggregazione di soggetti volta alla promozione della personalità dell’individuo come sancito dall’ art. 2 Cost., mentre vede la famiglia legittima e i principi che la caratterizzano (artt. 29; 30; 31 Cost.) come una specificazione delle direttive degli artt. 2 e 3 Cost. e quindi come luogo privilegiato di affermazione e realizzazione della personalità dei singoli. Allo stesso tempo però, bisogna considerare che spesso molte coppie non scelgono di vivere il rapporto di coppia fuori dal matrimonio, ma vi sono costrette, magari perché legati da un precedente vincolo matrimoniale o perché omosessuali, altre volte semplicemente perché vorrebbero regolamentare il rapporto di coppia in

50 G. Ferrando, Convivere senza matrimonio: rapporti personali e patrimoniali nella famiglia di fatto,

Fam. dir., 1998, 192.

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libertà, sempre nel rispetto degli altrui diritti e interessi, ma senza un’imposizione da parte dell’ordinamento su questioni che attengono alla sfera più intima del rapporto di coppia. Così facendo, l’ordinamento va a riservare una piena tutela dei diritti individuali solo all’interno dell’istituto matrimoniale, anche se negli ultimi anni giurisprudenza e parte delle forze politiche hanno cercato di rispondere alle esigenze della collettività riconoscendo una tutela minima anche ad altre relazioni affettive non formalizzate.

Una volta riconosciuta rilevanza costituzionale all’unione non legittima, bisogna individuare gli strumenti giuridici idonei a tutelare queste formazioni sociali, tenendo conto delle caratteristiche peculiari di tali unioni e dei limiti imposti dall’ordinamento.

L’inclusione della convivenza more uxorio nel novero delle formazioni sociali costituzionalmente riconosciute e protette e la conseguente attribuzione di valore alla relazione affettiva che ne costituisce il fondamento, implicano che i soggetti in essa coinvolti siano tenuti al rispetto di un dovere inderogabile di reciproca solidarietà, intesa come “ dovere incombente su ogni persona che esplichi la propria individualità in un contesto sociale, di indirizzare la propria condotta al rispetto del limite dell’altrui diritto, concorrendo alla realizzazione del

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progetto espresso dall’ art. 2 Cost.”.51 Quindi, la condotta dei conviventi

more uxorio, non può essere considerata del tutto esente da obblighi reciproci fondati sul positivo apprezzamento da parte dell’ordinamento dei legami affettivi di solidarietà e di sostegno reciproco che caratterizzano la convivenza more uxorio.

Gli orientamenti manifestatisi nella giurisprudenza ordinaria, in relazione alle aree di emersione della problematica in esame, oscillano tra la negazione di qualsiasi rilievo giuridico al fenomeno in esame, con la conseguente applicazione degli strumenti di diritto comune e ricorrenti tentativi di parificarne la tutela a quella della famiglia legittima. A tal riguardo, bisogna considerare come l’evoluzione della società civile in direzione di un accentuato pluralismo culturale, renda evanescente la stessa prospettiva di un ordine morale o sociale costituito, in quanto, traducendosi sul piano giuridico nella pretesa alla neutralità dell’ordinamento rispetto alle scelte assiologiche individuali(intese come valutazioni che hanno ad oggetto i valori fondanti della personalità di un individuo), induce a considerare tali fenomeni come espressione di quell’ampia sfera di libertà a ciascuno riconosciuta nella scelta dei modelli di vita reputati maggiormente idonei allo sviluppo della propria personalità.52

51 Serio, Studi comparatistici sulla responsabilità civile (Torino 2007),p. 17.

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Il problema, infatti, consiste nel decidere se il diritto debba prendere atto delle esigenze sociali e individuali di volta in volta emergenti e legittimarle, conferendo forma giuridica ai nuovi modelli di vita in cui si esprimono e proteggendoli allo stesso modo di quelli tradizionali, in modo da consentire al singolo di fare le proprie scelte al riparo da condizionamenti o discriminazioni, ovvero debba rispettare questa libertà in quanto tale, astenendosi da qualsiasi regolamentazione delle nuove realtà, ed anzi, riducendo al minimo la regolamentazione anche nei settori tradizionali di intervento.53

A tal riguardo sembra ormai pacifica la non estendibilità all’unione di fatto delle norme previste per la famiglia legittima che disciplinano i rapporti personali fra coniugi, non potendosi giuridicamente pretendere dai conviventi l’adempimento di quei doveri (fedeltà, coabitazione e assistenza) che trovano fondamento esclusivo in un altro istituto (il matrimonio). Salvo che questi doveri non siano stati disposti direttamente dal legislatore nei confronti di queste unioni, cosa recentemente avvenuta con l’approvazione della l. 76/2016 recante disciplina di un nuovo istituto di diritto pubblico (unioni civili), già conosciuto e adottato in altri ordinamenti europei e delle convivenze more uxorio, aperte anche alle coppie dello stesso, con cui si è estesa parte della disciplina matrimoniale

53 Palazzani, La famiglia "di fatto" è giustificabile giuridicamente?, in Iustitia, 1999, 46.

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a queste unioni affettive ormai riconosciute e disciplinate dal nostro ordinamento, con l’esclusione però del dovere di fedeltà rimasta prerogativa dell’ istituto matrimoniale.

In mancanza di una disciplina ad hoc, incoercibile è anche l’obbligo di contribuire al soddisfacimento dei bisogni del convivente, poiché nella convivenza di fatto, non si ricollegano doveri se non di carattere morale, escludendosi pertanto, in caso di separazione, il diritto del convivente al mantenimento o gli alimenti, salvo la presenza di figli, in base all’applicazione analogica o estensiva dell’art. 155 c.c., la cui ratio, secondo la giurisprudenza di legittimità, risiede nell’interesse esclusivo della prole, escludendone l’applicabilità in mancanza di figli.54

Questa incoercibilità degli obblighi derivanti dalla vita in comune ha indotto, ormai dalla caduta del giudizio d’illiceità per contrarietà all’ordine pubblico e buon costume della convivenza more uxorio, la giurisprudenza,55 a ritenere che le prestazioni reciprocamente rese dalle parti nel corso della relazione, così come quelle effettuate in occasione o in vista della sua cessazione, costituiscano adempimento di un’obbligazione naturale, che dà luogo all’irripetibilità di quanto spontaneamente attribuito, così come sancito dall’art. 2034 c.c.. Si

54 tra le più recenti, Cass., sez. I, 9 settembre 2002 n. 13065, in Fam. e dir., 2002, 587, con nota di A. Liuzzi, Assegnazione della casa coniugale e indennità sostitutiva del mancato godimento; Cass., sez. I, 19 aprile 2002 n. 5714, in Fam. e dir., 2002, 610, con nota di G. Sciancalepore, L'interesse del minore nella crisi familiare. 55 Cass. 15 gennaio 1969, n.60; Cass., 20 gennaio 1989, n. 285; Cass., 13 marzo 2003, n. 3713; Cass., 15 maggio 2009, n. 11330, in Esecuzione dei provvedimenti del giudice nel diritto di famiglia, 2015.

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ritengono quindi più adeguati al caso l’utilizzazione, ai fini della tutela delle convivenze more uxorio, di strumenti giuridici di diritto comune, piuttosto che le norme previste per le unioni legittime.

Tornando alle somministrazioni di prestazioni di assistenza materiale e dei contributi necessari al soddisfacimento delle comuni esigenze di vita all’interno della coppia di fatto, oggi considerate obbligazioni naturali, un tempo venivano, a causa della concezione negativa nei confronti delle convivenze fuori dal matrimonio, considerate “donazioni remuneratorie”,56quasi a voler rappresentare la riparazione del danno sofferto per la seduzione e la successiva convivenza. In seguito sono state qualificate come adempimento di un’obbligazione naturale, in un primo momento di natura indennitaria, per compensare la donna dei pregiudizi di ordine economico derivanti dalla relazione e in seguito, di natura solidaristica, per porre l’accento sull’affidamento di una situazione futura nata dal semplice fatto di porre in essere una convivenza more uxorio.

L’obbligazione naturale, in tale situazione, è vista in chiave di adempimento di quei doveri naturali d’assistenza di contenuto identico all’obbligo posto a carico dei coniugi ex art. 143 c.c., non costituendo

56 De Luca, in la famiglia non coniugale, Padova,1996 76. In tal senso è significativa Cass. 7 ottobre

1954 n. 3389, che sottolinea l'importanza dell' animus donandi riconosciuto da entrambe le parti. V. anche la relazione di Oberto, I rapporti patrimoniali nella famiglia di fatto, esposta al Convegno di studi " I diritti nelle famiglie di fatto:attualità e futuro", svoltosi in Bari in data 9 giugno 2003. L'A. considera le donazioni remuneratorie negozi nulli per difetto di forma (per lo più, si trattava di

donazioni dirette, sovente dissimulate da compravendite, non rispettose della forma solenne).

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però un’obbligazione civile, con la conseguenza che in caso di chiusura del rapporto, non è ammessa la ripetizione di quanto spontaneamente prestato perché compiute in esecuzione di doveri morali e sociali.

Invece, l’attribuzione, non potrà considerarsi un’obbligazione naturale bensì donazione remuneratoria, art.770 comma 1 c.c., quando sia fatta in esecuzione di un dovere morale di riconoscenza o remunerazione. Allo stesso modo, si applica la disciplina della liberalità remuneratoria d’uso, art. 770 comma 2 c.c. nel caso in cui l’attribuzione sia fatta in esecuzione di un dovere morale di gratitudine sorto in occasione di servizi ricevuti o comunque in conformità agli usi, purché non comporti un depauperamento del patrimonio di chi la compie.

L’attribuzione patrimoniale realizzata nel rispetto di regole del decoro sociale, dunque, sarà definibile non come adempimento di un’obbligazione naturale, bensì come liberalità meramente d’uso. Mentre l’attribuzione che prescinde da qualsiasi dovere morale o sociale (o dalle regole del decoro sociale) rientrerà, invece, entro lo schema della donazione o di altro contratto a prestazioni corrispettive.

Per fissare bene i confini dell’obbligazione naturale, la giurisprudenza ha elaborato un principio di diritto secondo cui: nella convivenza more uxorio anche l’esborso di somme effettuato da uno dei soggetti del rapporto rappresenta un adempimento di obbligazione naturale, purché sussista un rapporto di proporzionalità tra le somme

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sborsate e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi. Ne deriva che, laddove, come accaduto nel caso concreto, non sussista tale rapporto di proporzionalità, anche per l’impossibilità di desumere con esattezza la portata dei doveri morali e sociali reciprocamente assunti dalle parti in occasione della convivenza, le somme sborsate, non potendo essere ricondotte all’adempimento di un obbligo morale strettamente connesso alla situazione di convivenza more uxorio, potranno essere ripetute, non trovando, in siffatta situazione, applicazione

la disposizione di cui all’art. 2034 c.c..57

Va osservato come nella pratica questo limite sia stato inteso con molta elasticità e grande varietà di valutazioni da parte dei giudici, come accade nei casi in cui clausole generali del diritto vengono utilizzate in contesti di forte transizione culturale.

Quindi, potendosi escludere per i conviventi il regime di comunione dei beni58 a causa della mancanza di garanzie di pubblicità, secondo l’orientamento prevalente, i beni acquistati durante la convivenza rimarranno nella esclusiva titolarità di chi li ha acquistati, fatta eccezione per l’ipotesi in cui i conviventi, nell’esercizio dell’autonomia privata, abbiano deciso di rendersi congiuntamente acquirenti. Questo, sempre per quanto riguarda quelle unioni che rimangono prive di pubblicità, poiché oggi, grazie alla legge che disciplina compiutamente le coppie di fatto e le

57 Cass. 13 marzo 2003, n. 3713, in giur.it 2004, 530. 58 Cass. 26 novembre 2013 n.26424, in Foro. It.

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unioni civili, è possibile, attraverso iscrizione nei registri dell’anagrafe e la stipulazione di un contratto di convivenza con atto pubblico o scrittura privata autenticata di fronte ad un notaio o avvocato, instaurare il regime di comunione di beni tra conviventi. Pertanto in assenza d’iscrizione nei registri dell’anagrafe della coppia di fatto, gli unici rimedi a disposizione dei conviventi saranno strumenti giuridici di diritto comune volti a garantire una tutela minima nei confronti delle convivenze di fatto (non registrate).

In dottrina si è affermato che “nel caso in cui un convivente non intestatario abbia contribuito all’acquisto di un bene con una propria somma di denaro o con il proprio apporto lavorativo, questi avrà una sola strada da percorrere: il rimedio dell’arricchimento senza giusta

causa”.59

Secondo l’art. 2041 c.c. “chi senza una giusta causa si è arricchito a danno di un’altra persona, è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.

Secondo l'opinione maggioritaria, l'art. 2041 c.c. può trovare applicazione nell'ambito delle convivenze more uxorio quando la devoluzione di beni al partner non possa rimanere giustificata a causa dell'inconfigurabilità, in concreto, dell'adempimento di un'obbligazione

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naturale o dell'esecuzione di una donazione d'uso60; oppure quando le prestazioni, anche di fare, dell'uno siano state giustificate dall'affidamento, poi tradito, nella reciprocità di impegno del partner61.

Sorge però il dubbio che dare operatività giuridica al principio di reciprocità, per derivarne, in caso di un suo cattivo funzionamento, l’obbligo d’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c. costituisca una forzatura rispetto alle modalità delle convivenze more uxorio, da cui non derivano doveri di contribuzione reciproca se non attraverso lo strumento negoziale. Così inteso, l’art. 2041 c.c., potrebbe portare a un utilizzo eccessivo di questo strumento giuridico, invadendo l’ambito di applicazione di altri istituti riferibili ai casi esaminati.

Significativa a riguardo, è una sentenza della Suprema Corte riguardante il caso di una donna che aveva pagato in maniera continuativa e pressoché esclusiva le rate dei mutui ed altri debiti contratti dal partner per l’acquisto di immobili a sé intestati. La Cassazione vede nella fattispecie un’ipotesi d’ingiustificato arricchimento, perché le prestazioni rese da un convivente nei confronti dell’altro esulano dall’adempimento dei doveri di carattere morale e civile di solidarietà e reciproca assistenza avuto riguardo alle condizioni sociali e patrimoniali delle parti che

60 Che la convivenza non costituisca necessariamente causa sufficiente dell'attribuzione gratuita è

affermazione ricorrente nella giurisprudenza. Così, ad esempio, Trib. Milano 5 ottobre 1988, per stralci

in Balestra, La famiglia di fatto, Padova, 2004, 172.

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presiedono alla famiglia di fatto.62 Dunque, vi sarebbe ingiustificato arricchimento malgrado l’arricchimento sia stato voluto confidando nella lunga durata della convivenza.

Inoltre, la giurisprudenza ha affermato che la domanda di restituzione dei beni non esclude l’azione di arricchimento senza giusta causa. A ben vedere, infatti, l’azione di arricchimento va riconosciuta indipendentemente dalla possibilità del proprietario di richiedere la restituzione del bene, poiché tale seconda domanda non previene né elimina il danno verificato dall’uso della cosa prima del suo utile esercizio, o dell’offerta di restituzione e quindi, in tali termini, non è idonea ad escludere l’azione di arricchimento alla stregua del suo carattere sussidiario. A riguardo la Cass. recita: “ la sussidiarietà della domanda di arricchimento non è esclusa dall’azione per la restituzione dei beni prima

del suo utile esercizio”.63

La nozione di arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. pertanto va intesa, indifferentemente, sia in senso qualitativo sia in senso quantitativo e può consistere tanto in un aumento patrimoniale quanto in un risparmio di spesa e, poiché l’indennizzo previsto dall’art. 2041 c.c. è finalizzato a reintegrare il patrimonio del depauperato, esso va commisurato all’arricchimento, riconoscendo il diritto ad una somma di denaro pari

62 Cass. 15 maggio 2009 n. 11330, in Fam. e dir., 2010, 4, 380, con nota di Gelli, Il regime delle

prestazioni di “dare” nella convivenza tra obbligazione naturale del solvens ed arricchimento senza causa dell'accipiens.

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all’incremento patrimoniale ottenuto, riconoscendo in via sostitutiva al depauperamento un quid monetario nei limiti dello stesso arricchimento, inteso come la corresponsione in denaro di quanto sborsato e non ad esempio della quota di proprietà del bene che è stato acquistato anche grazie all’apporto monetario del convivente impoverito.

Inoltre, se l’attribuzione patrimoniale è talmente ingente da superare la soglia delle spontanee elargizioni configurabili come obbligazioni naturali, l’esclusione dell’ingiustificato arricchimento non impedisce la ricerca di altri titoli di ripetibilità dell’attribuzione, riconducendola alla sua più appropriata fonte negoziale. Ad esempio la ripetizione dell’indebito per invalidità della donazione o per l’accertamento di un rapporto di mutuo o di finanziamento a titolo gratuito, con obbligo di restituzione del denaro versato.

Orbene, questa mancanza di un impianto normativo generale della convivenza more uxorio all’interno del nostro ordinamento, almeno fin d’ora, ha indotto parte della dottrina64 a considerare maggiormente l’autonomia contrattuale dei conviventi, i quali potranno contare su una tutela reciproca in ordine a profili di tipo patrimoniale. Lo strumento contrattuale consente, infatti, di regolamentare gli aspetti patrimoniali della vita di coppia, sia durante che dopo un’eventuale conclusione del rapporto, assicurando una maggiore tutela del soggetto debole del

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rapporto. Il contratto consente alle parti di regolamentare aspetti concreti del rapporto e pertanto, risulta strumento più adeguato in considerazione delle marcate tendenze pluralistiche.

Col contratto di convivenza, infatti, non s’instaura tra le parti un obbligo reciproco a convivere, bensì viene data forma ad accordi aventi contenuto patrimoniale, volti a conferire certezza ai rapporti economici tra i componenti dell’unione, sia a regolare le ipotesi in cui la convivenza abbia un termine.65

Per quanto riguarda i profili di liceità del contratto di convivenza, bisogna richiamare il dettato dell’art.1418 c.c., il quale dispone la nullità del contratto solo in caso di contrarietà a norme imperative e salvo che la legge disponga diversamente.

Sotto il profilo della conformità all’ordine pubblico e al buon costume, non si considerano contrari al buon costume se volti a disciplinare aspetti patrimoniali in prospettiva di un futuro insieme. Per quanto concerne l’ordine pubblico, questo, si considera violato nel caso in cui le parti abbiano voluto disciplinare nel contratto aspetti non patrimoniali del rapporto, poiché insuscettibili di costituire prestazione in

65 Mascia, Famiglia di fatto: riconoscimento e tutela, Matelica 2006, p.270, si tratta in sostanza di “uno

strumento che i conviventi possono azionare per gestire i propri rapporti, studiarli, concordarli, modificarli, ma soprattutto per realizzare quella cautela che non può che definirsi prodromica alla concreta e reale tutela, perché scelta e voluta da loro”.

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base all’art. 1174 c.c., ovvero nel caso vi sia una rinuncia alla recedibilità

ad nutum.66

Sotto il profilo della meritevolezza, previsto dal 2° comma dell’art. 1322 c.c. per i contratti atipici, nonostante parte della dottrina adduca una presunzione della medesima in capo al contratto di convivenza, altra impostazione sostiene, più correttamente, come debba considerarsi al contrario necessaria, di volta in volta, una disamina della fattispecie concreta riguardo all’attuazione dei valori costituzionali del personalismo, del solidarismo e dell’associazionismo.67

Quanto al contenuto del contratto di convivenza, deve escludersi la possibilità di dedurre in contratto aspetti personali del rapporto, anche se dopo l’approvazione del disegno di legge Cirinnà sono state ammesse clausole che hanno a oggetto alcuni aspetti personali (es. designazione dell’amministratore di sostegno). Tra le principali novità introdotte dalla L.76/2016 vi è la previsione del contratto di convivenza come strumento prescelto, insieme al registro dell’anagrafe, per la regolamentazione delle coppie di fatto. Contratto che diventa tipico prevedendo un regime di

66 Colella, in rapporti patrimoniali tra conviventi e uso dello strumento contrattuale., p. 758. Cfr. inoltre

D. Riccio, op. cit., p. 451; v. anche F. De Scrilli, in i Patti di convivenza., p. 859 s., la quale osserva in