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NUOVI SISTEMI DI STIMOLAZIONE CARDIACA : ESPERIENZA CLINICA E AFFIDABILITA' A MEDIO TERMINE

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA'

DI

PISA

Dipartimenti di Medicina Clinica e Sperimentale,

Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica, Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

NUOVI SISTEMI DI STIMOLAZIONE

CARDIACA: ESPERIENZA CLINICA E

AFFIDABILTÀ A MEDIO TERMINE

RELATORE

Chiar.ma Dott.ssa Maria Grazia Bongiorni

CANDIDATO Anna Maria Fodale

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Background: I pacemaker cardiaci impiantabili si sono dimostrati dei preziosi strumenti terapeutici per il miglioramento della qualità e della durata di vita di alcuni pazienti affetti da disturbi del ritmo cardiaco. Tuttavia, i pacemaker cardiaci tradizionali possono essere la causa di complicanze acute o croniche legate sia al pacemaker impiantato in sede sottocutanea o retropettorale che agli elettrocateteri impiantati per via transvenosa come: la dislocazione dell’elettrocatetere, l’emotorace, il tamponamento cardiaco, l’infezioni della tasca, l’ematoma, le endocarditi, la trombosi occlusiva o subocclusiva del sistema venoso.

Scopo dello studio. Lo scopo dello studio è stato quello di testare l’affidabilità a medio termine del pacemaker cardiaco senza fili di nuova generazione (Medtronic Micra), impiantato all’interno del ventricolo destro, attraverso la valutazione dell’outcome in termini di efficacia e sicurezza nella coorte di pazienti sottoposti ad impianto del pacemaker senza fili; la valutazione della compliance di tali pazienti; ed infine, il confronto di tali risultati con una popolazione di controllo di pazienti sottoposti ad impianto di pacemaker monocamerale tradizionale.

Metodi. Sono stati arruolati tutti i pazienti sottoposti ad impianto di pacemaker senza fili tra Maggio 2014 e Febbraio 2015. Le variabili utilizzate includevano: il tasso di successo dell’impianto, la durata della procedura, il tempo di fluoroscopia, le misurazioni della performance del pacemaker (la soglia di stimolazione, l’ampiezza dell’onda R, l’impedenza e la performance rate-responsive) all’impianto, prima della dimissione, ad 1 mese, a 3 mesi ed a 6 mesi, la comparsa di complicanze durante l’ospedalizzazione e successivamente, il questionario EQ5D relativo allo stato di salute del paziente baseline ed a 3 mesi. Inoltre, è stata analizzata una popolazione di controllo di pazienti sottoposti ad impianto di pacemaker monocamerale tradizionale, allo scopo di effettuare un confronto con la popolazione sottoposta ad impianto di pacemaker senza fili. Le variabili analizzate per la popolazione di controllo includevano: le misurazioni della performance del pacemaker tradizionale (la soglia di pacing, l’ampiezza dell’onda R e l’impedenza) in fase di impianto, in pre dimissione ed a 1 mese.

Risultati: L’indicazione più frequente per la stimolazione cardiaca era la fibrillazione/flutter atriale permanente con risposta ventricolare bradifrequente e pause significative del ritmo (7/15; 46,6 %). Le altre indicazioni erano: BAV con aritmie atriali permanenti/persistenti (2/15; 13.3 %); sincope cardiogena (2/15; 13.3 %); episodi sincopali frequenti da cause sconosciute (1/15; 6.7 %); ritmo sinusale con blocco atrio-ventricolare di II o III grado (1/15; 6.7 %); disfunzione del nodo del seno sintomatico, con pause o arresto sinusale, con episodi di sincope (1/15; 6.7 %); e infine l’ipersensibilità del seno carotideo sintomatica per sincope (1/15; 6.7 %).

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Il successo dell’impianto è stato del 100 % (n = 15) e la maggior parte dei pazienti (12/15; 80 %) non ha avuto bisogno di alcun riposizionamento del dispositivo, dopo il suo iniziale impianto. La durata media dell’impianto è stata di 77.5 minuti (range 47 – 105 minuti) e nella maggior parte dei casi la dimissione è stata il giorno seguente a quello della procedura. I valori medi della soglia di pacing, dell’ampiezza dell’onda R registrata e dell’impedenza di stimolazione al momento dell’impianto sono risultate rispettivamente 0.6 V, 10.8 mV e 718 Ohm e, non sono state osservate differenze statisticamente significative con i valori medi prima della dimissione (0.5 V e 730 Ohm), mentre si è osservato un valore significativo del valore di sensing (da 10.8 a 12.3 mV; p = 0.03). I valori medi della soglia di pacing, dell’ampiezza dell’onda R registrata e dell’impedenza di stimolazione ad 1 mese dall’impianto in 11 pazienti sono risultati rispettivamente 0.4 V, 14.7 mV, 681 Ohm; un paziente non si è sottoposto al controllo ad 1 mese. I valori medi della soglia di pacing, dell’ampiezza dell’onda R registrata e dell’impedenza di stimolazione a 3 mesi in 10 pazienti sono risultati rispettivamente 0.4 V, 13.4 mV, 656 Ohm. I valori medi della soglia di pacing , dell’ampiezza dell’onda R registrata e dell’impedenza di stimolazione a 6 mesi in 7 pazienti sono risultati rispettivamente 0.4 V, 13 mV, 637 Ohm. E’ stata osservata un aumento significativo del valore di sensing tra i valori medi prima della dimissione e 1 mese (da 12.3 mV a 14.7 mV; p=0.04), mentre non sono state osservate differenze statisticamente significative tra i valori medi delle restanti variabili misurabili ai vari controlli: al momento dell’impianto, prima della dimissione, a 1 mese, a 3 mesi ed a 6 mesi. I valori delle misurazioni elettriche hanno dimostrato un adeguato margine di sicurezza (onda R di ampiezza > 5mV, soglia di stimolazione < 1V ed impedenza 400-1500 Ohm) già dal momento dell’impianto, che poi si è mantenuto, tendendo in genere a migliorare in fase di dimissione e nei successivi controlli, sia nei pazienti con pacemaker monocamerale tradizionale che nei pazienti con pacemaker senza fili Micra, nei pazienti con pacemaker Micra inoltre rispetto a quelli tradizionali abbiamo osservato dei valori di impedenza significativamente maggiori sia in pre-dimissione che a 1 mese. Tali valori potrebbero consentire una maggior durata della batteria rispetto al pacemaker tradizionale a parità di energia utilizzata per stimolare il cuore. Conclusioni

Il nostro studio ha dimostrato come l’impianto del pacemaker cardiaco senza fili Micra, impiantato all’interno del ventricolo destro, sia affidabile, almeno a medio termine .

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Parole chiave

Pacemaker senza fili

Pacemaker leadless

Pacemaker

Infezione elettrocateteri

Estrazione elettrocateteri

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Sommario

1. Introduzione

1.1. Cenni storici e stato dell’arte in elettrostimolazione……… 1

• Indicazioni all’impianto di PM……….. 11

• Complicanze in elettrostimolazione……….. 23

1.2. Nuovi dispositivi di stimolazione • PM leadless……… 38

2. Scopo dello studio... 57

3. Materiali e Metodi 3.1. Popolazione dello studio (caso-controllo)………... 58

3.2. Tecniche d’impianto: PM senza fili……… 60

3.3. Collezione dei dati e analisi……… 74

4. Analisi Statistica………...………… 75

5. Risultati………. 76

5.1 Misurazione della performance del pacemaker……… 78

5.2 Complicanze………. 79

5.3 Questionario EQ5D……….. 80

5.4 Confronto con la popolazione di controllo……….. 84

6. Discussione... 86

7. Conclusioni………... 95

8. Tabelle e Figure……….... 96

9. Bibliografia………... 108

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1.INTRODUZIONE

1.1 Cenni storici e stato dell’arte in elettrostimolazione

Lo sviluppo del controllo elettrico del cuore è uno dei maggiori trionfi ottenuti dalla tecnologia moderna. Le intense ricerche del XX secolo hanno dato vita alle straordinarie capacità dei moderni dispositivi. Due fattori sono stati determinanti per raggiungere il notevole progresso tecnologico nel campo della stimolazione cardiaca: il primo è il grande progresso nel campo dell’elettronica nella prima metà del XX secolo ed il secondo è dovuto ai frutti di una stretta collaborazione tra gli scienziati medici e gli ingegneri elettronici.

Figura 1. Evoluzione biomedica dei pacemaker . Lo sviluppo tecnologico e la ricerca dei materiali biocompatibili ha fatto si che questi dispositivi oggi abbiano raggiunto dimensioni molto piccole e un alto grado di sofisticazione .

La storia della stimolazione elettrica del cuore ha origini lontane poiché prende spunto dalle esperienze di Galvani nel XVIII secolo, con le quali lo

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Introduzione

Il pacemaker artificiale è stato sviluppato negli ultimi 80 anni, tuttavia la sua storia si

un periodo di circa 200 anni in cui molti

scienziati hanno in realtà contribuito a farlo nascere (Figura 1).

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Le basi

effetto sul cuore. Luigi Galvani pubblicò per la prima volta nel 1791 le sue scoperte che

organici.1 Egli condusse innumerevoli esperimenti sulle rane e pubblicò le sue scoperte di fenomeni elettrici nella

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scienziato nel 1791 rilevò per primo gli effetti di una corrente elettrica sulla muscolatura1.

Dai suoi studi Galvani ipotizzò che i tessuti animali fossero dotati di una forma di elettricità intrinseca, elettricità che è coinvolta in processi fisiologici fondamentali come la conduzione nervosa e la contrazione della muscolatura e del cuore1. Il lavoro di Galvani portò alla fondazione di una nuova scienza:

l’elettrofisiologia. La crescente conoscenza del corpo umano portò pionieri scienziati e medici alla sperimentazione della terapia elettrica. Era già noto che il cuore risponde alla pressione meccanica esercitata sul torace, una tecnica ormai nota come stimolazione percussiva. Divenne presto chiaro che il cuore era un organo particolarmente sensibili anche all'elettricità.

Nel 1889 John Alexander McWilliam, analizzando le diverse conoscenze esistenti in materia, ipotizzò che piccoli impulsi elettrici potevano essere utilizzati per il trattamento di casi in cui il cuore batteva irregolarmente. Nel 1899 egli pubblicò i risultati dei suoi esperimenti che confermarono la sua ipotesi, concludendo che il successo della stimolazione dipendeva dall’applicazione di stimoli elettrici.

I primi pacemaker “esterni”.

Alla fine degli anno’20 la teoria della stimolazione è stata per la prima volta tradotta in terapia efficace. Lavorando indipendentemente l’uno dall’altro, l’anestesista Mark C. Lidwill (1878 – 1968) in Australia e il cardiologo Albert S. Hyman (1893 – 1972) negli Stati Uniti hanno sviluppato un pacemaker esterno per l’applicazione clinica. Il pacemaker di Lidwell era costituito da un ago che veniva inserito all’interno del ventricolo di sinistra. Lidwell descrisse il suo dispositivo portatile a corrente alternata in una conferenza medica a Sidney nel 1929. Raccontò di aver usato la stimolazione elettrica intermittente

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del cuore per salvare la vita di un bambino nato in arresto cardiaco e il bambino recuperò completamente, diventando quindi “ il primo essere umano stimolato con successo “.

Nel 1932 Albert Hyman, a New York City, presentò il primo dispositivo specificatamente disegnato per stimolare il cuore, chiamandolo “ pacemaker artificiale“. A differenza del dispositivo di Lidwill, collegato a una presa a muro con l’inserimento di un ago in ventricolo del paziente, il pacemaker di Hyman, dal peso di 7.3 kg, era guidato da un motore a molla con manovella, che doveva essere girata ogni 6 minuti, ed erogava impulsi elettrici all’atrio destro attraverso un elettrodo ad ago. La sua funzione era la “resuscitation of the stopped heart by intracardial therapy“ e poteva trasmettere 30, 60 o 120 impulsi al minuto. Ciò nonostante, il lavoro pioneristico di Hyman non fu ben accolto dalla comunità scientifica per la complessità del dispositivo2.

Figura 2 . Immagine del pacemaker progettato da Hyman , da una fotografia del 1932 . Glen D. Nelson, MD, A Brief History of Cardiac Pacing.

Venti anni dopo, nel 1950 l’ingegnere canadese John Hopps realizzò quello che è considerato il primo pacemaker elettronico esterno. Gli impulsi elettrici erano trasmessi tramite un catetere bipolare agli atri usando un approccio

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transvenoso. I Dottori Wilfred Bigelow e John Callaghan insieme all’ingegnere Jack Hopps usarono la stimolazione tramite questo pacemaker per prevenire l’arresto cardiaco nell’ipotermia indotta durante gli interventi chirurgici3.

Il team iniziò a studiare i circuiti, i cateteri, le soglie e molti altri aspetti della stimolazione cardiaca, portando la tecnologia ad un nuovo livello tecnologico. Nel 1951, a Boston, il cardiologo Paul M. Zoll inventò il primo pacemaker esterno, a stimolazione fissa, per il trattamento del blocco cardiaco. Il sistema di stimolazione era completamente esterno, gli elettrodi erano fissati con una cinghia sul torace del paziente a livello del cuore4. Questo tipo di

stimolazione cardiaca è stata utilizzata fino ai primi anni’70 per il trattamento di emergenza in caso di arresto cardiaco e fu reintrodotta negli anni’80 in quanto la stimolazione cardiaca esterna era una metodica più veloce che in breve tempo poteva essere applicata per salvare la vita dei pazienti, mentre il catetere per la stimolazione transvenosa richiedeva un procedimento più lungo. Nei primi anni’50 Zoll e il suo team crearono un dispositivo di monitoraggio per la registrazione dell’attività elettrica del cuore e l’identificazione precoce dell’arresto cardiaco; il dispositivo registrava ogni battito cardiaco con un segnale udibile ed in caso di arresto cardiaco faceva scattare un segnale di allarme, utilizzando questo metodo era dunque possibile ottimizzare l’uso della stimolazione elettrica in emergenza.

A metà degli anni’50, gli ideatori dei pacemaker non solo stavano cominciando a raccogliere i frutti di una migliore tecnologia elettrica e dei materiali, ma ampliavano le loro conoscenze con nuovi modi di comprensione e di trattamento dei cuori malati. I ricercatori stavano imparando di più sull’aritmia cardiaca, e stavano diventando sempre più esperti in procedure invasive per il cuore. L’opinione pubblica, entusiasmata da racconti di chirurgia eroica durante la seconda guerra mondiale, e di “coraggiose” nuove

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tecnologie che presumibilmente avrebbero allungato e migliorato la qualità di vita, generalmente approvava il nuovo lavoro di stimolazione.

Tuttavia, i pacemaker esterni degli anni’50 causavano molti gravi inconvenienti. Erano scomodi e traumatici per i pazienti, spesso bruciavano la pelle nei punti del torace in cui erano fissati gli elettrodi, causavano fastidiose contrazioni dei muscoli della parete toracica, erano dolorosi perché occorreva un voltaggio elevato (150 V) erano grandi ed ingombranti e dovevano essere trasportati su carrelli. Inoltre, questi dispositivi erano collegati ad una presa al muro per l’alimentazione elettrica, questo limitava fortemente la mobilità del paziente e, rendeva l’interruzione occasionale di elettricità un evento potenzialmente pericoloso per la vita. Nonostante ciò altri usarono e perfezionarono la tecnica di stimolazione cardiaca di Zoll254.

Figura 3. Il primo paziente stimolato con elettrodo transvenoso, sviluppato dal Dr. Seymour Furman nel 1958. La stimolazione è stata effettuata per 96 giorni al Montefiore Hospital di New York City. Una prolunga di 50 piedi consentiva la deambulazione. Glen D. Nelson, MD, A Brief History of Cardiac Pacing.

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Il Dottor Seymour Furman rimase deluso dalle tecniche del Dottor Zoll, a causa dei loro ovvi inconvenienti, e così egli progetto un’attrezzatura nuova. Furman, non solo era interessato alla rianimazione, ma cercava un metodo per il pacing sostenuto, e l’approccio endocardico gli sembrò quello più praticabile: così riuscì a stimolare il cuore attraverso l’endocardio del ventricolo destro con un catetere inserito attraverso la vena giugulare.

Questa tecnica condusse ad importanti considerazioni che furono utili nello sviluppo dell’esperienza: si scoprì che il miocardio poteva essere stimolato con una soglia minima di 0.5 Ampere67.

Gli anni d’oro del pacemaker.

I primi anni sessanta furono gli anni d’oro del pacemaker: in questo periodo numerosi ricercatori parteciparono al suo sviluppo, sfruttando la tecnologia del transistor, che permise lo sviluppo di stimolatori di dimensioni ridotte, e quindi impiantabili, con carica a batteria. Nel 1958 l’ingegnere Rune Elmiqvist, dopo essere stato incoraggiato dal chirurgo cardiaco Ake Senning8,

del dipartimento della chirurgia toracica, Karolinska Hospital di Stoccolma, in Svezia, sviluppò il primo pacemaker completamente impiantabile. Sempre nello stesso anno, il Dottor Senning realizzò il primo impianto umano di un

pacemaker completamente impiantabile e ricaricabile, sviluppato

dall’ingegnere Elmiqvist, in un paziente, Arne Larsonn, di 43 anni con blocco cardiaco completo e sindrome di Stokes-Adams. Il primo dispositivo funzionò solo per tre ore e fu sostituito da un secondo nello stesso giorno. Questo pacemaker stimolava i ventricoli tramite due elettrodi posti nel miocardio con toracotomia sinistra e connessi al generatore, in cui era stato incorporato uno dei nuovi transistor, impiantato sottocute in regione epigastrica2 9. Era un modello asincrono ossia funzionava ad una frequenza di stimolazione fissa, indipendentemente dalla frequenza cardiaca spontanea, con un tasso costante

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tra i 70 e gli 80 impulsi al minuto10. Due batterie al nichel cadmio alimentavano il dispositivo, incapsulato in resina epossidica. Le batterie del pacemaker dell‘ingegnere Elmqvist però avevano una carica limitata, e una radio antenna consentiva alle batterie di essere ricaricate ogni settimana con energia radio attraverso la pelle per mezzo dell’antenna del pacemaker. Il Dott. Lars Ryden che in quel periodo lavorava al dipartimento di cardiologia del Karolinska University Hospital, riassume così l’impatto di quel progresso: “Passare da un sistema esterno con elettrocateteri nel cuore attraverso la pelle con i rischi di infezione connessi, a volte gravi, ad un sistema totalmente impiantabile fu un grande passo. Senza, la stimolazione non sarebbe diventata una tale storia di successo. Sembra così semplice ora, ma non lo era quando fu inventato la prima volta e messo in funzione“ 11.

Figura 4. L’unica fotografia esistente del primo pacemaker impiantabile del Dottor Elmqvist , prima della lavorazione finale e della lucidatura . European Perspectives in Cardiology , Circulation , Journal of

the American Heart Association , June 5 , 2007 .

Nel 1960 il Dottor William Chardack e un ingegnere elettronico, Wilson Greatbatch, costruirono a Buffalo, New York, il primo pacemaker impiantabile americano che aveva una batteria di mercurio e di zinco.

Anche questo dispositivo presentava dei limiti: l’autonomia del dispositivo era di soli 3 anni e frequentemente andava incontro a malfunzionamento, per questo motivo tali dispositivi venivano sostituiti preventivamente. Inoltre, pur essendo rivestiti di resina epossica, questi dispositivi, dopo un certo lasso di Circulation June 5, 2007

electrocardiographic equipment and other medical instru-mentation (Figure 1). In 1927, he developed an electron tube potentiometer to measure pH, and in 1931, he came up with a portable multichannel electrocardiograph for recording 3 leads simultaneously.

In 1940, he became head of development at the medical electronics firm Elema–Schonander, a company that later became Siemens–Elema. Siemens–Elema continued to make pacemakers until 1994 when the American company St Jude Medical, of St Paul, Minn, bought the operation. In 1948, Dr Elmqvist introduced the first inkjet recording system —the Mingograph—for direct analog recording of physio-logical signals. This system saw wide use in the recording of electrocardiograms and electroencephalograms and was also adapted to phonocardiography.

Dr Senning implanted Dr Elmqvist’s first rechargeable implantable cardiac pacemaker into a patient with complete heart block and Stokes–Adams attacks. The patient’s wife, Else-Marie Larsson, had persuaded Drs Senning and Elmqvist to insert the device into her husband, Arne, after she had heard of their experiments (Figure 2).

Dr Senning implanted 2 electrodes into the myocardium via a left-sided thoracotomy, and he placed Dr Elmqvist’s pacemaker in the abdominal wall. It failed after 3 hours, but it was replaced by a second, identical model, which worked for 6 weeks. Dr Senning, who also developed the atrial inversion operation (the Senning repair) for transposition of the great arteries, later moved to Zurich, Switzerland, to become professor of surgery at the University Hospital. There, he and his team performed the first heart transplanta-tion in Switzerland in 1969. He worked at the University Hospital until 1985, and he died on July 21, 2000, aged 85.

Dr Elmqvist’s first implantable pacemaker (Figure 3) had a pulse amplitude of 2v and a pulse width of 1.5ms, at a constant rate of 70 to 80 impulses per minute. It used silicon transistors, which were relatively new at the time and were regarded as more efficient than the older germanium

transistors. Two nickel cadmium battery cells powered the device, which was encapsulated in epoxy resin. The unit had a diameter of about 55 mm and was 16 mm thick. The early units had 2 polyethylene-coated twisted stainless suture thread wires with the ends fixed to the heart to serve as electrodes. However, this stainless steel thread was not durable enough to cope with a heart beating 100 000 times a day and the lead flexing with each beat. A new, longer-lasting, extremely flexible lead rapidly evolved. The batteries in Dr Elmqvist’s pacemaker had only a limited charge, and a radio loop antenna enabled the batteries to be recharged each week by beaming radio energy through the skin to the pace-maker antenna.

During his lifetime, that first patient, Arne Larsson, had almost 30 pacemakers fitted. He later used himself as an example to those who doubted the success of pacemakers, and he became chairman of a patient advocacy organisation that successfully influenced pacemaker manufacturers to improve their products. His heart and its pacemaker worked well until his death on December 28, 2001, in Stockholm, Sweden, at the age of 86. Even then, neither his heart nor his pacemaker had failed him—he died from an unrelated condition. Dr Rydén emphasises that the pacemaker was not Dr Elmqvist’s only contribution to modern medicine. “He was an ingenious engineer, and the Mingograph system was another very important innovation he con-tributed,” he says, pointing out that although Elema–Schonander was not the only company developing such systems, “to be a pioneer encourages and stimulates the activity of many others, and this is important enough in this perspective. He and Senning are 2 of only a few, if any, Swedes who are written about internation-ally in the history of cardiac pacing.”

Dr Rune Elmqvist’s son, Hakan Elmqvist, PhD, professor of medical technology at the Karolinska Institute, says his father made

C ir c u la ti o n : E u ro p e a n P e rs p e c ti v e s f110

Figure 2. Dr Elmqvist (left) and Dr Senning (centre) with their first patient, Arne

Larsson, proudly displaying an exmple of the pacemaker at a cardiology conference.

Figure 3. The only existing photograph of Dr Elmqvist’s first implantable pacemaker, before final machining and buffing.

© S t Ju d e M ed ic a l © H a ka n E lm q vi st

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tempo dall’impianto, venivano invasi dai fluidi organici. Erano ingombranti e pesavano fino a 145 g12. Visti i limiti di questi dispositivi, poco tempo dopo,

Wilson Greatbatch, fondò la sua società, la «Wilson Greatbatch Ltd», che produceva batterie per i pacemaker impiantabili, e convinse la Medtronic a sostituire le batterie a mercurio con quelle in litio-iodio. Queste ultime presentavano i seguenti vantaggi: offrivano una durata di circa 10 anni, erano più piccole, erano più leggere (circa 100 g.) e potevano essere sigillate in pacchetti ermetici, così da mantenerle sterili ed evitare il loro danneggiamento13.

La tecnica per inserire un catetere permanente transvenoso bipolare fu sviluppata nel 1962 sia negli Stati Uniti che in Svezia. La procedura transvenosa consisteva nell’incisione di una vena attraverso la quale si inseriva il catetere stimolatore che, con l’ausilio del controllo radioscopico, veniva avanzato e posizionato tra le trabecole muscolari del ventricolo destro. Tra gli anni’60 e ’70 i cateteri transvenosi sostituirono quelli epicardici e i pacemaker e i cateteri furono impiantati senza la toracotomia e senza l’uso di anestesia generale.

I perfezionamenti negli anni Settanta e Ottanta .

In questi anni furono sviluppati i pacemaker “a domanda“, in grado di rilevare l’attività cardiaca e intervenire con il pacing (induzione dell’attività cardiaca) solo se indicato. Alla fissazione passiva del catetere all’endocardio del ventricolo destro si affiancò quella a vite, per un fissaggio attivo.

La sostituzione della batteria mercurio/zinco con quella litio/iodio garantì una maggiore durata del pacemaker da 1-2 anni a 5-10 anni. La batteria e il circuito furono inclusi in un contenitore in titanio, quindi non furono più usati la resina epossica e il silicone che servivano da isolante tra i componenti del pacemaker e l’ambiente esterno. L’avvento della radiofrequenza e della telemetria consentirono la programmazione non invasiva del dispositivo in

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base alle esigenze cliniche del paziente.

Alla fine degli anni’70, furono sviluppati i pacemaker bicamerali, in grado di percepire il battito cardiaco in atrio e in ventricolo, di registrarlo e di stimolare entrambe le camere cardiache. Con questi dispositivi fu possibile rendere sincrona l’attività atrio-ventricolare che consentì di preservare il contributo atriale al riempimento ventricolare. Agli inizi degli anni Ottanta furono sviluppati dei cateteri con le parti distali a rilascio di steroidi, ciò permise la riduzione della risposta infiammatoria tissutale e dei fenomeni di cicatrizzazione, indotti dal corpo estraneo costituito dalla punta del catetere. Ciò apportò delle migliorie al funzionamento dei pacemaker come la riduzione della soglia di stimolazione, cioè della quantità di energia necessaria per depolarizzare il ventricolo, con un aumento della sicurezza del sistema.

A metà degli anni Ottanta, furono sviluppati i pacemaker rate-responsive grazie all’introduzione di un piccolo sensore all’interno del contenitore del pacemaker in grado di rilevare i movimenti del corpo e di regolare la frequenza di stimolazione, a seconda del livello di attività del paziente; così, i pazienti con bradicardia hanno avuto la possibilità di ritornare ad avere un ritmo cardiaco “normale” e costante ma anche un buon tasso fisiologico di risposta necessaria per svolgere le funzioni di tutti i giorni, riprendere il proprio lavoro e un’attività fisica intensa.

Negli anni Novanta furono sviluppati i pacemaker guidati dai microprocessori, dispositivi complessi con multifunzioni in grado di modificare automaticamente i loro parametri interni di stimolazione. Il pacemaker con stimolazione a frequenza variabile si adegua automaticamente all’attività del paziente: quando esso compie un’attività fisica il pacemaker interviene aumentando il battito cardiaco, mentre a riposo riporta il battito ad un ritmo più lento. Con il nuovo millennio il pacemaker subisce un’importante evoluzione: nasce il pacemaker biventricolare; da stimolatore per il

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trattamento dei disturbi del sistema di eccito-conduzione diviene strumento per il trattamento dell’insufficienza cardiaca. Questo nuovo dispositivo permette, tramite un ulteriore catetere introdotto nel seno coronarico, di stimolare per via epicardica il ventricolo sinistro. In questo modo i due ventricoli vengono stimolati contemporaneamente per risincronizzare la loro attività: il ventricolo destro attraverso i cateteri endocardici tradizionali e il sinistro tramite un catetere epicardico nel seno coronarico. Ne consegue un ottimo risultato terapeutico: un aumento della frazione di eiezione, quindi della portata cardiaca, una riduzione dei sintomi dovuti allo scompenso cardiaco e una maggiore sopravvivenza. Inoltre, lo sviluppo tecnologico ha permesso la trasmissione telefonica dei dati ad un server centrale via internet che permette il controllo dei dati a domicilio14. Nel 2002 alcuni ricercatori in

Michigan hanno presentato un pacemaker sperimentale che fornisce energia elettrica sufficiente per alimentare un pacemaker a partire dal battito cardiaco. In questo modo i pazienti potrebbero alimentare i loro pacemaker con il proprio battito cardiaco, tramite la piezoelettricità, eliminando la necessità di sostituire le batterie quando sono scariche, un’innovazione particolarmente importante per i pazienti giovani. Questa nuova modalità potrebbe essere utilizzata per alimentare anche altri dispositivi, come i defibrillatori cardiaci impiantabili15.

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Indicazioni all’impianto di PM

Gli impianti dei dispositivi elettrici per stimolazione, realizzati con tecniche innovative e anche grazie al ricorso a nuove soluzioni ingegneristiche, stanno ampliando l’indicazione chirurgica per numerose patologie.

INDICAZIONI ALL’IMPIANTO DI PACEMAKER NEI BLOCCHI ATRIOVENTRICOLARI ACQUISITI IN PAZIENTI ADULTI

I blocchi atrio-ventricolari (BAV) sono disturbi della conduzione dell’impulso dagli atri ai ventricoli. I BAV sono classificati in primo, secondo e terzo grado.

In base alla sede anatomica del blocco è possibile definirli in sopra-, intra- e sottohisiani. I meccanismi patogenetici alla base dei blocchi atrio-ventricolari sono l’interruzione anatomica del sistema di conduzione, un rallentamento della conduzione dell’impulso o il prolungamento del periodo refrattario localizzato a livello del nodo atrio-ventricolare o nel fascio di His16 17.

 Blocco atrioventricolare di primo grado

Questo difetto della conduzione è causato da un allungamento dell’intervallo P-R (> 20 s) durante normale ritmo sinusale18. E’ più frequentemente dovuto

ad un ritardo di conduzione nel nodo AV, 80 % dei casi, e raramente a ritardi di conduzione intra-atriale, del sistema His-Purkinje o a più livelli. Se la durata del QRS è normale, il punto del ritardo di conduzione è verosimilmente all’interno del nodo AV (nel 90 % dei casi). Se si sviluppa un blocco AV di I grado in presenza di blocco di branca, il QRS è prolungato e il ritardo di conduzione può trovarsi all’interno del nodo AV (60 % dei casi) del sistema di His-Purkinje o entrambi; questo quadro si riscontra di frequente in pazienti con blocco di branca sinistra o blocco di branca destra più emiblocco anteriore o posteriore sinistro. In questi casi è necessario eseguire una registrazione del fascio di His per individuare con precisione la sede

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anatomica del rallentamento di conduzione. Di frequente riscontro nei soggetti anziani è un intervallo PR di 0.24 – 0.26 s ritenuto una variante parafisiologica, mentre, nei pazienti con cardiopatia di varia eziologia è spesso possibile riscontrare un BAV di I grado con un intervallo PR di 0.50 – 0.60 s18.

Generalmente i pazienti con BAV di I grado isolato sono asintomatici e hanno un’ottima prognosi, poiché raramente si ha progressione verso il blocco di III grado. E’ importante però sottolineare che in presenza di un BAV di primo grado importante, l’inadeguata sincronizzazione elettrica AV può causare un anomalo riempimento dei ventricoli e di conseguenza un’insufficiente gittata cardiaca ed un aumento delle pressioni di riempimento con sintomatologia analoga alla sindrome da pacemaker19. Nonostante manchino ancora dati certi

sul ruolo della stimolazione cardiaca permanente nel migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza dei soggetti con BAV di I grado, è ormai ampiamente riconosciuto che se tali blocchi presentano un PR > di 0.32 s, possono essere sintomatici. Recentemente alcuni studi non controllati hanno dimostrato che la correzione della sincronizzazione elettromeccanica AV permette di migliorare sia i sintomi che la portata cardiaca. Tuttavia, attualmente non sono presenti dati che dimostrino in modo indiscutibile tali effetti nel follow-up a lungo termine. Per questo motivo, l’indicazione alla stimolazione cardiaca permanente in pazienti con BAV di I grado può essere posta solo in presenza di sintomi invalidanti o nel caso di importante compromissione emodinamica correlabile all’allungamento dell’intervallo PR e solo dopo aver dimostrato che la normalizzazione dell’intervallo PR determini un chiaro miglioramento della gittata cardiaca16, 17, 19, 20 .

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 Blocco atrioventricolare di secondo grado

I blocchi AV di II grado sono caratterizzati dalla mancata trasmissione di alcuni impulsi dagli atri ai ventricoli. Nel BAV di II grado le onde P condotte sono collegate ai complessi QRS con intervalli PR ricorrenti. Ne sono riconosciuti tre tipi: BAV di secondo grado tipo 1 (detto anche di Mobitz 1), BAV di secondo grado tipo 2 (definito anche di Mobitz 2) e BAV di secondo grado avanzato (definito anche blocco cardiaco completo)21.

Il Blocco atrioventricolare di II grado tipo 1 è caratterizzato dal periodismo di Luciani-Wenckebach e si riconosce elettrocardiograficamente per i seguenti aspetti: allungamento progressivo dell’intervallo PR che culmina in una mancata conduzione di una P; prolungamento dell’intervallo PR con lenta crescita progressiva; progressivo accorciamento degli intervalli RR; la pausa successiva alla P bloccata è minore della somma di due intervalli PP; l’ultimo intervallo PR condotto prima del blocco della P è più lungo dell’intervallo PR successivo. Il BAV di II grado di tipo 1 spesso si presenta con regolarità portando a sequenze di conduzione costanti (come 3:2, 4:3, 5:4). La sede anatomica del BAV può essere il nodo AV, il fascio di His o il sistema di conduzione distale del fascio di His. In mancanza di disturbi di conduzione intraventricolari la sede anatomica del BAV è il nodo AV. In presenza di blocchi di branca, la sede del blocco può essere nel nodo AV, nel sistema His-Purkinje o in entrambi22 23. Generalmente la prognosi è benigna,

essendo inusuale la progressione in breve tempo verso gradi di BAV più avanzati. Per questo motivo la stimolazione cardiaca definitiva non è solitamente indicata a meno che il soggetto non sia sintomatico per una bradicardia importante1618, 24.

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Blocco atrioventricolare di secondo grado tipo 2 è caratterizzato elettrocardiograficamente da onde P bloccate senza allungamento dell’intervallo PR nei battiti precedenti. L’intervallo RR tra i due QRS che contengono l’onda P non condotta è 2 volte l’intervallo tra due onde P consecutive16, 17, 21, 24. Il BAV di secondo grado tipo 2 si presenta spesso con

un blocco di branca dovuto frequentemente ad un blocco nel sistema His-Purkinje. Questo determina una prognosi severa con un’alta incidenza di sincopi e crisi di Morgagni -Adams-Stokes per progressione del BAV o asistolia21.

BAV di secondo grado 2:1 e avanzato

Il BAV di secondo grado 2:1 può essere sia di tipo 1 che di tipo 2.

Nel BAV 2:1 un’onda P su due non è seguita dal QRS, rendendo difficoltosa la diagnosi della sede del blocco23. Un blocco AV 2:1 associato a fenomeni tipo Luciani-Wenckebach ed a QRS stretto suggerisce un blocco a livello del nodo AV, mentre se al BAV di secondo grado tipo 2 è associato un QRS largo il difetto di conduzione è distale al nodo AV. Per determinare il livello del blocco possono essere talvolta necessarie registrazioni endocavitarie a livello del fascio di His. Il BAV di secondo grado avanzato è contraddistinto dalla mancata conduzione ai ventricoli di più di due onde P consecutive. Talvolta, in questo tipo di BAV è possibile che una serie di impulsi atriali non vengano condotti ai ventricoli, per un periodo che va dai 10 ai 20 secondi, provocando un’asistolia ventricolare e una sincope. Se non viene identificata una chiara eziologia è indicato il pacing permanente25.

Blocco atrioventricolare di terzo grado .

Il BAV di terzo grado o completo è caratterizzato dalla mancata conduzione degli impulsi dagli atri ai ventricoli. Atri e ventricoli sono controllati da pacemaker indipendenti26, 27. L’attività ventricolare viene controllata da uno

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Interviene cioè un centro inferiore con una frequenza più bassa di quella del nodo del seno che prende il controllo.

La sede anatomica del BAV può essere nodale, intrahisiana e sottohisiana. Nel BAV di III grado più basso è il centro che prende il controllo, più è bassa la frequenza ventricolare. Se il centro che prende il controllo è in sede nodale o intrahisiana il ritmo di scappamento è di solito caratterizzato da QRS di normale durata e morfologia e la frequenza ventricolare è tra i 40 e i 60 bpm26.

Nei BAV sottohisiani il ritmo di scappamento è invece costituito da QRS di durata aumentata e con frequenze cardiache < 40 bmp. Di fondamentale importanza per localizzare la sede del blocco diviene la registrazione del fascio di His. Mentre i BAV di terzo grado con sede di origine nodale possono essere congeniti, i BAV completi sottohisiani sono più di frequente acquisiti.

Prima di decidere di impiantare un pacemaker bisogna sempre valutare la possibile reversibilità del BAV. Il BAV può essere reversibile in diversi casi come le disionie, la sindrome di Lyme, l’ipotermia, cause che devono essere riconosciute prima di considerare l’eventuale impianto di uno stimolatore cardiaco permanente16. In seguito ad altre malattie come la sarcoidosi, l’amiloidosi o patologie neuromuscolari, l’impianto di pacemaker può essere considerato necessario anche in presenza di quadri di regressioni transitorie del BAV per la probabile progressione della patologia.

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Tabella 1. Indicazioni all’impianto di pacemaker in pazienti con blocchi atrioventricolari acquisiti.

M. Lunati , M. Santini , M. G. Bongiorni, G. Boriani, R. Cappato, D. Corrado , A. Curnis, M. Di Biase, S. Favale, L. Padeletti, R. Pedretti, A. Proclemer, R. Ricci, P. Spirito, G. Vergara , Linee guida AIAC all’impianto di pacemaker , dispositivi per la resincronizzazione cardiaca , defibrillatori automatici e loop recorder , update 2011

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 INDICAZIONE ALL’IMPIANTO DI PACAMAKER NELLA

MALATTIA DEL NODO DEL SENO E NELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE .

La malattia del nodo del seno comprende un ampio spettro di anomalie elettrofisiologiche che comprendono la bradicardia sinusale, l’arresto sinusale, il blocco seno-atriale, il ritmo giunzionale. Questi disturbi del ritmo possono manifestarsi isolatamente o alternarsi ad episodi di tachiaritmia sopraventricolare, generalmente fibrillazione atriale. La presenza di periodi di bradicardia sinusale interposti a periodi di tachicardia atriale designano un quadro di sindrome bradi-tachi. Frequentemente la fibrillazione atriale è innescata da improvvisi rallentamenti della frequenza cardiaca o da arresti sinusali ma in alcuni casi la causa scatenante la tachiaritmia è il fenomeno “ciclo lungo – ciclo breve” indotto da un bigeminismo extrasistolico in ritmo bradicardico. Altre volte la fibrillazione atriale può essere seguita da una bradicardia severa o da un arresto sinusale prolungato, probabilmente per la soppressione prolungata del nodo del seno indotta da tachiaritmia. I soggetti con malattia del nodo del seno possono essere sintomatici sia durante gli episodi di bradiaritmia, presentando astenia, ridotta tolleranza all’esercizio fisico, vertigini, sincope, pre-sincope o lipotimia (principalmente dovuti alle lunghe pause sinusali), sia durante episodi di tachiaritmia presentando cardiopalmo, dispnea, angor, scompenso cardiaco.

La documentazione delle varie aritmia durante gli episodi sintomatici, ottenuta con ECG, monitoraggio Holter o registratore di eventi, è fondamentale per definire una buona strategia terapeutica. A volte, a causa della natura intermittente dei sintomi e delle manifestazioni del ritmo, la diagnosi è solo presunta. In molti casi è presente una inadeguatezza cronotropa, cioè una incapacità del nodo del seno di raggiungere almeno il 75 % della frequenza cardiaca teorica massimale (220 – l’età del paziente).

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Si stima che sia presente nel 20 – 60 % dei pazienti con disfunzione sinusale. Sebbene la frequenza cardiaca a riposo possa risultare normale, questi pazienti possono manifestare sia l’incapacità di incrementare la loro frequenza durante sforzo sia avere variazioni di frequenza imprevedibili durante lo sforzo. La stimolazione cardiaca permanente nei pazienti con malattia del nodo del seno ha mostrato effetti benefici su endpoint clinici maggiori, come il miglioramento della qualità di vita, la prevenzione della fibrillazione atriale e dell’ictus, la riduzione del numero delle ospedalizzazioni e, verosimilmente, la sopravvivenza28-30.

Inoltre, diversi studi hanno dimostrato il beneficio clinico della stimolazione “rate-responsive“ in grado di ripristinare un corretto incremento di frequenza durante l’esercizio fisico.

Tabella 2. Indicazioni all’impianto di pacemaker in pazienti con malattia del nodo del seno.

M. Lunati , M. Santini , M. G. Bongiorni, G. Boriani, R. Cappato, D. Corrado , A. Curnis, M. Di Biase, S. Favale, L. Padeletti, R. Pedretti, A. Proclemer, R. Ricci, P. Spirito, G. Vergara , Linee guida AIAC all’impianto di pacemaker , dispositivi per la resincronizzazione cardiaca , defibrillatori automatici e loop recorder , update 2011.

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La stimolazione atriale nella prevenzione della fibrillazione atriale

Stimolazione fisiologica convenzionale. Diversi studi hanno dimostrato che la stimolazione atriale e bicamerale riduce le recidive di fibrillazione atriale in soggetti con malattia del nodo del seno, specialmente se messa a confronto con la stimolazione ventricolare31. Sembra che l’effetto antiaritmico della

stimolazione atriale sia dovuto a diversi meccanismi elettrofisiologici come la prevenzione di episodi tachicardici indotti da bradicardia, la riduzione del numero di battiti prematuri atriali che possono determinare l’insorgenza della fibrillazione atriale, la soppressione del fenomeno “ciclo lungo – ciclo breve“, il diminuire della dispersione della velocità di conduzione e dei periodi refrattari atriali. Inoltre, la stimolazione atriale può potenziare l’efficacia della terapia farmacologica antiaritmica, consentendone l’uso in dosaggi ottimali e prevenendo la bradicardia indotta. L’attivazione della modalità “rate-responsive“ può aumentare i benefici antiaritmici della stimolazione atriale aumentando la percentuale di pacing atriale, soprattutto durante lo sforzo fisico.

Stimolazione atriale multiuso

Dato che una delle componenti elettrofisiologiche che facilitano il mantenimento della fibrillazione atriale è il ritardo della conduzione intra-atriale ed interintra-atriale, è stato ipotizzato che stimolando una zona dell’atrio destro che si trovi in posizione favorevole rispetto al passaggio dell’impulso in atrio sinistro, si potesse ridurre il burden fibrillatorio. Mediante l’uso di un mappaggio elettroanatomico si è notato che i punti di passaggio tra i due atri sono essenzialmente tre: a livello della fossa ovale, a livello dell’ostio del seno coronarico e superiormente in corrispondenza del fascio di Bachmann, dove è presente una via di conduzione preferenziale. Gli obiettivi di tale strategia terapeutica sono il miglioramento della sequenza di attivazione, la riduzione dell’asincronia, la preeccitazione di aree potenzialmente interessate

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dai circuiti di rientro e la riduzione della dispersione dei periodi refrattari atriali. Eppure, nonostante incoraggianti risultati iniziali, la stimolazione biatriale e la stimolazione doppia in sede atriale destra non hanno dimostrato in studi controllati di apportare benefici superiori rispetto alla stimolazione convenzionale in auricola32. Altri studi hanno dimostrato che la stimolazione settale bassa, a livello del triangolo di Koch, prevenga l’innesco della fibrillazione atriale attraverso il prolungamento dell’intervallo di accoppiamento dei battiti prematuri atriali e le modificazioni delle proprietà elettrofisiologiche del substrato. Questa tecnica si è dimostrata efficace nel diminuire le recidive parossistiche di tachiaritmia e nel ridurre la progressione verso la fibrillazione atriale permanente33. Attualmente, in alternativa alla stimolazione convenzionale in auricola può essere considerata solo la stimolazione del setto interatriale, soprattutto in pazienti con ritardi di conduzione intra-atriale e interatriale.

Pacing antitachicardico atriale nell’interruzione delle tachiaritmie sopraventricolari

La stimolazione atriale può essere utilizzata per prevenire o interrompere le tachiaritmie sopraventricolari. Le aritmie sopraventricolari da rientro, come la tachicardia reciprocante nodale, il flutter e la tachicardia da rientro atrioventricolare possono essere interrotte con diverse tecniche di stimolazione fra le quali la stimolazione programmata e l’erogazione di raffiche di impulsi ad alta frequenza34. I pacemaker con funzione antitachicardica possono riconoscere una tachiaritmia e dare inizio automaticamente a un algoritmo di pacing antitachicardico, oppure possono essere programmati per rispondere ad un attivatore esterno30. E’ stato dimostrato che la stimolazione atriale rapida erogata su tachicardia o flutter atriale è in grado di ripristinare il ritmo sinusale nel 60 – 90 % dei pazienti. Generalmente la massima efficacia terapeutica si raggiunge erogando la stimolazione antitachicardica ad una frequenza appena superiore a quella dell’aritmia o associando uno o più extrastimoli.

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Più controversa è la possibilità di interrompere una fibrillazione atriale mediante stimolazione atriale. Alcuni studi riportano un’efficacia del 33 % del burst a 50 Hz in soggetti con fibrillazione atriale indotta da SEF, ma in nessun caso è stata documentata l’interruzione di una fibrillazione atriale permanente.

Il razionale dell’utilizzo di una stimolazione atriale in un soggetto con storia di fibrillazione atriale è basato sul fatto che molti episodi di fibrillazione atriale si presentano in fase precoce in forma di flutter atriale o tachicardia atriale e solo in seguito evolvono in una desincronizzazione completa. L’efficacia delle terapie antitachicardiche atriale è circa del 50 % con grande variabilità individuale. Dagli studi che hanno valutato l’impatto clinico della terapia antitachicardica emergono risultati contraddittori e non risultano evidenti benefici sul carico di fibrillazione e su endpoint clinici primari. Il monitoraggio continuo del ritmo atriale e ventricolare insieme all’efficacia delle terapie antitachicardiche diventa fondamentale per selezionare i pazienti che possono beneficiare di queste terapie.

Tabella 3. Indicazioni all’impianto di pacemaker nella prevenzione della fibrillazione atriale.

M. Lunati, M. Santini, M. G. Bongiorni, G. Boriani, R. Cappato, D. Corrado, A. Curnis, M. Di Biase, S. Favale, L. Padeletti, R. Pedretti, A. Proclemer, R. Ricci, P. Spirito, G. Vergara, Linee guida AIAC all’impianto di pacemaker, dispositivi per la resincronizzazione cardiaca, defibrillatori automatici e loop recorder, update 2011.

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Fibrillazione atriale a bassa frequenza

La fibrillazione atriale è spesso associata a malattia del nodo del seno o a BAV. In caso di fibrillazione atriale permanente a bassa risposta ventricolare e/o con pause diurne > 3 s e/o associato a BAV completo è indicato impianto di pacemaker VVI in presenza di sintomi quali astenia, vertigini, pre-sincope o sincope. In questi casi l’indicazione alla stimolazione cardiaca permanente è dettata dalla presenza della bradiaritmia.

Tabella 4. Indicazioni all’impianto di pacemaker in pazienti con fibrallazione atriale permanete a bassa frequenza. M. Lunati, M. Santini , M. G. Bongiorni, G. Boriani, R. Cappato, D. Corrado, A. Curnis, M. Di Biase, S. Favale, L. Padeletti, R. Pedretti, A. Proclemer, R. Ricci, P. Spirito, G. Vergara, Linee guida AIAC all’impianto di pacemaker , dispositivi per la resincronizzazione cardiaca, defibrillatori automatici e loop recorder, update 2011.

L’utilizzo dei dispositivi medici nella pratica clinica rappresenta una passaggio fondamentale della cardiologia moderna determinando una maggiore efficacia nella cura delle aritmie cardiache rispetto alle precedenti cure farmacologiche35.

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Complicanze di elettrostimolazione

Gli eventi avversi legati all’uso dei dispositivi elettrici impiantabili possono insorgere in qualsiasi momento della “storia del dispositivo“, per questo motivo generalmente sono classificate in base ai tempi di insorgenza in acute o croniche, se insorgono nel perioperatorio o nel follow-up rispettivamente, ed in base alla sede interessata in complicanze del sistema venoso, degli elettrocateteri o del generatore e della tasca di alloggiamento36, 37.

Complicanze acute

Le complicanze acute sono essenzialmente legate al trattamento chirurgico e presentano una incidenza del 4 – 5 %38.

 Accesso venoso

Le complicanze riguardanti l’accesso venoso solitamente sono legate al tentativo di accesso diretto in vena succlavia e possono riguardare tutte le strutture anatomiche presenti in prossimità della vena (polmone, arteria succlavia e nervi). Gli elementi che influiscono nella presentazione di tale complicanza sono: l’esperienza dell’operatore, tipo di procedura (puntura extratoracica o intratoracica), l’anatomia del paziente (quadri più complessi sono quelli di pazienti broncopneumopatici o con pregresse fratture clavicolari )36, 39.

 Pneumotorace

Complicanza causata dalla puntura accidentale della cupola pleurica, si presenta con una incidenza stimata dell’1.5 - 2 %, più frequentemente osservata in soggetti enfisematosi, in pazienti con alterazioni congenite della gabbia toracica, soprattutto in sede costo-clavicolare, o causate da pregresse fratture clavicolari, che necessitano di ripetuti tentativi di accesso. Generalmente ha un decorso asintomatico andando incontro a riassorbimento spontaneo ma occasionalmente può essere associato a difficoltà respiratoria, dolore toracico, tosse, richiedendo il posizionamento di un drenaggio

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temporaneo qualora la breccia dovesse interessare più del 10 % del campo polmonare3638.

 Emotorace

Complicanza meno frequente (0.1 %), causata dal sanguinamento della vena succlavia o da un danno ad un vaso adiacente, si riscontra più frequentemente in soggetti con coagulopatie congenite o acquisite. Solitamente un’adeguata complessione loco-regionale è risolutiva.

Un quadro più complesso può essere rilevato in caso di una lacerazione iatrogena di una arteria, in questi casi occorre eseguire immediatamente un’angiografia selettiva ed in alcuni casi un intervento riparativo36.

Se il paziente è sintomatico, l’emotorace deve necessariamente essere evacuato.

 Embolismo gassoso

Si può determinare in seguito al posizionamento dell’introduttore in una vena centrale, nel momento in cui si rimuove il dilatatore e prima che venga introdotto il catetere, come conseguenza della pressione negativa intratoracica durante la fase di ispirazione. Solitamente è asintomatico, ma può essere diagnosticato attraverso la visualizzazione diretta di bolle nel sistema venoso o nelle sezioni cardiache di destra. Eccezionalmente può causare compromissione emodinamica e richiedere ossigenoterapia, aspirazione e supporto inotropo. A tal proposito assume massima importanza l’opera di prevenzione che include una serie di misure come il controllo della pressione venosa centrale (posizione di Trendelenburg), l’uso di dilatatori di dimensioni contenute o dotati di valvole emostatiche, il controllo manuale dell’introduttore.

 Elettrocateteri

Le complicanze acute causate dagli elettrocateteri sono dovute alla loro dislocazione precoce o causate da un danno durante le manovre di posizionamento in sede.

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 Aritmie

Durante il posizionamento degli elettrocateteri in atrio e/o in ventricolo si possono rilevare, grazie al monitoraggio continuo dell’ECG, delle bradiartmie e delle tachiaritmie. Le bradiaritmie possono essere causate da un eccessivo uso di anestetico, da una risposta vagale, da un trauma diretto del sistema di eccitoconduzione (SEC) durante la manipolazione del catetere. La stimolazione transcutanea, l’atropina o l’isoproterenolo sono spesso sufficienti per risolvere la complicanza. Le cause di tachiaritmie sopraventricolari e ventricolari solitamente sono dovute ad una stimolazione meccanica del miocardio con elettrocateteri o guide, di rado sono sostenute e di solito si risolvono tramite spostamento dello stesso36. Talvolta, l’insorgenza

di tachiaritmie nel post-impianto può essere causata da una dislocazione precoce dell’elettrocatetere, complicanza che deve essere sempre indagata in questi casi.

 Perforazione cardiaca

La perforazione cardiaca con versamento pericardico e, nei casi più gravi, il tamponamento pericardico costituisce una complicanza rara ma pericolosa per la vita che si può verificare durante il posizionamento dei cateteri 40. Può essere intracardiaca (da una camera e l’altra del cuore) oppure extracardiaca (da una camera al pericardio)36. In caso di interessamento

pericardico questa complicanza si può individuare per la comparsa di dolore toracico improvviso, la visualizzazione in fluoroscopia dell’avanzamento del catetere oltre l’ombra cardiaca, la presenza di un elettrocardiogramma unipolare francamente positivo, la presenza di versamento pericardico all’esame ecocardiografico. In caso di perforazione intracardiaca si ha, conseguentemente a trauma interatriale o interventricolare, oppure per la presenza di una comunicazione preesistente, un posizionamento inappropriato del catetere nelle sezioni sinistre del cuore; questo evento può essere riconosciuto valutando la posizione del catetere in fluoroscopia in più

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proiezioni, dalla comparsa all’ECG di una morfologia del complesso QRS 40 stimolato tipo blocco di branca destra, dalla positività ecocardiografica36.

Quando questi segni vengono riconosciuti al momento dell’impianto occorre riposizionare l’elettrocatetere sotto monitoraggio emodinamico ed eseguire elettrocardiogrammi seriati per identificare precocemente un deterioramento emodinamico poiché il versamento solitamente si ha nelle ore successive36, 40.

Talora in caso di tamponamento cardiaco occorre eseguire una pericardiocentesi41.

 Ematoma

Complicanza frequente dopo l’impianto del dispositivo verificandosi con un incidenza del 4 – 5 %. L’entità dell’ematoma della tasca può variare da una banale ecchimosi a una tumefazione ampia e tesa, di solito è la conseguenza di un’emostasi inadeguata o di un sanguinamento a livello del sito di ingresso venoso. I piccoli ematomi, non dolenti, possono essere gestiti conservativamente con compressione locale e profilassi antibiotica, potendo rappresentare un fattore predisponente per successive infezioni. Talvolta, nell’1 % dei casi, ematomi di grandi dimensioni, dolenti, che compromettono la linea di sutura o l’integrità della cute devono essere evacuati chirurgicamente4036 42 (Figura 3).

Figura 3: a. Ematoma non dolente comparso dopo sostituzione di defibrillatore impiantabile in portatore di protesi valvolare aortica meccanica. b. Lo stesso soggetto senza alcun intervento a distanza di un mese. M. G. Bongiorni, A. Di Cori, E. Soldati, G. Zucchelli, L. Segreti, G. Solarino, R. De Lucia, D. Sergi U.O. di Malattie Cardiovascolari II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa. Il rischio iatrogeno connesso all’impianto di pacemaker e defibrillatori. (G Ital Cardiol 2009; 10 (6): 395-

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 Stimolazione diaframmatica o del nervo frenico

La stimolazione extracardiaca in genere coinvolge il diaframma oppure i muscoli pettorali o intercostali e generalmente si verifica nel periodo immediatamente successivo all’impianto può verificarsi per stimolazione diretta del diaframma o in seguito a stimolazione del nervo frenico40, 43 . Questa complicanza, può essere causata da una microdislocazione o da macrodislocazione, è più frequente in caso di inserimento di un catetere in una vena cardiaca del ventricolo sinistro per la stimolazione biventricolare . Per questo motivo è opportuno durante la procedura eseguire la stimolazioni a valori più alti di voltaggio e di ampiezza dell’impulso per poter escludere la stimolazione del diaframma40.

 Connessioni

Per un corretto funzionamento del dispositivo, i cateteri atriali e ventricolari devono essere correttamente posizionati nei rispettivi alloggiamenti e le connessioni devono essere garantite mediante un attento serraggio delle viti dedicate. Se nell’immediato post-impianto si dovessero venire a verificare delle alterate impedenze sugli elettrocateteri, difetti di sensing o di pancing intermittenti, occorre sospettare una inadeguata connessione. In questi casi, dopo una conferma diagnostica, occorre eseguire una revisione chirurgica.

Complicanze tardive

Le complicanze tardive sono causate più frequentemente da infezioni che interessano il dispositivo o dal suo malfunzionamento, presentandosi con maggiore frequenza dopo reintervento (per sostituzione del generatore o upgrading di elettrocateteri) a causa dei tempi della procedura più lunghi rispetto alla durata del primo intervento e della ridotta vascolarizzazione dovuta a fibrosi reattiva36 44 45.

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 Occlusione venosa

Una possibile complicanza è costituita dall’occlusione trombotica della vena ascellare o succlavia con comparsa di edema dell’arto omolaterale, riscontrata nel 10 – 30 % degli impianti46. L’occlusione trombotica si sviluppa come conseguenza del trauma meccanico con una frequenza relativamente più alta nei soggetti con infezione del device 47. La trombosi venosa solitamente viene

trattata con eparina e successivamente con warfarin per 3 – 6 mesi. Un dato importante da evidenziare è che il 30 – 40 % dei soggetti sottoposti ad impianto sviluppa nel tempo un’occlusione venosa totale o parziale asintomatica grazie allo sviluppo di circoli venosi superficiali che possono rendere problematiche le procedure di upgrading, in particolare se l’occlusione interessa la vena cava superiore36, 40.

 Dislocazione dei cateteri

La dislocazione dei cateteri è la complicanza più frequente in post-dimissione, si verifica nel 2 – 3 % dei casi. Le prime settimane dopo l’intervento costituiscono una fase di consolidamento della reazione fibrotica lungo il decorso degli elettrocateteri internamente al sistema cardiovascolare.

La dislocazione dei cateteri può manifestarsi con variazioni della soglia fino alla perdita di stimolazione con possibili asistolie, deficit di sensing e può essere evidente alla radiografia del torace36, 40.

All’esame radiografico, lo spostamento può essere evidente in forma macroscopica (macrodislocazione) oppure in maniera impercettibile (microdislocazione)43.

 Sindrome di Twiddler

La sindrome di Twiddler colpisce i pazienti che volontariamente o involontariamente manipolano il generatore provocando una torsione dell’intero sistema di pacemaker. Ne consegue una dislocazione o una frattura degli elettrocateteri 48.

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Figura 4 . Sindrome di Twiddler: alla revisione chirurgica gli elettrocateri atriale e ventricolare appaiono retratti e attorcigliati all’interno della tasca di alloggiamento.

M. G. Bongiorni, A. Di Cori, E. Soldati, G. Zucchelli, L. Segreti, G. Solarino, R. De Lucia, D. Sergi U.O. di Malattie Cardiovascolari II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa.

Il rischio iatrogeno connesso all’impianto di pacemaker e defibrillatori . (G Ital Cardiol 2009; 10 (6): 395-406)

 Danneggiamento dell’elettrocatetere

Con i miglioramenti sulle aspettative di vita dei soggetti portatori di questi dispositivi, aumentano i rischi a lungo termine di malfunzionamento degli elettrocateteri per cause traumatiche o per il deterioramento del materiale36. Il malfunzionamento post-traumatico dell’elettrocatetere può prensentarsi in qualsiasi zona del suo decorso e può essere causato sia da traumi esterni, sia da traumi subiti durante la manipolazione in fase di impianto, ma anche in seguito a stress meccanici o a compressioni che possono verificarsi a causa dello spazio ristretto tra la clavicola e la prima costa.

Il malfunzionamento dell’elettrocatetere da deterioramento deriva dalle caratteristiche costruttive e dal materiale utilizzato per creare i cateteri ed in genere si verifica col passare degli anni36.

Studi clinici hanno dimostrato che più del 20 % dei pazienti portatori di un TV-ICD presenterà un malfunzionamento dell’elettrocatetere nell’arco di 10 anni, questa osservazione non include i Riata o i Fidelis, elettrocateteri che hanno dimostrato un tasso molto più elevato49 50.

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Il deterioramento dell’elettrocatetere può interessare l’isolante interno ed esterno, e generalmente determina una riduzione dell’impedenza causata dall’elevata dispersione di corrente. Oltre al danno dell’isolante, si può verificare una frattura del conduttore che si manifesta con un massivo e brusco incremento dell’impedenza di stimolazione ed assenza di stimoli all’ECG, e può essere diagnosticata mediante una radiografia del torace. Raramente il danno può essere risolto con la programmazione del dispositivo, spesso l’elettrocatetere deve essere abbandonato o sostituito.

 Migrazione

La migrazione è il movimento del dispositivo attraverso i tessuti circostanti, può avvenire in direzione infero-laterale per le tasche prepettorali e lateralmente diretto verso il cavo ascellare per le tasche subpettorali.

La migrazione è un fenomeno che si osserva soprattutto nei pazienti che presentano un esubero di tessuto adiposo sottocutaneo, come gli obesi, e nei portatori di dispositivi di grosse dimensioni, come i defibrillatori. Si ipotizza che il meccanismo fisiopatologico possa essere legato al peso del dispositivo che eserciterebbe delle forze stressanti a carico dei tessuti circostanti, determinando l’istaurazione di una infiammazione di basso grado, con diversi cicli di lisi e neoformazione fibrotica e conseguentemente la migrazione del dispositivo. Generalmente questa complicanza non richiede un reintervento, a meno che non si presentino ulteriori complicanze come il dolore loco-regionale (per migrazione in cavo ascellare o in sede deltoideo-pettorale) o in caso di erosioni cutanee36.

 Alterazione della soglia di stimolazione/sensing

Subito dopo l’impianto la presenza di un corpo estraneo all’interno del sistema venoso e nel miocardio determina l’insorgenza di una risposta infiammatoria, come reazione al corpo estraneo, seguita da un processo di fibrosi reattiva a livello dell’interfaccia punta-endocardio e lungo il decorso dell’elettrocatetere. La reazione infiammatoria a livello dell’elettrodo distale

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può causare un incremento della soglia di stimolazione fino al blocco completo in uscita con conseguente perdita della stimolazione. Questo fenomeno si presenta solitamente nei primi mesi dopo l’impianto, con variazioni limitate dei parametri ed un decorso asintomatico e solitamente va incontro a regressione totale dopo il terzo mese dall’impianto. Per questo motivo occorre programmare alla dimissione una energia di stimolazione con un elevato fattore di sicurezza rispetto alla soglia di stimolazione rilevata, destinando la stimolazione a bassa energia in fase successivo. L’utilizzo di cateteri a rilascio di cortisone e la terapia orale con cortisone, nelle prime settimane dopo l’impianto, può determinare un miglioramento dei parametri. Oltre alle alterazioni del pacing, possono presentarsi delle alterazioni del sensing , questi ultimi si osservano più frequentemente nei portatori dei sistemi bicamerali.

 Dolore

Solitamente, superata la fase acuta del post-intervento nella quale il paziente può avvertire una lieve dolenzia a livello della ferita, i soggetti portatori di dispositivi non presentano dolore. Il dolore “cronico” nella sede di impianto del dispositivo non è fisiologico e può essere causato da diversi motivi: infiammazione locale, intrappolamento di un nervo periferico, danno

muscolo – scheletrico. Se il dolore persiste oltre la fase di guarigione della ferita, una volta valutato dal punto di vista clinico il paziente, occorre prendere in esame la possibilità di eseguire il confezionamento di una nuova tasca di alloggiamento36.

 Erosione

Per erosione si intende una esteriorizzazione del dispositivo dovuta ad una progressiva perdita dell’integrità cutanea. E’ una complicanza rara che di solito si verifica a causa di traumi, fregamenti locali continuativi, dimagrimenti ma può anche essere la conseguenza di una tasca del dispositivo troppo piccola per il generatore di impulsi, soprattutto nei soggetti di

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corporatura esile36, 43. Anche un’erronea tecnica chirurgica di confezionamento della tasca può causare questa complicanza. La posizione ideale del generatore per gli impianti prepettorali è in sede intrafasciale, al di sotto del tessuto adiposo sottocutaneo e al di sopra del muscolo grande pettorale, mentre per gli impianti subpettorali è medialmente tra il muscolo grande e piccolo pettorale: in questo modo il generatore può spostarsi all’interno dello strato fasciale, senza correre il rischio di fuoriuscire. Quando il dispositivo è posizionato troppo in superficie o se il tessuto adiposo sottocutaneo del paziente è sottile, la migrazione del dispositivo può causare un assottigliamento cutaneo, dolore, arrossamento, compromettendo l’integrità della cute, fino a determinarne l’erosione.

Diventa di fondamentale importanza riconoscere tempestivamente questa complicanza, infatti, l’erosione imminente deve essere considerata un’emergenza, se si riesce ad intervenire prima che la tasca sia erosa è possibile conservarne l’asetticità e confezionare una nuova tasca ipsilateralmente; una volta avvenuta l’erosione occorre trattare la tasca al pari di un’infezione, rimuovere il dispositivo e posizionarne uno nuovo in un altro sito36, 4351.

Figura 4. Erosione cutanea con fistolizzazione del generatore. M. G. Bongiorni, A. Di Cori, E. Soldati, G. Zucchelli, L. Segreti, G. Solarino, R. De Lucia, D. Sergi

U.O. di Malattie Cardiovascolari II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa.

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