SI N E ST E SI E • R iv is ta d i s tu di s ul le l et te ra tu re e l e a rt i e ur op ee • N EL Q U A D R O D EL N O V EC EN TO
Nel quadro del Novecento:
strategie espressive
dall’Ottocento al Duemila
Temi e stili
SINESTESIE
RIVISTA DI STUDI SULLE LETTERATURE E LE ARTI EUROPEE
fondata e diretta da Carlo Santoli
ANNO XVII • 2019
Edizioni Sinestesie NiNo Arrigo, «La verità è l’invenzione di un bugiardo»: verità e menzogna nella narrativa di
Eco e nel cinema di Lynch • Alberto CArli, Camillo Boito, le muse sorelle e la settima arte • MArCo CArMello, Il controtempo assente di Morselli: note su immagini e rappresentazioni • ANtoNio D’eliA, Le canzoni patriottiche «All’Italia» e «Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze»: il moto lirico-teoretico leopardiano a partire dal 1818 • VirgiNiADi
MArtiNo, «Alla sua cara Itaca Ulisse». Viaggi e naufragi nel «Canzoniere» di Saba • MAriA
DiMAuro, Per una metrica della memoria: D’Arrigo fino a «Horcynus Orca» • gioVANNi
geNNA, “Recto” e “verso”: il mito in Carlo Emilio Gadda • MANuel giArDiNA, ADA boubArA, L’evoluzione delle tematiche filelleniche nella letteratura italiana del XVIII e XIX secolo •
SiMoNe giorgiNo, «Il durevole segno luminoso». Vittorio Bodini e Rafael Alberti • lAu -rA giurDANellA, Baudelaire, interlocutore privilegiato dell’ermeneuta Ungaretti • StefA -No grAzziNi, Enumerazioni sbagliate e formule sanzionatorie: uno stereotipo scolastico da Gadda a Petronio • fAbio MoliterNi, Una «vistosa eccezione»: Girolamo Comi poeta orfico • Pierluigi PelliNi, L’“affaire” Desprez (1884-1885). Un episodio ingiustamente dimenti-cato di storia letteraria e culturale • DoMeNiCA PerroNe, Topografie gaddiane. «Il Giornale di guerra e di prigionia» • ANNAbellA PetroNellA, L’angoscia della nudità e le maschere della funzione autoriale in un racconto di Calvino • SoNiA riVetti, «Io non conto». «Noi credevamo» di Anna Banti dal romanzo al cinema • ANtoNio SACCoNe, «Le belle lettere e il contributo espressivo delle tecniche». Prosa letteraria e linguaggio tecnologico secondo Gadda • CArlo SANtoli, L’incanto dell’‘altrove’ nella poesia di Carlo Betocchi • MoreNo
SAVoretti, Tra parola e fantasia. Le strategie difensive di Pin nel «Sentiero dei nidi di ra-gno» • frANCeSCo Sielo, Curzio Malaparte: il rovesciamento, l’indifferenziazione e il corpo nella rappresentazione distopica di Napoli • gioVANNi turrA, Renato Poggioli collaboratore di «Omnibus»: saggi, recensioni, ricordi • fAbio VittoriNi, «La petulanza delle cose vive». Scrittura e autobiografismo ne «La coscienza di Zeno»
Discussioni • Abstracts • Ringraziamenti
In copertina: Paul Cézanne, Gustave Geffroy, circa 1895-1896, olio su tela, Parigi, Musée d’Orsay (particolare)
NEL QUADRO DEL NOVECENTO:
STRATEGIE ESPRESSIVE
DALL’OTTOCENTO AL DUEMILA
Temi e stili
Fondatore e Direttore scientifico
Carlo Santoli
Direttore responsabile
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presso Print on Web Isola del Liri (FR) Settembre 2019
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«SINESTESIE»
Rivista di studi sulle letterature e le arti europee
Periodico annuale Anno XVII – 2019 ISSN 1721-3509
Comitato SCientifiCo
epifanio ajello (Università di Salerno), Clara allaSia (Università di Torino), annamaria an -dreoli (Università della Basilicata), miChele BianCo (Università di Bari “Aldo Moro”), Giu -Seppe BonifaCino (Università di Bari “Aldo Moro”), annaliSa Bonomo (Università di Enna
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Ver-gata”), roSalBa GalvaGno (Università di Catania), antonio luCio Giannone (Università del
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Roma “Tor Vergata”)
Comitato SCientifiCo internazionale
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La rivista «Sinestesie» aderisce al programma di valutazione della MOD (Società italiana per lo studio della modernità letteraria)
i
ndiCealBerto GraneSe, Francesco De Sanctis e la critica letteraria moderna.
Sugli «Atti» del Convegno di Salerno (9-10 ottobre 2017) 9 SaGGi
Clara allaSia, «Intorcinata come un budello»:
per un «misenabismo» della cultura novecentesca 37 maria Silvia aSSante, Riscritture novecentesche del «Candido» di Voltaire:
il sogno di Sciascia e la musica di Bernstein 49 liBorio BarBarino, Dall’“erba” nasce «Lavorare stanca».
Fogli e «Foglie» di Whitman all’inizio di Pavese:
le giovanili, le carte, la “princeps” 59 miChele BianCo, Mario Luzi. Dall’“esistenzialismo tragico”
all’approdo alla luce nel loquace silenzio della Parola 71 marika Boffa, Inchiesta intorno un’assenza:
il legame tra Eugenio Montale e Roberto Bazlen 89 Giulia CaCCiatore, Gesualdo Bufalino e il sortilegio di Paul-Jean Toulet 99
laura CannavaCCiuolo, La vita e la scena.
Le «Strette di mano» di Peppino de Filippo 109 loredana CaStori, Ai margini del testo poetico: Leopardi e la scultura 119
irene ChiriCo, La narrativa di Federigo Tozzi dalla pagina al grande schermo.
daniela de liSo, «Poesia che mi guardi».
Antonia Pozzi tra poesia ed arti visive 147 Silvia de SantiS, Teatro e Musica nel «Mistero provenzale di Sant’Agnese» 159
anGelo fàvaro, Un proletario che si chiama artista:
A. Moravia e il ’68, a mente fredda 169
SaBrina Galano, La ‘transmedialità’ de «Il nome della rosa» di Umberto Eco:
un romanzo storico, un film, una serie televisiva 187
roSalBa GalvaGno, La metamorfosi di Dafne in Carlo Levi* 203
Carla maria GiaCoBBe, Riflessioni novecentesche recepite e tradotte:
la «Tecnica del colpo di Stato» di Malaparte tra URSS e Russia 215 andrea Gialloreto, «Materiali da riflessione e da poesia»:
«Albergo Italia» di Guido Ceronetti 225
roSa Giulio, La costruzione del personaggio Serafino
nei «Quaderni» di Pirandello 235
Salvatore Guarino, Dossografia di un’immagine pascoliana:
«il campetto con siepe e con fossetto» 261 enza lamBerti, Il decennio “maturo” del femminismo letterario
tra innovazioni e limiti 273
valeria merola, «Un’arte. Un’arte assolutamente»:
primi appunti su Moravia critico cinematografico 289 laura nay, Dal «Narciso rovesciato» al «guerriero birmano»:
il Novecento di Carlo Levi 299
GiorGio niSini, Gentilini, De Angelis, Minguzzi:
tre saggi d’arte di Pasolini del 1943 309 Simona onorii, Per una mappa dell’esotico:
«La Gioconda» e «Più che l’amore» di Gabriele d’Annunzio 317 maria pia paGani, «La città morta» nel teatro all’aperto
marina paino, L’occhio di Quasimodo 341
GiuSeppe palazzolo, «Il nostro più grande romanzo del ’900».
Scrittori sulle tracce di Alessandro Manzoni 353 natalia proSerpi, «Forse la realtà è fantastica di per sé»
Scrittura e finzione nell’opera narrativa di Tabucchi:
(Donna di Porto Pim e Notturno indiano) 365 Carla piSani, Per una preliminare ricognizione dei manoscritti pirandelliani 383
valeria puCCini, La coraggiosa scelta di libertà intellettuale di Isabella Bresegna,
aristocratica ed eretica nella Napoli del XVI secolo 397 lorenzo reSio, Profanare la «Pietà»: suggestioni artistiche
nella «Storia» di Elsa Morante 411
pietro ruSSo, L’occhio e la pietà. Forme della conoscenza
e dell’interpretazione ne «La giornata d’uno scrutatore» di Calvino 421 annamaria Sapienza, «Ti racconto una storia». Il teatro di narrazione
tra scrittura verbale e scrittura di scena 431 Gennaro SGamBati, Il progetto romanzo nell’Italia fascista:
un confronto con architettura e cinema 441 antonio SiChera, Per una breve storia della santità letteraria.
Da Goethe a Pasolini 451
lavinia SpalanCa, “Ars poetica”. L’iconografia del paesaggio in Sciascia lirico 463
Chiara tavella, Il ritmo hip hop di Sanguineti:
da «Rap» alle forme d’arte “underground” nella «Wunderkammer» 473
franCeSCa tomaSSini, Su Pirandello critico d’arte 483
Gianni turChetta, Guardando Dürer, leggendo Stevenson:
Sciascia, «Il cavaliere e la morte» 493
diSCuSSioni
«In questo mezzo sonno»:
temi e immagini nell’opera di Vittorio Sereni
(Virginia di Martino) 513
aa.vv., Vittorio Bodini fra Sud ed Europa (1914-2014)
(Andrea Gialloreto) 522
Silvia de laude, I due Pasolini
(Antonio D’Ambrosio) 526
luiGi fontanella, Lo scialle rosso: appunti di lettura 530
(Anna Vincitorio)
Un intrico di Sentieri nascosti
(Clara Allasia) 532
raffaele maniCa, Praz 538
(Luigi Bianco)
Salvatore Silvano niGro (a cura di), Leonardo Sciascia scrittore editore
ovvero La felicità di far libri
(Angelo Fàvaro) 541
antonio SaCCone, «Secolo che ci squarti…Secolo che ci incanti».
Studi sulla tradizione del moderno
(Marika Boffa) 544
Abstracts 551 Ringraziamenti 575
526 Discussioni
estraneo a programmi troppo vincolanti, disposto a ridiscutere se stesso nella veri-fica dei contesti e delle proprie possibilità» (Giulio Ferroni).
(Andrea Gialloreto)
S
ilviad
el
aude, I due Pasolini, Carocci,
Roma 2018, pp. 148, € 16
Quando esce nel maggio 1955, il succes-so che Ragazzi di vita ottiene è colossale, tanto che la prima edizione si esaurisce in due settimane. Tuttavia, prima di giungere a questo soddisfacente risultato, il roman-zo ha attraversato una storia (interna ed esterna) piuttosto travagliata, di cui rende finalmente conto Silvia De Laude, autrice di una sinossi intitolata I due Pasolini, in un’edizione Carocci che reca in copertina due bei ritratti del poeta friulano, opera di Tullio Pericoli, conservati presso la sala riunioni di Casa Garzanti a Milano.
Procedendo cronologicamente, l’au-trice parte dall’arrivo a Roma di Pasolini, quando abbandona l’amato Friuli insieme alla madre dopo i ben noti fatti di Ramu-scello, portando con sé molti manoscrit-ti. Di fronte alle difficoltà provocate dal trasferimento, il poeta inizia a scrivere per «metabolizzare l’urto con una città sedu-cente e choccante in ugual misura», come ha scritto Walter Siti (p. 16). Riprende in mano i romanzi lasciati incompiuti, com-plicando la struttura di quegli organismi narrativi che poi diverranno Atti impuri,
Amado mio, Il sogno d’una cosa: sembra
che Pasolini sia mosso dal «desiderio di chiudere come può i conti col passato, met-tendo in atto un’operazione di congedo dal Friuli che si attua attraverso la ripresa e la reinvenzione di progetti che in Friuli avevano il loro orizzonte di riferimento» (p. 19). Anche Ragazzi di vita, opera co-struita con la perizia dell’antropologo che riproduce il modus vivendi e la lingua della Roma degli anni Cinquanta, trova le sue radici in materiali friulani: l’incunabolo è un racconto che in una redazione non
Discussioni 527
definitiva, conservata presso il Fondo Pa-solini dell’Archivio Bonsanti del Gabinetto Vieusseux di Firenze, ha titolo Il dolce boy
scout, poi pubblicato su «Quotidiano» nel
1950 col titolo La rondinella del Pacher, e “tradotto” nel giugno 1951 in Il Ferrobedò (dal nome del deposito della Ferro-Beton, a Monteverde Vecchio) su «Paragone», per tramite dell’amico Attilio Bertolucci. Esso rappresenta l’Ur-Text del romanzo del 1955, sopravvissuto in due stesure conservate nel su citato Fondo, in una cartella con intesta-zione autografa Il Ferrobedò (e altri romanzi
e racconti, passati in parte in «Ragazzi di vita») (1950-51), all’interno della quale la
prima versione, più antica, precede la più avanzata (corrispondente al pezzo uscito su «Paragone»), e in mezzo si annoverano ap-punti, foglietti sparsi, dattiloscritti di testi pubblicati come racconti autonomi, quali
IlPalombo, che esce il 20 settembre 1950 in
«La libertà d’Italia», e Domenica al Collina
Volpi, pubblicato su «Il Popolo» il 14
gen-naio 1951, che per un breve periodo hanno fatto parte «della nebulosa del romanzo» (p. 28). Chiude il fascicolo un Glossarietto di termini romaneschi.
A questa altezza Pasolini «pensa a qual-cosa che assomiglia molto a un romanzo», che assume la forma di un trittico, «dai contorni fluttuanti, come risulta da alcuni degli indici intercalati ai blocchi delle due stesure» (p. 28), costituito da Il Ferrobedò,
Li belli pischelli e Terracina. Della prima
parte si è già detto. La seconda è «la più estrovertita e narrativa» (p. 33), in cui si descrivono gli espedienti di Luciano e Mar-cello per sopravvivere (inizialmente Pasoli-ni aveva pensato ai titoli Le chicche o Furti
e ricatti). Sarà, con l’espunzione di alcuni
episodi, il secondo capitolo di Ragazzi di
vita. Tra i vari furti, viene raccontato anche
quello di un pesce marcio ai Mercati gene-rali, che Marcello camuffa da pesce fresco riuscendo a rivenderlo. Questo episodio altro non è che Il palombo nominato prima, che dunque è presente nella stessa cartella in due stesure diverse (in quella autonoma, Marcello si chiama Romoletto). In quella dell’Ur-Ragazzi di vita è intervallato da un altro episodio, in cui Marcello perde la te-sta per un maglione che ha visto in una vetrina a Campo dei Fiori. Anche questo si trova pubblicato autonomamente su «Il Popolo» del 18 ottobre 1950, con il titolo
La passione del fusajaro (Marcello in questo
caso si chiama Morbidone).
Terracina, che prospetta un finale
tragi-co alla vicenda, «nonostante la sua qualità di scrittura» (p. 41) è l’unica sezione ab-bandonata definitivamente. Da un Piano
di lavoro del 1952 risulta che, rifiutato il
progetto del trittico, Pasolini volesse inse-rirla in una raccolta, Le notti calde, insieme a La Recherche Sacilese e Primavera sul Po, derivanti da un’Operetta marina, relitto di un più ambizioso Romanzo del mare, cui l’autore lavorava dal 1951, probabilmente sulla base di materiali friulani. Il progetto non va in porto, e di Terracina verranno pubblicati stralci e rielaborazioni in rac-conti autonomi tra il giugno e il settembre 1951, a seguito dell’esclusione dal Premio Taranto – che premiava il miglior raccon-to inediraccon-to con il mare come «protagonista o clima o sfondo», e per il quale Pasolini aveva intrecciato dallo scartafaccio del
Fer-robedò tutte le parti relative al mare – che
gli valse però la segnalazione della giuria (Ungaretti lo apprezzò moltissimo, «vi sen-tiva la “voce de Belli”», p. 51), in virtù della quale uscì a puntate sul quotidiano taranti-no «La Voce del Popolo» tra luglio e ago-sto 1951. Inoltre, con lo pseudonimo Paolo
528 Discussioni
Amari, Pasolini pubblicherà altri due testi tratti da Terracina come racconti autonomi, ossia Dissolvenza sul mare del Circeo (uscito su «Il Quotidiano» dell’8 giugno 1951) e
Notturno sul mare di Terracina (uscito sullo
stesso periodico il 19 agosto 1951). È signi-ficativo, inoltre, che il foglio che racchiude tutto l’Ur-Ragazzi di vita abbia come titolo
Il Ferrobedò affiancato a un altro cassato, Terracina, «segno che Pasolini, nel corso
dell’elaborazione, aveva preso in conside-razione l’ipotesi, poi scartata, di scegliere come titolo dell’insieme Terracina, avendo in mente, forse, anche il significato dell’e-spressione belliniana “avere Terracina in faccia», che nella prosa inedita Visita alla
Commare secca è spiegato così: […]
Terra-cina è da intendere come “traslato di terra. Ha la faccia terrea, cadaverica”. Idea inte-ressante, per un trittico che si chiude sul tema, ossessivo in Pasolini, della morte di un ragazzo» (pp. 52-53).
Come Gadda, dunque, anche Pasolini sposta «lunghi blocchi narrativi da un pro-getto all’altro» o li estrapola «rendendoli autosufficienti, per poi tornare magari sui propri passi» (p. 55).
Crollato il trittico, proliferano i progetti di indici e scalette, alcuni tendenti all’orga-nicità (stessi personaggi, azioni interrotte e riprese in un secondo momento) altri alla disorganicità (facendo convivere racconti dalle ispirazioni più diverse). Vari indici si trovano nella cartella Cartaccia romana, che raccoglie anche materiali poi confluiti in Alì
dagli occhi azzurri e scritture preparatorie di
racconti che confluiranno nei capitoli finali di Ragazzi di vita, cioè Dentro Roma, Il
ba-gno sull’Aniene, La Comare secca. L’autore
«procede per tentativi. Comincia percorsi diversi, che a volte si intrecciano, o sono lasciati presto interrotti. Sposta e mescola
[…] interi blocchi di fogli dattiloscritti da un fascicolo all’altro» (p. 57).
Ragazzi di vita, per come lo conosciamo,
nasce tra il 1952 e il 1953, quando Pasolini inizia una vita più stabile: nel dicembre del ’52 scriveva a Silvana Mauri di aver qua-si finito il romanzo, che necesqua-sita però di correzioni e rifiniture (il suo interesse si concentra perlopiù sul Ferrobedò); nell’otto-bre del ’53 esce su «Paragone» un secondo anticipo del romanzo, Regazzi di vita, che costituirà il capitolo 4 dell’edizione definiti-va. Nel frattempo, l’autore si era accordato con la direttrice della rivista, Anna Banti, per pubblicare nella collana della rivista il romanzo una volta concluso.
Ma nel 1954, di nuovo grazie a Berto-lucci, Pasolini conosce Livio Garzanti, che aveva ereditato dal padre la casa editrice e ne stava modificando la linea editoriale nell’ottica della «trasgressività» e del «fat-turato» (p. 64); Garzanti si impegna subi-to a pubblicare il romanzo (alla Banti lo scrittore darà le poesie friulane, raccolte col titolo La meglio gioventù). Nella prima lettera a Garzanti (6.11.1954), Pasolini man-da in lettura Regazzi di vita, promettendogli anche un racconto lungo, Le zoccolette del
Mandrione. Ma l’editore è convinto: vuole
il Ferrobedò una volta ultimato. Pasolini ri-sponde un giorno imprecisato di novembre con una lunga e bella lettera, «una dichia-razione di poetica – importante per quan-to rivela sul “simbolismo” della struttura, oltre che sull’officina del romanzo ancora in lavorazione, con 3 dei 9 capitoli previsti già pronti, altri 4 da finire e 2 “da riscrivere quasi completamente”» (p. 73). La risposta di Garzanti purtroppo è andata perduta ma dalla risposta dello scrittore (28.11.1954) si può dedurre che l’editore avesse elargito dei «consigli» circa l’uso della lingua (ma
Discussioni 529
ribatte Pasolini: «le parole dialettali, del gergo ecc. mi sono assolutamente necessa-rie per scrivere: sono – forse – il sottopro-dotto che deve nascere insieme al prosottopro-dotto: sono esse che mi danno l’allegria necessaria per capire e descrivere i miei personaggi») e l’impianto generale del libro. (p. 73).
Del futuro romanzo esistono due reda-zioni, A e B, conservate presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma. A – preceduta da un fascicolo di 12 fogli di numerazio-ne non d’autore contenumerazio-nenti un testo per il risvolto, una biografia dell’autore, appunti vari – è costituita da fogli tormentati da correzioni e annotazioni a margine che de-nunciano «una sovrapposizione di sincro-nie e di testi» (p. 77). In apertura, vi sono due frontespizi (Ragazzi di vita, manoscrit-to, sostituisce Il Ferrobedò) e diversi indici. Quasi tutti i capitoli «erano stati scritti da tempo, e si trattava di montarli, cucendoli in un continuum narrativo. […] Pezzi nati in momenti diversi, nella stessa orbita ma autonomamente, sono montati insieme per dar forma a un romano» (p. 79): ma «la tendenza è alla frammentazione del raccon-to in capiraccon-toli auraccon-tonomi, e per contrastarla sono inseriti paralleli fra episodi diversi, che dovrebbero dare il senso dello svilup-po» (p. 81).
In vista della lettura dell’editore, A an-dava corretto e ricopiato: all’inizio del 1955 Pasolini uniforma i nomi dei personaggi, elimina le contraddizioni, contiene le di-gressioni che farebbero perdere di vista la linea principale della storia. B è la copia in pulito che risolve tutti i punti lasciati in sospeso in A, e che con ogni probabilità ha inviato a Garzanti, come si evince dal con-fronto col testo a stampa e dalla descrizione data del dattiloscritto a Garzanti nella let-tera di accompagnamento del 13.04.1955.
Il successivo 9 maggio Pasolini scrive a Sereni di essere alle prese da «vari giorni» con «bozze mezze morte» «da correggere e da castrare»: l’editore si è fatto prendere da «scrupoli moralistici» e gli ha imposto una revisione del testo (p. 93). Gli interventi di questa fase si riducono a 4 tipi, come chiarisce Pasolini a Garzanti l’11 maggio (censura linguistica, attenuazione degli episodi più spinti, sfrondamenti, ritocchi strutturali), che rendono il romanzo meno espressionista e “sporco” della prima ver-sione, raffreddandone di molto il tono.
Una volta in libreria, Ragazzi di vita rice-ve sia stroncature (Cecchi, Cajumi, Salinari) sia elogi (De Robertis, Contini, Vigorelli), e viene candidato al Premio Strega da Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti, arrivando quar-to. Pasolini si dovrà dunque accontentare dell’ingresso in cinquina e della vittoria del Premio Colombi-Guidotti di Parma.
A dicembre inizieranno i veri guai, quando il libro è segnalato dalla Presiden-za del Consiglio dei Ministri per carattere osceno e subirà un processo – cui è dedica-ta l’intera appendice, con la pubblicazione della sentenza del Tribunale di Milano – che il 4 luglio 1956 si concluderà, fortuna-tamente, con l’assoluzione di scrittore e edi-tore perché «il fatto non costituisce reato» (p. 136). Tra i testimoni della difesa, oltre a Pietro Bianchi, consulente letterario della Garzanti, Bo e Ungaretti (quest’ultimo, a causa di una grave malattia della moglie, aveva mandato ai giudici una lunga lettera), ai quali Pasolini, per ringraziarli, dedicherà il futuro Una vita violenta.
530 Discussioni
Lo scialle rosso di Luigi Fontanella:
ap-punti di lettura
Il testo che ho sul mio tavolo è Lo scialle
rosso: poemetti e racconti in versi, testimoni
del cammino incessante di Luigi
Fontanel-la1 in territori realmente percorsi o inseriti
nella sua complessa personalità con risvolti simbolici e onirici di grande efficacia.
Lo scialle rosso non può non catturare
l’immaginazione. Uno scialle rosso, anzi, una sciarpa rossa, volata dal ponte Lau-rier di Ottawa, in un pomeriggio ventoso. Scialle che fluttua inafferrabile come le sensazioni scisse tra realtà e sogno del suo autore. L’immaginare o l’immaginarsi sono tappe del misterioso viaggio in se stesso che ogni poeta intraprende. Lui svela a tratti il suo esistere in Poemetti che, da una parte lo proteggono attraverso immagini di una realtà lontana ma realmente vissuta, dall’al-tra rivelano il suo sentire: «finestre di stelle aperte / all’orizzonte nero dello sguardo / quale spazio, quale canto rarefatto / vaga nell’immensità del cuore mio…». Vita, nel suo fluire tra fili d’erba di capelli ignoti, parzialmente illuminati da «notturni raggi lunari e l’argento, del fiume che scivola len-to, violento e buca le mie mani…». Canto onirico di Veglia dell’Ultimo soldato. Non conosciamo il suo nome, ma possiamo immaginarlo in uno dei molteplici aspetti del poeta, nel suo “totale abbandono re-cettivo”, come da un suono di una lontana estate.
In Lettera al padre si apre il piccolo mon-do dell’infanzia mon-dove prenmon-dono corpo fi-gure di un lontano passato e, come in uno specchio, l’autore riconosce in se stesso lo
1 Da Firenze a Long Island.
sguardo triste del padre; quella realtà pre-gnante e povera che animava l’infanzia del poeta. Poi la laurea, il distacco dei luoghi del passato; compagni, sempre i ricordi: l’identificazione del padre – lui, la certez-za, e il poeta – l’eterno incerto sognatore. Il recriminare gli sbagli paterni, i debiti, l’abbandono. Ancora pensieri legati a quel gelido inverno del ’47 a Milano: «Accanto e ovunque i piccioni / che bubbonavano senza posa / ai nostri piedi / insieme agli sciami di neve».
L’anima del poeta consapevole che «vento e pioggia hanno spazzato via tutti e tutto». Cosa fare: «… avvolgiti anima mia in quello scialle rosso / vola fino a un altro sole, / questo / … che cicatrizza / ogni do-lore / ogni ferita».
Nella solitudine del poeta l’essenza che sopravvive alla morte di cari amici a lui vicini e il ricordarli ancora vivi con un cenno della mano e «un semplice gesto del braccio». È un altro luogo, altre compa-gnie: «Amici stasera il cuore non può fare scherzi / e si ballerà / e si canterà / fino a tarda notte».
Posso affermare che Dittico praghese ha in me rinnovato la magia di quei luoghi ricchi di suoni e di leggende. Al crepusco-lo, le suggestive ombre di Malàstrana, le nere statue sul ponte Carlo che si allungano magiche e silenziose. Sotto le arcate, scorre lenta la Moldava; gli stinti palazzi baroc-chi trattengono l’ultimo sole nelle eleganti testate. Rivedo Amadeus che il genio di Milos Forman ha fatto rivivere nell’antico quartiere di Praga. Non è un’illusione: le note del Flauto magico escono da un vec-chio palazzo; a Praga si vive più volte… La suggestione kafkiana sottile ci avvolge con l’eco lontana delle sue parole a Zlata Ulicve (Viuzza d’oro), la strada degli