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Ruolo funzionale dei recettori beta 3 adrenergici nella crescita del melanoma.

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Academic year: 2021

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La via di segnalazione -adrenergica è in grado di facilitare la progressione del cancro, per cui l’uso di molecole bloccanti i relativi recettori (-AR, recettori -adrenergici) dovrebbe diminuire la crescita tumorale. In questo studio abbiamo investigato il possibile coinvolgimento del recettore 3-AR nel melanoma, sia con uno studio in vitro che con uno studio in vivo. In diversi tumori è stata riscontrata la presenza dell’mRNA di 3-AR, come ad esempio nelle cellule leucemiche umane, nel cancro al colon e nei tumori vascolari; inoltre, il polimorfismo Trp64Arg del gene di 3-AR è stato associato ad una suscettibilità al cancro al seno o all’endometrio. Il melano-ma è una neoplasia melano-maligna derivante da cellule che sono in grado di sintetizzare melanina, esso può formarsi nella pelle di qualsiasi parte del corpo, nell’occhio, o, raramente, nella mucose di genitali, ani, cavità orale, oppure altri siti. General-mente si forma negli adulti e può essere di nuova formazione, o su preesistenti nevi. Frequentemente metastizza e le metastasi possono raggiungere i linfonodi regionali, il fegato, i polmoni ed il cervello. Lo scopo di questo studio è comprendere se 3-AR svolga un ruolo importante nella modulazione della crescita del melanoma, in quan-to i beta-bloccanti hanno mostraquan-to delle proprietà anti-proliferative nei fibroblasti murini ed un effetto pro-apoptotico nella retina dei roditori. Si è proceduto dimo-strando l’espressione di 3-AR nelle cellule murine di melanoma B16F10 e studiando gli effetti di due agenti bloccanti tale recettore, SR59230A e L-748,337. Entrambi i bloccanti sono in grado di ridurre la proliferazione cellulare e indurre l’apopto-si, probabilmente tramite il coinvolgimento dell’isoforma inducibile della sintetasi dell’ossido nitrico (iNOS). Inoltre, tramite l’ipossia si ottiene l’up-regolazione dei 3-AR e del VEGF nelle cellule B16F10, mentre l’utilizzo di SR59230A o L-748,337 previene l’up-regolazione del VEGF indotto da ipossia. Lo studio in vivo si è svolto con l’inoculazione nei topi delle cellule B6F10 ottenendo l’induzione alla formazio-ne del melanoma. Dopo aver ottenuto la formazioformazio-ne del tumore è stata effettuata l’iniezione intra-tumorale di SR59230A o di L-748,337, ottenendo una significati-va riduzione della crescita tumorale in seguito alla riduzione della proliferazione cellulare ed alla stimolazione dell’apoptosi. Il trattamento con i suddetti bloccan-ti permette di ottenere anche una diminuzione significabloccan-tiva della vascolarizzazione tumorale, dovuta all’apoptosi delle cellule endoteliali e non alla down-regolazione dei fattori angiogenici. Questi risultati dimostrano che SR59230A e L-748,337 ini-biscono la crescita tumorale riducendo la proliferazione cellulare, attivando la via apoptotica nelle cellule tumorali ed, infine, riducendo la vascolarizzazione tumorale con l’induzione dell’apoptosi nelle cellule endoteliali. Tali risultati mostrano i 3-AR come un possibile futuro target per le terapie coadiuvanti nel trattamento.

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2.1 Il melanoma

Il melanoma è una neoplasia maligna derivante da cellule che sono in grado di sintetizzare melanina; esso può formarsi nella pelle di qualsiasi parte del corpo, nell’occhio, o, raramente, nella mucose di genitali, ani, cavità orale, oppure altri siti. Generalmente si forma negli adulti e può essere di nuova formazione, o su preesistenti nevi. Frequentemente metastizzano e le metastasi possono raggiungere i linfonodi regionali, il fegato, i polmoni ed il cervello [1]. I melanociti sono cellule derivanti dalla cresta embrionale, specializzate nella produzione e distribuzione del pigmento melanina ai cheratinociti. Esse sono cellule longeve non proliferative con produzione costitutiva della molecola anti-apoptotica Bcl-2 e vanno incontro a proliferazione in risposta all’infiammazione nei casi di danno tissutali oppure a seguito di eccessiva esposizione a radiazioni solari [2]. Il melanoma è la forma di cancro alla pelle più pericoloso, ve ne sono altri più comuni, ma meno seri, che includono il carcinoma delle cellule basali e quello delle cellule squamose.

I Fattori di rischio sono dovuti ad una carnagione chiara, una storia di scottature e/o esposizione prolungata ai raggi ultravioletti (sia solari che UV artificiali), la presenza di più di 100 nei, l’età avanzata e/o una storia personale o familiare di cancro della pelle appartenente alla classe dei melanomi e non. Gli ultimi dati statistici mostrano un rischio di melanoma con un incremento di 2,24 volte nelle persone con un parente di primo grado con la diagnosi. I nevi displastici sono associati ad un’alta incidenza di melanoma, essi presentano delle caratteristiche tipiche: sono larghi (d > 5mm) e con bordi e pigmentazione non regolare. Un singolo neo displastico corrisponde ad un aumento del rischio di sviluppare melanoma pari a 2 volte, mentre 10 o più nevi displastici indicano un aumento del rischio di 12 volte. I caucasici mostrano un incremento dell’incidenza del melanoma pari a 20 volte rispetto a quella dei soggetti con carnagione scura; gli studi hanno mostrato che la melanina nei soggetti scuri ha un fattore di protezione solare (SPF) naturalmente più alto e può filtrare il doppio quantitativo di luce ultravioletta rispetto a soggetti con carnagione chiara. Nonostante ciò, la protezione nei soggetti a carnagione scura non è completa ed il melanoma può comunque svilupparsi, generalmente, a livello dei palmi, della pianta dei piedi e del letto ungueale. Una storia di gravi scottature nell’infanzia e nell’adolescenza può effettivamente raddoppiare il rischio di melanoma in età adulta [29, 30, 31]. I raggi UVA, contrariamente a quanto precedentemente creduto, sono rischiosi per la salute ed anche se raramente sono responsabili di

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scottature, hanno effetti biologici che possono causare danni a lungo termine [3]. L’esposizione ai raggi UV ed alla radiazione solare sono cause note di cancro alla pelle, ma per valutare la reale correlazione tra UV artificiali e rischio melanoma è stata effettuata una review sugli articoli presenti su PubMed, ISI Web of Science, Embase, Pascal, Cochrane Library, Lilacs e Medcarib. Basandosi su 19 studi, risulta esserci una correlazione positiva tra melanoma ed utilizzo dei lettini abbronzanti (fonti di UV artificiali), tuttavia non si ha nessuna evidenza di una possibile relazione dose-risposta. L’utilizzo dei lettini prima dei 35 anni aumenta significativamente il rischio di melanoma e la possibilità di sviluppo di carcinoma a cellule squamose della pelle. Invece, per quanto riguarda il carcinoma a cellule basali non sono state evidenziate correlazione statisticamente significative [4]. L’utilizzo di più tipologie di lampade abbronzanti causa un rischio tre volte maggiore rispetto all’utilizzo di una sola tipologia di lampada abbronzante [26].

I fattori di rischio possono essere anche di natura genetica, per cui il melanoma è stato analizzato dal punto di vista genetico da diversi gruppi di ricerca, in modo da comprendere quali sono le cause dello sviluppo del tumore e quali i possibili target su cui agire per il trattamento. I loci suscettibili nel caso di melanomi familiari in-cludono variazioni nel gene CDKN2A, CDK4, MC1R, XRCC3, MITF [34], mentre le mutazioni somatiche che causano il melanoma sono stati identificate in diversi geni. Alcune alterazioni riguardano i geni che controllano le vie di trasduzione dei segnali proliferativi dalla superficie cellulare al nucleo, come N-ras (Neuroblastoma RAS viral), BRAF (V-raf murine sarcoma viral oncogene homolog B1) e PTEN (Phosphatase and Tensin homolog); dal punto di vista patogenetico le mutazioni N-ras e BRAF compaiono in una fase precoce, mentre quelle del gene PTEN in una fase tardiva della progressione tumorale [50, 51]. Un’elevata percentuale di me-lanomi (40-60%) presenta una mutazione somatica nel gene BRAF, generalmente V600E [35]. Uno studio, condotto da Dankort e collaboratori, ha evidenziato come la variante BRAFV600E coopera con l’assenza di Pten per indurre la formazione di metastasi dal melanoma [43]. Le mutazioni nei geni BRAF o N-RAS nel melanoma causano un’attivazione costitutiva del pathway MAPK. Questi due geni non risulta-no mai mutati simultaneamente e le mutazioni compaiorisulta-no negli stadi iniziali e sorisulta-no presenti durante tutta la progressione tumorale; tuttavia, è stato considerato che en-trambe le mutazioni da sole non sono sufficienti a causare la progressione tumorale [36]. I melanomi con i geni wild-type di BRAF o NRAS risultano avere un incre-mento nel numero di copie dei geni CDK4 (cyclin-dependent kinase-4) e CCND1 (cyclin-1), che sono dei componenti a valle del pathway RAS-BRAF [42]. Dagli stu-di è emerso che vi sono mutazioni nella linea germinale del gene onco-soppressore CDKN2A (Cyclin-dependent kinase inhibitor 2A), che codifica per la proteina p16, la quale ha la funzione di indurre l’arresto del ciclo cellulare nella fase G1. Sia in un elevato numero di famiglie con predisposizione allo sviluppo del tumore sia in pazienti con melanoma multiplo, risulta esservi una correlazione tra incidenza del melanoma e mutazioni germinali del gene CDKN2A. Un ulteriore fattore di rischio è rappresentato dalle alterazioni del gene del recettore 1 della melanocortina (MC1R),

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che causa un’alterata sintesi di melanina ed un maggior rischio di sviluppo del tu-more [52]. Le varianti di MC1R e le mutazioni di CDKN2A sono risultati essere in grado di influenzare lo sviluppo delle displasie dei melanociti[38]. L’espressione di SOX9 è risultata debole o assente nel 95% dei melanoma analizzati nel corso dello studio di Passeron e collaboratori. L’espressione di SOX9 risulta presente nelle zone di pelle sane, ma debole o negativa in alcuni nevi e forme di melanoma primario e sempre assente nelle metastasi. La funzione di SOX9 è di legare il promotore di CDKN1A, che comporta una forte soppressione della crescita cellulare in vivo [44]. C-MERK tirosin chinasi (MERTK), un proto-oncogene, viene spesso over-espresso oppure attivato in diversi tumori; tramite analisi immunoistochimiche e microar-ray è stato dimostrato che l’espressione di MERTK è correlata con la progressione tumorale. MERTK raggiunge la massima espressione nelle metastasi, ha un’espres-sione intermedia nel melanoma primario e la più bassa nei nevi. Inoltre, più della metà delle line cellulari di melanoma over-esprimono MERTK rispetto ai melano-citi umani sani; tuttavia, l’over-espressione di tale proto-oncogene non correla con mutazioni in BRAF o RAS [39]. I fattori di trascrizione della famiglia dei fattori indotti da ipossia (HIF), nei melanomi, risultano essere maggiormente espressi da parte degli attivatori onco-genetici. HIF promuovono l’attivazione di geni coinvolti nell’inizio, nella progressione e nella fase di metastasi del cancro; infatti, è stato dimostrato che l’ipossia è in grado di favorire l’invasività e la capacità di formare metastasi, andando a regolare geni coinvolti nella scomposizione della matrice extra-cellulare, nel controllo della motilità e dell’adesione delle cellule tumorali. I risultati di uno studio, condotto da Hanna SC e collaboratori, hanno dimostrato che HIF1 e HIF2 attivano in modo indipendente i programmi trascrizionali che promuovono la metastasi, coordinando l’invasione delle cellule ed il rimodellamento della matrice extracellulare [40]. Un ruolo importante è svolto anche dalla variante istonica ma-croH2A, la quale è in grado di sopprimere la progressione tumorale del melanoma. La mancanza delle isoforme di mH2A, varianti istoniche coinvolte nella formazione di cromatina condensata e nella fine regolazione dell’espressione genica di geni coin-volti nello sviluppo, è correlata con un aumento dei fenotipi delle cellule tumorali in coltura e nei campioni di tessuto umano. Il Knock-down delle isoforme di mH2A, nelle cellule di melanoma a bassa tumorigenicità, comporta un significativo aumento della proliferazione e della migrazione in vitro, mentre in vivo favorisce la crescita e la formazione di metastasi. L’inibizione della trascrizione delle isoforme di mH2A avviene con l’over-espressione di CDK8, un oncogene del cancro al colon retto; in-fatti, se blocchiamo CDK8, abbiamo l’inibizione della proliferazione delle cellule di melanoma e gli studi mostrano che nei campioni di tessuto di melanoma risulta es-sere presente una correlazione inversa tra mH2A e CDK8. I dati quindi mostrano come mH2A è un componente critico della cromatina, in grado di sopprimere lo sviluppo del melanoma, per cui per comprendere meglio il melanoma e le cause del suo sviluppo è necessario studiare anche lo stato della cromatina [46]. Anche i dati raccolti sull’espressione e le mutazioni della famiglia di geni MMP (matrix metallo-proteinase) nei melanomi umani mostrano che la variante wild-type di MMP8 ha la capacità di inibire la progressione del melanoma. Sono state identificate delle

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muta-zioni somatiche in questa famiglia di geni nel 23% dei melanomi [47]. L’espressione di VEGF, sia la sua distribuzione che l’intensità, risulta essere associata alla pro-gressione del melanoma, come dimostrato dallo studio di Rajabi e collaboratori [48]. L’espressione di VEGF è particolarmente aumentata nel caso di melanoma nodulare ed acrolentigginoso, mentre il melanoma a diffusione superficiale risulta avere dei livelli più bassi, rispetto alle altre tipologie di melanoma, dell’espressione di VEGF [49]. Nel caso del melanoma uveale (intraoculare) le mutazioni che occorrono più frequentemente sono nei geni GNAQ e GNA11, codificanti per le porzioni q e 11 della subunità alfa della proteina G oncogenica . Tuttavia tali mutazioni non hanno influenze sulla sopravvivenza del paziente [37]. Comparando le mutazioni KIT tra il tumore primario e secondario è stata riscontrata una discordanza del 13%, andando ad evidenziare che lo stato delle mutazioni può cambiare durante la metastasi o la ricomparsa di un tumore dopo la diagnosi di tumore primario. Le mutazioni KIT sono comuni nel caso di melanomi acrolentigginosi [41]. La formazione di nuovi vasi nel tumore primario e metastatico è di estrema importanza. Il microambiente tumorale è in grado di stimolare l’angiogenesi attraverso diversi meccanismi [54]. I melanociti dell’epidermide sono localizzati in una zona con una concentrazione mi-nore di ossigeno, che fa ipotizzare che contribuisca notevolmente allo sviluppo del melanoma attraverso l’iperattivazione di Akt e l’induzione di HIF-1 [53]. Per cui anche il microambiente deve essere studiato ed analizzato per capire meglio quali siano i fattori e i geni che contribuiscono a favorire lo sviluppo e la formazione di metastasi nei tumori. Un’altro cofattore che sembra intervenire nella formazione e nella diffusione dei melanomi è lo stress cronico dovuto a fattori ambientali e/o psicologici. Partendo da tale presupposto, sono state analizzate le catecolamine, rilasciate in situazioni di stress, in diversi tumori, tra cui il melanoma, e ciò ha evidenziato un aumento significativo della progressione del melanoma con una cor-relazione positiva con tali molecole. Ciò potrebbe essere un punto di partenza per il trattamento del melanoma in stadio avanzato [55].

Quando il neo sospetto è sottoposto all’attenzione del medico, viene utilizzata la regola ABCDE [5], che verifica la presenza di alcune delle seguenti caratteristiche:

1. Asimmetria: i melanomi sono di solito asimmetrici, per cui una virtuale linea separatoria non creerà due metà precise.

2. Bordi: i melanomi presentano bordi frastagliati.

3. Colore: spesso il melanoma è policromo, cioè presenta colori diversi come nero, bruno, rosso e rosato.

4. Diametro: una lesione cutanea di diametro superiore ai 5 mm può essere indicativa della formazione di un melanoma.

5. Evoluzione: la lesione cutanea tende a modificare la propria forma, il colore e l’area superficiale.

Nel caso di un melanoma nodulare, il più aggressivo, viene modificata la regola generale tramite l’aggiunta dei parametri:

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1. Elevazione: il melanoma si presenta in posizione rilevata rispetto al piano cutaneo, infatti la parte centrale è in rilievo mentre la periferica risulta essere piatta.

2. Firm: la consistenza è maggiore rispetto alla pelle circostante. 3. Growing: si ha una crescita rapida da poche settimane a pochi mesi.

I segnali d’allarme più seri sono diversi e comprendono: prurito, dolore, innalza-mento, sanguinainnalza-mento, formazione di croste, gonfiore, comparsa di essudato ed ul-cerazione [6]. Quando il neo risulta essere sospetto, viene effettuata una biopsia escissionale che rimuove la lesione e gli strati sottostanti, per consentire di determi-nare con precisione la profondità della lesione, che risulta essere un parametro che determina la prognosi ed il trattamento [3]. Tra i parametri che vengono utilizza-ti per la diagnosi di melanoma vi è la densità dei vasi linfautilizza-tici intratumorali; essa risulta essere significativamente aumentata rispetto ai nevi benigni, suggerendo che nel melanoma invasivo le cellule promuovono la linfoangiogenesi [32].

Esistono quattro tipi generali di melanoma: lentigo maligna, nodulare, a diffusione superficiale ed acrolentigginoso. Il melanoma di tipo lentigo maligna è poco frequen-te ed insorge soprattutto nelle persone anziane andando a localizzarsi generalmenfrequen-te sul volto. Il melanoma nodulare presenta una crescita verticale e spesso metastasi al momento della diagnosi. Esso si riscontra generalmente nei maschi intorno ai 50-60 anni ed è un nodulo a forma di cupola di colore bruno o nero. Il melanoma a diffusione radiale è il più comune e risulta essere una lesione estesa con spesso piccole aree biancastre di regressione. Dopo alcuni anni va incontro ad ulcerazione passando dalla crescita orizzontale a quella verticale. Il melanoma acrolentigginoso è raro nei soggetti con carnagione chiara e si localizza alle estremità degli arti. Inoltre, il melanoma può crescere su una superficie mucosale (ex. tratto gastrointestinale, urinario e vagina) o nella regione dell’occhio. In quest’ultimo caso prende il nome di melanoma della coroide e si localizza nel bulbo oculare. Dopo la biopsia, si effettua un’analisi patologica che ci permette di identificare non solo il tipo di melanoma, ma anche se è un melanoma primario oppure una metastasi. Il melanoma metastatico è originato da cellule tumorali diffuse all’interno del tessuto sottocutaneo nel sito del tumore originale; vengono generalmente chiamate metastasi in transito. La pro-fondità del melanoma può essere descritta tramite lo spessore di Breslow, indicatore della profondità in millimetri, oppure tramite il livello di Clark, che descrive la pro-fondità di penetrazione del melanoma. Il melanoma viene definito in situ quando è presente solo nell’epidermide ed i parametri di Breslow e Clark non possono essere determinati. Gli stadi del melanoma sono classificati in base alla profondità, infatti lo stadio I corrisponde ad uno spessore inferiore di 1 mm, la fase II maggiore di 1 mm e viene detto livello di Clark IV-V ( invasione nel derma reticolare o tessuto sub-cutaneo). Nello stadio III il melanoma ha invaso i linfonodi locali o è un livello di Clark V (figura 1.1). Lo stadio successivo, IV, presenta metastasi distanti, general-mente fegato, polmone e cervello (Figura 1.2). Quando il melanoma è più profondo di 1mm oppure ha raggiunto il livello di Clark IV, viene effettuata una biopsia del

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Figura 2.1: Stadio III di un melanoma

Figura 2.2: Metastasi di un melanoma al fegato

linfonodo sentinella ( L.S.), che consiste nell’iniettare un tracciante radioattivo con un colorante blu nel sito sito di origine del tumore. Il colorante diffonde ai possibili linfonodi sentinella ed essi vengono esaminati al microscopio, testati per i marker del cancro e se uno di essi risulta essere positivo, allora tutti i linfonodi della regione vengono escissi con una procedura che prende il nome di dissezione linfonodale [3]. Tale classificazione è stata stabilita nel 2003 dalla Melanoma Staging Committee of the American Joint Committee on Cancer e successivamente approvata da altri gruppi di ricerca sul melanoma [11]. I pazienti con uno stadio iniziale di melanoma e negativi ai linfonodi sono monitorati con regolarità tramite analisi dermatologiche, radiografia del torace e studi di funzionalità epatica per valutare possibili formazioni di metastasi. Questi pazienti hanno una buona prognosi con il 94% di pazienti in vita dopo 5 anni ed l’85% dopo 10 anni. I pazienti con lo stadio II hanno una so-pravvivenza del 53% in 5 anni e del 41% dopo 10 anni. I pazienti con coinvolgimento linfoidale sono assegnati ad uno stadio III ed in questo caso la terapia è la rimo-zione chirurgica e la disserimo-zione linfonodale. Generalmente il paziente è trattato con radioterapia e/o chemioterapia per distruggere eventuali cellule residue e possibili metastasi. Il tasso di sopravvivenza per questi pazienti è del 28% dopo 5 anni. I

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melanomi con invasione profonda o diffusi ai linfonodi sono trattati con la chirurgia, seguita da immunoterapia con interferone alfa. Quando il tumore si è diffuso in altri organi si è nello stadio IV del melanoma che comporta la prognosi peggiore; il tratta-mento comporta la chemioterapia, l’immunoterapia e/o la partecipazione a terapia sperimentale. In quest’ultimo caso i pazienti hanno il 41% di sopravvivenza nel pri-mo anno dalla diagnosi [12]. Un problema pri-molto determinante sulla sopravvivenza è la formazione di metastasi. Prima dell’avvio del processo di metastasi, le cellule tumorali si estendono nell’epidermide adiacente formando quelle che sono state ca-ratterizzate e definite “Field cells” dal gruppo di ricerca di Bastian e collaboratori. L’analisi di queste cellule adiacenti al melanoma acrolentigginoso ha mostrato che esse presentano un elevato quantitativo di DNA amplificato, che può essere rilevato grazie alla fluorescenza di una ibridazione in situ. L’analisi genetica suggerisce che le “Field Cells” precedono la formazione del melanoma in situ [13]. Esse si esten-dono in modo significativo anche nella pelle sana senza nessuna correlazione con la grandezza e lo stadio del tumore [14]. Circa il 5% dei pazienti sopravvissuti al primo melanoma sviluppa un secondo melanoma nel corso della loro vita, generalmente è una metastasi originatasi dal tumore primario, e l’unica prevenzione possibile è il check-up programmato a diversi tempi fino a diventare annuo [3]. Un’altro step fondamentale nell’evoluzione del tumore primario in una metastasi al linfonodo è l’invasione del linfonodo locale. Nel lavoro di Dadras et al. sono stati utilizzati degli anticorpi contro il recettore di acido ialuronico endoteliale linfatico (LYVE)-1 pre-sente sui vasi linfatici nel tumore e nelle prossimità (meno di 100 micron) dei bordi [15]. Inoltre, è stata saggiata l’espressione di VEGF-C e VEGF-D nel melanoma, ottenendo che VEGF-C, e non VEGF-D, ha un’alta frequenza di correlazione con le metastasi del melanoma ai linfonodi sentinella (linfoangiogenesi) [16]. Tale risultato sembra essere confermato anche dal lavoro del gruppo di ricerca di Skobe M. et al., in cui è stato visto che l’over-espressione del VEGF-C nelle cellule tumorali del seno incrementa la linfoangiogenesi intratumorale, risultando in un significativo aumento del processo di metastasi ai linfonodi regionali e al fegato [23]. Attualmente non si conoscono i meccanismi che danno origine alla metastasi [17, 18]. La possibilità di un legame tra il melanoma maligno ed altri tumori, come quello pancreatico, è stata confermata da diversi studi, i quali hanno evidenziato un legame anche col gene p16INK4. Il carcinoma del pancreas è il quinto principale cancro negli Stati Uniti ed ha il più basso tasso di sopravvivenza tra le principali neoplasie. Gli studi hanno mostrato un aumento del rischio di quasi 2 volte di sviluppo di carcinoma pancrea-tico nei pazienti con diagnosi di melanoma maligno precedente ai 50 anni, inoltre i soggetti più a rischio sono le giovani donne di carnagione chiare. I risultati ottenuti, confermando i dati di precedenti studi, mostrano che non solo la storia familiare di tumore maligno, ma anche la diagnosi di melanoma maligno in età precoce può essere associata ad un futuro sviluppo di carcinoma pancreatico [9].

Gli ultimi studi scientifici mostrano un progressivo cambiamento di ideologia per quanto riguarda la definizione delle metastasi; attualmente, vengono considerate dei cloni neoplastici (accumulo di nuove mutazioni che porta ad un fenotipo più

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aggressivo), ma inizia a diffondersi il nuovo concetto di cellule staminali neoplastiche. Secondo questa teoria, i tumori si originano da cellule staminali stabili che danno origine ad una progenie, risultando così essere un possibile target per le terapie antineoplastiche [10]. Queste cellule staminali da cui derivano le cellule tumorali sono definite CSC (Cancer Stem Cell), delle cellule iniziatrici del tumore che hanno proprietà simili a quelle delle cellule staminali (Figura 1.3).

Figura 2.3: Cancer Stem Cell

Esse sono state identificate in diversi tumori maligni, come quelli al cervello ed al seno. Per quanto riguarda il melanoma, in circa il 20% dei melanomi metastatici, coltivati in un terreno di crescita per le cellule staminali embrionali umane, so-no state ritrovate una sottopopolazione di cellule che si propagaso-no come sfere so-non aderenti. Tali cellule sferoidali possono differenziare, in condizioni appropriate, in molteplici linee cellulari come melanociti, adipociti, osteociti; tutto ciò, ricorda la plasticità delle cellule staminali della cresta neurale. Esse sono risultate essere in grado di andare incontro a clonazioni seriali sia in vitro che dopo il trapianto in vivo, dimostrando la loro capacità di self-renew. Inoltre, risultano possedere una maggiore tumorigenicità rispetto al resto della popolazione del melanoma una vol-ta inoculate nei topi. La presenza di quesvol-ta sottopopolazione di cellule svol-taminali contribuisce all’eterogeneità e tumorogenesi del melanoma [33]. Se tali sottopopola-zioni sono associate alla progressione tumorale, possono costituire un target mirato per la terapia delle forme di cancro attualmente resistenti alla terapia sistemica. E’ stata identificata una sottopopolazione arricchita di MMCIC (malignant-melanoma-initiating cells), caratterizzata dall’espressione del mediatore alla chemioresistenza

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ABCB5. Le cellule tumorali ABCB5, riscontrate nel melanoma umano, mostrano un fenotipo molecolare primitivo e correlano con la progressione clinica del mela-noma. Negli esperimenti di xenotrapianto del melanoma umano nei topo, le cellule ABCB5 mostrano un’elevata capacità tumorigenica rispetto alle cellule prive di tale mediatore. Questa sottopopolazione, in vivo, ha mostrato capacità di self-renewal e differenziazione, in quanto sono in grado di dare origine ad una progenie eterogenea con la presenza oppure l’assenza del mediatore ABCB5. Studi preliminari hanno mostrato come l’utilizzo di un anticorpo monoclonale verso ABCB5 è in grado di indurre la citotossicità cellulo-mediata da anticorpi verso le cellule MCCIC ABCB5, esercitando effetti inibitori sul tumore. L’identificazione di queste cellule staminali cancerose e la loro caratterizzazione è un punto importante per lo sviluppo di nuove terapia per la cura dei melanomi chemioresistenti [45].

Come abbiamo precedentemente detto, i trattamenti attualmente in uso per il me-lanoma sono: il trattamento chirurgico, la radioterapia, la chemioterapia, l’immu-noterapia ed i trial clinici. La terapia radioattiva viene somministrata sulle aree adiacenti al linfonodo dopo che è stato effettuata la rimozione chirurgica. Nel caso di melanoma a stadi più avanzati si utilizza la chemioterapia, l’immunoterapia e/o la radioterapia. Recentemente sono state approvate dal FDA due nuovi farmaci: ipilimumab (Yervoy) e vemurafenib (Zelboraf), i quali sembrano aumentare la so-pravvivenza nei pazienti con melanoma in stadio avanzato [10]. La radioterapia è una forma di trattamento del cancro effettuata con raggi ad alta energia [22] che contribuisce alla cura o al palliativo dei pazienti malati. Il melanoma cutaneo è stato a lungo considerato relativamente radioresistente, ma gli ultimi studi mostrano che una risposta completa ed un tumore di piccolo volume correlano in modo statisti-camente significativo con una sopravvivenza a lungo termine, nonostante il plateau nella zona a bassa dose nella curva di sopravvivenza. La rimozione chirurgica di un melanoma primario è risultata essere a basso rischio, per cui la radioterapia viene considerata solo per melanomi in stadi successivi ed in pazienti anziani con malattia estesa. La radioterapia è usata con successo nel caso del melanoma mucosale, in cui sono stati ottenuti tassi di regressione dell’80%. L’utilizzo di questo trattamento in fase post-operatoria risulta essere più efficace rispetto all’utilizzo della sola chirurgia e molti autori considerano la rimozione chirurgica con radioterapia postoperatoria un trattamento standard per il melanoma mucosale [20]. L’utilizzo di Sr90beta radioterapia, come adiuvante, è risultata essere sicura ed efficace per prevenire la locale riformazione di un melanoma della coroide [21]. La parola chemioterapia in-dica tutte le procedure per le quali è previsto l’uso di farmaci per trattare qualsiasi malattia, ed anche se viene generalmente associata al trattamento del cancro, sareb-be più corretto usare una terapia antineoplastica e/o terapia citotossica. I farmaci chemioterapici non sono in grado di discriminare tra cellule sane e tumorali, per-ciò anche le cellule normali vengono danneggiate provocando gli effetti collaterali. Trattamenti come la radioterapia e la chirurgia sono considerati trattamenti locali, mentre la chemioterapia è un trattamento sistemico. A seconda del paziente e dello stadio del melanoma, il trattamento può essere solo con la chemioterapia e/o con

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altri trattamenti. La chemioterapia può essere usata come trattamento adiuvante o neoadiuvante. Nel caso del trattamento adiuvante dopo la rimozione chirurgica del melanoma, vi possono essere delle cellule tumorali ancora presenti nel paziente e per questo si utilizza la chemioterapia, somministrata dopo le radiazioni. Un esempio è l’utilizzo della terapia ormonale adiuvante dopo la radioterapia per il cancro alla prostata. Invece, nel caso della chemioterapia neoadiuvante, essa è somministrata prima dei principali trattamenti e il suo utilizzo ha il fine di compattare il tumore in modo da rendere più facile la rimozione tramite chirurgia. Inoltre, la terapia neoadiuvante sembra favorire l’azione della radioterapia e permette di eliminare pic-coli depositi di cellule tumorali che non sono viste tramite scansioni o raggi X [19]. L’immunoterapia è una metodica che aiuta a stimolare il sistema immunitario del paziente, in modo da attaccare meglio il cancro. Vi sono diversi tipi di immunotera-pia che possono essere utilizzati, il più recente è il farmaco Ipilimumab (Yervoy) per il melanoma in stadio avanzato. Esso è stato approvato nel 2011 per il trattamento di metastasi o di melanomi non operabili. Ipilimumab è un anticorpo monoclonale in grado di stimolare il sistema immunitario a distruggere le cellule tumorali [22]. I linfociti T, detti anche cellule T regolatorie (Tregs), sono un gruppo di leucociti che hanno un ruolo centrale nell’immunità cellulo-mediata; Ipilimumab è in grado di bloccare l’attività del CTLA-4 (Cytotoxin T-Lymphocyte Antigen 4), una mole-cola presente sulle cellule T, che normalmente inibisce l’attività immunitaria. Nel tumore, tuttavia, Treg sopprime le risposte antitumorali sia di TCD4 che di TCD8 [25]. Bloccando CTLA-4, le cellule T agiscono meglio e viene stimolata la risposta immunitaria del paziente. E’ la prima terapia che ha mostrato un incremento della sopravvivenza dei pazienti con melanoma allo stadio avanzato [24]. Un altro farma-co che potrebbe essere utilizzato in futuro per il trattamento immunoterapifarma-co del melanoma è WP1066, un inibitore della via di segnalazione di STAT-3, che agisce in modo dose-dipendente sulle cellule T promuovendo una maggiore citotossicità di esse verso il melanoma [24]. I trial clinici permettono di testare i nuovi agenti per il trattamento dei melanomi, che includono i vaccini e varie combinazioni di radiote-rapia, chemioterapia e/o immunoterapia [3]. Gli ultimi risultati mostrano come la soppressione di pathway di fattori immunosoppressivi, alterati nel melanoma, come VEGF, Fas, TGF-ß, IL-6, IL-10 e di molecole costimolatrici permette di aumentare l’efficacia delle terapie antineoplastiche [24].

2.2 Le catecolamine

Nello stato di stress viene determinato un maggior sviluppo del tumore a causa di una diminuzione dell’efficacia del sistema immunitario, che risulta down-regolato dalle catecolamine e dagli ormoni prodotti dall’organismo. Per tale motivo le cellule neoplastiche sono meno attaccate dal sistema immunitario e le catecolamine agi-scono direttamente sulle cellule tumorali, promuovendo la progressione neoplastica attraverso un’azione sui recettori adrenergici. Quest’ultimi reagiscono in modo

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dif-ferente: gli -AR sono meno affini alle catecolamine e meno importanti nello sviluppo del tumore, in particolare del melanoma, mentre i -AR sembrano avere un ruolo di una certa rilevanza nello sviluppo del cancro [55, 56]. I recettori beta-adrenergici sono espressi in modo costitutivo nella maggior parte delle cellule di mammifero e sono associati a pathway regolatori che operano in condizioni di stress, classicamen-te definiti come risposta “lotta o fuggi”. Ci sono tre sottotipi di -AR, chiamati 1, 2, 3-AR, ed ognuno di essi, da solo o in maniera cooperativa, risponde agli stimoli con risultati farmacologici e fisiologici osservati in ogni singola cellula. Tuttavia, la distribuzione ed il grado di espressione varia da tessuto a tessuto ed a seconda della specie [135]. Gli studi condotti su topi di sesso femminile del ceppo C3H/He, portanti il virus oncogenico Bittner, sviluppano un tumore mammario tra gli 8 ed i 18 mesi dopo la nascita in condizioni normali di esperimento. Se i topi vengono divisi in gruppi e sottoposti a condizioni ambientali con differenti gradi di stress cronico, il range d’incidenza varia da 92% in condizioni di stress al 7% in condizioni di ambiente protetto [57]. Tali risultati sono stati confermati da studi i cui dati indi-cano che lo stress cronico o le radiazioni UV sono in grado di “sopprimere” in modo indipendente il sistema immunitario. Lo stress cronico incrementa la suscettibilità al carcinoma a cellule squamose indotto dai raggi UV sopprimendo l’attività delle cellule T protettive [58].

Le catecolamine, in generale, sono in grado di agire su numerose funzioni dell’orga-nismo, ad esempio sulla regolazione della gittata cardiaca o sulla contrazione della muscolatura liscia. Esse sono sintetizzate a partire dall’amminoacido tirosina ed attraverso un serie di reazioni si ottengono, dopo la formazione degli intermedi L-Dopa e dopamina, la norepinefrina e l’epinefrina. Esse vengono immagazzinate in alte concentrazioni in vescicole e poi rilasciate per esocitosi. La norepinefrina è se-creta dal sistema ortosimpatico, mentre l’epinefrina è sese-creta sia come ormone dalla midollare del surrene che come neurotrasmettitore da alcuni neuroni del sistema nervoso centrale. La norepinefrina viene sintetizzata anche nei melanociti, dove sti-mola i recettori 2-AR della membrana cellulare per incrementare la melanogenesi [61, 62, 63]. Importante è anche il ruolo svolto dalle catecolamine nella formazione di metastasi, infatti uno studio condotto su topi atimici (nudi) BALB/c ha mostrato come la norepinefrina è in grado di aumentare la formazione di metastasi linfonodali lombari, mentre tale effetto è annullato con l’uso del propanololo, un bloccante non selettivo dei recettori ß-AR [84].

I recettori adrenergici, come già affermato, si dividono in due tipologie e mediano risposte differenti dopo il legame con l’epinefrina. La presenza ubiquitaria di questi recettori nella maggior parte delle cellule di mammifero ha suscitato un notevole interesse e le ricerche hanno evidenziato come essi siano importanti mediatori della crescita e/o invasività in numerosi tipi di tumore, come alle ovaie, alla prostata, allo stomaco, al seno e al polmone. L’incremento dell’espressione dei -AR e l’over-stimolazione tramite alti livelli di agonisti fisiologici, epinefrina e norepinefrina, nelle cellule tumorali sono associati all’iperattivazione del pathway beta-adrenergico che può modulare la progressione e la crescita del cancro pregiudicando l’esito clinico

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Figura 2.4: Pathway di sintesi di norepinefrina ed epinefrina

[135]. I -AR presentano tre sottotipi che sono accoppiati a proteine G con funzione inibitoria o attivatrice sull’enzima adenilato ciclasi. La famiglia dei recettori ac-coppiati alla proteina G (GPCR) rappresenta un macchinario di trasduzione ben definito coinvolto nel passaggio del segnale da uno stimolo esterno ad uno inter-no alla cellula. I recettori -adrenergici sointer-no proteine integrali di membrana con 7 regioni idrofobiche, di 20-28 residui amminoacidici, che interagiscono per formare domini funzionali in grado di legare ed interagire con la proteina G. Nikolaev e collaboratori hanno evidenziato, a livello dei cardiomiociti, la presenza del 2-AR esclusivamente nei tubuli trasversi, mentre il recettore 1-AR è distribuito sull’intera cellula [65]. I 1-AR hanno, principalmente, la funzione di stimolare il rilascio di renina dalle cellule iuxtraglomerulari ed aumentare la gittata cardiaca; i recettori adrenergici 2 sono in grado di rilassare la muscolatura liscia, i bronchioli, inibire il rilascio di istamina e stimolare l’anabolismo nel muscolo scheletrico [66]. Il recettore 3-AR è stato scoperto e studiato tra il 1970 ed il 1980, ma ad oggi si continuano ad avere ancora nuove informazioni e scoperte su questo recettore. Il suddetto re-cettore è considerato atipico, in quanto ha una farmacologia ed una struttura che differisce dagli altri due recettori, infatti nel quarto loop intracellulare vi sono pochi siti per l’inattivazione tramite fosforilazione [138]. Il gene umano del recettore be-ta3-adrenerfico è localizzato sul cromosoma 8p11.1-8p12 ed, a differenza dei geni di 1- e 2-AR, il gene contiene uno o più introni. Un’importante differenza strutturale, tra il recettore 3-AR ed i recettori 1- e 2-adrenergici, è l’assenza del sito di fosfo-rilazione per la PKA cAMP-dipendente o per la GRK (G protein-couplet receptor kinase) sul corto C-terminale del 3-AR, causando la base per la sua resistenza re-lativa alla down-regolazione indotta dagli agonisti [146]. E’ stato evidenziato dagli studi che molti antagonisti per 1- e 2-AR sono invece parziali o totali agonisti per

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il recettore 3-adrenergico [138]. I 3-AR sono maggiormente concentrati nel tessuto adiposo e sembrano coinvolti nella lipolisi e nella termogenesi; non è però esclusa la loro presenza in altri tessuti, infatti, è stata dimostrato che essi sono presenti nel miocardio a livello del ventricolo, accoppiati alle NOS, dove inibiscono parzialmente l’attività di 1- e 2-AR [66]. Il trattamento con antagonisti selettivi di 3-AR causa numerosi disturbi metabolici, come la lipolisi, l’aumento del dispendio energetico, la riduzione nell’assunzione di cibo, ed un drammatico incremento del livello di insulina nel sangue. Questi effetti scompaiono nei topi knock-out per 3-AR. Questi risultati suggeriscono che i 3-AR sono espressi in modo predominante, ma non esclusivo, ne-gli adipociti bianchi e bruni. Inoltre, il trattamento con agonisti specifici per questo recettore può causare un miglioramento del diabete di tipo 2, per questo gli agonisti di 3-AR possono agire come anti-diabetici ed anti-obesità [142].

L’interazione con gli agonisti adrenergici con i recettori porta ad una cascata di segnalazione che si manifesta in diverse risposte fisiologiche. Gli agonisti endogeni, come precedentemente detto, sono la norepinefrina (prodotta dalla tirosina) e l’epi-nefrina (norepil’epi-nefrina metilata). Queste catecolamine sono sintetizzate e rilasciate nel sistema circolatorio dai neuroni in risposta alla stimolazione dei recettori nico-tinici (nAChR), leganti all’acetilcolina, nel sistema nervoso centrale e periferico e nella midollare del surrene. L’epinefrina si lega preferenzialmente al 2-AR, mentre la norepinefrina si lega con elevata affinità al 1-AR [135]. Il legame di un antagonista ai recettori -adrenergici, provoca l’attivazione della proteina G stimolatoria (Gs), la cui subunità interagisce con l’adenilato ciclasi e quest’ultima catalizza la formazione di cAMP in grado di attivare la PKA, che rilascia la sua subunità catalitica deter-minando la fosforilazione di proteine cellulare per completare la risposta cellulare all’agonista [63]. Le proteine che vengono fosforilate dalla PKA, nei residui serinici e treoninici, sono coinvolte nella crescita cellulare, nell’angiogenesi e nel differenzia-mento del tumore. Una componente importante del percorso è la fosforilazione da parte di PKA di CREB ( cAMP response element-binding protein), un fattore di trascrizione, il quale si lega a sequenze di DNA dette elementi di risposta cAMP (CRE) regolando e stimolando la trascrizione di una serie di geni. La fosforilazione di altri fattori di trascrizione da parte di PKA può indurre la transattivazione di percorsi diversi, che potenzialmente permettono risposte sinergiche [135]. La PKA è in grado di attivare la via Src/Ras/MAPK e la -AR chinasi, quest’ultima fosforila 1- e 2-AR, che possiedono siti di fosforilazione assenti nei 3-AR, provocandone una diminuzione della sensibilità [67, 68]. Il cAMP, quando interagisce con EPAC, è in grado di attivare la RASlike guanina trifosfatasi Rap1A, che a sua volta stimola ERK1/2, MEK1/2 e B-Raf. Le MAPK attivate da PKA hanno un ruolo nella rego-lazione della crescita cellulare e nella proliferazione, l’EPAC regola le dinamiche di secrezione, motilità e morfologia cellulare [67].

Gli studi sull’influenza che hanno i recettori beta-adrenergici sul cancro si sono svi-luppati in seguito all’analisi della casistica clinica che ha evidenziato una correlazione tra circostanze di vita stressante ed accelerata progressione tumorale [67]. Inoltre, Powe e collaboratori hanno evidenziato che in un gruppo di donne malate di cancro

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Figura 2.5: Via di segnalazione beta-adrenergica

al seno, in quelle che ricevevano beta bloccanti per la cura dell’ipertensione si aveva una riduzione statisticamente significativa della formazione di metastasi, ricomparsa del tumore e mortalità[82]. L’analisi di diversi studi retrospettivi ha evidenziato che nelle pazienti affette da tumore al seno che hanno ricevuto propanololo negli anni precedenti e successivi alla diagnosi, l’incidenza della mortalità legata al cancro al seno è significativamente minore rispetto alle paziente che non hanno utilizzato pro-panololo. Inoltre, è stato evidenziato che l’utilizzo di beta-bloccanti è associato ad un incrementata sopravvivenza in tutti i pazienti con tumore al seno [135]. Diversi processi cellulari sono mediati dall’influenza dei -AR nella progressione tumorale, incluso il reclutamento dei macrofagi nel tumore primario, l’aumento dell’espressio-ne di citochidell’espressio-ne pro-infiammatorie e delle interleuchidell’espressio-ne-6 ed -8 dell’espressio-nelle cellule tumorali e del sistema immunitario, del VEGF che incrementa l’angiogenesi, e della MMP (matrix metalloproteinasi) che incrementa l’invasività e la motilità tumorale. Altri dati suggeriscono che la via di segnalazione beta-adrenergica inibisce la riparazione del DNA mediata da P53 e sopprime la citotossicità dei linfociti-T e la risposta delle cellule natural killer [67]. La prima evidenza del ruolo regolatorio dei -AR nelle cellule cancerose è stata ottenuta nel 1989 in seguito ad uno studio in vitro che ha mostrato come si avesse un incremento significativo della proliferazione nelle cellule di adenocarcinoma polmonare umano in risposta al trattamento con l’isopro-terenolo, un agonista di tali recettori, mentre si otteneva l’inibizione di tale risposta con il trattamento con propanololo. Altri studi hanno evidenziato che questi effet-ti si ottengono anche tramite trattamento con epinefrina, che possono comunque essere bloccati con propanololo e sono dipendenti dai -AR per incrementare il li-vello intracellulare di cAMP. Inoltre, la scoperta che la nicotina è un agonista ad alta affinità per i recettori 1- e 2-adrenergici, è stata la prima evidenza in vivo di un’associazione tra attivazione della segnalazione dei -AR e lo sviluppo dei tumori. E’ stato visto che NNK, un derivato altamente cancerogeno della nicotina, stimola la proliferazione delle cellule di adenocarcinoma polmonare tramite una cascata di

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segnali dipendenti da cAMP, che includono l’attivazione del fattore di trascrizione CREB, la transattivazione dipendente da PKA del pathway EGFR e il rilascio me-diato dai -AR di acido arachidonico. Tali risultati sono stati confermati in vitro con trattamenti di adenocarcinomi polmonari di topo indotti da NNK, nei quali dopo trattamento con epinefrina si ha un incremento dello sviluppo, mentre dopo trattamento con propanololo lo sviluppo viene inibito. La nicotina è in grado di indurre la progressione del cancro al pancreas in uno xenotrapianto e ciò è stato associato ad un aumento sistemico significativo, nei tessuti dello xenotrapianto, dei neurotrasmettitori dello stress e di cAMP, CREB ed ERK. L’utilizzo di GABA è in grado di bloccare la crescita tumorale e l’up-regolazione di cAMP. Le linee cellulari prelevate da tumori gastrici o al colon sono in grado di produrre norepinefrina in risposta al trattamento con nicotina e la proliferazione cellulare e l’angiogenesi ven-gono inibite con il propanololo. I dati sembrano mostrare che i più comuni tumori umani non sono stimolati solo dai neurotrasmettitori dello stress presenti nella cir-colazione sistemica, ma anche dalla norepinefrina ed epinefrina prodotte dallo stesso tessuto canceroso. Infine, studi in vivo hanno evidenziato come la progressione, l’angiogenesi e la formazione di metastasi di numerose tipologie di cancro vengano regolate dallo stress e dall’isolamento sociale; interessante è l’effetto del propanololo che anche in vivo riesce a contrastare gli effetti indotti dallo stress [140]. L’uso dei beta-bloccanti per annullare l’effetto delle catecolamine può, quindi, essere conside-rato anche per l’inibizione del processo di metastasi [84]. L’analisi della prostata ha dimostrato che essa è un tessuto ricco di recettore adrenergici e per tale motivo sono stati svolti studi biochimici che hanno mostrato la capacità degli agonisti dei recettori adrenergici di stimolare l’adenilato ciclasi ed aumentare i livelli di cAMP nella prostata di ratto. L’accumulo di cAMP e la differenziazione delle cellule neu-roendocrine è stata osservata nella linea cellulare di cancro alla prostata umano, quando esse venivano trattate con agonisti simili alle catecolamine (isoproterenolo ed epinefrina). Anche nelle cellule tumorali ovariche è stata riscontrata l’espressione dei recettori beta-adrenergici e l’aumento dei livelli di norepinefrina nel mezzo di coltura ha causato un aumento dell’invasività dall’ 89% al 198% , mentre l’epinefri-na un aumento dal 64% al 76%. L’uso di antagonisti, come il propanololo, blocca l’incremento dell’invasività indotto dalla norepinefrina [144]. Nello studio di Park e collaboratori sono state analizzate le cellule PAC, adenocarcinoma peritoneale, ed il saggio di proliferazione ha evidenziato che l’epinefrina agisce come un potente mitogeno. I suoi effetti sono completamenti bloccati dall’antagonista selettivo dei -AR, il propanololo, mentre l’uso dell’antagonista dei recettori -AR, la tolazina, non ha sortito nessun effetto [143]. Studi più accurati hanno mostrato che nelle cellule PC-3, una linea cellulare umana androgeno-indipendente della prostata, si ha una alta presenza di 2-AR, ciò mostra il ruolo significativo che questo pathway di segna-lazione ha sulla tumorigenesi [135]. I recettori -adrenergici sono stati identificati in diversi tipi di cellule cancerose, tra cui quelle del cancro al seno [70] ed alle ovaie [71]. In molti studi è stato evidenziato come nei tumori in animali sottoposti a stress si ha un incremento della vascolarizzazione e dell’espressione di VEGF, ciò ci permette di ipotizzare l’abilità della via di segnalazione beta-adrenergica di contribuire alla

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crescita del tumore [135]. Nelle cellule mammarie cancerogene CG-5 è stato eviden-ziato che la proliferazione aumenta quando sono esposte a differenti concentrazioni di un antagonista del recettore 2-adrenergico, inoltre il cAMP è un promotore della crescita nei topi, nei ratti e nell’uomo ed i suoi livelli risultano incrementati in molti tumori al seno, indicando un coinvolgimento della via adrenergica nello sviluppo del tumore [135]. Anche nel caso del tumore nasofaringeo, i dati suggeriscono che le ca-tecolamine agiscono sulla progressione tumorale andando a modulare citochine che svolgono un ruolo chiave nell’angiogenesi [139]. Tramite l’immunoistochimica è sta-to rilevasta-to che sia 1- che 2-AR sono espressi nei tessuti estratti da nevi melanocitici benigni, nevi atipici e melanomi maligni e che la loro espressione è significativamen-te maggiore nei tumori maligni [59, 60]. Lo studio di Thaker et al. ha evidenziato che i tumori, negli animali sottoposti a stress, mostrano un incremento marcato della vascolarizzazione e dell’espressione di VEGF, MMP2 e MMP9. I dati ottenuti hanno identificato l’attivazione, da parte dei recettori beta-adrenergici, del pathway di segnalazione cAMP-PKA come uno dei principali meccanismi con cui lo stress può favorire il processo di angiogenesi del tumore in vivo e promuovere la crescita delle cellule maligne. Tutto ciò fa supporre che bloccare i recettori beta-adrenergici può avere implicazioni terapeutiche nel trattamento del tumore alle ovaie [72]. Nel cancro allo stomaco è stato evidenziato che le vie intracellulari attivate dai 2-AR sono in grado di attivare, tramite Ap-1 e STAT3, la proteina MMP-7 promuoven-do l’invasione e la formazione di metastasi [73]. Anche nello studio di Shin V.Y. e collaboratori, che hanno precedentemente evidenziato come la nicotina era in grado di promuovere la crescita del tumore gastrico, è stato evidenziato come la stimola-zione del tumore gastrico da parte della nicotina avviene tramite l’attivastimola-zione dei -AR e del pathway a valle PKC-I/ERK1/2/COX-2 [137]. I recettori 3-adrenergici sono sovra-espressi nel cancro del colon umano, mentre i recettori 1-AR e 2-AR sono ugualmente espressi in un tessuto della mucosa sano che in uno canceroso. Gli studi di Perrone e collaboratori hanno evidenziato un’associazione tra l’attività dei 3-AR e l’incidenza di cancro al colon [68]. Inoltre, lo studio di Huang e collaboratori ha evidenziato che nella popolazione giapponese vi è, probabilmente, un’associazione tra il polimorfismo di 3-AR e la suscettibilità al cancro al seno[136].

Gli antagonisti dei recettori -adrenergici sono stati identificati come nuovi agenti terapeutici per il melanoma, in grado di ridurre la progressione di esso. Sono state valutate le espressioni dei recettori -AR in una serie di campioni umani di lesioni melanocitiche cutanee e studiati gli effetti dei loro agonisti endogeni, norepinefrina ed epinefrina, sulle linee cellulari umane di un melanoma primario e metastatico. I risultati suggeriscono che la norepinefrina favorisca la progressione tumorale stimo-lando il processo di angiogenesi, che prevede un aumento dell’espressione di VEGF, IL-8 e IL-6. Le ultime scoperte hanno evidenziato come la soppressione di path-way di fattori immunosoppressivi, alterati nel melanoma, come VEGF, Fas, TGF-ß, IL-6, IL-10 e di molecole costimolatrici, permette di aumentare l’efficacia delle te-rapie antineoplastiche [24]. I beta-bloccanti sono molto utilizzati per il trattamento di problemi a livello del sistema cardiovascolare, ma alcuni studi recenti hanno

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evi-denziato come essi possano essere utilizzati anche per il trattamento del cancro [74]. Nello studio di Shin V.Y. e collaboratori, l’utilizzo di atenololo e ICI 118,551, antago-nisti di 1- e 2-AR rispettivamente, sono in grado di contrastare l’azione stimolatoria della nicotina sull’espressione di PKC, di COX-2 e sulla fosforilazione di ERK1/2, contrastando così la proliferazione cellulare del tumore gastrico [137]. Il propanolo-lo, un -bloccante aspecifico, è in grado di inibire la proliferazione cellulare in modo dipendente dalla concetrazione nelle cellule del carcinoma nasofaringeo e gastrico, permettendo di ipotizzare il coinvolgimento dei -AR. L’inibizione della crescita in-dotta dal propanololo è associata all’arresto nella fase G0/G1 e G2/M in relazione alla concentrazione. Il propanololo è in grado di indurre apoptosi e diminuire i livelli di NF-B, VEGF, Cox-2, MMP-2 e MMP9 [75]. Sempre l’utilizzo del propanololo ha evidenziato come il beta-blocco sia in grado di inibire la migrazione indotta dalla norepinefrina nelle cellule di carcinoma al colon, SW 480 [141]. Sempre nel caso del cancro al colon, ma sulle cellule HT-29, l’utilizzo di agonisti come la norepinefri-na e l’isoproterenolo comporta unorepinefri-na stimolazione della proliferazione, infatti i livelli di cAMP, messaggero secondario della stimolazione dei -AR, risultano elevati con il trattamento con isoproterenolo. In un altro studio, sulle cellule di glioma C6 di ratto, l’isoproterenolo, un agonista dei recettori beta-adrenergici, stimola la proliferazione cellulare, mentre il propanololo è in grado di ridurre l’effetto proliferativo [135]. Nel caso del carcinoma pancreatico la norepinefrina stimola la proliferazione, la migra-zione e l’invasione, ma i suoi effetti vengono inibiti mediante l’antagonista dei -AR [76, 77, 78]. Tuttavia non vi sono evidenze di un possibile ruolo anti-proliferativo, anti-angiogenesi e pro-apoptotico dei 3-AR nei tumori; nonostante ciò essi sembra-no essere dei buoni target per una terapia adiuvante del tumore. Gli antagonisti di 3-AR sono in grado di inibire la proliferazione e la migrazione dei fibroblasti murini [79 ], mentre nella retina di ratto hanno mostrato un’attività pro-apoptotica [80] ed in essa è in grado di prevenire l’incremento di VEGF dovuto ad ipossia [81]. Nel mo-dello murino di carcinoma al seno e alla prostata, così come nel melanoma maligno e nella leucemia, gli antagonisti dei -AR sono in grado di bloccare la progressione e la metastasi del tumore, favoriti normalmente dalle condizioni di stress dell’am-biente. Se somministriamo, invece, gli agonisti dei -AR otteniamo un incremento della progressione e della formazione di metastasi anche in assenza di stress [67]. La somministrazione di beta-bloccanti, in donne operate di cancro al seno, ha mostrato una riduzione del 57% del rischio di metastasi e del 71% di rischio di mortalità do-vuto al cancro al seno nell’arco di 10 anni [82]. In Italia sono stati analizzati i dati dei pazienti affetti da melanoma con uno spessore maggiore ad 1 mm ed i risultati hanno evidenziato che l’esposizione per un anno i più a beta-bloccanti permette di ridurre il rischio di progressione del melanoma maligno [120]. Diaz e collaboratori hanno effettuato un analisi retrospettiva confrontando le cartelle cliniche di pazienti affetti da cancro epiteliale all’ovaio trattati o no con beta-bloccanti; i risultati hanno mostrato un’associazione tra uso di beta-bloccanti ed una riduzione del 54% delle probabilità di morte rispetto ai pazienti non facenti uso di beta-bloccanti [145]. Uno studio condotto in Danimarca, su pazienti aventi melanoma maligno, ha evidenziato come il trattamento con beta-bloccanti, per 90 giorni dopo la diagnosi, sia in grado

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di incrementare la sopravvivenza dei pazienti [83]. Tramite l’utilizzo di immagini di bioluminiscenza in vivo è stato possibile tracciare lo sviluppo di metastasi in un modello murino ortotopico di cancro al seno e ciò ha mostrato come l’attivazione a causa dello stress della norepinefrina non causa effetti sul tumore primario, ma induce un aumento di circa 30 volte nella formazione di metastasi in tessuti distanti come linfonodi e polmone. Tuttavia, il trattamento con un beta-bloccante inibisce la propagazione del tumore a tessuti distanti. Tutto ciò mostra come i beta-bloccanti possano avere un ruolo, finora sconosciuto, nelle terapie del cancro [85].

2.3 Le proteine analizzate

Stat3: STAT3, come riportato da HGNC Official Full Name, corrisponde a Signal Transducer and Activator of Transcription 3 ( acute-phase response factor) ed è un gene del patway di segnalazione Janus-activated kinase/STAT. La proteina codifica-ta da questo gene appartiene alla famiglia delle proteine STAT, le quali sono proteine citoplasmatiche con domini SH2 (Src Homology-2) e un dominio legante fosfotiro-sina sulla zona COOH terminale. Esse hanno funzioni di messaggeri e di fattori di trascrizione. STAT è presente come monomero nel citoplasma della maggior parte delle cellule, dopo il legame delle citochine ai recettori avviene il recruitamento di STAT da parte dal complesso di segnalazione del recettore attraverso l’interazione del dominio SH2 e la sequenza fosfotirosina specifica del recettore. La fosforilazio-ne di STAT, che fosforilazio-ne permette l’attivaziofosforilazio-ne, da parte del recettore avviefosforilazio-ne su una tirosina conservata sul dominio C-terminale [147]. Il gene STAT3 è localizzato sul cromosoma 17q21 e codifica per una proteina di 92 kDa. In risposta alle citochine ed ai fattori di crescita (GFs), i recettori associati alle chinasi attivano le proteine JAK e Src (attivate anche dai recettori AR) che fosforilano le proteine STAT, le quali, formando omo- o eterodimeri, traslocano nel nucleo cellulare dove agiscono come fattori di trascrizione [87]. Stat3 è attivata in risposta a diverse citochine e fattori di crescita, inclusi IFNs, EGF, IL5, IL6, HGF, LIF e BMP2, ma viene anche attivata da proteine oncogeniche, come Src e Ras [89]. Il suo ruolo è mediare l’e-spressione di diversi geni in risposta a stimoli cellulari, attivando geni coinvolti nella progressione del ciclo cellulare come Fos, Cyclin-D, CDC25A, c-Myc o Pim1 ed up-regolando i geni antiapoptotici come BCL2, BCLXL, MCL1 e Beta2-Macroglobulina [91]. Stat3,inoltre, promuove la sintesi di inibitori di p53 ed interagisce col suo pro-motore per bloccare la trascrizione, mentre attiva la trascrizione, interagendo con i promotori di IL-10 (inibitore del sistema immunitario), di HIF-1 e di VEGF, pro-muovendo la proliferazione, la migrazione e la formazione di vasi [92, 93]. La GTPase Rac1 è in grado di legare e regolare l’attività di Stat3, mentre PIAS3 (protein inhibi-tor of activated STAT3) risulta esserne un inibiinhibi-tore. Ad oggi, sono stati identificati tre varianti di splicing che codificano per isoforme differenti [86]. Il ruolo di Stat3 è stato verificato attraverso l’analisi funzionale in vivo usando topi knock-out, ciò ha mostrato che Stat3 è richiesto per l’embriogenesi, in quanto la delezione

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omozi-gote risulta letale a livello embrionale. Attraverso il knockout condizionale è stato possibile comprendere il ruolo di Stat3 in molti organismi e tipi cellulari, inclusi il cuore, la pelle, i linfociti T, il fegato ed i neuroni. Nonostante l’enorme varietà di ruoli di Stat3 nei diversi processi fisiologici, è stato mostrato che esso è attivo in modo transiente e strettamente controllato. Al contrario, l’espressione della protei-na Stat3 in forma persistentemente attivata è caratteristica di molte linee cellulari tumorali e di tumori [89]. L’espressione costitutiva di STAT3 è correlata con il me-lanoma ed altri tumori, come la leucemia, il cancro al seno, alla testa o al pancreas, perciò è stata valutata la sua espressione nei melanociti di casi di nevi displastici atipici. Il grado di espressione di STAT3 è risultato essere associato col grado di sviluppo del melanoma, inoltre tale proteina è un fattore di trascrizione fondamen-tale per la motilità cellulare e la progressione tumorale. La via di segnalazione di STAT3 e la via di segnalazione delle MAP-chinasi (proteine attivate da mitogeno) sono essenziali per l’evasione del melanoma umano dal sistema immunitario. Infatti, bloccando la via di segnalazione di Stat3 in un tumore in vivo si ottiene il blocco della crescita del tumore tramite l’uccisione delle cellule tumorali e l’infiltrazione di cellule effettrici immuni, suggerendo che l’attività di Stat3 nelle cellule tumorali ha effetti sul reclutamento delle cellule immunitarie. Il blocco della via di segnalazione di Stat3, nelle cellule aventi un’alta attività di Stat3, provoca l’espressione di diversi chemioattrantanti, portando ad un incremento della migrazione dei linfociti, delle cellule NK, dei neutrofili e dei macrofagi. In contemporanea, si ha la produzione di fattori solubili, TNF- e IFN-, capaci di attivare la produzione di NO da parte dei macrofagi e quindi di mediare l’attività citostatica nitrato dipendente dei macrofagi verso le cellule tumorali [90]. E’ stato inoltre effettuato uno studio sulle cellule di melanoma B16 di topo e STAT3. In questo lavoro è stato analizzato l’effetto in vitro dell’espressione della variante Stat3beta con proprietà dominanti negative. I risultati hanno evidenziato che questa variante è in grado di portare ad apoptosi le cellule B16 che presentano Stat3 attivato. Al contrario, Stat3beta non ha effetti sui normali fibroblasti o su cellule tumorali senza Stat3 attivato, suggerendo che solo le cellule tumorale con Stat3 attivato sono diventate dipendenti da questo pathway per la sopravvivenza. L’utilizzo della terapia genica con elettroiniezione del vettore d’espressione di Stat3beta in tumori B16 pre-esistenti in vivo ha permesso di ottene-re l’inibizione della cottene-rescita e la ottene-regottene-ressione tumorale [148]. Per tali motivi, pSTAT3 può essere considerato un potenziale biomarker della trasformazione dei melanociti e della progressione tumorale, mentre STAT3 può essere un potenziale target per la chemioprevenzione del melanoma [88].

VEGF: Il pathway di segnalazione del VEGF è essenziale per lo sviluppo, la differen-ziazione e la morfogenesi del sistema cardiovascolare. Tuttavia, il VEGF è richiesto per la neoangiogenesi in diverse situazioni patologiche nell’adulto [94], ad esempio nel tumore è necessario un rifornimento di sangue tale da assicurare l’apporto di ossigeno e di nutrienti necessari alla sua crescita. L’angiogenesi è un processo com-plesso ed altamente regolato che risulta essere cruciale per la crescita tumorale e la formazione di metastasi; tale processo richiede il rilascio di fattori proangiogenici

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Figura 2.6: Il pathway di Stat

dalle cellule tumorali per causare l’attivazione delle cellule endoteliali, la crescita dei vasi sanguigni e la consequenziale espansione del tumore. L’angiogenesi può causare un’alterazione nell’equilibrio tra fattori pro-angiogenici ed anti-angiogenici [150]. Il meccanismo di attivazione dei segnali angiogenici nel tumore viene scatu-rito dalla stato di ipossia in cui si vengono a trovare le cellule tumorali dopo che il tumore ha superato uno o due millimetri di diametro. L’ipossia attiva la proteina HIF-1 (fattore-1 inducibile dell’ipossia), la quale è in grado di attivare la trascri-zione dei geni che codificano per fattori pro-angiogenici, come appunto il VEGF [95]. L’espressione di quest’ultimo è indotta da condizioni di stress fisiologico come l’ipossia e l’ipoglicemia, le quali provocano anche una maggiore stabilità del mRNA del VEGF ed un’aumentata traslazione [98]. Tale proteina, una volta secreta, è in grado di attrarre le cellule endoteliali, stimolandone la migrazione e la proliferazio-ne, ottenendo così la crescita di nuovi vasi sanguigni [95]. Esso è secreto da diversi tumori, come il carcinoma renale, ed è normalmente espresso nel fegato, cervello ed altri tessuti. Oltre all’attività mitotica sulle cellule endoteliali, il VEGF induce la permeabilità vascolare, che causa lo stravaso delle proteine plasmatiche e la de-posizione della fibrina, provvedendo al supporto extracellulare per la crescita delle cellule tumorali ed endoteliali [97]. Nello studio di Giatromanolaki e collaboratori è stato evidenziato come HIF-1 e HIF-2, nel melanoma maligno, sono direttamente correlati all’espressione di VEGF, inoltre la sovra-espressione di quest’ultimo fatto-re è associata ad una prognosi negativa. Ciò permette di supporfatto-re che VEGF può

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essere utilizzato come un fattore di prognosi importante per i tumori cutanei [151]. Inoltre, l’espressione di VEGF da parte dei melanociti trasformati gioca un ruolo fondamentale nella conversione da nevi displastici alla fase di crescita verticale, cioè alla formazione di metastasi [153]. Gli inibitori dell’angiogenesi stanno ricevendo maggiore attenzione per il loro possibile utilizzo nella terapia coadiuvante per il cancro, ma ancora poco è conosciuto sugli effetti di tali inibitori sui vasi sanguigni tumorali [96]. Il gene Vegfr-1 è attivato da diversi fattori di trascrizione, inclusi CREB e ETS1, HIF1, ETS1 e HIF2 e p53, insieme con i recettori estrogeni. Il gene Vegfr-2 è attivato dal legame di TFII-I all’elemento iniziatore nel promotore, e l’antagonista è invece TFII-IRD1. La trascrizione di Vegfr-2 è attivata anche da SP1, Ets1 in combinazione con HIF2, e GATA-2 [98]. VEGF è una glicoproteina di 40-45kDa [99], di cui sono state descritte diverse isoforme, compresi VEGF (VEGF-A), VEGF-B, VEGF-C e VEGF-D, così come diverse varianti di isoforme ottenute tramite splicing alternativi [102]. Il VEGF è una molecola angiogenica diretta che svolge un ruolo essenziale nell’embriogenesi, nell’angiogenesi fisiologica e nella neo-vascolarizzazione dei tumori maligni [150]. Tale proteina, che risulta essere la più importante citochina pro-angiogenica, agisce tramite specifici recettori endotelia-li tirosin-chinasici. I recettori tirosin-chinasici sono Flt-1 (VEGFR-1) e VEGFR2; il primo recettore è collegato alla via di segnalazione che media la differenziazio-ne e l’organizzaziodifferenziazio-ne strutturale dei vasi, l’ematopoiesi e l’induziodifferenziazio-ne delle MMP. Il VEGFR2 (o Flk-1 o KDR) è il principale recettore coinvolto nella trasduzione del segnale nell’angiogenesi e media gli effetti di proliferazione e permeabilità di VEGF [100, 152, 139]. Dopo la dimerizzazione e l’autofosforilazione del recettore, le mo-lecole di trasduzione del segnale aventi il dominio SH2 vengono attivate o tramite un meccanismo diretto o tramite un meccanismo indiretto. L’attivazione diretta interessa VRAP (VEGF Receptor-Associated Protein); mentre l’altro meccanismo riguarda Src e PI3K (Phosphatidynositol 3-Kinase). PI3K determina l’accumulo di PIP3 (fosfatidilinositolo-3,4,5-trifosfato), in grado di attivare la via Akt/PKB e di conseguenza la fosforilazione, al termine del suddetto pathway, delle proteine proa-poptotiche Bad e Caspasi-9 con l’inibizione dell’apoptosi. La proteina VEGFA è in grado, inoltre, di indurre l’espressione dalla proteina antiapoptotica Bcl-2 [101]. Nel pathway di segnalazione intracellulare mediato da VEGF/VEGFR2, la proteina Ras, appartenete ad una classe denominata piccole GTPasi dedite alla trasmissione dei segnali all’interno della cellula, svolge un ruolo multifattoriali nell’angiogenesi e crescita tumorali. Nelle cellule endoteliali, in seguito alla stimolazione da parte del VEGF, GDP-bound inactive Ras è trasformato in GTP-bound active Ras, attivan-do numerosi pathways di segnalazione angiogenica come i pathways di Rac e MEK, che controllano i processi critici dell’angiogenesi come la proliferazione delle cellule endoteliali, la migrazione e la produzione di morfogeni [102]. Infine, bisogna conside-rare che nelle cellule endoteliali la via VEGF-VEGFR2 è un generatore, attraverso l’attivazione degli effettori a valle che sono PI3K, Akt chinasi ed eNOS (endothelial NO Synthase), del NO (ossido nitrico), il quale regola l’ematopoiesi [103]. Lo studio condotto sul VEGF ha mostrato che essa può essere indotta dall’ipossia e mediare così l’angiogenesi provocata da ipossia; ciò può essere facilmente trasposto a ciò

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che avviene nelle cellule tumorali a causa dell’ambiente ipossico in cui si vengono a trovare [157]. Non bisogna però pensare che l’attivazione del VEGF sia solamente indotta dai fattori aggiuntivi nel tumore, ma come mostrato nello studio di Dias avviene una stimolazione autocrina che attiva la crescita e la migrazione nelle cel-lule leucemiche umane [158]. Il VEGF può quindi essere considerato un target per terapia coadiuvante del cancro [149].

Figura 2.7: Pathway VEGF

AKT: AKT (o PKB) è una serina/treonina chinasi che regola diversi processi, inclusi il metabolismo, la proliferazione, la sopravvivenza cellulare, la crescita e l’angiogene-si. Attualmente sono conosciute tre isoforme di Akt che condividono una struttura comune. L’attivazione avviene principalmente tramite il legame di un ligando con il recettore della membrana cellulare. I ligandi più comuni sono i fattori di crescita, le citochine, i mitogeni e gli ormoni. Akt viene attivato in risposta a situazioni di stress cellulare, come l’ischemia, l’ipossia, l’ipoglicemia e lo stress ossidativo. I diversi meccanismi in cui è coinvolto hanno comunque un effetto antiapoptotico o di proliferazione cellulare. Akt è responsabile per l’uptake del glucosio mediando la tra-slocazione indotta dall’insulina del trasportatore di glucosio SLC2A4/GLUT4 sulla superficie cellulare. All’estremità N-terminale la proteina interagisce con prodotti lipidici come PIP2 (Fosfatidilinositolo bifosfato) e PIP3 (Fosfatidilinositolo trifo-sfato), permettendo la traslocazione attraverso la membrana. La regione centrale della proteina ha un dominio chinasico che contiene un residuo di treonina conser-vato, il quale deve essere fosforilato per ottenere l’attivazione di Akt. AKT regola la proliferazione cellulare andando a fosforilare l’isoforme di GSK3 e di MAP3K5 (apoptosis signal-related kinase), la fosforilazione di quest’ultimo diminuisce l’atti-vazione di questa chinasi da parte dello stress ossidativo e previene l’apoptosi [161]. Akt esercita i suoi effetti nella cellula mediante la fosforilazione di una varietà di substrati a valle come: Bad (Bcl-2 antagonista della morte cellulare), Caspasi-9,

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GLUTs (Trasportatori del glucosio) ed eNOS (Nitric Oxide Synthase). La forma attiva di Akt interferisce con il meccanismo apoptotico tramite la fosforilazione di fattori come la Caspasi 9, provocandone l’inibizione e causando quindi una diminu-zione dell’apoptosi; inoltre l’adiminu-zione di sequestro, tramite la fosforiladiminu-zione, di fattori pro-apoptotici come Bad, l’inattivazione di fattori di trascrizione della famiglia for-khead, e la promozione della citoprotezione dipendente da NF-kB, mediante l’atti-vazione trascrizionale di geni bersaglio a valle, permettono l’azione di regolazione cellulare di Akt. Akt regola anche l’attivazione di eNOS, stimolando la vasodila-tazione, il rimodellamento vascolare e l’angiogenesi. La via di segnalazione Akt stimola la produzione dei fattori di trascrizione HIF, andando a mediare così la se-crezione di VEGF e di altri fattori di crescita che sono importanti per l’angiogenesi [164]. Akt ed i regolatori a monte di questa via sono sovra-espressi in una vasta gamma di tumori solidi e questa proteina ha un ruolo sia come ponte per l’azione di PTEN, nei tumori in cui quest’ultimo gene è mutato, sia come coadiuvante di altri oncogeni, causando un’accelerazione del processo tumorigenico [169]. Inoltre, la de-regolazione del pathway PI3K/Akt/mTOR risulta implicato nella promozione della crescita e della sopravvivenza [163]. L’attivazione costitutiva di Akt caratterizza un’alta percentuale di melanomi umani, infatti gli studi mostrano che Akt trasfor-ma i melanociti solo in un ambiente ipossico ed in presenza di Notch1. La sinergia tra Akt ed ipossia è mediata da HIF1; l’inibizione di quest’ultimo fattore provoca una diminuzione della capacità di trasformazione da parte di Akt in ipossia e della crescita tumorale in vivo, mentre la sovra-espressione di HIF1 permette una crescita indipendente dall’ancoraggio anche in normossia ed uno sviluppo più aggressivo del tumore. Questi dati mostrano che l’iperattivazione di Akt e l’induzione di HIF1 da parte di condizioni ipossiche, che normalmente si trovano nella pelle, possono con-tribuire in modo significativo allo sviluppo del melanoma [53]. Anche lo studio di Chang e collaboratori ha evidenziato il coinvolgimento del pathway PI3K/Akt nella progressione cellulare, nell’apoptosi e nella trasformazione neoplastica, rendendolo così un target per la chemioterapia del cancro [165]. Inoltre, la proteina prodotta dalla mutazione B-Raf V600E coopera con Akt3 per la promozione dello sviluppo nelle prime fasi di formazione del melanoma; infatti sembra che Akt, nelle cellule di melanoma che presentano B-Raf V600E, sia in grado di ridurre la segnalazione MA-PK e promuovere la crescita indipendente dall’ancoraggio [166]. I dati ottenuti da Elstrom e collaboratori suggeriscono che l’attivazione dell’oncogene Akt è sufficiente per stimolare lo switch alla caratteristica glicolisi aerobica nelle cellule tumorali e che l’attività di Akt rende tali cellule dipendenti dalla glicolisi aerobica per la loro crescita e sopravvivenza [167]. Nello studio condotto da Goundiam è stato eviden-ziato come l’inibizione di Akt e RhoA promuove l’anoikis nelle cellule di melanoma B16F10 [171]. Il trattamento delle cellule di melanoma B16F10 con berberina in combinazione con doxorubicina ha mostrato la capacità di tali composti di inibire la fosforilazione di Akt e diverse altre proteine, ottenendo così un’inibizione della crescita tumorale, bloccando il ciclo cellulare [168]. L’utilizzo di “Thymoquinone” sulle cellule HUVEC è in grado di inibirne la migrazione, l’invasione e la prolife-razione, tramite un decremento dell’attivazione AKT/ERK dovuto all’interferenza

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