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GROTTA DEL TESAURO (Sant'Agata di Esaro, CS) Un esperimento di fotogrammetria ipogea

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici

GROTTA DEL TESAURO

Un esperimento di fotogrammetria ipogea

Tesi di Specializzazione di:

Davide SERVIDIO

Matricola: 573078

I relatore:

Chiar.mo Prof. Emanuele TACCOLA

II relatore:

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 1

1. INQUADRAMENTO TERRITORIALE pag. 3

1.1. Grotta della Monaca pag. 6

2. GROTTA DEL TESAURO pag. 14

2.1. Descrizione della cavità pag. 14

2.2. Notizie storiche ed esplorative pag. 16

2.3. Ricerche archeologiche pag. 20

3. METODOLOGIA DI RILIEVO 3D: UNA BREVE SINTESI pag. 28

3.1. La fotogrammetria pag. 29

4. IL RILIEVO FOTOGRAMMETRICO DI GROTTA DEL TESAURO pag. 31

4.1. Sopralluogo autoptico pag. 31

4.2. Operazioni preliminari al reperimento delle immagini pag. 32

4.3. Acquisizione delle immagini in grotta pag. 35

4.4. Creazione del rilievo 3D pag. 39

4.5. Criticità riscontrate pag. 62

4.5.1. Criticità riscontrate durante le attività in grotta pag. 62 4.5.2. Criticità riscontrate durante il processo di elaborazione pag. 65

5. RISULTATI E POSSIBILI APPLICAZIONI pag. 67

CONCLUSIONI pag. 76

BIBLIOGRAFIA pag. 79

APPENDICE: Agisoft Metashape Processing Report pag. 82

(3)

INTRODUZIONE

Fino alla fine degli anni Novanta del XX secolo il territorio dell’alta valle del fiume Esaro (provincia di Cosenza, Calabria) era noto per la presenza di numerose grotte, sebbene tale area godesse di una marginale rinomanza dal punto di vista speleologico rispetto ad altri ambiti territoriali, principalmente ubicati nella parte settentrionale della Calabria.

È soltanto a partire dal 1997, grazie ai risultati delle ricerche archeologiche eseguite nella Grotta della Monaca, oggi ampiamente nota come uno dei più antichi siti minerari d’Europa, che l’alta valle dell’Esaro si configura come uno dei territori più importanti, nell’ambito speleo-archeologico di tutta la regione. Il territorio ripetutamente indagato ha messo in luce la sua forte vocazione archeologica, ulteriormente confermata anche dalle ricerche avviate presso la Grotta del Tesauro. La cavità viene considerata al pari di una “sorella minore” rispetto alla vicina Grotta della Monaca, non solo per le dimensioni più contenute ma anche e soprattutto per le numerose affinità sia speleologiche che archeologiche, tale che oggi, sia quasi del tutto impossibile parlare di una delle due cavità senza citare l’altra.

Il presente lavoro nasce con l’intento di dotare Grotta del Tesauro di un tipo diverso di documentazione: il rilievo 3D fotogrammetrico. Il proposito, comunque, si è rivelato un punto di partenza di un elaborato molto più ampio.

Nel corso della seguente dissertazione, infatti, si procederà in maniera graduale verso l’argomento centrale dell’elaborato, descrivendo prima di tutto il territorio e le sue caratteristiche, entro cui inserire Grotta del Tesauro. La cavità verrà descritta sotto molteplici punti di vista, per poi delineare le procedure atte alla realizzazione del rilievo fotogrammetrico, per arrivare infine, ad esporre le possibilità di applicazione. Di per sé, si tratta

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sicuramente di un approccio metodologico mai sperimentato nei contesti archeologici della valle dell’Esaro. In quest’ottica ci si propone, infine, di verificarne la fattibilità cercando, al contempo, di definire un mezzo accurato e affidabile che possa, in qualche modo, contribuire alla documentazione e conseguentemente alla indagine speleo-archeologica.

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1

INQUADRAMENTO TERRITORIALE

Grotta del Tesauro è ubicata nell’alta valle del fiume Esaro. Questo ambito territoriale si colloca nella porzione nord-occidentale della Calabria, tra le estreme propaggini dell’Appennino Lucano, meglio conosciute come Monti di Orsomarso, e l’inizio della Catena Costiera, una dorsale montuosa che si estende verso Sud parallelamente alla costa tirrenica1. Il fiume Esaro nasce

dalla Montea, (1785 metri s.l.m.), uno dei monti più imponenti di quest’area geografica. Il corso d’acqua sviluppa il suo percorso verso oriente e rappresenta uno dei principali sub-affluenti del fiume Crati.

L’alta valle del fiume Esaro ricade nell’ambito amministrativo del comune di Sant’Agata di Esaro (CS) e presenta una conformazione molto varia, individuando il suo tratto più suggestivo nel profondo solco vallivo, caratterizzato da dirupi scoscesi e fitta vegetazione, che si sviluppa a poca distanza dal centro abitato (Fig.1). La zona è nota per la presenza di fenomeni sotterranei, sia verticali che orizzontali. Le cavità ad andamento orizzontale dell’area sono in larga parte di origine tettonica, sviluppatisi lungo profonde fratture nella roccia calcarea, mentre quelle orizzontali sono per lo più di origine carsica e mista2. Tra le grotte presenti nel territorio di Sant’Agata di

Esaro le più conosciute sono Grotta della Monaca e Grotta del Tesauro, ubicate l’una di fronte all’altra su versanti opposti della valle. Entrambe le cavità si configurano come importanti siti archeologici, oggetto di molteplici ricerche, e testimoniano ambedue una remota frequentazione di questi territori fin dall’epoca preistorica.

1 LAROCCA 2011, p.66.

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Figura 1. Localizzazione dell’alta valle del fiume Esaro. In basso, dettaglio della valle presso Sant’Agata di Esaro (elaborazione grafica: F.Breglia)

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1.1 Grotta della Monaca

Grotta della Monaca è una cavità naturale di origine carsica. La grotta si apre ad una quota di 600 metri s.l.m., sulla sinistra idrografica del fiume Esaro, e si sviluppa per circa 500 metri all’interno della roccia calcarea, con un andamento orizzontale o sub-orizzontale. Il suo ingresso è caratterizzato da un imbocco molto ampio, alto 12 metri, che caratterizza il panorama circostante ed è ben riconoscibile anche a grande distanza (Figg.3-4). È possibile dividere gli ambienti interni della cavità in tre settori: la “Pregrotta”, la “Sala dei Pipistrelli” e l’area dei “Cunicoli Terminali”3.

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La “Pregrotta” è un’ampia condotta d’ingresso in leggera salita, con il piano di calpestio quasi completamente invaso da enormi massi di crollo, che culmina in uno stretto passaggio, denominato “Diaframma”. Attraverso quest’apertura si entra nella “Sala dei Pipistrelli” (Fig.5), una grande camera ipogea (60x30 metri) che deve il suo nome alla nutrita colonia di chirotteri che ospita. In questo ambiente, a poca distanza dal punto di accesso, è presente una colata calcitica in cui la tradizione popolare riconosce, da sempre, l’immagine di una monaca scolpita: questa formazione, in realtà di origine naturale, rappresenta l’origine del nome dell’intera cavità (Fig.6). La Sala culmina nell’ultimo settore della grotta, quello dei “Cunicoli Terminali”, una serie di budelli che si inoltrano nella roccia restringendosi progressivamente fino a rendere impossibile la prosecuzione da parte dell’uomo4.

4 LAROCCA 2005, pp.17-23.

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La cavità è ricca di ossidi di ferro, principalmente ghoetite ed ematite, presenti in maggiore quantità e lungo tutta l’estensione della grotta, e di carbonati di rame quali la malachite e l’azzurrite, riscontrabili maggiormente nelle parti più interne5 (Figg. 7-8). Grotta della Monaca è stata oggetto di

reiterate campagne di scavo archeologico condotte dall’Università di Bari dal 2000 al 2012, che hanno interessato molteplici aree della cavità. Le ricerche hanno messo in luce un’intensa frequentazione del sito6.

La presenza di considerevoli mineralizzazioni ha fortemente condizionato il rapporto tra l’uomo e la cavità, votato principalmente all’acquisizione di tali risorse. La prima frequentazione attestata della grotta, orientato principalmente al reperimento della ghoetite, risale a circa 20000 anni da oggi, durante il Paleolitico Superiore7. Successivamente, un’ulteriore

fase di approvvigionamento dei minerali ferrosi si registra tra la fine del V e

5 LAROCCA 2005, pp. 37-41. 6 LAROCCA 2012, pp.249-256.

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gli inizi del IV millennio a.C. Importanti testimonianze di tali attività minerarie sono state rinvenute presso la cosiddetta “Buca delle Impronte”8,

uno stretto budello interamente scavato in un originario filone di ghoetite, che reca centinaia di impronte di scavo lasciate in negativo dagli utensili, principalmente realizzati in osso e palco di cervo, adoperati dai minatori preistorici (Fig.9).

All’interesse per i minerali di ferro, nel corso del IV millennio a. C., si è sovrapposta la coltivazione dei minerali cupriferi. Associabili a quest’ultima fase estrattiva si sono ritrovati ben 45 esemplari9, sia integri che spezzati, di

utensili in pietra levigata, tutti caratterizzati da una vistosa solcatura centrale funzionale all’immanicatura (Fig.10). Le attività estrattive a Grotta della Monaca terminano durante le Media Età del Bronzo, quando la cavità viene utilizzata come sepolcreto ipogeo che trova il nucleo principale nelle parti più interne.

Si sono riconosciuti i resti di circa 100 inumazioni: in larga parte si tratta individui di entrambi i sessi deceduti in età adolescenziale. L’analisi dei resti ossei ha inoltre evidenziato malformazioni causate da malnutrizione

8 LAROCCA 2011, p. 70; LAROCCA 2012, pp.252-254.

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(rachitismo e ipoplasia dello smalto dei denti) e l’insorgenza di tumori10.

Molto interessante è l’attestazione di una trapanazione cranica eseguita su di un individuo femminile di circa 20 anni: il cranio presenta segni di ricalcificazione dell’osso, pertanto si è ipotizzato che la ragazza dovrebbe essere sopravvissuta all’intervento11.

Un ulteriore interesse per la grotta, volto nuovamente alla coltivazione delle mineralizzazioni presenti, si registra in età post-medievale. In questa fase, le attività estrattive si sono concentrate principalmente nell’area della “Pregrotta” e tra le testimonianze archeologiche più significative figurano una serie di muretti a secco12, creati per sistemare ordinatamente le risulte

all’interno delle condotte, e svariate impronte di scavo dalla caratteristica sezione triangolare, lasciate da picconi metallici.

La piccola digressione su Grotta della Monaca appena delineata vuole ampliare, ancor di più, il quadro informativo relativo al territorio dell’alta valle dell’Esaro, ma anche fornire una sintesi esaustiva circa i risultati delle ricerche archeologiche effettuate nella cavità. In tal modo, si intende favorire anche la migliore fruizione dei dati relativi a Grotta del Tesauro, poiché le due esperienze di ricerca, oltre che il medesimo ambito territoriale, presentano numerosi punti di confronto.

10 ARENA et al. 2014, pp.74-80. 11 ARENA et al. 2014, pp.74-80.

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Figura 9. Impronte di scavo su filone di goethite (foto: F. Larocca)

Figura 10. Mazzuoli litici da Grotta della Monaca, a destra ricostruzione di utensili immanicati (foto: F. Larocca)

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Figura 11. Grotta della Monaca: planimetria e sezioni trasversali

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2

GROTTA DEL TESAURO

2.1 Descrizione della cavità

Grotta del Tesauro si apre ad una quota di 498 metri s.l.m., sulla destra idrografica del fiume Esaro. Si tratta di una cavità carsica di modeste dimensioni che presenta uno sviluppo spaziale complessivo di circa 60 metri13. Il suo ingresso, completamente celato da una fitta vegetazione, si

colloca poco più in alto della Strada Provinciale 263 (ex S.S.105), ad una altezza di poco inferiore all’entrata di Grotta della Monaca. L’imbocco della cavità introduce in una condotta d’ingresso larga mediamente due metri e mezzo denominata “Antegrotta”. Tale condotta avanza in maniera pianeggiante con un andamento in lieve salita e, nella sua porzione centrale, è caratterizzata da un marcato abbassamento della volta che interessa buona parte della sua larghezza. “L’Antegrotta”, dopo circa 10 metri, si raccorda ad una successiva Sala di modeste dimensioni. Questo ambiente presenta un piano di calpestio in forte salita ed è occupata, nella sua porzione centrale, da poderosi massi di crollo, aggirabili sia da destra che da sinistra14. La grotta

termina in una serie di diramazioni che si raccordano all’ambiente appena descritto. Uno dei rami terminali si sviluppa in direzione dell’ingresso e culmina in una saletta caratterizzata da numerose lame di roccia che pendono dalla volta e un piano di calpestio alquanto irregolare; in un ulteriore derivazione, di esigue dimensioni, della saletta si ritrovano, inoltre, alcune “vaschette” concrezionate che periodicamente si riempiono di acqua di

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stillicidio. Le altre ramificazioni, invece, procedono in direzioni opposte all’ingresso: una di esse assume contorni tondeggianti alquanto regolari, mentre un’altra si configura come un esiguo budello terminale che si sviluppa in forte salita ed è caratterizzato da un brusco cambio di direzione.

Grotta del Tesauro è ricca di idrossidi di ferro, prevalentemente ghoetite e lepidocrocite che appaiono in una varietà molto ferruginosa ed in molti casi, sotto forma di boxwork, una struttura molto comune in ambienti

Figura 13. Grotta del Tesauro come appariva prima dell'inizio delle ricerche (foto: F. Larocca)

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carsici15. Nella cavità sono presenti inoltre mineralizzazioni di rame,

principalmente malachite, ma in quantità del tutto trascurabili. Man mano che si avanza nella grotta, la componente carbonatica della roccia scompare quasi completamente alla vista, occultata prepotentemente dalla grande quantità di mineralizzazioni. Di fatto, gli ambienti interni sembrano avere un’origine per lo più artificiale, creati prevalentemente seguendo originari filoni di ghoetite.

2.2 Notizie storiche ed esplorative

La storia esplorativa di Grotta del Tesauro è fortemente interconnessa a quella della vicina Grotta della Monaca. Sebbene quest’ultima abbia per sua natura elevata visibilità e maggiore sviluppo, entrambe le cavità sono note da tempo immemore agli autoctoni e, instillando nei più curiosi il desiderio di addentrarvisi, hanno rappresentato una straordinaria fonte di ispirazione per racconti di ogni sorta16. Anche tra le prime attestazioni documentarie che

informano delle grotte dell’alta valle del fiume Esaro, le cavità summenzionate godono della medesima importanza e si ritrovano costantemente citate insieme17.

Il primo autore di cui si ha notizia che segnala Grotta della Monaca e Grotta del Tesauro all’interno dei suoi scritti è il noto letterato calabrese Vincenzo Padula da Acri18 che nella seconda metà del XIX secolo ha raccolto

informazioni di vario genere (racconti, folklore, usanze, economia…) relative a svariati centri abitati della Calabria settentrionale, pubblicate in seguito

15 CARLONI aa.2016-2017, pp. 31-37. 16 MONTALTO 1988, pp. 24-25. 17 LAROCCA - BREGLIA 2014, p. 31.

18 Nasce ad Acri il 25 Marzo 1819 da una famiglia borghese. Viene avviato al sacerdozio.

Studiò nel seminario di Bisignano e poi presso quello di S. Marco Argentano. Sacerdote dal 1843, diviene insegnante nello stesso seminario di S. Marco. Dal 1854 risiede a Napoli. Pubblica negli anni successivi una traduzione dell’Apocalisse di San Giovanni. Nel 1864 fonda Il Bruzio, un periodico bisettimanale. Nel 1867 viene chiamato a Firenze in qualità di segretario dell’Ministro dell’Istruzione Cesare Correnti. Nel 1878 tenta di ottenere una cattedra alla Università degli Studi di Parma. In seguito, nel 1881 fa nuovamente ritorno a Napoli. Qualche tempo dopo, per l’aggravarsi del suo stato di salute, si ritirerà nel suo paese natale dove rimarrà fino alla morte avvenuta l’8 Gennaio 1893. (cfr. PADULA 1977 pp.

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nell’opera “Calabria prima e dopo l’Unità”. A proposito del territorio di Sant’Agata di Esaro e delle sue grotte, Padula scrive nei suoi appunti due note:

“Grotte. Molte: ne pigliano il terreno per farne nitro”;

“Grotte. Due naturali in due monti opposti: Grotta della Monaca, e nella seconda stanza vi si vede ancora, benché guasta dal tempo, una monaca scolpita; e Grotta del Tesauro, abbondante di terra gialla”19.

Non è noto se Vincenzo Padula abbia effettivamente visitato le due grotte di persona, ma è di gran lunga probabile che egli abbia annotato notizie riportate dalla gente del luogo.

La prima esplorazione di Grotta del Tesauro e di Grotta della Monaca ad essere stata documentata fu effettuata da Enrico Giovanni Pirongelli nell’ottobre del 1878. La cronaca esplorativa, redatta dallo stesso Pirongelli, è stata poi pubblicata in forma di articolo, divisa in quattro parti su altrettanti numeri de “Il Calabrese”, un giornale scientifico dell’epoca, negli anni 1879-188020. Della figura di Pirongelli non sono note altre informazioni, tranne

quelle che si possono reperire direttamente dal suo articolo, che costituisce uno dei più antichi documenti storici, prettamente speleologici, che si posseggono per la Calabria21.

19 PADULA 1977, pp. 357-358.

20 LAROCCA- LORUSSO 1998, pp. 5-12; PIRONGELLI 1879, 1880. 21 LAROCCA 2005, pp.11-12.

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Le grotte della valle dell’Esaro furono nuovamente esplorate da Enzo dei Medici22,

pioniere della speleologia calabrese, che per primo si è occupato del censimento e della documentazione sistematica del patrimonio speleologico della provincia di Cosenza, tra il 1939 ed il 1942. Lo speleologo esplorò per la prima volta Grotta della Monaca il 16 novembre 1939 ed in quell’occasione realizzò un primo rilievo topografico speditivo della

cavità (Fig. 14). Analogamente al Pirongelli, produsse un resoconto delle sue attività dove per primo annotò la presenza di alcuni interventi di natura antropica all’interno della cavità, riferibili ad alcune costruzioni assimilabili a veri e propri “muretti a secco”, collocati in settori ipogei di Grotta della Monaca lontani dalla superficie, ignorando tuttavia la straordinaria antichità di tali artefatti23. Enzo dei Medici, a proposito di Grotta del Tesauro, scrive:

22 Nasce a Sebenico (Dalmazia) l’8 ottobre 1913. Nel 1919 si trasferisce con la madre a Zara.

Fin da bambino mostra grande interesse per quanto concerne il mondo naturale. Tra il 1927 ed il 1932 frequenta il Regio Liceo Classico “Gabriele D’Annunzio”. Portando avanti la sua passione, effettua escursioni e le prime attività speleologiche nel territorio zaratino insieme ad alcuni amici. I suoi interessi lo conducono in seguito ad iscriversi alla Facoltà di Scienze Agrarie a Bologna. Nel 1936 consegue la laurea. Successivamente s’iscrive all’Accademia della Milizia Nazionale Forestale, ottenendo una seconda laurea nel 1938. Subito dopo, viene inviato in Calabria in qualità di Ispettore Forestale della Provincia di Cosenza. Nel triennio 1939-42 si impegna nel censire 128 cavità naturali all’interno del territorio provinciale cosentino. Nella primavera del 1942 sarà poi trasferito a Pola, città dalla quale dovrà fuggire ben presto per via della guerra. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, dal 1945 al 1958, si stabilisce a Primiero in qualità di Amministratore della Foresta Demaniale. Successivamente, si trasferisce con la moglie e le due figlie a Padova. Muore nel 2005. (cfr. LAROCCA-LEVATO-MARINO 2003, pp.36-45).

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“Si tratterebbe di una profonda caverna di cui ne avrebbe tentato l’esplorazione tale Francesco Marasco da Sant’Agata di Esaro, senza però riuscire a raggiungere il fondo. Da un’apertura circolare di circa 3 metri si penetrerebbe in un corridoio la cui volta andrebbe sempre più abbassandosi e ad un certo punto si troverebbe un salto di più metri. Il suolo sarebbe coperto di terra rossa mentre dal soffitto penderebbero abbondanti stalattiti. Si aprirebbe a qualche decina di metri a monte della rotabile Belvedere- Sant’Agata, all’incirca di fronte alla Grotta della Monaca.”24.

Per qualche motivo, Grotta del Tesauro non sembra essere stata esplorata direttamente da Enzo dei Medici che pare semplicemente annotare, anche se in maniera puntuale, alcune informazioni sulla cavità.

Il territorio di Sant’Agata di Esaro ritorna ad essere esplorato più approfonditamente solo sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, quando un gruppo di speleo-archeologi, afferenti al Centro Regionale di Speleologia “Enzo dei Medici”, eseguirono nuove esplorazioni a Grotta della Monaca, che hanno evidenziato la straordinaria valenza archeologica della cavità. A seguito di tali esplorazioni, si è avviata una straordinaria stagione di ricerca sistematica in questi territori. A partire dal 2000, scavi condotti dall’Università di Bari hanno interessato principalmente Grotta della Monaca per i successivi dodici anni e, tra il 2011 e il 2013, anche Grotta del Tesauro.

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2.3 Ricerche archeologiche

Le ricerche archeologiche nella cavità hanno interessato la parte iniziale dell’“Antegrotta” (Fig.15). La strategia di scavo ha previsto la suddivisione dell’area prescelta in quadrati di 1m x 1m, identificati da una sigla alfanumerica, e dal risparmio momentaneo di un “testimone”. Quest’ultimo delimitava due porzioni dell’area indagata, denominate Area I (dall’ingresso verso il testimone) ed Area II (dal testimone in direzione dell’interno della cavità). Lo scavo successivo del “testimone” si è rivelato determinante nella comprensione dei vari livelli individuati, nonché dei rapporti stratigrafici esistenti. Sono state riconosciute sei unità stratigrafiche:

• US1, la cui superficie superiore costituisce la parte sommitale dell’intero deposito archeologico indagato, sembra generalmente riferibile ad una frequentazione molto recente, ma vi sono stati rinvenuti anche reperti ceramici sia di epoca storica che pre-protostorica;

• US2, caratterizzata da una colorazione giallastra, ad alta componente goethitica, che ha restituito, anch’essa, reperti ceramici sia di epoca storica che pre-protostorica;

• US3, che compare nell’Area II presenta una colorazione rosso/ violacea molto scura e presenta una considerevole quantità di coproliti combusti uniti a chiazze cineritiche che attestano l’accensione di fuochi, unitamente all’uso stabulativo della cavità;

• US4, rintracciabile nell’Area I, sostanzialmente alla medesima quota di US3, con la quale, sebbene differisca per la colorazione molto scura, sembra avere chiare relazioni stratigrafiche;

• US5, un livello costituito da uno strato di concrezione calcitica, formatisi in seguito a stillicidio dalla volta;

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• US6, costituita da un sedimento sciolto, poco coeso ricco di clasti calcarei e ghoethitici e come altri livelli ha restituito ceramica sia storica che pre-protostorica (Figg.16-17).

L’analisi dei vari livelli individuati ha evidenziato una grande commistione dei reperti che fanno riferimento a epoche differenti. Un quadro cronologico delle frequentazioni umane occorse in Grotta del Tesauro è stato ricostruito in seguito all’analisi puntuale dei rinvenimenti ceramici. Di fatto, si sono riconosciuti quattro momenti di frequentazione relativi a periodi differenti: Eneolitico (antico, medio e tardo); età del Bronzo; epoca arcaica; epoca ellenistica; età medievale e post-medievale. La frequentazione più antica della cavità risale all’Eneolitico antico (3700/3600-3300 a.C.) sulla base di frammenti ceramici decorati a solcature larghe e poco profonde.

Testimonianze ascrivibili all’Eneolitico medio (3300-2800 a.C.) e tardo (2800-2200 a.C.) sono invece alcune pareti ceramiche con superficie rusticata e decorate a squame, nonché una parete decorata da due impressioni circolari molto leggere (Eneolitico tardo). La presenza di frammenti di scodelle carenate costituiscono invece le uniche attestazioni relative all’Età del Bronzo. Relativamente all’Età arcaica si riferisce un frammento di ceramica dipinta a fasce, probabilmente appartenente ad una tipologia di coppa a vasca profonda attestata nel VI secolo a.C. e da uno skyphos a vernice nera inquadrabile nel medesimo periodo. Un secondo skyphos si data, invece, all’ultimo terzo del IV secolo a.C. Relativamente all’età medievale e post- medievale sono stati recuperati numerosi frammenti ceramici, attualmente ancora in fase di studio25.

Nella cavità sono state rinvenute anche altre tipologie di reperti tutte in corso di studio: resti faunistici, numerose schegge di ossidiana e selce, resti di industria litica levigata (macine e probabili pestelli). Peculiare è poi il rinvenimento di un mazzuolo in pietra levigata, denominato L14,

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caratterizzato da una solcatura mediana trasversale (Fig.18)26. Si tratta di una

tipologia del tutto analoga a quella di utensili da scavo rinvenuti presso la vicina Grotta della Monaca e certifica, maggiormente, la riconosciuta vocazione mineraria di Grotta del Tesauro, inequivocabilmente attestata da numerose impronte lasciate da strumenti di scavo, visibili sui i filoni di goethite presenti nelle parti più interne della cavità (Fig. 19). Quest’ultimo aspetto, unito alla prossimità del sito alla già Grotta della Monaca, una delle più antiche miniere d’Europa, pone in stretta correlazione le due cavità. Tuttavia, solo ulteriori campagne di ricerca che estendano l’indagine archeologica anche ad altri settori della grotta potranno delineare pienamente il carattere archeo-minerario di Grotta del Tesauro.

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Figura 18. Mazzuolo litico denominato L14(da Carloni a.a. 2016-17)

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METODOLOGIE DI RILEVAMENTO 3D:

UNA BREVE INTRODUZIONE

Il rilievo digitale e la creazione di modelli tridimensionali di oggetti e scene complesse ha riscontrato negli ultimi anni molto interesse all’interno della comunità scientifica1. Strumenti e tecniche di rilievo sono normalmente

classificate in base al principio di funzionamento e se comportano o meno contatto fisico con il soggetto da rilevare. Le varie metodologie applicabili sono accumunate dal fine ultimo di restituire la realtà cosi come si presenta al momento del rilievo, pertanto queste tecniche vengono denominate

reality-based. I principali metodi di rilevamento digitale che mirano ad acquisire dati

spaziali al fine di giungere al modello 3D si classificano in:

• tecniche basate sull’impiego di sensori attivi o Range-based, che prevedono l’uso di strumenti in grado di emettere un segnale elettromagnetico, registrato in seguito per derivarne una misura di distanza. Strumenti di questo tipo sono: laser scanners, radars, LIDAR, GPS, stazioni totali etc.;

• tecniche basate sull’uso di sensori passivi o Image-based, che sfruttano la luce presente in un ambiente per acquisire immagini che in seguito saranno elaborate. Relativamente a quest’ultimo metodo, la tecnica di rilevamento a cui ci si riferisce prevalentemente è la fotogrammetria2.

1 RUSSO- REMONDINO- GUIDI 2011, pp 169-170. 2 REMONDINO et al. 2011, pp. 1825-1836.

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3.1 La fotogrammetria

La fotogrammetria è la scienza che consente di ottenere misure accurate da immagini acquisite tramite sensori passivi. Individuando punti omologhi all’interno delle immagini, questa tecnica determina informazioni metrico- dimensionali, morfologiche, e relative alla posizione nello spazio 3D di un oggetto o scena. Analogamente al funzionamento della visione umana, se un oggetto viene ripreso in almeno due immagini, realizzate da punti di vista differenti, le varie posizioni apparentemente assunte dal medesimo oggetto nelle diverse immagini (per via della parallasse) permettono viste stereoscopiche e conseguentemente di derivarne coordinate 3D.

L’acquisizione delle immagini può essere effettuata tramite l’impiego di sensori ottici e fotocamere digitali, utilizzati da terra o montati su aerei, droni o satelliti. Qualora si impieghi una fotocamera da terra, l’operatore deve provvedere ad acquisire un numero di immagini tale da dotare il soggetto scelto (scena o oggetto) di una adeguata copertura. La fotogrammetria è basata sul principio della collinearità, secondo il quale, il centro di proiezione della fotocamera, un punto su un’immagine ed il suo corrispettivo nello spazio, giacciano su una retta. La determinazione di una coordinata 3D avviene in seguito all’intersecazione di vari raggi di collinearità di un punto individuato in due o più immagini, definita triangolazione fotogrammetrica o

bundle adjustement3. L’elaborazione delle immagini deve essere strutturata

secondo un preciso flusso di lavoro che conduce, infine, alla restituzione di un rilievo 3D fotorealistico del soggetto prescelto. A tale scopo, esistono oggi molteplici software dedicati alla fotogrammetria, tra i quali si inserisce quello impiegato per il presente elaborato, che rendono più agevole l’intero processo

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e, unitamente allo sviluppo ed alla diffusione della fotografia digitale, consentono di relazionarsi in maniera più accessibile con questa tecnica4.

Nel caso specifico di Grotta del Tesauro, il carattere di relativa accessibilità della fotogrammetria ha costituito uno dei motivi preponderanti per la scelta dell’utilizzo di questa tecnica. Di fatto, basandosi essenzialmente su materiale fotografico, avere la possibilità di ottenere una restituzione della cavità, estremamente fedele alla realtà, che informi contestualmente non solo delle morfologie ma anche dei rapporti metrico-spaziali, ha fornito la motivazione a sperimentare le potenzialità della tecnica fotogrammetrica nell’ambito speleo-archeologico. Al tal fine, Grotta del Tesauro presenta una serie di caratteristiche che hanno ulteriormente determinato la scelta di questo sito:

• le dimensioni non eccessivamente proibitive e lo sviluppo orizzontale della cavità;

• la possibilità di rendere in maniera realistica i particolari cromatismi delle mineralizzazioni e le tracce di scavo rinvenute sui filoni goethitici; • verificare l’accuratezza dei rilievi topografici precedenti e, ove

possibile migliorarli, attraverso la tecnica fotogrammetrica;

• fornire uno strumento di lettura della cavità, in grado di coadiuvare i precedenti metodi di rilievo e le potenziali ricerche archeologiche future.

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4

IL RILIEVO FOTOGRAMMETRICO

DI GROTTA DEL TESAURO

Le attività di rilievo fotogrammetrico prevedono una precisa sequenza di operazioni da effettuare in passaggi consequenziali: tali procedure, se effettuate correttamente, concorrono alla buona riuscita del lavoro finale. Nel caso specifico di Grotta del Tesauro, l’intero lavoro di rilevamento fotogrammetrico si può suddividere in quattro fasi che includono relative attività subordinate a ciascuna di esse. I passaggi principali sono:

• Sopralluogo autoptico;

• Operazioni preliminari al reperimento delle immagini; • Acquisizione delle immagini in grotta;

• Creazione del rilievo 3D.

4.1 Sopralluogo autoptico

Lo step preliminare alla realizzazione del rilievo 3D della cavità è stato effettuare un sopralluogo autoptico. Si è rivelato necessario relazionarsi con gli spazi che la compongono con un occhio critico, orientato verso l’obiettivo finale della restituzione tridimensionale. Si è proceduto a una suddivisione schematica delle varie aree che costituiscono la grotta. Cinque sono le zone principali che si possono riconoscere a Grotta della Tesauro:

• La condotta d’ingresso; • la sala;

• la saletta tondeggiante; • il budello terminale; • la saletta terminale.

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La denominazione qui proposta è del tutto sommaria e personale. Lo scopo è quello di identificare le varie “parti” della cavità, richiamandone intrinsecamente le principali caratteristiche morfologiche. Questo approccio si è rivelato utile per organizzare meglio il lavoro successivo, nonché l’intera documentazione fotografica.

Il sopralluogo è stato finalizzato anche alla stima iniziale delle criticità che si sarebbero potute incontrare durante il reperimento delle immagini, in modo da potersi preparare al meglio per affrontarle. In maniera esemplificativa, le criticità a cui si è prestata particolare attenzione sono state le peculiarità della volta (eventuali altezze proibitive o abbassamenti marcati), particolari anfratti, rientranze, nicchie o cunicoli ostici al transito dell’uomo e quindi difficili da rilevare; si è anche tenuto conto delle peculiarità del piano di calpestio, del suo andamento, delle sue asperità. In ultima istanza, in questa fase si è provveduto anche a determinare, in maniera approssimativa, i migliori punti di scatto per ottenere un numero minimo di fotografie che contenessero il massimo delle informazioni possibili utili alla ricostruzione 3D. Le informazioni raccolte sono state annotate su un taccuino e riportate graficamente su una copia dei rilievi topografici più recenti della grotta, realizzati in anni precedenti, utilizzata durante il sopralluogo: un’utile soluzione per avere il maggior numero di dati preliminari in modo facilmente accessibile già all’uscita dalla cavità. Per ridurre ai minimi termini, la finalità del sopralluogo è stata quella di approntare una sorta di “piano di missione” per le attività successive.

4.2 Operazioni preliminari al reperimento delle immagini

Senza alcun riferimento metrico, un modello tridimensionale, per quanto accurato, non può definirsi un vero e proprio rilievo, ma rimane una restituzione in tre dimensioni di un soggetto, funzionale esclusivamente alla

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visualizzazione e inefficace per lo scopo primario della tecnica fotogrammetrica: il calcolo di misure. La fotogrammetria, infatti, restituisce la posizione dei punti estrapolati da immagini in uno spazio 3D, ma non può determinare autonomamente le reali misure spaziali. Bisogna quindi inserire dei parametri dimensionali per far si che il lavoro finale possa comunicare non solo la forma ma anche le esatte dimensioni del soggetto ricostruito.

Per rilevare i punti di riferimento all’interno di Grotta del Tesauro è stata utilizzata una stazione totale GEODIMETER 408 (Fig.21).

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Questo strumento riesce a determinare l’esatta posizione di un punto nello spazio in base ad una terna di coordinate cartesiane X Y Z: l’asse X (anche detto Est) determina lo scostamento orizzontale dal punto di origine; l’asse Y (anche detto Nord) determina la distanza reale dal punto di origine; l’asse Z determina il dislivello dall’origine. Selezionati i punti in cui poter collocare la stazione totale (punti di stazione) all’interno della grotta, è stato necessario preparare e posizionare in modo preciso lo strumento. La stazione totale è dotata di un tripode telescopico che può adattarsi alle asperità del terreno per fornire una base di appoggio perfettamente orizzontale. È essenziale sistemare accuratamente il tripode in maniera che sia stabile e che, una volta installata su di esso la stazione totale, non rischi di spostarsi inavvertitamente, rendendo inutile ogni misurazione. Di seguito, si è centrato perfettamente lo strumento sulla verticale del primo punto di stazione e registrata l’altezza da terra della stazione totale. Determinate le coordinate del primo punto di stazione (nulle per convenzione) e l’asse di orientamento degli angoli, si è potuto procedere al rilievo vero e proprio di altri punti di riferimento (punti di dettaglio). La morfologia della grotta ha consentito di poter “stazionare” soltanto due volte. Per passare da un punto di stazione all’altro, si sono ripetute le medesime operazioni di preparazione della stazione totale precedentemente descritte. Dopo aver registrato le coordinate del nuovo punto di stazione, si è corretto l’angolo per orientare univocamente il punto summenzionato all’asse di riferimento stabilito all’inizio del lavoro. Infine, si è proceduto con il rilievo di nuovi punti di dettaglio.

Per le operazioni di rilievo con la stazione totale a Grotta del Tesauro, non essendo stato impiegato un modello che consenta l’inseguimento del prisma in modo automatizzato, sono state necessarie due persone: un operatore per la stazione e un assistente con il compito di reggere la palina con il prisma riflettore. La posizione di ogni punto misurato è stata evidenziata fisicamente all’interno della cavità tramite mire/target. Le mire sono fondamentali: devono essere ben visibili per essere poi riconosciute

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sulle fotografie, in maniera da poter affinare il posizionamento dei singoli punti all’interno del modello 3D, secondo procedure che verranno esposte in seguito.

Nel caso di Grotta del Tesauro, il sistema di riferimento è obbligatoriamente fermo a coordinate metriche locali (X, Y, Z), prive di georeferenziazione, quindi i punti rilevati sono semplicemente posizionati nello spazio tridimensionale. I dati raccolti sono comunque accurati ed esaustivi ai fini della giusta “scalatura” del modello tridimensionale. Quattordici sono i punti utili rilevati e sono stati numerati in maniera progressiva da 0 a 13; mentre i due punti di stazione, numerati come da convenzione “100” e “200” durante il rilievo, corrispondono sul rilievo 3D rispettivamente al punto “0” ed al punto “6”.

4.3 Acquisizione delle immagini in grotta

La fase di acquisizione immagini costituisce il passaggio fondamentale dell’intera operazione. La ripresa fotografica, come già delineato, è alla base della fotogrammetria. È quindi essenziale effettuare una adeguata e precisa documentazione fotografica del soggetto (in questo caso gli spazi interni di una cavità) che si vuole restituire tridimensionalmente. Per l’acquisizione delle immagini in grotta è stata usata la seguente attrezzatura: • fotocamera digitale SLR PENTAX K-70 con sensore CMOS APS-C

da 24 Megapixel (Fig. 22);

• PENTAX smc DA-L 1:3.5-5.6 AL WR 18-55mm (Fig. 22); • illuminatori a led GODOX LED 64 (Fig.23);

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Figura 22. PENTAX K-70 con obiettivo 18-55mm

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Prima di procedere a illustrare l’attività di ripresa fotografica svolta in grotta, è necessario aprire una piccola parentesi di ambito tecnico sul tema della fotografia. Non essendo questa la sede opportuna per approfondire tale tema, ci si limiterà ad accennarne alcuni aspetti fondamentali, funzionali alla comprensione del lavoro svolto. A grandi linee, lo scatto fotografico risponde di precisi parametri per essere effettuato in maniera corretta. Bisogna tener conto, principalmente, della sensibilità ISO; dell’apertura del diaframma (f); del tempo di esposizione (S); della lunghezza focale e del tipo di obiettivo che si vuole utilizzare. L’ISO è il valore che esprime la sensibilità della pellicola (fotocamere analogiche) o del sensore (fotocamere digitali) alla luce; in generale, più sono alti i valori ISO, più elevato è il grado di sensibilità. Il diaframma è il dispositivo, presente nell’obiettivo, volto a regolare la quantità di luce che entra nella fotocamera al variare del suo grado di apertura. La maggiore o minore apertura varia a seconda delle caratteristiche di un obiettivo e si esprime con numeri inversamente proporzionali al suo diminuire. Il tempo di esposizione è invece il lasso di tempo entro cui la luce va ad impressionare la pellicola o il sensore; questo valore può variare da pochi millesimi di secondo (i tempi sotto il secondo sono espressi in valori frazionari) a tempi molto lunghi. Si tratta di parametri variabili a seconda della situazione di scatto, che sono interdipendenti tra loro per la buona riuscita della ripresa fotografica. Nel corso degli anni, col progredire della fotografia, si sono sviluppati vari sistemi che consentono di fotografare privilegiando uno o più parametri summenzionati, regolando gli altri in maniera automatica. Tuttavia, si è conservata la possibilità di scattare in modalità completamente manuale, anche con le moderne fotocamere. Un ruolo importantissimo è infine rivestito dall’obiettivo e le sue caratteristiche, in relazione al risultato che si vuole ottenere. Esistono vari tipi di obiettivi fotografici classificati principalmente in base alla lunghezza focale. In linea di sintesi, gli obiettivi si dividono principalmente in Grandangolari (con focale inferiore a 50mm), Standard, Teleobiettivi (focali superiori a 50mm);

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a queste categorie si affiancano poi gli obiettivi Macro (con caratteristiche focali che permettono ingrandimenti molto ravvicinati) e gli Zoom (a focale variabile). La fotografia in grotta, come ogni altra ripresa fotografica, deve tener conto delle regole tecniche di base, unite alla particolarità dell’ambiente sotterraneo e delle situazioni di scatto che si andranno ad affrontare, principalmente legate alla illuminazione. Nel caso specifico di Grotta del Tesauro, il lavoro di ripresa fotografica effettuato ha inoltre dovuto aver costantemente presente il fine suo ultimo, cioè la restituzione fotogrammetrica di una grotta. Per tale motivo, prima di effettuare la ripresa fotografica vera e propria, si è reso ancor più fondamentale impostare bene i parametri di scatto della fotocamera. Infatti, le impostazioni, una volta selezionate, devono restare sostanzialmente inalterate per ogni scatto. È questa una regola base per la buona riuscita del lavoro successivo di ricostruzione tridimensionale. Le impostazioni di scatto utilizzate per il presente lavoro sono le seguenti:

• ISO 400; • f 4; • S ¼;

• Focale 18 mm.

Per determinare i parametri di scatto delineati, si sono realizzate varie fotografie di prova all’interno della cavità. La focale prescelta è la più corta consentita dall’obiettivo utilizzato, per ottenere un angolo di campo più ampio. Si è cercato di mantenere gli ISO su un valore sostanzialmente basso, per minimizzare la possibilità d’insorgenza di rumore fotografico. I valori ISO unitariamente al grado di apertura del diaframma, concorrono ad ottenere tempi di esposizione non esageratamente lunghi. Per minimizzare il verificarsi di effetto di mosso sulle fotografie, è stato necessario l’uso del treppiedi fotografico e lo scatto è stato ritardato di 2 secondi. La ripresa è stata condotta in modalità manuale e senza ausilio di flash. L’illuminazione dei

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soggetti è affidata esclusivamente agli illuminatori a led che possono essere installati direttamente sulla fotocamera, sfruttando la slitta del contatto a caldo per il flash esterno. Nello specifico, si tratta di pannelli costituiti da 64 led ciascuno, alimentati a batteria, di dimensioni molto contenute, ma con un elevata luminosità e durata della carica. Il lavoro di ripresa ha interessato l’intera estensione di Grotta del Tesauro, comprendo con una sequenza di scatti ogni porzione della cavità. Il procedimento ha seguito un percorso nella grotta iniziando dalle parti più interne fino all’ingresso, e si articolato nell’arco di più giorni. É stato necessario realizzare ogni scatto in modo che ogni immagine potesse sovrapporsi alla successiva per almeno l’80%, per essere correttamente processate dal software di fotogrammetria utilizzato. Inoltre, anche il numero delle fotografie, per un totale di 2614, ha avuto un ruolo determinante per quanto riguarda i tempi di processamento all’interno del software, a loro volta dipendente dalle capacità di calcolo e dalle prestazioni del PC utilizzato. In risposta ad ogni singola situazione di scatto, per ottenere immagini di buona qualità ai fini del rilievo, si è cercato, per quanto possibile, di mantenere la fotocamera in una posizione perpendicolare al piano di calpestio e lo spostamento della stessa nello spazio regolare e non caotico.

4.4 Creazione del rilievo 3D

Per favorire una buona organicità del successivo processo di elaborazione delle immagini, e considerato anche il numero elevato di immagini acquisite, curare l’archiviazione delle foto è stato di grande utilità. Alla fine di ogni turno di ripresa, si è prontamente scaricata la scheda di memoria della fotocamera. Le immagini sono state salvate nella memoria interna del PC1 e in copia in un Hard Disk esterno. Seguendo la suddivisione

1 PC assemblato, con CPU: i5 Quad-Core Intel; RAM: 16 Gigabyte; GPU: Nvidia G-force

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delle aree interne della grotta, proposta in fase di sopralluogo, le foto sono state suddivise in cartelle corrispondenti ad ogni singola zona della cavità e ulteriormente suddivise per data all’interno di ogni cartella.

Per la realizzazione del rilievo 3D di Grotta del Tesauro è stato utilizzato Agisoft Metashape Professional Edition, versione 1.5 (Fig.24).

Il software consente la modellazione 3D di immagini fotografiche per creare modelli 3D di qualità professionale, da cui derivare dati metrici come, per esempio, ortofotomosaici, DEM (modello digitale di elevazione), curve di livello, etc., esportabili e utilizzabili su piattaforme CAD o GIS. Il processo di elaborazione si articola in cinque fasi:

1. Allineamento delle immagini: in questa fase vengono ricercati tutti i punti comuni sulle fotografie, stabilita la posizione nello spazio tridimensionale occupata dalla fotocamera per ogni scatto, perfezionati i vari parametri di calibrazione; il risultato è la creazione di una Nuvola di Punti Sparsa e la visualizzazione delle singole

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posizioni di scatto. Questo step prende il nome di Structure from Motion (SfM) o Simultaneous Localization And Mapping (SLAM) (Fig. 25).

2. Creazione della Nuvola di Punti Densa; essa viene generata dal software basandosi sulle posizioni stimate della fotocamera ed alle immagini stesse. La Nuvola Densa può essere editata o esportata e funge da riferimento per la fase successiva. Questo step è definito Dense Image Matching (DIM) o Multi-View Stereo (MVS).

3. Creazione del Modello 3D: quest’ultimo è una rappresentazione su base poligonale del soggetto fotografico, generata in base alla Nuvola Densa o alle mappe di profondità.

4. Generazione della Texture: una volta creato il modello 3D, a quest’ultimo può essere applicata una Texture derivata dalle immagini fotografiche di base.

5. Creazione di ortofotomosaici, DEM, curve di livello, calcolo di aree e volumi, etc.

L’elaborazione delle immagini di Grotta del Tesauro si è articolata secondo il flusso di lavoro appena delineato, ma i vari passaggi meritano di essere esposti in maniera più specifica, per favorire la piena completezza della presente dissertazione.

Align Photos: una finestra di dialogo permette di impostare i parametri di

allineamento. È possibile decidere il grado di accuratezza (Accuracy), che varia da Higher a Lower, e, tra i parametri avanzati si può variare il limite dei punti chiave (Key Point Limit) e dei punti da rilevare per ogni immagine (Tie

Point Limit); è possibile inoltre attivare la selezione automatica dei parametri

della fotocamera, funzionali all’affinamento dell’operazione, spuntando

Adaptive camera model fitting, nonché spuntare la voce Generic Preselection,

per velocizzare la determinazione dei punti. Per l’allineamento delle immagini, nel presente lavoro, si sono selezionate le seguenti impostazioni:

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• Accuracy: Highest; • Generic preselection;

• Key Point limit: 40000 punti; • Tie Point limit: 40000 punti; • Adaptive Camera model fitting.

A processo terminato, si ottiene la Nuvola di Punti Sparsa (Figg.26-29). Prima di avviare i passaggi successivi è stato necessario controllare la cosiddetta Regione, denominata anche Bounding Box (Figg.30-31). Si definisce Regione la porzione di spazio tridimensionale entro cui i punti, determinati in fase di allineamento, vengono processati. Lo spazio viene inscritto in un parallelepipedo visualizzato nell’area di lavoro. Può capitare che, la Regione non includa perfettamente tutti i punti trovati o al contrario racchiuda una porzione di spazio eccessiva. Metashape consente di intervenire sulla Regione attraverso i comandi Move Region, che abilita lo

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spostamento della Regione nello spazio; Resize Region, che permette di modificarne l’estensione (agendo sugli otto spigoli del parallelepipedo) e

Rotate Region, che consente di ruotarla. Il controllo della Regione ha lo scopo

di definire le dimensioni minime dello spazio 3D di elaborazione.

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Figura 29. Nuvola di Punti Sparsa: vista laterale destra Figura 28. Nuvola di Punti Sparsa: vista laterale sinistra

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Figura 30. Regione o Bounding Box: vista laterale

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Creazione della Nuvola di Punti Densa (Figg.32-35). Anche in questo caso,

una finestra di dialogo permette di poter selezionare la qualità finale (Quality) della Nuvola di Punti Densa unitamente ad altri parametri aggiuntivi, ad esempio i filtri di profondità (Mild, Moderate, Aggressive). Le impostazioni utilizzate per la realizzazione della Nuvola Densa nel presente lavoro sono:

• Quality: Low;

• Filtering mode: Aggressive.

Figura 32. Nuvola di Punti Densa: vista dall'alto

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Figura 34. Nuvola di Punti Densa: vista laterale sinistra

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Creazione della Mesh (Figg.36-39). La finestra di dialogo consente di

selezionare la fonte dei dati (Source data), generalmente la Nuvola Densa; la qualità (Low, Medium, High) alla voce Face Count. Le impostazioni relative alla realizzazione del modello 3D, adoperate nel progetto sono:

• Source data: Dense Cloud; • Face count: low.

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Figura 38. Mesh: vista laterale sinistra

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Creazione della texture fotorealistica (Figg.40-43). Anche in questo caso,

una finestra di dialogo consente di impostare i vari parametri. Le voci principali sono Mapping mode, che determina le modalità di confezionamento della texture; Blending mode, che determina il modo di combinare tra loro i vari pixel derivati dalle foto e Texture size, che determina la misura della texture. Parametri aggiuntivi sono Enable hole filling, che aiuta a gestire superfici irregolari e Enable ghosting filter, che si occupa di ottimizzare la gestione dell’effetto mosso. Per il presente lavoro, i parametri relativi alla Texture sono rimasti quelli di default del software:

• Mapping mode: Generic; • Blending mode: Mosaic; • Texture size: 4096 x 1; • Parametri aggiuntivi

o Enable hole fitting: attivo; o Enable ghosting filter: attivo.

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Figura 42. Modello 3D con Texture fotorealistica: vista laterale destra

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Figura 44. Particolare interno cavità: creazione della Nuvola di Punti Sparsa

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Figura 46. Particolare interno cavità: creazione della Mesh

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I procedimenti finora descritti riferiscono delle procedure che portano alla creazione del modello 3D dotato di texture su di un solo Chunk. Il lavoro di elaborazione dell’intera Grotta del Tesauro è stato suddiviso in cinque

Chunks, pertanto ogni processo espletato si deve intendere ripetuto per ogni

singolo Chunk. La suddivisione dei vari livelli di lavoro ha seguìto la differenziazione delle aree della cavità secondo quanto delineato durante il sopralluogo. I Chunks sono stati tutti allineati tra loro. Nel dettaglio, dopo aver completato i processi di elaborazione nel primo Chunk, si proceduto ad aggiungerne uno nuovo. Quindi, si è proceduto a caricare le immagini e in seguito ad effettuare tutti i passaggi già descritti, fino a completare la fase di allineamento. A questo punto, è stato necessario allineare tra loro i Chunks tra loro, alla funzione Align Chunks: nella finestra di dialogo relativa, è possibile decidere quale dei Chunks debba fungere da riferimento principale per l’allineamento, il metodo di allineamento e l’accuratezza. Per quanto riguarda il metodo di allineamento, il software offre tre possibilità:

• il metodo Point based, cioè basato sulla ricerca di punti univoci tra i due

Chunks;

• il metodo Marker based, che sfrutta i punti riferimento, detti anche Ground Control Points;

• il metodo Camera based, che basa l’allineamento dei Chunks sulle posizioni della fotocamera nello spazio.

Per allineare più di due livelli di lavoro è possibile selezionare i

Chunks da allineare nella finestra di dialogo; Metashape allinea correttamente

due Chunks alla volta, di conseguenza bisogna ripetere l’operazione quante volte sia necessaria, deselezionando, di volta in volta, i livelli non necessari.

Prima di passare al Chunk successivo si è provveduto all’allineamento di un livello con il precedente. Completati i procedimenti descritti su ogni

Chunk, l’intera cavità si presentava restituita in una Nuvola di Punti Densa

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fusione di tutti i Chunks in un unico livello, selezionando il comando Merge

Chunks. Unificati i Chunks, si sono infine inseriti i valori spaziali di

riferimento o Ground Control Points. Come precedentemente descritto, prima dell’acquisizione delle immagini, sono stati rilevati alcuni punti di riferimento all’interno di Grotta del Tesauro ed evidenziati fisicamente nella cavità tramite mire/target (Fig.48).

Le mire possono essere riconosciute sul modello o direttamente sulle singole foto: in Metashape il punto di controllo a terra è definito da una bandierina(Fig.49). Ognuna di queste bandierine è posizionata automaticamente dal software in maniera più o meno grezza, pertanto, è necessaria un’operazione manuale di affinamento della posizione su tutto il set di immagini per far coincidere perfettamente la bandierina con il centro di target sulla foto.

L’elenco dei Marker si può visualizzare nella colonna di stato posta a sinistra, aprendo il pannello Reference. Metashape posiziona i punti selezionati all’interno del modello con coordinate arbitrariamente definite, pertanto per poter comunicare i vari dati spaziali al software, bisogna definire il sistema di coordinate che si è adoperato. Nel caso specifico di Grotta del Tesauro, i rilievi si sono condotti individuando le coordinate metriche locali dei punti di riferimento, quindi, su Metashape, si è impostato come sistema di coordinate Local coordinates, tramite una finestra apposita nel pannello

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automatica, importando i dati su di un file di testo che può essere generato dalla stazione totale oppure si può inserire ogni singola coordinata in maniera manuale. Ultimato l’inserimento di tutti i dati relativi alle coordinate, si è cliccato sul tasto aggiorna (icona con due frecce in circolo) e tutto il modello è stato cosi messo in scala secondo parametri spaziali reali. Di seguito, per un ulteriore affinamento della precisione metrica, si è utilizzata la funzione Optimize cameras.

In base all’ottimizzazione delle camere, cioè delle prese fotografiche, è stata creata una nuova nuvola di punti densa, elaborata non sui singoli

Chunks, ma sul Chunk unito, e una Mesh. Infine, si è proceduto alla creazione

della texture fotorealistica dell’intera cavità. Il risultato di queste operazioni è un modello 3D a dimensioni reali, da cui è possibile ricavare dati metrici affidabili.

Per avere tutte le informazioni relative al progetto, Metashape consente di generare un report, completo di ogni operazione svolta, in formato PDF.

4.5. Criticità riscontrate

Lo svolgimento di qualsiasi attività presuppone l’insorgenza potenziale di problematicità, più o meno grandi a seconda dell’obiettivo che ci si prefigge. Il presente lavoro non fa differenza. Anzi, le particolarità dell’ambiente di svolgimento, cioè quello di grotta, e le peculiarità degli obiettivi ultimi da raggiungere hanno determinato una serie di criticità di varia entità e natura, prese in rassegna in questo paragrafo.

4.5.1. Criticità riscontrate durante le attività in grotta

Le prime criticità riscontrate sono emerse durante il rilevamento dei punti di riferimento all’interno della cavità. Come precedentemente descritto, i punti di controllo a terra all’interno della grotta sono stati acquisiti con

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stazione totale. Tuttavia, a causa del forte abbassamento della volta a pochi metri dall’ingresso, non è stato possibile riposizionare lo strumento negli ambienti più interni della cavità. Questo impedimento non ha pregiudicato, in ogni caso, il rilevamento di una quantità sufficiente di punti di riferimento. Si è rivelata problematica anche la determinazione di coordinate geografiche. Le peculiarità orografiche della valle e del punto in cui Grotta del Tesauro apre il suo ingresso non hanno consentito di ottenere, con i mezzi a disposizione, coordinate assolute da utilizzare all’interno del progetto. Tuttavia, grazie ai dati in possesso, è possibile localizzare adeguatamente l’ingresso della grotta con una buona approssimazione dell’errore.

Altre criticità sono emerse durante la fase di acquisizione immagini. Ovviamente, la fotografia in grotta è molto più difficoltosa che in altri contesti: dover restare per molto tempo in un ambiente sotterraneo (non sempre in posizione eretta o in ampi spazi), il buio, l’umidità procurano un forte stress fisico sia per l’uomo che per la fotocamera. Grotta del Tesauro non fa differenza, poiché seppur relativamente semplice dal punto di vista speleologico, presenta cunicoli, piccole sale e passaggi di difficile accesso che, specialmente in fase di ripresa fotografica, si è costretti a reiterare. Le particolarità morfologiche della grotta hanno determinato le seguenti problematiche di scatto:

• in alcuni aree della grotta è stato impossibile utilizzare il tripode fotografico; la cavità infatti presenta alcuni passaggi stretti in cui l’altezza minima raggiungibile dallo strumento non avrebbe permesso la realizzazione di foto utili o addirittura sarebbe stato impossibile scattare. Questa criticità è stata superata, principalmente, ponendo la fotocamera su una base d’appoggio stabile, scattando in Live View e ove possibile con comando remoto;

• in alcuni casi si è dovuto scegliere di scattare a mano libera, trovando un appoggio stabile sui gomiti. Nell’ultima eventualità, è stato

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essenziale escludere lo scatto ritardato a 2 secondi (per annullare il mosso) e avere mano molto ferma;

• la risposta dell’esposimetro non sempre è risultata del tutto corretta; il problema si è presentato nelle parti interne della cavità, specie se nell’inquadratura era presente roccia calcarea a vista o velature calcitiche di per sé molto riflettenti, quindi è stato necessario agire molto sulla compensazione dell’esposizione per ogni scatto.

La presenza di numerose irregolarità e asperità, specie su volte e pareti, ha implicato particolari esigenze di illuminazione. I led impiegati hanno fornito un’adeguata illuminazione, anche grazie alla possibilità di variarne l’intensità. In qualche caso, per poter illuminare convenientemente anfratti particolarmente ostici, è stato necessario aumentare la luminosità e agire di conseguenza sui parametri di compensazione dell’esposizione. Tra le criticità è da segnalare anche la ghoetite, un materiale che si accumula molto tenacemente sul corpo, sugli indumenti, sulle attrezzature. Infine, anche le batterie al seguito posso costituire un problema. In realtà, non si sono verificate difficoltà con le pile durante le attività a Grotta del Tesauro, ma è doveroso precisare che, per quanto banale possa sembrare, averne una buona scorta, specialmente quando si compiono attività in grotta, è d’obbligo: sarebbe un enorme problema esserne sprovvisti in caso di necessità.

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4.5.2. Criticità riscontrate durante il processo di elaborazione

In fase di elaborazione le criticità principali sono state determinate dal considerevole numero di fotografie da processare in relazione al livello di performance del PC utilizzato. Di fatto, anche avendo a disposizione un computer ben equipaggiato, la potenza di calcolo non è stata sufficiente a processare l’intera mole di immagini necessarie (2614 foto) in un unico flusso di lavoro. Si è reso necessario, in tal senso, suddividere il lavoro in più

Chunks. Inoltre, la natura complessa dell’elaborazione ha influito sulla scelta

della “qualità” definitiva di restituzione. Con il termine “qualità” si richiama esclusivamente una definizione interna al software Metashape che si riferisce al numero di punti o poligoni che il programma riesce a individuare o ricostruire: è bene precisare che la resa finale è la più proficua che si è potuta ottenere con i mezzi hardware a disposizione. Un ulteriore punto di criticità è l’allineamento di più Chunks. Di fatto, sebbene il software riesca ad allineare bene più livelli di lavoro, in corso di elaborazione si è potuto notare che questo procedimento funziona meglio se si allineano due Chunks alla volta, meno con un numero superiore di livelli in un unico processo. Tuttavia, si è facilmente ovviato all’inconveniente disabilitando, di volta in volta, tutti i Chunks tranne i due livelli che si volevano allineare. Inoltre, un utile espediente per l’allineamento è stato quello di includere nel Chunk successivo immagini del Chunk precedente che avessero per soggetto porzioni della cavità comuni ad entrambi: in altre parole, che ritraessero delle “zone di confine” tra le diverse aree della grotta. Risulta chiaro che in questo modo si genera una quantità di foto maggiore di quella effettivamente necessaria al progetto generale, con immagini che si processano più volte; pertanto, una volta unificati tutti i Chunks si sono dovute eliminare tutte le fotografie doppie e perciò superflue. Un’ulteriore problematica durante l’elaborazione del rilievo è relativa al mancato riconoscimento sulla base fotografica di tre target spaziali che non è stato possibile posizionare all’interno del modello

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3D. In ogni caso, quest’ultima difficoltà non ha avuto alcuna effettiva ripercussione sulla precisione del rilievo fotogrammetrico. Infine, le criticità riscontrare nell’uso della stazione totale in grotta hanno avute qualche ripercussione sulla successiva restituzione dei reali rapporti metrico-spaziali all’interno del rilievo 3D: per poter essere messo in scala, si è rivelato necessario creare prima il modello 3D di tutta la grotta in un unico livello, unificando i vari Chunks realizzati, poi posizionare al suo interno i vari target.

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RISULTATI E POSSIBILI APPLICAZIONI

Il fine ultimo del processo di elaborazione è la creazione di un modello fotorealistico che riproduce nella sua interezza la Grotta del Tesauro, dove lo sviluppo degli ambienti interni della cavità è riportato correttamente nello spazio tridimensionale. Inoltre, il risultato finale, originandosi da documentazione fotografica, è una rappresentazione del soggetto grotta dove tutte le informazioni che possono essere comunicate dalle immagini di base vengono trasmesse al modello 3D: ciò che si ottiene è una ricostruzione estremamente veritiera della cavità, fissata nel momento dell’acquisizione delle fotografie.

Grazie ai punti di controllo a terra (GPC), il modello riesce, in aggiunta, a trasmettere un’informazione affidabile circa i rapporti metrico-spaziali che intercorrono tra i vari ambienti sotterranei. Pertanto, il prodotto finito non si caratterizza semplicemente per l’empirica godibilità insita in un modello 3D, ma può definirsi, a tutti gli effetti, un rilievo topografico tridimensionale.

Per una migliore comprensione dei risultati ottenuti, è utile confrontare il rilievo fotogrammetrico con le restituzioni topografiche della grotta, realizzate in tempi precedenti, con metodi tradizionali. Il materiale cartografico attualmente disponibile su Grotta del Tesauro è frutto dell’applicazione di metodologie speleologiche di rilevamento topografico prestate all’archeologia. I rilievi speleologici convenzionali mirano maggiormente a documentare, in maniera funzionale, quale sia l’evoluzione di una grotta e le sue caratteristiche, in relazione alle possibili difficoltà che si devono affrontare in contesto esplorativo e riportano la morfologia di una cavità secondo una serie di viste prestabilite (planimetrie, sezioni

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